FILOSOFIA, IDEALISMI E SCIENZE SOCIALI 1 · Natalino Irti, Michele Maggi, ... Stefano Petrucciani,...

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FILOSOFIA, IDEALISMI E SCIENZE SOCIALI

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Direttore

Claudio TUniversità degli Studi “Gabriele D’Annunzio” di Chieti–Pescara

Comitato scientifico

Giuseppe CUniversità degli Studi di Napoli Federico II

Girolamo CUniversità degli Studi di Messina

Michele LUniversità Cattolica del Sacro Cuore (Milano)

Domenico LUniversità degli Studi di Urbino “Carlo Bo”

Giacomo MUniversità degli Studi di Roma Tre

Mario CUniversità degli Studi di Milano–Bicocca

Tom RDuquesne University

Comitato redazionale

Piergiorgio D PUniversità degli Studi “Gabriele D’Annunzio” di Chieti–Pescara

FILOSOFIA, IDEALISMI E SCIENZE SOCIALI

La collana promuove la riflessione scientifica sul contributo teoreticofornito dalla filosofia e, in particolare, dalle prospettive idealistichealla comprensione dell’evoluzione dei processi sociali e storico cul-turali. Si intende pubblicare opere storico–filosofiche e teoretichecapaci di valorizzare la pluralità degli approcci idealistici delineati-si nella storia del pensiero, dall’antichità sino all’età contempora-nea, con particolare riferimento all’idealismo kantiano, all’idealismoclassico tedesco, al neokantismo, al neohegelismo, agli idealismifenomenologici ed ermeneutico–filosofici contemporanei. Tale va-lorizzazione (senza implicare necessariamente l’adesione ad unaqualsiasi forma di idealismo) avrà il senso di evidenziare come lariflessione teoretica (della filosofia e delle scienze sociali, politiche,storiche ed economiche) possa contribuire, da un lato, alla defini-zione epistemologica delle scienze storico–culturali, dall’altro alladelineazione di una ontologia del fenomeni sociali e, dunque, a unaanalisi concreta e utile a fornire una adeguata lettura della società, del-la politica e dell’economia nell’era della globalizzazione finanziaria“postindustriale”.

Volume realizzato con il contributo del Dipartimento di Scienze Giuridiche e Socialidell’Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” di Chieti–Pescara.

Benedetto Croce

Riflessioni a anni dalla nascita

a cura di

Claudio Tuozzolo

Contributi diGiuseppe Cacciatore, Giuseppe Cantillo, Francesco Coniglione

Girolamo Cotroneo, Paolo D’Angelo, Piergiorgio Della Pelle, Santi Di BellaPiero Di Giovanni, Diego Fusaro, Giuseppe Gembillo, Caterina Genna

Natalino Irti, Michele Maggi, Roberto Morani, Marcello Musté, Ernesto PaolozziStefano Petrucciani, Tom Rockmore, Fulvio Tessitore, Claudio Tuozzolo

Marco Vanzulli, Renata Viti Cavaliere, Vincenzo Vitiello

Aracne editrice

[email protected]

Copyright © MMXVIGioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale

[email protected]

via Sotto le mura,

Canterano (RM)()

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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: dicembre

Indice

xi Introduzione. Croce a anni dalla nascitaClaudio Tuozzolo

Parte IConfronti

Croce e Droysen. AnnotazioniFulvio Tessitore

Croce e Dilthey. Le due vie dello storicismo europeoGiuseppe Cacciatore

La Grazia e il libero arbitrio. Un “improbabile” confronto:Barth e CroceVincenzo Vitiello

Parte IIIl liberalismo, la libertà, l’Europa

Dialogo sul liberalismo con Luigi EinaudiNatalino Irti

Croce e la RestaurazioneGirolamo Cotroneo

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viii Indice

Croce e la crisi filosofica dell’EuropaMichele Maggi

Volontà e azione nel pensiero di CroceRenata Viti Cavaliere

Benedetto Croce. Una filosofia della liberazioneErnesto Paolozzi

Parte IIIMarx e le scienze sociali

Croce, il liberalismo e l’oblio del “Marx possibile”Girolamo Cotroneo

Cosa è vivo e cosa è morto del Marx di Croce?Tom Rockmore

Appunti su Marx e Croce. Materialismo storico, etica eteoria del valoreStefano Petrucciani

Idealtipo, valore e plusvalore. Le idee di Weber nel “para-gone ellittico” del giovane CroceClaudio Tuozzolo

Il dibattito Croce–Pareto sul materialismo storico (–)Piergiorgio Della Pelle

Indice ix

Gramsci allievo di Croce. Contributo a una riletturaDiego Fusaro

Parte IVScienza e poesia

Croce, filosofo ante litteram della ComplessitàGiuseppe Gembillo

Croce tra scienza e filosofia scientificaFrancesco Coniglione

L’autonomia della poesiaGiuseppe Cantillo

Croce e Fiedler. Le due interpretazioniSanti Di Bella

Parte VIdealismo italiano e dialettica

Croce e la tradizione dell’hegelismo napoletanoMarco Vanzulli

La concordia discors tra Gentile e CroceCaterina Genna

La concordia discors tra Croce e GentilePiero Di Giovanni

x Indice

Origine, figure e problemi della dialettica nel pensiero diCroceRoberto Morani

Parte VIEbraismo

Croce, gli ebrei e il «martirio» di IsraeleMarcello Musté

Benedetto Croce e le leggi razziali del Paolo D’Angelo

Indice dei nomi

Benedetto CroceISBN 978-88-548-9860-8DOI 10.4399/97888548986081pag. xi–xxvii (dicembre 2016)

Introduzione

Croce a anni dalla nascita

C T∗

La presente raccolta di saggi vuol essere un contributo alle riflessionisull’opera di Benedetto Croce nell’epoca della “fine delle ideologie”.Il nuovo millennio si è aperto ormai da più di tre lustri e il caratte-re della nuova epoca va delineandosi sempre più chiaramente. Lamoltiplicazione delle informazioni che ci investono quasi ad ogniistante veicolate dai portentosi mezzi informatici con i quali siamoin sempre più stretto contatto, la frammentazione della vita socialee la “liquefazione” dell’uomo (ridotto, come osserva Natalino Irti,a «pura esistenzialità» e a «punti–forme solitudine»; cfr. oltre, p. ep. ) sospinta dal fluire sempre più incontrastato di una ricchezzafinanziaria liquida–astratta (ormai sottratta quasi del tutto al controlloumano ed affidata a potentissimi pc) pone nuove sfide alla filosofiae, dunque, allo storico della filosofia, che sa di poter attingere dalpatrimonio culturale del passato per affrontare tali sfide.

Il pensiero crociano è una parte significativa di tale patrimoniocon il quale gli autori di questo volume, in modo non ideologico eda punti di vista differenti (e, spesso, anche contrastanti), ritengononecessario confrontarsi. Il Croce che qui viene presentato non è unautore semplice, lineare, facile. Complessa è l’architettura del suo fi-losofare, perché concreti sono i molteplici problemi che esso affronta.L’interpretazione filosofica, come ho imparato molti anni fa, seguen-do, soprattutto, le mirabili lezioni di Gennaro Sasso all’Università diRoma, è un seguire le complesse articolazioni del pensiero indagato:non risparmiando energie nel cercare di penetrare i meandri piùdifficili della teoresi, evitando le semplificazioni, e costruendo, anche,

∗ Università degli Studi “Gabriele D’Annunzio” di Chieti–Pescara.∗∗ La cura e revisione delle note, dei riferimenti bibliografici e degli indici è di PiergiorgioDella Pelle (Università degli Studi “Gabriele D’Annunzio” di Chieti–Pescara).

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xii Claudio Tuozzolo

nuovi articolati percorsi di pensiero sulla base delle indicazioni pro-venienti dai testi. La “fatica del concetto” trova, credo, un materialeparticolarmente fruttuoso nel filosofare di Croce.

Come ricorda Fulvio Tessitore nelle prime pagine di questo libronon è affatto vero che la «grande riflessione filosofica non possa nonessere dominata dalla linearità senza inciampi e rotture» (p. ). Sono,dunque, gli “inciampi”, le “rotture” e i “complessi itinerari” seguiti “divolta in volta” da Croce (nei molti testi scritti dal filosofo nelle differentioccasioni della sua lunga vita) l’oggetto delle riflessioni degli autori chehanno contribuito a dar vita al presente volume. Autori che si sonomossi liberamente su molti diversi terreni crociani senza minimamentepretendere di proporre una trattazione esaustiva della filosofia di Be-nedetto Croce. In nessun modo, d’altronde, il volume ha voluto (sindall’inizio) essere (nelle intenzioni del suo curatore) l’espressione diuna unica organica prospettiva di scuola che escludesse punti di vista“non ortodossi”. E ciò non solo perché come ci insegna, in primo luogo,proprio Croce, le “scuole” e i “generi” sono astrazioni, semplificazioni,che impoveriscono sempre l’oggetto della ricerca, ma, anche, perché,come ci ricorda ancora una volta Tessitore, è, in particolare, l’oggettodella presente ricerca (è proprio «la filosofia di Croce») che «non tollera»l’«essere di “scuola”» (p. ).

Il quadro che le presenti riflessioni disegnano si presenta, dunque,agli occhi di chi scrive, come una sorta di grande area di pratica delpensiero storico–filosofico suddiviso in differenti campi, in cui si alle-nano diversi “giocatori”, spesso, coltivando la riflessione sull’operadi Benedetto Croce come chi cerca di penetrare da solo nei segreti ditale “gioco”, ma, talvolta, “passando la palla” agli altri giocatori chegiocano nello stesso campo, o anche in un altro.

I campi di questa grande area di allenamento corrispondono allediverse sezioni del presente volume.

La prima di queste sezioni presenta alcuni importanti “Confron-ti”, e il primo di essi è quello su cui riflette Fulvio Tessitore nel saggio

. Perfetta testimonianza di ciò si ha certamente ancora nella lettura di G. S, BenedettoCroce. La ricerca della dialettica, Morano, Napoli . Solo una “fatica del concetto” che sappiaesercitarsi anche sull’opera crociana potrà, a mio avviso, far sì che, ai tempi della globaliz-zazione finanziaria, non vada persa la nostra «ricchezza culturale nazionale» e si guadagni«una dimensione cosmopolitica» che, per usare le parole di M. Maggi, «non sia l’adeguazioneai modelli di una burocrazia internazionale del pensiero»; M. M, Croce. Il perché di unarimozione, in «Nuova Antologia. Rivista di lettere, scienze e arti», vol. , fasc. (), p..

Introduzione xiii

Croce e Droysen. Annotazioni. Il problema è qui quello di definire «l’in-cidente presenza del grande storico e teorico della storia tedesco nelgrande filosofo e storico italiano» (p. ). Si sviluppa così un nuovoimportante capitolo delle tesi di Tessitore sulla complessa evoluzionedel pensiero crociano fra i due poli dell’idealismo e dello storicismo,evoluzione che conduce a un Croce «sempre più dubbioso» di poterrealizzare la «loro sintesi» (p. ). Si nota, perciò, che, come Droysencercò di conciliare Hegel e Humboldt, Croce, in tutto il suo com-plesso percorso teoretico, cercò di conciliare «il “realismo” di DeSanctis» con «lo “hegelismo critico” della dialettica senza il sistema»(p. ). Quello di Croce è, dunque, come quello di Droysen, uno«storicismo del limite» («che vorrebbe garantire insieme “unità” e“distinzione”» p. ), che passa certamente per il «rigoroso» idealismo“attualistico–gentiliano” di Teoria e storia della storiografia, ma tornapoi pienamente ad “assorbire”, non solo il Droysen hegeliano, maanche il Droysen humboldtiano («il Droysen luterano di tante paginepaoline e agostiniane del Grundriss e delle Vorlesungen sull’Istorica»; p.). Ma questo nuovo, essenziale e problematico, confronto è pos-sibile perché così profondo e importante era stato il primo confrontocrociano con Droysen. Il confronto del giovane Croce che giudica trop-po «hegelliano» Droysen, un Croce capace di cogliere, ed accogliere,quella che, qui, Tessitore chiama la «rivoluzione antropologica kan-tiana, per cui il conoscere non è il ri–conoscimento di un oggetto giàdato» (p. ).

Sulla linea delle interpretazioni di Tessitore si muove il secondoconfronto delineato nel presente volume: l’importante confrontoCroce–Dilthey indagato da Giuseppe Cacciatore nel saggio Croce eDilthey. Le due vie dello storicismo europeo. Viene qui ripresentata congrande chiarezza la distanza fra la trasformazione crociana dellostoricismo in «principio logico–filosofico per eccellenza (e perciòassoluto)» (p. ) e la posizione di chi, come Dilthey, riconducendo

. I maggiori risultati dell’interpretazione di Croce elaborata da Tessitore sono raccolti in F.T, La ricerca dello storicismo. Studi su Benedetto Croce, il Mulino, Bologna . Su questainterpretazione sia consentito rinviare a quanto già osservato in C. T, Storiografia eteoresi nell’interpretazione del neoidealismo italiano, in «Philosophia. Rivista della Società Italianadi Storia della Filosofia», X–XI (–/), pp. –.

. Una rivoluzione che, in verità, a me pare che debba esser definita non “kantiana” (nondi Kant), ma “neo–kantiana” (nel senso generico del termine), perché promossa dai sostenitoridel “ritorno a Kant”, fra i quali non si deve mai dimenticare di annoverare il Croce degli scrittidegli anni Novanta dell’Ottocento su arte, storia e marxismo.

xiv Claudio Tuozzolo

lo storicismo «alla sua radice storico–determinata», tenta di «sosti-tuire al principio logico costitutivo della realtà quello storico–realedell’individualità» (p. ). Ma l’interpretazione di Cacciatore di Croce,pur difendendo le ragioni del «kantismo eterodosso» di Humboldt,Droysen e Dilthey (p. ), coglie, comunque, nel modo più limpido,non soltanto l’atteggiamento critico nei confronti della filosofia dellastoria che accomuna Croce e Dilthey, ma, anche, il fatto che «la di-varicazione» tra i percorsi dei due filosofi «non avviene subito» (p.). Viene così messa pienamente in luce l’importanza della giovanileepistemologia crociana che, in linea con gli analoghi sforzi teoreticidi Dilthey, sviluppa, da un lato, la «simultanea critica alla filosofiadella storia e al positivismo» (p. ), dall’altro, un tentativo di definirei metodi e i contenuti delle scienze storico–sociali a partire dalla«irriducibilità fra l’individualità dell’esperienza storica e ogni istanzauniversalistica affidata alla generalità di leggi» (p. ).

Nell’ultimo “confronto” della sezione, quasi a voler esaurire sestesso, il confronto si fa “improbabile” per il suo stesso autore, nellabreve, intensa, riflessione di Vincenzo Vitiello La Grazia e il liberoarbitrio. Un “improbabile” confronto: Barth e Croce. Qui il confronto, inverità, si istituisce pienamente: perché in Croce, come in Barth, vienerilevata una «contradictio contradictionis»: l’«eterno rinvia al tempo,questo al suo opposto» (p. ). L’«infinita differenza qualitativa» (p. ),che Barth assume fra creatore (eterno) e creatura (temporale) e cheCroce assume fra teoresi (eterna) e prassi (temporale), in entrambi,non riesce a porsi; perché, per Croce, secondo Vitiello, vale ciò chevale anche per Barth: ogni termine (l’eterno e il tempo), proprioperché assunto come «assoluto, absolutus, sciolto da altro», non èpensabile senza l’altro e, quindi «trova il suo altro e la sua negazionein se stesso» (p. ). Vitiello, dunque, in qualche modo, mette incampo, contro i distinti (di Croce e di Barth) la hegeliana “logica degliopposti”. In Croce, a suo avviso, la fondamentale «distinzione» traaccadimento (eterno–necessario) e azione (temporale e libera) non siistituisce senza una contraddizione interna, perché qui «quello stesso»

. Epistemologia che, in qualche modo, continua a incidere nella successiva faseidealistico–hegeliana del pensiero crociano, rendendo «problematico», anche in essa, lo spaziodella «realtà dell’individuale»; cfr. G. C, Il problema della storia alle origini del neoidea-lismo italiano, in I., Filosofia pratica e filosofia civile nel pensiero di Benedetto Croce, Rubbettino,Soveria Mannelli , pp. II sgg.

. Sul punto cfr. G. C, “Scienze dello spirito” e conoscenza storica. Croce, Dilthey,Rickert, in (a cura di) M. L, Croce e la sociologia, Morano, Napoli , pp. –.

Introduzione xv

che «nella prospettiva dell’azione» è «individualità», «nella prospettivadell’accadimento è necessità», «annullamento» dell’individualità (p.). Tuttavia, per Vitiello, la teoresi crociana (come quella barthiana) è“debole” non in quanto dà vita alla “contraddizione”, ma, piuttosto, alcontrario, proprio perché tenta di superarla: errato è il crociano nonvoler «“sostare” nella contraddizione», ovvero nel «limite dell’umanoconoscere» (p. ).

Come ben si comprende la riflessione di Vitiello su La Grazia e illibero arbitrio è già una introduzione alla seconda sezione del nostrolibro: “Il liberalismo, la libertà, l’Europa”; sezione che si apre conl’ampio e accurato studio di Natalino Irti Dialogo sul liberalismo.

Il celebre confronto fra Croce e Einaudi è qui indagato a partireda una accurata ricostruzione storica dell’«atmosfera di problemie dibattiti» in cui sorge, sia l’«anti–giuridicismo di Croce» (p. ),che si innesta sulla tradizione liberale italiana (sull’«atteggiamentorelativistico» di Silvio Spaventa e sull’«empirismo governativo delGiolitti» che «riceve dal Croce una convalida filosofica»; p. ), sia illiberalismo di Einaudi, a cui preme la difesa delle “libertà ordinarie”,«che non altro sono dai “diritti di libertà” di Francesco Ruffini» (p.). Al di là delle differenze fra Croce e Einaudi (il cui progressivo«allargarsi» è qui indagato con accurata finezza storiografica), Irtisottolinea, comunque, fra l’altro (oltre al parallelo rigetto dei «temidel giusnaturalismo»; p. ), «una nota comune ai dialoganti: il rifiutodella tecnocrazia, del primato di “esperti”» (p. ), un rifiuto che ren-de particolarmente attuali i due liberalismi. È un tema questo su cuiinsistono le parti inedite del saggio di Irti, che sviluppano un argo-mento assai caro al giurista italiano, quello del pericolo rappresentatodall’«Apparato» tecnologico che risuscita «gli antichi dèi, i quali [. . . ]non hanno bisogno degli effimeri scopi dell’uomo», e che configuraun «giustecnicismo» erede del «giusnaturalismo», a cui si oppone la«radicalizzazione della concezione positivistica del diritto» promossada Irti. Sono pagine che sottolineano che oggi (in un mondo in cuil’«appartenenza al mercato [. . . ] surroga le antiche fedi») «l’individuonon si sente più all’interno di una superiore unità» (e «il vincolounitivo [. . . ] può trovarsi soltanto nell’“omologazione” dei consumi,

. Cfr. N. I, Fenomenologia del diritto debole, in A.V., Nuove frontiere del diritto. Dialoghisu giustizia e verità, Introduzione di P. Barcellona, Dedalo, Bari , sgg., in particolare p. .

. Cfr. N. I, Diritto e tecnica (in dialogo con Emanuele Severino e Luigi Mengoni), in «LoStato», IV, n (), p. .

xvi Claudio Tuozzolo

e perciò nello ossessivo e comune reiterare degli scambi di merca-to»; p. ). E sono pagine che evidenziano come i due liberalismidi Croce e Einaudi, nonostante le differenze, concordemente «mailasciano l’individuo nella sua punti–forme solitudine» (p. ) a cui locondanna, invece, la tecnocrazia e l’appartenenza al mercato, la qualechiude l’individuo in quella «pura esistenzialità» (p. ) su cui riflettel’ultimo Croce, nelle pagine sulla vita e sul «godimento individuale»o «corporeo» p. ).

Il saggio di Girolamo Cotroneo Croce e la Restaurazione sviluppa,in fondo, a suo modo, la riflessione su ciò che Irti chiama l’«anti–giuridicismo di Croce» (che è «teoria della relatività storica», «criticadel diritto» e del «naturalismo»; p. ): è il «il dualismo, il conflittotra le “istituzioni” e lo “spirito libero”» (p. ), che ci consente dipenetrare il senso e il valore del giudizio crociano sulla Restaura-zione. «Nelle sue ricerche storiche» Croce finisce, sempre, «con ilprivilegiare il secondo» (p. ); perciò legge l’età della Restaurazione“sottovalutando” le istituzioni assolutistiche (le monarchie autoritarie)che la caratterizzano, e sottolineando, invece, l’importanza di talefase storica per l’affermarsi dello «storicismo liberale», del «ritrova-mento dell’intimo rapporto tra storicismo e sentimento di libertà»(p. ). Ora, questa lettura della storia dell’Europa, secondo l’appro-fondita analisi di Cotroneo, è il frutto della applicazione del nuovo«canone metodologico» crociano enunciato in Teoria e storia dellastoriografia: nella storia «ci sono [. . . ] fatti sempre buoni quando sianointesi nel loro intimo» (p. ). Letto, in questo senso, come “fattobuono”, la Restaurazione, secondo Cotroneo, può assumere nellastoria d’Europa il giusto posto ed essere descritta, adeguatamente,come un fondamentale «periodo in cui “si elaboravano e radunavanoe schieravano forze in contrasto”» (p. ).

Ancora della storia spirituale dell’Europa, e in particolare delle«armi concettuali con cui Croce si muove nella crisi spirituale» euro-pea (p. ), ci parla il saggio di Michele Maggi Croce e la crisi filosoficadell’Europa. Qui il problema è quello di comprendere nei suoi signifi-cati più complessi il profondo punto di vista raggiunto da Croce e isuoi «precisi enunciati concettuali», spesso erroneamente interpretatisoltanto come «espressioni immaginose» e «motivi oratori» (p. ). Sitratta di non lasciarci sfuggire la «radicalità della rottura operata daCroce» (p. ) che, come Maggi acutamente ci suggerisce, può esserecolta solo indagando a fondo la Logica di Croce e la teoria del concetto

Introduzione xvii

concreto. Si tratta di comprendere che «il confronto vero», il Crocematuro, lo istituisce («in un corpo a corpo teorico») solo «con la filosofiadi Hegel» (p. ). Da tale confronto risulta, secondo Maggi, il «nucleoirriducibile dell’alterità di Croce»: una concezione dell’«assoluto» chepensa lo stesso assoluto come «momentaneità», come «istante» (p.). È questa una concezione che allontana Croce da Hegel, ma,anche «dalle tensioni finalistiche connesse con i depositi filosofici delkantismo» (p. ). È una concezione che non vuole lasciar spazio(evidentemente tentando con ciò un “riavvicinamento” a Hegel)a quei «dualismi», che, come Maggi in modo molto opportuno ciricorda, sono alla base della «crisi filosofica dell’Europa»; una crisiche si concretizza nelle «diverse linee della Lebensphilosophie», nelrelativismo (positivista e neokantiano) e nelle filosofie «iniziatiche»del Novecento (p. ).

Il saggio Volontà e azione nel pensiero di Croce di Renata Viti Cava-liere indaga i molti aspetti della volontà autonoma come «principiodi nascita» (p. ) nella filosofia crociana. Sottolineando che in Croce«l’azione è svincolata dal principio dell’obbedienza» (p. ), il saggiomette, fra l’altro, in relazione la riflessione crociana con la letturaarendtiana di Agostino (per la Arendt, «primo pensatore cristiano del-la volontà intesa come forza autonoma e facoltà spirituale innovativa»;p. ) e con il concetto cristiano di Grazia, che Croce rielabora riget-tandone «la forma teologica» (che finisce col sottrarre «autonomia evalore alla volontà umana»; p. ) e proponendo uno storicismo cheè un umanismo («invito a incrementare la vita terrena»; p. ).

Sul tema di «un liberalismo [. . . ] che si potrebbe facilmente defi-nire storicista» (p. ) torna il saggio di Ernesto Paolozzi BenedettoCroce: una filosofia della liberazione. Qui il liberalismo crociano è lettonella prospettiva della delineazione di un «liberalismo metodologico»

. Sul punto cfr. M. M, Logica come scienza del concetto puro, in A.V., Croce e Gentile.La cultura italiana e l’Europa, Direttore scientifico M. Ciliberto, Treccani, Roma , pp.

sgg. Sull’importanza del «Croce logico» che si «colloca tra Kant ed Hegel» e che delineauna «dottrina [. . . ] del giudizio storico» che connette «teoria e prassi lasciando indenne» la«distinzione tra sfera teoretica e sfera pratica»; cfr. R. V C, Giudizio, in A.V., Lessicocrociano, (a cura di) R. Peluso, La scuola di Pitagora, Napoli , in particolare, pp. sgg., e .

. Tale crisi si concretizza oggi, a mio avviso, anche nelle filosofie del postmoderno e nellacosiddetta «ermeneutica filosofica contemporanea», in cui è rintracciabile una chiara «“deriva”nichilistico–relativista»; sia consentito rinviare a C. T, H.–G. Gadamer e l’interpretazionecome accadere dell’essere, FrancoAngeli, Milano (cfr., in particolare, pp. e sgg.).

xviii Claudio Tuozzolo

che pensa la libertà «come liberazione» e vuole essere «filosofia dellalibertà liberatrice» (p. ), ovverosia «rigorosa critica del potere intutte le sue forme» (p. ). Questo liberalismo della liberazione, cheè strettamente connesso alla epistemologia contemporanea dellacomplessità, emerge in passaggi cruciali della teoresi crociana: nellaLogica, nella tesi sulla «funzione liberatrice dell’arte» (p. ), maanche, ad esempio, nella crociana denuncia del genere come metrodel giudizio estetico che, Paolozzi (richiamandosi a Mario Fubinie a Max Horkheimer) interpreta come «battaglia di libertà» (p. ).Infine, l’origine di tale liberalismo della liberazione dal potere Pao-lozzi lo individua nel pensiero “tutto politico” di Croce su cui ha avutouna influenza «decisiva» il marxismo di Labriola, ovvero lo individuanella lotta che il giovanile «“marxismo” crociano» conduce contro i «residui[. . . ] metafisici ossia totalizzanti» (p. ).

Questa riflessione apre così, di fatto, la strada alla terza sezione delnostro libro intitolata “Marx e le scienze sociali”, ed, in particolare,al saggio di Cotroneo Croce, il liberalismo e l’oblio del “Marx possibile”,che conduce il lettore dalla riflessione sul Croce liberale a quella sulCroce “marxista”. Cotroneo è convito (come lo è, d’altronde, il sot-toscritto) che vada smentita «la tesi corrente secondo cui Croce [. . . ]dal marxismo [. . . ] si sarebbe allontanato molto presto, senza nemme-no essere stato mai “veramente” marxista» (p. ). Infatti, Croce, nel, accetta «i fondamenti del marxismo» (che Croce chiama «veree fecondissime scoperte») e ciò, osserva Cotroneo, «non sembra sipossa fare senza essere in qualche misura “marxisti”» (p. ). Il gio-vane Croce ha delineato una ben precisa modalità di libero approccioall’opera di Marx, quando ha affermato che è necessario «comprenderei vari modi possibili d’interpretazione delle questioni proposte e del-le soluzioni accettate dal Marx e dall’Engels, per scegliere [. . . ], conla critica, quelle che ci sembrano teoreticamente vere» (p. ). Mail punto è che questo modo di approcciarsi a Marx (ovvero il Marx«“possibile”» del giovane Croce) è stato «rimosso [. . . ] dalla letteraturasia “crociana” che “anticrociana”» (p. ). Ora, per Cotroneo, tornarea riflettere su tale “Marx possibile”, non significa affatto fare semplice«“archeologia”» (p. ), ma significa ripensare criticamente le basi della«cultura “liberale” del nostro paese, che presenta oggi una rilevanzache certamente non aveva quando la cultura politica era egemonizzatadalla cultura cattolica e da quella marxista» (p. ).

I saggi che seguono, scritti da Tom Rockmore, da Stefano Pe-trucciani e dal sottoscritto, sviluppano, in modi diversi, la riflessione

Introduzione xix

sul giovane Croce teorico marxista, ma insistono tutti sulla attualità ditale riflessione per la comprensione dei fenomeni economici, socialie culturali che caratterizzano non soltanto, in generale, la societàcapitalistica, ma, in particolare, il capitalismo contemporaneo.

In Cosa è vivo e cosa è morto del Marx di Croce? Rockmore punta achiarire il «significativo e ancora prezioso contributo che Croce ancoroggi fornisce al nostro comprendere la posizione di Marx» (p. ). Ilsaggio ricostruisce, in primo luogo, il contesto storico in cui vieneconcepito il “Marx possibile” di Croce (nato ben «prima di numerosetragedie politiche in seguito perpetrate in nome di Marx»; p. ), ilimiti della lettura engelsiana del marxismo e la tesi crociana secondocui il «materialismo storico» «non è una scienza della società», ma«un insieme di astrazioni il cui preciso status deve essere definito»(p. ). Tuttavia, posto che per Rockmore il problema riguardan-te lo status scientifico della teoria economica di Marx, «nonostantei migliori sforzi di Croce», resta «irrisolto» (p. ), l’obiettivo delsaggio (che muove dall’importante premessa secondo cui «le osser-vazioni di Croce sulla economia marxiana sono una sottosezione[. . . ] dei suoi più generali commenti sul “materialismo storico”»; p.) consiste nel sottolineare «il notevole sforzo di Croce di criticaalla cosiddetta legge della caduta tendenziale del saggio di profitto»che, per Rockmore «resta un rilevante, permanente contributo allanostra comprensione della posizione di Marx» (p. ). Croce, infatti,sostiene «plausibilmente», contro Marx, che «il progresso tecniconon diminuisce, ma anzi accresce il profitto» (p. ); egli elaborauna critica «molto interessante» di tale teoria basandosi non (come faad es. Piketty) su «ragioni pratiche, [. . . ] economiche», ma «su basistrettamente teoriche» (p. ).

A partire da una puntuale analisi dei testi del giovane Croce gliAppunti su Marx e Croce: materialismo storico, etica e teoria del valore diStefano Petrucciani sottolineano, con pari forza, l’attualità di altre tesielaborate dal “giovane Croce teorico marxista”, confrontandole conalcune delle più recenti interpretazioni di Marx. In primo luogo, per

. Questa importante premessa è stata invece, a suo tempo, erroneamente negata nell’am-pio, informato e (per molti versi) interessante, studio E. A, Il giovane Croce e il marxismo,Einaudi, Torino .

. Per una difesa “su basi teoriche” (gramsciane) della legge della caduta tendenziale delsaggio di profitto (difesa connessa a una riflessione sulla distanza fra Croce e Labriola riguardoal «carattere “tipico” della teoria del valore») cfr. l’accurata indagine di G. V, Il Marx diCroce e quello di Gentile, in A.V., Croce e Gentile, cit., pp. sgg., in particolare, pp. –.

xx Claudio Tuozzolo

Petrucciani, «la “destrutturazione” della concezione materialistica»operata dal giovane Croce «radicalizzando Engels» ci spinge a chie-dere come mai Marx non abbia mai dato uno sviluppo «organico epubblicabile» alla «visione teorica ben precisa» del materialismo stori-co «delineata nella Prefazione del » (p. ), e, quindi, ad ipotizzare,che, forse, «anche Marx non era estraneo [. . . ] all’idea», delineatada Croce, secondo cui «nel momento in cui ci si dispone a fare con-cretamente storia, gli schemi teorici [. . . ] si riducono a indicazioniorientative» (p. ). In secondo luogo, Petrucciani mostra come,riguardo al tema del rapporto tra Marx e la moralità, l’esegesi piùattenta, sviluppatasi, in particolare, nella cultura anglosassone negliultimi decenni del secolo ventesimo, abbia raggiunto un risultato«molto vicino a quello cui Croce era pervenuto» (p. ): «Marx [. . . ]deve presupporre delle assunzioni etico–normative» (p. ). Infineriguardo alla originale interpretazione crociana della teoria del plu-svalore (ovvero riguardo al crociano “paragone ellittico”) Petruccianirileva, acutamente, che essa individua l’origine dello sfruttamentonella «ineguale distribuzione (o ripartizione) delle proprietà produtti-ve» (p. ) ed anticipa, dunque, il «concetto “comparativo” dellosfruttamento» formulato da John Roemer (p. ).

Proprio ad una più precisa delineazione delle basi teoriche delconcetto comparativo di sfruttamento che caratterizza il crociano“paragone ellittico” è dedicato il saggio del sottoscritto Idealtipo, valo-re e plusvalore: le idee di Weber nel “paragone ellittico” del giovane Croce.Il saggio, anche al fine di contribuire alla riflessione sul problema(richiamato da Rockmore) riguardante lo status scientifico della teoriaeconomica di Marx, indaga l’«economia sociologica comparativa»basata sul «tipo» delineata dal giovane Croce “labrioliano” a fine Ot-tocento e la sociologia comparativa proposta da Weber nei primianni del Novecento, e, mostrando affinità e differenze fra le due pro-poste teoriche, tenta di comprendere fino a qual punto Croce anticipieffettivamente l’idea weberiana di utilizzare l’idealtipo per fondare una“nuova” scienza economica. Infine, il saggio sottolinea l’importanzadi tornare a riflettere su Marx e le concezioni non naturalistiche della

. Sul Croce “labrioliano” sia consentito rinviare a C. T, “Marx possibile”. Bene-detto Croce teorico marxista –, FrancoAngeli, Milano . Sull’importanza della strettadipendenza del giovane Croce “teorico marxista” dal Labriola del cfr. la recente, puntuale,ricostruzione che si legge nel limpido saggio di A. B, Labriola tra Croce e Gentile, in A.V.,Croce e Gentile, cit., pp. sgg., in particolare, pp. –.

Introduzione xxi

scienza economica proposte dal giovane Croce e da Weber nell’eracontemporanea, un’era caratterizzata dal dominio “ineludibile” delleleggi “naturali” (“divine” e “metafisiche”) dei mercati finanziari mon-diali (pp. –, par. ), ovvero caratterizzata da una naturalistica«appartenenza al mercato» che, per usare le parole di Irti, «surroga leantiche fedi» (p. ).

Un’ulteriore indagine riguardo al “giovane Croce teorico mar-xista” è sviluppata nel saggio di Piergiorgio Della Pelle Il dibattitoCroce–Pareto sul materialismo storico (–). Il saggio rileva chein tale biennio Croce e Pareto «sembrano andare — per percorsi elogiche differenti — nella medesima direzione» (p. ). In particola-re, infatti, la dettagliata analisi di Della Pelle mostra che i due autori(chiamati dai loro rispettivi maestri, Labriola e Pantaleoni, a svolge-re la funzione di “Anti–Loria” capaci di «chiudere definitivamentei conti con una lettura metafisica della storia»; p. ) condividonoalcune importanti tesi: ) il materialismo storico non è una “teoria”,) «i concetti riguardanti i fenomeni sociali ed economici per quantoapprossimativi sono scientificamente validi», ) la mutua dipendenzadei fenomeni sociali ed economici rende illegittima «la soluzioneloriana», per la quale i «rapporti economici [. . . ] foggiano poi tutto ilmodo di essere della società» (p. ).

Sul “Croce maturo”, ed, in particolare, sull’incidenza del pensie-ro di Croce sulle riflessioni gramsciane riporta, invece, l’attenzioneDiego Fusaro in Gramsci allievo di Croce. Contributo a una rilettura.Il saggio muove dall’idea di considerare il sistema crociano «comeparadigmatico» del pensiero italiano, un pensiero, basato sulla «cate-goria di vita» concepita «come storicità» (p. ). L’indagine evidenziala presenza di Benedetto Croce nei Quaderni del carcere ed intendemostrare come Croce svolga per Gramsci una «funzione per moltiversi analoga a quella svolta per Marx da Hegel» (p. ). Questi ul-timi vengono superati dai due “filosofi della prassi” attraverso unaoperazione teorica che storicizza «in modo puramente umanistico[. . . ] il loro pensiero» (p. ).

Inaugurando la sezione “Scienza e poesia” il saggio di GiuseppeGembillo Croce filosofo, ante litteram, della Complessità sposta l’attenzio-ne del lettore dal rapporto di Croce con Marx, il marxismo e le scienzesociali a quello con l’epistemologia della complessità. Croce vienequi considerato un autore che si oppone alla tendenza filosofica che,negando «la prospettiva della complessità», si fonda sulla «ricerca deglielementi semplici» e sul prevalere dell’«idea di stabilità e di immodifica-

xxii Claudio Tuozzolo

bilità degli oggetti» (pp. –). Per Gembillo Croce, affermando che«non c’è innanzi al pensiero, un duplice oggetto, l’uomo e la natura»(e che, dunque, «alla cosiddetta natura è da estendere il carattere dellastoricità») anticipa quella negazione dell’immagine statica della naturapoi scoperta e proclamata dagli stessi scienziati della natura e dallaepistemologia della complessità, per la quale, per usare le parole, quirichiamate, di Prigogine e della Stengers, «non soltanto la vita, maanche l’insieme dell’Universo ha una storia» (p. ).

Si oppone a questa lettura, che, richiamando il tema della “com-plessità”, vuole «attribuire una certa “modernità” metodologica alpensiero crociano» (p. ), il saggio Croce tra scienza e filosofia scienti-fica di Francesco Coniglione. Infatti, per quest’ultimo, il Croce criticodella scienza naturale non è affatto un «rude» ed «incolto» sostenitoredella speculazione e, certamente, è anche vicino all’epistemologiadel suo tempo, ma muove, sin dal , da una inadeguata idea discienza (scienza = descrizione tramite generalizzazioni) che pone lasua filosofia in contrasto con ogni «filosofia scientifica», che ritieneindispensabile «elaborare modelli» astratti per individuare i «meccani-smi nascosti che sono alla base degli effetti visibili» (p. ). Partendoda questa prospettiva Coniglione legge (prendendo per buona, adifferenza del sottoscritto, l’autointerpretazione delle proprie tesisu Marx proposta da Croce nella fase della maturità) la giovanileriflessione crociana su Marx non come l’espressione di un tentatorealismo labrioliano che utilizza il concetto di “tipo”, ma come unarretramento rispetto alla «concezione realista ed essenzialista dellascienza, propria di Labriola» (ed «in grado di coniugare concetti idealie conoscenza profonda del reale»; p. ). Nel criticare prima Marxe Labriola, poi Vailati ed Enriques, Croce coerentemente, secondoConiglione, è in «sintonia» con Duhem e Mach, ma in contrasto conLudwig Boltzmann, ovvero con l’idea secondo cui la scienza può«andare in profondità nei fenomeni» (p. ).

All’approfondimento, da un diverso punto di vista, di una altraquestione centrale dell’epistemologia crociana (ovvero della questioneriguardante la capacità conoscitiva dell’intuizione) sono dedicate leriflessioni di Giuseppe Cantillo. L’autonomia della poesia qui indagataè l’autonomia conoscitiva dell’intuizione artistica, all’interno dellaquale, secondo quanto sostenuto ancora dall’Estetica (che, sul punto,però, come qui molto opportunamente rilevato sulla scia di Tessitore,«entra, per così dire, in fibrillazione con le affermazioni della Logicadel »; p. , nota ), «rientra anche il fatto storico» (p. ). Nella

Introduzione xxiii

prima parte del saggio Cantillo mostra con grande chiarezza comeCroce, pur innestando la propria riflessione sull’estetica sviluppatanella kantiana Critica della ragion pura, non limiti, però, l’intuizioneal sensibile, ma la ritenga capace di conoscere «oggetti ideali, sempli-cemente possibili» (p. ). Ora, evidentemente, è tenendo presentequesta capacità che Croce può affermare l’autonomia, l’indipendenza,del sapere intuitivo (poetico–artistico) rispetto al sapere concettuale,differenziandosi, in ciò, dal Kant della ragion pura (e, aggiungerei,“dai neokantiani del Baden”, come del resto non poteva non notarelo stesso Weber). Il saggio mostra come, perciò, Croce non possaevitare di individuare (attraverso l’identificazione intuizione = espres-sione) l’intervento attivo dello spirito già al livello dell’intuizione(ovvero l’intervento del «processo spirituale che fa diventare la ma-teria [. . . ] materia elaborata, formata»; p. ). Infine Cantillo, conuna puntuale indagine, mostra come, tramite la distinzione fra «partipoetiche» e «parti informative», il tema dell’autonomia della poesiaemerga nella crociana Introduzione a La Poesia di Dante.

La tematica della funzione conoscitiva e della autonomia dell’ar-te è ripresa nel saggio Croce e Fiedler. Le due interpretazioni di Santi

. Questa crociana «distinzione» (ovvero l’autonomia della conoscenza intuitiva storico–artistica delineata già nel ), che il giovane Croce sviluppa elaborando il proprio “neokanti-smo” (ovvero un originale “ritorno a Kant”) è alla base di molti degli «inciampi» sopra ricordati,in quanto, per usare le parole di Ferrari, questa «originaria distinzione» solleverà molti «proble-mi», in primo luogo, lungo la «via tortuosa» che porta Croce «all’identificazione di filosofiae storia»; cfr. M. F, Croce e il neokantismo, in A.V., Croce e Gentile, cit., pp. sgg., inparticolare, pp. sgg. In sostanza questa distinzione (e, dunque, l’estetica) da Croce «era statapensata prima del vero e proprio confronto [. . . ] con Hegel» e perciò «la teoria estetica rimase»(anche dopo la svolta “hegeliana” maturata intorno al ) «una delle sezioni meno “idealiste”della filosofia dello spirito» (M. M, Idealismo, in A.V., Lessico crociano, cit., p. ), ovvero,più esattamente, una delle più condizionate dal “kantismo” crociano (dall’originario idealismo“neokantiano”, herbartiano, sviluppato da Croce dal fino alle Tesi sull’estetica del ).Riguardo all’incidenza sul Croce maturo dell’originario kantismo del giovane Croce (basato suuna distinzione realtà–concetto che, risente a mio parere, in modo significativo, della idea her-bartiana di «assolutizzare “il vero concetto di essere” fornito da Kant»; R. P, Idealismoe realismo: La formazione filosofica di J.F. Herbart, La Nuova Italia, Firenze , p. ) rilevantemi pare l’“ammissione” crociana secondo cui «solo ai nostri giorni» (con la formulazione dellacrociana “dialettica dei distinti” che Croce contrappone agli attualisti, «epigoni degli epigoni»degli autori della filosofia classica tedesca) è venuto «a maturità» quel «momento necessariodella distinzione» che Herbart «oppose giustamente» a Fichte (e, Croce agli attualisti, incapacidi volgere «a migliore e più alto fine i tesori speculativi» dell’idealismo classico tedesco) B.Croce, Commiato dallo Herbart, in I., Discorsi di varia filosofia, Bibliopolis, Napoli , vol., pp. –, in particolare, pp. – (sul punto cfr. G. C, Croce e i filosofi minori, in«Magazzino di filosofia», n. (/B), pp. sgg.).

xxiv Claudio Tuozzolo

Di Bella. Qui l’analisi dell’evoluzione (dal al ) del giudiziocrociano su Fiedler evidenzia come «l’autonomia dell’estetico» perCroce debba consistere in quella «espressione del sentimento» che lapura visibilità non contempla, condannandosi a sviluppare dinamiche«esteriori e meramente costruttive», «“leonardesche”» (p. ), fruttodel pregiudizio germanico circa la «paradigmaticità dell’arte rinasci-mentale» (p. ). Fiedler, rileva, fra l’altro, il saggio, appare a Croceun teorico più dell’immaginazione che della fantasia, rimasto a metàstrada nella via che conduce verso «l’emancipazione della fantasiadall’immaginazione» (p. ). Con ciò Croce chiarisce la distanza fra ilproprio kantismo e quel «kantismo minore, anti–idealistico» (p. )a cui va ricondotta la teoria della pura visibilità.

Riflette sulla specificità del kantismo di Croce anche il saggiodi Marco Vanzulli Croce e la tradizione dell’hegelismo napoletano cheinaugura la sezione “Idealismo italiano e dialettica”. L’accurata analisiproposta nel saggio rileva che la crociana riforma della dialettica he-geliana delineata nel incorpora la dialettica «in una concezionefilosofica già salda e adialettica» (p. ), in quanto muove da una«matrice neokantiana» che conduce Croce ad assumere un «sistemaaprioristico delle categorie» (p. ). È tale matrice neokantiana (ma,a mio avviso, qui sarebbe più opportuno usare il termine “kantia-na”, per sottolineare lo sviluppo sostanzialmente autonomo, anche separallelo, della teoresi crociana rispetto alle scuole del neokantismotedesco) che, secondo Vanzulli, da un lato, impedisce alla riforma diCroce di rapportarsi alla migliore tradizione dello hegelismo napole-tano rappresentata dal Labriola discepolo di Spaventa e che, dall’altro,consente di leggere il riemergere del tema del vitale nell’ultimo Cro-ce in connessione con la questione relativa allo «spazio lasciato dalneokantismo all’irrazionale» (p. ).

Il saggio La concordia discors tra Gentile e Croce di Caterina Gennaricostruisce le relazioni intercorse fra i due esponenti del neoideali-smo italiano a partire dai primi contatti del . In questa prospettivail saggio sottolinea l’importanza del lavoro gentiliano svolto per «LaCritica» (che costituisce «l’impegno più rilevante assunto da Gentilesul piano storiografico sino al »; p. ) ed indaga le relazionipersonali da cui nascono, fra l’altro, la significativa «dedicatoria a B.Croce» inserita nella prima edizione (del ) de La filosofia di Marx,e la dedica che si legge nella seconda edizione della Teoria generaledello spirito come atto puro, in cui si parla della concordia discors.

Introduzione xxv

Riprende questo tema il saggio La concordia discors tra Crocee Gentile di Piero di Giovanni. Qui, però, viene affermato che l’e-spressione gentiliana («concordia discors») non rende (al pari di quellacrociana: «discussione tra filosofi amici») «il senso profondo e recon-dito della diversità di vedute» (p. ). Una diversità che Di Giovannisottolinea ricordando che, mentre per Gentile la filosofia «non pre-suppone alcuna categoria primordiale, se non l’atto del pensare insé» (p. ), per Croce nell’ambito della sfera teorica «il primato èriconosciuto all’estetica anziché alla filosofia» (p. ). È, dunque,la riflessione sulla capacità crociana di cogliere l’importanza dellariflessione vichiana sulla fantasia (che “capovolge” l’estetica di Bau-mgarten) a consentirci di evidenziare la vera differenza fra i due“filosofi amici”, una differenza che ben si evidenzia se si medita sul-la tesi di Croce secondo cui «l’uomo, prima di essere in grado diformare universali, forma fantasmi» (p. ).

Per opporsi all’attualismo Croce doveva, dunque, “pensare ledistinzioni”, ma, ad avviso di chi scrive, essendo lo hegelismo crociano(ovvero il “ritorno a Hegel” del ) radicalmente condizionato dalmodo gentiliano e fischeriano di concepire le categorie (un modo checonfliggeva, per altro, con l’originario realismo storicistico che ilgiovane Croce ricavava da De Sanctis e da Labriola), l’impresa nonpoteva che essere tormentata, e, in fin dei conti, impossibile.

Ora, proprio sulle difficoltà incontrate da Croce, nel corso del suolungo cammino di pensiero sulla via di una adeguata delineazionedelle distinzioni categoriali porta l’attenzione del lettore il saggioOrigine, figure e problemi della dialettica nel pensiero di Croce di RobertoMorani. Il «progetto di riprendere il concetto di totalità» sviluppatoda Croce (p. ), per Morani, non riesce a realizzarsi perché egli«anche nel periodo “sistematico” della sua produzione non ha valo-rizzato fino in fondo il paradigma olistico» (p. ). Anche da questaanalisi viene rilevata «una tensione irrisolta che percorre il sistemadei distinti» e un «quadro concettuale statico e adialettico» che lo ca-ratterizza (p. ). Ma questo saggio (a differenza di quanto osservato

. Sia consentito rinviare a C. T, Misticismo e “hegelismo astratto”. Incidenze del“ritorno a Kant” nella disputa fra Croce e Gentile, in (a cura di) P. D G, Croce e Gentile, LeLettere, Firenze , pp. –.

. Sull’importanza del «persistente desanctismo» crociano e dell’«esigenza» crociana «difondare gnosologicamente il concreto contro l’astrattezza del pensiero» ha richiamato datempo l’attenzione F. Tessitore nei suoi molti preziosi studi e, in particolare, in La ricerca dellostoricismo, cit. (v., fra l’altro, p. ).

xxvi Claudio Tuozzolo

dal sottoscritto, e di ciò che si legge nel citato saggio di Vanzulli)non imputa esplicitamente l’origine di tali difficoltà (e della «“crisi”dell’edificio sistematico» provocata dall’irrompere del tema della vitanell’ultima fase del pensiero crociano) all’originario “kantismo” (o“neokantismo”) crociano. In ogni caso, però, Morani pare muoversiin tale direzione, e conclude le proprie riflessioni richiamando l’affer-mazione di Vitiello: «il dualismo è il destino» della filosofia di Croce(p. ).

La difficoltà crociana di “pensare le distinzioni” è un tema che, asuo modo, viene ripreso anche dal saggio Croce, gli ebrei e il «martirio»di Israele di Marcello Musté che apre la sezione “Ebraismo” del no-stro volume. È, infatti, ad esempio, proprio l’incapacità di distingueree di valorizzare la diversità degli ebrei che Ferruccio Pardo imputa(come ricorda Musté) a Croce (accusandolo di incoerenza). Pardo,d’altronde, coglie bene il fatto che la «denigrazione» crociana dell’e-braismo è la stessa che «investe tutte le religioni, senza eccezione» (p.). Ciò che la puntuale analisi di Musté ben evidenzia è, d’altron-de, proprio il fatto che la riflessione sull’ebraismo è costantementesorretta in Croce dalla tesi sul superamento del «fatto religioso» cheCroce riprende da Hegel. È, dunque, questa tesi hegeliana che Crocepone, coerentemente, alla base sia degli inviti all’«agguagliamento»rivolti agli ebrei, sia della durissima opposizione all’antisemitismo, alrazzismo e al nazismo, portata avanti dal filosofo con chiare prese diposizioni teoriche ed espliciti comportamenti pratici nei confrontidei perseguitati.

Integra l’indagine di Musté, e completa le nostre riflessioni, ilbel saggio Benedetto Croce e le leggi razziali del di Paolo D’Angelo.Qui la condotta di Croce nei confronti delle leggi razziali è trattatain modo «autonomo» rispetto all’«altro problema, più volte agitato,della posizione di Croce nei confronti della “questione ebraica”», sucui pure D’Angelo fornisce brevemente la sua opinione. Mostran-do la capacità di muoversi in piena linea con la rigorosa distinzionecrociana fra un «giudizio dato in astratto» e un vero «giudizio stori-co», il saggio dà, comunque, soprattutto risposte ben precise allapolemica (inaugurata da Giulio Andreotti l’ giugno ) sul man-cato intervento di Croce in Senato il dicembre in occasionedell’approvazione delle leggi raziali: una polemica nata dal «rifiuto

. La medesima capacità si riscontra, d’altronde, nei saggi raccolti nel recente volume diP. D’A, Il problema Croce, Quodlibet, Macerata .

Introduzione xxvii

di considerare nei suoi vari aspetti la situazione in cui si trovarono ipochi oppositori al regime ancora presenti in Italia» (p. ). D’Ange-lo indaga con precisione, fra l’altro, le tappe della “fascistizzazione”del Senato del Regno, la difficile condizione in cui dovevano operarenel i pochi senatori non iscritti al Partito Nazionale Fascista ei senatori di origine ebraica, la campagna ideologica antisemitasferrata dal regime per preparare l’approvazione delle leggi raziali, lemoltissime prese di posizione (pubbliche e private) di Croce controla politica razziale del Fascismo e del Nazismo.

Concludendo le presenti osservazioni introduttive sia consentitonotare che, nelle intenzioni del suo curatore, questo volume vuolesplorare punti di vista che aspirano a configurare una riflessionestorica e filosofica sul pensiero crociano che ha i tratti non dell’aridospeculare, ma di quel sapere che sa “riprodurre” (ovvero darstellen)il “verde” della vita (la «verde prateria (grüne Weide)» e il «verde»«albero»; Goethe, Faust, vv. sgg. e sg.); essi guardano, credo,ad un orizzonte che, al pari del filosofare di Croce (come quello chesi contempla della finestra descritta dal poeta Giorgio Vigolo), nonè chiuso da «mura», ma si apre al vivo fluire di «alberi» e «fiume».Spero che il lettore possa, in qualche modo, percepire con me il sensoe l’importanza di un tale «vedere».

Roma, sul lungotevere, non mura innanzi ma gli alberi e il fiumenovembre

. Richiamando l’insegnamento di Hegel, ho cercato più volte di riflettere su questo«vedere», che, scrive Fichte, è «l’assoluto (della filosofia, s’intende)»; cfr. la lettera di Fichite aSchelling del ..; v. F.W.J. S, Briefe und Dokumente, (a cura di) H. F, vol.II: Bouvier, Bonn , p. ; ed. it. in J.G. F / F.W.J. S, Carteggio e scritti polemici,(a cura di) F. M, Prismi, Napoli , p. .

P I

CONFRONTI

Benedetto CroceISBN 978-88-548-9860-8DOI 10.4399/97888548986082pag. 3–24 (dicembre 2016)

Croce e Droysen

Annotazioni

F T∗

. Singolare ricerca questa dedicata a Croce e Droysen, alla incidentepresenza del grande storico e teorico della storia tedesco nel grandefilosofo e storico italiano. Singolare perché è incontestabile il con-trasto tra l’esiguità delle presenze esplicitamente documentabili e ilsicuro interesse sempre nutrito da Croce per Droysen, il cui nomecompare assai spesso, e però quale presenza quasi sempre cursoria,nei nodi problematici importanti della lunga riflessione crociana sullastoria (forse ciò che soltanto egli ha fatto — e non è riduttivo dirlo —nella lunga e articolata ricerca durata un’intera vita di studio, di curio-sità destissime, di straordinaria intelligenza di tutto ciò che toccava).Singolare perfino la prima presenza che è dato rilevare, ed è la piùampia, non è caso ad apertura — riprova di quanto ora s’è detto — inquella Memoria pontaniana del , con la quale, convenzionalmen-te, la retorica scolastica ritiene che si avvii la indagine teoretica dellostudioso napoletano ancora nel contesto degli studi eruditi. Singolarepresenza perché il precoce interesse sembra avere un carattere pole-mico rispetto alla tesi per allora sostenuta (la storia «riportata» sottoil «concetto generale» dell’arte, dunque non scienza, non filosofia)

∗ Università degli Studi di Napoli Federico II.. La prima edizione comparve nel vol. XXIII () degli «Atti dell’Accademia Pontania-

na», col titolo La Storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte, pp. –. La seconda edizione, chequi si segue utilizzando la sigla La storia, reca il titolo modificato Il concetto della storia nelle suerelazioni col concetto dell’arte, Roma , pp. –, come si vede significativamente modificato.Nel cit. volumetto è seguita da “Discussioni” (pp. –) e da altri due scritti: L’arte, la storiae la classificazione dello scibile (pp. –) e Intorno all’organismo della filosofia della storia (pp.–). Non consiglio di seguire l’edizione di queste pagine nel vol. Primi saggi (I ed., Laterza,Bari , più volte ristampata), perché qui le modificazioni non mi sembrano «lievi» comeritiene S. B nella sua imponente, insostituita, L’opera di B. Croce, Istituto Italiano per gliStudi Storici, Napoli , p. .

Fulvio Tessitore

e di poi mai effettivamente smentita bensì soltanto chiarita teoreti-camente, mano a mano che la riflessione sulla storia si articolava,grazie a successivi approfonditi incontri con gli “autori” dello storici-smo idealistico, incontri non occasionali o derivanti da suggestionioccasionalmente ricevute, con i protagonisti maggiormente presentiagli inizi della riflessione crociana. E val precisare subito che non siintende cedere a una preoccupazione costante dell’ortodossia crocia-na — una vera sciagura per la “fortuna” del grande filosofo — quellaper cui l’intensa, profonda problematicità, della ricerca che ne fa unadelle forme più rilevanti della cultura filosofica contemporanea, vatenacemente, ottusamente smentita per la preoccupazione che unagrande riflessione filosofica non possa non essere dominata dallalinearità senza inciampi e rotture, ritenuta unica e vera caratteristicadelle grandi filosofie della storia della cultura. Siffatti oziosi e inutiliesercizi (qualcuno proprio a proposito di Droysen) tra le tante coseche hanno trascurato è una lucida polemica osservazione intelligen-tissima di un saggista spagnolo di fine Ottocento, Angel Ganivet, ilquale, nel suo prezioso Idearium hispanicum, sostenne che la più partedegli osservatori ritiene l’assoluta coerenza una gran virtù, mentreassai spesso è gran prova di stupidità. Il che trascurando l’ortodossiacrociana ha finito per sviare anche il senso della reale “singolarità”dell’incontro di Croce con Droysen, esperito non diversamente daitanti di quegli anni con altre figure della cultura filosofica, perchéinteressata non a scorgere problemi, ma a trovare tranquillizzantisoluzioni.

Di certo, tuttavia, almeno a quegli interpreti che poco curano lacontestualità storica delle idee, l’apparizione del Droysen criticatonella ricordata, famosa Memoria pontaniana di Croce, appare, e forselo è davvero, in contrasto con quasi tutti i successivi ritorni dellostorico, considerato dal filosofo napoletano costantemente quale unodei pochi lettori critici che di Hegel avevano compreso la geniale filo-sofia e l’avevano conservata e sviluppata anche nei decenni negatividella «morte della filosofia dopo Hegel», in attesa della rinascentefortuna propiziata dal “neo–idealismo italiano”. Tanto che Crocesempre sostenne la necessità di dare circolazione diffusa non soloall’oracolare Grundriss, ma anche e soprattutto alle distese lezionidi Historik, tenute dal Droysen per moltissimi anni del suo insegna-mento, finalmente sistemate da Rodolfo Hübner in una edizione,invero poco critica, del , tradotta in italiano proprio per volontàdi Croce, anche se apparsa dopo la sua morte, ed oggi sostituita da

Croce e Droysen

una attenta edizione critica, della quale chi scrive s’è fatto promotoredi una bella traduzione italiana.

. In conclusione, dunque, di quanto fin qui osservato bisognadomandarsi, specie in ragione della letteratura secondaria droyse-niana alla quale ho fin qui alluso, come intendere e spiegare questo“singolare” incontro e confronto dei due pensatori. Bisogna partiredal tentativo di capire il senso e significato del richiamo sollecito diDroysen nella Memoria del , dove le critiche rivolte allo storicoappaiono sempre assai caute e sempre assai rispettose a differenzadi quelle riservate agli autori positivisti e non positivisti soltanto so-stenitori della «scientificità» della storia, nel senso della possibilità enecessità, per riconoscere a questa dignità conoscitiva, di ritrovarele «leggi» e le «categorie epistemologiche» sue proprie, così comesostenuto nell’ambito naturalistico, da Bernheim a Villari, a Marianoe ai loro adepti, prosecutori o ripetitori.

Se non è certo il caso di ritornare sulle originarie tesi crociane,tante volte studiate anche da chi scrive, qui bisogna ricordarne unasoltanto, e cioè che la prospettiva dalla quale Croce affrontò il suoproblema, in partenza, non è hegeliana come non è positivistica, èpiuttosto «anti–hegelliana», per usare una sua stessa configurazioneterminologica, perché è ispirata dal «realismo» herbartiano, che, inparte, gli derivava da Antonio Labriola, suo riconosciuto maestro. Il«realismo» al quale il Croce di quegli anni (e, per tanti versi, anchequello maturo), si riportava è quello di Francesco De Sanctis, il suovero «autore» a cui altri si aggiungeranno di poi, primi di ogni altro

. Croce recensì ne «La Critica», XXXV (), pp. –, l’ed. Hübner della Historik (siveda ora Pagine sparse, vol. III, Ricciardi, Napoli , pp. –), che è una efficace sintesidelle idee crociane su Droysen ritenuto filosofo hegeliano tuttavia sulla linea di Humboldt e diDilthey. Della ed. critica data dal Leyh degli scritti teorici di Droysen un’eccellente tr. it. si devea S. C, Istorica. Lezioni di enciclopedia e metodologia della storia, Guida, Napoli , IIed., ivi , con una importante Introduzione, pp. –, e mia Presentazione, pp. –.

. Mi limito a ricordare il volume La ricerca dello storicismo. Saggi su B. Croce, il Mulino,Bologna , che raccoglie una parte dei miei scritti su Croce, con bibliografia anche deglialtri non riuniti.

. Mi riferisco a una netta dichiarazione di Croce nel discutere con R. Mariano: «conmolta meraviglia mi sono visto, da qualcuno dei miei critici, gabellato per “hegelliano”: ilche prova soltanto quanto si sia oscurata presso di noi la cognizione del pensiero hegelliano.Difficilmente si può concepire nulla di più anti–hegelliano di alcune pagine del mio scritto»(Memoria del vol. XXXIII degli «Atti» Pontaniani, già cit., p. , che ritorna tal quale alla p.

de La Storia, con la sola variante di «hegelliano» e derivati, che diventa «hegeliano».

Fulvio Tessitore

Hegel e Vico. Va subito aggiunto che questo inquadramento non èuna mia interpretazione. È affermazione dello stesso Croce il quale,in un piccolo libro del La critica letteraria, più o meno coeva,dunque, alla Memoria del e di due anni precedente la secondaedizione di questa, corredata dalle repliche alle critiche ricevute edi altre notevoli precisazioni, afferma, proprio nel capitolo su DeSanctis, che se gli si chiedesse di indicare in sintesi, rapida quantonon generica, le linee portanti della cultura filosofica ottocentesca,non avrebbe avuto resistenza a dire che esse sono due: «l’idealismo»di Fichte e Hegel (sono i classici citati) e il «realismo» di Herbart e diHumboldt (ugualmente da lui citati) a cui andava ascritto De Sanctise al quale anch’egli riteneva di appartenere.

Perché quest’osservazione è importante, specie se considerataall’interno dei punti di riferimento più rilevanti di questi scritti gio-vanili di Croce, da Lazarus a Dilthey, da Humboldt a Simmel e DeSanctis? La frequentazione, diretta e indiretta di questa cultura, nonignorata da altre significative posizioni italiane, almeno tra le piùeuropee del gran periodo, siano o no condivise da Croce, gli con-sentono, tuttavia, di non ridurre la «storiografia» (assai spesso, negliscritti dei primi anni ’ confusa con «storia») a semplice raccolta ericognizione di fatti empirici, lasciati nella loro cosalità e, al contra-rio, di attribuire l’attività dello storico alla narrazione intesa comecapacità di connettere i fatti al loro senso e significato, così da ren-derli una funzione rappresentativa, la rappresentazione della realtà,«l’espressione», «la manifestazione sensibile dell’idea», per dirla conterminologia dell’estetica hegeliana, per allora, come Croce dichiara,il solo profilo dello hegelismo che egli era disposto ad accogliere.Dentro quest’ordine di pensieri, Croce riporta il significato della«rappresentazione» all’idea kantiana di forma (che gli derivava dalloHumboldt conosciuto attraverso Lazarus e Steinthal), che configurauna relazione o complesso di relazioni tra la materia dei fatti e la loroespressività conoscitiva. Croce dice che si tratta di considerare per tal

. Cfr. qui nota .

. Cfr. B. C, La critica letteraria. Questioni teoriche, Roma , pp. –, n. ; II ed.,ivi , pp. –, n. , n. . Si veda ora l’ed. critica della II ed. cit. in B. C, Scritti suF. De Sanctis, (a cura di) T. T e F. T, Giannini, Napoli, , vol. II, p. eper le varianti vol. I, pp. LIII–LIV e XCV–CLXX.

. B. C, La Storia, pp. , nota, .

Croce e Droysen

via «l’appercezione» dell’«espressione o forma di un dato contenuto».Tutto ciò, al livello della riflessione del , è ottenibile solo attra-verso un processo di «rielaborazione» non scientifica (se «scientifico»per il Croce di allora significa riduzione al «generale»), ma artisticain quanto questa consente il rispetto delle «parti» e dei «contenuti»,individuando, in tal modo, una ulteriore specificazione della «rappre-sentazione artistica» della storia, perché questa, occupandosi dello«storicamente interessante, ossia non di ciò che è possibile, ma di ciòche è accaduto [. . . ] sta al complesso della procedura dell’arte comela parte sta al tutto», vale a dire, ancora una «particolarizzazione»all’interno del consustanziale processo di «appercezione». In sostanzain questi scritti, dinanzi alla scientificizzazione positivistica, che perCroce è mero empirismo, il realismo di derivazione herbartiana, conle precisazioni fornite da De Sanctis, Dilthey e Simmel avvicinati inquesti anni, consente di riconoscere alla storiografia una funzioneconoscitiva che non si risolve e vanifica in categoricizzazione astratta,dogmatica qual è, per il Croce di questi anni, quella della «scienzagenerale». Sia essa la ricerca positivistica delle «leggi» della storia, siaessa la hegeliana «scienza generale dell’essere» il cui oggetto e sog-getto è la Storia, sono entrambe avvertite lucidamente dal giovanefilosofo come concezioni monistiche da contrastare, riconoscendoil senso e il significato della realtà della storia garantita nella suacomplessità dalla rappresentazione artistica, narrativa, che non èriducibile a formalismo o immaginazione di una realtà inesistente,perché va intesa attraverso quella che Humboldt aveva chiamato la«forma interna» delle cose, la individuazione della Natur der Sache.Dice Croce «il contenuto dell’arte» si classifica «secondo la varietàdi interesse che esso presenta. Così si distingue la commedia dallatragedia, la pittura di figure da quella di paesaggio, ecc. ecc.; che sonotutte non già forme diverse, non contenuti diversi d’arte». Tra tali modisi distingue anche la «produzione della storia», che si occupa dello«storicamente interessante; ossia non di ciò che è possibile, ma di ciòche è realmente accaduto. E, dunque, essa sta al complesso della pro-duzione dell’arte come la parte al tutto; sta come la rappresentazionedel realmente accaduto a quella del possibile». Dove il riferimentodel discorso al Simmel del Probleme der Geschichtsphilosophie e al De

. Ivi, p. .

. Ivi, p. .

. Ibidem.

Fulvio Tessitore

Sanctis (del quale Croce cita i Nuovi saggi critici del , pensando aquelli preparatori della Storia della letteratura italiana, ivi contenuti)consente all’interprete acuto di parlare della ricerca di un «idealismoconcreto», che l’estetica di Hegel può suggerire.

. Or bene credo che in questo contesto di idee, ancora diffidenterispetto allo hegelismo frainteso, vanno visti i riferimenti a Droysen ele critiche rivoltegli con cautela e rispettosa attenzione alle distinzionida operare. Non a caso il Droysen ripensato in quanto negatore della«riduzione» della storia all’arte, e al contrario rivendicatore della suascientificità, non fa dimenticare il Droysen critico di Buckle, tipicoesempio di storiografia scientifica di matrice positivistica, tributariadella ricercata individuazione delle «leggi» del conoscere razionalemonisticamente concepito, in tal senso intendendo anche il cono-scere storico. Vien fatto di pensare che Croce, attraverso Droysen,che pur è sostenitore della scientificità della storia, hegelianamen-te parlando, opera di già, ne sia compiutamente convinto o meno,una distinzione tra la scientificità hegeliana e quella positivistica, av-vicinate in ragione della comune preoccupazione per il «generale»contrastante il «particolare», proprio della narrazione artistica e dellanarrazione storica, entrambe forme di conoscenza non astratta.Non a caso nella citazione cui mi riferisco, che è aggiunta alla se-conda edizione (del ) della Memoria, Croce ricorda, con divertitacondivisione, l’osservazione di Droysen circa le «leggi» del Buckle,scrivendo che di tal tipo di esse «se ne possono citare dozzine» e, «piùdi ogni altra quella magnifica legge: che la misura della civiltà di unpopolo è il suo consumo di sapone». Nell’evidente derisione delleleggi storiche di Buckle, avanzata da Droysen in nome di una diversa

. Ivi, pp. , –.

. Ivi, p. , n. , con riferimento alla critica di Droysen a Buckle, Erhebung der Geschichtezum Range einer Wisseschaft del ; nonché Grundriss, che Croce cita dalla III ed. del .È importante non trascurare il ritorno di questo Droysen dello «über den Geschichten dieGeschichte», in una nota de «La Critica», , che fu ripubblicata come cap. III degli Elementidi politica ( ora in Etica e Politica, (ed. critica a cura di) A. M, Bibliopolis, Napoli ,pp. –, qui pp. –). In queste pagine, oltre la ripresa del contesto del “Methodenstreitüber Kulturgeschiche” in cui inserire Droysen, se ne rivendica l’affermazione del carattere eticodella «storia integrale» rispetto alle «storie unilaterali», filosofiche. In ciò Croce scorge unaconcezione che è possibile riportare allo «storicismo assoluto» («la realtà è storia e nient’altroche storia»), cioè della «storia», che è «conoscenza di sé», in quanto pensiero di sé.

. B. C, La Storia, pp. , n. .

Croce e Droysen

concezione della scientificità della storia, non va trascurato che il ri-cordo droyseniano operato da Croce cade in uno dei punti nevralgicidell’argomentazione, quello dedicato a precisare «il concetto dellascienza» rispetto alla storia. Con diversa allocazione di non minoreimportanza è data un’altra citazione di Droysen, questa volta nel §,dedicato a «il concetto dell’arte», sempre rispetto alla storia, ossiai due principali fronti dell’argomentazione costruttiva e non più inprevalenza critica della Memoria pontaniana. In entrambe le citazionisi richiamano due temi droyseniani rivolti a distinguere l’arte e lastoria, senza, tuttavia, negare rapporti e quindi rilevando la «compiu-tezza della “rappresentazione” artistica di fronte al “contenuto” dellastoria, spesso frammentario, incerto e incompleto». Il che Croce nonnega, sostenendo però che si tratta di un «difetto» non della «natura»della storia, concludendo che la incompiutezza talvolta riscontrabileè conseguenza di «contingenze esteriori» (mancanza di documenti osimili cose) e non di intrinseca impossibilità dell’assunto storico. Cosìche appare «curioso pretendere» come fa Droysen, «di far entrarenella natura della storia la mancanza di essa! Gli è come se si dicesseche l’errore è un elemento della scienza perché gli scienziati sogliono,fatalmente, errare», che è osservazione ritornante, pur modificata,in pagine della matura Logica (del e del ). Nella Memoria pon-taniana segue il ricordo di un’altra osservazione del Droysen, doveegualmente a un riconoscimento segue una annotazione critica perricordare che «una cosa è la storia, e un’altra la dissertazione o il ra-gionamento storico», dove Croce sembra alludere alla storiografia ealla teoria della storia, distinte dalla «narrazione» della storia. Questecritiche parziali, addirittura dubbiose, suggeriscono una possibileidentificazione tra storia e storiografia, come si sa, successivamentedistinte pur in un sinolo indissolubile. Se si fa attenzione all’ultimadelle citazioni droyseniane ricordate, dove, rilevate ancora una vol-ta, le «taglienti affermazioni» dello storico tedesco, con acutezza siregistra la rilevanza di un punto dell’argomentazione di questi, cheappare a Croce quale lucida, pur quanto incompleta, rivendicazionelogica della vera Frage della questione dibattuta, ossia la esplicita con-vinzione del sempre condiviso e richiamato contributo del Droysen,

. Ivi, pp. –.

. Ivi, pp. –.

. Ivi, p. .

. Ibidem.

Fulvio Tessitore

teorico della storia. La citazione rigorosa, riferita testualmente daCroce, è questa: «non sarebbe senza interesse ricercare per qualeragione interna alla storia, sola tra tutte le scienze, sia toccata l’equivo-ca fortuna di dovere essere anche arte, una fortuna cui neanche lafilosofia partecipa, malgrado i dialoghi di Platone».

Qui è necessario avanzare una prima conclusione, specie alla lu-ce di quest’ultima affermazione non sfuggita a Croce al quale nonpoteva sfuggire nella prospettazione della allora accolta concezione«realistica» di Humboldt e di Herbart, che gli derivava dal Labrioladei Problemi della filosofia della storia del e dal Lazarus e dalloSteinthal, che gli consentivano di intuire le componenti kantia-ne della riflessione di Droysen, accanto, quando non anche contro,quelle hegeliane. In tal direzione mi pare possibile concludere chele rilevate ricorrenze del Droysen giocano, sia pure e contrario, unruolo tra i più importanti in quanto stimolanti i profili costruttividel ragionamento del giovane Croce, e, però, proprio in quantomettevano in chiare lettere una duplice problematicità dell’intenso,giovanile discorso crociano. La problematicità che, forse negli anni’ dell’Ottocento, innervava lo stesso Croce tra «realismo» e «idea-lismo», che egli cercava di conseguire, con originalità, quando, siapur di sfuggita, parlava di «idealismo concreto», e la problematicitànon diversa di Droysen, lucidamente intuita dal primo Croce, tral’idealismo hegeliano e il kantismo storicistico di Humboldt, presen-tato come campione del «realismo». Il che Croce stesso rileverà, piùtardi, significativamente in un disteso ritorno su Droysen nel ,a proposito di una osservazione di Meinecke concernente Droysene Ranke. Questa osservazione consente di riferire brevemente dialtre ricorrenze droyseniane in Croce, prima di concludere questeannotazioni col ricordo delle pagine de La storia come pensiero e comeazione, le quali segnano un ritorno di Droysen in modo apparente-mente occasionale, al contrario importante, in quanto attinenti alsignificato da attribuire alla Frage storiografica, messa in evidenza con

. Ivi, p. .

. Cfr. A. L, I Problemi della filosofia della storia, (), in Scritti filosofici e politici, (acura di) F. S, Einaudi, Torino , vol. I e ss.

. Devo rinviare per una trattazione specifica al mio scritto Croce e Humboldt (), che èin corso di stampa nel. Vol. I del mio Da Cuoco a Weber. Contributi alla storia dello storicismo, conintr. di D. Conte, Roma .

. B. C, La Storia, p. .

Croce e Droysen

consapevolezza teorica da Droysen e ripresa da Croce nel contestodi una delle formulazioni più lucide del suo storicismo, pur all’inter-no di un libro tra i più complessi e — sia consentito osservarlo colmassimo rispetto — tanto consapevolmente problematico da sfidarela contraddizione, tutt’altro che risolta, anche grazie al contributo diuna prosa scientifica di particolare livello critico e narrativo.

. Il tono delle letture droyseniane di Croce e l’impressione chedi esse ho fin qui manifestato trovano conferma in successivi ritorni,interessanti quanto cursori. Così allo scritto del , coevo, dunque,ai primi saggi, La storia della cultura, col quale Croce partecipò alMethodenstreit über Kulturgeschichte, risale un’altra consenziente ci-tazione di Droysen, il quale, a giudizio di Croce, si distingue nellaanimosa polemica sull’«oggetto della storia», se da cercare nello Statoo nella cultura, per l’acutezza della risposta, pur non sempre da Crocecondivisa, e, tuttavia, di livello teorico ben più alto di quelli toccatinella discussione. Droysen, nel riconoscere la legittimità di praticarele «storie speciali», idealisticamente dichiara che «al di sopra di esseandava riconosciuta “una storia per eccellenza”» (über den Geschichten,ist die Geschichte). Apprezzamento che ritorna, più o meno tal qua-le, in una successiva nota del nella quale Croce contestava che«l’esigenza» di «orientarsi circa la storia» potesse essere soddisfatta dalricorso a manuali esistenti, anche se famosi quale l’Introduction auxétudes historiques del Langlois e Seignobos, di esemplare chiarezza,ordine e limpidezza, «che, quando si legge, si capisce subito tutto,e, dopo, ci si avvede di non saper nulla». Né serviva l’egualmenteapprezzato Lehrbuch der historischen Methode del Bernheim, tanto ci-tato già nella Memoria pontaniana del . Al contrario, per Croce,bisognava rivolgersi «al vecchio libriccino del Droysen, Grundriss derHistorik, che, opera di uno storico e non di un filosofo di professione»,era però il risultato della «sua gioventù trascorsa nella grande epocadella cultura tedesca»; egli che sempre «si tormentò assai sui concettidi storia e natura, causalità e finalità, individuo e società, fatto e volon-tà», andando «a svegliare la meditazione». Ciò perché, concordandocon lo Pflaum, di cui ricorda il libro del su J.G. Droysen Histo-rik in ihrer Bedeutung für die modernen Geschichtswissenschaft, Crocericonosce che di questa intuizione «la tendenza generale è idealisti-

. Cfr. J.G. D, Grundriss der Historik, III ed., , § . p. , cit. in B. C,Conversazioni Critiche, vol. I., IV ed., Laterza, Bari , pp. – e anche p. .

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ca e non empiristica», appunto perciò di «alto valore attuale» (vonhöheren aktuellen Wert). Considerazioni che ritornano in una notadel e più ancora, ben più articolatamente recensendo nel

l’importante saggio di Friedrich Meinecke su Johann Gustav Droysen:sein Briefwechsel und sein Geschichtsschreibung. Qui, pur ripetendo, an-che se attenuata, l’incomprensibile negazione teoretica, formulatain Teoria e storia della storiografia, della storiografia filologica con-siderata una forma e, forse, la peggiore, di «pseudo–storia», Croceteneva a differenziare il Droysen storico da «quegli storici» i quali,dopo Hegel, «vissero da allora in poi a mo’ di epigoni», praticando«la storiografia generalmente decaduta a filologia». E la differenzaera dovuta alla «scuola di Hegel» alla quale «era stato Droysen», ilquale non si macchiò come gli altri storici della colpa di scambiare «lafilologia storica [. . . ] per storia», «spaventati» dalla «cosiddetta filosofiadella storia», che l’idealismo stesso erroneamente prospettò cometeoria della storiografia e conoscenza storica. Droysen, al contrario,«se, per quella tale paura cui si è accennato, se ne distaccò e si attaccòpoi a Guglielmo di Humboldt, il “Bacone” (come lo chiamava) dellascienza storica», tuttavia, continuò a «pensare», a «meditare secondoHegel» sulla «logica della storia» rigettandone «l’organon», che eraun’istanza propria dell’idealismo hegeliano. Questa costatazione siritrova nelle pagine de La storia come pensiero e come azione, a que-sto punto da considerare attentamente per cercare di enucleare lasostanza di queste mie sparse riflessioni sul rapporto tra Croce eDroysen.

Una pagina del Cap. IV (Filologia, storia e filosofia) di una sezionecentrale del libro del (La certezza e la verità storica) concludela difficile argomentazione del capitolo, aperto, come si vedrà, nelnome di Droysen, riprendendo la già ricordata annotazione del .Contro la diffidenza riservata alle Istoriche degli storici ottocenteschi— in ragione del loro andamento filosofico, pericoloso e temuto daquanti avvertissero «l’ansia di sottrarsi al dovere logico di definirei concetti chiarificatori di origine non empirica» — che è il pro-

. Cfr. B. C, Conv. Cr., I, cit., pp. –, che fanno parte della memoria del ,Intorno alla storia della cultura, Mem. degli «Atti dell’Accademia Pontaniana», XXVI, p. .

. Cfr. B. C, Conv. Cr., cit., IV, II ed., Laterza, Bari , pp. – e –.

. Ivi, p. .

. B. C, La Storia come pensiero e come azione, ed. critica (a cura di) M. C,Bibliopolis, Napoli , pp. –. D’ora innanzi cit. con SPA.

Croce e Droysen

dotto della «riluttanza [. . . ] che la storiografia della seconda metàdell’Ottocento», quella «filologica» ed erudita di sapore positivisti-co provò verso la filosofia —, Croce rivalutò ciò che si intendevapraticare e realizzare col nome di «Istorica». E la spiegazione è im-portante. Con «Istorica» si «tendeva né più né meno che a fornireper gli studi storici un organo analogo a quello che il Kant avevafornito per le scienze fisiche e naturali nella Critica della ragion pura;e filosofiche disposizioni e filosofici atteggiamenti si avvertivano incoloro che chiedevano o tentavano quell’organo, lo Humboldt, ilDroysen, il Dilthey». Voci diverse e tutte e tre tra le più significativedello Historismus delle origini e della critica maturazione. Né basta.Infatti è affermazione importante quella ora letta per almeno dueragioni. In primo luogo va rilevato che i nomi fatti, con consenso ead esemplificazione, sono quelli della lontana Memoria “giovanile”,qui accompagnati dalla esplicita individuazione della loro fonte, Kant.Sono quelli del Croce «realista» desanctisiano. Si tratta del Kant, nelcaso dell’organo, evocato da Humboldt prima di Droysen e da Dil-they dopo Droysen. È quello dei cosiddetti scritti di filosofia dellastoria, preparatori della Critica del giudizio. Ossia l’opera che affianca,completa, chiarisce e modifica il «giudizio determinante» della pri-ma Critica, con il giudizio «riflettente» della terza Critica, il giudizioche definisce la logica della previsione, frutto della selezione opera-ta secondo il giudizio critico, che consente di attribuire anche allastoria come Historie (e non Geschichte) l’attributo della scientificità di«organo» del conoscere, assolta, grazie all’ormai accertata compiutarivoluzione antropologica kantiana, per cui il conoscere non è il ri–conoscimento di un oggetto già dato, bensì la determinazione delleleggi del pensiero che individuano l’oggetto del conoscere come ilnuovo da acquisire. In altri termini, la scientificità, consapevole deilimiti della ragione, della funzione (attuazione) del conoscere coniugatacon l’azione, la cui «finalità» non va scambiata con la teleologia deldeterminismo causalistico. Croce non credo dica una cosa diversaquando cita il droyseniano paragrafo del Grundriss, privilegiandolotra i tre classici elencati.

Il Droysen, che dié addirittura un primo schema di trattazione in questamateria, definì così la nuova scienza: “l’Istorica non è un’Enciclopedia dellescienze storiche, non è una Filosofia (o teologia) della storia, non è unaFisica del mondo storico, e meno ancora una Poetica per gli scrittori di

. Ivi, p. .

Fulvio Tessitore

storie. Il fine che deve proporsi è di costruire un organo del pensare eindagare storico”.

Affermazione che, prima di fornirne il commento che richiedeper la sua importanza, impone di non trascurare una precisazionecirca i termini evocati dalla preziosa sintesi droyseniana, che Crocecita e riassume. Non è possibile, infatti, trascurare un’impressione dilettura suggerita da questa lucida, problematicamente lucida, paginacrociana. È mai possibile immaginare che a Croce lettore del citatoparagrafo di Droysen sia sfuggito che cosa sottintendono le tre ne-gazioni compiute per definire l’Istorica e il suo organo? Vale a dire,Hegel (Enciclopedia), Herder e Schiller (la Filosofia o Teologia dellastoria), Humboldt (la Fisica del mondo storico), sono i quattro grandilettori della terza Critica kantiana, che da essa avevano ricavato le loroconfigurazioni concettuali. Non credo possibile pensare altrimentie non lo credo in coerenza con il commento crociano, che lasciacomprendere come le qui or ora richiamate problematiche citazionisiano una chiave per intendere la problematica presentazione delDroysen, data nel , altro che erronea lettura incompatibile conaltre riflessioni dello stesso Croce. Quelle antiche, giovanili pagine,se si vuol, questo sì, al limite dell’ambiguità, già in qualche modolasciavano presagire la consapevolezza della critica posizione dellostorico dell’ellenismo posto tra Humboldt e Hegel. Posizione che nel viene ripresa e argomentata con la sicurezza di averne risolto ledifficoltà e l’ambiguità, in precedenza non adeguatamente valutate.Leggiamo Croce. « Le quattro determinazioni negative enunciatesono da accettare tutte e quattro, e può accogliersi anche la quinta epositiva desunta da Aristotele e da Bacone» circa la valutazione dellastoriografia ritenuta non lontana da quella dell’arte/poesia, perché alcomplesso dei concetti che si ricavano dalla selezione del concretostorico non «spetta altro ufficio che di organo o strumento in servigiodi quel conoscere. Ma che cosa è poi siffatta teoria, che non è un’En-ciclopedia, né una fantastica o arbitraria Filosofia della storia, né unaFisica o Sociologia, né una Estetica, e che terrebbe l’ufficio di stru-mento del pensare e indagare storico?» (una evidente traslitterazionequest’ultima frase del fondamentale principio droyseniano forschend

. Devo rinviare al mio scritto Lo storicismo in forma negativa (), ora in La ricerca dellostoricismo, cit., pp. –, dove si trova la precisa indicazione degli scritti crociani cui quialludo e il loro commento.

Croce e Droysen

zu verstehen). «La nostra risposta — aggiunge Croce — non può esse-re dubbia: in questa teoria desiderata è da ravvisare nient’altro chela filosofia». Sì, dobbiamo dire a nostra volta, ma quale filosofia,la «filosofia storica» o la «storia filosofica», per usare la felicissimadistinzione del Croce storicista e non idealista?

E qui i problemi ritornano, quasi droysenianamente, non comedubbi o incertezze sulla loro stessa legittimità, bensì con maturatavalutazione teoretica che ha conosciuta la critica soluzione fornitadallo stesso storico. Essi ritornano nel Croce e per il Croce anch’eglicollocatosi tra “idealismo” e “storicismo”, prima fiducioso nella lorosintesi, poi sempre più dubbioso di poterla realizzare. Quale filosofia,dunque? E Croce risponde, con precisione. «La filosofia storica», indi-cata in una diversa pagina tuttavia ben collegata con questa che sto oracommentando, con la precisa consapevolezza di ciò che significa. E,infatti, qui Croce annota: «che poi la filosofia non abbia altro ufficioche questo di “metodologia del pensiero storico” è una conclusioneda me, con grande dispiacere dei cosiddetti filosofi puri, più volteformulata e dottrinalmente documentata». Il che è vero. Ma questa«verità», mentre attesta la rilevanza assegnata a Droysen, implicita-mente e qui criticamente presentato in una delle tappe centrali dellalunga riflessione sulla storia, squaderna tutta la problematicità del-la «filosofia storica» e non «storia filosofica», come qui egualmentesi dice con una equivalenza non semplice come appare e quale sivorrebbe che fosse. È la «filosofia storica» che Croce ha cercato didefinire lungo tutta la sua intensa vita di pensiero, sempre beffardo,come anche qui appare, dei filosofi teoretici, dei «filosofi puri» cheegli non esita a collocare nella categoria dei «puri asini». Sulla critica,consapevole problematicità della affermata «filosofia storica» biso-gna fermarsi per intendere appieno, compiutamente, lo «storicismo»di Croce e l’incidenza in esso di Droysen, prescelto rispetto ai purconosciuti e mai dimenticati Humboldt e Dilthey. Non v’è dubbio,infatti, che queste pagine della fine degli anni ’ (successive a quelleche partendo dalla seconda metà del vanno fino all’epocale me-moria oxoniense del ) segnalano un rinnovato ripensamento

. B. C, SPA, p. .

. Ivi, p. .

. Non va mai dimenticata una mezza pagina crociana del , tanto feroce quanto lucidaPurus philosophus, purus asinus, che ora si legge in Pagine sparse, vol. III, cit., p. .

. Si vedano i saggi qui citati in nota .

Fulvio Tessitore

delle conclusioni raggiunte da Teoria e storia della storiografia. Unripensamento che, per tanti versi, si svolge intorno alla considerazio-ne, si può dire mai smessa, dell’affermazione del libro del sulla«filosofia come metodologia della storia» o della «storiografia», comeCroce dice alternativamente, anche così mostrando l’«ambiguità»dell’opzione sul significato della filosofia rispetto alla storia, che, al-lo stesso tempo serve a raggiungere la definizione dell’«idealismoconcreto», ricercato fin dal . Che di ambiguità si tratti lo mostral’inevitabile costatazione che proprio quando la conclusione sembraraggiunta (così com’era stata intesa in Teoria e storia), nello stessomomento essa è rotta da quella attestazione del ruolo della filosofiaquale «metodologia della storia», in quanto questa problematicizza la«rispondenza tra pensiero ed essere», «tra gnoseologia e fenomeno-logia», tutti postulati tanto tipicamente hegeliani da Croce ripresi,proclamati nella definitiva Logica del , per identificare la filosofiacon la storia, detto altrimenti la «filosofia storica» con la «storia filo-sofica». Certo, nel libro del ’ la duplicazione serve a rafforzare la«filosofia storica», la storicità della filosofia piuttosto che la filosofi-cità della storia. Infatti, nel libro del ’ la filosofia alla quale Crocepensa è quella che si identifica con la «storiografia, ossia col pensierostorico», e quindi «elimina e annulla il concetto di una filosofia fuorio sopra la storiografia». «Persino quando si definisce la filosofia —come io ho fatto, continua Croce — “metodologia della storiografia”non è da perdere di vista che la metodologia sarebbe astratta se noncoincidesse con l’interpretazione dei fatti». Queste sono, certamente,chiarificazioni storicistiche della «filosofia storica» qual è quella cosìnettamente in queste pagine presentata. Resta fermo, però, che la«filosofia storica» è sinonimo di «storia filosofica» perché per Croceil pensiero della vita è il medesimo che la vita del pensiero. Ciò perché,quasi a prevenire non lontane critiche di Gentile, l’istanza posta eriproposta di continuo, nelle forme più diverse, della sempre rifiutatafilosofia della storia, pretende, tuttavia, di essere soddisfatta da un’e-

. Cfr. B. C, SPA, p. .

. B. C, SPA, pp. e : «pensare la storia è già di per sé filosofare, né filosofaresi può se non in riferimento ai fatti, cioè alla storia». Un’affermazione che nel Gentileritenne espressione di uno spurio storicismo, lo «storicismo degli storici» contro il «puro»«storicismo dei filosofi», che non consente, non ammette una fenomenologia della storia primadel pensiero che la pensi, così contravvenendo all’irrelazionalità del pensiero. Ed era il suo“storicismo”.

. Ivi, pp. e .

Croce e Droysen

sigenza logica onde evitare la sussistenza del fatto storico nella suaempiricità, al cui superamento (nel senso dello hegeliano Aufhebung)non appaiono sufficienti i «concetti storici» quali criteri interpretatividella «natura della cosa» (Natur der Sache), col rischio di contamina-zione con la empiricità della natura. V’è bisogno di «concetti puri»,ossia «concetti classificatori di origine non empirica», che escludono,vincendola, ogni «immediata apprensione» degli «individui», delle«società» e delle «epoche» grazie al coraggioso «riportamento delledistinzioni [. . . ] ai concetti, che ad esse sottostanno, e questi non siriducono ai loro termini filosofici». Perché lo storicismo, espressio-ne del «momento della particolarità» e delle «distinzioni» non trovaaltra soluzione, diversa dal superamento dell’immediato nella me-diazione della dialettica, a sua volta non intesa quale esperienza di«alta etica», come Croce dirà soltanto nel definitivo ripensamentodel «sistema» negli ultimi anni e mesi di vita. Bensì è «pura logicità»,tale da consentire che la si configuri senza i suoi stessi «termini», chenella «risoluzione» del processo nel termine medio consacra la disso-luzione delle distinzioni storiche nel «medio» unico fattore positivo,fondante della (e garantito dalla) «filosofia storicistica», in quanto«superamento eterno [. . . ] d’un insufficiente e perciò falso concettodella storia». Si tratta dello storicismo del «null’altro che storia», colquale, disperatamente, Croce cerca di qualificare il suo «idealismoconcreto».

Non a caso, in queste stesse pagine del , tanto intrinsecamenteproblematiche fin ad essere tormentate al di là della suprema elegan-za d’una prosa superba capace di conseguire ogni più elegante formadi armonia letteraria, anche quella di nascondere i problemi nonrisolti, ritorna la ricerca della Frage storiografica, che, per il Croceche ripensa se stesso, si affida a una proposta di lettura non idealistica(quale da sempre voleva essere e non fu) diversa della conclamata«contemporaneità della storia», riportata, quando fu enunciata nel, alla risoluzione gnoseologistica della storiografia, per distin-guerla dalla «cronaca, falsa storia» di Teoria e storia della storiografia,

. Cfr. ivi, pp. , , .

. Cfr. B. C, Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, (ed. critica a cura di) A. S,Bibliopolis, Napoli , passim. Per ciò devo rinviare ancora al mio La ricerca dello storicismo ealle importanti ricerche crociane di G. Galasso, G. Sasso, P. Piovani tanto note da non richiederequi altra indicazione. Esse sono discusse nel mio già ricordato volume.

. Cfr. B. C, Teoria e storia della storiografia, (ed. critica a cura di) E. M e T.T, con mia nota al testo, voll. , Bibliopolis, Napoli .

Fulvio Tessitore

mentre nel , quando si è dinanzi alla conseguita idea della «storiacome pensiero e come azione», vien differenziata dall’«aneddotica».Si spiega con ciò perché in queste pagine, proprio quelle dedicatealla «filosofia storica» identificata con la «storia filosofica», Croce po-lemizzi con l’idea meineckiana dei concetti, secondo la quale questinascono dalla complessità, impurità, antinomicità della realtà in quan-to espressione della «comprensione» — direi nel senso letterale delportar dentro, nel “santuario” della coscienza — ossia come dazio-ne di senso da parte dell’individuo agente a ciò che non lo ha insé, ma lo acquista attraverso il processo di razionalizzazione affidataall’oggettivazione delle “possibilità” reali, implicanti la responsabilitàdell’individuo pensante e agente, secondo un movimento tipica-mente kantiano. Meinecke ritiene infondabili i «concetti da portareall’esattezza delle scienze naturali» per così conseguire “l’esattezzadella verità”, smarrendo però «quel che v’ha di più fine e preziosonella vita spirituale» nel caput mortuum della definizione categoriale. Iconcetti «possono pretender solo a un valore provvisorio, giacché lavita dello spirito e delle configurazioni storiche che esso produce èin tal guisa fluida e capace di cangiamenti quasi proteiformi, che puòessere conosciuta solo in sempre nuovi aspetti e movimenti». Il che,però, non va confuso con ciò che Croce dichiara quando ritiene chele «epoche» — ossia le distinzioni della vita storica nelle sue succe-dentisi configurazioni — sono solo «partizioni di uso mnemonico».In Meinecke, infatti, il discorso è quello dell’oggettivazione delleparticolari situazioni perché non si disperdano nell’irresponsabileindifferentismo etico. In Croce si tratta dell’oggettività del concetto«puro», che, fornito di senso, che è la sua essenza, questo presta allepartizioni mnemoniche, le quali servono allo Spirito per conoscersiconoscendo la storia, che è la «sua storia» e non quella degli uominiagenti, osservatori e operatori di esperienze storicamente esperite(Erlebnisse). In realtà vien qui segnata una ineludibile diversità trastoricismo e storicismo destinata a non essere neppur suturata compro-missoriamente. Quello di Meinecke è lo storicismo della «storia estoriografia epocale» (in quanto le distinzioni sono l’espressione dellaspecificità, particolarità, multilateralità (Vielseitigkeit) della storia), al

. B. C, SPA, pp. – e il saggio di F. M, Klassizismus und historuschesDenken im XVIII Jahundert, (da Croce cit., ivi, p. , n. ), che si legge in tr. it., a mia cura, inSenso storico e significato della storia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli , pp. –.

. B. C, SPA, p. .

Croce e Droysen

contrario quello di Croce è lo storicismo della «storia e storiografiacategoriale», giacché «il problema vero è [. . . ] di definire le formee modi universali dello spirito a cui quei titoli [i concetti storici diMeinecke] accennano, e che non sono rinserrabili in limiti crono-logici e anzi sono di natura loro extratemporali». Vale a dire sonomanifestazioni provvisorie (in sé logicamente insussistenti) dell’eter-na presenzialità a sé dello Spirito, soggetto e oggetto di storia, cheè la progressiva e progrediente acquisizione della «conoscenza disé»: un principio questo del Droysen hegeliano (non humboldtiano),che, pur con tante concessioni a questo secondo, è il Droysen cheaiuta a fondare lo «storicismo assoluto», soddisfacente espressione,specie negli anni cupi dell’«antistoricismo», dell’«idealismo concreto»evocato fin dalla Memoria pontaniana del , dove Droysen è tantopresente e tanto apprezzato, e però criticato perché allora sentitotroppo «hegelliano» (una definizione che, allora, Croce respingevaper sé) in quanto sostenitore della «storia filosofica» riportabile allahegeliana scienza generale dell’essere, idea inaccettabile dal Crocerealista insoddisfatto di sé, quale resterà fino a quando non riusciràa ritenere di avere raggiunto l’identità di storia e filosofia, della «fi-losofia storica» e della «storia filosofica». Fino a quando, cioè, nonsarà riuscito a coniugare, seguendo l’intuizione del , «poesia estoriografia», che, ormai nel , gli appaiono quali «le due ali delmedesimo organo che respira, i due momenti tra loro collegati delloSpirito che conosce». Vale a dire qualcosa di assai diverso dalla co-niugazione humboldtiana e diltheyana di arte/poesia e storiografiaalla comune insegna del loro comune senso della particolarità, la cuisignificazione è, appunto, il «compito dello storiografo» (die Aufgabeder Geschichtsschreibung). Perciò al crociano raggiungimento catego-riale dell’unità dà un contributo il Droysen pensatore hegeliano della«storia filosofica». Il che è dimostrato ancora, ad abundantiam dall’ulti-mo ritorno dello storico dell’ellenismo nel libro del , ancora unavolta nello snodo centrale della teoria crociana sulla storia, quellodedicato a definire il rapporto di «storiografia e morale», il «giudiziomorale nella storiografia».

Qui, in pagine che mi appaiono imbarazzate dal necessario ri-corso ad un esame quasi di casistica morale per risolvere empirici

. Ivi, p. .

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Fulvio Tessitore

atteggiamenti comportamentali dettati da regole di buon senso comu-ne, Croce respinge lucidamente ipotesi vaghe di “tribunalizzazionedella storia” e, a tal fine, rifiuta un principio hegeliano efficacementeesplicitato da Schiller: «die Weltgeschichte ist das Weltgericht». Perché,dice Croce, «l’avvenire o la storia non può togliere sopra di sé questocarico, peggio che schiacciante per il suo peso, intrinsecamente as-surdo ed ineseguibile». E però il drastico rifiuto non fa appello allaresponsabilità etica di concreti individui storici, perché ciò comporte-rebbe — a parte ben rilevanti questioni teoriche circa la fondazionecategoriale del giudizio individuale, ragionata nella definitiva Logica —una ricaduta nella casistica dei comportamenti comuni. La soluzionenon può che essere affidata alla ripresa della vecchia distinzione tralo «accadimento», opera del tutto dello Spirito, e l’azione, propriadei singoli nella empirica provvisorietà loro in vista della confluenzacostruttiva nell’«atto» dello Spirito, soggetto e oggetto, storia di storia.«L’unico giudizio morale che abbia consistenza e significato nella sto-riografia è questo del carattere dell’opera, fuori delle impressioni edelle illusioni e delle passioni private che poterono accompagnarla neisuoi autori». Per capire, si tratta di risolvere l’indiscutibile difficoltà di«un falso vedere circa l’autore delle opere» quali che esse siano. Diesse l’autore «non è già l’astratto individuo, distinto e contrappostoagli altri nello schematismo della vita pratica, né l’individualità inqualsiasi modo sostanzializzata, ma unicamente lo spirito che formagli individui e li volge a suoi strumenti», principio rinvenuto daVico con la sua idea di «Provvidenza» e da Hegel con la sua idea di«astuzia della ragione», entrambi ragionanti l’«eterogenesi dei fini».

Dinanzi a tanto Croce si rivolge a Droysen, con una opzione chemi par confermi le tesi fin qui enunciate. Il Droysen richiamato nonpuò essere, non è, il Droysen humboldtiano. Il Droysen luterano ditante pagine paoline e agostiniane del Grundriss e delle Vorlesungensull’Istorica, come quelle in cui lo storico enfatizza, con luteranoagostinismo, il «sacrario della coscienza» nel quale può penetrare

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. Tengo a rinviare alle mie pagine su Droysen (e su Ranke) del –, che ora si leggononel mio Trittico antihegeliano. A partire da Dilthey. Contributo alla teoria dello storicismo, con intr.di E. M, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma , pp. –, spec. pp. –.Esse riprendono e sviluppano le pagine su Droysen tra Hegel e Humboldt, del , che ora sileggono nei miei Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, vol. II, Edizioni di Storia eLetteratura, Roma , pp. –.