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GESÙ MAESTROOttobre-Settembre 2014 - Trimestrale anno 18Istituti Paolini “Gesù Sacerdote” e “Santa Famiglia”DIRETTORE: Don Olinto CrespiDIREZIONE: Circonvallazione Appia, 162 - 00179 Roma

Tel. 06.7842609 - 06.7842455 - Fax 06.786941AUTORIZZAZIONE TRIBUNALE DI ROMA n° 76/96 del 20/02/1996 Fotocomposizione e stampa: Tipolitografia Trullo s.r.l. - www.tipolitografiatrullo.it

Via Ardeatina, 2479 - 00134 Santa Palomba Roma - Tel. 06.6535677

Grafica di copertina: Mario Moscatello sspIn copertina: Gesù di M. Rupnik - Cappella delle Suore della Carità

di S. Vinvenzo de Paoli a Fiume (Croazia)

EDITORIALEVenite a me, voi tutti . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

MAGISTERO DELLA CHIESA

L’Instrumentum laboris del Sinodosulla famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6

I LUOGHI DELLA GRAZIA

DELLA STORIA ALBERIONIANA

Vivere le cose ordinariein modo straordinario . . . . . . . . . . . . . . . . 9

ISTITUTO “GESÙ SACERDOTE”

COMUNICAZIONE DEL DELEGATO

Carissimi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

SPIRITUALITÀ PAOLINA

L’esperienza eucaristica . . . . . . . . . . . . . 15

SACERDOZIO PAOLINO

Don Bernardo Antonini,un apostolo senza frontiere . . . . . . . . . . . 18

Sacerdoti IGS defunti . . . . . . . . . . . . . . . . 21

S O M M A R I O

ISTITUTO “SANTA FAMIGLIA”

LETTERA DEL DELEGATO

“Io sono la luce del mondo” . . . . . . . . . . . 24

SPIRITUALITÀ PAOLINA

Il debito perenne dell’amore . . . . . . . . . . . 29

La forza nella debolezza . . . . . . . . . . . . . . 32

CONVEGNO 2014

Camminare al ritmo delle relazioni . . . . . 35

ELEMENTI DI FORMAZIONE

La certezza di essere amabili e amati . . . . 36

TESTIMONIANZE . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

Defunti - Uniti nel suffragio . . . . . . . . . . . 44

Editoriale

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Il senso dell’invito di Gesù

L’invito di Gesù, “Venite…”, si colloca nel-l’ambito degli appelli sapienziali numerosinell’Antico Testamento. Gesù non si limita adinvitare a cambiare vita, ad essere saggi, a sa-per scegliere il bene… È Lui stesso il bene, lasapienza incarnata, il Maestro da conoscere eseguire…

I riferimenti sapienziali«Avvicinatevi, voi che siete senza istruzio-

ne, prendete dimora nella mia scuola… Sotto-ponete il collo al suo [sapienza] giogo, acco-gliete l’istruzione» (Sir 51,31ss).

«La Sapienza grida per le strade, nellepiazze fa udire la sua voce…: “Volgetevi allemie esortazioni; ecco, io effonderò il mio spi-rito su di voi e vi manifesterò le mie parole”»(Pr 1,20 ss)

«Io come una vite ho prodotto germogligraziosi e i miei fiori, frutti di gloria e di ric-chezza. Avvicinatevi a me, voi che mi desidera-te, e saziatevi dei miei prodotti…» (Sir 24,17).

La Sapienza viene qui presentata come unapersona, con un proprio principio vitale (lo spi-rito).

Essa vuole stabilire con l’uomo un rappor-to personale, intimo, basato sull’amore. Entranelle persone per farne amici di Dio e arric-chirle con il dono della “profezia”. All’uomoche si rende disponibile la Sapienza comunicala scienza, cosicché egli diventa in grado di co-noscere e compiere quanto è gradito al suo Si-gnore.

Seguire l’istruzione della Sapienza consen-te di correggere gli errori, trovare amore per lagiustizia, fuggire i ragionamenti distorti deglistolti, praticare la virtù, conseguire la salvez-za…

L’appello del Maestro Divino (Mt 11,25).Due espressioni costruite in simmetria e duepromesse:

– Venite a me, voi tutti = Io vi ristorerò.– Prendete il mio giogo su di voi e impara-

te da me… = Troverete ristoro.L’appello di Gesù è in perfetta continuità

con i ripetuti inviti della Sapienza: «Venite ame, voi tutti che mi desiderate» (Sir 24,18).

Gli affaticati e gli oppressi, che Gesù chia-ma a sé e a cui promette ristoro, sono coloroche sospirano sotto il peso della legge. La teo-logia rabbinica parlava di “giogo della Torà”,oppure di “giogo dei comandamenti” e inten-deva sempre la legge, l’obbligo di osservare iprecetti.

Nella cornice del Centenario del carisma paolino non si può non ricordare l’esperienza illu-minante che don Alberione, all’inizio del secolo XX, ha vissuto nell’adorazione dinanzi al Ta-bernacolo e, narrata da lui stesso, in Abundantes divitiae 15: «Una particolare luce vennedall’Ostia santa, maggior comprensione dell’invito di Gesù “venite ad me omnes”…». È uninvito anche per tutti noi a cogliere l’elemento qualificante e carismatico delle nostre adora-zioni eucaristiche.

“Venite a me, voi tutti” Mt 11,28

Editoriale

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Anche il pio israelita desiderava servire ilSignore con amore, anzi con fierezza e gioia,tuttavia la legge, con le formulazioni in formacasistica che le avevano dato i rabbini, era di-ventata un giogo opprimente per i devoti e uncompito inadempibile per lagran massa degli ignorantidella legge.

Gesù invita quanti si affa-ticano duramente sotto il gio-go della legge a prendere sudi loro, invece, il suo giogo,quello che Lui stesso accettanella fedeltà al progetto diDio. Gesù qualifica il giogodelle esigenze da Lui datecome “lieve”. Questo, inquanto solleva gli uomini dauna quantità opprimente didecreti della legge (venivanoenumerati 248 comandi e365 divieti). Riconducendol’intera legge all’unico comando dell’amore diDio e del prossimo, Gesù può parlare, di gio-go “dolce”! Ciò che egli chiede rende l’uomolibero, e il peso che la legge dell’amore impo-ne non abbatte: «I suoi comandi non sono gra-vosi» (1Gv 5,3).

Tale assunzione viene presentata da Gesùcome un “imparare” (= farsi suo discepolo):aderire con tutto il proprio essere al suo idea-le di vita, fatto di mitezza e di povertà (cf Mt5,3-11).

“Venire” a Gesù e “imparare” da Lui sono,quindi, un tutt’uno. Gesù è un maestro mite eaffabile. Perciò egli può promettere a coloroche lo seguono il ristoro e la pace interiore.

Tuttavia se Gesù definisce “dolce” il giogoche egli impone e promette in cambio ristoro epace, ciò significa che l’adempimento del vo-lere di Dio non è esigenza impossibile ed op-primente per l’uomo.

Venite ad me omnes… Gesù invita ad un

incontro personale con la sua persona. È aLui che occorre andare, Lui bisogna conosce-re, da Lui è necessario lasciarsi attrarre, inLui dobbiamo abitare come nostra propria di-mora! Non vengono abolite le mediazioni

(Parola, sacramenti, perso-ne…), ma nulla è in grado disostituire l’incontro diretto,vitale e rigenerante con Lui,Persona viva, risposta delPadre al nostro desiderio ditrovare Dio.

Venite a me omnes… Ri-facendosi agli inviti della sa-pienza che non conosconobarriere, Gesù ha l’ardire diinvitare a Sé – alla sua scuo-la, alla sua sequela – l’umani-tà intera, povera e sfiduciata.L’uomo, ogni uomo, tutti gliuomini, senza eccezioni, sen-za preclusioni di alcun tipo,

sono raggiunti da questo appassionato invitodel Maestro Divino, un giovane rabbì, ma conun orizzonte d’amore sconfinato e tanto avvin-cente!...

La risonanza nella vita e nell’insegnamento di don Alberione(AD 15)

1) «Una particolare luce venne dall’Ostia:maggior comprensione dell’invito di Gesù:“Venite a me omnes”».

La parola di Gesù, quale risuona nel Van-gelo, diventa più chiara e incisiva alla luce diGesù Eucaristia. Alla sua scuola diventa pos-sibile comprendere quella porzione di misterodivino che si va gradualmente rivelando nellanostra vita. In quella circostanza, probabil-mente, il giovane Alberione ha intuito quantoin seguito non si è stancato di ripetere: il Van-

Editoriale

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gelo, la Parola di Dio, va letta e meditata so-prattutto nel clima dell’adorazione eucaristi-ca. Di qui, anche, l’insistenza sulla duplicemensa: «Eucaristia e Bibbia formano l’apo-stolo della stampa. Siano, queste due cose, in-separabili e inseparate nei nostri cuori» (Hæcmeditare 1, p. 80).

2) «Gli parve di comprendere il cuore delgrande Papa, gli inviti della Chiesa…».

«All’affacciarsi del nuovo secolo LeoneXIII, con l’Enciclica Tametsi futura, dava allacristianità, anzi all’umanità, l’indirizzo religio-so-cristiano da seguirsi…: “Soltanto Cristo è laVia, la Verità e la Vita”. Cosicché, abbandona-to Cristo, vengono a mancare quei tre principinecessari ad ogni salvezza: “tria illa ad omnessalutem necessaria principia”».

Don Alberione, attratto dal magistero delPapa, conclude:

«Per salvarsi è del tutto necessario stabilir-si in Gesù Cristo, Via Verità e Vita;• per essere cristiani è del tutto necessario vi-

vere in Gesù Cristo Via, Verità e Vita;• per essere religioso-paolino è del tutto neces-

sario vivere meglio in Gesù Cristo Via, Veri-tà e Vita;

• per fare l’apostolato è del tutto necessariodare Gesù Cristo Via, Verità e Vita» (SanPaolo, gennaio 1958).

3) «Gli parve chiaro quanto diceva Tonio-lo, sul dovere di essere gli apostoli di oggi,adoperando i mezzi sfruttati dagli avversari».

«Noi dobbiamo sempre condurre le animeal paradiso: ma dobbiamo condurre non quellevissute dieci secoli or sono, ma quelle che vi-vono oggi. Occorre prendere il mondo e gli uo-mini come sono oggi, per fare oggi del bene. Èvero che alcuno può talmente esagerare in que-sto da credere che i mezzi usati ieri non servo-no più a nulla; è vero che adattarsi al mondo siè nascosto od anche negato dogmi, morale,

ascetica cattolica; ma gli abusi di una cosa, av-venuti per colpa degli uomini, non provano lamalizia della cosa stessa» (Appunti di TeologiaPastorale (ATP, 1915, p. 92).

Nell’incontro trasformante con il Cristo eu-caristico il giovane Alberione si sente rincuora-to dalla promessa della sicura assistenza divina,e insieme intravede tanti fratelli/sorelle che, co-me lui, sarebbero stati affascinati/e dal Maestrofino a consegnargli la propria esistenza!

4) «Si sentì profondamente obbligato a pre-pararsi a fare qualcosa per il Signore e gli uo-mini del nuovo secolo, con cui sarebbe vissu-to».

L’incontro con il Cristo Gesù ha segnato lavita di Alberione. D’ora innanzi egli non avràche un pensiero e un obiettivo: fare “qualcosa”

(oggettivamente, “qualcosa”; soggettivamente,“tutto”) per il Signore e per l’uomo del suotempo. Con le forze migliori e i mezzi più effi-caci: affinché l’invito di Gesù “Venite ad meomnes” raggiunga finalmente le grandi massee i lontani.

Questa è stata l’ansia apostolica-pastoraledel beato Alberione, l’apostolo di Gesù CristoVia Verità e Vita e il profeta dei nuovi mezzi dievangelizzazione.

A cura di don Olinto CRESPI, Delegato ISF

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Il Sinodo di ottobre è “straordinario” perché le-gato all’urgenza della questione da trattare. Il

suo compito primario sarà quello di valutare edapprofondire i dati presentati dalle Chiese parti-colari. Le linee pastorali, invece, saranno al cen-tro del Sinodo generale ordinario che si terrà nel-l’ottobre 2015, sul tema: “Gesù Cristo rivela ilmistero e la vocazione della famiglia”.

Prima parte: “Comunicare il Vangelo dellafamiglia oggi”

L’ Instrumentum ribadisce il “dato biblico”della famiglia, basata sul matrimonio tra uomo edonna, creati ad immagine e somiglianza di Dioe collaboratori del Signore nell’accogliere e tra-smettere la vita. L’insegnamento della Chiesa aproposito del matrimonio-fami-glia viene accettato dai fedeliparzialmente: in generale, si dice“sì” alla difesa della dignità dellavita umana, mentre si fa resisten-za alla dottrina sul controllo del-le nascite, sul divorzio o sulle re-lazioni prematrimoniali. Il tutto èdovuto anche al contesto socialecontemporaneo, in cui prevalgo-no l’individualismo, il materiali-smo, la “cultura dello scarto”.

a) Una riflessione specificaviene poi dedicata alla difficoltàdi comprendere il significato ed

il valore della “legge naturale”, posta alla basedella dimensione sponsale tra uomo e donna. Permolti, “naturale” è sinonimo di “spontaneo”, ilche comporta che i diritti umani vengano intesicome l’autodeterminazione del singolo soggettoche punta alla realizzazione dei propri desideri.

E questo apre alla teoria del gender, che mi-na l’idea del “per sempre” per l’unione coniuga-le, porta ad accettare la poligamia o il ripudio delconiuge. Non riconoscendo una legge naturale,le coppie di oggi praticano il divorzio, la convi-venza, la contraccezione, anche perché – soprat-tutto in Europa ed America settentrionale – i fi-gli sono visti come un ostacolo al benessere per-sonale.

b) Un’altra grande sfida è la privatizzazionedella famiglia, non più intesa co-me elemento attivo della societàe cellula fondamentale di essa.Per questo, si richiede che i nu-clei familiari siano tutelati dalloStato e recuperino il loro ruolo disoggetti sociali nei diversi conte-sti: lavoro, educazione, sanità,difesa della vita.

c) Guardando al modello del-la Santa Famiglia di Nazareth, ildocumento sinodale ribadiscel’importanza dei genitori comeprimi educatori della fede, sotto-linea la distinzione dei ruoli tra

Magistero della Chiesa

L' “Instrumentum laboris” del Sinodo sulla famiglia di ottobre 2014

L’8 ottobre 2013 Papa Francesco aveva convocato la 3a Assemblea Generale Straordinaria delSinodo dei Vescovi per svolgere il tema che è posto come titolo all’“Instrumentum laboris”: “Lesfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”. In esso si sviluppano i temi chequalificano il lavoro del Sinodo straordinario in programma in Vaticano dal 5 al 19 ottobre: IlVangelo della famiglia, le situazioni familiari difficili, l’educazione alla vita e alla fede.

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L’ “Instrumentum laboris”

padre e madre, ma anche la loro reciprocità ed illoro coinvolgimento nella crescita dei figli e del-l’economia domestica. Vera “Chiesa domesti-ca”, la famiglia va costruita ogni giorno “con pa-zienza, comprensione ed amore” per permetterelo sviluppo integrale dell’individuo.

Due, in particolare, gli elementi raccoman-dati dal documento: il legame costante tra fami-glia e parrocchia, “famiglia di famiglie”, e unaformazione continua – teologica, ma ancheumana ed esistenziale – per i nuclei familiari incrisi, soprattutto là dove si registra la violenzadomestica.

La seconda parte: “La pastorale della fami-glie di fronte alle nuove sfide”

Dopo aver ricordato l’importanza della pre-parazione al matrimonio, della promozione del-la pietà popolare a sostegno della famiglia e diuna spiritualità familiare au-tenticamente missionaria enon troppo autoreferenziale,l’Instrumentum entra nel vi-vo delle sfide pastorali con-temporanee.

a) Tante le situazioni criti-che che la famiglia deve af-frontare oggi: la debolezzadella figura paterna, la fram-mentazione dovuta a divorzie separazioni, le violenze e gli abusi su donne ebambini («un dato davvero inquietante che inter-roga tutta la società e la pastorale familiare dellaChiesa»), la tratta dei minori, le droghe, l’alcoli-smo, la ludopatia, la dipendenza da social net-work che impedisce il dialogo in famiglia e rubail tempo libero alle relazioni interpersonali.

Il documento sinodale mette in evidenza an-che l’incidenza del lavoro sulla vita familiare:orari estenuanti, precarietà, flessibilità che com-porta lunghi spostamenti, l’assenza del riposodomenicale ostacolano la possibilità di stare in-sieme, in famiglia.

b) Affronta, poi, le situazioni pastorali diffici-li e sottolinea come la convivenza e le unioni difatto spesso siano dovute ad una scarsa forma-zione sul matrimonio, alla percezione dell’amo-re solo come “un fatto privato”, alla paura del-l’impegno coniugale inteso come perdita dellalibertà individuale. Non mancano ragioni socia-li, tra cui la disoccupazione giovanile, la man-canza di un’abitazione e di politiche familiariadeguate. Educazione all’affettività e presenzaamorevole della Chiesa per aiutare soprattutto igiovani ad intendere l’amore come tensione adun progetto di vita in comune…

c) Il documento dedica un’ampia parte alla“situazioni di irregolarità canonica”, poiché le ri-sposte pervenute si concentrano soprattutto suidivorziati risposati. In generale, si mette in risal-to il numero consistente di chi vive con “noncu-ranza” tale condizione e non richiede, quindi, di

potersi accostare all’Eucari-stia o alla riconciliazione. Al-tre volte, invece, tanti si sen-tono emarginati, si domanda-no perché altri peccati vengo-no perdonati e questo no, av-vertono il divieto di accedereai sacramenti come una puni-zione e, di conseguenza,aprono la via ad una “menta-lità rivendicativa” nei con-

fronti dei sacramenti stessi. In sostanza, l’Instrumentum evidenzia che

per le situazioni difficili la Chiesa non deve as-sumere un atteggiamento di giudice che condan-na, ma quello di una madre che sempre accogliei suoi figli, sottolineando che «il non poter acce-dere ai sacramenti non significa essere esclusidalla vita cristiana e dal rapporto con Dio».

In quest’ottica, massima accoglienza e dispo-nibilità viene richiesta ai parroci nel caso in cuinon praticanti e non credenti chiedano il matri-monio, poiché ciò può essere un’occasione pro-pizia per evangelizzare la coppia. Imprescindibi-

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le rimane, inoltre, la necessità che la Chiesa ac-compagni le coppie anche dopo le nozze, con in-contri mirati.

d) Circa le unioni tra persone dello stessosesso, inoltre, si mette in luce che tutte le Con-ferenze episcopali dicono “no” all’introduzio-ne di una legislazione che permetta tale unione“ridefinendo” il matrimonio tra uomo e donna.Viene comunque richiesto un atteggiamento ri-spettoso e non giudicante nei confronti di que-ste persone, mentre si evidenzia la mancanzadi programmi pastorali al riguardo, poiché sitratta di fenomeni recenti. Allo stesso tempo, lerisposte riportate nell’Instrumentum si pronun-ciano contro una legislazione che permettal’adozione di bambini da parte di persone inunione omosessuale, perché si vede messo a ri-schio il bene integrale del minore, che ha biso-gno di una madre e di un padre. Tuttavia, se ta-li persone chiedono il battesimo per il bambi-no, esso deve essere accolto con “la stessa cu-ra, tenerezza e sollecitudine” che si ha nei con-fronti degli altri minori.

Terza parte: “L’apertura alla vita e la re-sponsabilità educativa”

Il documento constata come la dottrina dellaChiesa sull’apertura alla vita da parte degli spo-si sia poco conosciuta nella sua dimensione po-sitiva e quindi considerata un’ingerenza nellacoppia e una limitazione all’autonomia della co-scienza. Di qui, la confusione che si crea tra icontraccettivi ed i metodi naturali di regolazio-ne della fertilità: erroneamente ritenuti ineffica-ci, essi invece – spiega il documento sinodale –rispettano l’ecologia umana e la dignità della re-lazione sessuale fra i coniugi.

Relativamente alla profilassi contro l’Aids, sirichiede alla Chiesa di spiegare meglio la sua po-sizione, anche per rispondere ad alcune “riduzio-ni caricaturali” dei media e per evitare di rac-chiudere il problema in una mera questione “tec-nica”, quando invece si tratta di «drammi che se-

gnano profondamente la vita di innumerevolipersone».

Risposte fondate, che vadano oltre la con-danna generica, vengono richieste anche peraffrontare l’ideologia del gender, “sempre piùpervasiva”, mentre si sottolinea l’importanzadi spiegare i metodi di regolazione naturaledella fertilità in collaborazione con centri uni-versitari appositi e dando più spazio a tale te-matica nella formazione dei presbiteri, poichéspesso i sacerdoti risultano impreparati sull’ar-gomento. In generale, comunque, il suggeri-mento è quello di promuovere una mentalitàaperta alla vita anche grazie all’impegno civiledei cristiani nel favorire leggi e strutture chesostengano la vita nascente.

Riguardo, infine, alla trasmissione della fedeall’interno della famiglia, l’Instrumentum sotto-linea la cautela, dovuta all’insicurezza, con laquale oggi i genitori spingono i figli alla praticareligiosa, e richiama l’importanza di sostenere lescuole cattoliche, che sempre più suppliscono al-la famiglia e devono quindi creare «un’atmosfe-ra accogliente, capace di mostrare il vero voltodi Dio».

Quanto alla trasmissione della fede in conte-sti difficili – come ad esempio quello in cui ge-nitori in situazione irregolare chiedono i sacra-menti per i propri figli – l’approccio più richie-sto è l’accoglienza senza pregiudizio, perché«molte volte sono i figli ad evangelizzare i geni-tori» e affinché i ragazzi comprendano che «irre-golari sono le situazioni, non le persone».

«Appare sempre più necessaria – si legge neldocumento – una pastorale sensibile, guidata dalrispetto di queste situazioni irregolari, capace dioffrire un fattivo sostegno all’educazione dei fi-gli». In quest’ottica, va rivalutato il ruolo del pa-drino e della madrina nel cammino di fede dibambini e ragazzi, mentre un accompagnamentopastorale specifico viene richiesto per i matrimo-ni misti e con disparità di culto.

A cura della Redazione

Magistero della Chiesa

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I luoghi della grazia della storia alberioniana

La cascina “L’Agricola”

Con un nuovo “sammartino” (così dettoperché i contadini affittavoli si sposta-

vano ai primi di novembre, in prossimitàdella festa di san Martino) la famiglia Albe-rione, facilmente nel 1885, fa trasloco dallacascina “Le nuove Peschiere”, sita in SanLorenzo di Fossano, alla cascina “L’Agrico-la”, in frazione Fraschetta, comune di Chera-sco; una cascina di circa 50 giornate di terre-ni lavorati a campo e a prato, che papà Mi-chele e mamma Teresa affittarono, sperandoche le prospettive di guadagno fossero piùrosee di quelle godute alla cascina “Le nuo-ve Peschiere”..

Al momento del trasloco Giacomino avevanemmeno due an-ni. Gli altri figli,nati alla cascina“Grione” di Rivadi Bra, avevano:Giovenale quasi 8anni, Giovanni Lu-dovico quasi 6 an-ni e Francesco 4anni. Alla cascina“L’Agricola” nac-quero gli ultimidue figli: Marghe-rita, l’unica sorel-

lina che visse appena 15 mesi, e Tommaso(Tômalin).

La famiglia Alberione vi è rimasta per 24anni; furono anni di povertà, di sofferenze edi gioie. I ricordi legati alla cascina rivelanolo stile semplice di quella famiglia che donAlberione riassume così: «I figli, anche pic-coli, crescevano nel timore di Dio e ciascunodoveva fare lavoretti o lavori grossi, secondole forze: dalla cura dei pulcini ai lavori piùpesanti nei campi... Non si conoscevano va-canze estive, né riposo invernale. Anche nelperiodo successivo (dagli 11 ai 23 anni) la ri-creazione consisteva, per lo più, nel cambiareoccupazione» (AD 124-125).

Scrive don Luigi Rolfo, raccogliendo leconfidenze dell’ultimo fratello, Tômalin,morto nel 1985 presso di noi alla venerandaetà di 96 anni: «La famiglia non ebbe mai unorologio o una sveglia; la sua giornata era re-golata dal passaggio dei treni sulla vicinissi-ma linea Torino-Savona. Vedevano il treno adogni ora, ma non lo prendevano mai per ri-sparmiare; andavano abbastanza spesso adAlba, ma sempre a piedi; e a piedi si portòTômalin ad Alba su commissione della mam-ma nel 1921 per vedere e controllare che paz-zie commettesse “quel figlio”, il quale non fa-ceva che costruire. Talvolta i fratelli erano co-stretti ad andare a Messa ad ore diverse perpotersi scambiare le scarpe. Tutti i figli di Mi-

Vivere le cose ordinariein modo straordinario

Continuiamo la nostra visita ai luoghi fondazionali di don Alberione, senza la grazia dei qua-li non avremmo la “mirabile Famiglia Paolina”. Ogni luogo è una scintilla del percorso che siè snodato nella vita del nostro Fondatore, che si è definito un “semi-cieco” che di tanto in tan-to viene illuminato, perché possa procedere; e ci assicura che in tutto questo “Dio è la Luce”.

Maria Cravero, direttrice di-dattica di Cherasco al tempodi don Alberione

chele frequentarono le scuole fino alla quartaelementare. E per raggiungere la scuola aCherasco dovevano percorrere oltre tre chilo-metri, e altrettanti per tornare a casa».

Una causa di sofferenza in famiglia, so-prattutto per il padre, fu la decisione di Gia-como di “farsi prete”. Di qui ha origine il con-trasto tra papà Michele e Giacomo, quandoquesti entrò nel seminario di Bra; ma poi tut-to si risolse con il suo consenso. Qui morì pa-pà Michele il 26 novembre 1904.

La cappella di Santa Brigida

È la piccola chiesa, sita in frazione Fra-schetta, dove qualche volta alla domenica ve-

niva celebrata laSanta Messa. Laprofessoressa MariaCravero, vedovaBonfante, – nata aCherasco il 22 feb-braio 1897, decedutaa 106 anni – fu diret-trice scolastica diCherasco per moltianni; molto vicina altempo in cui don Al-berione necessitavadell’aiuto di personecompetenti per rego-

larizzare la situazione scolastica dei suoi ra-gazzi.

I suoi ricordi sono molto vivi. Leggo soloun passaggio di quello che don Alberione ledisse a proposito della cappella di Santa Bri-gida:

«Vede quella casa bianca laggiù, fra gli al-beri, quasi al confine di Cherasco con Bra? Vitrascorsi l’infanzia e la fanciullezza con lamia famiglia. Avevo sei anni quando, sogget-to all’obbligo scolastico, iniziai a percorrere

quotidianamente il sentiero che univa la miacasa isolata alle altre della zona denominataFraschetta. La cappella di Santa Brigida era ilpunto obbligato di riunione di tutti i bambinidella zona che, in gruppo, si avviavano allascuola del capoluogo. Qui sorgeva il primoproblema: come attraversare il fiume Stura?Se il casellante della ferrovia era assente, dicorsa si percorreva il ponte ferroviario e si ab-breviava il percorso; in caso contrario si per-correva la strada vicinale, si attraversava ilfiume sul Ponte di ferro, ci si inerpicava perle ripe della Madonna e, ansanti, si raggiun-geva il piazzale del santuario. Qui, immanca-bilmente, don Faber, il cappellano della chie-setta, era presente col suo breviario, il suosorriso, il suo incoraggiamento.

Lo “squadrone” della Fraschetta, termina-te le lezioni antimeridiane e consumato nelrefettorio scolastico il piatto di minestra chela scuola offriva gratuitamente agli scolariprovenienti dalla campagna, correva alla casadi don Faber: se il tempo era favorevole sigiocava sul piazzale della chiesa, dove noicontadinelli che vivevamo nei cascinali isola-ti, imparammo il vero significato e la validitàdel gioco collettivo. Se il tempo non era pro-pizio, si entrava in chiesa, dove don Faber ciraccontava la lunga storia del santuario de-scritta in otto quadri, esposti attorno all’altarmaggiore. Ma il premio più grande per noi erail soggiorno nello spazioso cortile-giardinodella casa, dove in grandi voliere cinguettavauna miriade di uccelli, di tutti i colori, di tut-te le razze. E fra tanto cinguettare l’uccellodei nostri sogni: l’uccello parlante! Una gaz-za che ci salutava con un gracchiante: “Sia lo-dato Gesù Cristo!”...

Ogni giorno, alle ore 16, libera dall’orarioscolastico, la squadra della Fraschetta si riu-niva sui bastioni; scendeva a precipizio dalleripe della Madonna, riattraversava il ponte diferro, ripercorreva di corsa la strada vicinale

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Vivere le cose ordinarie in modo straordinario

La cappelladi Santa Brigida

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e davanti alla chiesa di Santa Brigi-da si dava l’appuntamento per ilgiorno seguente.

Ero l’ultimo a raggiungere lamia abitazione: il buio e la solitu-dine mi rattristavano, ma la mam-ma conosceva le mie debolezze eveniva ad incontrarmi. Mi prende-va per mano e mi diceva: “Nonaver paura; quando passi davantialla cappella di Santa Brigida, rac-comandati alla sua protezione, neha fatti dei lunghi viaggi nella suavita e non le è mai successo nulladi grave”. Pensavo a Santa Brigida,ma ero felice di essere stretto permano alla mia mamma...».

La scuola

L’edificio in cui il piccolo Giacomo fre-quentò la scuola, non esiste più. Allora ebbela straordinaria fortuna di incontrare, nelbiennio di prima elementare (che compren-deva la prima inferiore e la prima superiore)e nella seconda elementare la maestra RosinaCardona, donna di profondi sentimenti reli-giosi, la quale, assieme all’istruzione scola-stica, sentiva il dovere di dare ai suoi scolariuna preparazione alla vita. Di lei don Albe-rione ha tessuto un breve ma significativoelogio: «La maestra Cardona tanto buona,vera Rosa di Dio, delicatissima nei suoi do-veri...» (AD 9).

Sul registro della scuola, nell’anno scola-stico 1890-1891, sono segnati 80 nomi che di-vennero 88 l’anno seguente. Fu durante l’an-no scolastico della prima classe inferiore cheun giorno la maestra Cardona, richiamandol’attenzione dei suoi 80 alunni, propose unamini inchiesta. Ricorda così quel momentodon Alberione:

«Egli ricorda un giorno dell’anno scola-stico 1890-1891. La maestra Cardona... inter-rogò alcuni degli 80 alunni su che cosa pen-savano di fare in futuro, nel corso della vita.Egli fu il secondo interrogato: rifletté alquan-to, poi si sentì illuminato e rispose risolutotra la meraviglia degli alunni: “Mi farò pre-te!”. Ella lo incoraggiò e molto lo aiutò. Erala prima luce chiara... Anche in famiglia in-cominciarono a considerarlo e disporre le co-se che lo riguardavano verso quella meta de-siderata. Tale pensiero lo salvò da tanti peri-coli. Da quel giorno ogni cosa rafforzava inlui tale decisione. Ritiene sia stato frutto del-le preghiere della madre che sempre lo custo-dì in modo particolare; ed anche di quellamaestra tanto pia che sempre chiedeva al Si-gnore che qualche suo scolaro divenisse sa-cerdote» (AD 9-10). E la maestra Cardonaebbe la gioia di assistere alla sua ordinazionesacerdotale.

Don Venanzio FLORIANO ssp2 - Continua

I luoghi della grazia della storia alberioniana

La cascina “L’Agricola”, che fu anche sede di una scuola

Carissimi,il 24 giugno scorso si è radunata la Commissione per

prendere in considerazione e dare una prima lettura-va-lutazione alle risposte del “Questionario”, elaborate e in-viateci da voi sacerdoti dell’Istituto. A nome dei membridella Commissione e anche del Consiglio sento di rin-graziare tutti coloro che hanno risposto, attuando unodegli impegni programmati per celebrare, come Istituto,il Centenario della Famiglia Paolina.

Ci sono pervenute 118 risposte effettive: tenendopresenti una decina di risposte elabo-rate assieme con altri e varie altre ri-sposte sintetiche tramite lettera, co-municazioni mail e anche libri auto-biografici.

Se, poi, consideriamo una quaranti-na di risposte in pectore (se così pos-siamo dire) di membri anziani e mala-ti che, durante la mia visita fraterna, mihanno espresso a voce il loro sentire,manifestando viva gratitudine perl’Istituto e sincero dispiacere per non trovarsi nella si-tuazione di concentrarsi e rispondere, in pratica possia-mo affermare che quasi i due terzi dei membri dell’Isti-tuto hanno risposto e hanno manifestato il loro sentire.

Il lavoro che ci attende...

I lavori della Commissione continueranno e anche ilConsiglio, nel prossimo Incontro, lavorerà sulle rispostepervenute: si cercherà di dare una lettura-valutazioneapprofondita per studiare e proporre, alla luce di quanto

emerso, Linee Operative in vista di unrinnovamento e rilancio dell’Istituto.Ricordo, infatti, l’obiettivo che ci era-vamo proposti: «Svolgere una riflessio-ne sistematica sull’IGS che possa risul-tare utile innanzitutto alla crescita deimembri e poi anche per proporre l’Isti-tuto ad altri presbiteri. Definire un re-golamento dello Statuto, rivisitarel’identità per una più viva appartenen-za all’IGS, comprendendo come il cari-sma paolino debba essere attualizzatonella vita diocesana del presbitero di

oggi, abbracciando la scelta dei Consi-gli evangelici nella specifica spirituali-tà della Famiglia Paolina».

L’identità del prete (anche quella delprete dell’Istituto) è un processo dina-mico, sempre in continua crescita: sia-mo invitati a cercare e sperimentarenuovi orizzonti di fede e di apostolato,tenendo presente che per svolgere ilproprio ministero in modo autentico erinnovato, sono da scoprire e attuarenuove strategie pastorali e nuovi stili di

ISTITUTO“GESÙ SACERDOTE”

Istituto di vita consacrata per Sacerdoti diocesani

Comunicazione del Delegato

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COMUNICAZIONE DEL DELEGATO

vita; possiamo capirlo anche dallo stimolante stile pasto-rale del Papa che sta facendo tanto del bene alla vitalitàdella Chiesa. Un sacerdote, nella sua vita, non giungemai ad esser pienamente ministro del Signore. La vitacristiana e la missione apostolica, ricordano i Padri, è unricominciare sempre, «di inizio in inizio, attraverso ini-zi che non hanno mai fine» (Gregorio di Nissa).

Le esperienze del passato sono inadeguate nelvivere il presente...

Sappiamo, inoltre, che in tutte le tappe della nostravocazione-missione la chiamata di Dio è continua; econtinua deve essere la nostra risposta. Questa dinami-ca di rinnovato ascolto e risposta deve coinvolgere, inmodo particolare, tutti i membri della Famiglia Paolina,perché una delle dimensioni della spiritualità, trasmes-saci da don Alberione, è quella di protendersi sempre inavanti, scrutando con lucidità e tenacia i segni dei tem-pi. Le difficoltà stesse che incontriamo come presbiteri,non devono risultare di ostacolo nel valorizzare i molte-plici doni ricevuti, bensì una risorsa per confermarci inessi, «sapendo che siamo stati unti dal Signore che nonci ha dato uno spirito di timidezza, ma uno Spirito diforza, di amore e di saggezza» (2Tim 1,6-7).

Siamo chiamati a riattivare la memoria del grandedono ricevuto, perché il passare del tempo rischia di in-durre smemoratezza, di farci dimenticare il movente checi ha spinti ad accogliere la speciale chiamata del Signo-re. Il quotidiano spesso difficile, le fatiche degli impegnidel ministero ci possono allontanare dal fondamentodella nostra missione che è uno solo: seguire Cristo,amare Lui, stare con Lui per annunciarlo integralmenteed efficacemente a tutti gli uomini, con tutti i mezzi piùefficaci.

Un po’ in tutte le realtà ecclesiali le impostazioni e leesperienze del fecondo passato sono inadeguate nel vi-vere le situazioni presenti, molto cambiate e soggette avarie trasformazioni. Anche noi dell’IGS siamo alla ri-cerca di una rinnovata impostazione di fraternità, di atti-vità pastorale, di fedeltà al ministero: diversa non certonei fondamenti spirituali da consolidare, ma nelle moda-

lità di vivere e testimoniare la spiritua-lità paolina, svolgendo l’attività aposto-lica affidata dalla propria Diocesi.

Due dati contrastanti emersi dallerisposte al Questionario...

Come già evidenziato sopra, il lavo-ro sulle risposte al Questionario dovràcontinuare: questo anche per valorizza-re al massimo l’impegno e la fatica chela maggior parte dei membri ha saputomanifestare, compilandolo.

A suo tempo verrete tutti informatisu quanto emerso e sul lavoro che do-vremo tutti continuare a svolgere, allaluce delle Linee Operative che verrannostudiate (anche assieme a voi) e propo-ste a tutti. Il sottoscritto e qualcuno deiConsiglieri ci impegneremo ad infor-mare adeguatamente tutti i membri, ne-gli incontri di Ritiro, negli Esercizi, nel-le visite fraterne che farò ai sacerdotiimpediti di partecipare agli incontri,cercando di coinvolgere ognuno nel-l’individuare e interiorizzare cammininuovi, una testimonianza di comunionepiù significativa e un’attività apostolicapaolina più efficace.

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Ravvivare la fraternità tra i membri IGS e contutti i sacerdoti

In questa comunicazione mi limito a mettervi a cono-scenza di alcune espressioni da voi scritte, riguardo so-prattutto alla domanda: «...cosa ha apportato alla tuavita di prete diocesano il “proprium” della spiritualitàdell’IGS?». Gli aiuti ricevuti e da voi evidenziati nellerisposte fanno riferimento a queste dimensioni: «fortistimoli e continue benedizioni• “a perseverare nel bene nonostante tentazioni varie e

fatiche del ministero pastorale...”;• “ad affrontare e superare obbedienze sacrificate e col-

laborazioni difficili con altri preti”; • “a curare una pastorale più aperta e dinamica...”; • “a coltivare una mentalità universale come quella di

Paolo in una Diocesi chiusa...”;• “a mettere insieme (unità di vita) profonda interiorità

e necessaria estroversione...”; • “a riequilibrare il ‘fare’ con l’’essere’: prima ero trop-

po preso dal ‘fare’...”;• “a perseverare nell’annuncio del Vangelo con lo zelo

paolino, nonostante forti ostilità”;• “a tenere vivo l’entusiasmo per il ministero, nono-

stante molte prove, come Paolo...”;• “a rendermi sempre disponibile, anche nelle obbe-

dienze difficili, trovando vera pace...”;• “a risultare più coerente: come se avessi un’ala in

più” (vari hanno parlato di ali in più);• “a riorientare la bussola del mio sacerdozio verso la

santità di vita, la missione...”;• “mi ha dato una marcia in più, anche per le preghiere

di tanti membri della FP...”».

Poco sopra ho parlato di dati contrastanti: infatti, purmanifestando, la maggior parte di voi, gratitudine al Si-gnore per le grazie ricevute appartenendo all’Istituto; epur ribadendo tutti, nell’ultima domanda, che l’Istituto èvalido ancora oggi ed è assolutamente da promuoverepresso altri preti; poi, però, la maggior parte candida-mente dichiara con rammarico che non sta facendo nul-la per promuoverlo.

Tutti siamo consapevoli, spero, che soprattutto tra-

mite il passaparola e la proposta calo-rosa e costante (pur delicata e trepidan-te) ad altri preti della Diocesi, potrà ve-rificarsi che il dono ricevuto possa es-sere conosciuto, accolto e goduto an-che da altri preti. È quanto è capitato aparecchi di voi, come avete saputo evi-denziare rispondendo al Questionario.Dobbiamo veramente coinvolgerci tut-ti di più, a livello zonale, nel saper tra-smettere questo dono ad altri preti.

Un’ultima considerazione sulla co-statazione realistica ed oggettiva (sentodi confermare) evidenziata da parecchidi voi riguardo al fatto che, in alcune zo-ne, è diminuito lo spirito di fraternità ecomunione tra i membri. Sostenendo,giustamente, che venendo meno la testi-monianza di una vivace fraternità, non siè più significativi e punto di riferimentoper gli altri preti della Diocesi: viene amancare la testimonianza di comunione,molto carente nei presbiteri diocesani eperciò molto importante da dare.

Anche su questa tematica, penso espero che sarete tutti d’accordo comenon ci si possa limitare a constatare ilvenir meno di una viva e visibile frater-nità: non basta la denuncia, ma siamochiamati a dare tutti il nostro contributoperché la partecipazione agli Incontri eagli Esercizi, la comunione tra noi e contutti risulti più vivace e significativa. Lacomunione tra noi e con tutti è da favo-rire, costruire e fecondare, non basta li-mitarsi a denunciarne la carenza.

Che il Signore, sotto la protezionedi Maria Regina degli Apostoli e perintercessione di san Paolo e del beatodon Alberione, continui a benedircitutti e sempre.

Don Emilio CICCONI, Delegato [email protected]

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Comunicazione del Delegato

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Spiritualità paolina

Don Alberione sente di poter vivere in pie-nezza l’esperienza eucaristica del Maestro

Gesù, così come era stato anche per l’Aposto-lo Paolo.

«La vita della Famiglia Paolina viene dal-l’Eucarestia; ma comunicata da san Paolo. Lariconoscenza più viva va a Gesù, Maestro Di-vino, nel suo sacramento di luce e di amore;alla Regina Apostolorum, Madre nostra e diogni nostro apostolato; a san Paolo, che è ilvero fondatore dell’Istituzione. Infatti egli ne èil Padre, Maestro esemplare, protettore.

Egli si è fatta questa famiglia con un inter-vento così fisico e spirituale che neppure ora,a rifletterci, si può intendere bene, e tanto me-no spiegare. Tutto è suo. Di lui, il più comple-to interprete del MaestroDivino, che applicò il Van-gelo alle nazioni e chiamòle nazioni a Cristo» (Cir-colare “San Paolo”, lu-glio-agosto 1934).

«La fede, operando permezzo della carità, ci uni-sce a Gesù Cristo in cui siè incarnata la santità, lavita divina. Essa fa di più:crea in noi l’essere nuovo,animato dallo spirito diGesù Cristo. Uniti, abban-donati in Lui per questa vita, noi possiamo faree facciamo ciò che egli ha fatto; noi moriamo inLui alla carne e al peccato, per rinascere allavita spirituale. Parlando più esattamente. IlCristo solo vive, pensa, opera, ama vuole, pre-ga, soffre, muore e risuscita in noi. Capo del-l’umanità rigenerata, Egli forma, di tutti i cre-denti, un corpo mistico le cui membra sono

strettamente unite dalla carità che anima unamedesima vita, ove batte un sol cuore, il Cuoredi Gesù Cristo” (Donec Formetur, p. 64).

L’esperienza cristocentricae cristificante di Paolo

L’Apostolo non ha avuto rapporti con il Ge-sù storico; quindi l’esperienza di Gesù perPaolo, è soprattutto un’esperienza eucaristicadi Cristo e del suo Corpo mistico, che è laChiesa.

Scrive nella prima Lettera ai Corinzi: «Io,infatti, ho ricevuto dal Signore quello che amia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù,

nella notte in cui venivatradito, prese del pane e,dopo aver reso grazie, lospezzò e disse: “Questo èil mio corpo, che è pervoi; fate questo in memo-ria di me”. Allo stessomodo, dopo aver cenato,prese anche il calice, di-cendo: “Questo calice èla nuova alleanza nel miosangue; fate questo, ognivolta che ne bevete, in me-moria di me”. Ogni volta,

infatti, che mangiate questo pane e bevete alcalice, voi annunciate la morte del Signore,finché egli venga (11,23-26).

Che Paolo ci sia maestro e, attraverso la suaesperienza di incontro con il Gesù eucaristico,ci insegni come vivere ed incarnare personal-mente ed esistenzialmente il vertice del suocammino di preghiera contemplativa che lo ha

L’esperienza eucaristica del Maestro Divino per Paolo ed Alberione

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L’esperienza eucaristica

portato a proclamare: «Ho incontrato lui, misono nutrito di lui»; quindi, «Per me vivere èCristo e morire un guadagno» (Fil 1,21); «So-no stato crocifisso con Cristo, non sono più ioche vivo ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).

Dalla contemplazione di questi testi si puòintuire qualche elemento di tutta la tensioneeucaristica della vita di Paolo, conquistato esedotto da Gesù che incontra sì in visione sul-la via di Damasco e gli “rivela” la sua chiama-ta, ma con il quale non ha vissuto la prossimi-tà amicale dei tre anni dei suoi amici e “colle-ghi” apostoli…

Allora pensiamo a quanto sia importante evitale per Paolo attingere al mistero della pre-senza eucaristica di Cristo per sentire tangibil-mente e sperimentare nel banchetto eucaristicoe nella contemplazione del Corpo e Sangue delSignore, quanto questo Signore lo ami, lo desi-deri,e quanto sia importante per lui. «Paolo –sembra dirgli Gesù in continuazione – non hoamore più grande di questo: dare tutto me stes-so per te» (cf Gv 15,13).

Paolo è qui introdotto nella stessa intimitàcon il Gesù storico e terreno che i Dodici han-no goduto, sperimentato e contemplato. Gli èpossibile fare l’esperienza unica ed irripetibi-le di Giovanni, l’apostolo che pone il capo sulpetto, sul cuore del suo amico e Maestro (cfGv 13,25), che sente tutta l’intensità della sua“ordinazione episcopale” che nasce anche perlui da quella notte del giovedì santo nel cena-colo: “Prendete e mangiate…”; ”Prendete ebevete…”. Ed è ancora qui che può riviverequotidianamente ed efficacemente l’incontrola sera di Pasqua di Gesù con i suoi apostoli,sempre nel cenacolo: «Ricevete lo SpiritoSanto a chi rimetterete i peccati saranno ri-messi e a chi non li rimetterete resteranno nonrimessi» (Gv 20,22-23).

Tutto questo può essere il sottofondo vita-le e la vera matrice contemplativa del raccon-to paolino dell’istituzione dell’Eucarestia che

troviamo nel nostrotesto, che ora vo-gliamo vedere piùda vicino.

Paolo vuole en-trare con forza nelmistero di croce, disangue, di autodona-zione di Gesù: losente come un “do-no-impegno”, rice-vuto direttamentedal Signore. C’èchiaramente dietroquesta affermazio-ne-realtà tutta la for-za della spiritualitàdell’alleanza chePaolo incarna congioia nella sua vitacome risposta al sa-crificio di alleanzache il suo Signore fanel suo sangue.

“Io ho ricevuto”

Paolo riceve co-scientemente dalsuo Signore il compimento di tutto il cammi-no redentivo del “sangue versato in sacrifi-cio”. Si parte dal sangue degli animali del sa-crificio di Abram in Gen 15, dove è presenteJahvè che fa liberamente alleanza con Abram;al sangue del sacrificio di alleanza con cuiMosè asperge il popolo in Es 24; fino a que-sto nuovo sangue versato una volta per tutte,per stipulare e portare a compimento un’alle-anza eterna nel sangue del Cristo, Agnello diDio e Figlio di Dio, che chiede, però, di esse-re riattualizzata e reincarnata in ogni presen-te, in ogni oggi.

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Spiritualità paolina

Paolo si sente, così, il ricevente “attualizza-tore” di tutta questa potenza redentiva: «Nonsono più io che vivo, ma Cristo vive in me». Èchiamato a vivere tutto questo dentro un climadi gioia sofferta e sudata, come è stata quellanotte per il suo Signore.

Sangue effuso per la salvezza dei fratelli, cer-to, ma sangue che deve uscire dalle sue vene, co-me nel Getsemani è stato per Gesù, per giunge-re – come il Figlio di Dio – a dire inginocchian-dosi e pregando: «“Padre, se vuoiallontana da me questo calice!Tuttavia non sia fatta la mia, mala tua volontà”; e in preda all’an-goscia pregava più intensamente;ed il suo sudore diventava comegocce di sangue, che cadevano aterra…» (Lc 22,42.44).

Come sul Calvario, dovequel sangue deve fuoriuscire tut-to dalle piaghe dove sono con-ficcati i chiodi, dai fori provoca-ti dalla corona di spine, dalle fe-rite lacero-contuse causate daquegli infernali strumenti, cheerano i “flagelli romani” – bendiversi dai “39 colpi” ebrei, chePaolo aveva ricevuto ben cinquevolte (cf 2Cor 11,24) – fino allafuoriuscita di “sangue ed acqua”perché “tutto sia compiuto” (cfGv 19,30.34).

Ecco la logica dell’inserimen-to nella sequela del Cristo eucari-stico, che Paolo vuole trasmetter-ci (cf 1Cor 15,2), che, però, va ancora più appro-fondita rivisitando insieme al Paolo, che sono io,alcune frasi di Gesù, che troviamo nel vangelo diGiovanni al capitolo 6, che ci aiutano a com-prendere sicuramente ancora di più per la nostravita il significato di Fil 1,21 e di Gal 2,20.

I versetti di Giovanni sono 6,56-57: «Chimangia la mia carne e beve il mio sangue di-

mora in me ed io in lui. Come il Padre che hala vita, ha mandato me ed io vivo per il Pa-dre, così anche colui che mangia di me vivràper me». A cui fanno eco: «Se uno mi vuolservire mi segua, e dove sono io là sarà ancheil servo. Se uno mi serve il Padre mio lo ono-rerà» (Gv 12,26).

Il significato delle espressioni paoline si il-lumina. Paolo vive nella sua carne queste paro-le. Il suo essere apostolo è nell’immedesima-

zione profonda con il misterodel Cristo eucaristico, morto erisorto che Paolo vive la sua fe-de, il suo ministero. Niente hapiù a cuore che, a partire dallacomunione al sacrificio redento-re di Cristo, fare della sua vitaquel “sacrificio vivente, santo egradito a Dio”, che è la “liturgiaeucaristica della sua vita”, in cuilui, insieme al suo Signore, è“vittima,sacrificio ed altare”.

A ciascuno di noi, ora, tentaredi incarnare e di fare tutta nostraquesta esperienza paolina, sintesidi ogni cammino di vera sequela,che è autentica immersione em-patica e vitale nel mistero amicorivelato nella vita donata di unGesù, che ancora ha bisogno deinostri “sì” per portare a compi-mento «ciò che manca ai suoi pa-timenti a favore del suo corpo,che è la Chiesa» (Col 1,24).

È la lezione dell’Eucarestiavissuta come banchetto dell’Agàpe, come ce-lebrazione vitale e continua di quell’amore-do-nazione, che caratterizza tutto l’essere di Pao-lo, e che è quell’amore seducente che crocifig-ge Paolo alla croce risorta di Gesù, trovando inquesta l’unico senso e scopo del suo vivere edessere.

Don Fabrizio PIERI igs

Ostensorio del 1938, donato daun benefattore genovese. Dise-gnato dettagliatamente da donAlberione. Maria SS. presentaal mondo il Figlio sacramenta-to; i raggi simboleggiano imembri della Famiglia Paoli-na, definita “una raggiera”.

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Da questo quadro di impegni concreti, rac-comandati sempre da tutti i Pontefici,

emerge in tutta la sua forza apostolica la figu-ra di don Bernardo Antonini.

“La mia carriera è Cristo”

Fu definito “uomo abitualmente immerso inDio”. La sua intimità con Dio era caratterizza-ta dalla confidenza filiale che lo faceva sentireun bambino in braccio a sua madre (cf Sal131). Per la sua profonda e sapiente cultura bi-blica la sua preghiera era nutrita di parola diDio.

Visse in profonda relazione con le tre Per-sone della SS.ma Trinità, nella gioia di unapiena conformazione a Cristo Maestro e Pasto-re fino al «sono stato crocifisso con Cristo enon sono più io che vivo, ma Cristo vive in me.Questa vita che vivo nella carne, io la vivo nel-la fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e hadato se stesso per me» (Gal 2,20).

Innamorato della Parola di Dio, non era sol-tanto professore, ma anche educatore. Tennenella Diocesi di Verona una decina di Corsi bi-blici e moltissime Giornate del Vangelo e del-la Bibbia, tanto raccomandati anche dal beatoAlberione.

Il suo amore per Cristo, per la Chiesa e pertutta l’umanità lo portò alla consumazione disé. Ecco alcune sue espressioni: «O miei caris-simi “Tre”, datemi un cuore “paolino”, che amiil mondo, in particolare l’Italia, la Russia e laCina» (Dal registro Sante Messe 11.12.1990).

«Lo Spirito Santo per Maria Madre mi in-vitano fortemente ad essere il servo di tutti…:dei Vescovi, dei presbiteri, dei religiosi/e, deilaici, dei giovani, dei seminaristi, del Semina-rio, del Collegio, del settimanale, di RadioMaria, della Caritas, dei bambini, degli am-malati, degli ortodossi, dei lontani e degliatei… di tutti. Resterò in servizio in Russia,obbedendo ai segni di Dio. Perciò non dirò:“Me ne vado”… per le difficoltà, per le in-comprensioni, per le rimozioni o per il postodi lavoro» (Dal suo “Testamento spirituale”).La preghiera mariana del santo Rosario, la cuicorona teneva tra le mani, era per lui un balsa-mo nelle fatiche.

Membro dell’Istituto“Gesù Sacerdote”

Don Bernardo è stato per diversi anni Cap-pellano della comunità delle Figlie di san Pao-lo a Verona. Una consorella della comunità,colpita dal suo spirito di preghiera e dalla suaansia apostolica, gli offrì un libretto in cui siparlava dell’Istituto “Gesù Sacerdote”, fondatodal beato Alberione nel 1958.

Era la provvidenziale proposta ai sacerdotidiocesani di unire alla loro consacrazione pre-sbiterale la professione dei consigli evangelicidi povertà, castità e obbedienza, di cui più tar-di, nel documento “Vita consecrata”, GiovanniPaolo II sottolineerà l’importanza: «Una pre-ziosa funzione svolgono gli Istituti secolariclericali, i cui sacerdoti appartenenti al presbi-

Sacerdozio paolino

Don Bernardo Antonini,un apostolo senza frontiere

«In fedeltà al Vangelo – disse Papa Francesco ai sacerdoti in settembre 2013 – siamo chia-mati a raggiungere tutti coloro che si trovano nelle periferie esistenziali della società…».

terio diocesano si consacrano a Cristo median-te la pratica dei consigli evangelici secondouno specifico carisma» (n. 10).

L’incontro con l’Istituto paolino “Gesù Sa-cerdote” segnerà una svolta per la sua linea pa-storale circa l’uso dei mezzi di comunicazionesociale, spesso demonizzati nel campo forma-tivo negli anni prima del Concilio Vaticano II.

Il sogno nel cassetto: la Santa Russia

L’avventura missionaria di don Bernardo inRussia divenne la sua “periferia”.

È stata la lungimiranza del suo Vescovo,mons. Giuseppe Amari, a permettere che il so-gno diventasse realtà. Alla richiesta di donBernardo di voler passare l’estate del 1988 inRussia «non come turista ma come visitatoreattento», il Vescovo rispose: «Va’, io ti benedi-co!». Don Bernardo aveva 56 anni e non cono-sceva una parola di russo. Per imbarcarsi inquesta avventura iniziò a studiare la lingua.

Decise, però, di affidare alla Madonna que-sta esperienza. Difattiscrisse a don Stefano La-mera: «Ho già consacrato aMaria il mio soggiorno aMosca nel pellegrinaggiocon il mio presbiterio dio-cesano, giovedì 1 giugno,presso il Santuario dellaMadonna della Corona».

Raccontava don Ber-nardo «Tutte le sere il mioaltare era il davanzale del-la finestra della cameretta,nella residenza per studen-ti. Poggiavo il messale suldavanzale e, quando alza-vo la patena e il calice,avevo davanti… la grandemetropoli di Mosca, dieci

milioni di abitanti, illuminata a sera».Della fecondità della presenza di don Ber-

nardo a Mosca abbiamo la testimonianza del-l’Arcivescovo Metropolita Tadeusz Kondru-siewicz: «Il miracolo c’è ed è la rinascita spiri-tuale della Russia e di altri paesi dell’ex Unio-ne Sovietica dopo tre generazioni di persecu-zioni. Don Bernardo non era solo uno spettato-re di questo processo, ma ne era parte molto at-tiva… Lui è stato l’uomo della Provvidenza,giusto per il tempo giusto, messo da Dio al mo-mento opportuno».

Aveva a cuore l’unità della Chiesa e cerca-va di promuoverla in ogni modo. Sull’esempiodell’apostolo Paolo egli ebbe un’apertura uni-versale con una particolare attenzione allaRussia e alla Cina.

Martire dell’amore

Tra le tante motivazioni per spiegare il de-siderio incontenibile di andare nella SantaRussia formulò queste:

«Amo il popolo russo, perché mi sembracomposto di gente umile,mite, paziente, riflessiva,aperta agli altri. Amo ilpopolo russo, perché sen-to di condividere evange-licamente le sue sofferen-ze secolari e il suo trava-glio attuale. Amo il popo-lo russo, perché ricercasinceramente le vie dellalibertà, anche prima delbenessere economico, co-me ha dimostrato nei ter-ribili giorni del golpe:quindi lo amo, perché po-polo della speranza! Amola Chiesa ortodossa per laricca tradizione di fede, dicultura e di sofferenza che

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Don Bernardo Antonini

Don Bernardo nella Piazza Rossa a Mosca

Don Bernardo, il 5 aprile 1991, al momento di emettere la Professione perpetua dei Con-sigli evangelici, annotava le motivazioni che lo inducevano ad appartenere per sempre al-l’Istituto “Gesù Sacerdote”, fondato dal Beato Giacomo Alberione e aggregato alla Socie-tà San Paolo:

1. Per il valore intrinseco dei voti di obbedienza, di castità e di povertà:• a lode della SS. Trinità;• per una consacrazione più intima col Dio Vivente, Padre, Figlio e Spirito Santo;• come dono-impegno personale di totale sequela di N. S. Gesù Cristo, Via Verità e Vita;• per una maggiore santificazione mia e del mio prossimo;• per tendere alla perfetta “carità pastorale”, in cui si attua la santificazione del presbitero;• per una maggiore efficacia nel ministero pastorale; per un legame più profondo di obbe-

dienza soprannaturale e di collaborazione filiale col mio Vescovo.

2. Per una ricchezza spirituale che mi viene in vita e dopo morte con l’appartenenza allaFamiglia Paolina: sarò ricordato e suffragato in tutto il mondo dai membri dei dieci ra-mi delle fondazione del Servo di Dio, don Giacomo Alberione. Famiglia già presente nel-la Gerusalemme celeste e nella Chiesa pellegrina con apostoli sparsi per tutta la terra.

3. Per la grandezza specifica del carisma paolino:• centralità cristologica;• dimensione pneumatologico-ecclesiale della spiritualità;• universalità/mondialità del “cuore” di S. Paolo.

4. Per l’attualità e l’urgenza dell’apostolato paolino nel mondo di oggi:• tutto Gesù Cristo• a tutti gli uomini• con tutti i mezzi, particolarmente con i mezzi della comunicazione sociale.

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ha sopportato. Amo la teologia “russa”, per-ché mette in primo piano la SS.ma Trinità, ilCristo Risorto, lo Spirito Paraclito e MariaSS.ma Theotokos-Madre di Dio e Reginamundi venerata in migliaia di icone».

Il suo zelo missionario era incontenibile, lasua sete apostolica inestinguibile fino al punto– scrive nel suo “Testamento spirituale” – «Sefinirò in un angolo nascosto della Siberia, nelsilenzio, nel nulla, sarebbe il trionfo dell’amo-re. O mio Dio, mio tutto, annega nel tuo amo-re questa goccia d’amore; brucia e consuma

con il fuoco ardente dell’apostolato non tutti igiorni, ma tutti i secondi della vita che mi con-cedi. Signore, eccomi, sono tuo!».

A chi lo invitava ad aver cura della sua sa-lute, rispondeva: «Quando vedrete che donBernardo ha diminuito la capacità di lavoro,sappiate che sta morendo… Mi riposerò in Pa-radiso».

Don Venanzio FLORIANO sspDal libro Ricordati, Signore,

dei nostri padri, San Paolo

Sacerdozio paolino

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Uniti nel suffragio e nell’intercessione

DON PASQUALE ASCIONE* 09/01/1924 – † 09/04/2014

La nostra comunità (diocesi di Napoli) dice addio a uno dei suoi figli più cari: un semplice operaionella vigna del Signore e uno straordinario testimone di fede e spiritualità che ha saputo essere esem-pio visibile del suo essere sacerdote.Si è fatto apprezzare per la coerenza delle idee, la profondità religiosa e la ricchezza di umanità. Lasua missione resterà per sempre nei cuori di tutti quelli che lo hanno conosciuto. Formato ad un ca-rattere volitivo, che lo ha accompagnato in tutta la sua vita sacerdotale, aveva scelto come motto perla vita: “Impendar et superimpendar”di san Paolo.Nel 1954 il card. Mimmi gli affidò la parrocchia di Maria SS. Addolorata in Portici che ha curato co-me parroco fino al 1971, quando il card. Ursi lo trasferì alla parrocchia di San Giorgio Martire in SanGiorgio a Cremano. L’ansia del parroco fu quella di costruire un tempio nuovo per poter accogliereun numero maggiore di fedeli. A 75 anni chiese al card. Giordano di essere sollevato dall’incaricoparrocchiale, ma non gli fu concesso. Al successore, card. Sepe, ripropose la richiesta e il 15 maggio2007 poté ritirarsi.Nel periodo del suo servizio pastorale venne eletto decano di San Giorgio e San Sebastiano prima, epoi a curare l’ottava zona Pastorale come Vicario episcopale. Nel 1992 fu nominato Cappellanod’onore di Sua Santità Giovanni Paolo II, poi canonico del Capitolo Metropolitano Napoletano equindi prelato di onore dal Santo Padre Benedetto XVI. Don Pasquale ha sempre manifestato gratitudine e riconoscenza alla Famiglia Paolina nella personadi don Stefano Lamera, Delegato di ISG e ISF (1972-1997), consacrando il suo sacerdozio a GesùMaestro Via, Verità e Vita. Quanto egli ha voluto anticipare qui sulla terra, ora può viverlo nella pie-nezza del Regno. Don Pasquale è stato un sacerdote preoccupato di mettere la propria vita nelle ma-ni di Dio e di proiettandosi alla santità (mons. Antonio Tredicini igs).

DON FELICE SORBI* 09/06/1923 – † 07/04/2014

Don Felice è morto nel reparto di chirurgia dell’ospedale Versilia, a Lido di Camaiore, dove era sta-to ricoverato d’urgenza a seguito di un malore. A 90 anni d’età aveva appena terminato la visita del-le famiglie della sua parrocchia, che serviva da 44 anni. Tantissimi i fedeli che, commossi, hanno partecipato al rito funebre, presieduto dall’Arcivescovo ac-compagnato da moltissimi sacerdoti. Oltre alla popolazione di Bozzano, che ha gremito la chiesa,c’erano rappresentanze di Torre (paese nativo), di Brandeglio e di San Martino in Freddana, le altredue parrocchie già servite da don Felice nei primi anni di sacerdozio. L’Arcivescovo nell’omelia hatratteggiato la figura del Buon Pastore, incarnata nella persona e nel ministero di questo suo disce-polo fedele e testimone generoso. La chiesa di Bozzano era straripante di fedeli in preghiera che hanno mostrato riconoscenza verso illoro buon pastore così: «Quando lo volevi lo trovavi sempre in chiesa... in preghiera davanti al ta-bernacolo». - «C’era già presto al mattino prima della Messa». - «Spesso anche a notte inoltrata sivedeva il lumino acceso»...

Eppure era anche tanto presente tra la sua gente e dalle famiglie, negli ultimi anni fatte anche di tan-ti immigrati: era di un’austerità gioiosa, premuroso e cordiale con tutti, con preferenza per i più bi-sognosi; non si perdeva in chiacchiere; amministrava bene il suo tempo; era capace di dare consiglicon discernimento, che ricavava dalla sua costante meditazione; era di poche parole ma piene di sag-gezza evangelica: molti parrocchiani lo ricordano proprio per il bene ricavato dai suoi consigli e peril suo concreto aiuto in momenti difficili della vita... Si è tanto impegnato nell’evangelizzazione enella catechesi di adulti, giovani e ragazzi, ha curato la formazione dei suoi collaboratori laici del-l’Azione Cattolica.La sua appartenenza dell’IGS fin dal 1967 ha certamente contrassegnato anche il suo modo di esse-re prete diocesano e lo ha reso assai attento ai mezzi di comunicazione sociale per la diffusione delVangelo tra i suoi parrocchiani. Nutriva uno speciale amore all’Eucaristia e alla devozione mariana:ogni anno da Bozzano conduceva a piedi fino a Lucca, al Santuario di Nostra Signora in San Leo-nardo in Borgi un nutrito pellegrinaggio di suoi parrocchiani (don Lelio Pollastrini igs).

DON ANTONIO RIGHETTI* 25/11/1930 – † 25/11/2013

Don Antonio, il Signore ti ha voluto bene e ci ha voluto bene per mezzo della tua umanità serena eumile, laboriosa e paziente. Tu, don Antonio, sei stato la manifestazione concreta di come la vita or-dinaria di un prete diventi straordinaria se vissuta con umiltà e amore fedele. Sedici anni curato a Monteforte, sette parroco a San Vittore, ti hanno preparato all’esperienza di tren-t’anni a Castel d’Azzano e cinque ad Azzano, e infine alla Comunità di Casa Perez. La tua sensibilità e libertà di spirito ti facevano presente per intero, con sentimento e reciprocità inuna relazione umanamente ricca e senza bisogno di premesse, fronzoli ed altro. Con pieno rispetto edisponibilità sapevi dare ad ogni persona tutto il tempo che richiedeva. La preghiera scaturiva spontanea nella visita alle famiglie, agli ammalati, nella consultazione di per-sone, fidanzati, sposi, persone sofferenti, lavoratori in ogni occasione. Carisma particolare avevi perla Confessione, per dare chiarezza ed orientamento nei momenti problematici. Dicevi che noi colti-viamo il terreno, ma è il Signore che mette il seme e tien d’occhio la crescita.La tua predica era preparata con dedizione, un pensiero al giorno, scritto di buon mattino sul tuo qua-derno. Con i malati eri presente di regola ogni mese, per servire e confortare la loro fatica nella pro-va con un senso di servizio a loro e a Cristo, che li vuole incontrare e sostenere, che è di casa con lo-ro. Liturgia e Catechismo sono stati respiro quotidiano della vita parrocchiale, ma anche le gite, icampi in montagna, quante camminate hai guidato tra i monti. Un aspetto molto ricco e fecondo della tua vita è la relazione di reciproco aiuto con la sorella Rita,che si è dedicata fino in fondo alla condivisione della tua vita di Consacrato. Ma hai fatto posto nel-la tua vita ai confratelli preti, soprattutto all’amico don Silvano, e molti altri amici, fino a confluirenell’esperienza della zona che ti ha trovato naturalmente disponibile e propositivo, e hai avuto curadella Canonica, della Chiesa, delle Opere parrocchiali, non solo le opere murarie, tante! ma anche igruppi e le associazioni più varie, con persone disponibili per la naturale osmosi tra fede e opere.La Comunità di Castel d’Azzano nei tuoi 35 anni di servizio pastorale è cresciuta sei volte, creando-si insieme all’edificio chiesa, con le relazioni umane, i percorsi di formazione spirituale e di tradizio-ne sociale (dall’omelia di don Antonio Zera nel giorno del funerale).

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Uniti nel suffragio e nell’intercessione

DON LUIGI FABBRI* 14/12/22 – † 01/06/2013

A 92 anni è scomparso don Luigi che da oltre 25 anni ricopriva il ruolo di assistente religioso pres-so il San Pier Damiano Hospital a Faenza. Nato a Reda nel 1922, don Luigi era stato ordinato pre-sbitero nel 1946; in seguito era stato cappellano a Pergola, Cotignola, Boesimo, Poggiale e Bagna-cavallo, quindi nel 1966 era diventato cappellano dell’Ospedale civile di Faenza, passando infine nel1987 al San Pier Damiano Hospital. Il Presidente della struttura sanitaria, lo ricorda commosso: «Per conto del Cda del San Pier Damia-no Hospital esprimo un sentimento di profondo cordoglio per la scomparsa di don Luigi, che per ol-tre 25 anni è rimasto al servizio degli ammalati e dei loro congiunti con grande caritatevole umani-tà, attenzione e disponibilità. Lo ricorderemo sempre con gratitudine, stima e affetto». Come Delegato dell’Istituto Gesù Sacerdote (don Luigi ne faceva parte dal 1982) sono andato a tro-varlo a Faenza più volte per il fatto che era impedito di muoversi e perché da anni aveva perso qua-si completamente la vista. Manifestava profonda e sincera gratitudine per aver professato nell’IGSnon solo per la spiritualità paolina solida e liberante, ma anche perché lo ha stimolato ad innamorar-si dell’Eucaristia e della Parola di Dio fino a diventandone anche uno studioso. Dall’incontro vitalecon Cristo Eucarestia e Parola attingeva quella grande forza che ha reso il suo ministero intenso e fe-condo e compianto da tutti (don Emilio Cicconi, Delegato igs).

DON FRANCESCO GUARNERI* 20/10/1927 – † 04/07/2013

Don Francesco è stato una bella figura di sacerdote umile e buono, amato da tutti, preti e laici. Il mioprimo ricordo di lui risale agli anni del Seminario, quand’era mio insegnante di geografia al ginna-sio. Eravamo tutti meravigliati della sua memoria: ricordava numeri telefonici e targhe automobili-stiche con eccezionale chiarezza. Nello stesso tempo ci colpiva la sua umiltà e la sua bontà. Si rac-contava fin da allora che era di famiglia benestante, ma povero e generoso verso il prossimo e spe-cialmente verso i confratelli bisognosi di un aiuto.Da sacerdote ho avuto la provvidenziale fortuna di stabilire con lui una fraterna amicizia, quando,con un gruppo di altri presbiteri, mi ha “trascinato” nell’ Istituto Gesù Sacerdote. Tra noi è nato unsincero affetto e per me è diventato un padre e un fratello. Questo termine “fratello” è quello che piùlo caratterizzava, perché con esso si rivolgeva a tutti e tutti lo chiamavano così.Finché la salute gli ha permesso di essere responsabile della parrocchia di San Biagio in Bagnolo SanVito nella diocesi di Mantova, i suoi parrocchiani hanno avuto modo di apprezzare la sua paternità.Li conosceva e li amava tutti.Quando poi dovette ritirarsi presso una casa di riposo, questa divenne la sua nuova missione, perchéera disponibile per tutti per un dialogo, una preghiera, una confessione. Don Francesco ha veramen-te incarnato l’imitazione di Gesù Sacerdote, via, verità e vita. Ammirevole è stata anche la sua tene-ra devozione a Maria immacolata, che ha saputo trasmettere ai fratelli e in particolare alla sua comu-nità parrocchiale. Con lui ho condiviso tanti pellegrinaggi a Lourdes con gli ammalati dell’UNITAL-SI, ai quali partecipò ogni anno fin tanto che la salute glielo permise. Poi ci venne a mancare e tan-to ci manca la sua sincera e simpatica “fraternità” (don Ivo Compagnoni igs).

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Uniti nel suffragio e nell’intercessione

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Il contesto della rivelazionedi Gesù come «luce del mondo»

L’evangelista Giovanni presenta Gesù “lucedel mondo” nel contesto di una delle feste

che lo storico ebreo Giuseppe Flavio (37-97d.C.) nelle Antichità giudaiche definisce «lapiù santa e la più grande presso il popolo deiGiudei».

Si tratta della “Festa delle Capanne” (inebraico Sukkòt, “capanne”), una festa autunna-le che prende il nome dalle “capanne”, costrui-te appositamente con rami e fronde per rievo-care il periodo trascorso dal popolo di Israelenel deserto e che si celebra ancora oggi nei me-si di settembre-ottobre (corrispondenti al meseebraico di Tisri).

Da questa festa, che si protrae per sette o ot-to giorni (vedi Lv 23,34-36), l’evangelistaprende spunto per arricchire di significato cri-stologico alcuni simboli biblici che ispirano ilsuo vangelo nel presentare la persona di Gesù:l’acqua e la luce.

Più in particolare, la rivelazione che Gesùfa di se stesso come “luce del mondo” e come“acqua viva” è inserita nel contesto di un lun-go discorso che leggiamo nei capitoli 7-8 delvangelo secondo Giovanni. Essi hanno comesfondo, appunto, la celebrazione della Festadelle Capanne: «Si avvicinava intanto la festadei Giudei, quella delle Capanne» (Gv 7,2).

In questa festa assumevano particolare ri-lievo le celebrazioni del settimo giorno, quelloche l’evangelista descrive come «l’ultimogiorno, il grande giorno della festa» (Gv 7,37).Erano le celebrazioni dell’acqua e della luce,celebrazioni che si presentano ricche di sugge-stioni anche per noi oggi.

La celebrazione dell’acqua

Accenniamo brevemente a questa prima ce-lebrazione di questo ultimo giorno della festache era quella riguardante l’acqua. Il sommosacerdote si recava in processione con una broc -

Lettera del Delegato

«Io sono la luce del mondo»

ISTITUTO“SANTA FAMIGLIA”

Istituto paolino per coppie di Sposi consacrati

Come “Lettera del Delegato” preferisco, ritenendolo molto adatto per la nostra formazione spi-rituale, pubblicare uno studio qualificato, preparato dal nostro sacerdote paolino, biblista, donPrimo Gironi sulla rivelazione di Gesù come “luce del mondo”. Nell’esperienza degli Esercizispirituali e nel nostro cammino di coppie di vita secolare consacrata, questa illuminante letturaci aiuterà a comprendere meglio anche “la spiritualità biblica della missione della Famiglia Pao-lina”, centrata sulla consegna di Gesù “Voi siete la luce del mondo” e sull’impegno affidatoci dalbeato Alberione di essere “trasmettitori di luce”.

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ca d’oro per attingere l’acqua alla sorgente di Si-loe, non lontana dal tempio e, ritornato, la ver-sava sull’altare dei sacrifici girando sette volteintorno all’altare stesso e invocando il donodell’acqua per ottenere un raccolto abbondan-te (la festa delle Capanne era anche la “festadel raccolto”).

A questa celebrazione si ispira Gesù quan-do rivela se stesso come la vera fonte cui attin-gere l’“acqua viva”:«Se qualcuno ha sete,venga a me, e beva chicrede in me. Come dicela Scrittura: Dal suogrembo sgorgherannofiumi di acqua viva»(Gv 7,37-38).

Occorre qui fare unapiù attenta lettura sim-bolica di questa espres-sione: («Se qualcuno hasete, venga a me, e bevachi crede in me… Dalsuo grembo sgorgheran-no fiumi di acqua viva»)in quanto siamo coin-volti anche noi.

Il termine “Siloe” inebraico significa ”invia-to”. Lo troviamo esplici-tato in Gv 9,7 nell’epi-sodio della guarigionedel cieco nato: «Va’ e la-vati nella piscina di Si-loe, che significa Invia-to».

L’acqua di Siloe è,quindi, l’acqua che vie-ne “inviata” perché chibeve di essa a sua voltafaccia sgorgare “dal suogrembo” (cioè dalla suapersona e dalle sue ope-

re) “fiumi di acqua viva”, immagine, questa,dei frutti che produce nel mondo la missionedel credente in Cristo.

La celebrazione della luce

Su questa celebrazione, che avveniva l’ulti-mo giorno della festa delle Capanne, ci soffer-

miamo più a lungo. Altramonto di questo gior-no, quando già calaval’oscurità della notte, neltempio si assisteva a unagrandiosa esplosione diluce: quattro grandi bra-cieri (alimentati dal-l’olio versato nelle loroquattro capienti coppe)illuminavano a giornoquesta poderosa costru-zione, riversando la loroluce sulla città, mentretutto il popolo contribui-va a questo sfavillìo diluce con le molte lumi-narie portate lungo unafestosa processione.

1) Il simbolismo del-la luce. È nel contestodi questa esplosione diluce che Gesù definiscese stesso “luce del mon-do”, facendo convergerecosì nella sua persona enella sua opera il simbo-lismo che la luce avevaassunto presso il popolodi Israele. Infatti, in que-sta celebrazione della lu-ce, il popolo faceva me-moria della “nube lumi-

LETTERA DEL DELEGATO

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nosa”, con cui Dio aveva accompagnato gliIsraeliti nel cammino lungo il deserto per en-trare nella Terra promessa.

Questa “nube” era il segno della presenzae della protezione di Dio, che nel silenziodella notte orientava con la sua luce i passidegli Israeliti, guidandoli sulla via da percor-rere:

«Il Signore marciava alla loro testa di gior-no con una colonna di nube, per guidarli sullavia da percorrere e di notte con una colonna difuoco, per far loro luce, così che potesseroviaggiare giorno e notte. Di giorno la colonnadi nube non si ritirava mai dalla vista del popo-lo, né la colonna di fuoco durante la notte» (Es13,20-22).

In Israele il simbolo della luce non era, pe-rò, solamente memoria delle opere di Dio nelpassato, all’epoca del cammino nel deserto(quando Dio «guidò [il suo popolo] con unanube di giorno e tutta la notte con un baglioredi fuoco»: Sal 78,14) e all’epoca dell’ingressoe della conquista della terrapromessa (quando «[gliIsraeliti] non con la spadaconquistarono la terra, né fuil loro braccio a salvarli; mala tua [di Dio] destra e il tuo[di Dio] braccio santo e laluce del tuo volto»: Sal44,4).

La luce era anche annun-cio dei tempi messianici,quando si sarebbe realizzatala promessa biblica su Geru-salemme, la città messiani-ca: «Cammineranno le gentialla tua luce, i re allo splen-dore del tuo sorgere» (Is60,3; cf Mt 2,2: «Abbiamo visto spuntare lasua stella [luce] e siamo venuti ad adorarlo»).

Ma soprattutto nella luce si rifletteval’esperienza quotidiana del credente israelita

che, nell’intensità della sua fede radicata nellaBibbia, avvertiva di sentirsi illuminato dallapresenza del suo Dio e dalla sua Parola:«Quando tu ci illumini – egli pregava – noi vi-viamo nella luce» (Sal 36,10).

2) “Vivere nella luce” è oggi la nostra vo-cazione di cristiani nel creato. “Vivere nellaluce“ è l’espressione che nella Bibbia indicaprima di tutto l’ambito di vita, in cui Dio hacollocato l’uomo riportando la vittoria sulle te-nebre e sul caos con l’atto della creazione(«Dio disse: “Sia la luce”. E la luce fu… E Dioseparò la luce dalle tenebre»: Gen 1,3-4).

Nella prima lettera di Pietro l’entrare inquesto ambito di vita e di luce è visto come unachiamata da parte di Dio («[Dio] vi ha chiama-to dalle tenebre alla sua luce meravigliosa»:1Pt 2,9). Noi abbiamo la vocazione alla luceperché siamo chiamati alla luce. Per questoGesù non esita a dire di noi: «Voi siete la lucedel mondo» (Mt 5,14).

Questa vocazione va ri-scoperta, soprattutto in que-sto nostro tempo che è testi-mone di un ritorno del crea-to al caos delle origini, a mo-tivo dei molti mali provocatidall’incuria dell’uomo, dallosfruttamento selvaggio dellanatura e delle sue risorse edall’aver dimenticato il ruo-lo affidato da Dio all’uomo,di essere cioè il “custode”del creato. Sembra nuova-mente l’avanzarsi delle tene-bre nel nostro mondo e l’af-fievolirsi della luce, chel’uomo del nostro tempo ten-

ta di arginare affidandosi alle strategie (spessoinsufficienti) della sola ecologia.

Noi cristiani non operiamo nel creato uni-camente per un’ecologia da ritrovare, ma per-

Io sono la luce del mondo

ché avvertiamo di essere “luce” per questocreato e di aver ricevuto una chiamata che ciabilita a sconfiggere le tenebre, nell’impegno –come ci dice san Paolo – di «splendere comeastri» (Fil 2,15) bloccare il dissesto e il caoscon la forza della Parola di Dio che già nel so-lo suo rivelarsi illumina («La rivelazione dellatua parola illumina»: Sal 119,130) e nel rivela-re il Nome (cioè la persona) di Dio nel creatolo riporta allo splendore mirabile delle origini,come prega l’orante del Salmo 8: «O Signore,Signore nostro, quanto è mirabile/splendente iltuo Nome (cioè tu stesso) su tutta la terra!».

3) “Vivere nella luce” è la nostra vocazio-ne all’apostolato paolino. In secondo luogo,“vivere nella luce” indica l’ambito della sal-vezza, in cui viene collocata l’umanità (chia-mata nella Bibbia “il popolo” o “i popoli”) conla vittoria di Cristo sulle tenebre, intese comeimmagine del peccato e della morte: «Il popo-lo che abitava nelle tenebre vide una grande lu-ce» (Mt 4,16).

In Cristo infatti appare la luminosità del“sole che sorge” per «risplendere su quelli chestanno nelle tenebre e nell’ombra della morte»(Lc 1,78-79) e si rivela in tutto il suo splendo-re la “luce” del Vangelo che avvolge tutti i po-poli, secondo la profezia del “giusto e pio” Si-meone su Gesù: «…luce per rivelarti alle gen-ti» (Lc 2,32); ma anche li converte e li salva,secondo il programma che si propone la mis-sione di Gesù, come sentiamo dalle parole del-l’evangelista Marco: «Convertitevi e credetenel Vangelo» (Mc 1,15).

Nel pensiero di don Alberione l’ambitodella conversione e della salvezza degli uo-mini del suo tempo diventa l’ambito dellasua missione. Questo suo tempo è descrittoda lui come un «campo nel quale gli operaievangelici continuano a seminare il buongrano [per lui la buona stampa] alla luce delgiorno [che per lui è la luce del Vangelo, lu-

ce diffusa dalla stampa buona]; ma il princi-pe dell’errore e del male nelle tenebre vi se-mina largamente zizzania [immagine per luidella cattiva stampa]» (Ut perfectus sit homoDei, I, pp. 371-372).

Questa è una descrizione, che ha il suosfondo nelle parabole di Gesù (cf Mt 13,24-30). Ma anche nella contrapposizione tra lucee tenebre, presente nella Bibbia, nel Vangelo,nelle Lettere paoline e anche nella Comunità diQumran (tra i manoscritti scoperti nel 1947 inquesta località sul Mar Morto vi è anche quel-lo contenente “La guerra tra i figli della luce ei figli delle tenebre”).

Mentre, però, i seminatori del buon granodella parabola si sentono impotenti di frontealla crescita della zizzania, don Alberione, in-vece, accetta la sfida proposta dal padrone delcampo (che è Gesù stesso) di far crescere con

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LETTERA DEL DELEGATO

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Io sono la luce del mondo

Icona del beato Giacomo Alberione,realizzata dall’iconografa di fama inter-nazionale Lia Galdiolo, veneta ora resi-dente a Messina.La figura del beato Alberione è colloca-ta in un triangolo con il vertice rivoltoverso il basso a simboleggiare l’incarna-zione di Dio e che arriva all’altezza delcuore dove è un’ostia con Gesù benedi-cente.I cerchi concentrici intorno all’aureoladel Beato esprimono l’unità nello spiritodei dieci istituti della Famiglia Paolina.Essi sono come le onde sonore che dif-fondono nell’etere l’annuncio del Van-gelo con tutti i mezzi moderni.San Paolo, ispiratore e patrono, a sini-stra, ha in mano la penna rossa che ri-corda la sapienza trasmessa nelle suelettere. La Regina degli Apostoli, a de-stra, offre il suo Figlio come modello divita a tutti coloro che vogliono servire ilSignore.Il volto del Beato è come trasfiguratodalla risurrezione di Cristo nella qualeegli è già immerso partecipando dellasua divina bellezza. E’ rivestito dalla ca-sula bianca delle solennità ed è colto nelmomento della recita del Padre nostro.Sul petto una stola d’oro in cui sono in-cisi dieci fiori ricchi di semi per ricorda-re i dieci istituti della Famiglia Paolina.

più abbondanza il buon grano, che per lui èl’immagine dei mezzi della comunicazione so-ciale usati per il bene. Come crescono i mezziche veicolano la zizzania (con tutto ciò che dinegativo essa significa), così devono cresceremaggiormente, per don Alberione, i mezzi chedepongono il buon grano (con tutto ciò che dipositivo esso significa) nel campo che è il cuo-re dell’uomo.

Come le tenebre si infittiscono per immer-gere nella loro oscurità il mondo e il cuore del-l’uomo, così per don Alberione occorre illumi-nare con lo splendore del Vangelo ogni passodel cammino dell’uomo (cammino che nellaBibbia è immagine della vita dell’uomo).

La missione della Famiglia paolina di farcrescere il buon grano nel mondo e nel cuoredell’uomo e di illuminare i suoi passi «occupa

un posto di grande responsabilità, partecipan-do alla missione apostolica ed eseguendo il di-vino comando [del Signore Gesù]: “Andate efate discepoli tutti i popoli”» (Ut perfectus sithomo Dei I, 372).

Così il popolo che abitava nelle tenebre e havisto una grande luce, per don Alberione di-venta il popolo che si fa “discepolo” del Mae-stro Gesù, accogliendo e seguendo il Vangeloannunciato da tutta la Famiglia paolina, conl’umiltà e la debolezza dello “strumento”, con ilimiti e i condizionamenti della condizioneumana, ma anche con la forza delle “mani” diDio che si servono dello “strumento” che siamonoi («strumento indegno e inetto», si definivadon Alberione: cf Ut perfectus sit… I, p. 374).

A cura di don Olinto CRESPI, Del. ISF

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Spiritualità paolina

Nell’enciclica “Evangelii Gaudium” di Pa-pa Francesco il termine “fratello” e “fra-

ternità” ricorre quasi una trentina di volte. Di-fatti, afferma che in queste parole «sta la veraguarigione, dal momento che il modo di rela-zionarci con gli altri che realmente ci risanainvece di farci ammalare, è una fraternità mi-stica, contemplativa, che sa guardare allagrandezza sacra del prossimo, che sa scoprireDio in ogni essere umano, che sa sopportare lemolestie del vivere insieme aggrappandosi al-l’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amo-re divino per cercare la felicità degli altri co-me la cerca il loro Padre buono» (n. 92).

Il debito dell’amore vicendevole

Entriamo allora nella mirabile “sinfoniadella carità” che Paolo compone in questi capi-toli, a gettito sparso, iniziando a riflettere sullaprofondità dell’affermazione: «Non abbiate al-cun debito, tranne quello dell’amore vicende-vole». Il grande insegnamento: l’amore è undebito che non si estingue mai. Perché? Riflet-tiamo.

1) «Non abbiate alcun debito». Dobbiamoessere solleciti nel pagare i debiti. È una rego-la del vivere comunitario e civile che non vaassolutamente disattesa. Ed è giusto sia così: ilrapporto di giustizia, fondato sul principio del

“do ut des”, lo esige: a una merce data si devecorrispondere il suo valore. Nel VT questa leg-ge ora denominata “del taglione” («Occhio perocchio, dente per dente, mano per mano, piedeper piede»: Lv 21,24). Così come suona, ci pa-re una legge della giungla; invece, aveva unafunzione educatrice: sia nei rapporti sociali ecommerciali, sia in quelli fraterni il “pari e pat-ta” era rigido.

Però, sapendo che la nostra natura decadu-ta tende in caso di bene a corrispondere di me-no e in caso di male a corrispondere di più, lafigura del go’el (era il giudice) assicurava l’ap-plicazione di questa giustizia, soffocando lavendetta privata. D’altra parte, ancor oggi neirapporti sociali e commerciali vige la stessalegge: il debito va pagato.

2) Ma Gesù ci ha invitati a fare un passo inavanti rivelando la “nuova giustizia”: nei rap-porti con Dio e con i fratelli non vige più la

Il debito perenne dell’amoreNel prospetto di pag. 29 del numero precedente di “Gesù Maestro” si proponevano i nume-rosi inviti di Paolo alla fraternità presenti nella Lettera ai Romani, classificati in quattroblocchi: 1. “Uno di fronte all’altro”; 2. “Uno con l’altro”; 3. “Uno per l’altro”; 4. “Per tuttigli uomini”. A coronamento delle numerose esortazioni si dava evidenza a due affermazioni,da cui occorre partire per cogliere la forza degli inviti dell’apostolo alla fraternità: «Nonabbiate alcun debito, tranne quello dell’amore vicendevole» (13,8) e «Accoglietevi gli unigli altri come Cristo accolse voi per la gloria di Dio» (15,7).

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Spiritualità paolina

legge del taglione, ma dell’amore gratuito; perquesto vi è un debito che rimane tale: quellodell’amore vicendevole. Quindi, l’amore vi-cendevole è e rimane un debito, e come tale vapagato senza estinguerlo mai.• La prima domanda che ci sorge nel cuore:

perché rimane sempre debito e non divie-ne mai credito? Rimane sempre debito perla natura dell’amore di Dio: Dio ci ha ama-to per primo senza alcun merito da partenostra; e in modo infinito, e nell’infinità delsuo amore continua ad avere sempre l’ini-ziativa. Quindi sono in debito, che per suanatura è infinito come l’amore di cui Dio ciriveste gratuitamente. Quindi più lo pago,più rimane debito.

• Ma sono in debito con chi? Badiamo benealla risposta che diamo a questa domanda.Ci verrebbe da rispondere: «Sono in debitocon Dio, che mi ama infinitamente e gratui-tamente». Eh no! Non può accendere un de-bito ciò che è donato gratuitamente. Ciòche è gratuito non può esigere il contrac-cambio.

• Ecco allora rivelarsi la stupenda paradossa-lità dell’amore: il debito si è aperto noncon Dio ma con i fratelli. Ed è un debitoche ha la stessa natura dell’amore di Dio: lagratuità. È un debito, quindi, che non siestingue mai, come è l’amore di Dio nei no-stri confronti: più lo paghi, più rimane dapagare; più ami, più ti rimane da amare.

• Anzi, più ci intestardiamo, più forte e inten-so diventa il desiderio di amare “sino allafine” (cf Gv 13,1), dove l’espressione, sul-la bocca di Gesù, indica la continuità del-l’amore (“sino alla morte”), l’eternità del-l’amore (“senza fine”) e la profondità del-l’amore (“senza misura”). Tutti gli uomini,amici e nemici, bianchi o neri, alti o bassi,devono essere racchiusi nel nostro gesto diamore. È lo stesso desiderio di Dio che en-tra nel nostro cuore.

• «Più di così non è pensabile!», direte. Inve-ce, si innesca qualcosa di importante, che cifa comprendere il cuore di Paolo, che è giu-stamente il cuore di Cristo; come il cuore diogni credente deve essere, grazie al donobattesimale, il cuore di Cristo. Se ci sentia-mo rivestiti dell’amore di Dio (e lo siamo!)iniziamo a percepire che in noi cresce il de-bito dell’amore fraterno proprio quando ilfratello non contraccambia il nostro amoree ancor più quando al bene per lui rispondecon il male. Si sente il desiderio di amareproprio quelli che non ci amano.

• E se per caso il fratello ricambia il nostroamore, sentiamo che in noi il debito inco-mincia a divenire credito. In questa situa-zione non saremo spinti ad abbandonare ilfratello per evitare quella ricompensa che cipriverebbe della “ricompensa ultima”(«…hai già ricevuto la tua ricompensa», di-ce Gesù); ma sentiamo il desiderio di trova-re aperture nuove al nostro desiderio diamare, tanto più sentite quanto meno trova-no risposta.Paolo ha riflettuto molto bene e a lungo sul-

la regola d’oro (così definita) che nel discorsodella montagna Gesù ci propone, riprendendoun’espressione dal libro di Tobia; però da To-bia era enunciata in forma negativa: «Non fa-re a nessuno ciò che non piace a te» (Tb4,15); Gesù ce la propone in forma positiva:

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IL DEBITO PERENNE DELLʼAMORE

«Tutto quanto volete che gli uomini faccianoa voi, anche voi fatelo a loro» (Mt 7,12).

Notiamo bene che la “formulazione negati-va” rispetta la legge del taglione; la “formula-zione positiva” inaugura la giustizia dell’amo-re, che esige la gratuità, la non esigenza delcontraccambio, l’avere sempre l’iniziativa, an-che quella del perdono e amare anche coloroche non ci amano.

Rimani fedele all’amore di Dio

Per questo motivo, Paolo ci invita: «Acco-glietevi gli uni gli altri come Cristo accolsevoi per la gloria di Dio» (15,7). Per vivere inmodo sereno questo debito perenne, non è trac-ciata altra strada che vivere il comandamentoche Gesù ci ha lasciato durante i discorsi di ad-dio: «Amatevi gli uni gli altri “come” hoamato voi» (Gv 15,12). Cristo diventa il termi-ne di confronto del nostro amore. Ma il con-fronto in qualche modo ci disorienta; il model-lo ci appare troppo alto. Però, la particella gre-ca “kathos” – tradotta unicamente con “come”– significa anche “perché”: «Amatevi gli unigli altri perché io vi ho amati». Quindi, nel ri-spetto dei due significati l’amore diventa unvero cammino di libertà:• «…COME io vi ho amati»: il termine di con-

fronto non è l’amore che l’altro ha per me;è unicamente Cristo: come lui ci ha amati,io devo amare l’altro; stimolato in questoamore non solo nel caso della corrispon-denza dell’altro (il che rende più facilel’amare), ma anche e soprattutto nel casodella sua possibile ingratitudine (il che ci èpossibile solo per l’azione dello SpiritoSanto).

• «…PERCHÉ io vi ho amati». Se Gesù fosseunicamente il termine di confronto, sarem-mo autorizzati a cedere di fronte a certe si-tuazioni di non-amore; invece, Gesù si pro-

pone come fondamento: è lui che ama ilfratello servendosi di me; per questo, nonpossiamo non amare colui che Gesù ama.Negando l’amore al fratello, rinnego l’amo-re di Cristo per me. Rifiutando il fratello, ri-fiuto Cristo che è nel mio cuore e nel cuoredel fratello. Ecco il fondamento e la ragione del mio

amore per l’altro. Defilarsi con la scusa che èdifficile diventa pericoloso. In caso di concre-ta difficoltà, abbiamo solo da appellare alloSpirito per sperimentare in noi, grazie a lui,quella capacità che da soli non abbiamo asso-lutamente.

Don Venanzio FLORIANO ssp(continua)

In cammino con san Giuseppe

La forza nella debolezza

Premessa: un inizio drammatico

La storia di Giuseppe non inizia con “c’erauna volta un re”…

Se Maria è rimasta turbata dall’annunziodell’angelo, ancora piùè diventato inquietoGiuseppe, quando hascoperto che la sua spo-sa era incinta. Se con ilsuo “si” Maria era con-sapevole di poter ri-schiare la lapidazione,lui già sapeva di doversubire scherni e insinua-zioni, derisioni e pette-golezzi di ogni tipo.

Giuseppe, con ilcuore gonfio di dolore edi amore, stava deciden-do di rimandare in se-greto Maria; non volevaesporla al pubblico ri-fiuto come se fosseadultera. Egli era assil-lato da un conflitto tracuore e ragione, traamore per la sua donnae fedeltà alla legge. Un’angoscia interiore cosìgrave che tormentava pure le sue notti.

Allora Giuseppe si merita l’angelo in so-

gno, che lo autorizza a non farsi da parte, lorassicura e gli annuncia che anche lui è parteintegrante del disegno di salvezza. Attraverso isogni, Giuseppe percepisce il messaggio del-l’Alto e dunque “prende con sé la sua sposa”.

In Luca l’annuncia-zione è fatta a Maria; inMatteo, invece, essa èrivolta a Giuseppe. So-vrapponendo i due testi,emerge che l’annuncio èfatto alla coppia. Lachiamata è rivolta allosposo e alla sposa insie-me, all’interno del ma-trimonio. Dio-Amore,che ha voluto farsi vol-to, opera per un mondomigliore rendendo lacoppia protagonista del-la vita nuova.

Maria è la donna del“sì”, ma il suo primo“sì” l’ha detto a Giusep-pe; l’angelo la trova già“promessa”. Dio alloraparla a Maria e a Giu-seppe, al giusto e alla

vergine che si sono innamorati. Dio non vuoledividere la coppia, per questo manda angeli echiede questo doppio “sì”, in modo che il suo

La Famiglia Paolina non può non riferirsi a “San Giuseppe, uomo dei nostri giorni” nellaquotidianità del suo cammino. Don Alberione stesso lo propone come modello di vita fami-liare; sarà sufficiente pregare la coroncina a san Giuseppe, riportata “In preghiera con donAlberione” (p. 58). La Chiesa, in prossimità del Sinodo, ci invita a testimoniare, contemplan-do la Famiglia di Nazareth, il Vangelo del matrimonio e della famiglia. Pubblichiamo in que-sto numero la prima parte della relazione-riflessione che il prof. Fausto Negri ha tenuto aiGruppi delle Marche all’inizio di giugno 2014.

Cappella di San Giuseppe in Albadel Prof. Mario Barberis

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progetto possa realizzarsi. Ambedue si sono ri-trovati ponendo la loro totale fiducia nel Diodella storia. E la ruota della storia ha iniziato agirare in moto inverso, secondo la logica e ildisegno di Dio.

Preghiamo dunque Giuseppe così:Carissimo Giuseppe, insegnaci a compren-

dere che chi rifiuta la Madre, rifiuta pure ilFiglio.

Donaci di capire che Dio è all’opera nellenostre relazioni, parla al centro della famiglia,nel dialogo e nellacrisi, negli slanci enei dubbi, nelle ten-sioni ideali e neidrammi; che è lacoppia, non il singo-lo, l’immagine diDio, che è la fami-glia nel suo insiemel’immagine più insintonia con la divi-na Trinità.

Nella vicenda e -van gelica di Giusep-pe è molto più il nondetto dello scritto.Occorre dunque leg-gere tra le righe imessaggi che Giuseppe dona a noi uomini dioggi. Riflettiamo in questo numero sul primodei tre che ci vengono da Giuseppe.

La forza nella debolezza. Nel Primo Testa-mento non c’è mai un accenno a Nazareth...nemmeno uno! Questa località non è legata,mai, a nessun avvenimento storico-salvifico:nessun re, profeta, giudice hanno trovato inNazareth un luogo di riferimento per la loroesistenza. Trattasi di un villaggio quasi scono-sciuto, disprezzato, senza passato e dunquesenza futuro. Natanaele, alla notizia portata

dall’amico Filippo, che afferma di aver trovato«colui del quale hanno scritto Mosè nella Leg-ge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, diNazareth», ribatte chiaramente: «Da Nazarethpuò venire qualcosa di buono?» (Gv 1,45-46).

Ad appesantire la sentenza preconcetta dicondanna c’è l’idea che dalla Galilea non sor-ge profeta e pertanto quel Gesù di Nazarethnon è né da seguire, né da ascoltare.

La scelta di due abitanti di Nazareth, Giu-seppe e Maria, ci ricorda dunque quali sono le

preferenze di Dio eche tipo di personecollaborano normal-mente con Lui. Il fu-turo dell’umanità si èdeciso in un paesinosperduto da cui si di-ceva che non potesseuscire nulla di buo-no… Nulla!

Da allora la peri-feria è la via privile-giata da Dio. Egli en-tra nel mondo dalpunto più basso, perraccogliere tutti. Giu-seppe è un protagoni-sta indispensabile diquesto “ingresso”.

L’evento di Dio, il suo venire nel mondonon ha bisogno di situazioni eccezionali o pri-vilegiate. Egli entra dove lo si lascia entrare;egli viene ovunque gli si dice di “sì”, in ognicuore che si apre, in ogni mente che intendeconoscerlo per fare la sua volontà.

La “forza della debolezza” è la potenza del-la mitezza e della tenerezza, del prendersi cura,più potente della “forza della forza”, cioè delpotere e del dominio, dell’egoismo… Giuseppene è la personificazione più significativa.

Ben sappiamo che ogni adulto è frutto delbambino che è stato. Gesù, un giorno, chiame-

San Giuseppe e alcune scene della vita di Gesù (Cappel-la San Paolo Film, Roma). Il pittore Giuseppe Santagataraffigura i momenti della vita di Gesù ai quali fu presen-te san Giuseppe.

LA FORZA NELLA DEBOLEZZA

In cammino con san Giuseppe

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rà Dio col nome di “Abbà” (papà, babbino,babbo mio…) proprio perché è stato tra lebraccia di Giuseppe. Proprio per questo suovissuto dirà che dobbiamo essere come bambi-ni, nei confronti del Padre celeste. “Padre” è laprima parola che Gesù dice nei Vangeli (a 12anni nel tempio), e l’ultima parola di affida-mento sulla croce.

Perciò preghiamo così:Carissimo Giuseppe, tu che hai educato un

Gesù “mite ed umile di cuore”, aiutaci a cre-dere che “il successo” non dipende dalla no-stra superbia o visibilità, ma da chi poniamo acapo della nostra vita. Donaci di prostrarci aipiedi di tuo figlio e di metterlo al primo postodella nostra esistenza quotidiana, proprio co-me hai fatto tu.

Prof. Fausto NEGRI

Continua - 1

Il Sinodo sulla famiglia

Sabato 4 ottobre 2014

“Accendi una luce in famiglia”Il Sinodo straordinario sulla famiglia si svolgerà dal 5 al 19 ottobre (nella S. Messa

conclusiva verrà proclamato Beato Papa Paolo VI). Come ci ha già chiesto recentementePapa Francesco nella sua Lettera alle famiglie, «il sostegno della preghiera è quanto mainecessario e significativo specialmente da parte vostra, care famiglie. Infatti, questa As-semblea sinodale è dedicata in modo speciale a voi, alla vostra vocazione e missione nel-la Chiesa e nella società (…). Pertanto vi chiedo di pregare intensamente lo Spirito Santo,affinché illumini i Padri sinodali e li guidi nel loro impegnativo compito».

Per questo scopo siamo convocati sabato 4 ottobre a Roma in Piazza San Pietro pervivere nel pomeriggio un momento di preghiera e testimonianza di fede attorno al Som-mo Pontefice e ai Padri sinodali.

Per coloro che ci accompagneranno da casa, avremmo pensato uno slogan da diffonde-re nelle Chiese locali: “Accendi una luce in famiglia”. La sera della festa di San France-sco in ogni casa, dove è presente una piccola chiesa domestica, si potrà accendere un lu-me da porre sulla finestra per testimoniare il Vangelo del matrimonio e della famiglia. Asuo tempo (come già negli ultimi mesi di preparazione del Sinodo) vi verrà inviato unoschema di preghiera da vivere in forma domestica o nella comunità parrocchiale.

Inoltre, il Santo Padre ci invita ad accompagnare il cammino sinodale sul territorio,intensificando la nostra formazione e la collaborazione con le altre realtà ecclesiali. Con-tinueremo il cammino de “la Chiesa per la scuola” con pastorale scolastica e giovanile e“Carità è famiglia” con Caritas Italiana.

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Tema del Convegno di formazione - Ariccia, 6-8 Dicembre 2014“Camminare al ritmo salutare delle relazioni”

(Papa Francesco)

1) Testi di riferimentoEvangelii gaudium, 169 (EG) di Papa FrancescoNovo Millenium Ineunte, 43 (NMI) di Papa Giovanni Paolo IIEvangelii nuntiandi, 24-25 (EN) di Papa Paolo VI

Finalità: sviluppare e approfondire la spiritualità di comunione nella vita dell’Istituto “Santa Famiglia”e all’interno dei Gruppi

2) Preparazione (luglio-novembre 2014)Verifica nei Gruppi circa le relazioni e lo spirito di comunione in base ad una griglia di domandeLe risposte saranno portate in Assemblea

3) Svolgimento (tre Relatori)Maria Teresa ZATTONI - Gilberto GILLINI (coppia di esperti): aspetto biblico-psicologico-formativoDon Vittorio STESURI ssp: aspetto pastorale e paolino della comunione all’interno della famigliaMaria Pia e Paolo AMBROSINI isf: teologia della nuzialità per una relazione salutare (sponsale, genito-riale, ecclesiale, sociale) nello Statuto ISFDall’osservatorio del Convegno

4) Griglia per il lavoro preparatorio nei Gruppia) Gesù ha detto ai discepoli: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni

per gli altri» (Gv 13,35) e negli Atti degli Apostoli si dice della prima comunità cristiana che aveva-no un cuore solo e un’anima sola.Come si incarna questa Parola di Dio nel vostro Gruppo ISF? Quale clima si respira al suo interno?Quali i segni di una reale stima efiducia reciproca?

b) San Giovanni Paolo II ha sollecitatoa vivere la spiritualità della comu-nione che comporta il sentire il fra-tello di fede nell’unità profonda delCorpo mistico, come uno che miappartiene, per condividere le suegioie e le sue sofferenze, per intui-re i suoi desideri e prendersi curadei suoi bisogni, per offrirgli unavera e profonda amicizia (NMI 43).Come il vostro Gruppo promuove lacomunione verso l’esterno? Sapeteprendervi cura delle sofferenze, bi-sogni e desideri concreti della gen-te? Con quali iniziative specifiche? Che relazione c’è con la parrocchia e gli altri gruppi locali?

c) Don Alberione ha promosso più volte la comunione e l’armonia tra i suoi figli e figlie. Così in UPS I381-2: I nostri istituti sono uniti «per la comune origine, per il fine generale, per il medesimo spiri-to paolino, anche nella diversità di opere, per l’attività convergente, cooperante, dinamica, alimen-tata dall’unica linfa vitale… Comprendersi e amarsi: ‘Ci ha radunati l’unico amore di Cristo’; darsi vi-cendevolmente aiuto di preghiere e di collaborazione…».Quale comunione e collaborazione tra istituzioni della Famiglia Paolina esiste nella vostra zona?Quanto ci si conosce reciprocamente? Quali iniziative insieme?

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Elementi di formazione: le piccole virtù umane

Viviamo nella società post-moderna, liqui-da, senza gravità, nella società del labirin-

to, in cui ognuno crede di essere al centro mavive nel frammento e non sa quale sia la viad’uscita. È la società delle “passioni tristi” edel “pensiero debole”. L’elemento chimico piùvenduto per il nostro corpo e il nostro cervellosono gli psicofarmaci, gli antidepressivi, gliansiolitici. Solo in Italia più di trenta milioni diconfezioni l’anno, in continua ascesa. È il cibodella nostra società, il pane dei nostri giorni.

C’è un peccato del quale nessuno si confes-sa ed è la tristezza, il pessimismo. Vediamo in-fatti che non è difficile essere tristi, pessimisti,inquieti, tutti ci riescono facilmente. Basta la-sciarsi andare alla nostalgia, e lasciarsi prenderedalla voglia di lamentarsi di qualcosa o di qual-cuno. Le occasioni per farlo non mancano mai.Alzi la mano chi non si è mai lamentato dellacrisi in cui siamo piom-bati! Al contrario, lotta-re contro la malinconia,la tristezza e la crisi, cer-care ciò che è bello ebuono in ogni situazioneè una virtù rara.

La gioia ci radicaprofondamente nellanostra umanità e al tem-po stesso ci conduce ol-tre i confini di taleesperienza, oltre i con-fini dell’io e dell’oriz-zonte terreno. Appartie-ne alla terra e al cielo. E’ tensione istintiva evia al trascendente. Ma da dove nasce la gioia?

Le tappe della vita

Anna Bissi sostiene nel libro Se il tempo si

mette a danzare. Trame e intrecci di gioia(Paoline 2013) che la gioia vede la luce con ilprimo sorriso nella culla. Il bambino sorride al

riconoscimento del vol-to materno, specie dopol’assenza, e il suo sorri-so indica il bisogno diessere amato e la realtàdella relazione. La gio-ia, quindi, resta inestri-cabilmente legata, an-che con l’avanzare del-l’età, alla fiducia nel-l’amore verso la figuramaterna e poi le altrepersone che diverrannosignificative e insosti-tuibili nello sviluppo.

Con l’innamoramento dell’adolescenza av-viene un passaggio: l’altro è percepito comeunica, esclusiva sorgente di felicità, unico sen-so per i propri giorni, culmine e somma dellabellezza. È la scoperta dell’amore nelle sue di-namiche di attrazione e apprezzamento, pre-

La certezza di essere amabili e amatiLa gioia. – Quando stiamo bene nella nostra

pelle proviamo l’allegria, l’euforia, il sentirci informa. Se invece siamo in sintonia con gli altri, seviviamo in comunione con qualcuno, allora vivia-mo la gioia.

Essa nasce – scrive Anna Bissi – dall’intimacertezza di essere amabili e amati, dal percepireche la nostra vita non si esaurisce in una sommadi anni poiché nel suo svolgersi intuiamo un si-gnificato, la cui origine sta in un amore persona-le verso di noi. È stato l’affetto dei nostri genito-ri che ci ha aiutato a sperare e a credere nel-l’amore così da porre in noi le sorgenti della gio-ia che abbiamo poi scoperto sempre di più e me-glio nell’amicizia e simpatia, nell’innamoramento,nella vita di coppia e di famiglia.

Un cuore gioioso è il normale risultato di un cuoreche arde d’amore (Madre Teresa)

messa per un cammino insieme di fedeltà e im-pegno.

È invece dell’adulto la gioia del generareche implica il cercare il bene dell’altro, il par-tner e i figli, al di là del proprio e comporta im-pegno, responsabilità e fatica. Sarà una gioiapiù matura e persino più forte del dolore.

Nella vec-chiaia è l’assen-za di rimpianti erimorsi che do-na serenità epermette di es-sere rappacifica-ti all’idea deltempo ormaibreve che separadalla fine. Inol-tre la generativi-tà dilatata nelmatrimonio deifigli, nella na-scita e crescita dei nipoti aggiunge tutte quellegioie legate alla fecondità della vita.

Pur radicandosi sulla natura umana la gioiaci conduce oltre l’orizzonte terreno, versol’esperienza dello spirito inteso come aperturadell’uomo a Dio, tensione e desiderio di Coluiche è “oltre “ e veramente “Altro” rispetto anoi…

Desiderio comune

La gioia è un movente che accomuna tuttigli esseri umani. Sant’Agostino scrive: «Sechiedi a due ragazzi se vogliono essere soldati,forse uno dirà “sì”, l’altro “no”. Ma se chiedi aqualsiasi essere umano se vuole essere felice,stai sicuro, ti dirà di “sì”».

«Non abbiate paura!», gridava GiovanniPaolo II nei suoi incontri con le folle di tutto ilmondo. E Paolo VI pubblicava nel 1975 l’esor-tazione apostolica “La gioia cristiana”, nella

quale si legge che l’aspirazione alla gioia è in-nata nell’uomo, ma “non esiste felicità perfet-ta”, perché l’uomo moderno sperimenta l’abis-so che esiste tra la dura realtà e i sogni gratifi-canti, l’utopia, il desiderio di infinito. «Questadifficoltà di raggiungere la gioia ci sembra par-ticolarmente acuta oggi»; e spiegava l’affer-

mazione: «La so-cietà tecnologicaha potuto molti-plicare le occa-sioni di piacere,ma essa difficil-mente riesce aprocurare la gio-ia. Perché la gio-ia viene da altro-ve, è spirituale. Ildenaro, le como-dità, l’igiene, lasicurezza mate-riale spesso non

mancano; e tuttavia la noia, la malinconia, latristezza rimangono sfortunatamente la porzio-ne di molti. Ciò giunge talvolta fino all’ango-scia e alla disperazione, che l’apparente spen-sieratezza, la frenesia di felicità e i paradisi ar-tificiali non riescono a far scomparire».

Il tema della gioia compare circa seicentovolte nella Bibbia. Gesù esorta i suoi discepolia seguire il suo comandamento dell’amore “af-finché viviate nella gioia” e l’apostolo Paolo fadella virtù della gioia addirittura un comanda-mento: «Rallegratevi nel Signore; ve lo ripeto,rallegratevi» (Fil 4,4).

Per il teologo Henry Nouwen la gioia ri-chiede disciplina: «In ogni momento l’essereumano deve decidersi tra la disperazione e lasperanza. Si tratta di una decisione interiore,che non dipende dalle condizioni esterne, madalla volontà di rivendicare la propria libertà,senza badare alle circostanze». Come dice an-che un proverbio cinese: «Non potete impedi-

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LA CERTEZZA DI ESSERE AMABILI E AMATI

La gioia trasforma noi stessi e il mondo

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re che gli uccelli della tristezza volteggino so-pra la vostra testa, ma certamente potete impe-dire loro di fare il nido nei vostri capelli».

La gioia di amare

La vera fonte della gioia – osserva RomanoGuardini – è radicata profondamente nel cuoredell’uomo, nella sua più remota intimità. Iviabita Dio e Dio stesso è la fonte della vera gio-ia. Possiamo essere gioiosi allora in misura chesiamo in contatto con la profondità del nostrocuore e quindi con Dio stesso che ci ha salvatie redenti mediante suo figlio Gesù, morto e ri-sorto per noi.

È dalla relazione con Lui e con gli altri chederiva quella percezione di essere amabili,amati e significativi nella vita. A partire dauna tale consapevolezza sapremo condividereil nostro ottimismo e una visione gioiosa dellavita con i nostri figli e con chiunque incontria-mo. Se nella fede è Dio ad ispirare il nostro vi-vere sapremo fare dell’amore il cuore dellenostre azioni, convinti che aiutando sincera-mente per amore si prova più gioia di chi aiutaper averne qualche vantaggio: “C’è più gioianel dare che nel ricevere”(At 20,35).

La gioia, per papaFrancesco, è “un dono delSignore” che “ci riempieda dentro”; è una “unzio-ne dello Spirito” e risiedenella “sicurezza che Gesùè con noi e con il Padre”.E Dostoevskij ha lasciatoscritto che il segreto diuna vita riuscita è impe-gnarsi ad agire per ciòche si ama e amare ciòper cui ci si impegna.

Un’antica storia me-diorientale racconta di un

uomo così buono e disinteressato che Dio de-cide di premiarlo. Chiama un angelo per rife-rirgli che ogni suo desiderio sarà esaudito.L’angelo compare all’uomo gentile e gli comu-nica la buona notizia.

– Io sono già felice, – risponde l’uomo. –Ho già tutto ciò che desidero.

L’angelo gli fa capire che con Dio bisognaavere tatto: se ci fa un regalo, è meglio accet-tare. Allora l’uomo risponde:

– Va bene! Voglio che tutti quelli che entra-no in contatto con me si sentano bene. Perònon voglio saperne nulla.

Da quel momento dove l’uomo passava, lepiante avvizzite rifiorivano, gli animali piùmalandati si riavevano, i malati guarivano, gliinfelici venivano sollevati dai loro terribili far-delli, chi litigava faceva la pace e chi aveva unproblema riusciva a risolverlo. Ma tutto questoavveniva dietro di lui, nella sua scia, senza cheegli ne sapesse niente. Non c’erano da partesua né orgoglio per il bene compiuto, né aspet-tative di alcun genere. Ignaro e contento, l’uo-mo camminava per le vie del mondo regalandofelicità.

Don Roberto ROVERAN ssp

Elementi di formazione: le piccole virtù umane

Il gruppo degli Esercitanti ISF a Zovello di Ravascletto (UD) animato da donAmpelio Crema ssp

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L’Istituto Santa Famiglia di Canicattì, enello specifico alcune Coppie giovani già

in cammino, hanno messo nelle mani del Si-gnore un loro desiderio: che nascano a Cani-cattì vocazioni all’Istituto, splendida e arric-chente realtà, proposta di appartenenza chenon può non essere ascoltata e accolta.

Per questo, coadiuvati e guidati dal gioiosoDon Nino Catanzaro igs, abbiamo invitato di-verse coppie a partecipare due volte al meseagli incontri serali, a vivere meditazioni e ri-flessioni davanti a Gesù Eucaristia sulla bel-lezza dell’innamoramento, del matrimonio vis-suto con e in Gesù, del servizio e dell’impor-tanza del dialogo nella coppia e con Lui, fontee culmine dell’Amore vero ed eterno.

Tutto ha avuto inizio il 14 maggio e all’in-

vito hanno risposto, con nostra grande sorpre-sa, circa una decina di coppie, che sono au-mentate negli incontri successivi.

Certo non è opera nostra ma del Signoreche non poteva rimanere indifferente alle insi-stenti preghiere (Segreto di riuscita) fatte datutti i membri di Canicattì in preparazione aquesti incontri. Alcuni membri più “anziani”hanno offerto il loro aiuto durante gli incontri,facendo da baby-sitters ai piccoli delle coppiepartecipanti.

Preghiamo tutti perché queste giovani fami-glie possano condividere con noi l’amore perSan Paolo e per ciò che Don Alberione ha rea-lizzato con l’aiuto di Dio per il nostro bene e lanostra santificazione (Barbara e Paolo CurtoPelle ISF Canicattì - AG).

Carissimo Olinto, mi ha fatto tanto piacerericevere i tuoi saluti e notizie di quanto si con-tinua a fare con e per gli Istituti paolini di vitasecolare consacrata. Trovo ricco, attuale e sti-molante il materiale che mi hai inviato. Con-gratulazioni.

Per quanto riguarda la missione paolina aCuba, spero di inviare presto un articolo per IlCooperatore Paolino.

Posso dirti, in breve, che i segni della Prov-videnza si sono manifestati ininterrottamenteda quando, un anno e mezzo fa, siamo tornatiall’Isola. Di recente abbiamo ottenuto 10.000Bibbie gratuite dalla Sobicain, e attualmente cidisponiamo ad aprire una liberia, nel palazzoarcivescovile, ma con un’entrata sulla stradaprincipale. Sarà la prima libreria religiosa a LaHabana, dopo 60 anni. Abbiamo partecipato

alla FILH (Fiera Internazionale del Libro, LaHabana), e anche ad una grande mostra dellaBibbia, che è stata montata già a Roma. Stam-piamo e distribuiamo un depliant periodico suivalori universali e con delle notizie paoline;siamo arrivati al n. 20. Abbiamo impartito (perotto mesi) un Corso sul Magistero della Chie-sa (32 diplomati). Elaboriamo e distribuiamoDVD, e abbiamo stampato i due primi fogliet-ti. Prestiamo servizio ministeriale in una par-rocchia e in una cappella. - Le restrizioni uffi-ciali esistono, ma “la parola di Dio non è inca-tenata”. Dei sacrifici, bisogna farli, ma dovenon c’è questa esigenza e seme di Vangelo?

Un saluto molto affettuoso per i tuoi Colla-boratori e per i membri tutti dell’Istituto SantaFamiglia in Italia (P. Juan Manuel Galaviz,ssp - 24 giugno 2014).

Testimonianze

L’Istituto “Santa Famiglia” ringiovanisce

Un saluto paolino da Cuba all’ISF

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A Macerata, durante il Corso di EserciziSpirituali, una inviata di “Emmaus”, settima-nale di opinione della Diocesi, ha intervistato ilDelegato don Olinto Crespi circa il carisma ela spiritualità dell’Istituto Santa Famiglia nelCentenario della Famiglia Paolina.

L’Istituto Santa Famiglia, per coniugi, è unodei quattro Istituti paolini di vita secolare consa-crata, aggregato alla Società San Paolo. Dal 3 al6 luglio scorso si è riunito alla Domus San Giu-liano di Macerata una sessantina di coppie del-l’Istituto per gli annuali Esercizi spirituali, ani-mati da don Olinto Crespi e don Venanzio Flo-riano sul tema «essere trasmettitori di luce».

«L’Istituto Santa Famiglia - spiega ad “Em-maus” don Crespi - in questi Corsi di riflessio-ne e di preghiera prende consapevolezza delgrande dono di essere “coppie consacrate” nellaChiesa e nella Famiglia Paolina, sorretto dal-l’ideale di coinvolgere tutte le forze nell’aposto-

lato dell’evangelizzazione e della comunicazio-ne. Per l’anno del Centenario, il compito che lefamiglie - qui intese come unione di coniugi -hanno ricevuto è quello di essere riflesso dellaluce del Vangelo e di tradurre nella quotidianitàquesto programma di vita: “Siate santi perchésanto è il Padre vostro che è nei cieli”.

I laici paolini hanno capito quanto grande èil dono del sacramento del matrimonio - conti-nua il sacerdote - e nel cammino che intrapren-dono e che compiamo insieme, lungo anni diformazione, parliamo loro della chiamata allavita, alla fede e ai Consigli evangelici.

Quello che le nostre famiglie devono anco-ra, forse, comprendere appieno - conclude Cre-spi - è che il carisma non è solo spirituale madeve essere anche apostolico: la devozione nonbasta, bisogna mirare alla comunione, a comu-nicare alle altre realtà familiari Cristo, che èdentro di noi» (e.t.).

«Più che uno spettacolo, è stata una formadi catechesi su San Paolo realizzata attraversopiù linguaggi: la parola, il canto, la danza e leimmagini». Così Gabriele Valeri con la moglieMaria Concetta, una coppia dell’Istituto “San-ta Famiglia” di Teramo, descrivono ad Em-maus di Macerata «Paulus - Il musical: la vitae le opere dell’Apostolo delle genti», che ilCoro della Divina Misericordia di Teramo hapresentato sabato 5 luglio alle ore 21.15 nel-l’Aula sinodale della “Domus San Giuliano”, aMacerata. Un coro singolare in quanto la buo-na volontà di un bel gruppo di famiglie (papà,mamme e figli), oltre ad animare le celebrazio-ni e le adorazioni eucaristiche in Parrocchia,hanno trovato motivo di apostolato paolino co-municare attraverso questo Recital su Paolo.

Il Gruppo di famiglie nasce come coro con il

desiderio di far conoscere l’apostolo Paolo e tra-smettere l’attualità del suo messaggio. Con Cin-zia Melozzi, musicista e direttrice del Coro, spo-sata a Maurizio (lettore) con due figli, i vari arti-sti si sono impegnati a interpretare le varie fasidella vita e missione di Paolo: il dott. PasqualeMisantone (San Paolo) sposato con Lina (soli-sta) e papà di Gabriele (19 anni, solista). Tecni-ci del suono: Federico Durante (21 anni), Davi-de Talucci (21 anni). Tecnico del video: AdrianoValeri (20 anni) figli di coristi. “Paulus” porta inscena gli otto episodi più importanti della vitadell’Apostolo, dalla conversione al martirio…

La rappresentazione si è tenuta a conclusionedel Corso di Esercizi spirituali (3-6 luglio) del-l’Istituto “Santa Famiglia” a Macerata, uno deidieci rami della Famiglia Paolina; alcuni membridell’Istituto hanno partecipato al Recital.

Testimonianze

Cento candeline per la Famiglia Paolina

Va in scena “Paulus”

La Famiglia Paolina, fondata dal beato Giaco-mo Alberione, compie cento anni (1914-2014).

Questa significativa ricorrenza è stata cele-brata dai membri dell’Istituto “Santa Fami-glia” del Gruppo di Lugo-Ravenna, una delledieci realtà ecclesiali nate dal cuore di Dio,grazie alla disponibilità dello strumento donGiacomo Alberione, chiamato a servire il Si-gnore attraverso i mezzi più attuali e consoniall’evoluzione della società.

La celebrazione è avvenuta con una mostranella chiesa di San Francesco di Paola, duran-te i festeggiamenti per il santo patrono, i cuiquadri narrano la storia e i frutti di questa stra-ordinaria avventura, iniziata ad Alba, cittadinapiemontese, all’alba del XX secolo e cresciutapoi, come un grande albero, fino a ramificarsinei continenti più lontani.

Il beato Alberione, nella sua vita, perseguìcon tenacia due ideali. Il primo fu la ricerca diuna profonda intimità con Dio, attuata attra-verso l’impegno di una sempre più piena con-formazione a Gesù Maestro Via, Verità e Vita,sull’esempio dell’apostolo san Paolo. Il secon-do fu l’amore per il prossimo.

Le numerose fondazioni, l’assunzione deimezzi della comunicazione sociale nell’apo-stolato, le molteplici iniziative intraprese eb-bero un unico obiettivo: far pervenire a tutti laParola di Dio, suscitare in tutti l’amore per ilSignore Gesù.

La mostra era stata inaugurata, sabato 3 mag-gio, al termine della S. Messa, presieduta da S. E.mons. Tommaso Ghirelli, dopo la consueta pro-cessione con la statua di San Franceschino (Istitu-to Santa Famiglia, Gruppo di Lugo-Ravenna).

Per me questo pellegrinaggio è stato un ri-torno alle origini della mia consacrazione, aivalori carismatici che stanno alla base dellanostra vocazione, una ricerca di ciò che mi haspinto ad entrarenel camminopaolino, un per-corso per fare ilpieno di energianuova, per unoslancio rinnova-to.

Chiedo al Si-gnore che, sul-l’esempio mira-bile dei nostri

testimoni Paolini, mi liberi da ogni incertezzanel testimoniare la fede, mi dia il coraggio del-la verità e il totale abbandono alla sua volontàsecondo le parole di don Alberione (Irma La-

ganà).*

Quando si par -la di santi, si ap-profondisce la lo -ro storia, si cono-scono le origini ei luoghi dove so-no nati ed è ini-ziata la loro vitasi rimane stupe-fatti e ammirati

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TESTIMONIANZE

Una mostra sull’opera di don Alberionea Ravenna-Lugo

Pellegrinaggio del Triveneto ai luoghidi origine della Famiglia Paolina

“CENTO PIAZZE PER IL VANGELO”(4 aprile 2014 - 30 giugno 2015)

In occasione del Centenario della Famiglia Paolina, i due editoriPaoline Editoriale Libri e San Paolo Edizioni hanno dato vita all’ini-ziativa Cento Piazze per il Vangelo, che intende rivivere, in unaformula attualizzata, le note “giornate del Vangelo” che hanno ca-ratterizzato i tempi d’oro della storia carismatica della FamigliaPaolina. Il progetto abbraccia il periodo che si estende dal 4 apri-le 2014 al 30 giugno 2015, durante il quale due grandi icone diGesù Maestro toccheranno le più importanti piazze italiane, par-tendo una da nord ed una da sud per ricongiungersi alla fine a Ro-ma, alla Basilica delle Tre fontane.In diverse Piazze delle nostre città (Città di Castello, Cinisello Bal-samo, Potenza…) è stata vivace la presenza e collaborazione dell’Istituto “Santa Famiglia”.

(vedi: www.100piazzeperilvangelo.it )

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per le loro opere, l’accettazione e l’ubbidienzaalla volontà di Dio, l’umiltà, la povertà e sem-plicità. Si ammira la loro grande fiducia nellaProvvidenza. Il Pellegrinaggio sui luoghi cari-smatici del beato Alberione ci ha fatto conside-rare come grandiose e uniche le opere realizza-te messe a servizio della Chiesa e di tutti.

Ci domandiamo: ma noi cosa possiamo fare?E’ difficile rispondere e viene spontaneo ripete-re quello che ci fa pregare il Fondatore: “Siamoignoranti, incapaci, insufficienti in tutto”. E al-lora pregare per una vera conversione, invocarelo Spirito Santo che scenda su di noi per illumi-narci e aiutarci (Gigliola e Stefano Guccione).

A Spicello (PU), nel Santuario di SanGiuseppe, il 25 aprile 2014, a conclusione

della “Giornata della Famiglia Paolina”, cheha visto la presenza di famiglie ISF delleMarche, Umbria, Abruzzo e una buona pre-senza di Paolini/e (circa 300 persone in tut-to), si è tenuta una solenne Concelebrazio-ne, presieduta dal Delegato ISF don OlintoCrespi.

La celebrazione era stata preceduta da in-terventi di testimonianze e di ricordi sul beatoAlberione del Postulatore della Causa dei San-ti, padre José Antonio Perez e di suor RosannaButani delle Pie Discepole. Una giornata di lo-de e di gratitudine al Signore per i tanti donielargiti alla Famiglia Paolina.

Testimonianze

Giornata della Famiglia Paolina

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TESTIMONIANZE

“Peregrinatio”In preparazione al 2015, anno dedica-to alla famiglia, e accogliendo l’invitodel Papa a pregare per il Sinodo dei Ve-scovi (5-19 ottobre 2014) abbiamo vis-suto una bella esperienza spirituale.Con l’approvazione del parroco di Ave-trana, don Vincenzo, abbiamo portatoin pellegrinaggio presso alcune fami-glie in villeggiatura al mare la statuadella santa Famiglia e con loro abbia-mo pregato affidando a Gesù, Maria eGiuseppe tutte le nostre intenzioni(dal Gruppo di Taranto).

Dal Santuario mariano di Cartoceto al San-tuario di San Giuseppe. Sono già 22 anni che,in prossimità dell’anniversario di fondazionedella Famiglia Paolina (20 agosto 1914) si vi-ve con grande partecipazione questa “cammi-nata” notturna di circa 8 km. partendo dal San-

tuario di Car-toceto, dedi-cato alla Ver-gine delleGrazie, pergiungere alSantuario diSpicello, de-dicato a SanGiuseppe, chefesteggia que-st’anno il 25°anniversariodella sua aper -tura.

Il significato spirituale del pellegrinaggioè favorire la devozione alla Santa Famiglia diNazaret e chiedere la guarigione di tante fa-miglie, toccate da situazioni di povertà di va-rio genere. Le intenzioni di preghiera sonostate tre:

• per l’Assemblea stra-ordinaria del Sinodo mon-diale dei Vescovi su matri-monio e vita familiare;

• per ottenere da sanGiuseppe che il lavoroprovveda a dare pane e di-gnità alla vita di ogni per-sona;

• per la Famiglia Paoli-na nel Centenario della suafondazione, perché conti-nui a vivere il carisma cheil beato Giacomo Alberio-ne le ha consegnato.

22a Edizione Pellegrinaggio Cartoceto - Spicello

Vergine delle Grazie a CartocetoSan Giuseppevenerato a Spicello

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Uniti nel suffragio e nell’intercessione

REMO TORO* 14-08-1929 – † 09-04-2014

del Gruppo di Termoli

Il 9 aprile è tornato alla casa del Signore il nostro amico fraterno Remo. La nostra preziosaamicizia è iniziata nel lontano 1974, quando arrivati a Termoli, abbiamo avuto la fortuna di in-contrare dei disponibili e generosi vicini di casa, Remo ed Ermelinda.

Remo era un uomo saggio, onesto e serio, che metteva a disposizione della famiglia e dellacomunità la sua ingegnosità e la sua manualità, sempre e con grande senso di responsabilità. Unuomo geniale nelle idee e con spiccato senso di concretezza nel risolvere qualunque tipo di pro-blema. Una persona per noi “unica” nella sua pazienza e nella sua umiltà.

Il suo impegno nella famiglia e nel gruppo è stato costante ed estremamente rilevante quasi finoall’ultimo, quando il Signore ha deciso nella Settimana santa di riprenderlo con sé.

Un uomo, dunque, per cui non esistono sufficienti aggettivi per descrivere la profondità d’ani-mo, la limpidezza dello spirito e l’intensa dedizione verso il prossimo.

Ho ricambiato il suo affetto e la sua sincerità, cercando di rendermi disponibile a lui in qualunquemomento, proprio come lui, nella sua intera esistenza, ha sempre fatto; e con grande nostalgia ora col-tivo il ricordo di un amico vero, unico ed insostituibile (Il suo amico fraterno Orazio Diolosà).

RITA SCIORTINO IN MORANA* 14-04-1955 – † 19-04-2014

del Gruppo di Palermo 1

Rita è stata una donna coraggiosa e solare, consapevole che stava per giungere l’incontro conGesù misericordioso.

Grazie, Rita, per il dono del tuo sorriso. Gesù, Maria e Giuseppe ti accolgano in Paradiso(I fratelli del Gruppo don Alberione, Palermo 1). Lasciamo la parola al marito e ai figli:

«La mia amata Rita, un’anima semplice, pura, generosa. Negli anni che abbiamo vissuto in-sieme, scoprivo giorno dopo giorno il suo amore profondo verso Gesù, la sua fede mi sembravapiccola ma era grande. Dai suoi scritti: “Gesù mio, Tu sai che fin dai miei primi anni di vita hodesiderato amarti con un amore grande nascosto nel profondo del mio cuore”. “Ti lodo e ti rin-grazio per il sacro matrimonio che mi unisce a Franco, l’amore che sentiamo l’una per l’altro èsempre come il primo giorno che ci hai fatto incontrare. Ti lodo e ti ringrazio per i miei figli, conMaria, madre del tuo figlio Gesù, sorreggili nel cammino della loro vita”.

Nel nostro matrimonio ha dato tanto, abbiamo sofferto per il dono di avere quattro figli, si è sa-crificata e offerta per loro fino all’ultimo. Ha pregato e si è offerta al buon Dio per il mio riavvi-cinamento al Signore. Mi ha fatto prendere atto che Dio non potevo cercarlo al bisogno e che midovevo abbandonare a Lui (1994 con la chiamata nell’ISF).

Da quando si è scoperto il cancro di Rita nel 1999, la sua vita è stata di sofferenza dignitosa,silenziosa, di offerta, di preghiera… Nel 2010 la malattia si ripresenta in altre parti vitali del cor-po diventando un vero e proprio calvario. Scriveva: “Gesù, le sofferenze non mi tolgono per nien-te la pace, tuttavia essa non cancella la sofferenza”. “Il Signore mi ha fatto conoscere le grazieche mi elargisce continuamente e le attenzioni che ha verso di me”.

Rita, fino al martedì santo 15 aprile, era sempre sorridente; quella mattina mi chiese di accom-pagnarla nelle altre stanze perché voleva salutare le altre ricoverate.

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Uniti nel suffragio e nell’intercessione

Mercoledì 16, inizia a perdere sempre più le forze. Il Giovedì santo inizia la sua passione. Imedici ci consigliano di portarla a casa per le ore che le restavano; con il cuore sanguinante ac-cetto e con una forza e coraggio che non è da noi (me), lei mi guidava.

Padre Enrico dopo le celebrazioni del Giovedì santo venne a casa per amministrarle i sacra-menti, che grazie a Dio ha potuto ricevere con lucidità. Il Venerdì santo giorno di agonia…

Ricordavamo le sue parole quando nei tempi belli ci diceva: “Quando muoio, voglio la ban-da”. Quella sera c’era la processione del Venerdì santo. Passava sotto casa nostra, accompa-gnata dalla banda musicale. Al sentire la banda siamo rimasti sorpresi e atterriti…

Il Sabato santo, alle prime ore del mattino la forte sofferenza è stampata sul suo volto; alle9,30 vede la luce di quel tunnel, di cui sempre lei ci raccontava di aver percorso già una volta; ilsuo volto divenne raggiante…; comprendemmo che la pienezza della grazia di Dio era in lei. Nel-lo stesso istante abbiamo avuta la certezza che Rita era accanto a Dio. Avevamo un dolore, unasofferenza lancinante, ma la serenità, la pace, la consolazione interiore, che sicuramente Rita hachiesto a Dio per noi, ha fatto sì che tutto si trasformasse in un atto d’amore» (Franco).

«Amatissima mamma Rita, pregavi sempre affinché questa malattia non ti togliesse mai il sor-riso e così è stato; fino all’ultimo istante di coscienza e anche tutt’ora che riposi in eterno, haimantenuto il tuo raggiante sorriso sul tuo dolcissimo e stupendo volto. In questi giorni abbiamoscoperto quante persone ti vogliono bene e tutti sono sempre rimasti colpiti dalla tua solarità, dal-la gioia che trapelava dal tuo volto e dal tuo sorriso…

Grazie alla fede che tu e papà ci avete trasmesso, siamo riusciti a trasformare questi giorni didolore in momenti di unione, comunione e atti d’amore, a riscoprire la grazia della famiglia e ilsostenerci a vicenda.

Grazie per l’amore e la testimonianza di fede che ci hai dato, continua da lassù, insieme a Maria ma-dre di Gesù a proteggerci come hai sempre fatto» (I tuoi figli, Giovanni, Benedetta, Serena e Paolo).

VINCENZA SPATA IN CATANIA* 25-10-1970 – † 24-04-2014

del Gruppo di Catania

La mattina del 23 aprile, verso le ore 8, Salvo Catania riceve una telefonata dal figlio Samuele(9anni) con la sorellina Chiara (4): «Papà, torna a casa, la mamma è svenuta. Giunto a casa vide l’am-bulanza del 118 e i medici che constatavano che Enza non era più in vita; forse un aneurisma cere-brale aveva provocato il decesso.

Nessun “perché?” poteva dare un barlume di consolazione o di luce. Luce che iniziò a farsistrada durante la Liturgia eucaristica del 25 aprile quando il parroco, padre Salvatore Cingari, havoluto che le esequie fossero celebrate con la Liturgia propria del giorno, liturgia e canti della set-timana di Pasqua, perché conosceva bene che Enza sin da piccola aveva frequentato la sua par-rocchia e in quella stessa chiesa il giorno 26 aprile 2003 aveva celebrato le nozze con SalvatoreCatania. Il giorno delle esequie la chiesa di San Pancrazio di Naxos era gremita; erano presenticoppie dell’Istituto “Santa Famiglia” sia da Catania che da Messina.

Nel 2009 conobbe l’Istituto “Santa Famiglia” e la chiamata cadde in un terreno fertile: eraquello che cercava. Assimilò la spiritualità paolina con tanto ardore da fare in breve passi da gi-gante; sempre assidua ai Ritiri, alle ore di adorazione, agli Esercizi spirituali dell’Istituto…

L’appartenenza alla Famiglia Paolina nell’ISF per Enza era una grazia.Dopo gli ultimi Esercizi spirituali fatti a Mascalucia, scriveva: «Questi Esercizi mi lascia-

no una grande speranza: quella di ricevere un cuore nuovo e uno spirito nuovo».

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Se a volte la pesantezza della vita si faceva sentire, bastava un incontro spirituale con Gesù,con la Beata Vergine, che tornava sorridente da irradiare intorno a sé gioia e serenità. Un ultimopensiero di Enza conforme a quanto il beato Giacomo Alberione voleva dai suoi figli: «Se Gesùmi dicesse: che cosa vuoi che io faccia per te? Vorrei che mettesse radici così profonde nel miocuore che neanche un’alluvione potrebbe sradicarlo. O Gesù, fa’ con me quello che hai fatto aPaolo: fa’ morire Saul e vivere san Paolo» (I membri del gruppo di Catania).

FRANCO FALAPPA* 29-08-1948 – † 21-06-2014

del Gruppo di Osimo

Dopo circa un anno di malattia, affrontata giorno dopo giorno con e una speranza certa, il no-stro amato papà Franco è tornato alla casa del Padre.

Insieme a mamma Rolanda hanno professato i primi voti, entrando nell’ISF, nel 1986 pressola Madonnina in Sardegna. Da allora ricordiamo la nostra vita di figli come un susseguirsi di gio-ie e momenti, anche meno felici, ma ugualmente sereni e fiduciosi nell’Amore di Dio. Ѐ certoche non abbiamo dovuto faticare, fin da bambini, per comprendere che Dio è come un “PadreBuono” perché siamo cresciuti con l’esempio di papà Franco: instancabilmente disponibile adaiutare il prossimo, lavoratore onesto, attento a ciascuno amorevolmente, premuroso e affettuo-so, mai disperato nel dolore, anche in quello più insopportabile dell’ultimo periodo.

Ad ogni anniversario della nascita al cielo di don Lamera (Corpus Domini del 1997), papà ciricordava e sottolineava la bellezza del morire proprio in questa festa come testimonianza del mo-rire da credenti uniti a Cristo, legati a Lui per sempre.

Durante la Celebrazione funebre abbiamo ricevuto il conforto di tantissime persone e ognu-no, nello specifico, ci comunicava la grandezza di cuore del nostro papà. Per questo ricorderemoquel giorno come una grande festa in suo onore, di cui essere grati a Dio per avercelo donato, eche riassumiamo riportando un’esclamazione di uno dei suoi quattro nipoti al termine dell’Euca-ristia: «Ma allora è bello morire!!!» (I figli Federica, Fabiola e Francesco).

ROSA PICCOLO IN ZAMBRANO* 31-08-1930 – † 23-06-2014

del Gruppo di Salerno

Il Signore che dispone il tempo del nascere e del morire, ha disposto che la nostra carissima Ro-setta si ricongiungesse nello stesso giorno, ad un anno di distanza, con il suo amatissimo Natalino.

Entrambi hanno contribuito per molti anni, come Responsabili del Gruppo di Salerno, con laloro generosa disponibilità e con il loro prezioso ed esemplare servizio, a far crescere tutti noinell’ amore e nella fedeltà ai doni ricevuti da Dio. Con la loro testimonianza ci hanno reso visi-bile quella casa fondata sulla roccia dell’amore di Cristo, che, pur tra grandi sofferenze, non èstata scalfita dalle avversità.

Rosetta è stata per tutti noi un esempio di come superare tutti i dolori e le avversità della vi-ta, di preghiera costante ed incessante, di fiducia piena nella Santa Famiglia di Nazareth.

Cara Rosetta, ora che sei in Cielo con Natalino, affidaci tutti a Gesù, Giuseppe e Maria affin-ché ci stiano vicini ed ottengano per noi e per tutta la Famiglia Paolina, la perseveranza, l’unitàe la santità (Ciro e Maria Piemonte).

Uniti nel suffragio e nell’intercessione

ATTENZIONE – Accogliendo l’espresso desiderio di molti membri della “Santa Famiglia”

per continuare a offrire un contributo, secondo le proprie possibilità,

all’Istituto Santa Famiglia S. Giuseppe di Spicello, comunichiamo le modalità di offerta:

Conto corrente postale intestato a “Istituto Santa Famiglia” - n° 95135000

intestato a “Santuario San Giuseppe” - n° 14106611

Banca di Credito Cooperativo di Roma - Agenzia n. 1 - c/c bancario “Istituto Santa Famiglia”

IBAN: IT34K0832703201000000034764

IL VALORE DELLA SANTA MESSA

«Niente è più grande dell’Eucaristia!... Quando noi vogliamo liberare dal Purgatorio

una persona cara e invocare la benedizione sulle nostre famiglie, offriamo a Dio il santo

Sacrificio del suo Figlio diletto, con tutti i meriti della sua passione e della sua morte. Egli,

Dio Padre, non potrà non ascoltarci…» (Santo Curato d’Ars).

OPERA SANTE MESSE PERPETUE

Si tratta di 2400 Messe che ogni anno vengono celebrate dai Sacerdoti Paolini per tutti gli

iscritti vivi e defunti. Tale Opera è stata voluta da don Giacomo Alberione come segno di

riconoscenza verso tutti coloro che aiutano gli apostolati della Famiglia Paolina.

Norme per l’iscrizione

1. Ogni iscrizione si riferisce a una singola persona, sia viva che defunta.

2. Per ogni iscritto si rilascia una pagellina-ricordo con il nome e la data d’iscrizione.

3. Gli iscritti godono del beneficio di sei Sante Messe che ogni giorno vengono cele-

brate esclusivamente per loro.

4. L’offerta per ogni iscrizione è di Euro 20,00 ed ha valore perpetuo.

Celebrazione di Sante Messe

• Celebrazione di Sante Messe secondo le intenzioni dell’offerente: € 10,00.

• Celebrazione di un Corso di Messe Gregoriane l’offerta è di € 350,00.

Inoltrare le prenotazioni delle intenzioni di Messe all’Istituto “Santa Famiglia”

Circonvallazione Appia 162 – 00179 ROMA – ccp n. 95135000.

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LO STEMMASINTESI DELLA SPIRITUALITÀ APOSTOLICA PAOLINA

– Che cosa fate a letto? – chiede Mara,quattordici anni, alla madre.

– Perché me lo chiedi? – indaga la madre,un po’ stupita della domanda diretta.

– Io mi accorgo di quando fate l’amore! –risponde Mara, candida.

– Te ne accorgi?! – trasecola la madre, pre-occupata, e intanto pensa che di sicuro lorotengono la porta della camera chiusa…

– Ma sì, poi tu sei più bella e il papà misembra un altro, è allegro, canta come se aves-se vinto al lotto.

Silvia, la madre, si sorprende a pensare allanotte trascorsa. Sorride senza volerlo; Enrico,le ha detto: «Vuoi?», avvicinandosi con dol-cezza. Sottinteso: in ogni caso ti amo, anche senon vuoi. E lei si era sciolta, gli aveva guarda-to le mani che la accarezzavano: due mani de-licate come se stessero componendo una musi-ca, due mani rispettose, lievi. E bellissime. Lemani che l’avevano fatta innamorare. La lorocapacità di arrivare fino a lei con il loro calore.Incredibile. Ogni volta un mistero nuovo. Lesue mani non erano invecchiate, no, non uncenno di grinze.

– Ehi, ma’, ci sei?! – chiede la furbetta.– Sì, ci sono. Tuo padre è un uomo meravi-

glioso.– Anche mia madre! – risponde allegra Ma-

ra.– Ma tu non…– Tranquilla ma’, non lo vado certo a dire

alla mia sorellina. E poi, lo so, è il vostro se-greto! – aggiunge, come a fugare tutte le om-bre dal viso della madre.

Questo episodio ci mette di fronte agli ef-fetti benefici del rapporto d’amore.

1) Ovviamente non è necessario che un fi-glio/a espliciti questi effetti, come fa Mara, chepotrebbe, teoricamente, essere spinta solo dal-la curiosità morbosa. Anzi, che un genitoreparli esplicitamente ai figli dei comportamentisessuali della propria coppia di solito non èbuon segno. Soprattutto perché in questi casiuno (spesso la madre) lo fa per denigrare l’al-tro.

Una madre diceva ossessivamente alla fi-glia, manifestando la sua ritrosia alle “voglie”del marito: «Io non mi dovevo sposare!», nonaccorgendosi che in questo modo diceva an-che: «Tu non dovevi nascere!». La nostra Ma-ra, in questo case study, si mostra attenta ai se-gnali buoni del rapporto d’amore, rivela unasensibilità particolare, ma attenzione gli effettibenefici del rapporto i figli sicuramente li per-cepiscono, anche se non ne parlano!

2) Qui è presente un legame sano e tenerotra donne, figlia e madre. La madre si limita a

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Le sue mani

Verso il Convegno ISF

Il capitolo “Notte sacra di Tobia e Sara” dal libro “Come si diventa coppia” di Maria Tere-sa Zattoni e Gilberto Gillini (Ed. San Paolo, 2013) ci offre questo passaggio, espressione ve-ra di una sessualità che guarisce.

PREGHIERA

Per tutte le volte che abbiamo fatto l’amoregrazie, Signore Gesù, Sposo fedele!Grazie per tutte le volte che abbiamo vinto i demoniche si annidano proprio lìnell’atto sacro di fare l’amore:i demoni della non-generosità, del ritiro egoisticoi demoni del non-rispetto, della prevaricazionedi una volontà sull’altra.L’eros che ci siamo scambiatiè la benzina nella vita.Senza, non andremmo da nessuna parte.Ma fin dalla prima notteabbiamo visto l’eros trasformarsi:dopo uno, dieci, trenta… anni di matrimonioil nostro eros non è fisso, là come allora:non può essere il nostro metro di misura,non sarebbe la nostra storia.Per amore, Signore, abbiamo scopertogli infiniti gesti dell’eros,cioè del darci piacere reciprocofino a prenderci (soltanto) per manonella sicurezza che stiamo invecchiando insieme.E questo a Tua lode, o Signore!

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parlar bene del marito, senza scendere nei par-ticolari, senza svelare il segreto del rapportod’amore: è una cosa della coppia, da non spen-dere, neanche nelle migliori buone intenzioni.La figlia indaga, incuriosita, ma è attenta ai se-gnali della madre; in altre parole, le giunge “laporta chiusa” del rapporto di coppia, ma con ilsorriso; il limite in questo caso è un segnod’amore. Tant’è che la figlia è in grado di ras-sicurare la madre (non lo dirà alla sorellina), néforza per andare oltre.

3) «Tuo padre è un uomo meraviglioso»: èuna grande lezione d’amore. Poiché ciò che di-ce la madre è vero, non è una (finta) educazio-ne sessuale a tavolino; alla figlia giungono unaserie di messaggi che faranno da imprinting,cioè lasceranno un segno per i suoi rapporti fu-turi. Ovviamente non si tratta di chiudere gliocchi di fronte alle difficoltà, ma di godere ilbello della coppia, quando c’è. Tant’è che la fi-glia attribuisce questa bellezza anche alla ma-dre.

LE SUE MANI

Siamo importanti per DioNoi siamo importanti per Dio… anche Tu, o Dio, sei importante per me.Accogli con tutto te stesso l’amore che Dio ti ha donato per primo (1Gv 4,19).Rimani ancorato a questa certezza, la sola capace di dare senso, forza e gioia alla tua vita: tu seiimportante per Dio. Egli ti circonda con il suo amore, si prende cura di te, ti custodisce come pu-pilla del suo occhio. Che cosa è l’uomo perché il Signore Iddio, Creatore dei cieli e della terra, siprenda cura di lui? (cf Sal 8, 5-6).Cosa sono i figli degli uomini perché lui se ne dia pensiero? Eppure ci ha fatto poco meno degli an-geli; ma se non ha bisogno di prendersi cura degli angeli, della stirpe di Abramo si prende cura (cfEb 2,16). Gettiamo dunque in lui ogni nostra preoccupazione (cf 1Pt 5,7).Non si allontanerà mai da noi il suo affetto, non verrà mai meno la sua alleanza di pace con noi.I doni e la chiamata di Dio sono per sempre: egli ha disegnato il tuo nome sulle palme delle suemani (cf Is 49,16).Tu sei importante per Dio. Trasferisci questa parola nella profondità della tua vita, alla fonte deltuo essere, della tua preoccupazione ultima, e prendila sul serio, senza alcuna riserva. Forse perfarlo dovrai dimenticare ogni nozione tradizionale che hai appreso su Dio, forse la parola stessa, ericordarti soltanto del vuoto che trovi in te, del bisogno profondo, della sete che ti restituisce a testesso, soprattutto nel tempo della prova.Siamo i “destinatari” di una passione senza misura. Mentre eravamo ancora peccatori, infatti, egliha mandato il suo Figlio unigenito perché noi avessimo la vita per lui. La misura di questa passio-ne di Dio per me è scandalosa; è la misura della croce. La “missione” di Cristo ha inizio quando Dio,autotrascendendosi, “decide” di uscire da sé per andare incontro all’umanità, che ha bisogno di luie che soffre le conseguenze della solitudine, nella quale si è auto-proiettata, in conseguenza delpeccato.Rivesti di consapevolezza le tue relazioni per coloro che ti sono stati affidati. Prenditi cura di ognipersona con cui sei chiamato a fare un tratto di strada. Come un pastore conosce per nome le suepecore e le passa in rassegna, così anche tu circonda di attenzione ogni anima che ti è affidata.Mi stai a cuore, mi interessi, sei importante per me, non è lo stesso che tu ci sia o no: questo è ilmessaggio che rende possibile il miracolo della comunione. «Le madri secondo la carne – dicevasant’Angela Merici – se ne avessero mille figlioli, tutti se li terrebbero nell’animo, totalmente fissia uno a uno, perché così opera il vero amore. Anzi, pare che quanti più ne hanno, tanto più crescala cura particolare per ciascuno. Maggiormente le madri secondo lo spirito possono e devono farquesto, perché l’amore secondo lo spirito è più potente dell’amore secondo la carne». Per aprirti al-l’amore devi liberarti dal non-amore. E il non-amore non è l’odio, ma l’autosufficienza, l’indifferen-za, la freddezza, il distacco, la noncuranza, l’insensibilità.Chiedi a Dio di riversare ogni giorno nel tuo cuore l’amore per lui, l’amore per i tuoi familiari e peri compagni di viaggio, l’amore per i destinatari del “compito” che ti è stato affidato; Dio non ti ri-fiuterà questo dono. Chiedigli di insegnarti ad amare te stesso, fino a dimenticarti di te stesso.Poiché egli è il nostro Dio, e noi siamo il popolo di cui ha cura e il gregge che la sua mano condu-ce (cf Sal 95,7). E come egli stesso volle uscire da sé per divenire Figlio, così saprà insegnarci, me-diante il dono del suo Spirito, a spostare finalmente fuori di noi il sole del nostro universo vitale;come Maria, la Madre di Dio che, custodendo nel cuore la Parola, si lasciò da essa invadere, co-struire, unificare.

Da Tu per me sei importante. Itinerario spirituale alla scoperta della vita buona del Vangelo,

di Giuseppe BUCCELLATO - EDB, Bologna 2014