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Gestione pratica della terapia anticoagulante nei pazienti con fibrillazione atriale Richard J. Kovacs, Greg C. Flaker, Sherry J. Saxonhouse, John U. Doherty, Kim K. Birtcher, Adam Cuker, Bruce L. Davidson, Robert P. Giugliano, Christopher B. Granger, Amir K. Jaffer, Bella H. Mehta, Edith Nutescu, Kim A. Williams J Am Coll Cardiol 2015;65:1340-1360 Abstract La terapia anticoagulante per la fibrillazione atriale sta diventando sempre più complessa, a seguito dell’introduzione di nuovi farmaci anticoagulanti e dell’elevato numero e dell’eterogeneità dei pazienti che hanno indicazione a tale trattamento. La gestione della terapia anticoagulante è diventata “uno sport di squadra”, che coinvolge vari specialisti in diversi contesti clinici. L’American College of Cardiology, attraverso la College’s Anticoagulation Initiative, ha dato vita a una tavola rotonda di esperti appartenenti a diverse specialità per discutere i diversi aspetti correlati con la gestione dei pazienti che hanno indicazione alla terapia anticoagulante, con l’obiettivo di formulare raccomandazioni formali su aspetti quali: inizio e sospensione del trattamento, qualità della terapia anticoagulante, trattamento delle emorragie maggiori e minori e trattamento di popolazioni particolari. I partecipanti alla tavola rotonda hanno proseguito nel tempo il loro lavoro, fino a raggiungere una uniformità di vedute su tali tematiche, e questa pubblicazione presenta le conclusioni finali di tale percorso, in forma di rassegna sintetica finale sugli aspetti pratici della terapia anticoagulante nei pazienti con fibrillazione atriale. Introduzione Nel settembre 2013, a seguito di una serie di trial pilota e dell’approvazione alla commercializzazione di nuovi farmaci anticoagulanti, American College of Cardiology (ACC) ha dato vita a una tavola rotonda presso la Heart House per la discussione degli aspetti clinici correlati con la disponibilità di terapie anticoagulanti alternative al warfarin nei pazienti con fibrillazione atriale (FA) non valvolare. Sono stati invitati a partecipare a tale iniziativa i rappresentati delle società dei diversi specialisti coinvolti, della Food and Drug Administration (FDA) statunitense, delle industrie farmaceutice e delle organizzazioni di pazienti (Appendice). La discussione ha riguardato 4 punti generali: 1. Inizio e interruzione della terapia anticoagulante 2. Qualità, costo e approccio di squadra alla terapia anticoagulante 3. Gestione delle emorragie e delle emergenze 4. Copatologie e popolazioni di pazienti con caratteristiche particolari. Tale discussione è stata integrata da una rassegna accurata della letteratura in lingua inglese su questi temi, aggiornata al novembre 2014. I dati del registro di ACC PINNACLE hanno documentato un’ampia variabilità nella percentuale di appropriatezza della terapia anticoagulante per la FA prima dell’introduzione degli anticoagulanti orali ad

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Gestione pratica della terapia anticoagulante nei pazienti con fibrillazione atriale

Richard J. Kovacs, Greg C. Flaker, Sherry J. Saxonhouse, John U. Doherty, Kim K. Birtcher, Adam Cuker,

Bruce L. Davidson, Robert P. Giugliano, Christopher B. Granger, Amir K. Jaffer, Bella H. Mehta, Edith

Nutescu, Kim A. Williams

J Am Coll Cardiol 2015;65:1340-1360

Abstract

La terapia anticoagulante per la fibrillazione atriale sta diventando sempre più complessa, a seguito

dell’introduzione di nuovi farmaci anticoagulanti e dell’elevato numero e dell’eterogeneità dei pazienti che

hanno indicazione a tale trattamento. La gestione della terapia anticoagulante è diventata “uno sport di

squadra”, che coinvolge vari specialisti in diversi contesti clinici. L’American College of Cardiology,

attraverso la College’s Anticoagulation Initiative, ha dato vita a una tavola rotonda di esperti appartenenti a

diverse specialità per discutere i diversi aspetti correlati con la gestione dei pazienti che hanno indicazione

alla terapia anticoagulante, con l’obiettivo di formulare raccomandazioni formali su aspetti quali: inizio e

sospensione del trattamento, qualità della terapia anticoagulante, trattamento delle emorragie maggiori e

minori e trattamento di popolazioni particolari. I partecipanti alla tavola rotonda hanno proseguito nel

tempo il loro lavoro, fino a raggiungere una uniformità di vedute su tali tematiche, e questa pubblicazione

presenta le conclusioni finali di tale percorso, in forma di rassegna sintetica finale sugli aspetti pratici della

terapia anticoagulante nei pazienti con fibrillazione atriale.

Introduzione

Nel settembre 2013, a seguito di una serie di trial pilota e dell’approvazione alla commercializzazione di

nuovi farmaci anticoagulanti, American College of Cardiology (ACC) ha dato vita a una tavola rotonda

presso la Heart House per la discussione degli aspetti clinici correlati con la disponibilità di terapie

anticoagulanti alternative al warfarin nei pazienti con fibrillazione atriale (FA) non valvolare. Sono stati

invitati a partecipare a tale iniziativa i rappresentati delle società dei diversi specialisti coinvolti, della Food

and Drug Administration (FDA) statunitense, delle industrie farmaceutice e delle organizzazioni di pazienti

(Appendice). La discussione ha riguardato 4 punti generali:

1. Inizio e interruzione della terapia anticoagulante

2. Qualità, costo e approccio di squadra alla terapia anticoagulante

3. Gestione delle emorragie e delle emergenze

4. Copatologie e popolazioni di pazienti con caratteristiche particolari.

Tale discussione è stata integrata da una rassegna accurata della letteratura in lingua inglese su questi temi,

aggiornata al novembre 2014.

I dati del registro di ACC PINNACLE hanno documentato un’ampia variabilità nella percentuale di

appropriatezza della terapia anticoagulante per la FA prima dell’introduzione degli anticoagulanti orali ad

azione diretta (AOAD) (1). La gestione della terapia anticoagulante è trasversale a varie specialità e a diversi

contesti clinici (Illustrazione centrale). Questa rassegna ha lo scopo di fornire raccomandazioni pratiche

basate sul consenso degli esperti e di puntualizzare gli aspetti ancora non chiari in letteratura allo scopo di

definire gli indirizzi della ricerca su questo argomento nel prossimo futuro.

Illustrazione centrale. Interazioni complesse intorno al paziente scoagulato.

Nuovi farmaci, come gli anticoagulanti orali ad azione diretta (AOAD), vengono testati relativamente a

sicurezza ed efficacia in trial clinici che coinvolgono specifiche popolazioni di pazienti con rigorosi criteri di

inclusione ed esclusione. I foglietti illustrativi vengono redatti sulla base dei dati di questi trial clinici e dei

dati di un limitato numero di trial di supporto che utilizzano campioni specifici di pazienti per testare un

limitato numero di interazioni farmacologiche e poche popolazioni di pazienti accuratamente selezionate.

Una volta che è stato approvato per l’uso, il farmaco viene introdotto in un sistema di cura più complesso. I

pazienti che assumono AOAD si spostano fra ambito ospedaliero e ambulatoriale, e interagiscono con

diverse figure sanitarie nell’ambito di un sistema complesso. I pazienti che assumono AOAD possono

presentare diverse comorbilità e possono assumere AOAD per lunghi periodi di tempo. Il coordinamento di

questo tipo di cura è indubbiamente importante, al fine di garantire sicurezza ed efficacia nella gestione

della terapia anticoagulante orale nei moderni sistemi sanitari. AF = fibrillazione atriale; INR = international

normalized ratio; MI = infarto miocardico; OAC = anticoagulanti orali; TIA = attacco ischemico transitorio;

AVK = antagonista della vitamina K.

Kovacs, R.J. et al. J Am Coll Cardiol. 2015; 65(13):1340-1360.

Valutazione dei benefici e dei rischi dei farmaci anticoagulanti orali

La terapia anticoagulante orale (TAO) riduce il rischio di ictus nei pazienti con FA non valvolare. I pazienti

con FA valvolare e quelli che sono portatori di una protesi valvolare meccanica o di una stenosi mitralica

significativa (da moderata a grave) sono stati esclusi dai trial clinici e, di conseguenza, il presnete

documento non suggerisce variazioni nella gestione della terapia anticoagulante di questi individui. I

pazienti con FA non valvolare (parossistica, persistente o permanente), con o senza sintomi, vanno tutti

presi in considerazione per la TAO sulla base del loro profilo di rischio individuale.

Le linee-guida 2014 per la FA raccomandano l’utilizzo del punteggio CHA2DS2-VASc (scompenso cardiaco

congestizio o disfunzione ventricolare sinistra; ipertensione; età ≥75 anni; diabete mellito; ictus, attacco

ischemico transitorio, o tromboembolismo; vasculopatia; età fra 65 e 74 anni; sesso femminile) (Tabella 1)

(2), anziché del punteggio CHADS2 (scompenso cardiaco congestizio, ipertensione, età ≥75 anni, diabete

mellito, ictus o attacco ischemico transitorio) (3), in quanto il primo comporta un incremento del numero di

pazienti che raggiungono i criteri per la terapia anticoagulante, consentendo al tempo stesso una più

accurata identificazione dei soggetti realmente a basso rischio. Molti pazienti (donne, soggetti di età

compresa fra 65 e 74 anni, pazienti vasculopatici) vengono redistribuiti da categorie a basso rischio verso

categorie ad alto rischio (3). Sono disponibili diversi punteggi di rischio emorragico, come HAS-BLED

(Ipertensione, anomalie della funzione epatica o renale, ictus, emorragie, INR labile, età avanzata, abuso di

farmaci o alcol) e ATRIA (Anticoagulation And Risk Factors In Atrial Fibrillation) (4,5), i quali possono

identificare i pazienti a maggior rischio emorragico; tuttavia, abbiamo bisogno di maggiori informazioni

sulla loro utilità clinica (2). Sono disponibili sistemi di punteggio rapidi, come l’AnticoagEvaluator and the

Stroke Prevention in Atrial Fibrillation Risk Tool, per la stima del rischio di ictus e dei benefici della terapia

anticoagulante nei pazienti con FA (6,7).

Tabella 1. 2009 Birmingham Schema espresso come sistema di punteggio, con l’acronimo di CHA2DS2-

VASc

Interazioni complesse intorno al paziente scoagulato. Illustrazione centrale.

Nuovi farmaci, come gli anticoagulanti orali ad azione diretta (AOAD), vengono testati relativamente a

sicurezza ed efficacia in trial clinici che coinvolgono specifiche popolazioni di pazienti con rigorosi criteri di

inclusione ed esclusione. I foglietti illustrativi vengono redatti sulla base dei dati di questi trial clinici e dei

dati di un limitato numero di trial di supporto che utilizzano campioni specifici di pazienti per testare un

limitato numero di interazioni farmacologiche e poche popolazioni di pazienti accuratamente selezionate.

Una volta che è stato approvato per l’uso, il farmaco viene introdotto in un sistema di cura più complesso. I

pazienti che assumono AOAD si spostano fra ambito ospedaliero e ambulatoriale, e interagiscono con

diverse figure sanitarie nell’ambito di un sistema complesso. I pazienti che assumono AOAD possono

presentare diverse comorbilità e possono assumere AOAD per lunghi periodi di tempo. Il coordinamento di

questo tipo di cura è indubbiamente importante, al fine di garantire sicurezza ed efficacia nella gestione

della terapia anticoagulante orale nei moderni sistemi sanitari. AF = fibrillazione atriale; INR = international

normalized ratio; MI = infarto miocardico; OAC = anticoagulanti orali; TIA = attacco ischemico transitorio;

AVK = antagonista della vitamina K.

Trial clinici di confronto fra AOAD e antagonisti della vitamina K

Esistono 2 classi di AOAD: inibitori del fattore Xa (FXa), ossia rivaroxaban, apixaban ed edoxaban; inibitori

diretti della trombona, ossia dabigatran. La Tabella 2 elenca trial di confronto relativamente a efficacia e

sicurezza fra AOAD e warfarin con dosaggio aggiustato per un INR (international normalized ratio) target

compreso fra 2 e 3.

Tabella 2. Sintesi dei trial clinici su AOAD

Questi trial presentano dei limiti, come il disegno di non inferiorità e periodi di follow-up relativamente

brevi. La mediana del tempo in range terapeutico (TRT) per i pazienti in warfarin era ≤69% in ciascuno dei

trial; si sarebbero potuti avere risultati differenti se i pazienti avessero raggiunto più elevate percentuali di

TRT. Abbiamo scarse indicazioni circa i potenziali vantaggi dell’utilizzo degli AOAD nei pazienti che

assumono il warfarin e hanno un TRT >75%. Combinando insieme i dati dei trial, sembra che gli AOAD

riducano il rischio di ictus, emorragie endocraniche (EEC) e mortalità globale rispetto al warfarin, con un

rischio sovrapponibile di emorragie maggiori. Tuttavia, sembra che le emorragie gastrointestinali siano più

frequenti con rivaroxaban, edoxaban 60 mg e dabigatran rispetto a warfarin (8).

Il farmaco giusto per il paziente giusto

La scelta del farmaco più appropriato dipende dalle indicazioni approvate per ciascun farmaco, dalle

caratteristiche del paziente, dai farmaci concomitanti, dalle preferenze del medico e del paziente e dai

costi. Per determinati pazienti è appropriata la terapia con il warfarin, purché ben gestito e con un TRT

elevato. Diversi studi quantificano la correlazione fra TRT ed eventi clinici maggiori nei pazienti con FA

(9,10). I pazienti con un TRT < 58% nonostante variazioni adeguate del dosaggio di warfarin possono trarre

beneficio dal passaggio a un AOAD (11). I trial clinici hanno anche documentato un rischio inferiore di EEC

con gli AOAD rispetto al warfarin.

La risposta individuale al warfarin varia con età, sesso, indice di massa corporea, farmaci concomitanti,

alcuni cibi e il genotipo. Il warfarin ha un indice terapeutico relativamente ridotto. Il sovradosaggio di

warfarin può comportare un’emorragia; il sottodosaggio può esitare in una trombosi. I paz ienti trattati con

il warfarin dovrebbero essere sottoposti al dosaggio dell’INR almeno settimanalmente durante la fase di

inizio della terapia e poi a periodici e regolari monitoraggi quando l’INR è stabile e compreso nel range

terapeutico. La genetica influisce sulla risposta agli antagonisti della vitamina K (AVK); tuttavia, i test

genetici per la predizione della risposta alla vitamina K non sono stati utilizzati nella pratica clinica e non

sono stati valutati in trial randomizzati (12,13). Il monitoraggio domiciliare della terapia con AVK è

ragionevole in pazienti selezionati (14), come per esempio coloro che hanno difficoltà ad accedere a

laboratori specifici. Molte compagnie di assicurazione, fra cui Medicare, coprono il costo del dispositivo per

il monitoraggio domiciliare dell’INR e dei materiali necessari per il dosaggio dell’INR una volta alla

settimana. Diversi servizi di gestione della TAO accettano questa modalitò di dosaggio dell’INR e fanno

riferimento ai piani Medicare (15).

Il meccanismo d’azione, i dosaggi, le interazioni farmacologiche e le raccomandazioni relative al

monitoraggio degli AOAD sono elencati nella Tabella 3. Sebbene gli AOAD siano più costosi del warfarin,

comportano in alcuni pazienti vantaggi quali l’assenza di limitazioni della dieta, minori interazioni

farmacologiche e l’eliminazione del dosaggio dell’INR.

I pazienti che assumono anticoagulanti orali vanno seguiti con esami di laboratorio basali e poi periodici

(16). La dose di AOAD varia in relazione alla funzione renale. La Tabella 3 presenta una sintesi delle

variazioni di dosaggio di questi farmaci in relazione alla funzione renale. Sebbene molti laboratori riportino

la funzione renale come velocità di filtrazione glomerulare stimata, la funzione renale va stimata utilizzando

l’equazione di Cockcroft-Gault ([(140 - età) x peso (in kg) x 0,85 se di sesso femminile]/[72 x creatinina (in

mg/dl)]) per determinare la dose appropriata di AOAD.

Tabella 3. Anticoagulanti orali ad azione diretta approvati dalla FDA per la fibrillazione atriale non

valvolare

I pazienti con un danno renale grave sono stati esclusi dai trial di fase III eseguiti per la valutazione deli

AOAD e, di conseguenza, il warfarin resta la terapia di scelta per i pazienti con FA e danno renale grave o

nefropatia in fase terminale (2). Tuttavia, la FDA statunitense ha approvato l’apixaban nei pazienti con

nefropatia in fase terminale in emodialisi, sulla base dei dati di farmacocinetica di tale agente.

Interazioni farmacologiche

Quando si prescrive un qualunque farmaco anticoagulante, bisogna prendere in considerazione le

interazioni farmacologiche (Tabella 3 e Tabella 4). Tutti i pazienti devono essere istruiti ad avvertire il

medico che ha prescritto l’anticoagulante ogni volta che viene in qualche modo modificata la restante

terapia (Tabella 5). Il warfarin presenta numerose interazioni con alimenti e farmaci (17), sebbene alcune di

esse non siano state ben documentate. Farmaci di automedicazione (per esempio, paracetamolo, olio di

pesce, prodotti fitoterapici e succo di pompelmo) possono potenziare l’effetto degli AVK (18-19).

Tabella 4. Interazioni farmacologiche selezionate con gli anticoagulanti orali ad azione diretta

Tabella 5. Passaggio da un anticoagulante a un altro e interruzione della terapia

Anche gli AOAD vanno soggetti a interazioni farmacologiche. Rivaroxaban e apixaban interagiscono con

farmaci che sono inibitori o induttori del citocromo P450 3A4 e con la glicoproteina-P (22). La rifampicina,

un induttore della glicoproteina-P, non deve essere utilizzata con edoxaban o dabigatran. I farmaci che

inibiscono il sistema della glicoproteina-P aumentano le concentrazioni plasmatiche di dabigatran ed

edoxaban. L’utilizzo di chinidina, dronedarone o verapamil in concomitanza con edoxaban aumenta

significativamente l’esposizione a edoxaban (23). Sebbene la dose di edoxaban sia stata ridotta del 50% nei

pazienti che assumevano contemporaneamente verapamil, chinidina o dronedarone nello studio ENGAGE

AF-TIMI 48 (Effective Anticoagulation with Factor Xa Next Generation in Atrial Fibrillation-Thrombolysis In

Myocardial Infarction 48), la FDA statunitense non raccomanda alcuna riduzione di dose nei pazienti che

assumono in contemporanea inibitori della glicoproteina-P (24). I pazienti in terapia con farmaci

antiretrovirali, ciclosporina, antimicotici azolici e macrolidi sono stati esclusi dallo studio ENGAGE AF-TIMI

48 e l’utilizzo di tali agenti nei pazienti in AOAD va evitato, dal momento che essi aumentano le

concentrazioni di edoxaban.

Sospensione della terapia farmacologica

Per la maggior parte delle procedure invasive a basso rischio, è sicura una interruzione a breve termine

della TAO. La gestione della TAO va individualizzata per i pazienti a rischio tromboembolico più elevato che

vengono sottoposti a procedure ad alto rischio. Le procedure che comportano un rischio emorragico

elevato comprendono gli interventi chirurgici endocranici, sul modollo spinale, retroperitoneali e

intratoracici. Le procedure endooculari e l’anestesia neurassiale possono presentare rischi per i pazienti con

emorragie anche minori. E’ frequente un periodo di passaggio a un agente anticoagulante parenterale

(come per esempio eparina non frazionata o eparina a basso peso molecolare), ma i dati relativi alla

prevenzione degli eventi embolici con tale provvedimento sono limitati, mentre il tasso di emorragie è

significativamente aumentato (25). La decisione di seguire tale tipo di strategia va presa bilanciando il

rischio di un evento embolico contro il rischio di un evento emorragico (26).

Passaggio da un anticoagulante all’altro

Quando un paziente passa da un AVK a un AOAD è necessario monitorizzare l’INR per evitare

un’anticoagulazione eccessiva. I valori target di INR nel passaggio da warfarin a un AOAD sono sintetizzati

nella Tabella 4. Se si passa da un AOAD a un AVK, può essere necessario un periodo ponte con un agente

parenterale a breve durata d’azione oppure con una dose inferiore di AOAD. L’INR va monitorizzato almeno

due volte alla settimana e la dose di AVK va aggiustata utilizzando un algoritmo affidabile fino a che l’INR

raggiunge 2,0, per evitare eventi emorragici o trombotici (27). Nel passaggio dagli agenti parenterali a un

AOAD, l’AOAD può essere iniziato fino a 2 ore prima della dose successiva dell’agente parenterale o in

concomitanza con la sospensione dell’infusione endovenosa (ev). Per i pazienti che devono passare dagli

inibitori del FXa agli agenti parenterali, gli agenti parenterali vanno iniziati al momento in cui dovrebbe

essere somministrata la successiva dose di inibitore del FXa. Nel passaggio da dabigatran a un agente

parenterale, il tempo di inizio della terapia dipende dalla clearance della creatinina del paziente (Tabella 5).

Gestione a lungo termine della TAO

Le linee-guida statunitensi e le agenzie regolatorie raccomandano modelli di gestione coordinata della

terapia anticoagulante, per raggiungere il massimo successo in termini di eventi clinici (14,28-29).

Nonostante siano disponibili dati che documentano che una gestione coordinata mediante i centri TAO

migliori gli eventi del paziente e riduca i costi rispetto alla terapia medica tradizionale (14,28,29), solo dal

30 al 40% dei pazienti che assumono gli AVK vengono gestiti presso un centro TAO (32).

Fra gli scopi dei centri TAO dovrebbe esserci anche la gestione degli AOAD (32). Sia la terapia con AVK che

quella con AOAD richiede una continua istruzione del paziente (Tabella 6), la valutazione delle interazioni

farmacologiche e un periodico monitoraggio degli esami di laboratorio (Tabella 3), tutte azioni che

potrebbero essere coordinate attraverso protocolli istituzionalizzati o condotti attraverso i centri TAO, in

modo da facilitare inizio della terapia, aderenza, transizione fra diversi agenti e sospensione per le

procedure.

Tabella 6. Argomenti su cui istruire i pazienti in terapia anticoagulante orale

Gestione delle emorragie e delle emergenze

In corso di TAO possono verificarsi complicanze emorragiche, anche in presenza della migliore gestione

coordinata possibile. I trial clinici di confronto fra AVK e AOAD per la prevenzione dell’ictus nella FA hanno

documentato un tasso annuo di emorragie maggiori compreso fra il 2,1 e il 3,6% dei pazienti. Emorragie

fatali si verificano in percentuali fino allo 0,5% dei pazienti (33-34). Le emorragie maggiori sono associate

con un aumento della mortalità. In un’analisi dei dati di 5 trial clinici di fase III, la mortalità a 30 giorni dopo

un episodio di emorragia maggiore era del 13% con il warfarin e del 9% con il dabigatran (37).

Le emorragie minori possono predire il verificarsi di emorragie maggiori (5,38) e possono portare alla

sospensione di una terapia anticoagulante efficace, per cui appare cruciale l’aspetto della prevenzione e

della gestione efficiente degli episodi di emorragia. Durante una terapia cronica con AVK, un monitoraggio

regolare e aggiustamenti appropriati dei dosaggi comportano un miglioramento della qualità

dell’anticoagulazione e riducono le emorragie. Per gli AOAD, è di fondamentale importanza eseguire degli

aggiustamenti di dosaggio sulla base della funzione renale. Sia con gli AVK che con gli AOAD, è importante

evitare una terapia concomitante con aspirina o altri agenti antiaggreganti, compresi i FANS a lunga durata

d’azione, se possibile.

Definizioni delle emorragie

La gravità delle emorragie nei trial su pazienti ambulatoriali scoagulati viene definita sulla base delle

indicazioni dell’International Society on Thrombosis and Haemostasis (39) e tale classificazione è stata

rivista di recente (40). In questa rassegna, quelle definizioni sono state modificate per aumentarne la

rilevanza clinica (Figura 1).

Figura 1. Definizioni di emorragia.

Valutazione generale dei pazienti che presentano un’emorragia in corso di TAO

La gestione dei pazienti che presentano un’emorragia in corso di terapia anticoagulante è riportata nella

Figura 2. La valutazione basale comprende la determinazione della sede, delle modalità di insorgenza e del

volume dell’emorragia e se l’emorragia sia ancora in corso.

Figura 2. Gestione in acuto delle emorragie in un paziente in terapia anticoagulante orale.

Tutti i pazienti ricevono un livello basale di cura e attenzione (box blu), con ulteriori livelli di attenzione a

seconda del grado di emorragia (box oro e salmone). apTT = tempo di tromboplastica parziale attivata; CBC

= emocromo completo; CYP3A4 = citocromo P450 3A4; DOAC = anticoagulante orale diretto; PFC = plasma

fresco congelato; NSAID = farmaci anti-infiammatori non steroidei; P-gp = glicoproteina-P; PT = tempo di

protrombina.

Soprattutto per gli AOAD, è importante sapere quando è stata assunta l’ultima dose di anticoagulante.

Bisogna conoscere anche quali sono gli altri farmaci eventualmente assunti dal paziente (Tabella 3). Va

anche eseguita una valutazione delle comorbilità e dell’evidenza di uno scompenso cardiaco in atto. La

valutazione di laboratorio comprende un emocromo completo con la conta piastrinica, il tempo di

protrombina (PT) e il tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT), gli elettroliti sierici e la funzione

renale ed epatica.

Monitoraggio di laboratorio dei pazienti in terapia con anticoagulanti AVK

Il PT/INR è essenziale per la valutazione dei pazienti in terapia con un AVK che presentano un’emorragia. Le

procedure invasive mirate a definire e trattare la fonte dell’emorragia vengono spesso rinviate al momento

in cui l’INR sia ridotto. Il tipo e il dosaggio dei presidi farmacologici usati per il trattamento delle emorragie

da AVK vengono spesso determinati sulla base dell’entità del prolungamento del PT, sebbene ci siano solo

pochi dati che mettono in correlazione gli eventi clinici con i livelli iniziali di INR e pochi dati che mettono in

correlazione una migliore prognosi clinica con l’utilizzo di questi provvedimenti.

Pazienti in terapia con AOAD

La Figura 3 sintetizza il possibile utilizzo dei sistemi di monitoraggio della coagulazione per la valutazione

delle emorragie nei pazienti in terapia con gli AOAD (41).

Figura 3. Test di laboratorio dell’attività anticoagulante.

Le barre blu corrispondono al range approssimativo di rilevabilità (cioè sensibilità) e le linee verticali

corrispondono al range approssimativo per il quale i livelli plasmatici dei nuovi anticoagulanti possono

essere quantificati (cioè linearità) per ciasun sistema di dosaggio, in termini di concentrazioni plasmatiche

inferiori, comprese in, o al di sopra delle concentrazioni plasmatiche tipiche in corso di terapia (41).

Un aPTT prolungato indica un effetto anticoagulante per il dabigatran e un PT prolungato indica un effetto

anticoagulante per gli inibitori del FXa. Tuttavia, si possono avere elevati livelli plasmatici di dabigatran e di

inibitori del FXa con valori di aPTT o PT normali, per cui tali parametri non sono poi così utili nella

valutazione dei pazienti con un’emorragia in corso. Peraltro, i differenti reagenti disponibili per PT e aPTT

hanno una sensibilità per gli AOAD estremamente variabile.

Inoltre, può essere pericoloso affidarsi ai parametri convenzionali per la definizione dell’antagonizzazione

dell’effetto anticoagulante degli AOAD. Per esempio, un aPTT di >2,5 x valore di controllo suggerisce una

concentrazione di dabigatran superiore a quella terapeutica (42). Possono essere necessarie diverse ore

perché, una volta ordinato, un farmaco antagonista dell’effetto anticoagulante sia disponibile per essere

somministrato al paziente. Siccome l’emivita del dabigatran è relativamente breve, nel momento in cui

questo farmaco antagonista viene somministrato, il suo dosaggio può risultare eccessivo, con un

conseguente effetto procoagulante. Ciò sottolinea una delle attuali difficoltà nel disegnare trial clinici di

valutazione degli antagonisti dei nuovi AOAD.

Il tempo di trombina diluito, un test funzionale sull’effetto della trombina sulla formazione della fibrina,

fornisce una stima ragionevole della concentrazione di dabigatran per un ampio range di livelli del farmaco

(42), ed è disponibile in commercio (Hemoclot HYPHEN BioMed, Neuville-sur-Oise, Francia). I kit basati

sull’ecarina, che comprendono il tempo di ecarina e il sistema di dosaggio cromogenico con ecarina,

forniscono dati che hanno una buona correlazione con le concentrazioni di dabigatran, ma non sono

facilmente disponibili.

L’effetto anticoagulante degli inibitori del FXa può essere valutato mediante i livelli anti-FXa. Non sono

disponibili al momento dati che mettano in correlazione i livelli anti-FXa con fenomeni trombotici o

emorragici in corso di terapia con gli inibitori del FXa. Inoltre, è necessario calibrare i kit di dosaggio

dell’attività anti-FXa per ciascun inibitore del FXa.

Agenti che antagonizzano l’anticoagulazione

L’introduzione degli AOAD ha reso più complesso il trattamento per l’antagonizzazione

dell’anticoagulazione. Agenti nuovi (come il concentrato di complesso protrombinico [CCP]) sono costosi e

non sempre facilmente disponibili. Molte istituzioni hanno sviluppato protocolli per la gestione dei pazienti

in TAO che presentano emorragie maggiori. E’ sempre raccomandato un consulto con l’ematologo.

Vitamina K

Gli AVK riducono la sintesi dei fattori della coagulazione dipendenti dalla vitamina K e ciò costituisce una

base razionale per l’utilizzo della vitamina K come antagonista delle emorragie da AVK. La vitamina K ev

inizia a ridurre INR non prima di 6 ore e spesso impiega più di 24 ore per raggiungere la normalizzazione

dell’INR (44). La vitamina K ev può comportare reazioni allergiche (soprattutto se somministrata in bolo) e

l’infusione ev va solitamente limitata ai pazienti che presentano emorragie maggiori. Non è raccomandata

la somministrazione sottocutanea e intramuscolare. La vitamina K per os viene utilizzata per le emorragie

minori con un INR elevato. Sebbene sia efficace nel ridurre l’INR, ci sono pochi dati che documentano un

miglioramento degli eventi clinici con la vitamina K. Alte dosi di vitamina K comportano un prolungamento

del tempo necessario per raggiungere un INR terapeutico quando si ricominica la terapia con gli AVK. La

vitamina K non antagonizza l’effetto anticoagulante deli AOAD.

Plasma fresco congelato

Il plasma fresco congelato (PFC) e le emotrasfusioni forniscono volume, il che costituisce un potenziale

vantaggio per i pazienti che hanno una deplezione di volume, ma è un potenziale svantaggio per i pazienti

con scompenso cardiaco e/o insufficienza renale. Il PFC è facilmente disponibile, sebbene possano

verificarsi ritardi nella sua somministrazione legati ai tempi di scongelamento. In un paziente con INR

elevato e con una emorragia in atto, può essere necessario somministrare >1500 ml di PFC per

incrementare in maniera significativa i livelli di fattori della coagulazione. Perfino con una riduzione

dell’INR, esistono pochi dati che documentano un miglioramento della prognosi con il PFC. Il PFC, nelle

quantità che è possibile praticare in ambito clinico, non antagonizza l’effetto anticoagulante degli AOAD.

Concentrato di complesso protrombinico

Per i pazienti con un INR elevato che assumono un AVK, un’infusione di CCP di 10-30 minuti migliora i valori

di INR entro pochi minuti, con un effetto che perdura dalle 12 alle 24 ore. Le emivite dei fattori infusi sono

sovrapponibili a quelle dei fattori endogeni. Si raccomanda in genere la concomitante somministrazione di

vitamina K e CCP per sostenere nel tempo l’antagonizzazione dell’effetto degli AVK.

L’impatto del CCP sembra differente per i singoli AOAD. Il CCP non ha normalizzato l’aPTT, il tempo di

ecarina e il tempo di trombina in volontari sani che avevano assunto dabigatran, ma ha immediatamente

antagonizzato un PT prolungato e un tempo di trombina alterato in volontari sani trattati con il rivaroxaban

(45). Alcuni studi mostrano che l’antagonismo dell’effetto anticoagulante può verificarsi entro 15 min, ma

può differire fra inibitori della trombina e inibitori del FXa. Studi recenti mostrano che il CCP antagonizza

l’attività anticoagulante in volontari sani che hanno assunto dabigatran o rivaroxaban entro 2 ore (46). La

composizione del CCP varia a seconda della casa produttrice. Il CCP a 4 fattori contiene i fattori II, VII, IX e X.

Il CCP a 3 fattori contiene poco o nulla fattore VII. In volonari sani in terapia con rivaroxaban, il CCP a 3

fattori ha ripristinato la formazione di trombina meglio del CCP a 4 fattori, ma il CCP a 4 fattori ha prodotto

riduzioni di maggiore entità del tempo di protrombina medio entro 30 minuti. Tali discrepanze possono

essere correlate con differenze nella concentrazione dei fattori in tali presidi.

Mancano dati che mettano in correlazione gli eventi clinici con l’utilizzo di CCP nei pazienti trattati con

AOAD. Inoltre, esiste il rischio di infarto miocardico (IM) e tromboembolia arteriosa a seguito dell’utilizzo di

agenti più potenti (48,49) e ciò va bilanciato con i potenziali benefici. Alcune forme di CCP contengono

eparina, il che costituisce un problema nei pazienti con trombocitopenia indotta dall’eparina. La dose di

CCP è di 20-50 U/kg e il costo è di circa 1,25 dollari statunitensi/U.

Altri antagonisti dell’anticoagulazione

Il fattore VIIa ricombinante è risultato efficace per antagonizzare l’effetto anticoagulante degli AVK (50-51).

I parametri di laboratorio risultano modificati entro minuti, con un effetto su questi che perdura per 2-6

ore, ma l’effetto sulle conseguenze emorragiche non è stato ancora determinato (53), ed esiste un

probabile rischio di eventi trombotici in corso di approfondimento (48).

Sono attualmente in corso di valutazione 3 ulteriori agenti di antagonismo dell’effetto anticoagulante. E’

stato riportato che l’idarucizumab, un anticorpo specifico contro il dabigatran, ripristina la coagulazione

sistemica in studi su modelli animali (43) e in volontari sani. E’ attualmente in corso il trial REVERSE-AD (A

study of the Reversal Effects of Idarucizumab on Active Dabigatran), che studia l’utilizzo di tale agente nelle

emorragie non controllate in corso di terapia con dabigatran. E’ stato riportato che l’andexanet alfa, una

molecola di FXa modificata che si lega all’inibitore del FXa consentendo al FXa endogeno del paziente di

partecipare al processo coagulativo, assicura un antagonismo rapido e quasi completo degli inibitori del FXa

in volontari sani. E’ anche in corso di valutazione in volontari sani l’aripazina, una piccola molecola sintetica

con un’ampia attività contro i prodotti dell’eparina e gli agenti legati al fattore X (54).

Gestione delle emorragie maggiori

I provvedimenti obbligati nel trattamento delle emorragie maggiori in pazienti che assumono un

anticoagulante orale comprendono il reintegro di sangue e liquidi, l’identificazione e il trattamento della

fonte dell’emorragia e la sospensione di eventuali trattamenti concomitanti con altri agenti antitrombotici

e/o farmaci antiaggreganti. E’ auspicabile anche una rapida reversione degli effetti antitrombotici.

Antagonisti della vitamina K

Va presa in considerazione la reversione dell’anticoagulazione quando un paziente in terapia con AVK

presenta un’emorragia maggiore e ha un INR ≥1,5. Va somministrata vitamina K alla dose di 5-10 mg in

infusione endovenosa lenta (14).

In 40 pazienti con un INR medio di 9,4, il CCP a 3 fattori a bassa dose (25 U/kg) e il CCP a 3 fattori ad alta

dose (50 U/kg) hanno ridotto l’INR del 50 e del 43%, rispettivamente (55). L’aggiunta del plasma ha ridotto

ulteriormente l’INR dell’89 e dell’88%. In un altro studio randomizzato, il CCP a 4 fattori è stato confrontato

con il PFC in 219 pazienti non chirurgici che presentavano un’emorragia associata al warfarin (INR medio

3,7). Entro un’ora dall’inizio dell’infusione, oltre i due terzi dei pazienti trattati con il CCP a 4 fattori avevano

un INR < 1,3 rispetto a nessuno dei pazienti del gruppo assegnato al PFC (56).

L’utilizzo del CCP viene raccomandato come trattamento di prima scelta nei pazienti che assumono AVK e

che presentano un’emorragia maggiore pericolosa per la sopravvivenza (14). Le dosi previste possono

essere ripetute dopo 6 ore. Sono stati riportati ritardi nella somministrazione del CCP (57) e ciò forse

riflette la mancanza di familiarità con queste nuove terapie o la mancanza di una pronta disponibilità di

questi prodotti.

Agenti anticoagulanti orali ad azione diretta

Si può prendere in considerazione la lavanda gastrica nei pazienti che presentano un’emorragia maggiore,

nel caso in cui l’ingestione degli AOAD sia recente. Può essere utile la somministrazione di carbone attivo se

l’AOAD è stato assunto nelle 2-6 ore precedenti (58).

I dati relativi ai pazienti trattati con AOAD che presentano un’emorragia maggiore sono limitati. Data la

prognosi sfavorevole delle emorragie maggiori, specialmente delle emorragie del sistema nervoso centrale

(SNC), nei pazienti in terapia con gli AOAD, vengono raccomandati il CCP, il CCP attivato, o come ultima

scelta, il fattore VIIa attivato per trattare le emorragie gravi o pericolose per la sopravvivenza (59). Non

esistono tuttavia evidenze cliniche a supporto di tali raccomandazioni.

Dal momento che il dabigatran è legato al plasma nella misura del 35% circa, si può prendere in

considerazione la dialisi se si verifica un’emorragia maggiore, soprattutto in presenza di insufficienza

renale. Rivaroxaban, apixaban ed edoxaban hanno un elevato legame proteico e l’emodialisi risulta con

ogni probabilità inefficace.

Le EEC sono associate a un elevato tasso di mortalità, indipendentemente dal tipo di anticoagulante a esse

correlato. I provvedimenti che antagonizzano l’effetto anticoagulante degli AVK migliorano i valori di INR,

ma non modificano la prognosi clinica. Farmaci in grado di antagonizzare l’effetto anticoagulante degli

AOAD sono ancora in corso di sviluppo, ma prevale al momento l’idea che, una volta che l’EEC si sia

verificata, anche un rapido intervento con antagonisti dell’effetto anticoagulante possa non migliorare la

prognosi clinica.

Gestione delle emorragie non maggiori clinicamente rilevanti

Antagonisti della vitamina K

L’utilizzo dei farmaci che antagonizzano l’effetto anticoagulante degli AVK in pazienti con emorragie

maggiori non clinicamente rilevanti dipende da età del paziente, entità dell’emorragia, stato dell’emorragia

(se cioè è ancora in corso), INR, gravità dell’anemia e condizioni di comorbilità del paziente. Va presa in

considerazione la vitamina K per via orale in questa situazione (14), bilanciando tuttavia i rischi di un

periodo di tempo prolungato con valori di INR subterapeutici con i benefici di questo trattamento. Sono

cruciali l’individuazione e il trattamento della causa dell’emorragia, in modo che si possa riprendere il

trattamento anticoagulante in sicurezza.

Agenti anticoagulanti orali ad azione diretta

Data la breve emivita degli AOAD, il potenziale rischio trombotico degli antagonisti non specifici e la

mancanza di evidenze a sostegno del loro utilizzo, nei pazienti con emorragie non maggiori clinicamente

rilevanti non sono raccomandati i farmaci antagonisti (59).

Gestione delle emorragie minori o di elevati valori di INR

Antagonisti della vitamina K

In un paziente con un’emorragia minore, le decisioni relative al dosaggio del warfarin vanno prese sulla

base del valore di INR.

Quando l’INR è >10, il trattamento comprende i seguenti passaggi: 1) sospendere la terapia con AVK; 2)

somministrare da 2,5 a 5 mg di vitamina K per os (13); 3) monitorizzare l’INR ogni 12-14 ore; e 4)

ricominciare la terapia con AVK quando l’INR è vicino al range terapeutico.

Se il paziente è ad alto rischio di emorragie per età avanzata, emorragia recente, anemia, scompenso

cardiaco, tumore maligno, insufficienza renale o altre variabili (60), si può prendere in considerazione la

vitamina K, nei pazienti che non presentano un’emorragia e hanno un INR >10. Nei pazienti che non

presentano un’emorragia e hanno un INR >4,5 e < 10, gli AVK vanno sospesi per 1 o 2 dosi. I dati circa il

rischio emorragico in questo contesto sono conflittuali (61,62). In genere non è raccomandata la vitamina

K, a meno che sussistano motivazioni specifiche per il singolo paziente che rendano più probabile

un’emorragia, come sottolineato in precedenza.

Agenti anticoagulanti orali ad azione diretta

Dal momento che gli AOAD hanno un’emivita breve, nei pazienti con emorragie minori la sospensione di

alcune dosi di anticoagulante può costituire l’unico trattamento necessario, oltre a provvedimenti locali

(come per esempio, la compressione). La durata dell’interruzione degli AOAD dipende dall’entità

dell’emorragia e dal rischio tromboembolico.

Gestione post-emorragia

I pazienti che recuperano da un’emorragia maggiore sono spesso anemici e sono a rischio di eventi

emorragici futuri (5). La ripresa della terapia anticoagulante in tali pazienti è problematica, anche perché

essi sono d’altro canto a elevato rischio di eventi tromboembolici (63). In uno studio su 442 pazienti con

emorragia gastrointestinale associata al warfarin, 260 (58,8%) hanno ripreso il warfarin, in alcuni casi anche

precocemente, fino a 4 giorni più tardi (64). I pazienti che non avevano ripreso il warfarin presentavano un

più elevato rischio di morte ed eventi tromboembolici. Dati simili sono stati documentati nei pazienti che

avevano presentato emorragie del SNC associate al warfarin. Dei 284 pazienti, 91 (32%) hanno ripreso il

warfarin prima della dimissione dall’ospedale. Rispetto a coloro che non hanno ripreso il warfarin, quelli

che sono stati dimessi con il warfarin hanno presentato una mortalità inferiore e nessun incremento delle

emorragie (65). Dopo un’emorragia maggiore, la decisione relativa a se e quando l’anticoagulante deve

essere ricominciato dipende da sede e gravità dell’emorragia e dall’aver trattato efficacemente la fonte

dell’emorragia.

Pazienti in terapia con AVK

Se l’emorragia si verifica in un paziente in terapia con AVK con un INR elevato che è ad alto rischio di ictus,

un modo di procedere ragionevole dopo la risoluzione dell’emorragia potrebbe essere ricominiciare il

warfarin con un attento follow-up dei valori di INR. Se si riesce a identificare una precendente interazione

farmacologica del warfarin e si è certi di poterla evitare, l’AVK può essere ricominiciato con un maggior

grado di confidenza. In alternativa, se l’emorragia non è del tratto gastrointestinale o il TRT è ridotto, può

essere appropriato sostituire un AOAD con il warfarin. Linee-guida recenti suggeriscono l’utilizzo degli

antiaggreganti in questa situazione, anche se con un livello di raccomandazione di Classe IIb (66).

Se l’emorragia si verifica in un paziente in terapia con un AVK e un INR compreso fra 2 e 3, il medico non

deve cedere alla tentazione di ridurre il target dell’INR, per l’incremento del rischio di eventi

tromboembolici con un < 2 (67). Nei pazienti che presentano un’emorragia in presenza di normali valori di

INR, può essere utile conoscere il TRT (68).

Pazienti in terapia con AOAD

Le emorragie minori nei pazienti in terapia con un AOAD costituiscono una sfida unica. Anche la riduzione

della dose di un AOAD può ridurre i benefici in termini di prevenzione dell’ictus. Il passaggio a un altro

AOAD nei casi di emorragie minori può costituire una possibilità. Se un’emorragia gastrointestinale minore

si verifica in un paziente che assume dabigatran o rivaroxaban, si può passare ad apixaban o edoxaban 30

mg, dal momento che i sanguinamenti gastrointestinali sono più frequenti con il dabigatran (33) e

probabilmente con il rivaroxaban (34) rispetto agli altri 2 agenti. Altri pazienti potrebbero trarre beneficio

dal passaggio da un AOAD a un AVK.

Nessun trial clinico al momento dà risposte certe circa la questione della ripresa della somministrazione di

warfarin o di un AOAD dopo un’emorragia maggiore. Tuttavia, se un paziente ad alto rischio di ictus

presenta un episodio di emorragia maggiore associato con un AVK e ha un INR normale, vanno prese in

considerazione terapie alternative. I trial clinici sugli inibitori diretti della trombina e sugli inibitori del FXa

nella prevenzione dell’ictus nella FA hanno dimostrato in maniera riproducibile una riduzione >50% delle

emorragie del SNC con i nuovi agenti anticoagulanti rispetto al warfarin, sebbene il meccanismo alla base di

tale osservazione non sia chiaro.

Condizioni complesse di co-patologie che si verificano nei pazienti in FA che assumono TAO

I pazienti con FA che hanno necessità di TAO presentano di frequente condizioni di comorbilità che

aumentano il rischio emorragico, modificano il rapporto rischio/beneficio della scoagulazione, oppure

rendono necessari trattamenti ulteriori, come per esempio una terapia antiaggregante. La definizione del

trattamento ideale per tali pazienti è in evoluzione, e ciò è soprattutto vero per l’utilizzo degli AOAD in

associazione con la terapia antiaggregante (singola o doppia).

L’associazione degli antiaggreganti con un anticoagulante aumenta il rischio emorragico. Nel trial RE-LY

(Randomized Evaluation Of Long-Term Anticoagulation Therapy) (20), il rischio di emorragie maggiori

aumentava dal 2,8 al 4,8%/anno quando si aggiungevano gli antiaggreganti al warfarin. Il rischio di

emorragie maggiori era del 2,6%/anno con il dabigatran alla dose di 150 mg per due volte al giorno, ma

aumentava al 4,4%/anno a seguito dell’aggiunta degli antiaggreganti. Un’analisi di questo genere del trial

ARISTOTLE (Apixaban for Reduction of Stroke and Other Thromboembolic Events in Atrial Fibrillation) ha

evidenziato un aumento delle emorragie quando si utilizzava l’aspirina in associazione con il warfarin o

l’apixaban, sebbene il rischio emorragico assoluto fosse superiore con l’associazione di aspirina e warfarin

rispetto all’associazione di aspirina e apixaban (69).

Due trial attualmente in corso daranno risposte a tale questione. Il trial RE-DUAL PCI (Randomized

Evaluation of Dual Therapy with Dabigatran vs. Triple Therapy Strategy with Warfarin in patients with non-

valvular AF that have undergone PCI with stents [NCT02164864]) valuterà le emorragie clinicamente

rilevanti e gli eventi tromboembolici nei pazienti trattati con il dabigatran più un inibitore di P2Y12 rispetto

all’attuale trattamento standard con warfarin più doppia antiaggregazione (DAG). Il trial PIONEER-AF PCI

(Open-label, Randomized, Controlled,Multicenter Study Exploring Two Treatment Strategies of Rivaroxaban

and a Dose-Adjusted Oral Vitamin K Antagonist Treatment Strategy in Subjects with Atrial Fibrillation Who

Undergo Percutaneous Coronary Intervention [NCT01830543]) metterà a confronto le emorragie

clinicamente significative in 3 gruppi di terapia: 1) rivaroxaban 15 mg/die più un inibitore di P2Y12; 2)

rivaroxaban 2,5 mg per due volte al giorno più un inibitore di P2Y12 e aspirina da 75 a 100 mg/die; o 3) un

AVK a un dosaggio aggiustato per avere un INR fra 2 e 3, più un inibitore di P2Y12 e aspirina da 75 a 100

mg/die.

Recente impianto di stent coronarico e FA di nuova insorgenza

La FA si verifica in una percentuale di pazienti pari al 5-10% di tutti i soggetti con IM e si associa con una

mortalità più elevata rispetto a quella dei pazienti senza FA (70). I pazienti in cui il rischio di ictus è ridotto

sulla base del punteggio CHA2DS2-VASc possono essere trattati con la DAG, senza l’aggiunta di un

anticoagulante. Dati osservazionali di un registro danese (18) suggeriscono che l’associazione di un agente

anticoagulante con il clopidogrel sembra essere più sicura rispetto alla terapia tripla, sebbene l’efficacia di

questa associazione non sia stata valutata nell’ambito di trial randomizzati. I dati di trial randomizzati con

disegno in aperto su pazienti trattati con la PCI (71) hanno riportato un tasso di emorragie inferiore e un

tasso di complicanze ischemiche sovrapponibili fra pazienti trattati con clopidogrel più un AVK e pazienti

trattati con la tripla terapia. Tuttavia, saranno necessari studi in cieco di maggiori dimensioni per

confermare questi dati. Nei pazienti che hanno necessità di terapia tripla va incoraggiato l’utilizzo di stent

metallici e la durata della terapia tripla deve essere la più breve possibile.

Impianto elettivo di stent in pazienti con FA permanente che assumono anticoagulanti

Nei pazienti con FA permanente che assumono warfarin e hanno indicazione all’impianto elettivo di uno

stent, va in genere evitata la concomitanze somministrazione di inibitori della glicoproteina IIb/IIIa. Vanno

preferiti l’accesso radiale e gli stent metallici, visto che l’accesso radiale riduce il tasso di emorragie nel sito

di puntura e gli stent metallici consentono di ridurre la durata della tripla terapia. Dal momento che la

durata della DAG è più breve per gli stent medicati di nuova generazione, la scelta del tipo di stent è una

questione in evoluzione e sono in corso diversi trial clinici su questo punto. Se si utilizza la terapia tripla

(che comprende un AVK), viene raccomandato l’utilizzo di aspirina a bassa dose più clopidogrel, piuttosto

che di ticagrelor o prasugrel, dal momento che il rischio emorragico con l’associazione di AVK più ticagrelor

o prasugrel è superiore rispetto a quello correlato con l’associazione di AVK più clopidogrel. Si può

prendere in considerazione un INR target inferiore per la terapia con warfarin (da 2,0 a 2,5) (72). Un

recente documento di consenso europeo (73) suggerisce un approccio a 3 fasi nei pazienti con FA che

vengono sottoposti a impianto di uno stent in elezione. I pazienti che hanno un elevato rischio di ictus e un

elevato rischio emorragico (CHA2DS2-VASc ≥2 and HAS-BLED ≥3) devono essere trattati con la terapia tripla

per 4 settimane, con l’associazione di clopidogrel o aspirina più un anticoagulante fino a 12 mesi e con

l’anticoagulante per tutta la vita, con o senza un antiaggregante. I pazienti a basso rischio di ictus e a basso

rischio emorragico (CHA2DS2-VASc di 1 e HAS-BLED da 0 a 2) devono essere trattati con la terapia tripla per

4-6 settimane, con l’associazione di clopidogrel o aspirina più un anticoagulante fino a 12 mesi e con

l’anticoagulante per tutta la vita.

Sindromi coronariche acute in pazienti con FA permanente che assumono anticoagulanti

Il rivaroxaban a bassa dose (2,5 mg per due volte al giorno) è approvato in Europa come terapia aggiuntiva

per le sindromi coronariche acute (SCA). Questa dose non è tuttavia ottimale per la prevenzione dell’ictus

nei pazienti con FA e il rivaroxaban non è approvato per questa indicazione negli Stati Uniti. Va presa in

considerazione la sospensione temporanea degli AOAD nei pazienti che sono in terapia con un AOAD al

momento dell’insorgenza di una SCA e anche nei pazienti ai quali viene somministrato ticagrelor o

prasugrel, dal momento che il rischio emorragico correlato con l’associazione di tali antiaggreganti con un

AOAD non è noto. La bassa dose di aspirina è preferibile rispetto all’alta dose. La bivalirudina può costituire

un anticoagulante preferibile in acuto, a causa del rischio emorragico correlato con l’effetto residuo

dell’AOAD. Si può praticare un’anticoagulazione parenterale con eparina dopo che l’effetto dell’AOAD è

scomparso (16). Vanno sempre preferiti un approccio radiale e stent metallici (59). Le più recenti linee-

guida sulle SCA dell’ACC/American Heart Association affermano che l’anticoagulazione può essere sospesa

al momento della procedura e che “può essere ragionevole” considerare l’associazione di clopidogrel con

un anticoagulante al posto della terapia tripla (2). Il documento di consenso europeo (74) ha suggerito un

simile approccio in 3 fasi alle SCA, in cui i pazienti con il più elevato rischio sia di ictus che di emorragie

vengano trattati con 4 settimane di terapia tripla, seguite da 12 mesi di trattamento con un anticoagulante

e un solo antiaggregante, e i pazienti a basso rischio vengano trattati con 6 mesi di terapia tripla, seguiti da

12 mesi di trattamento con un anticoagulante e un solo antiaggregante.

Pazienti con FA permanente in terapia anticoagulante che presentano anche una coronaropatia

in terapia medica

Sebbene i pazienti con una malattia coronarica seguiti in terapia medica dopo una SCA possano trarre

beneficio dalla doppia terapia antiaggregante (74), questo trattamento va individualizzato nei soggetti che

devono anche assumere un anticoagulante. Il trial WARIS II (Warfarin-Aspirin Reinfarction II) ha

documentato una riduzione del tasso di IM successivi nei pazienti in terapia con warfarin e aspirina, rispetto

ai pazienti in terapia con il solo warfarin (75), anche se va sottolineato che non si trattava di un trial sulla

FA. Anche i dati dello studio ACTIVE W (Atrial Fibrillation Clopidogrel Trial with Irbesartan for Prevention of

Vascular Events) (76) supportano l’utilizzo del warfarin piuttosto che della terapia antiaggregante nella

coronaropatia stabile, mostrando che il tasso di IM nei pazienti in FA assegnati al warfarin è sovrapponibile

a quello dei pazienti assegnati ad aspirina più clopidogrel. Nei pazienti con coronaropatia stabile in FA e una

SCA oltre un anno prima, il trattamento va individualizzato; le opzioni migliori possono essere la singola

terapia antiaggregante o nessuna terapia antiaggregante in associazione con la terapia anticoagulante.

Pazienti che sviluppano FA >1 mese dopo impianto di uno stent metallico o >6 mesi dopo

impianto di uno stent medicato

Esistono dati conflittuali circa il trattamento con un AOAD o con il solo warfarin nei pazienti con una

coronaropatia stabile, ovviamente quando è indicato un anticoagulante sulla base del punteggio CHA2DS2-

VASc. Nel trial RE-LY (31), è stato documentato un trend verso un aumento degli IM, e metanalisi hanno

suggerito un’associazione fra inibitori diretti della trombina e IM (77). Tuttavia, gli eventi ischemici non

erano aumentati nel RE-LY (78) e uno studio danese sull’utilizzo del dabigatran nel “mondo reale” non ha

suggerito alcun incremento della frequenza di IM (79). Allo stesso modo, uno studio epidemiologico su

134.414 pazienti Medicare (37.587 anni-paziente) trattati con dabigatran o warfarin per la FA non valvolare

non ha documentato alcun aumento del tasso di IM con il dabigatran (80). La Figura 4 sintetizza le

raccomandazioni per la TAO nei diversi contesti di coronaropatia.

Figura 4. Gestione dei pazienti con FA e stent coronarici.

(A) Pazienti che assumono farmaci anticoagulanti per la FA e hanno necessità di impiantare uno stent

coronarico (B) Pazienti in doppia antiaggregazione perché portatori di uno stent coronarico che sviluppano

una FA. ACS = sindrome coronarica acuta; AF = fibrillazione atriale; ASA = aspirina; BMS = stent metallico;

DAG = doppia antiaggregazione; DAOA = anticoagulanti orali ad azione diretta; INR = international

normalized ratio; VKA = antagonisti della vitamina K.

Pazienti con malattia cerebrovascolare e pazienti con FA che in precedenza non assumevano

anticoagulanti

I pazienti che presentano un ictus ischemico acuto o un attacco ischemico transitorio cerebrale di presunta

orgine cardioembolica devono assumere terapia anticoagulante. Il timing e l’inizio della terapia dipendono

dalle dimensioni dell’ictus e dal rischio di trasformazione emorragica (66). In questi pazienti, tutti gli AOAD

possono essere preferibili al warfarin perché tutti comportano un rischio di EEC inferiore rispetto al

warfarin. Sebbene ciò sia vero nella fase di convalescenza di un presunto ictus tromboembolico (dopo >1

mese), non ci sono studi che chiariscano la gestione nella fase acuta di questi ictus. Le nuove linee-guida

dell’American Heart Association/American Stroke Association raccomandano una terapia individualizzata

con AVK (Classe I, Livello di Evidenza: A), apixaban (Classe I, Livello di Evidenza: A), dabigatran (Classe I,

Livello di Evidenza: B), o rivaroxaban (Classe IIa, Livello di Evidenza: B) (66). Le linee-guida sulla FA

dell’European Society of Cardiology suggeriscono l’utilizzo degli AOAD piuttosto che degli AVK nella maggior

parte dei pazienti con FA non valvolare sulla base del beneficio clinico netto (raccomandazione in Classe IIa)

(81). A causa del rapido inizio di azione, non è necessaria una terapia-ponte con l’eparina a basso peso

molecolare. Per i pazienti che non possono assumere agenti anticoagulanti, l’aspirina costituisce un’opzione

alternativa e può essere ragionevole l’aggiunta del clopidogrel. Sono in fase di reclutamento dei pazienti 2

trial clinici di confronto fra gli AOAD e l’aspirina nei pazienti con ictus embolico di origine non determinata

(RE-SPECT ESUS [Dabigatran Etexilate for Secondary Stroke Prevention in Patients With Embolic Stroke of

Undetermined Source] and NAVIGATE ESUS [Rivaroxaban Versus Aspirin in Secondary Prevention of Stroke

and Prevention of Systemic Embolism in Patients With Recent Embolic Stroke of Undetermined Source])

(82,83). Studi precedenti hanno documentato un’elevata prevalenza di FA, rilevata da un monitoraggio

prolungato in pazienti che si presentano con un attacco ischemico transitorio o un ictus criptogenetico

(66,84). In questo sottogruppo di pazienti non sono state testate in maniera rigorosa le diverse strategie di

anticoagulazione, relativamente ai rischi e ai benefici che comportano.

Pazienti in TAO che presentano un ictus ischemico acuto

Nei pazienti che assumono cronicamente un AOAD e presentano un ictus ischemico acuto, il bilancio

rischi/benefici della terapia trombolitica nell’ictus ischemico acuto non è chiaro. Se esistono incertezze circa

i tempi intercorsi dall’ultima somministrazione di un AOAD o se gli esami ematochimici (per esempio, il PTT

per il dabigatran o il PT per gli inibitori del FXa) documentano un effetto farmacologico residuo, non va

eseguita la trombolisi. Nei pazienti in terapia con warfarin, il rischio di EEC a seguito dell’utilizzo del

farmaco trombolitico sembra essere ridotto quando l’INR è ≤1,7 (85).

Pazienti nella fase di convalescenza da un ictus ischemico trattati con AVK

In teoria, i pazienti che presentano un ictus ischemico in corso di terapia con un AVK con INR terapeutico

rappresentano un fallimento per il trattamento con gli AVK e possono essere candidati agli AOAD. I pazienti

con un ictus ≥2 settimane prima della presentazione sembrano avere i medesimi benefci relativi degli AOAD

rispetto al warfarin (86,87). Se si prende in considerazione di iniziare precocemente un AOAD in un

paziente che assumeva il warfarin in precedenza, è prudente attendere che l’effetto del warfarin scompaia

prima di iniziare il nuovo trattamento.

Pazienti in TAO che presentano un ictus emorragico

L’ictus emorragico costituisce una complicanza della terapia anticoagulante. Gli AVK sono coinvolti

all’incirca nel 12-14% dei casi di EEC (88). Gli agenti anticoagulanti dovrebbero essere sospesi

immediatamente e dovrebbero essere compiuti tutti gli sforzi possibili per revertire la scoagulazione, come

descritto in precedenza. Sebbene i pazienti che sviluppano un ictus emorragico in corso di terapia con

warfarin potrebbero teoricamente essere candidati a un AOAD nella fase di convalescenza, si tratta di

un’ipotesi non testata, dal momento che la maggior parte degli studi sugli AOAD ha escluso i pazienti con

una pregressa EEC. Il foglietto illustrativo sia degli AVK che degli AOAD riportano che l’EEC costituisce una

controindicazione all’anticoagulazione, a meno che la causa dell’emorragia non sia stata identificata e

corretta. In accordo con le linee-guida sull’ictus, i pazienti ad alto rischio di recidive di emorragia possono

essere considerati candidati alla terapia antiaggregante, al posto del trattamento anticoagulante (Classe IIb,

Livello di Evidenza: B) (66).

Pazienti con una stenosi carotidea significativa e FA

I pazienti con una stenosi carotidea ricevono spesso la prescrizione della terapia antiaggregante per la

prevenzione dell’ictus. Al momento attuale, non è noto se l’aggiunta della terapia antiaggregante migliori la

prognosi dei pazienti con FA e stenosi carotidea rispetto alla sola terapia anticoagulante. In questi pazienti

va preferita l’endoarteriectomia carotidea, rispetto all’impianto di uno stent carotideo, perché essa

comporta una singola terapia antiaggregante anziché una DAG (59,89). Saranno tuttavia necessari dati

ulteriori per chiarire questo punto, che peraltro non viene trattato nelle nuove linee-guida sull’ictus.

Pazienti con arteriopatia obliterante degli arti inferiori e TAO

Non sono disponibili dati circa l’associazione della DAG e della terapia anticoagulante nei pazienti con FA e

arteriopatia obliterante degli arti inferiori trattati con procedure interventistiche percutanee (89). I pazienti

con arteriopatia periferica trattati con terapia farmacologica ricevono in genere la prescrizione della terapia

antiaggregante. L’aggiunta dell’anticoagulante aumenta il rischio emorragico, come documentato dal trial

WAVE (Warfarin Antiplatelet Vascular Evaluation Trial) (88), in cui i pazienti con arteriopatia periferica sono

stati randomizzati a warfarin più un antiaggregante, oppure al solo antiaggregante. La terapia di

associazione non è risultata in un miglioramento degli endpoint combinati di IM, ictus e morte

cardiovascolare; di IM, ictus, morte cardiovascolare e ischemia grave (coronarica o arteriosa periferica). Il

rischio di emorragie pericolose per la sopravvivenza, tuttavia, si concretizzava nel 4,0% dei soggetti del

gruppo in terapia di associazione e nell’1,2% dei soggetti del gruppo con la sola terapia antiaggregante. Di

conseguenza, va accuratamente stimato il rapporto rischio/beneficio quando si decide se questi pazienti

possono assumere un anticoagulante in associazione con un antiaggregante. In queste circostanze, può

aver senso la singola terapia antiaggregante, dal momento che il trial CHARISMA (Clopidogrel for High

Atherothrombotic Risk and Ischemic Stabilization, Management, and Avoidance) (90) di confronto fra la

sola aspirina e l’associazione di clopidogrel e aspirina in pazienti ad alto rischio di eventi cardiovascolari ha

dimostrato che l’aggiunta del clopidogrel non riduceva il tasso dell’endpoint primario di IM, ictus e morte

cardiovascolare, mentre le emorragie aumentavano con la DAG.

Utilizzo degli AOAD nei pazienti portatori di valvole cardiache meccaniche e nel contesto di un

intervento cardiochirurgico

Lo studio RE-ALIGN (Randomized, Phase II Study to Evaluate the Safety and Pharmacokinetics of Oral

Dabigatran Etexilate in Patients After Heart Valve Replacement) (91) ha testato la dose più alta di

dabigatran come alternativa al warfarin nei pazienti portatori di protesi valvolari meccaniche cadiache.

Questo studio è stato interrotto precocemente per l’eccesso di eventi emorragici e per il maggior tasso di

eventi tromboembolici nei pazienti in terapia con il dabigatran. Il rapido inizio di azione del dabigatran

costituisce un problema nella fase post-operatoria, in quanto comporta il rischio di emorragie gravi,

soprattutto di sanguinamento nel pericardio, con necessità di un reintervento. Finchè non saranno

disponibili ulteriori dati, l’utilizzo degli AOAD va evitato nei pazenti portatori di protesi valvolari meccaniche

cardiache, al di fuori dei trial clinici. Le indicazioni alla prescrizione degli AOAD da parte della FDA sono

ancora più restrittive, in quanto controindicano l’utilizzo degli AOAD in tutti i tipi di protesi valvolari

cardiache, nonostante gli AOAD siano stati utilizzati nei pazienti portatori di bioprotesi valvolari in diversi

trial clinici sulla FA. I dati del RE-ALIGN sollevano comunque preoccupazione per l’utilizzo di alte dosi di

dabigatran nell’immediato post-operatorio di un intervento di cardiochirurgia (91).

AOAD al momento della cardioversione elettrica

I pazienti che presentano una FA o un flutter atriale che perduri da >48 ore devono avere un INR

terapeutico (fra 2 e 3) per un periodo di 3-4 settimane prima della cardioversione, indipendentemente dal

metodo che si utilizza per realizzarla (farmacologica o elettrica) e dal punteggio CHA2DS2-VASc (2,92-93). In

alternativa, per i pazienti che non soddisfano il criterio di 3-4 settimane di trattamento continuativo con gli

AVK a dose terapeutica, è ragionevole eseguire un ecocardiogramma transesofageo prima della

cardioversione (2,95). Con gli AVK, l’attesa di un INR terapeutico, di settimana in settimana, fino al

momento della cardioversione, può comportare significativi ritardi nell’esecuzione di questa procedura

(96).

Tre trial clinici randomizzati di grandi dimensioni hanno valutato sottogruppi di pazienti sottoposti a

cardioversione (RE-LY, ROCKET AF [Rivaroxaban Once Daily Oral Direct Factor Xa Inhibition Compared with

Vitamin K Antagonist for Prevention of Stroke and Embolism Trial in Atrial Fibrillation] e ARISTOTLE) (33-

34). E’ stato pubblicato anche uno studio prospettico che ha comportato l’utilizzo del rivaroxaban (97). In

tutti gli studi, il rischio di ictus era ridotto nelle settimane successive alla cardioversione ed era

sovrapponibile a quello che si aveva con gli AVK. Va sottolineato che l’esecuzione dell’ecocardiogramma

transesofageo non riduceva il tasso di eventi tromboembolici (98).

Sulla base di questi dati, per i pazienti con FA o flutter atriale non databili, o di durata ≥48 ore, è necessaria

una scoagulazione con AOAD per ≥3 settimane prima della cardioversione, che va poi proseguita per ≥4

settimane post-cardioversione (2).

Ruolo degli AOAD nell’ablazione della FA

Le raccomandazioni attuali per la prevenzione dell’ictus nel contesto dell’ablazione della FA indicano la

prosecuzione della terapia anticoagulante con AVK (warfarin) con un range terapeutico ridotto (da 2,0 a

2,5). Dal momento che è difficile mantenere l’INR in questo range ristretto, gli AOAD possono assumere un

ruolo importante. Studi di singolo centro e multicentrici hanno esaminato l’efficacia e la sicurezza degli

AOAD rispetto alla prosecuzione del warfarin in pazienti sottoposti all’ablazione della FA (99-100). In

generale, centri e operatori passano i pazienti a warfarin nella fase periprocedurale, oppure sospendono

semplicemenre gli AOAD 1 o 2 giorni prima della procedura senza bridge con eparina (105).

Uno studio osservazionale, prospettico e multicentrico su 290 pazienti ha messo a confronto il warfarin a

dose terapeutica (INR da 2 a 3,5) con il dabigatran alla dose di 150 mg per due volte al giorno per 3

settimane prima dell’ablazione (con il dabigatran sospeso al mattino della procedura e ripreso 3 ore dopo

procedura). E’ stato notato un aumento significativo di un endpoint composito costituito da emorragie ed

eventi tromboembolici con il dabigatran (100). Diversi studi in cui il dabigratan è stato sospeso almeno 24

ore prima della procedura e ripreso da 4 a 22 ore dopo, non hanno mostrato incrementi significativi delle

complicanze emorragiche o tromboemboliche rispetto al warfarin. Questi dati suggeriscono che il

dabigatran va interrotto ≥24 h prima della procedura per prevenire emorragie significative (101-102).

Uno studio multicentrico prospettico ha valutato sicurezza ed efficacia del rivaroxaban in confronto con la

prosecuzione del warfarin durante l’ablazione di FA. Il rivaroxaban è stato sospeso 16 ore prima

dell’ablazione e ripreso 6 ore dopo che si praticava l’emostasi. Non sono state rilevate differenze

relativamente alle complicanze emorragiche maggiori e minori. Si è verificato un episodio di attacco

ischemico transitorio in ciascun gruppo e non si è verificato nessun episodio di ictus o di decesso

periprocedurale in nessuno dei gruppi. Gli autori hanno concluso che il rivaroxaban, sospeso il giorno

precedente la procedura, sembra avere la medesima efficacia e la medesima sicurezza della prosecuzione

del warfarin durante un’ablazione di FA (100).

Conclusioni

La discussione fra esperti dei 4 principali argomenti correlati con l’integrazione degli AOAD nella pratica

clinica ha comportato il raggiungimento del consenso in molte aree, ma ha sollevato domande e questioni

irrisolte su altri punti. Una votazione fra i partecipanti è risultata unanime nell’opinione che coloro che

hanno interesse nell’utilizzo di questi farmaci dovranno continuare a dialogare circa l’integrazione di tali

principi attivi nella pratica clinica. La Figura 5 include una lista di domande senza risposta.

Figura 5. Domande senza risposta.

Note

Boehringer Ingelheim e Janssen Pharmaceuticals hanno sostenuto finanziariamente l’Anticoagulation

Initiative dell’American College of Cardiology. Il Dott. Kovacs è un fiduciario dell’American College of

Cardiology. Il Dott. Flaker è consulente per Boehringer Ingelheim, Bristol-Myers Squibb, Daiichi Sankyo,

Janssen, Pfizer e Sanofi; ed è membro dell’American College of Cardiology. Le Dott.sse Saxonhouse e

Birtcher e i Dott. Doherty e Williams sono membri dell’Anticoagulation Initiative dell’American College of

Cardiology. Il Dott. Williams è vice-presidente dell’American College of Cardiology. Il Dott. Cuker è

consulente per Baxter, Bayer, CSL Behring, Bracco e Genzyme; ha fatto parte di un gruppo consultivo per

Daiichi Sankyo e Genzyme; ha ricevuto grant per ricerca da Diagnostica Stago e T2 Biosystems; ed è

membro dell’American College of Physicians e dell’American Society of Hematology. Il Dott. Davidson è

consulente e fa parte di advisory board di Bayer, Daiichi Sankyo e Janssen. Il Dott. Giugliano è consulente

per Bristol-Myers Squibb, Daiichi Sankyo-Johnson & Johnson, Merck e Pfizer; ha ricevuto finanziamenti per

la ricerca da Daiichi Sankyo e Merck; è un coinvestigator in studi clinici per GlaxoSmithKline e Johnson &

Johnson; ed è membro dell’Anticoagulation Initiative dell’American College of Cardiology. Il Dott. Granger è

consulente per Boehringer Ingelheim, Bristol-Myers Squibb, Daiichi Sankyo, GlaxoSmithKline, Janssen,

Pfizer e Sanofi; ha ricevuto finanziamenti per la ricerca da Bayer, Boehringer Ingelheim, Bristol-Myers

Squibb, Daiichi Sankyo, GlaxoSmithKline, Janssen, Merck, Pfizer e Sanofi; è stato un consulente per

Hoffmann-La Roche, Medtronic, Eli Lilly, Takeda, The Medicines Company, AstraZeneca, Ross Medical

Corporation, Salix Pharmaceuticals, Galaad e Armetheon; ed è membro dell’Anticoagulation Initiative

dell’American College of Cardiology. Il Dott. Jaffer è un consulente e ha ricevuto onorari e rimborsi per

viaggi da Boehringer Ingelheim-CSL Behring, Janssen, Bristol-Myers Squibb, Daiichi Sankyo, Pfizer e

University Health Consortium; è membro del board della Society of Preoperative Assessment and Quality

Improvement; ha ricevuto un assegno di ricerca dal National Institutes of Health; ed è membro della

Society of Hospital Medicine. La Dott.ssa Mehta ha avuto investimenti finanziari in Pfizer e ha relazioni

professionali con Amerisource Bergen, Cardinal Health e American Pharmacists Association Foundation. La

Dott.ssa Nutescu è consulente per Abbott, CSL Behring, Daiichi Sankyo, Janssen e The Medicines Company;

ha ricevuto sovvenzioni (per il proprio istituto) da Janssen e dal National Institutes of Health; e ha relazioni

professionali con l’American College of Clinical Pharmacy, il National Blood Clot Alliance e l’Anticoagulation

Forum. Non è stato riportato alcun altro conflitto di interesse per questo articolo.

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