Gente di bracciano luglio 2014

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Gente Bracciano Luglio 2014 numero 0** di L’ospedalediBraccianononsitocca Il Consiglio di Stato ha sentenziato: l’ospedale di Bracciano non si tocca, a rischio la vita dei cittadini.Ilrischiochiusurasembravascampato.Eppurecirisiamo.LaRegionediZingaretti, come quella di Polverini prima, reclama tagli in sfregio alla giustizia amministrativa e all’articolo32dellaCostituzionesuldirittoallasalute.Ilfrontedelnoallariconversioneresta compatto. La battaglia prosegue senza colore politico guardando solo al buon senso. I primari si levano i camici bianchi e indossano i panni dei manifestanti. Una cabina di regia decide. Sul tavolo ora una proposta di rilancio per 92 posti letto inoltrata alla Regione Lazio dal sindacoSala.L’importanteènonabbassarelaguardia.

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Il terzo numero, 0**, la testata si consolida...

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GenteBraccianoLuglio 2014 numero 0**

di

L’ospedale di Bracciano non si toccaIl Consiglio di Stato ha sentenziato: l’ospedale di Bracciano non si tocca, a rischio la vita dei

cittadini. Il rischio chiusura sembrava scampato. Eppure ci risiamo. La Regione di Zingaretti,

come quella di Polverini prima, reclama tagli in sfregio alla giustizia amministrativa e

all’articolo 32 della Costituzione sul diritto alla salute. Il fronte del no alla riconversione resta

compatto. La battaglia prosegue senza colore politico guardando solo al buon senso. I primari

si levano i camici bianchi e indossano i panni dei manifestanti. Una cabina di regia decide.

Sul tavolo ora una proposta di rilancio per 92 posti letto inoltrata alla Regione Lazio dal

sindaco Sala. L’importante è non abbassare la guardia.

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La partigiana NildeDeputata alla Costituente, simbolo delle istituzionivotata ai diritti dei lavoratori e delle donne

Una storia di una donna, che ha vissu-to la vita sempre a testa alta, nella

consapevolezza del proprio ruolo e dellapropria statura morale. “Loro sanno”diceva suo padre Egidio alludendo senzatroppi complimenti alla borghesia.

Lo studio è l’unica arma a disposizio-ne per essere padroni della propria vita.

Così il ferroviere emiliano socialista,fa prendere alla figlia il diploma di mae-stra. Poi, con una borsa di studio perorfani, (nel frattempo Egidio, il papà, èmorto), Leonilde si iscrive a magistero,alla cattolica di Agostino Gemelli.

Una storia politica al femminile quel-la di Nilde Iotti, che parla di un’opposi-zione morale alle macerie umane delFascismo, di riscatto di una ragazza diReggio Emilia.

Non solo una questione privata mache interessa il futuro di un Paese.

Il 31 ottobre 1942, con il motto di suopadre in testa, a pochi giorni dal bombar-damento di Milano, la ventiduenneNilde, attraversa le rovine di piazza dellaScala per andare a discutere la tesi di lau-rea. Nilde segue con attenzione le idee diDossetti, La Pira, cattolici illuminatidestinati a iscriversi nella storia d’Italia.Nilde nel 1944 è molto attenta soprattut-to alla voce delle donne che protestanocontro il carovita e sono già, di fatto, pro-tagoniste della Resistenza. Sotto questoauspicio, tra studio ed emancipazione, sicompie il battesimo di una giovanedonna con le idee chiare nella testa.

La progressione di una donna, un’in-tellettuale, una militante dell’UnioneDonne Italiane (Udi), una parlamentare,una costituente, protagonista della nasci-ta della Repubblica italiana.

Il destino di Nilde Iotti è indissolubil-mente legato alla carta costituzionale.

Protagonista nei gruppi di difesa delladonna, ebbe il primo incarico per l’Udi.

Quando, su mandato del prefetto,Nilde si occupa della distribuzione deiviveri a Reggio Emilia con l’accoglienzadi 1.500 bambini da sfamare e da vestire.

La sua candidatura alle elezioni del 2giugno è un esordio discreto e discreta-mente orgoglioso. Eletta con altre ventu-no donne, Nilde fa il suo ingresso ufficia-le nella commissione dei 75 per redigerela carta costituente. Ha solo 26 anni e un

per far luce su un storia collettiva diciviltà democratica e che trovò in lei unatestimone originale e altamente incisivasul costume degli Italiani. Durante i tre-dici anni della sua presidenza allaCamera, Nilde Iotti ispirava equilibrio,autorevolezza, capacità di governo deimomenti più concitati delle discussioniin aula. Questa sua immagine resta persempre nella memoria collettiva di moltegenerazioni. Nilde Iotti credeva nellacentralità del Parlamento, nelle istituzio-ni rappresentative come luogo di com-presenza di ideali, culture, interessi epassioni, sede di un dibattito anche acce-so ma sempre ricondotto alla civiltà delconfronto e al rispetto delle regole e delleprocedure. Così la ricorda la figlia adotti-va Marisa Malagoli Togliatti: «Eravamoallegri in famiglia e non solenni.

Amavamo gatti, cani, animali edescursioni. E soprattutto ci divertivamo».Già, chi dice che la “grande politica”,voglia tetraggine?

Claudio Calcaterra

sorriso fermo ed elegante. Non teme ilconfronto, perché la passione che ha den-tro è una ragione di vita. E così sarà,lungo tutta la sua “progressione”: la com-missione femminile; la battaglia per lapensione alle casalinghe. Il dialogo congli altri, non sempre facile, alla fine deglianni Cinquanta: sulla contraccezione,l’aborto, il divorzio, la pillola. In quelperiodo, in Parlamento, le sinistre combat-terono per una famiglia moderna, fondatasull’uguaglianza tra coniugi e sulla paritàlegale dei figli, nati dentro e fuori il matri-monio. Fortificata dalla sua stessa espe-rienza privata, Nilde resterà sul fronte adifendere i nuovi diritti, con brillantezza,con cultura e con naturale eleganza chel’ha sempre distinta. Per tutto questo NildeIotti, fu un modello femminile ineludibileper le donne italiane, per l’esperienza (fustaffetta partigiana nella resistenza alFascismo) e la cultura con cui diresse dapresidente e per tre volte tra il 1979 e il1987 la Camera dei Deputati. La Iottiseppe fare grande politica senza mai stareall’ombra di nessuno, fosse anche quella diun grande leader amato (e odiato) italianoed internazionale, come Palmiro Togliatti,da lei tanto amato.

Semmai usò le sue memorie private

Finché qualcuno resistepossiamo salvarci tutti.

J. P. Sartre

Un giornale, un progetto culturale

Storia di gente comune, ma anche di principi e baroni. Storie di vitaquotidiana di personaggi noti e meno noti, ma anche di eventi di

comunità. Per ritrovare identità, far riaffiorare la memoria di usi e digesta che, nel tempo, hanno caratterizzato questi luoghi. Ma ancheproporre spunti di riflessione, individuale e collettiva, sul senso dellasocietà attuale in modo più ampio. Gente di Bracciano è una rivistache non ha né padroni, né finanziatori occulti. È in qualche modo unlaboratorio collettivo, per certi versi sperimentale, al quale contribui-scono persone di varie generazioni. L’obiettivo è offrire un prodottoeditoriale originale. In attesa della registrazione della testata offriamoai lettori questo nuovo numero rivolgendo, ancora una volta, un invi-to a chiunque ne abbia desiderio e volontà a collaborare al progetto.

Nel mondo abbiamo bisogno di personeche lavorino di più e che critichino meno,che realizzino di più e che distruggano di meno,che promettano di meno e che risolvano di più,che si aspettino di meno e che diano di più,che dicano meglio adesso che domani.

La redazione

GenteBraccianodi

Luglio 2014 Numero 0**

Dedicatoa Giuseppe e Lorenzo

Editore: Claudio Calcaterra

Direzione: Graziarosa Villani

Redazione: Francesco Mancuso,Mena Maisano, Vittoria Casotti,Massimo Giribono, David Antonelli,Biancamaria Alberi.

Contatti:[email protected]. 349 1359720

Stampato in propriosu carta riciclata

É stata per tre legislature presidente della Camera dei Deputati

Luglio 2014 Gente di Bracciano

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tello, aveva quindici anni più di lui,chiese cosa gli fosse successo.

Saputolo si alzò dalla sedia dovestava pranzando, prese un travicello ecorse in piazza Dante dove attesel’uscita del maestro. Quando lo vide loaffrontò e gli chiese cosa avesse fatto aGaudenzio, poi agitò il travicello in

aria e lo avvertì che se ci fosse stataun’altra volta, lui avrebbe picchiato lemani del maestro con il travicello.

Gaudenzio dovette cambiare scuola,da quel giorno fu completamente igno-rato dal maestro, non imparava piùnulla!

Si ferma un po’ a riordinare i ricor-di, poi un lampo e comincia a racconta-re della prima lambretta a Bracciano, lasua. Era nel pieno della giovinezza,faceva il manovale, metà della paga acasa e con il resto a pagare le rate delsuo sogno. Quando l’acquistò cominciòa scorazzare per le vie della città, orgo-glioso, fiero della sua lambretta.

Ci andavano in tre, anche quattro,ma il suo “impegno” più ricorrente eraquello di fare il “fanatico” con le ragaz-ze, le faceva montare dietro e, strettistretti, via a vivere la loro giovinezza inquel Dopoguerra grigio e avventuroso.

Ricorda che una sera, con gli amici,chi in vespa, chi in ducatino, chi in guz-zetto, fecero un giro per Quadroni. Unodei suoi amici non riuscì a tenere unacurva, se ne andò dritto e si ritrovò nel

salone dove una famiglia stava cenan-do, la porta era socchiusa e lui riuscì afrenare solo a pochi centimetri dallatavola. Fu raccolto e curato, solidarietàdi gente del popolo. Sempre con lamitica lambretta una sera andarono amangiare al lago, al chioschetto diAlbertino Di Grisostomo. Un po’ divino sincero, un po’ d’allegria carna-scialesca, e via a fare il bagno al lago, agiuocare a morra “tre, cinque, nove”,per stabilire chi fosse il più ganzo e asaltamula, per rifilare qualche pedataassassina al “mulo” di turno.

Erano intenti nei loro giuochi quan-do videro una macchina sportiva infi-larsi nella sabbia, era guidata da untizio un po’ bevuto, dall’aria un gigolò,

accompagnato da una bionda mozza-fiato. Il bellimbusto sì impappinò,provò a tornare indietro, ma la macchi-na slittò e finì, con le ruote anteriori,nel lago. Prima risero, poi li aiutarono arimettere la macchina sulla strada, manon prima di aver cicaleggiato un po’per godere della vista di quella femmi-na fatale. Dopo la lambretta Gaudenziosi comprò una 850 special, fu quello il

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Gaudenzio Paciotti è nato il 22settembre del 1942 in via delPescino, la via dei pescatori.

Ricorda le reti da ammagliare, stesenelle vie, giù nelle cantine, ricorda leloro voci, le loro cantilene, le loro sto-rie per acclarare chi avesse pescato illuccio più grande. Suoni e rumori dellasua fanciullezza.

Gaudenzio chiede cosa debba rac-contare di sé, della sua vita. Gli rispon-do invitandolo a raccontare gli episodiche ricorda con maggior piacere e quel-li che ricorda con più fatica.

Il primo ricordo è per il padre,Settimio, scalpellino. Il primo sindacodi Bracciano, dopo la guerra, gli com-missionò il vaso che fa mostra di sésulla fontana nella piazza del Comune.

Settimio usciva presto di casa eGaudenzio gli portava il pranzo, mine-stre, pasta, pane con formaggio e frutta.

Era orgoglioso di suo padre, di quelsuo scalpellare la pietra, “arte e fati-ca”, dice con un refolo di voce impa-stata di commozione. Poi raccontadella commissione avuta dal principeOdescalchi per restaurare l’arco di SanLiberato. L’arco stava crollando, un po’perché le pietre erano vecchie, un po’perché le portavano via. Per il principelavorò molto anche per restauri nelCastello. Palazzo Fedeli mostra ancorai segni della sua arte e fatica, tutte lepietre del basamento e gli archi dellefinestre furono opera sua.

Inizia poi a raccontare del suo mae-stro alle elementari. Narra che a scuolac’erano birbanti patentati, ma la palmadi capo briccone il maestro l’avevaaffibbiata a lui. Scuote la testa e negache ciò fosse vero. Poi un giorno loprese di mira, lo chiamò alla cattedra,gli chiese di mostrargli il palmo dellamani e lo picchiò con il righello fino afargliele gonfiare. Storia di maestri chepensano di educare con la violenza.

Tornò a casa e non riuscì a nascon-dere il suo gonfiore. La mamma lo curòsubito con fette di patate, invece il fra-

Gaudenzio: in nomen omenL’“arte e fatica” del padre scalpellino, la prima lambrettadel paese, la morta ritrovata, le false vacanze “hawaiane”.Il gaudente braccianese si racconta

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Lo scherzo fotografico dei coniugi Paciotti

Gaudenzio “pescatore”

In sella alla lambretta

La comitiva

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periodo in cui si fidanzò con MariaRosa, la sua attuale compagna di vita.

E qui Gaudenzio racconta del suoritardo al matrimonio. Due ore di ritar-do. La sposa attendeva nella chiesa diVejano, cominciò a piangere quandonon lo vide arrivare. Lacrime preoccu-pate, non sapeva che il suo Gaudenzioaveva avuto un contrattempo familiareproprio in quei momenti, che lo tenne-ro impegnato per quelle due “maledet-te” ore. Partì una spedizione da Vejanosulle tracce del ritardatario, ma loincontrarono strada facendo. Si sposòun po’ imbronciata all’inizio, poi tuttosi sciolse in quella giornata di gioia ed’amore.

Ora Gaudenzio mi mostra una suafotografia in divisa militare. Un belgiovane, dallo sguardo schietto, quellodi un giovane di diciannove anni ches’affaccia alla vita. Racconta che ilmaresciallo lo teneva in palmo dimano, anche perché Gaudenzio non sitirava mai indietro quando c’era da farequalche lavoro in muratura. Alla finedella leva il capitano gli propose diandare sei mesi ad Ascoli Piceno, luiprimo aviere, per fare la scuola di sot-tufficiale. Rifiutò. Maria Rosa, quindi-cenne, la sua fidanzata, non potevarimanere un periodo così lungo senzadi lui, rifiutò per amore e per quel fric-cico di gelosia che non guasta mai.

Gaudenzio si ferma un attimo, èarrivato il caffè accompagnato daigustosi biscotti preparati da MariaRosa. Si scherza, si chiacchiera del piùe del meno, poi il volto di Gaudenzio siannuvola un po’ e comincia a racconta-re la storia del suo primo incontro conla “morte”.

Aveva trent’anni, o giù di lì, avevaconigli, maiali, galline ai quali avevacostruito un casotto che serviva anche dirimessaggio per paglia e fieno. Quelpomeriggio vi entrò per accudire i coni-gli, quando vide spuntare da sotto lagabbia due piedi. Rimase interdetto, pois’affacciò sulla parte posteriore dellagabbia e vide uno spettacolo terribile,che mai dimenticherò, dice con voceancora piena d’orrore e di paura.

A terra giaceva il corpo di una donnain stato di decomposizione. Corse viaurlando e andò di corsa a denunciare ilfatto ai carabinieri. Era in uno stato diforte agitazione, mentre correva verso lacaserma non si sentiva tranquillo, cosaavrebbe raccontato? Potevano prender-sela con lui? D’altronde il corpo delladonna era lì da giorni, come mai non sene era accorto prima. Si seppe poi che ladonna, cinquantenne, era una sarda, erafuggita da una gita in pullman che erapartito tempo addietro dalla Sardegna.

Fu denunciata la sua scomparsa, masolo Gaudenzio la ritrovò, nel sua casot-to, morta. Si dice che le furono trovatiindosso molti soldi, forse era la fugadella sua vita, ma il fatto fu chiuso rapi-damente e, come accade ai vivi, subitodimenticato. Tranne Gaudenzio cheancora vede il corpo inanimato di quellapovera donna.

Poi, per stemperare il clima dolo-rante che si è creato, mostra una suafotografia che lo immortala con il luc-cio della sua vita. Era andato a pescarecon la sua barchetta, pesca alla tirlinda-na, con un cucchiaino legato al filo asimulare il pesce-esca. Racconta cheera importante la giusta velocità dellabarca per dare il giusto guizzo al

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pesciolino finto. Poi sentì il filo in tiro,fortissimo, all’inizio pensò che l’amo sifosse incagliato in qualche sasso delfondale, poi cominciò a riavvolgere ilfilo e seppe che aveva preso il lucciodella sua vita, sei chili, un luccione. Lasera invitò a cena un po’ d’amici e servìloro la testa del luccio, cotta al fornocon abbondanza di patate. Dice, riden-do, che per il gatto non avanzò nulla.

Un tripudio di sensi.Ora Gaudenzio mi mostra una foto-

grafia dove lui e Maria Rosa sonoimmortalati in posa caraibica. Costumeda bagno colorato, ghirlanda di fiori intesta e a cingere i fianchi, una chitarratra le mani e un banjo a terra, due palmedietro di loro e, giù in fondo, il mare,appena increspato. Sono a Rimini rac-conta, in un’estate assolata, a ritempra-re il corpo e la mente e quel giornol’animatore dell’albergo organizzò unamattinata caraibica. Sul suo viso aleggiaun sorriso ironico, non ne capisco ilmotivo, allora, con aria divertita mi rac-conta che tutti, parenti, amici, vicini dicasa, sono ancora convinti che sonostati davvero alle Hawaii. Questo rac-contarono al loro ritorno, condendolocon la fatica del viaggio in aereo, ore eore di volo per arrivare e con le foto asuffragare il loro racconto. Dico aGaudenzio che scrivendo delle Hawaiiriminesi nel giornale tutti avrebberoscoperto il simpatico inganno, un sorri-so malizioso, suo e di Maria Rosa, adichiarare che sarà il loro secondo

divertimento. Uno spasso!Ci stiamo lasciando quando l’oc-

chio mi cade su un tavolino dove famostra di sé un “plastico” che rappre-senta una piazza, è alto 78 cm, largo 46e alto 55. M’avvicino e leggo “PiazzaSaminiati”. Gaudenzio mi spiega che lapiazza si trova all’interno del borgostorico di Bracciano e della sua anticacinta muraria, che ha un’aria medieva-le, circondata com’è da numerosi edifi-ci storici ancora ben conservati. Vedo ilplastico e vedo la piazza, sono incanta-to da quel lavoro e gli chiedo chi lo hafatto, l’ho fatto io, mi dice con un mistod’orgoglio e di modestia. Allora si apree mi racconta che questo del costruire èun suo hobby da sempre, mi fa vederela “Nina e la Pinta, le caravelle dellascoperta dell’America, fanno mostra disé sopra l’armadio nella camera dapranzo. Mi spiega che per fare PiazzaSaminiati ci ha messo quasi due anni.

“L’ho costruita con cartone pressa-to, mi dice, le finestre si aprono e chiu-dono e hanno anche i fermi a muro perripararle dal vento”, poi accende unaluce e le finestre s’illuminano, credo divedere il fumo che esce dai comignoli.Per la Nina e la Pinta, impegni giovani-li, quasi un anno di lavoro. Le ha fatteavendo un disegno delle due navi,costruendo con le sue mani la chiglia,lo scafo, i ponti, gli alberi maestri, lacambusa e quant’altro, compensatobagnato e messo in tiro per dargli laforma necessaria. Poi mi porta nellacamera dei nipoti, uno di sette e l’altrodi cinque anni. Una camera calda, colo-

rata. In un’enclave della camera, sopraun tavolino, il Castello, fatto con lastessa tecnica di Piazza Saminiati, car-tone pressato e colori ad acqua per dareil senso della sua antichità. La piantadel Castello riprende l’originale.

Gaudenzio l’ha costruita seguendole linee di una fotografia fatta da un eli-cottero. M’incuriosisco dei merli delletorri del Castello e gli chiedo, con unpo’ di malizia, se anche quelli sonoeguali all’originale e nello stessonumero: “sono andato a vederli e con-tarli più volte”, mi risponde con ariadivertita. Nella stanza ha anche costrui-to, per i nipoti, una capanna alta unmetro, dove amano “rifugiarsi” pernascondersi ai grandi. Sullo scaffale,insieme a mille Spiderman e agli orsac-chiotti dei nipoti, vedo una macchinafatta con il compensato, anche questauna sua produzione. Tra Piazza diPietra e il Pantheon esiste un negozioche vende tutti oggetti in legno: pinoc-chi, orologi, macchine, motociclette equant’altro. La Roll Royce di Gauden-zio non sfigurerebbe davvero! Gli chie-do da dove derivi questa sua passione.

“Mio padre era scalpellino, arte efatica, mio zio scultore di legno e pietra,un altro zio pittore e scultore in gesso,tutti per passione”. E Gaudenzio, dicoio, arte e pazienza, la sua manualità atirare su muri, ma impreziosita da que-sta passione che se non fosse stata inmostra non avrebbe neanche racconta-to. Grazie Gaudenzio, per l’accoglien-za e i racconti della tua vita.

Francesco Mancuso

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Piazza Saminiati ricostruita dall’artista Paciotti

Ancora crisi nella sinistra, sinistrache mantiene fede al suo Dna,

sinistra che si lacera, che è preda del-l’ideologia liberista. Dopo tante scis-sioni, tante spaccature e tanti errori, oratocca a Sinistra Ecologia e Libertà,uscita dall’ennesima scissione dalPartito della Rifondazione Comunista.

Ciò che distingue la “sinistra” è laincapacità di stare insieme per diventa-re quel soggetto che milioni di italiani

za e del vittimismo, come ha dettotempo fa un uomo, sicuramente non disinistra, un Papa di nome Francesco.

Perché il tipo di società che orasubiscono gli italiani è quella dove iricchi sono sempre più ricchi ed i pove-ri sempre più poveri, dove la disegua-glianza e l’egoismo dei potenti logora-no le coscienze e conducono inevitabil-mente al degrado morale e corruttivo atutti i livelli. Claudio Calcaterra

(votanti e non votanti) si aspettano perriacquisire fiducia e speranza nel futu-ro prossimo. Il popolo della sinistraspera che si tratti di una sconfitta nonstorica ma contingente. Se in questoPaese non ricompare all’orizzonte poli-tico la possibilità di ricostruire in Italiauna sana “socialdemocrazia”, vale adire una società di sinistra unita avre-mo nei prossimi anni, una societàostaggio dell’egoismo, dell’indifferen-

Gridare in versi, è quello che ha fatto Marco Faraoni dandoalle stampe per Arduino Sacco Editore una seconda sua

silloge dal titolo “Antichi Sapori”. Una raccolta in cui Faraoni,usando la straordinario strumento del componimento poeticoche strappa letteralmentefuori dal cuore e dallamente le parole, fotografain qualche modo i suoi 53anni di vita vissuta, traebilanci e guarda, non senzatimore, le giornate future.Una vita “solitaria” parreb-be che si nutre di antichità –così le immagini di monu-menti e rovine che accom-pagnano il testo – ma cheguarda all’infanzia, alla giovinezza, ai sogni infranti, alleingiustizie. Forte il ricordo del Marco bambino tra cibi fatti incasa e preparati con cura e passione da donne e uomini secon-do riti secolari e antichi giochi di strada come “uno alla Luna”.Forte il Marco ragazzo, sognatore, rivoluzionario. Forte ilMarco di oggi, deluso, triste ed amareggiato da un mondo chenon cambia, da un “mondo migliore” che lui – e lo diceespressamente in Cuore - non cerca più. Forte il Marco chepiange l’amicizia come nel componimento dedicato all’amicoAngelo Di Carlo, con il quale ha condiviso “sogni utopici diuna società migliore”. Ed il Marco di oggi e un uomo “perso”,la cui vita è scandita dal tempo abitudinario della quotidianità,perché “è l’ora”. Dove è allora la straordinarietà di questa rac-colta di poesie e foto? E tutta nel mezzo, la poesia appuntoche, nello scandire dei vocaboli, delle parole, riesce oggi a farparlare un Marco che senza la poesia, resterebbe oggi “muto”e “ammutolito”, schiacciato dalla storia, dagli eventi, da unaquotidianità banale e senza più sogni per guardare con fiduciaal futuro. Graziarosa Villani

Scissioni nel dna della sinistra

L’urlo di Marco Faraoni

Mi sono fatto tante domande sulla situazione politica italiana del momento e, sono andato in riva al lago, dove ho get-tato le risposte nell’acqua, per non litigare più con nessuno. C.C.

Liberamente tratto da una metafora di Pablo Neruda

La leva

Poesia per gridare in versi e non restare ammutolito

La crisi secondo Einstein

“Non possiamo pretendere che le cose cambino, secontinuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più

grande benedizione per le persone e le nazioni, perché lacrisi porta progressi. La creatività nasce dall’angosciacome il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi chesorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chisupera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’. Chiattribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta ilsuo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle solu-zioni. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita èuna routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito.E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senzacrisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisisignifica incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il con-formismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una voltaper tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia dinon voler lottare per superarla”.

(Tratta da Il mondo come io lo vedo di Albert Eistein)

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Controcorrente 3: discorrendo con la morte

l’evento, ma ne diventano spettatori e la stessa famiglia delmorente si limita ad essere soltanto una esecutrice degli attidel testamentario. Il moribondo è lentamente spogliato delsuo potere e inizia ad essere evitato da chi non ha rapportitroppo stretti con lui.

Dal XIX secolo la morte diviene addirittura un tabù. Arièsasserisce che nella società attuale il trapasso viene in tutti imodi nascosto perfino al malato, che non è più un protagoni-sta, bensì una semplice comparsa succube della volontà

altrui. Le decisioni vengono prese dall’équipe, la qualeha il compito di liberare la famiglia da un peso così

gravoso, e il luogo della morte è sempre più spes-so l’ospedale, che libera i luoghi della quoti-

dianità da una presenza così imbarazzante.Sono lontani i tempi in cui il morente sicongedava da familiari, parenti e amici,consapevoli e rispettosi del suo bisognod'isolamento. Ora fino all'ultimo istantebisogna fingere che non si morirà mai.Questa è la morte proibita a cui èapprodata la società di oggi.

Quando finii di leggere il libropiansi lacrime calde, sentivo che leparole di Aries parlavano al miobisogno insopprimibile di “capire”il senso della vita e quindi del suoepilogo: la morte. Fu così checominciai a parlarci, a non farmistrangolare dalla sua forza evo-cativa. Nei momenti di mag-gior fatica che ho incontratonel mio viaggio sperimentalesu questa terra sono sempreriuscito a relativizzare ansie e

preoccupazioni colloquiandocon la morte, con l’unica certezza

di questo nostro affannarci. Devoanche dire che all’inizio non mi fu

affatto facile pronunciare quella parola,avvolta com’era dalla rimozione e dallanegazione in cui la società occidentalel’ha “murata”. Mi sono liberato da questacensura quando ho cominciato a parlarnepubblicamente, a esternare questa miacondizione esistenziale. All’inizio furonolazzi e sberleffi, la vita era solo una giostragioiosa, una palestra di pensieri ribelli per

rivoltare la storia, un’opportunità di ricerca diappagamento di ogni desiderio, un frullatore di

magiche offerte di ricchezze materiali e immateriali, unasorta di delirio d’onnipotenza, d’eternità. La morte era sem-pre di qualcun altro, un pensiero da bandire nell’era della“felicità”. A me, invece, pensarla era ed è un atto di confor-to, intanto perché è inevitabile, allora meglio blandirla chenegarla.

Poi mi capitò tra le mani uno splendido libro di JosèSaramago: “Le intermittenze della morte” e fu un delirio. Inuna nazione mai citata nessuno più muore perché, semplice-

mente, la Morte ha smesso di fare il suo lavoro. Invece, appe-na fuori dal confine, il ciclo procede normalmente.

L'avvenimento suscita nel popolo sentimenti di trionfo efelicità e per le strade avvengono manifestazioni di patriotti-smo, perché la continua ricerca dell'immortalità ha avuto ter-mine. Superato il primo momento d'euforia, si manifestano iprimi problemi: nelle agenzie di pompe funebri e nelle com-pagnie d'assicurazione restano senza lavoro migliaia di lavo-ratori e di imprenditori; alle case di riposo si è costretti abadare ad anziani sempre più vecchi ed in quantità sempremaggiori; nelle case e negli ospedali ci saranno persone incondizioni terribili, incapaci di guarire, ma ora anche dimorire. Perfino le comunità religiose, fra cui la Chiesa, sonoseriamente preoccupate per l'assenza della morte: infatti,senza lei non ci può essere resurrezione e senza resurrezioneè difficile mantenere vivo il messaggio di salvezza eternadell'anima. In seguito, tuttavia, si scopre che basta portare ilmoribondo fuori dal confine per porre fine alle sue agonie, ecosì la mafia, anzi, "la maphia e i suoi maphiosi", come indi-cato nel libro, comincia ad organizzare viaggi, per far rag-giungere la condizione di “caro deceduto”, con garantitasepoltura appena fuori dal territorio nazionale.

Questo scompiglio dura sette mesi, dopo i quali sarà laMorte stessa, o meglio l'essere superiore che si occupa dellamorte in quello specifico paese, a notificare il suo “ritorno”con una missiva manoscritta in una busta di colore violettoindirizzata ai mezzi di comunicazione. La lettera sottopostaad accurati esami per individuarne l'autore, giunge solo ascoprire che si tratta di una scrittura femminile. In seguitoaltre lettere di colore violetto continuano ad arrivare nellecase dei rispettivi destinatari con il loro nefasto contenuto.

Una sola missiva non raggiunge il destinatario, un violon-cellista, e viene per ben tre volte rispedita al mittente. Così,la morte, in forma di una donna di 36 o 37 anni, decide diconsegnare personalmente la lettera al legittimo e sventuratodestinatario. Questa volta, però, vuole conoscere la sua pros-sima “vittima” e inizia a spiarlo. S'introduce, non vista, acasa sua, e va a sentirlo suonare. S'instaura quindi tra lamorte e il violoncellista un rapporto particolare, che rende lamorte più “umana”, facendole dimenticare il suo ruolo.

E ricomincia lo sciopero …

Sono rimasto per giorni di nuovo senza parole, ma questavolta è che mi mancavano davvero. In quel periodo fui col-pito da uno strano pensiero. Quando cuocio la pasta guardosempre l’orologio per scolarla bella al dente, un giorno mivenne da pensare che stavo osservando la morte del miotempo di vita, il tempo che scorre non c’è più, e mangiai unasplendida amatriciana con un gusto e un piacere che non homai più provato. Confesso che più invecchio e meno ci parlocon la mia morte, tento di allontanarla, ma so che si avvicinaed allora provo a esorcizzarla.

Penso però spesso a come accadrà. Vorrei viverla, sentir-la arrivare ancora in stato di “grazia”, fino a sognare di poterinterferire con lei, non suono il violino, ma sono un grandeaffabulatore.

Non so se riceverò anch’io una lettera di colore violetto,ma se così non sarà, a tempo debito, me la spedirò da solo.

Francesco Mancuso

nuata da riti di passaggio, a uno in cui ilsolo pensiero fa talmente paura che nonsi osa più pronunciarne il nome; anchedal punto di vista linguistico non simuore più, si decede o si scompare. Leconfessioni religiose continuano a propor-re un altro modo di ignorare la morte,quello di trascenderla. Per le religioni piùdiffuse in Europa la vita di quaggiù non èche un passaggio, una transizione verso lavera vita, spirituale, divina, immortale: lamorte è un trapasso, un salto verso la finedesiderata e sperata, ma mai nessuno è tor-nato per convalidare questa tesi.

Aries scrive che nel primo Medioevo lamorte era un evento familiare, preferibil-mente sempre annunciato e “nel proprioletto”, che vedeva il morente come il pro-tagonista di una cerimonia pubblica aven-te lo scopo di addomesticare la paura dellamorte. Il trapasso si svolgeva senza isteri-smi e con una serie di gesti rituali, deiquali l’unico atto ecclesiastico era l’asso-luzione finale. Ariès fa notare inoltrecome la morte di una persona non creas-se alcun imbarazzo né tra i familiari delmorente, né nel resto della comunità,tanto che quando un qualsiasi scono-sciuto notava una veglia ad un moren-te, poteva parteciparvi. Anche i bam-bini venivano portati ad assistere.Successivamente il morto venivasepolto lontano dalle abitazioni affin-ché non disturbasse i vivi.

Lentamente però avviene un cam-biamento. L’aumento della presenzadella cultura cattolica apporta degli ade-guamenti nella ritualità, nella finalità e nelsignificato della morte. Nonostante la morte mantenga anco-ra il suo carattere di familiarità e di tappa necessaria, iniziaad affacciarsi la paura del giudizio. Il corpo che veniva sep-pellito all'interno di una struttura ecclesiastica al momentodel giudizio si sarebbe salvato, altrimenti sarebbe stato dan-nato. Le rappresentazioni del periodo mostrano il letto delmoribondo circondato da diavoli e angeli che combattonorispettivamente per tentare e salvare l'anima del morente

Fra la fine del XVI e fino al XVIII secolo la morte perdeil suo carattere di familiarità e diventa un momento di rottu-ra del quotidiano. Essa acquista un carattere trasgressivo,quasi eroico. Anche gli astanti non sono più partecipi del-

Il problema più importante, quello della morte, è trattatosempre e solo da incompetenti. Non conosciamo il pareredi nessun esperto.

Francesco Burdin, Un milione di giorni, 2001La propria morte è irrappresentabile, e ogni volta che cer-

chiamo di farlo, possiamo constatare che in realtà continuiamoa essere presenti come spettatori. Perciò la scuola psicoanaliti-ca ha potuto anche affermare che non c'è nessuno che in fondocreda alla propria morte, o, ciò che equivale, che nel suo incon-scio ognuno di noi è convinto della propria immortalità.

Sigmund Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e lamorte, 1915

Ero piccolo e infelice e divoravo questo mio perenne statodi minorità sotto il glicine maestoso del giardino in viaNiccolini 15, nel quartiere di Monteverde Vecchio, dove hovissuto la mia fanciullezza. Lì sotto ho cominciato a scriverela mia grammatica interiore, a sfidarmi per immaginare comesarei stato da grande.

Il primo grande problema che dovetti risolvere era quellodi quante parole avessimo in dotazione prima di finirle, miveniva raccontato, a scuola e in famiglia, che tutto ha un limi-te, una fine, così decisi di non parlare più, di conservare leparole per tempi migliori. Fu un periodo turbolento, i grandinon capivano i miei silenzi e per un lungo tempo vissi tra pero-razioni e urla, fino all’immancabile punizione del “salto” dellacena. Mio padre non immaginava che era il momento più feli-ce della mia giornata, con lo stomaco brontolante e le parolemute dentro di me, nel caldo del letto, costruivo straordinariestorie e picareschi racconti di me che salvava il mondo, ero unaccanito lettore di Nembo Kid. Non ricordo come e quandoquesta decisione rientrò, ricordo solo il pianto liberatorio dimia madre quando le dissi che desideravo un gelato.

Il secondo problema fu proprio quello della morte. Il fattoè che, a scuola e in famiglia, continuavano a raccontarmidelle delizie del dopo morte se avessi condotto una vita vir-tuosa. Poi morì nonna Adele e mi tennero all’oscuro dell’ac-cadimento, lo scoprii solo perché non la vidi più. Ma “l’illu-minazione” arrivò quando la professoressa di storia narrò cheper i Romani la vita era un viaggio tra due buchi, la nascita ela morte. Della nascita avevo capito che non era dipesa dallamia volontà, ma da un rapporto sessuale che mi aveva incon-trato per caso. Della morte nulla sapevo, nessuno ne parlava.

Fu così che incontrai un libro per me importante: la storiadella morte in Occidente di uno storico francese, PhilippeAries. Provo a riassumerlo.

Philippe Aries presenta un quadro dell'evoluzione storicadegli atteggiamenti dell'uomo occidentale nei confronti dellamorte. Egli ritiene che si sia passati da un antico atteggia-mento in cui la morte è al contempo familiare, vicina e atte-

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Prima però cerchiamo di capire perché un piccolo gruppo musica-le è entrato ed è rimasto nella storia di un paese, del nostro paese

Bracciano, e ne “è” l’anima. Alcune volte vi sarà capitato di riflette-re sulle tradizioni del vostro paese, della vostra città, del vostro quar-tiere e vi sarete resi conto che le tradizioni esprimono e riflettono lasua storia. Quelle tradizioni, insomma, sono estremamente impor-tanti per la nostra vita e per la comunità in cui viviamo e questo per-ché ne scandiscono e ne “fissano” nel tempo certi momenti. Le tra-dizioni infatti hanno una funzione molto speciale: conservare e tra-smettere quei “segni” distintivi che la comunità ha fatto propri e che,attraverso eventi ed esperienze, caratterizzano quel territorio. Se ècosì, perché dobbiamo disperderle? Ma torniamo alla nostra“Primavera” e alla sua storia. Seppure sommariamente, vediamonealcuni momenti. Che ne dite? Queste “storie” sembrano piccolecose, ma se viviamo intensamente un giorno, queste piccolecose, ci sembrano grandissime.L’Associazione MandolinisticaBraccianese “La Primavera”,nasce negli anni ’20, precisamen-te il 12 agosto 1922 con la sotto-scrizione dei 14 articoli dello sta-tuto da parte dei 18 fondatori. Il14 agosto 1922 l’assemblea deisoci elegge presidente EleuterioSala, segretario: Salvatore Pon-tanari; revisori dei conti: AntonioSatolli e Nicola Pedaletti. E’ inte-ressante, con i tempi che corrono,tempi in cui spesso l’educazione ela disciplina sono assenti o sonomerce rara, ricordare l’articolo 1che al paragrafo b) recita “L’As-sociazione ha per iscopo il diverti-mento lecito e corretto. I componenti devono mostrarsi educati edisciplinati” e aggiunge “lo studio e la cultura della musica permezzo dell’orchestra sociale hanno altrettanta importanza”.Il nome,poi, viene scelto tra i quattro proposti: “La Primavera”; “La Cicala”;“Aurora”, “Stop”. Alla “Primavera” vanno 10 voti su 15. Il 2 aprile1925, Lunedì di Pasqua, avviene il debutto ufficiale della società,con la benedizione “ufficiale” dello stendardo. La cerimonia si svol-ge nella piazza del Castello. E’ emozionante leggere dal vecchio ver-bale “alle 10,40 l’arciprete Don Filippo Onori, alla presenza di tuttele autorità del luogo, impartisce la benedizione allo stendardo alquale la madrina, la signorina Elsa Sala, sorella del presidente dà ilnome di “Cecilia”. “Quando lo stendardo viene sollevato l’orchestraintona la Marcia Reale. E, a questo punto, dal verbale viene fuorivera poesia: “La bandiera palpita, carezzata dal dolce venticello, lan-

ciando nell’aria guizzi d’oro e di viola”. Eh sì! Queste parole nonesprimono un’intensa partecipazione e commozione? E ancora: “LaPrimavera, terminata la cerimonia, stendardo in testa, percorre le viedel paese, riempendole di note trillanti e armoniose”. I braccianesi,e non solo, rispondono con una fitta pioggia di fiori e con applausiscroscianti”. “La Primavera”, e Bracciano diventano, così, un tut-t’uno. Come sempre accade, tutti i santi finiscono in gloria, perciòtutta La Primavera si ritrova al ristorante la “Posta”, per un banchet-to “super”. “Vino (in quantità), alici al burro, fettuccine all’uovo,carciofi fritti, saltimbocca al prosciutto, abbacchio arrosto con insa-lata, formaggio, frutta, zuppa inglese, caffè”. Però!! Alle 21.30 neilocali del caffè Roma, serata danzante con rinfresco riservata ai socie ai loro familiari. Alle 24 precise termina la storica giornata.Eleuterio Sala e il maestro Barbagallo sono le colonne portanti della

“Primavera”. Quando, a causadi un grave lutto, Barbagallo ècostretto a lasciare l’orchestri-na, la presidenza si mette subi-to alla ricerca di un validosostituto che trova nel profes-sor Manfredi Apostoli, violi-nista nell’orchestra del Teatrodell’Opera di Roma. Inviti,riconoscimenti e premi nontardano a venire da ogni partedel Lazio. Le feste, le ceri-monie religiose, i Carnevalivedono “La Primavera” sem-pre in primo piano. La genteinizia a considerarla un patri-monio comune. La sociètà

mandolinistica è proiettata così,all’interno della storia e delle vicende di Bracciano e del territoriocircostante. I suoi concerti, il suo passare per le vie insieme al trillodei suoi mandolini e di tutti gli strumenti, hanno saputo coglieremagnificamente gli umori, l’allegria e i sogni della gente diBracciano lungo il corso degli anni. Le vicende politiche dell’epocala toccano solamente per certi aspetti formali. La Primavera conser-va, comunque, una larga autonomia. Eleuterio Sala, rieletto più voltepresidente la guida con mano ferma e la tiene fuori da questioni econtrasti, facendo prevalere il principio sancito dallo statuto, del-l’apolicità. “La Primavera” vive con pienezza artistica e sociale finoal 1932. Il 18 maggio 1933 muore Eleuterio Sala. L’attività de “LaPrimavera”, rallenta e poi si ferma.

E poi? Il poi…ai prossimi numeri.Professor Luigi Di Giampaolo

Presidente attuale della “Primavera”

Luglio 2014 Gente di Bracciano Luglio 2014 Gente di Bracciano

Grande Guerra: Monumento per i caduti

La prima guerra mondiale, del cui scoppioviene ricordato quest’anno l’anniversario

dei cento anni, è stata senz’altro il primoevento in cui la giovane nazione Italiana si èconfrontata con la Storia pagando anche undrammatico prezzo in termini di vite umane.Ed è proprio dopo la fine delle ostilità nel1918 che in tutti i Comuni italiani si è inizia-to ad edificare tutta una serie di monumenticelebrativi dei caduti in guerra e ad intitolarepiazze e strade ad eventi e personaggi chehanno caratterizzato l’evento bellico appenaterminato. Così a Bracciano, la piazza comu-nale fino ad allora denominata semplicemen-

te piazza delle Monache (per la presenza delConvento sull’antistante via XX Settembre)prende il nome di piazza IV Novembre. Maforse l’evento più simbolico è la costruzionedel monumento ai caduti sulla scalinata checongiunge la piazza con la sopradetta via. Ilmonumento era molto diverso da quelloattuale e la sua costruzione è iniziata nel1919. Riportiamo di seguito il verbale del-l’assembla Consiliare del 12 novembre 1921in cui il Consiglio Comunale dà il suo bene-stare alla nascita di un comitato che si sareb-be dovuto occupare della costruzione delmonumento.

“Riferisce il Sindaco che egli già daparecchio tempo ha potuto raccogliere dallaviva voce di moltissimi cittadini ed anche dairappresentanti di parecchie istituzioni locali,il vivo desiderio di onorare la memoria deidefunti caduti in guerra per la Patria con unmonumento veramente degno delle loro gestae del supremo sacrificio da essi fatto perl’Italia. È però a dirsi, come tutti sappiamoche il regio Commissario (..)-certo a causadell’eccessiva sua fretta - nell’anno 1919procedette alla solennizzazione dei cadutierigendo in una selciata esistente nella piaz-za del Comune una modesta lapide comme-morativa. Se la fretta non avesse invaso ilRegio Commissario forse a quest’ora sisarebbero già raccolti i fondi necessari perun monumento degno del nome. Ond’è chetutta la cittadinanza vede suo malgrado eter-narsi in quella modesta lapide quei ricordiche avrebbero voluto e vorrebbe fossero piùcivilmente considerati. E vede con un sensoquasi di gelosia che i Comuni vicini innalza-no ai loro caduti veri monumenti di gloria.Egli è perciò che facendomi interprete deisentimenti e dei desideri di tutta la cittadi-nanza propongo a voi che il Comune si facciainiziatore per la costituzione di un comitatopermanente per lo studio e l’attuazione delprogetto per l’erezione di un monumento peri caduti. La targa commemorativa di cuisopra potrà essere da ivi tolta e murata inuna sala del Comune. Per fare ciò è necessa-rio che il Consiglio cominci a deliberare ilsuo concorso per la costituzione del fondonecessario al monumento”.

Massimo Giribono

Un plotone a cavallo della Scuola di Artiglieria di Bracciano

Nel 1919 piazza delle Monache cambia nome e diventa piazza IV Novembre

I musicisti del 1922Alla chitarra: Salvatore Pontanari,Nicola Pedaletti, Elvezio Sala;

al mandolino: Nicola Forti,Angelo Di Grisostomo, Eleuterio Sala,Lorenzo Satolli, Giuseppe Di Vincenzo,Antonio Cavalieri, Amerigo Onori;

alla mandola:Aurelio De Santis,Amerigo Tabellini;

alla batteria:Armando Zarlocco;

ai piatti:Agostino Ferranti;

alla grancassa:Adeodato Baglioni

ed inoltreAlmerindo Mondini

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Difficile dire se le donne del nostrotempo leggono abbastanza, (questo

vale anche per gli uomini). Ho una cugi-na che passa tutto il giorno a divorareracconti, romanzi, riviste. Molte altre,senza dubbio, leggono, almeno per laquantità in misura più che sufficiente.Ad altre, forse la maggioranza, la durez-za del lavoro, le cure domestiche, lamancanza di mezzi finanziari impedi-scono di godere le emozioni della lettu-ra. Più interessante sarebbe conoscere afondo che cosa leggono, in generale, leragazze italiane d’oggi.

Si dice che Liala, Peverelli, Mura,Dias siano fra le scrittrici preferite, la«Bibliotechina per signorine», le edizio-ni Salani fra le pubblicazioni preferite.Si dice anche, fra di noi - e molti, non lonascondo, se ne rammaricano - chemolte siano le ragazze, anche tra quellepoliticamente più evolute, che hanno in“Grand Hotel” la lettura più appassio-nante. Si esagera, forse, e, in ogni caso,non si considera e non si comprendequanto difficile sia oggi, per una ragaz-za, avere una scelta felice nel gran maredi mercato librario che è grande nellaquantità quanto insufficiente e poveronella qualità e nella varietà. A meno chenon si pretenda - e noi non pretendiamodi certo, perché sappiamo comprenderele ragazze e perché giovani siamo anchenoi - che le ragazze leggano solo di filo-sofia o di catechismo. Non è davveronelle nostre intenzioni negare alleragazze il diritto di scegliere le loro let-ture, di appassionarsi ad avventure o avicende d’amore.

Vorremmo soltanto aiutarle a com-prendere che, alle volte, in chi scrivequelle avventure, in chi immagina quel-le storie di amore, vi è l’intenzione difarci palpitare per le avventure di altri,di farci sognare qualcosa che non appar-tiene al nostro mondo per impedirci diaprire gli occhi, di unirci, di operare perrimuovere insieme gli ostacoli cheimpediscono a tante ragazze di conqui-starsi un loro avvenire, portare a compi-mento il loro sogno d’amore, di avere

Auguriamoci che molte ragazze possa-no trascorrere, nella loro lettura, oregradevoli e ne possano trarre stimolo aconoscere meglio la letteratura dei com-battenti e dei costruttori di un mondomigliore.

Prefazione di Enrico Berlinguer a"L’avvenire non viene da solo", antolo-gia dedicata alle ragazze italiane, editanel 1949 da “Gioventù nuova" - casaeditrice della Fgci

In questo testo Berlinguer, oltre achiamare velatamente in causa i temidella gestione dei mezzi di comunica-zione di massa e dell’immaginariosociale, anticipa di molto, mettendosinei panni delle ragazze, il pensiero digenere auspicando e prevedendo allostesso tempo il progressivo processo diemancipazione femminile, una battagliache esplodendo negli anni Settanta haportato, seppure in maniera ancoraincompiuta, all’affermazione delledonne nel mondo del lavoro, nella fami-glia, nelle istituzioni, nella scienza,nella letteratura, nella cultura.

(A cura di Claudio Calcaterra)

tutte la loro famiglia e di raggiungere laloro felicità in una società che più nonconosca, per i pochi, il privilegio, illusso, il capriccio e, per i molti, l’umi-liazione, lo scherno, la miseria.

Vogliamo, soprattutto, indicare alleragazze che sono stati scritti altri libri,che esistono altre letture che sannorispecchiare - anch’essi - i loro sogni ele loro aspirazioni, che sanno essereanch’essi appassionanti, perché parlanodella più grande delle avventure, che èla nostra vita di ogni giorno, perchéesprimono il più grande dei sogni e leloro aspirazioni che è quello di unasocietà giusta di liberi e di uguali, per-ché infondono fiducia e mostrano nellalotta una via che non tradisce, che nondelude e che tutti i sogni può trasforma-re in realtà. Sono le opere di scrittori ita-liani, dense di umanità, ricche di unavita vera e vissuta da milioni di uominie di donne, di una passione che nonconosce ostacoli, di una fede grande edinvincibile.

Di questi – romanzi, racconti, poe-sie, rievocazioni storiche e biografiche– la nostra editrice offre oggi, alleragazze d’Italia una prima selezione.

“L’avvenire non viene da solo”Enrico Berlinguer alle ragazze italiane

Bracciano:

Obiettivo parità di genere

Lontana dalle luci della ribalta riservate ai grandi eventi, l’attivi-tà politica dell’amministrazione comunale di Bracciano ha

mantenuto nel tempo un’attenzione costante al tema delle pariopportunità con risultati che solo oggi cominciano a diventare visi-bili. Di fronte alle dichiarazioni roboanti che periodicamente rie-cheggiano sui giornali, radio e TV, non è di poco conto rilevare cheesistono realtà in cui invece di parlare si fanno i fatti e l’attenzionetanto invocata per la condizione femminile si trasforma in iniziati-ve concrete pensate e realizzate da donne che vivono nel territorio.

La politica delle Pari Opportunità nel Comune di Bracciano hamosso i suoi primi passi fin dal 1995, anno in cui si è creatal’Associazione di donne Pandora Onlus che ha dato vita a moltepli-ci eventi pubblici su temi di scottante attualità, fino alla creazionee apertura del Centro Donna Comunale, inaugurato ufficialmentel’8 marzo 2011 e gestito dalla stessa Associazione Pandora rimastaattiva negli anni. L’esistenza di un Centro Donna nel tessuto socia-le di Bracciano ha fatto la differenza manifestando gradualmente isuoi effetti nella vita sociale della comunità. All’interno del CentroDonna ha trovato spazio l’Associazione Banca del Tempo, già ope-rante a Manziana ma assente da Bracciano dove, invece, si è radi-cata in fretta offrendo un punto di riferimento e di aggregazionealla popolazione ed in modo particolare alle donne che hanno ade-rito ed hanno dato vita a scambi di servizi e soprattutto a nuoverelazioni umane che si sono consolidate nel tempo. Oltre a questosono nate una serie di attività quotidiane come la lettura collettiva,laboratori di riciclo e riuso di materiali vari, incontri di arte terapiache hanno visto aumentare il proprio pubblico e la stessa qualitàdell’offerta che con il tempo si è andata sempre più raffinando especializzando. Un risultato concreto e visibile pubblicamente èl’evento “Marzo Donna” che dal 2012 si ripete regolarmente ognianno e che anima tutto il mese di marzo con eventi ed iniziativeespressamente dedicate all’universo femminile, ampliando edenfatizzando l’effetto mediatico della data fatidica dell’8 marzo.

Tra le attività ricorrenti negli anni che il Centro Donna promuo-ve vanno citate le manifestazioni promosse in occasione del 25novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne,che hanno visto prestigiose partecipazioni come quelle di ShirinEbadi, premio Nobel per la pace, e di Malalay Joya che hanno por-tato la loro impressionante testimonianza ad un pubblico localeprofondamente toccato dalle loro parole. Un aspetto da sottolinea-re per il suo interesse sociologico riguarda la tipologia di pubblicofemminile che negli anni ha attirato il Centro Donna non più fattodi giovani ragazze in cerca di riconoscimento di diritti e spazisociali, bensì composto da donne mature che hanno trovato nelCentro Donna una risposta efficace a problemi di solitudine edestromissione dalle dinamiche sociali. E’ il chiaro sintomo delcambiamento sociale avvenuto negli ultimi 20 anni durante i qualile donne sono entrate in modo eclatante in tutti i settori della vitasociale ed i livelli di discriminazione un tempo espliciti sono diven-tati meno immediatamente evidenti, anche se ancora lontani dalloscomparire. Un fatto comunque appare chiaro: non sono le ragaz-ze oggi che sentono il peso di un mancato riconoscimento del ruolodella donna nel sociale; viceversa tale emozione diventa un temaemergente e pressante solo per l’età più avanzata, quando si tiranole somme sullo status che ogni donna si è guadagnata nel corsodella propria vita e che, al netto del ruolo di cura svolto in famiglia,tende a configurarsi come una terribile sensazione di vuoto, comese al di là dei servizi prestati ai loro cari, la vita delle donne perdes-se di senso. sBiancamaria Alberi

13Luglio 2014 Gente di Bracciano Luglio 2014 Gente di Bracciano

Lavinio, estate 1950, Enrico Berlinguer con le ragazze del campeggio scuola di politica

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Faccio seguito all’incontro tenutosi indata 16/06/2014 presso gli uffici della

Cabina di Regia SSR della Regione, performulare di seguito, come da accordi, unapossibile proposta di riconversione e rilan-cio dell’Ospedale Padre Pio, alternativa aquanto presentato allo scrivente nella riu-nione suddetta e contenuto nella propostadei Programmi Operativi 2013/2015.

Senza voler aprire nessuna polemica, sipuò affermare che la proposta di seguitoformulata, fonda la propria essenza in per-fetta sintonia di quanto pubblicato sul sitodella Regione Lazio nella rassegna stampadel 6/12/2013 e cioè che con la presenta-zione dei Programmi Operativi 2013/2015sarebbe stata “fornita una risposta organi-ca allo squilibrio dell’offerta sanitaria trail centro e la periferia, alla fragilità dellasanità del territorio e alla crescente preca-rizzazione del lavoro”.

Si parlava del “superamento dellemacroaree che hanno fortemente penaliz-zato le province, del calcolo della dotazio-ne dei posti letto da effettuare distinguendotra Roma Città e le singole province sullabase dei fabbisogni e del rispetto dei livel-li essenziali di assistenza”, specificandoche “la riduzione complessiva dei postiletto necessaria per rientrare nel parame-tro nazionale di 3 posti letto per mille abi-tanti e per raggiungere gli obiettivi delpiano di rientro, si sarebbe fondata su cri-teri selettivi e non su tagli lineari e sisarebbe basata esclusivamente sui postiletto scarsamente o per nulla utilizzati, conl’incremento di 109 unità i posti letto del-l’area critica”.

La conclusione di quel comunicato ter-minava affermando che “i provvedimenticontenuti nei Piani Operativi sono la con-dizione indispensabile per tagliare i costi,ridurre il tasso di ospedalizzazione inap-propriata e garantire ai cittadini una sani-tà più giusta ed efficiente”.

Posso assolutamente affermare chesiamo perfettamente in linea con quei prin-cipi e lo siamo ancor più oggi, dopo lanotizia (allora non conosciuta ma sperata)che la Regione Lazio potrà contare su circa400 milioni di euro in più all’anno di mag-giori risorse rispetto a quanto previsto,

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Luglio 2014 Gente di BraccianoLuglio 2014 Gente di Bracciano

Ospedale: proposta di rilancioper 92 posti lettoInoltrata dal sindaco Sala alla cabina di regia sulla sanità regionale

dopo che le verifiche fatte dai Comunihanno determinato che nel Lazio vivono300 mila cittadini in più rispetto alle prece-denti rilevazioni Istat.

E questa notizia non è sicuramentebella ed importante solo per la RegioneLazio, ma anche per i territori delle provin-ce in quanto, se è vero che ci sono piùdisponibilità per la sanità laziale, è altret-tanto vero che quelle risorse dovrebbero

essere impegnate in parte per riequilibrareil numero dei posti letto prioritariamentenegli ospedali di provincia, dove la popo-lazione è fortemente cresciuta e i posti lettoper acuti anziché aumentare, diminuisconoo peggio scompaiono.

Ritengo pertanto che si dovrà priorita-riamente intervenire, per mantenere omeglio implementare quel rapporto di 3posti letto per mille abitanti, laddove que-sto fosse deficitario o molto deficitariocome nella ASL RMF di Civitavecchiadove, evitando la chiusura dell’OspedalePadre Pio di Bracciano, il rapporto obbliga-torio di 3 posti letto per mille abitanti èinvero allo 0,9 e con la chiusura del noso-

comio andrebbe allo 0,5 per mille abitanti.In conclusione la proposta che segue

vuole riequilibrare l’offerta sanitaria nelterritorio della Asl RMF e “suggerire” ilmantenimento in piena efficienza e anzi, inmodo ardito, proporre il rilanciodell’Ospedale “Padre Pio”, per garantire iprincipi fondanti dei Programmi Operatividella Sanità e conseguentemente uscire dalcommissariamento.

Pertanto si propone:• Portare il nosocomio di Bracciano a n. 80posti letto ordinari dei quali n. 60 per acutinelle tre specialità richieste di medicinagenerale, chirurgia e ortopedia e n. 20posti letto post acuzie, inserendo n. 8 postiletto di day hospital, n. 2 posti letto diterapia sub intensiva post-operatoria e n. 2posti letto di osservazione breve.Il risultato che si vuole determinare con

quanto sopra evidenziato è quello di porta-re a 1 (uno) il rapporto posti letto per milleabitanti nel territorio della Asl RMF, anchese ancora molto al di sotto dell’obbligato-rio 3x1000 ab., con la duplice certezza diaver calcolato la dotazione di posti letto

distinguendo Roma Città dalle singole pro-vince e con la consapevolezza che nel-l’Ospedale Padre Pio di Bracciano i lettiper acuti hanno complessivamente una“occupazione” superiore al 97,50% e unadegenza massima di giorni di ricovero infe-riore o in linea con le prescrizioni stabilite.• Trasferimento presso l’Ospedale “PadrePio” di Bracciano di n. 4 medici già incarico della Asl RmF, dal PIT diLadispoli al momento dell’apertura dellaCasa della Salute.La proposta potrebbe anche prevedere

come opzioni:• Un accordo con l’Azienda Ospedaliera S.Andrea per scambi di servizi.

• L’inserimento dell’Ospedale “Padre Pio”di Bracciano tra le strutture previste nelprotocollo di intesa Università LaSapienza e Regione Lazio, nella quale èpossibile “strutturare” personale medico

mance ricavi/costi conseguenza delle mag-giori disponibilità di posti letto (vedi sche-da allegata). Sarà inoltre importante desti-nare una percentuale di eventuali finanzia-menti per investimento, laddove previstidalla Regione Lazio per la Asl RmF, da uti-lizzare per ristrutturazioni, attrezzature emanutenzioni. Sono convinto che vorreteapprofondire e tenere nella dovuta conside-razione quanto proposto, con la consapevo-lezza che per mantenere dignitosi livelli diassistenza sanitaria nel territorio nord dellaprovincia di Roma, è necessario non soloriconvertire ma soprattutto rilanciare inosocomi delle province che, con il mante-nimento del Pronto Soccorso e dei postiletto per acuti riescono a fare filtro allegrandi difficoltà nelle quali si trovano gliospedali romani causa sovraffolamento.

Giuliano SalaSindaco di Bracciano

universitario ed eventualmente indivi-duare UOC a direzione universitaria conil vantaggio di reperire le poche unità dipersonale medico qualificato necessarieper l’Ospedale di Bracciano, a costiridottissimi.La proposta sopra delineata, qualora

fosse recepita e condivisa, può prevedereuna sperimentazione di 3/5 anni nei qualiverrebbero monitorati i risultati attesi evalutati gli effetti sul territorio in termini diraggiungimento degli obiettivi fissati, delleprestazioni rese, del mantenimento deilivelli essenziali di assistenza e della dura-ta e dell’appropriatezza dei ricoveri.

Si dovrà chiaramente prevedere il man-tenimento dell’attuale budget previsto peril “Padre Pio” ovvero un piccolo aumentodi risorse, se necessarie, per il miglior fun-zionamento dell’Ospedale, che sono certosarà “compensato” da una ottima perfor-

La città parlaCon i suoi muri grigi.Il lago, il verde, il borgo.Vietato vietare…Prendiamo i nostridesideri con realtà.La societàè una pianta carnivora.Corri, uomo, corri.Il mondo ti insegue.Libertà di espressionee la fantasia al potere.

Claudio Calcaterra

Ame piacciono gli anfratti buidelle osterie dormienti,dove la gente culminanell’eccesso del canto,a me piaccionole cose bestemmiate e leggere,e i calici di vino profondi,dove la mente esulta,livello di magico pensiero.

Alda Merini

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