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Mensile della FEDERPROPRIETÀ-ARPE Ottobre 2018 • n°10 Poste Italiane Spa Spedizione abbonamento postale 70% DCB Roma Genova aspetta!

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Mensile dellaFEDERPROPRIETÀ-ARPE

Ottobre 2018 • n°10

Poste Italiane Spa Spedizione abbonamento postale 70% DCB Roma

Genova aspetta!

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SOMMARIO

4 EditorialeLa stagione delle verità

6 Decreto MilleproprogheFinanziamento ai comuni? No!

8 I problemi evidenziatidal crollo di GenovaAnzianità e carenza di manutenzione

10 Idee dalle quali ripartireRicostruiamo il viadotto PolceveraPaolo Clemente

12 Emergenza sfrattiGli ultimi dati e la propostadi FEDERPROPRIETÀ

14 Libro bianco dei costruttoripresentato alla LUISSL'ANCE auspica una rivoluzione fiscaleGuglielmo Quagliarotti

16 Crac bancariA pagare sono i risparmiatoriSergio Menicucci

18 Welfare abitativoIn Lombardia piani innovatividi edilizia socialeWalter Williams

20 Mercato immobiliare residenziale:II trim. 2018Dati molto positivi sulle compravenditeGianni Guerrieri

22 Ingegneri docenti per scuole a pezziAllarme in tutta italia

24 Dibattito sulle riforme istituzionaliI problemi del sistema presidenzialeDomenico Fisichella

29 Il Punto

30 La più disastrata delle metropoliRoma: un declino che nessuno sa arrestareGiuseppe Sappa

32 Le piazze abbandonate al degradoSandro Forte

35 Giurisprudenza

36 CassazioneAscensori: per la manutenzionedevono pagare tutti i condominiMauro Mascarucci

38 Il Consiglio di Stato sulla tassa rifiutiI non residenti non devono pagaretariffe più alteSalvatore Albanese

40 Manutenzione del condominioe tutela antinfortunisticaLa sicurezza “fai da te” può costaremolto caraAlberto Celeste

42 Affitto di immobili non abitativiTraslazione convenzionale di impostae sinallagmadel contratto di locazioneAlfred Bianco

45 ControcorrenteOrwell aveva ragione

46 CostumeMorte da selfieMaria Giulia Stagni

48 MostreMarc Chagall a MantovaLuigi Tallarico

50 TABELLE ISTAT

6

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40

Ottobre 2018

Direttore editoriale: Massimo Anderson | Direttore responsabile: Giuseppe Magno Amministrazione: Via San Nicola da Tolenti no, 21 - 00187 Roma • Tel.: 06485611 (r.a.) • Fax: 064746062 - [email protected] • Editrice: ARPE - Via San Nicola da Tolentino, 21 - 00187 - Roma

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economici nazionali e internazionali verranno a pettine, come suoldirsi.

Già a settembre erano state riviste al ribasso, da parte di varie fonti di esperti,le previsioni del prodotto interno lordo fatte nell’aprile 2018 dal governo guidato da Paolo Gentiloni. Molto prudente il giudizio degli imprenditori che con il presidente Boccia augurano al governo di non fare danni.

Altre valutazioni sono attese dalla Bce (per Draghi l’incertezza Italia pesa sullo spread), dalle due maggiori agenzie di rating Standard e Poor’s e Moody’s e soprat-tutto dalla Commissione di Bruxelles anche se il respon-sabile economico Ue il francese Moscovici nel rilevare “i toni ostili dell’Italia” ha precisato che “saremo costruttivi sui conti”.

Quello che preoccupa è la mancata riduzione del de-bito.

FEDERPROPRIETÀ non si iscrive al partito che tutto sarà una catastrofe, ma nel Paese reale riemergono molte e forti perplessità politiche ed economiche, in particolare sul “reddito di cittadinanza” perché il problema è dare un lavoro e non assistenza, ma anche dal fatto che Milano ha bruciato oltre 25 miliardi (dato non definitivo) di capita-lizzazione e Bruxelles contesta la manovra.

In Francia: il governo di Parigi ha confermato il taglio delle tasse pari a 24,8 miliardi di euro, una misura voluta dal presidente Macron per dare una spinta all’economia (crescita dell’1,7% del pil) finanziata con l’aumento del rapporto tra il deficit e pil dal 2,6 al 2,8 per cento.

L’Italia può permetterselo con un debito che sfiora il 132% e supera i 2.300 miliardi contro quello francese del 98,7 per cento? Mario Draghi avverte da Francoforte che i tassi sono saliti solo in Italia e che sui mercati c’è nervo-sismo anche per altri motivi: dazi Usa e controdazi cinesi, petrolio a oltre 80 dollari al barile, rialzi dei tassi d’inte-resse della Federal Reserve.

Rispetto alla primavera 2018 il vento economico è peggiorato in Italia più degli altri i grandi paesi del G7. La frenata è confermata dall’Istat, dall’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo (Ocse) con sede a Parigi. L’agenzia di rating Moody’s ha tagliato le stime a ribasso mentre Fitch ha messo il debito italiano sotto la lente, la-sciando il giudizio stabile a BBB ma “con prospettive nega-tive perché preoccupa l’incertezza politica”

Galoppano invece le economie a Stelle e strisce (pil a più 3,2, disoccupazione a 3,7%) nonostante le burrasco-se vicende del presidente Trump, quelle del Sol Levante, dell’India e della Cina mentre in Europa quelle tedesche, polacche e spagnole.

La lezione da trarre dalla lettura di questi dati è che per il governo gialloverde la strada è in salita in un momento in cui il conflitto e le incomprensioni tra Roma e Bruxel-les restano ad alto livello: dalla ricollocazione delle quote di emigranti al pagamento delle quote del budget del bi-lancio europeo con l’Italia che versa circa 14 miliardi e ne riottiene circa 9, dal rispetto del parametro del deficit del 3% alla mancata riduzione del debito pubblico.La situazio-ne conflittuale non favorisce lo sviluppo.

Per molti aspetti è iniziata la stagione della verità dopo

Il percorso ad ostacoli della legge di bilancio è iniziato con un duro braccio di ferro protrattosi per settimane e concluso nella nottata del 27 settembre, data della presentazione della nota di aggiornamento del Docu-

mento di economia e finanza (DEF) che prelude la legge di Bilancio da presentare a Bruxelles entro il mese di ottobre e sulla quale la Commissione esprimerà in novembre un primo giudizio.

La manovra economica d’autunno è entrata nella fase calda dopo incontri informali, riunioni, calcoli, dichiara-zioni di ogni specie, voci di dimissioni del Ministro dell’e-conomia Giovanni Tria che, dopo le “perplessità”, ha ce-duto all’imperativo di Mattarella “Non puoi dimetterti” e subito dopo il Presidente della Repubblica esprime la sua non condivisione sui contenuti del Def “per la Costituzione (i conti) è un dovere tenerli in ordine.”

Ma alla fine è prevalsa la volontà politica del governo gialloverde di forzare la mano e varare quella che i due vi-cepremier e leader dei due partiti Di Maio e Salvini hanno inteso chiamare “la manovra del popolo”, quella del cam-biamento che dovrebbe permettere, “di cancellare” una fetta di povertà con il reddito di cittadinanza per il quale sono stati “trovati” 10 miliardi per 6 milioni di italiani.

Il pacchetto deciso dal Consiglio dei Ministri, presiedu-

to dal premier Giuseppe Conte appena rientrato dall’As-semblea dell’Onu, dovrebbe rilanciare il mercato del la-voro anche attraverso la riforma dei centri per l’impiego.

Il punto centrale dello scontro è stato l’innalzamento del deficit che salirà nel 2019 al 2,4%, il livello sul quale hanno insistito i leader del Movimento 5 stelle e della Lega per la realizzazione de i punti qualificanti del “contrat-to del cambiamento” che aveva consentito ai due schiera-menti di vincere le elezioni del 4 marzo 2018.

Una prova ardua perché si tratta di garantire le coper-ture finanziarie per il reddito di cittadinanza (costo oltre 10 miliardi per erogare l’assegno di 780 euro a disoccu-pati e soggetti senza altra forma di redito), per riformare la legge Fornero sulle pensioni con quota 100 (che ha un costo di altri 5 miliardi circa) per il piano di abbattimento delle tasse con la flat tax al 15% per le partite Iva e rag-giungere la pace fiscale con tre aliquote (costo per altri 7 miliardi da coprire con una stretta sull’evasione fiscale). Altri 13 miliardi circa se ne vanno per fermare l’aumen-to dell’Iva al fine di sterilizzare le clausole di salvaguardia decise dal governo Monti.

Debito pubblico e rischio spread continueranno a bal-lare per tutti i mesi invernali quando molti nodi politici,

LA STAGIONEDELLE VERITÀ di Massimo AndersonPresidente Nazionale di FEDERPROPRIETÀ

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un travagliato periodo di assestamento alla guida di Palaz-zo Chigi da parte di Conte. Ora gli appuntamenti si fanno sempre più serrati, fino ad arrivare alla primavera del 2019 quando si terranno le amministrative in molte Regioni italiane e le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo di Strasburgo per la prima volta senza gli inglesi e quindi con prospettive di nuovi schieramenti.

Stare dentro il parametro del 3% fissato a Maastritch non basta: occorrono politiche di sviluppo e crescita. Dopo il Def il governo gialloverde dovrà presentare la Legge di bilancio con tutti i numeri per attuare il programma pro-messo in campagna elettorale: reddito di cittadinanza per 5 milioni di poveri, flat tax (con tasse abbattute al 15 % per un milione di lavoratori), superamento della legge Forne-ro sulle pensioni, riforma della politica migratoria, chiu-sura delle cartelle Equitalia con la pace fiscale fino a 100 mila euro, investimenti per scuole, strade, ponti (trovati i fondi per quello di Genova), periferie.

L’incognita è: quando i cittadini potranno vedere in concreto i passi avanti della manovra di cambiamento? C’è una fascia abbastanza ampia di cittadini delusi. Crescono le difficoltà dei ceti medi, delle famiglie (sono annunciati aumenti del 6,1 del gas e del 7,6% dell’ energia elettrica) che entrano nella sfera della povertà e dei lavoratori pre-cari (il tasso di occupazione secondo l’Istat è appena del 58,7%) mentre circa 30 mila lavoratori corrono il rischio di perdere il posto e di essere licenziati entro dicembre se non venisse reintrodotta la cassa integrazione per cessata attività

In Europa sono iniziate così le grandi manovre per la conquista delle posizioni che contano nelle istituzioni. Si è mossa per prima la Germania dopo l’incontro a Milano del leader della Lega Salvini con il premier ungherese Vik-tor Orbàn che fa parte del raggruppamento del Partito Po-polare Europeo (PPE), i cui vertici temono di non reggere l’ondata populista nelle elezioni del 2019.

L’obiettivo strategico di Angela Merkel è quello di por-tare un tedesco alla presidenza della Commissione di Bru-xelles. Per sostenere il cristiano-sociale bavarese Manfred Weber (favorevole a politiche più dure sull’immigrazione e contro il multiculturalismo) è disposta a rinunciare a so-stenere la candidatura del Governatore della Bundesbank Jens Weidmann al vertice della Bce quando in novembre scadrà il mandato di Mario Draghi.

Le altre pedine che contano sono “lady o mister este-ri”, il presidente del Consiglio europeo e del Parlamento di Strasburgo, il capo dell’Eurogruppo. Una partita com-plessa tra diritti e doveri, tra aspettative e giusti ricono-scimenti.

Il governo gialloverde si muove a livello internazionale per raggiungere due obiettivi: uno politico e l’altro eco-nomico. Il “premier” Conti ha avuto modo in America di sondare gli atteggiamenti dei big mondiali nei confronti dell’Italia. Il Ministro dell’economia Giovanni Tria è vola-to in Cina dove era stato ricercatore universitario per due anni a Pechino. È stato ben accolto dal collega delle Finan-ze LiuKun e dal governatore della Banca centrale Yi Gang. Colloqui franchi sulle conseguenze delle politiche prote-zionistiche che potrebbero determinare danni per tutti i

paesi coinvolti. Il dialogo sulle questioni strategiche poste dalla glo-

balizzazione dovrebbe rafforzare la cooperazione italo-ci-nese anche sul piano finanziario. Ai cinesi piace investire in Italia ed hanno fiducia nei Btp. Della partita è entrato anche lo sviluppo della Nuova via della Seta che potrebbe avere un terminale marittimo a Trieste. Dall’altra parte Intesa Sanpaolo e la Cassa Depositi e prestiti hanno fir-mato un protocollo per sostenere le imprese italiane che operano in Cina.

I margini di manovra sono ristretti. Secondo alcuni esperti di calcoli finanziari servirebbero circa 40-50 mi-liardi per il primo anno. Molte le ipotesi allo studio tra cui quella di “raschiare” i fondi dei vari “tesoretti pubblici”, tra cui fa gola il patrimonio Inps, il miliardo e 630 milioni di avanzo dell’Inail. Secondo una tesi illustrata dal prof. Ga-vazzi sul Corriere della sera ci sarebbero circa 150 miliardi da spendere. Banca Intesa-Sanpaolo ha fatto sapere al Fo-rum di Cernobbio di essere disponibile a coprire un finan-ziamento di crediti a medio-lungo termine di 50 miliardi per imprese e famiglie.

Noi di FEDERPROPRIETÀ, ma anche altre associazioni di categoria, siamo ancora in attesa che il governo ci con-vochi per poter illustrare le esigenze e gli orientamenti di rappresentanti di molti settori produttivi che contribui-scono a formare il prodotto interno lordo nazionale. Non va dimenticato che i proprietari di case costituiscono una consistente percentuale di contribuenti che pagano molte tasse allo Stato e agli Enti locali. Occorre approfondire con il governo le nostre proposte: sui contratti di locazione concordati, sulla cedolare secca, sulla messa in sicurezza degli edifici, sulla riqualificazione delle periferie, sull’as-sicurazione antisisma delle abitazioni, sull’esigenza di un piano casa per le fasce deboli, la ricostituzione di un tavo-lo, a livello nazionale, permanente di confronto sulle po-litiche abitative (aperto alle organizzazioni sindacali, alle associazioni dei proprietari immobiliari, a quelle impren-ditoriali), e le battaglie in difesa dell’ambiente sono alcuni punti programmatici che portiamo avanti da decenni.

Le categorie produttive vanno coinvolte nello sforzo di riprendere la strada di un virtuoso sviluppo, bloccato da troppi anni e dal ritorno dello spread ad alta quota. Dal 2008 l’Italia ha visto salire di 30 punti il debito, passando da 102 a 132% del pil nonostante che da otto anni rispetti il tetto del 3% del deficit come previsto dai parametri di Ma-astricht. La corsa del debito sembra inarrestabile: a luglio 2018 aveva raggiunto 2.341, 7 miliardi, 18 in più di giugno mentre a fine 2017 si era attestato a quota 2.263 miliardi.

Negli ambienti giornalistici c’è una nota di pessimismo raccolta dal prof. Ernesto Galli Della Loggia che ha scritto sul Corriere della sera del 9 settembre “l’Italia sta diven-tando un paese incivile, un paese incolto nel quale ogni regola è approssimativa, il suo rispetto incerto mentre tratti d’inciviltà non si contano. Basta guardarsi intorno: sono sempre più diffu-si e sempre meno sanzionate dalla condanna pubblica l’igno-ranza, la superficialità, la maleducazione, la piccola corruzione, l’aggressività gratuita”.

Un ritratto esagerato? Come rimettere in marcia tutte le forze produttive? Questa è la vera sfida dei prossimi mesi.

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Votare informati ?! È un’e-spressione che si può leg-gere e interpretare in più modi non solo se termina

con un interrogativo, ma soprattut-to se a concluderla è un punto escla-mativo allora entra in gioco anche il modo con cui è espressa. Nel caso del punto di domanda la risposta e il comportamento sono quasi conse-quenziali, ossia nel momento in cui si esercita il diritto di voto sia da cittadino sia da parlamentare, si ri-tiene che l’informazione preventiva sia stata opportunamente raccolta. Diverso il caso della conclusione con l’esclamazione che può essere interpretata come un invito rivolto a un terzo quindi nei confronti di coloro che il diritto di voto lo devo-no ancora esercitare, ovvero nel senso, se si vuole, di delusione ver-so l’espressione del diritto di voto in un certo modo e che potrebbe evidenziare la mancata informazio-ne. E questa seconda interpretazio-ne dell’espressione “votare infor-mati!” è il leitmotiv di queste note, tutto sommato pessimistiche e per-meate di delusione, nei confronti di chi oggi siede in Parlamento perché eletto da noi tutti nei vari schiera-menti. Delusione che, ahimè, è tra-sversale nei confronti della mag-gioranza, della minoranza e di colo-ro che si collocano dove ritengono più opportuno secondo gli argo-menti.

Infatti, tutti compatti, maggio-ranza e opposizione hanno accetta-to a metà dell’estate un emenda-mento del Governo al decreto legge cosiddetto Milleproroghe con il quale si azzeravano, di fatto, i pro-grammi presentati dai comuni e già

approvati a suo tempo dallo Stato per avviare interventi finalizzati al recupero di aree urbane degradate. Quindi risorse pubbliche e investi-menti privati anche in avanzata fase di attuazione con progettazioni o appalti già avviati che sono annul-lati da un voto unanime dei rappre-sentanti del popolo! Ora un conto è perseguire quelle amministrazioni che i fondi non li utilizzano e un al-tro è punire i buoni e i cattivi o me-glio gli inadempienti in forma indi-scriminata. Il Governo potrebbe pure avere le sue ragioni per giusti-ficare una simile azione, ma franca-mente questo modo di fare non può essere non solo non condiviso, ma anche non accettato come altret-tanto inaccettabile è stato il voto dei parlamentari che hanno aderito alla proposta di azzeramento dei finan-ziamenti del Governo.

Responsabilità in primis senz’al-tro del Governo e dei ministri pre-posti alla questione che è meglio non ricordare né per questo episo-dio né per le contemporanee e suc-cessive “uscite” sui “social”, ad esempio sulla questione Genova – Ponte Morandi e vicende collegate. Insomma che un ministro o che il Governo si faccia scippare da un collega dei finanziamenti in un mo-mento come questo è inconcepibile e non può essere giustificabile ne-anche con la celebre espressione bartaliana «è tutto da rifare». Que-sto corto circuito all’interno del Go-verno la dice lunga su molti aspetti e soprattutto su ciò che potrà acca-dere quando lo stesso dovrà presen-tare proposte ben più importanti o controbattere rispetto a iniziative parlamentari rilevanti ammesso

che, a questo punto, vi sia qualcuno in grado di formularle.

Infatti, la questione emenda-mento taglia-fondi per le periferie ha avuto il suo principale veicolo nei parlamentari che l’hanno votato e approvato tutti, nessuno escluso! Della serie “votare informati è un optional” salvo poi versare lacrime di coccodrillo, ma con moderazione poiché si era nel periodo vacanziero e nel frattempo tra ponti crollati e migranti l’attenzione era su altri temi. L’intervento dell’Associazio-ne dei Comuni d’Italia, forse non troppo tempestivo, ha portato, pas-sati i castelli di sabbia estivi, a una riapertura della problematica e a una sorta di accordo con il Governo per “restituire” in varie forme e tempi almeno una parte del demo-craticamente sottratto! Peccato che in seguito la stessa ANCI abbia an-nunciato di avere interrotto «le re-lazioni istituzionali con il Governo» perché la questione della restitu-zione degli 800 milioni non è stata inserita all’ordine del giorno della Conferenza Stato Regioni, giacché il Governo ritiene che ci sia un pro-blema tecnico che non consente di ripristinare il finanziamento. Pro-messe da marinaio? D’altro canto l’ipotesi di un immediato ripristino dei finanziamenti è stata esclusa, anche perché il decreto Milleproro-ghe, vista la sua prossima scadenza, rischiava di non potere essere con-vertito in legge soprattutto se fosse stato modificato e restituito così all’altro ramo del Parlamento per la nuova approvazione dell’eventuale modifica.

AL. GI.

Finanziamento ai comuni? No!

DECRETO MILLEPROROGHE

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I tragici eventi del 14 agosto scorso, quando a Genova è crol-lato improvvisamente un tratto del viadotto autostradale Ric-

cardo Morandi, provocando quaran-tatré vittime, 258 famiglie sfollate, gravissimi danni materiali e l’inter-ruzione di un collegamento strada-le vitale per la Città della Lanterna, inducono a qualche riflessione che, superata necessariamente la fase emozionale, deve però, essere ri-condotta per quanto possibile alla razionalità. Il primo aspetto è ahimè quello della costatazione che il pa-trimonio immobiliare pubblico e privato, e le opere infrastruttura-li, stanno sempre più spesso evi-denziando la loro età. Si tratta di anzianità spesso aggravata da una generale trascuratezza o dalla man-canza di manutenzione e di controlli periodici tanto da far diramare una sorta di allarme per le infrastrutture viarie e ferroviarie, ma non invece per gli edifici civili che continuano “ a prestare” onesto servizio spesso pur in assenza di controlli. Tale con-

siderazione è particolarmente at-tuale per gli immobili pubblici che, in molti casi, dovrebbero rappre-sentare il punto di riferimento per le emergenze conseguenti a calamità di qualsiasi genere divenendo centri di raccolta e assistenza per la popo-lazione e via discorrendo.

Nella realtà le cose vanno in modo diverso e francamente di in-terventi di controllo e di messa in sicurezza o di adeguamento struttu-

rale se ne vedono piuttosto pochi. È evidente che questa situazione non può essere tollerata e che al più pre-sto sarà indispensabile intervenire con un piano che, con celerità, porti prima alla verifica della situazione strutturale e poi agli interventi, se necessari, sulle varie infrastrutture secondo criteri di priorità che met-tano in prima posizione la sicurez-za dei cittadini e l’importanza nella rete delle infrastrutture nazionali e locali. È evidente che un’azione di questo genere richiede disponibili-tà finanziarie proporzionate sia alla natura dell’opera sia all’entità dei controlli da eseguire anche perché spesso e volentieri le risorse umane a disposizioni degli enti proprietari delle infrastrutture non consentono l’esecuzione di un’azione di con-trollo esercitata solo dalle risorse umane interne, quanto piuttosto ri-chiede anche il ricorso a professio-nisti esterni di provata esperienza e che devono essere adeguatamente remunerati. Ma i bilanci dello Stato e degli enti locali lo permetteranno? Così a freddo la risposta non è faci-le, ma di certo scavando nelle pieghe della finanza pubblica le risorse si possono trovare e un esempio, ap-propriato, viene dagli accantona-menti (mai spesi) provenienti da quanto i trasportatori hanno versato allo Stato, quale indennizzo di usura per le strade ai sensi dell’art. 34 del codice della strada e questo a valere dal 1992 a oggi!

Se poi non sarà il 1992 sicura-mente in cassa c’è il gettito di altre annualità e questo vale anche per i concessionari autostradali, che,

Anzianitàe carenza di manutenzione

I PROBLEMI EVIDENZIATI DAL CROLLO DI GENOVA

Cedolare secca per uso diverso dall’abitazione e maggiore occupazione

INTRODUZIONE NORMATIVA CANONI CONCORDATIPER USO DIVERSO DALL’ABITAZIONE

Mercoledì 10 ottobre 2018 - ore 10:00 – 13:00

Hotel Nazionale - Piazza di Montecitorio, 131 - ROMA

Interventi di saluto:

On. Massimo Anderson - Presidente Nazionale FEDERPROPRIETÀ

Avv. Gabriele Bruyère - Presidente Nazionale UPPI

Avv. Silvio Rezzonico - Presidente Nazionale CONFAPPI

Relatori:

Dott. Jean-Claude Mochet - Presidente Commissione Fiscale Nazionale UPPI

Avv. Giovanni Bardanzellu - Vice Presidente Vicario ARPE

Intervengono:

Sen. Mauro Maria Marino (Pd)Sen. Bianca Laura Granato (M.5S) On. Stefano Fassina (LeU)On. Alessandro Pagano (Lega)On. Fabio Rampelli (FdI)Sen. Albert Lanièce (Autonomie SVP-PATT. UV)Sen. Maurizio Gasparri (FI)

Aderiscono: EBILDI – PORTIERCASSA – EBILCOBA - CONFSAL – CASACONSUMPROPRIETÀ - MOVIMENTO IN DIFESA DELLA CASA

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disapplicando il codice della strada, hanno comunque incassato dai trasportatori gli indennizzi conseguenti alla circolazione dei trasporti e dei veicoli eccezionali. Ma in parallelo a quanto è necessario fare, in termini di controllo, per le infrastrutture di proprietà dello Stato e degli enti locali la partita altrettanto importante sia in termini quantitativi sia di valore è legata agli immobi-li privati e qui la situazione è molto più complessa e va affrontata per gradi perché i riflessi sociali ed economici sono tutt’altro che irrilevanti. Infatti, si potrebbero de-terminare situazioni di particolare urgenza e gravità cui non si saprebbe come fare fronte salvo non ricorrere a misure emergenziali come quelle conseguenti a terre-moti e altre calamità naturali nelle quali, alla fine, è lo Stato che si fa carico dei costi sia temporanei di rialloca-zione degli “umani” sia di risarcimento dei danni.

Se già a seguito di un’emergenza si fa fatica a “siste-mare le cose” tramite provvedimenti legislativi mirati, figuriamoci cosa accadrebbe se a fronte di controlli mas-sicci programmati con scadenze ravvicinate, dai quali emergesse l’inagibilità diffusa degli immobili. È eviden-te la delicatezza della questione, ma è altrettanto vero che non si può attendere l’evento catastrofale e quindi occorre necessariamente avviare un’azione di controllo graduale e scaglionato in un congruo arco temporale del patrimonio edilizio privato, magari prevedendo incenti-vi maggiori per chi si attiva celermente e, a scalare, per chi lascia trascorrere il tempo, fino a penalizzare coloro i quali rimangono inattivi. Prevedere un calendario per una simile attività non sarà facile, ma si può ipotizzare sicuramente un’azione di medio lungo termine magari ulteriormente definita e dilazionata per quelle situazioni territoriali nelle quali i rischi potenziali sono maggiori.

Altrettanto problematica, e comunque da affrontare, è la questione di quegli agglomerati edilizi, assai diffu-si, nei quali gli edifici sono “appoggiati” effettivamente o figurativamente gli uni agli altri creando una sorta di supercondominio, dove ogni decisione da assumere ri-schia di essere impossibile per la pluralità dei proprie-tari. Un’altra materia irrisolta riguarda i contenuti dei controlli che evidentemente, viste anche le ripetute sentenze di questi anni, anche di natura costituzionale, non potranno andare a richiedere la produzione di do-cumenti già in possesso della pubblica Amministrazione ma dovranno prevedere accertamenti tecnici che a volte devono andare oltre la ricerca documentale e progettua-le per passare a verifiche reali. In tutta questa partita se si fosse fatta negli anni un po’ di esperienza sugli immo-bili pubblici sarebbe stata senz’altra un’attività non solo utile ma essenziale. E allora almeno si inizi da subito con gli immobili di nuova edificazione e ristrutturati per i quali è possibile avere tutta la documentazione tecnica e progettuale che consente non solo di conoscere la co-struzione, ma di affrontare nel tempo secondo scadenze predeterminate, i necessari interventi manutentivi.

G.A.

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Sono oramai quasi due mesi che Genova è costretta a fare a meno del viadotto Polceve-ra, con ovvie difficoltà. Ep-

pure, sin dai primissimi giorni dopo il disastro, alcuni politici avevano garantito la ricostruzione del via-dotto in pochi mesi. Compendiamo la necessità di allettanti promesse in un paese che è sempre in cam-pagna elettorale e guarda sempre e

soltanto alle prossime elezioni, ma dal punto di vista tecnico non pos-siamo fare a meno di stare con i pie-di per terra e ragionare sulle possi-bili scelte per garantire alla città percorsi stradali efficienti e sicuri, senza trascurare il fattore tempo che, più che in altre situazioni, as-sume un ruolo molto importante nelle decisioni da prendere.

Il viadotto Polcevera rappresen-

tava, infatti, l’unico collegamento efficiente tra est e ovest per l’in-tera regione Liguria e, soprattutto, il collegamento tra l’aeroporto e la città.

Utilizzare lo stesso tracciato

Per gli amanti dei ponti e della loro storia, pur se menomato, il via-dotto andrebbe conservato, almeno con riferimento alle campate stral-late con le pile 10 e 11: potrebbero costituire un percorso pedonale da cui ammirare un panorama uni-co su Genova. Ma si sa, le esigenze dei trasporti e quelle economiche dettano altre necessità e, in tempi brevi, non è pensabile trovare per-corsi alternativi. Quest’osservazio-ne risponde a un primo quesito: il viadotto va ricostruito utilizzando lo stesso tracciato.

Il secondo nodo da scioglier ri-guarda la larghezza della carreggia-ta. Appare ovvio pensare a un nu-mero di corsie adeguato all’attuale e al futuro traffico prevedibile e, quindi, pari a tre o quattro per cia-scun senso di marcia, oltre alla cor-sia di emergenza.

Permangono i vincoli che hanno condizionato il progetto Morandi

Infine, vanno ricordati i vincoli che hanno già condizionato il pro-getto di Morandi, ossia l’allaccio ai tratti di autostrada a monte e a val-le, la presenza della ferrovia la cui operatività non deve essere inter-rotta, la presenza del fiume Polce-vera con le sue piene e quella degli edifici, i quali andranno almeno in parte salvati.

Pur tifando per la conservazio-

Ricostruiamo il viadotto Polcevera IDEE DALLE QUALI PARTIRE

Soluzioni per un nuovo viadotto Polcevera: dall’alto, il ponte strallato con luci uguali alle attua-li, il ponte strallato con unica luce centrale di 420 m, il ponte ad archi a via superiore, il ponte ad archi a via inferiore, il ponte ad arco a via intermedia e il ponte strallato di grande luce

Paolo Clemente *

Un nuovo progetto dovrà tener conto della domanda di traffico, ma anche dei tempi di costruzione e dell’impatto ambientale

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ne delle strutture non crollate, nel seguito lo scrivente propone alcune soluzioni per la ricostruzione del via-dotto Polcevera, riportate in figura.

Le soluzioni strutturali sono diverse e comprendono ponti strallati, ponti ad arco, ponti a travata.

La prima soluzione non può che essere quella che propone la soluzione preesistete, con i tre sistemi bi-lanciati progettati da Morandi, collegati da campate-tampone o di accoppiamento. Ovviamente, i piloni e la travata potrebbero essere in acciaio e gli stralli potreb-bero essere in numero superiore, ossia due o più coppie per ciascun lato. Il viadotto di accesso a ovest potrebbe essere realizzato su un numero di appoggi inferiore a quello attuale.

Uso delle fondazioni esistenti

Il vantaggio di tale approccio sarebbe anche quello di sfruttare le fondazioni esistenti, che sembrano non aver subito danni. Andrebbero sottoposte a prove di ca-rico ed eventualmente adeguate alle condizioni di carico del nuovo viadotto.

Con le luci preesistenti, sarebbe realizzabile anche un ponte a travata continua con sezione a cassone di acciaio, su pile di acciaio o cemento armato precom-presso. Sarebbe la soluzione più semplice e quella rea-lizzabile nel minor tempo e simile a quella proposta da Renzo Piano.

Sempre rispettando le fondazioni esistenti, si po-trebbe eliminare la pila dieci, realizzando una campata strallata di 420 m. Si realizzerebbe così un’opera im-portante e che potrebbe diventare il nuovo simbolo di Genova.

La soluzione più innovativa

In alternativa allo schema strallato, utilizzando tut-te le fondazioni esistenti si potrebbe utilizzare quello di arco a via inferiore o a via superiore e anche, eliminan-do la pila 10, quello a via intermedia. L’arco potrebbe essere realizzato a struttura reticolare in acciaio o in ce-mento armato precompresso.

Infine, la soluzione più innovativa sarebbe quella di un ponte strallato che superi con una sola campata di ameno 700 m l’intera valle del fiume Polcevera.

Sono idee dalle quali partire per il progetto del nuovo viadotto Polcevera a Genova. La scelta dovrà tener conto della domanda di traffico ma anche dei tempi di costru-zione e dell’impatto ambientale. La raccomandazione è che la fretta non sia l’unica parola chiave per un’opera che sarà sotto gli occhi dei genovesi tutti i giorni e che, speriamo, potrà soddisfare a lungo le esigenze di traffi-co della città e dell’intera Liguria.

* Dirigente di Ricerca ENEA, Componente Consiglio Direttivo Nazionale Federproprietà

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Il fronte sfratti continua a essere al centro del dibattito politico e sociale. Registriamo, infatti, da un lato il più recente report sulla

situazione sfratti in Italia, dall’altro la proposta avanzata da FEDERPRO-PRIETÀ che rappresenta indiscuti-bilmente una novità importante ri-spetto alla tutela del legittimo dirit-to dei proprietari di case.

In conformità a una proposta di FEDERPROPRIETÀ è stato presenta-to a Palazzo Madama un disegno di legge, avente primo firmatario il Vi-cepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, per tutelare in maniera più efficace i proprietari di casa affittua-ri dagli inquilini morosi e permette-re loro di avvalersi della forza pub-blica per liberare immediatamente la propria casa affittata. Prima però deve esserci stata un’ordinanza giu-diziaria di convalida dello sfratto.

La stessa Federazione spiega che secondo il disegno di legge, «il pro-prietario dovrà presentare apposita istanza all’Ufficio Esecuzioni del di-stretto di Corte d’Appello in cui è ubicato l’immobile e la forza pubbli-ca dovrà rendersi disponibile ad as-sistere l’ufficiale giudiziario nell’e-secuzione dello sfratto, che dovrà avvenire non oltre i trenta giorni dalla presentazione della richiesta. In questa maniera, oltretutto, si do-vrebbero ottenere due risultati: un immediato rilancio del mercato im-mobiliare, pesantemente condizio-nato da anni; e inoltre l’effetto di evitare una notevole spesa per la Pubblica Amministrazione, giusta-mente condannata più volte dalla magistratura a risarcire i proprietari delle unità abitative occupate da morosi e senza che ci sia stato un in-tervento da parte delle autorità pro-poste».

Ma qual è l’ultimo quadro dispo-nibile sugli sfratti in Italia? Pur es-sendo sempre drammatica, negli ul-timi due anni si è registrato in calo: circa 15.500 in meno, passati dalle 77.278 ordinanze del 2014 alle 61.718 del 2016.

Oggi si ha mediamente uno sfrat-to ogni 419 famiglie. (circa 170 ese-guiti ogni giorno nel corso dell’ulti-mo anno).

Solo Affitti è la rete immobiliare

specializzata in locazioni che ha ela-borato i dati del ministero dell’In-terno dai quali è stata stilata una mappa che copre tutta la Penisola, da Nord a Sud.

Dalla rilevazione emerge che nel 2016 la città di Modena è stata la

provincia con il più alto numero di sfratti (uno ogni 172 famiglie resi-denti), seguita da Barletta-Andria-Trani (1/181 famiglie) e Pescara (1/219).

Invece, la provincia che rispetto al 2014 mostra un netto migliora-mento è Brindisi (1/622), che compie un balzo in avanti di trentadue posi-zioni in classifica. Seguono Terni (1/491), che scavalca ventisette pro-vince, e Pisa (1/403) che migliora di sedici posizioni. Situazione positiva anche a Vercelli (1/387) e Trapani (1/739), che guadagnano quattordici posti nella graduatoria dell’inciden-za sfratti.

«Nonostante quello degli sfratti resti un fenomeno importante – spiega Silvia Spronelli, presidente di Solo Affitti – la nostra analisi evi-denzia una riduzione del loro nume-ro: nel 2014 in Italia si rilevava uno sfratto ogni 334 famiglie, nel 2016 siamo scesi a uno ogni 419».

Questa riduzione è dipesa, insie-me a una più accurata selezione degli inquilini da parte delle agenzie e dei locatori, soprattutto dal superamen-to della fase più acuta della crisi eco-nomica, che aveva comportato la perdita del posto di lavoro per mol-tissimi inquilini. Spronelli ha fatto capire come questo calo degli sfratti possa essere dipeso anche da alcuni strumenti assicurativi posti da loro sul mercato come “Affitto Sicuro” che ormai includono di base in tutti i loro contratti. Infine, sostiene Spro-nelli, a contenere ulteriormente l’incidenza degli sfratti «potrebbe aver contribuito il maggiore utilizzo dei contratti a canone concordato, che, grazie ai prezzi calmierati, ridu-ce il peso dell’affitto sul bilancio fa-miliare».

Grazia Crocco

Gli ultimi datie la proposta di Federproprietà

EMERGENZA SFRATTI

Torino: Convegnodi FEDERPROPRIETÀ

Si svolgerà il prossimo 13 otto-bre alle ore 9,30 a Torino, pres-so l’Hotel Golden Palace, un convegno di FEDERPROPRIE-TÀ sul tema “Meno tasse, più detrazioni”.

Aprirà i lavori il Presiden-te della FEDERPROPRIETÀ di Torino, on. Roberto Saler-no. Seguiranno gli interven-ti dell’Assessore regionale all’urbanistica del Piemonte dott. Alberto Valmaggia, del Presidente dell’Uppi, avv. Ga-briele Bruyere, del Presidente dell’ANCE di Torino, ing. An-tonio Mattio, della Presiden-tessa dei giovani commer-cialisti, dottoressa Federica Balbo. L’ing. Claudio Musu-meci tratterà la certificazio-ne e la sicurezza degli edifici, e l’avv. Luca Merlino Ferre-ro di Proprietà e condominio. Ultimo relatore sarà il Consi-gliere regionale del Piemonte Andrea Tronzano della Com-missione Urbanistica ed Edi-lizia. Concluderà i lavori il Presidente Nazionale di FE-DERPROPRIETÀ, On. Massimo Anderson.

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Una “rivoluzione fiscale” in grado di voltare pagina rispetto ai 300 provvedi-menti legislativi degli ul-

timi venti anni (che hanno signifi-cato per le casse dello Stato quaranta miliardi di gettito sul fronte immo-biliare) può essere l’unica risposta ai temi più bollenti del Paese legati allo sviluppo dl territorio. È quanto chiesto a gran voce dal presidente dell’Ance, Gabriele Buia, insieme al vicepresidente, Marco Vettori, che hanno presentato alla Libera Uni-versità Internazionale degli Studi Sociali "Guido Carli” (LUISS) il Libro Bianco della Fiscalità immobiliare insieme ad un concreto “pacchetto” di proposte al Governo Conte in vi-sta dell’imminente Legge di Bilan-cio.

Al convegno, dove sono stati af-frontati i capitoli più attuali dell’e-dilizia quali la tutela dell’ambiente e della salute, la rigenerazione ur-bana e riqualificazione del territo-rio, sviluppo sostenibile delle città, efficienza energetica e messa in si-curezza sismica, erano presenti la vicepresidente della LUISS, Paola Severino, il sottosegretario all’E-conomia, Massimo Gravaglia, gli onorevoli Chiara Braga e Alessandro Cattaneo, i senatori Bagnai e Girot-to, il presidente della Proprietà Edi-lizia, Massimo Anderson.

Vediamo, in estrema sintesi, al-cune delle proposte più rilevanti dell’Ance.

Acquisto case efficienti: rein-trodurre fino al 2020 le detrazione Irpef del 50% dell’Iva pagata sull’ac-quisto di abitazioni in classe ener-getica elevata.

Rigenerazione urbana: agevo-lare gli interventi di demolizione e ricostruzione e di permuta di impre-se e cooperative che, entro i 5 anni successivi, si impegnino alla rico-struzione degli stessi o all’integrale ristrutturazione, efficienti sotto il profilo energetico e sicure.

Sostituzione edilizia: detra-zione fiscale per le ristrutturazio-ni all’acquisto di alloggi in classe energetica non inferiori all’A1 re-alizzati nell’ambito d’interventi di ristrutturazione urbanistica o di sostituzione edilizia, anche con va-

riazione volumetrica; estensione alle zone a rischi sismici 2 e 3 della detrazione Irpef 75-85% del prezzo per l’acquisto di case antisismiche cedute dalle imprese di costruzione o ristrutturazione assegnate da coo-perative e derivanti da interventi di demolizione e ricostruzione anche in variazione volumetrica; aliquota Iva ridotta al 5% per gli interven-ti di adeguamento antisismico e di

rimozione dell’amianto; individua-zione da parte dei comuni di ambiti di rigenerazione urbana cui attivare procedure semplificate di interven-to e cessione del credito con ulterio-ri agevolazioni fiscali su Imu e Tasi e trasferimenti immobiliari.

Per la casa: messa a regime della detrazione Irpef per il recupero edi-lizio nella misura del 50 per cento e dell’Ecobonus; rimodulazione di “ecobonus” e “sismabonus” in fun-zione dell’immobile.

Catasto: va adeguato alle nuove esigenze ambientali per premiare gli immobili performanti ed efficienti; introduzione di un coefficiente che tenga conto della classe di efficien-za energetica e che agisca in senso inversamente proporzionale sulla rendita e sul valore catastale impo-nibile.

Per la Locazione: estensione della “cedolare secca” agli immobili abitativi locati a canone concordato da imprese, cooperative, e da socie-tà. Riconoscimento della piena de-ducibilità delle spese di manuten-zione degli immobili abitativi.

Per le giovani generazioni: estensione a tutte le imprese che concedono abitazioni in locazione della possibilità di scegliere l’appli-cazione dell’Iva; Iva ridotta al 5% per locazioni d’immobili residenziali “a canone concordato” e alloggi socia-li; riapertura dei termini per almeno il triennio 2018-2020 delle detra-zioni Irpef a e favore dei costruttori e assegnatari in godimento di alloggi sociali dall’art.7 del DL n. 47|2014.

L’ANCE auspicauna rivoluzione fiscale

LIBRO BIANCO DEI COSTRUTTORIPRESENTATO ALLA LUISS

FEDERPROPRIETÀ: NOMINEIl Prof. Raffaele Lomonaco, Direttore del Dipartimento alti Studi di Specializzazione della Pontificia Università La-teranense e docente di Econo-mia Politica è stato chiamato dal Presidente Nazionale, on. Massimo Anderson, a far par-te Consiglio Direttivo Nazio-nale di FEDERPROPRIETÀ.

***Nell’ambito del crescente svi-luppo organizzativo dell’atti-vità a difesa degli interessi dei proprietari immobiliari, FE-DERPROPRIETÀ ha nominato l’Avv. Benedetto Delle Site Delegato Provinciale di Latina e l’Avv. Giuliana Tenuta De-legato provinciale di Cosenza. Il Presidente Massimo Ander-son inviando gli auguri si è dichiarato certo del loro fat-tivo contributo per il rilancio dell’Associazione.

Guglielmo Quagliarotti

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Era il 15 settembre 2008 quando il crollo del colosso finanziario Lehman Bro-thers innescò una travol-

gente reazione a catena, sfociata nella più grave crisi economica da-gli anni Trenta. Il crac travolse gli USA, scatenando una paurosa re-cessione globale e provocò in Euro-pa la crisi del debito sovrano, mi-nacciando la sopravvivenza dell’Eu-rozona.

Le immagini dei dipendenti della banca che lasciano il quartiere ge-nerale di New York portandosi die-tro gli scatoloni con gli effetti per-sonali evidenziarono la paura, il pa-nico, la furia del “si salvi chi può”.

Furono mesi drammatici anche perché i problemi di altri istituti erano altrettanto gravi. La crisi era di sistema ed era iniziata davvero. La destabilizzazione coinvolse an-che l’Italia che registrava debolezze nel sistema bancario.

I salvataggi operati hanno ag-giunto delusioni e amarezze alle persone comuni e ai risparmiatori. A dieci anni dal crac Wall Street e Tokyo stanno celebrando il più lon-gevo rialzo della storia, con circa 3.500 giorni dal marzo 2009 senza un calo del 20% o superiore.

Da quel 15 settembre il mondo economico e finanziario non è stato più lo stesso di prima. Dieci anni dopo l’economia Usa tuttavia è tor-nata a crescere, permettendo agli Stati Uniti di riconquistare la lea-dership mondiale nonostante la ga-loppata cinese.

C’è, infatti, un flusso d’investi-

menti verso l’America dal resto del mondo del quale potrebbe avvan-taggiarsi anche l’Italia ma non la Russia, l’Argentina, il Brasile, la Turchia per la guerra dei dazi scate-nata dal presidente Trump. Le sol-levazioni popolari nel Medio Orien-te hanno provocato nuove crisi e il flusso dei migranti dall’Africa com-plica la strada della ripresa all’Eu-ropa, travagliata da divisioni inter-ne e dall’uscita della Gran Bretagna dall’Ue.

La storica crisi finanziaria pro-vocata da pochi è stata pagata da molti. Pochi dei protagonisti sono finiti dietro le sbarre, molti l’hanno fatta franca. In Italia la crisi banca-ria è stata pagata soprattutto dai ri-sparmiatori.

C’è una vasta platea di rispar-miatori traditi dalle banche travolte dalla crisi, dal Monte dei Paschi di Siena alle due Venete, a Banca Etru-ria e altre “popolari”.

Le procedure di risarcimento procedono con forti ritardi e con pochi soldi a disposizione. Il ricorso all’arbitrato dell’Autorità dei mi-cro-investitori ha fatto ottenere, ai primi di settembre, 11, 6 milioni di

euro. Sono in attesa di completa-mento le richieste di altri 1.753 ri-sparmiatori su un totale di oltre diecimila. Sono ancora molto basse le cifre versate agli obbligazionisti di Veneto banca e della Popolare di Vicenza. Le domande al Fondo in-terbancario sono 8.492 ma quelle definite appena 1.770. Le procedure vanno a rilento a causa dell’onere della prova a carico dei risparmiato-ri e della scarsità dei fondi, che do-vrebbero essere portati dagli attuali 100 ad almeno a 300 milioni di euro.

È stata definita disastrosa la si-tuazione dei clienti del Monte dei Paschi di Siena, banca che sta ven-dendo un’altra tranche di venti-quattro miliardi di crediti deteriora-ti. Gli 87 mila soci di Veneto banca hanno subito una perdita di valore delle azioni per circa 3,8 miliardi. I 119 mila soci della Popolare di Vi-cenza hanno perduto oltre 10 mi-liardi di euro.

Un altro campanello d’allarme è arrivato dall’autorità bancaria EBA, che ha invitato le banche del vec-chio continente a prepararsi a tutti gli scenari, anche quello peggiore di una Brexit senza accordo con l’Ue.

A pagare sonoi risparmiatori

CRAC BANCARI

Sergio Menicucci

Le procedure di risarcimento procedono con forti ritardi e con pochi soldi a disposizione.

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Il panorama lessicale sul tema della lotta all'emergenza abi-tativa e la ricerca di politiche innovative per la casa, si arric-

chisce di un nuovo termine: homing. Patrocinato in particolare dalla fon-dazione CARIPLO, molto attiva nel settore, con questo nome s’intende quella costellazione di servizi che ruotano attorno alla ricerca di solu-zioni per offrire un tetto alle fasce deboli della popolazione.

Per meglio capire cosa può rien-trare in questa definizione partiamo dai destinatari potenziali, per arri-vare a individuare i possibili profili di servizio, passando per le caratte-ristiche che accomunano le soluzioni e per gli attori coinvolti.

Le risposte di homing sono state sviluppate a favore di persone che affrontano una particolare fragilità, come:■■ chi sta cercando di riconquistare una piena autonomia, per esem-pio dopo percorsi di accoglienza protetti – neo-maggiorenni e nu-clei mamma-bambino, persone in uscita da comunità terapeutiche e riabilitative per disturbi di salute mentale o problemi di dipendenza ecc. – o partendo da condizioni di forte marginalità – vittime di trat-ta o violenza, rifugiati, o detenuti in misura alternativa – ex detenu-ti, rom e sinti, persone senza fissa dimora;■■ chi vuole sperimentare le proprie possibilità di vita indipendente (come persone con disabilità co-gnitiva o fisica anche acquisita);■■ chi (una quota crescente di persone anziane) sta perdendo progressiva-mente la propria autosufficienza;■■ infine, chi ha un’esigenza alloggia-

tiva temporanea e vincoli di reddi-to (si pensi al fenomeno della mi-grazione “sanitaria”, ai lavoratori temporanei, ai separati...).

Tali bisogni abitativi richiedono attenzioni particolari che vanno ol-tre la semplice risposta residenziale e rinviano a soluzioni caratterizzate da uno o più dei seguenti elementi:■■ l’offerta di alloggi adeguati ma an-che di servizi flessibili di accompa-gnamento a intensità variabile, che valorizzino la componente relazio-nale;■■ la temporaneità della risposta, che implica accoglienze con tempi de-finiti in partenza (brevi o medi) e forme di ospitalità che escludono la locazione e rinviano a formule diverse (come per esempio accordi di ospitalità che richiedono una re-sponsabilizzazione e una compar-tecipazione graduale dell’utenza, convenzioni che prevedono rette a carico degli enti pubblici o delle fa-miglie, donazioni libere o rimborsi spese con accordi di comodato ...);■■ l’adattabilità della risposta, che mette al centro la persona perché l’obiettivo di potenziare, speri-

mentare o mantenere le sue abilità – in evoluzione nel tempo – passa anche dalla versatilità adattiva del servizio residenziale stesso;■■ la capacità di collocarsi in modo in-termedio nella gamma di soluzioni esistenti tipicamente polarizza-te tra il proprio domicilio/il libero mercato e le risposte ad alta prote-zione (spesso eccessiva in partenza o che lo diventa a un certo punto del percorso individuale), connotan-dosi il più possibile come “casa”, un luogo che consenta la creazione di relazioni umane ricche e signifi-cative.

In conformità a queste premesse sono nate nel tempo diverse speri-mentazioni, che si sono sviluppate in maniera significativa dai primi anni Duemila e che sono in continua evoluzione:1. alloggi per l’autonomia e l’inclu-

sione sociale, rivolti a persone o nuclei in condizione di fragilità socio-abitativa per le quali è pos-sibile ipotizzare un’autonomia nel breve-medio periodo; le persone, seguite da figure educative, sono inserite all’interno di un più am-

In Lombardia piani innovatividi edilizia sociale

WELFARE ABITATIVO

Walter Williams *

Le soluzioni ricercate da “Homing” con l’appoggio della Fondazione Cariplo, sono destinate a persone che affrontano particolari fragilità

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pio percorso di accompagnamento individuale e di reinserimento so-ciale;

2. alloggi per l’autonomia “poten-ziale”, rivolti a persone per le qua-li si ritengono necessari percorsi graduali di avvicinamento alla vita indipendente, in particolare alle persone con disabilità che speri-mentano percorsi di “dopo di noi – durante noi” (palestre di autono-mia, scuole di vita autonoma, ma anche soluzioni più stabili come micro - comunità, appartamenti protetti ...);

3. alloggi per l’autonomia “residua”, rivolti a persone anziane che si trovano ad affrontare forme di fra-gilità connesse all’invecchiamento e che richiedono risposte a pre-valente contenuto abitativo che si pongano a un livello di protezione intermedio tra il sostegno al domi-cilio e l’inserimento in residenze sanitarie assistenziali (RSA);

4. strutture di ricettività temporanea rivolte a destinatari con esigenze abitative a basso costo, di natura temporanea, anche di brevissima durata (come parenti di degenti ospedalieri, lavoratori temporanei da fuori Regione ...); non è neces-sario, nella maggioranza dei casi, alcun tipo di percorso di accom-pagnamento socio-educativo de-dicato.

A volte nello stesso immobile, è possibile una compresenza e una combinazione tra le diverse forme di risposta abitativa. Quella sopra indicata sembra essere diventata la politica d’intervento di un sogget-to ben presente nell'housing sociale come la Fondazione Cariplo. Non si tratta, quindi, più solo di un insie-me frammentato di iniziative locali nate dal privato sociale. Dai primi anni duemila, l’erogazione di con-tributi –a fondo perduto – non si è mai interrotta pur attraversando fasi diverse:1. tra il 2000 e il 2005, un primo pe-

riodo di carattere esplorativo su un tema nuovo, con la scelta di soste-nere le prime sperimentazioni an-che di grosse dimensioni a Milano e in altri capoluoghi;

2. tra il 2005 e il 2010, un momento di

maggiore focalizzazione sul tema della temporaneità, sulle forme cosiddette di homing rispetto agli interventi di social housing che tro-vano “casa” nella costituita Fon-dazione Housing Sociale e nella creazione del primo fondo immo-biliare dedicato;

3. l'ultima fase, dal 2011 in poi, ca-ratterizzata da un ampliamento e una diversificazione del ventaglio dei destinatari e delle tipologie di offerta finanziabili, in risposta all’evoluzione dei bisogni abitativi delle categorie più fragili e all’op-portunità di superare la “fram-mentazione” per target e per ban-do, contemplando, per esempio, anche il fenomeno della migrazio-ne “sanitaria” e dando spazio alle progettualità che prima perveni-vano sul bando «Dopo di noi-du-rante noi» chiuso nel 2009 (quasi

100 progetti e 20 milioni di euro deliberati dal 2003) o sul bando «Potenziare le risposte ai bisogni degli anziani e delle loro famiglie» (attivo nella formula con scadenza nel 2012 e 2013, deliberati 34 pro-getti per quasi 7 milioni di euro).

Dal 2000 Fondazione Cariplo ha sostenuto attraverso il bando «Hou-sing sociale» più di 230 iniziative nei propri territori di riferimento (pro-vince lombarde, Novara e del Verba-no-Cusio-Ossola), erogando contri-buti per oltre 50 milioni di euro (dati al 31/12/2016). Decine di progetti di housing sociale beneficiari di contri-buti sono in corso di realizzazione.

Inoltre, negli ultimi anni ha cer-cato sempre maggiori sinergie con la Fondazione Housing Sociale e con il Fondo Immobiliare per l’Abitare, combinando contributi a fondo per-duto all’interno di interventi realiz-zati attraverso propri investimenti patrimoniali. È il caso, ad esempio, del bando Housing sociale per per-sone fragili nell’ambito del proget-to abitativo sperimentale «Cenni di Cambiamento» (2012-13): all’inter-no dei 124 alloggi realizzati a Milano attraverso il Fondo Immobiliare di Lombardia (FIL), sono stati assegna-ti 16 alloggi a enti del terzo settore che, attraverso un contributo a fon-do perduto, hanno avviato servizi di residenzialità temporanea per per-sone fragili (es. neo-maggiorenni, persone con disabilità, nuclei mam-ma-bambino...).

La Lombardia è fra le regioni all’avanguardia nell’housing socia-le fin dagli esordi di questo settore, grazie, in particolar, e al ruolo svol-to dal già citato FIL, il primo fondo dedicato all’edilizia residenziale so-ciale, avviato nel 2006 su iniziativa della Regione, di Fondazione Cariplo e di Fondazione Housing Sociale. In proposito, Cassa depositi e Prestiti, attraverso CDPI Sgr, sta valutando un nuovo incremento della propria partecipazione nel FIL.

La nuova sfida è di arrivare a realizzare complessivamente ol-tre 4.500 alloggi e circa 1.000 posti- letto in residenze universitarie in tutta la regione entro il 2018.

* Consulente CNEL

Milano: Convegnodi FEDERPROPRIETÀ

Si svolgerà a Milano il 12 no-vembre p.v., un convegno dal titolo: «Meno tasse, più de-trazioni».

L’avvocato Francesca Pizza-galli, Presidente provincia-le di Milano, aprirà i lavori, e saranno coinvolti diversi pro-fessionisti esperti nel settore che già collaborano con la sede milanese.

Il convegno approfondirà di-versi temi di grande attualità riguardanti gli strumenti uti-li per rilevare il valore di un fabbricato partendo da una nuova lettura del rendiconto condominiale, esaminando gli aspetti e novità fiscali che interessano l’immobile e ap-profondendo le dinamiche di gestione dei conflitti che pos-sono determinare una dimi-nuzione del valore del proprio investimento.

Interverrà il Vice Presidente Nazionale di FEDERPROPRIE-TÀ, avv. Giovanni Bardanzellu.

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Il mercato residenziale, in ter-mini di numero di abitazioni acquistate, continua ad andare bene, come dimostra l’incre-

mento tendenziale registrato nel II trimestre di quest’anno rispet-to all’omologo del 2017. Tra aprile e giugno 2018 sono state, infatti, acquistate quasi 154 mila abitazio-ni (in termini di NTN) rispetto alle 145 mila dello stesso periodo di un anno fa. Un aumento del +5,6%, in accelerazione rispetto al +4,3% ten-denziale del primo trimestre 2018.

Questo è quanto emerge dalla nota dell’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle en-trate (OMI) pubblicata a metà set-tembre, con riferimento, appunto, al volume degli scambi del II trime-stre 2018.

La tabella 1 mostra in sintesi come, differentemente dal prece-dente trimestre, i tassi di crescita tornano a essere sufficientemente allineati tra Comuni capoluoghi e non capoluoghi (rispettivamente +5,1% e +5,9%), con una prevalenza della crescita in questi ultimi.

Come si può osservare dalla fi-gura 1, il dato destagionalizzato (con

media mobile su quattro trimestri) mostra che la ripresa è in atto inin-terrottamente dal 2014, sempre in termini di quantità scambiate.

Sul lato dei prezzi, l’ultima ri-levazione pubblicata dall’Istat se-gnava ancora una variazione in lie-ve diminuzione al I trimestre 2018. L’unico altro riferimento al mo-mento disponibile è la rilevazione del sentiment degli operatori immo-biliari operata dalla Banca d’Italia,

OMI-Agenzia entrate e Tecnobor-sa con il Sondaggio congiunturale del mercato delle abitazioni in Italia, nel quale si evidenzia che, con ri-ferimento al II trimestre 2018, «la quota di operatori che segnalano pressioni al ribasso sulle quotazioni degli immobili ha continuato a di-minuire, mentre è aumentata quel-la di coloro che evidenziano una stabilità dei prezzi».

Tornando alle abitazioni com-pravendute, dal punto di vista ter-ritoriale il tasso di crescita ten-denziale è nettamente superiore al dato medio nazionale nel Nord Est e nelle Isole. Al di sotto, invece, nel Centro e nel Sud (vedi tabella 2). Nel Nord Est l’ottima crescita (+9,30%) è trainata soprattutto dai capoluoghi con un +10,4%, mentre nelle Isole capoluoghi e non, viag-giano con un tasso di crescita simile (rispettivamente +7,4% e +7%).

Il dato inferiore alla media na-zionale delle regioni del Centro è segnato significativamente dal-le scarse performance che si sono registrate nei capoluoghi (+1,5%, rispetto al +5,5% dei comuni non capoluogo). Al contrario, quello dei comuni del Sud è legato alla bassa crescita dei non capoluoghi (+1,8%) rispetto al +6,3% dei capoluoghi.

Il trend del Centro, in effetti,

Dati moltopositivi sulle compravendite

MERCATO IMMOBILIARE RESIDENZIALE: II TRIM. 2018

Gianni Guerrieri

La vivacità degli scambi si spiega con il basso costo dei mutui e la caduta dei prezzi che prosegue dal 2013

NTN II 2017 NTN II 2018 ∆% I_18/1_17 ∆% II_18/II_17

Capoluoghi 50.692 53.288 2,30 5,10

Non capoluoghi 94.833 100.406 5,50 5,90

Totale 145.527 153.693 4,30 5,60

Tabella 1: NTN II trimestre 2017-2018 e variazioni %. Fonte: OMI- Agenzia delle entrate

Figura 1: NTN per trimestre e dato destagionalizzato (I_2011 - II_2018).Fonte: OMI- Agenzia delle entrate

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continua a soffrire della nuova caduta della variazione tendenziale nel II trimestre avvenuta a Roma (comune che comunque ha il maggior volume di compravendi-te), che segna una riduzione delle abitazioni compra-vendute dello 0,8%, dopo il -1,9% del I trimestre 2018 e il -1,3% del IV trimestre 2017. Tutte le altre otto grandi città in termini di popolazione, mostrano una variazio-ne positiva (vedi tabella 3). Anche Bologna, Firenze e Genova che erano in campo negativo nel I trimestre, cambiano segno con una buona crescita in particolare Firenze e Genova.

La buona crescita del secondo trimestre dell’anno, stagionalmente con volumi assoluti maggiori rispetto al primo trimestre, fa buon sperare per l’andamen-to dell’intero anno. Nonostante le prospettive incer-te derivanti da variabili macro che possono incidere negativamente sulla crescita economica (gli effetti di politiche protezionistiche, il rischio d’innalzamento dei tassi d’interesse, l’incertezza della stessa stabili-tà dell’Unione Europea), oltre che da una condizione di sospensione in attesa delle concrete politiche eco-nomiche che adotterà il nuovo governo italiano e che saranno più chiare da quest’autunno, il mercato resi-denziale italiano dà segni di vivacità. In particolare è importante che i capoluoghi accelerino nuovamente il tasso di crescita.

Questa condizione di vivacità si deve, probabil-mente (oltre che al perdurare dei bassi tassi sui mutui) proprio alla riduzione del livello medio dei prezzi delle abitazioni che prosegue dal 2013 e che attualmente è in condizione di sostanziale stazionarietà.

Tabella 2: NTN per area geografica. Fonte: OMI- Agenzia delle entrate

Tabella 3: NTN grandi città. Fonte: OMI- Agenzia delle entrate

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Scuole: allarme sicurezza e stabilità. Il 50 per cento degli istituti (nidi, materne, ele-mentari, medie) gestiti dal

Campidoglio non sono in regola con la legge sulla prevenzione. Manca la certificazione antincendio, che è obbligatoria.

Criticità in molte altre città e paesi italiani (non solo quelli col-piti dagli ultimi terremoti) sia per edifici costruiti prima del 1974 anno di entrata in vigore delle norme an-tisismiche sia per aule vetuste con finestre rotte, porte scassate, bagni inagibili, crepe ai muri, giardini con erbacce e rifiuti.

FEDERPROPRIETÀ, che da anni si batte per la prevenzione in ma-teria di sicurezza degli edifici pub-blici e privati, ha manifestato pie-na adesione all’iniziativa dell’As-sociazione nazionale ingegneri che ha tenuto a Roma lo scorso set-

tembre il 63° congresso, ritenendo che la questione della sicurezza e della stabilità degli edifici scola-stici debba rientrare nelle priorità dell’azione di governo. Era presen-te il Ministro dei lavori pubblici To-ninelli ed esponenti del Ministero della pubblica istruzione che hanno manifestato consenso all’iniziati-va che, perfezionata, potrà essere

adottata su tutto il territorio nazio-nale con le stesse procedure appli-cate per i volontari tecnici abilitati durante il periodo di emergenza dei terremoti.

Il tema del congresso – ha osser-vato l’ing. Domenico Ricciardi – ri-guardava la qualità della vita di circa dieci milioni di studenti, docenti e loro famiglie.

Il congresso nazionale degli or-dini degli ingegneri ha approvato una mozione per la “costituzione di un elenco di tecnici volontari abi-litati e specializzati”, gestito dal CNI e dagli ordini professionali con la collaborazione del sindacato e de-gli enti pubblici proprietari a fronte di rimborsi spese usuali e crediti formativi sulla scorta di quanto già realizzato per l’emergenza dei ter-remoti dell’Aquila e di Amatrice, di concerto quindi anche con la Prote-zione civile.

I tecnici designati dagli Ordini, a seguito di sopralluoghi immedia-ti e di verifiche con strumentazioni

Allarme in tutta Italia

INGEGNERI DOCENTI PER SCUOLE A PEZZI

FEDERPROPRIETÀ ha manifestato piena adesione all'iniziativa dell'Associazione professionale

FEDERPROPRIETÀ: no alla chiusura dei negozi la domenica

È sconcertante che il governo, a fronte dei dati desolanti sui consu-mi delle famiglie, avanzi la proposta di chiudere i negozi la domeni-ca, invece di aiutare i commercianti rilanciando la capacità di spesa delle famiglie. FEDERPROPRIETÀ è certamente contraria a quella che definisce una controriforma illiberale che avrà effetti negativi sul-le vendite e sull’occupazione, anche a seguito di un’indagine interna all’associazione da cui è emerso l’orientamento sicuramente negativo dei propri aderenti. «Non è pensabile — informa una nota — che gli acquisti effettuati la domenica (circa il doppio rispetto a un qualunque giorno della settimana) possano essere ridistribuiti durante i giorni lavorativi. E lo stesso vale per i posti di lavoro (si parla di 30/40 mila contratti a rischio)».

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“non invasive” redigeranno schede tecniche (tipo fascicolo di fabbri-cato) per la creazione di una Banca dati digitale per la sicurezza stati-ca e impiantistica aggiornabile nel rispetto delle norme vigenti nelle singole Regioni.

Il tutto si lega all’attuazione del-la legge n.23 del 1996 che ha costitu-ito, analogamente a leggi regionali e delibere comunali, l’Anagrafe de-gli edifici scolastici applicabile alle strutture strategiche, come ospeda-li, ponti, chiese attraverso procedu-re diverse.

Il Comune di Roma, da parte sua, ha delegato con decisione del 6 no-vembre 2011 ai Municipi il compito di realizzare urgentemente l’Ana-grafe informatica aggiornabile di tutte le scuole e Università del ter-ritorio.

Ci sono in materia molti ritardi e resistenze. Secondo alcuni dossier dei Ministeri competenti (Pubblica istruzione, Beni culturali, Interni), in circa 27 mila degli oltre 42 mila complessi scolastici, il rischio o il pericolo è elevato.

La sicurezza dei nostri figli, del-le ragazze e ragazzi che trascorrono molte ore al giorno nei complessi scolastici deve avere un’attenzio-ne costante e continua da parte del governo, delle Regioni e dei Comu-ni. Si tratta di 8,6 milioni di studen-ti appartenenti alle scuole statali e paritarie; i bambini degli asili nido e i 245 mila ragazzi con disabilità, cui aggiungere il personale docente (oltre 825 mila, di cui 140 mila di so-stegno) e quello ausiliario.

La mappa del pericolo è cono-sciuta. Il maggior numero di strut-ture a rischio è concentrato nel Sud: 4.856 scuole in Sicilia, 4.608 in Campania, 3.130 in Calabria, 2.864 in Toscana, 2.521 nel Lazio.

Circa il 60% delle scuole è stato costruito prima delle norme an-tisismiche del 1974. È ancora viva la memoria dei ragazzi morti nella casa degli studenti al centro dell’A-quila nel 2009. L’anno scolastico si è aperto ancora in maniera precaria in

molte delle zone terremotate o allu-vionate.

L’iniziativa degli Ingegneri do-centi arriva a ridosso dell’anniver-sario del crollo della scuola France-sco Jovine di San Giuliano di Puglia del 31 ottobre (nel 2002 morirono ventisette ragazzi e una maestra).

Ancora oggi solo nel 34% delle scuole è certificata la prevenzio-ne incendi, solo il 36% delle scuole ha agibilità igienico-sanitaria, solo nel 29% delle scuole è stata fatta la verifica di vulnerabilità sismica, l’anagrafe scolastica è incompleta,

imprecisa e inadeguata.

L’edilizia scolastica è una delle maggiori criticità della scuola ita-liana. Per il Ministro Bussetti «la messa in sicurezza degli edifici sco-lastici è prioritaria».

Secondo i vertici di viale Traste-vere, ci sarebbero risorse per circa sette miliardi di euro. Vanno allora aperti più cantieri possibili. FEDER-PROPRIETÀ è disponibile a collabo-rare con quanti si battono per mi-gliorare la sicurezza dei ragazzi.

(sm)

Riflessione sulla sicurezza

Dopo il crollo del tetto della Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami av-venuto il 30 agosto ultimo scorso al Foro Romano, per la rilevanza del sito (sebbene senza vittime) si sta risvegliando, come avvenuto in altre cir-costanze dopo eventi rimarchevoli sotto l'aspetto mediatico, l'attenzione sulla sicurezza del patrimonio immobiliare e sui rischi idrogeologici del nostro Paese.

Il ministro dei Beni Culturali, Alberto Bonisoli, commentando la noti-zia, ha asserito che «al di là del crollo, il tema è più ampio: ci stiamo ren-dendo conto che siamo in un Paese fantastico, ma probabilmente siamo stati un po' distratti da altre cose per capire che se ci sono delle situazio-ni di pericolo che è importante mappare. Non si tratta solo di chiese o di ponti ma di tutte le strutture, dove il pubblico ha accesso».

Bonisoli ha proseguito dicendo che «un grande lavoro è stato fatto, siamo chiari, ma abbiamo già parlato in Consiglio dei Ministri del tema che affronteremo al più presto […] Cosa questo prevede nel concreto lo co-municheremo quando sarà presa la decisione. Possiamo dire che al nostro interno ci sono dei fondi e abbiamo già iniziato la settimana scorsa, dopo i fatti di Genova, a mappare tali fondi d’investimento e a capire a che livello di avanzamento sono i progetti», ha spiegato il titolare del Mibact».

«Alcuni progetti sono partiti, altri no, si tratta ora di capire se hanno ancora un certo grado di priorità ed eventualmente quante risorse abbia-mo a disposizione per interventi immediati. Poi ci sarà una seconda parte con investimenti più cospicui», ha concluso Bonisoli.

Le dichiarazioni rese denotano, in sostanza, una situazione di preoc-cupante stallo, anche perché dimostrano che nella sostanza non si è tenuto in alcun conto di tutto il lavoro fatto sinora dagli organismi tecnici nazio-nali, dalle Associazioni della proprietà edilizia, dalle Università, dall’E-NEA e da altre istituzioni interessate alla sicurezza sia del patrimonio immobiliare sia delle aree del territorio nazionale a rischio idrogeologico.

Questo indubbiamente crea uno stato di frustrazione in tutti coloro che sinora hanno fornito un apporto di rilievo al tema della prevenzione dei rischi connessi.

Ing. Paolino Zappatore

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Da almeno un ventennio gli studiosi di profes-sione parlano e scrivono, a proposito dell’Ita-lia, di crisi democratica, intendendo peraltro due cose, almeno in partenza, distinte. V’è,

infatti, chi interpreta tale crisi come crisi nella demo-crazia, e v’è chi la interpreta come crisi della democra-zia. Orbene, dove sta la differenza, e dove inizia la con-vergenza? Rispondo così. Più la crisi nella democrazia si prolunga, più tende a divenire crisi della democrazia. Quand’è che una crisi si prolunga? Quando la democra-zia non riesce a fare funzionare i meccanismi dell’auto-correzione o, per certi aspetti è peggio, quando per au-tocorreggersi fa riforme sbagliate, che aggravano perciò i mali della democrazia stessa.

Uno dei termini che periodicamente emergono nel dibattito politico e istituzionale italiano, e non solo, è quello del cosiddetto presidenzialismo. Non posso nella presente sede ripercorrerne tutti i passaggi. Mi limito a qualche cenno. Già alla vigilia del 2 giugno 1946, giorno previsto per il referendum sulla scelta tra monarchia e repubblica, il 24 maggio di tale anno Luigi Einaudi pub-blica sul quotidiano “L’Opinione” un lungo articolo intitolato Perché voterò per la monarchia. In tale artico-lo, tra le altre “forme di governo” passate in rassegna, si fa riferimento alla «elezione del Capo dello Stato da par-te del suffragio universale diretto e segreto col sistema del-la repubblica presidenziale», sostenendo che essa «non è garanzia di libertà», aggiungendo che «conosciamo un solo esempio nella storia contemporanea di repubblica pre-sidenziale stabile, ed è quello degli Stati Uniti», il quale «è un miracolo dovuto alla coincidenza di molteplici fattori storici, che sarebbe puro caso vedere riproporsi altrove», e concludendo che «le esperienze uniche nella storia non si ripetono. Si ripetono invece le esperienze sfortunatamente ordinarie delle repubbliche centro e sud americane», il cui “presidenzialismo” è troppo spesso una ricorrente suc-cessione di tirannie.

In sede di Assemblea Costituente della neonata re-pubblica italiana ad una qualche modalità di presiden-zialismo, variamente inteso e ibridato, si fa riferimento, ma poi il tema è lasciato cadere. Emerge invece già al-lora la denuncia, ad esempio da parte di Francesco Sa-

I problemidel sistemapresidenzialeDomenico Fisichella*

verio Nitti nel luglio 1946, circa l’invadenza dei partiti («lo Stato si presenta sempre più come proprietà privata dei partiti»), e da parte di Benedetto Croce nel marzo 1947, il quale parla di «partitomania»: questa consiste nel porre il partito, che è mezzo, elemento strumentale, al di sopra del patrimonio valoriale, che dovrebbe essere fine e scopo dell’impegno politico; e se il mezzo diventa fine, il partito diventa fazione. Una ventina d’anni dopo Giuseppe Maranini parlerà di «partitocrazia».

Non vado oltre, se non per ricordare che riforme isti-tuzionali e costituzionali in Italia se ne sono fatte: vari sistemi elettorali, sistema regionale, riforma del titolo quinto della Costituzione voluta dal centro-sinistra, ri-forma della cosiddetta devolution voluta dal centro-de-stra, riforma Boschi-Renzi ancora del centro-sinistra, queste ultime due bocciate in corso di altrettanti refe-rendum popolari, e comunque quasi tutte sbagliate e (potenzialmente o di fatto) dannose.

Veniamo allora al cosiddetto presidenzialismo. Una premessa di massima, intanto: la “democrazia dei moderni”, nella sua distinzione rispetto alla “democra-zia degli antichi”, è democrazia rappresentativa. Que-sto è il genus. Varie possono esserne le species: demo-crazia parlamentare (con la sua forma degenerata di democrazia assembleare) dell’esperienza soprattutto euro-continentale, sistema di Gabinetto britannico, cancellierato tedesco e austriaco, sistema presidenziale nord-americano, forme miste (semi-parlamentarismo, semi-presidenzialismo). Dunque, anche un sistema presidenziale, anche un sistema semi-presidenziale, rientrano nel novero delle democrazie rappresentative, la cui fondamentale specificità sta nella presenza di una opposizione politica, intesa sia come ruolo specifico, istituzionalmente previsto, garantito e organizzato, sia come funzione specifica, istituzionalmente articolata e adempiuta, alla quale compete il compito del controllo politico della maggioranza e il titolo alla libera e pacifica

DIBATTITO SULLE RIFORME ISTITUZIONALI

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alternanza al potere mediante elezioni competitive.

Ciò detto, iniziano le differenze tra le diverse species della democrazia rappresentativa, prodotte da ragioni e condizioni storico-politiche di varia origine, inter-na ma anche internazionale, e dai mutamenti sociali, culturali e tecnologici che le dinamiche collettive nel tempo esprimono e registrano. Così, ad esempio, non si può parlare indiscriminatamente di presidenzialismo a proposito degli Stati Uniti d’America e a proposito della Quinta Repubblica francese: il primo, infatti, è il caso ti-pico e topico del presidenzialismo, il secondo del semi-presidenzialismo.

Il lavoro scientifico è, insieme, impegno di compa-razione e impegno di distinzione. Questo per quanto ri-guarda i concetti e le parole che li esprimono, e avendo la consapevolezza che alla ricchezza concettuale deve corrispondere ricchezza lessicale. Quanto alla utilizza-zione concreta di una specie o di un’altra di democrazia rappresentativa in questo o quel Paese, è questione sia di analisi delle condizioni sia di convenienza o meno. Se ci sono le condizioni in radice, o si riesce a determinarle in azione, si può optare per la species che si rivela o si costruisce come più compatibile; se le condizioni non ci sono, il discorso effettuale si chiude. In tal caso, si può continuare a parlare di questa o quella opzione, ma in chiave di astrattezza o di mera propaganda.

Nel 1965, con la voce Sistemi elettorali pubblicata nel volume XIV della Enciclopedia del diritto (Giuffrè, Milano), ho richiamato l’attenzione sulla formula di voto unino-minale a doppio turno. Nel 1970, con il volume Svilup-po democratico e sistemi elettorali (Sansoni, Firenze), poi più volte aggiornato e riproposto (Elezioni e democrazia. Un’analisi comparata, il Mulino, Bologna), ho sottolinea-to la convenienza di tale meccanismo di voto, opportu-namente rivisitato, per il caso italiano. La classe politi-ca, che pure ha letto il libro, si è accorta del rilievo di tale indicazione solo decenni dopo: troppo tardi, quando le

condizioni per l’utilizzo di tale formula elettorale sono già venute meno.

Mai, debbo dire, ho fatto mia la suggestione della elezione popolare del Capo dello Stato. Ho invece guar-dato con attenzione, e sia pure con talune specificazioni e variazioni sul tema, all’ipotesi della elezione popola-re diretta del primo ministro nel quadro del cosiddetto “governo di legislatura”, caratterizzato dal criterio rias-sunto nella formula aut simul stabunt, aut simul cadent: in sintesi, primo ministro e assemblea legislativa sono eletti contemporaneamente e, in caso di sfiducia, deca-dono insieme. Sono testimonianza di tale mia attenzio-ne, tra i numerosi scritti e interventi in merito, la mia “opinione” inclusa nel secondo tomo dell’opera Verso una nuova Costituzione (Giuffrè, Milano 1983) promossa dal “Gruppo di Milano” guidato da Gianfranco Miglio, e il volume di Giovanni Bognetti, Semipresidenzialismo. La via italiana alla stabilità di governo (Il Sole 24 Ore Editore, Milano 1998), che include due lunghe interviste al sotto-scritto e a Cesare Salvi.

Debbo dire che oggi, dopo una lunga riflessione sul-la quale non hanno mancato di influire prima una ben più che ventennale osservazione del quadro politico na-zionale attraverso un paio di migliaia di “editoriali” in importanti quotidiani e periodici, poi le mie considera-zioni sulla “democrazia elettronica” e “teletronica” che prendono le mosse già dal 1984 (Il sistema della rappre-sentanza nelle società a tecnologia avanzata, in “Industria e Sindacato”, febbraio 1984), inoltre la mia attiva parte-cipazione alla Commissione bicamerale per la riforma costituzionale presieduta da Massimo D’Alema, infine l’andamento più recente della vita pubblica del Paese, sono assai incline alla prudenza anche su tale prospet-tiva di intervento nell’assetto istituzionale della nostra democrazia repubblicana.

Quanto al presidenzialismo come elezione popola-re diretta del Capo dello Stato, la ragione per la quale si propone di intervenire in tal senso è evidente: il disagio profondo del sistema parlamentare nel nostro Paese. Ed è difficile negare il peso di tale constatazione. Ciò rico-nosciuto, si apre però un ventaglio di considerazioni che occorre mettere in conto. Le enumero in una successio-ne che prende l’avvio dalla seguente previsione.

Per transitare dalla presente configurazione della democrazia parlamentare italiana ad un disegno con-creto ed effettuale di democrazia presidenziale oppure di democrazia semi-presidenziale, occorre smantellare e innovare un bel pezzo della Costituzione e dell’assetto istituzionale vigenti: modalità di elezione popolare del Capo dello Stato (il presidente degli Stati Uniti non è eletto con lo stesso sistema del presidente francese), at-tribuzioni e competenze del medesimo, configurazione del governo, composizione e funzioni del parlamento, monocameralismo o bicameralismo, fiducia sì fiducia no (ipotesi del “governo di legislatura”), modalità di elezio-

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ne della o delle Camere (in tale secondo caso, modalità uguali o distinte), ruolo delle regioni nella composizione di questa o quella Camera, con rischio gravissimo, a tale ultimo proposito, di nuove spinte verso quel “federali-smo per disaggregazione” che è tentazione pericolosa e ricorrente nella nostra vicenda pubblica (D. Fisichella, Ascesa e declino dell’unità d’Italia, Pagine Editore, Roma 2018, volume recensito sul n. 4 della rivista “La Proprie-tà Edilizia”).

Orbene, è ragionevole immaginare che nel presente passaggio della vicenda pubblica del Paese sia utile im-barcarsi in una impresa del genere e sia agevole condurla in porto in tempi ragionevolmente limitati e senza che tutto ciò comporti rischi per l’avvenire della nazione? Vengo così al secondo ordine di considerazioni. Come ben sappiamo, una carta costituzionale non opera in un vuoto storico-sociale. Nasce e si sviluppa sulla base di certe premesse, ma può anche progressivamente degra-darsi. Tanto per dire, il presidenzialismo nord-ameri-cano ha molto a che vedere con la conquista dell’indi-pendenza dalla Gran Bretagna e con la transizione dal profilo confederale al profilo federale degli Stati Uniti (federali-smo “per aggregazio-ne”, dunque). Tanto per dire, il semi-pre-sidenzialismo della Quinta Repubblica ha molto a che ve-dere con il ruolo di un generale, Charles de Gaulle. Entrambi oggi sembrano mo-strare la corda.

Altra conside-razione riguarda quella che Gabriel A. Almond e la sua scuola hanno a suo tempo definito come “cultura politi-ca”, vale a dire la particolare distribuzione, tra i membri di una comunità, dei modelli di orientamento nei con-fronti del processo politico. Tali orientamenti sono di tre tipi: cognitivo (riferibili al campo della conoscenza), affettivo (riferibili al campo delle passioni, emozioni, sentimenti), valutativi (riferibili al campo dei giudizi di valore). Riassuntivamente, per cultura politica si inten-de l’insieme dei modelli di orientamento del pubblico in ordine al processo politico, ivi inclusa la percezione che i soggetti che compongono il pubblico hanno degli altri individui e di se stessi come attori del processo politico (D. Fisichella, Lineamenti di scienza politica. Concetti, pro-blemi, teorie, Carocci, Roma 2012).

Come è evidente, in un regime democratico e rappre-sentativo di tipo competitivo un ruolo delle forze politi-che, soprattutto partiti, va messo nel conto con riferi-mento alla loro capacità di canalizzare, e prima ancora di promuovere, gli orientamenti dei singoli, richiamando

e interpretando concetti quali ideologia o dottrina poli-tica, ethos nazionale, psicologia individuale e collettiva, valori fondanti di un popolo, fattori di identità. Ma nella fase presente della realtà italiana abbiamo un tessuto di partiti in grado di conferire plausibilità e di calibrare con il dovuto equilibrio, pur nella nettezza del confron-to di idee e prospettive, l’insieme degli orientamenti del pubblico, al fine di progettare uno sviluppo coerente quanto basta (e mettendo pur sempre nel conto l’im-perfezione della natura umana) per assecondare l’inte-resse generale?

A me non pare. Tra gli orientamenti del pubblico do-mina per un verso un tasso sempre più significativo di astensionismo elettorale, segno di disincanto rispetto a tante forze politiche, e per altro verso un sovraccarico di emotività alimentato da aggressività, frustrazione, odio sociale e invidia, che travolge sia valori sia conoscenza, il tutto in un contesto ove simulacri di partiti incorag-giano e sfruttano pulsioni negative senza rendersi ben conto delle conseguenze distruttive che ne possono de-rivare per l’avvenire della nazione e della sua credibilità

nel teatro europeo e internazionale.

Nel mio scritto del 1984 sulla “de-mocrazia teletronica” ho ricordato il ruolo della radio nella for-mazione e nel man-tenimento del “con-senso” nei regimi to-talitari: il potere può raggiungere con-temporaneamente cinquanta o cento milioni di individui

ciascuno chiuso nella sua abitazione, assicurandosi così il dono dell’ubiquità nel momento stesso in cui i citta-dini, isolati l’uno dall’altro, sono nelle condizioni meno favorevoli per opporre una qualunque resistenza critica ai messaggi ricevuti. A differenza della radio, che di so-lito è soltanto strumento di ricezione, i mezzi teletro-nici (aggiungevo allora nel mio scritto) consentono un rapporto binario, andata e ritorno: gli individui ricevono stimoli, ma possono dare anche risposte. Ed è sulla base di tale meccanismo che ormai da qualche tempo, oggi con grande virulenza, si ripropone quel mito della antica “democrazia diretta” che era stato messo in soffitta dal-la ampiezza territoriale e demografica dei moderni Stati nazionali. Sempre nel lavoro del 1984, ho però messo in rilievo che, bombardata da un’infinità di informazioni (suscettibili di ridurre ulteriormente la memoria stori-ca, già così tenue nella società di massa), la gente sof-frirà assai probabilmente di “malnutrizione informativa”, nonostante l’apparente neutralità dei “fatti-notizia”. In questo contesto “spettacolare” e artificiale, le opportu-nità del giudizio di realtà non sono destinate a crescere.

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Coloro che selezionano le informazioni, infatti, diven-tano i gestori del dominio simbolico dei grandi numeri sociali.

Va da sé, nell’attuale stagione italiana dominata da misteriose “piattaforme”, da fake news e altre consi-mili diavolerie, quel che rimane della “cultura politica” in chiave di “conoscenza” e di “giudizi di valore” risulta poca cosa. Se trasferiamo tale condizione sul sistema dei partiti, una volta canalizzatori e anche promotori degli orientamenti del pubblico, adesso sostanzialmen-te privi di strutture organizzative, senza insediamento territoriale, senza iscritti o quasi, senza progettualità, senza discussione interna, viene comunque meno un importante fattore di funzionamento della democrazia rappresentativa nella sua veste di pluralismo politico. Certo, la partitocrazia non era un bello spettacolo. Ma l’occupazione del potere in chiave di spartizione delle spoglie non è davvero tramontata: semmai, attualmen-te sta aumentando la quantità abbassando il livello della qualità.

Mi avvio alla conclusione. Di solito, quando si pensa alla soluzione presidenziale, il motivo è che essa si ca-ratterizza per la durata. Certo, tale connotato è un fat-tore da non trascurare, e tuttavia un governo durevole non è necessariamente efficace in termini di prestazio-ni e di risultati. D’altro canto, è altrettanto vero che, se un governo non dura, anche i migliori dei suoi propositi risultano vanificati, e dunque, anche se non sufficien-te, la durata è condizione necessaria per bene operare. Comunque, senza potere nella presente sede percor-rere analiticamente tutti i requisiti necessari perché un sistema politico democratico sia funzionale quanto a capacità sia di decisione governativa sia di controllo sul governo, e senza per nulla nascondere i numerosi e gravi problemi dei sistemi parlamentari, va tenuta nel giusto conto l’avvertenza di Giovanni Sartori, il quale privilegia la stabilità della democrazia rispetto alla sta-bilità, intesa come durata, del governo. In tale contesto, peraltro, la sintesi del compianto politologo fiorentino, basata su una accurata ricognizione nel tempo e nello spazio di una trentina di Paesi a reggimento presiden-ziale, concentrati soprattutto nell’America Latina, è che «il quadro dei paesi con una forma di governo presidenzia-le — a parte gli Stati Uniti — è del tutto fosco e ci spinge a chiederci se il loro problema politico non sia proprio il pre-sidenzialismo» (Né presidenzialismo né parlamentarismo, in Juan J. Linz e Arturo Valenzuela, a cura di, Il fallimento del presidenzialismo, il Mulino, Bologna 1995). In un altro suo lavoro, quanto agli Stati Uniti, egli giunge a soste-nere che «il sistema americano funziona, o ha funzionato, nonostante la sua costituzione, non grazie alla sua costi-tuzione» (Ingegneria costituzionale comparata, il Mulino, Bologna 1995).

Infine, a dispetto dei processi di democratizzazione avviati o stimolati nel Centro-Est europeo dalla cadu-ta del muro di Berlino, e poi dal contesto internaziona-

le anche per consentire un rapido ingresso di Paesi già soggetti al comunismo nelle istituzioni europee, va det-to che, specie in taluni Paesi di tale area, la concentra-zione potestativa in una sola persona ha condotto o sta conducendo a forme di regressione in chiave di “demo-crazia illiberale”. E quanto alla Russia, il suo ritorno alla configurazione autocratica è già esplicito.

Ma torniamo all’Italia. Con un parlamento fragile, con un governo fragile, con una “cultura politica” in pre-da ad un plateale disorientamento, con una classe poli-tica ormai al di sotto di ogni aspettativa, la mia diagno-si è che la sua crisi democratica sia divenuta crisi della democrazia. La prognosi è perciò riservata. In tali con-dizioni, a parte i tempi procedurali e sostanziali, intra-prendere un cammino che conduca al presidenzialismo sarebbe un rimedio più pesante del male, con il rischio assai concreto di consegnare il vertice dello Stato all’av-venturismo. D’altra parte, le urgenze italiane oggi sono ben altre. La prima riguarda l’economia, il cui svilup-po evidenzia le sue criticità in troppi campi. La seconda riguarda l’Europa, con i suoi due cruciali appuntamen-ti per il 2019: definizione dei caratteri e dei limiti della Brexit, dopo che l’infausto referendum proposto da un governo conservatore ha dato un risultato contrario a quello che il promotore si attendeva (esempio illumi-nante di conseguenza non intenzionale di una scelta in-tenzionale), ed elezione del parlamento europeo a mag-gio dell’anno prossimo.

Le due situazioni (economia italiana e voto parla-mentare europeo) sono strettamente legate. Il recupero economico della nazione passa per la chiarezza circa la permanenza dell’Italia nell’euro e nell’Unione Europea. E qui va detto che immaginare uno sviluppo economico nazionale ponendosi in ricorrente antagonismo con le istituzioni e le regole dell’Unione Europea e con i fon-damenti dell’azione e delle opzioni di quest’ultima si-gnifica in pari tempo perdere credibilità e relegarsi pro-gressivamente in posizione sempre più marginale nella scena globale. Non sfugge ad alcuno il travaglio politico, sociale e finanziario dell’Europa nella presente, difficile congiuntura degli equilibri planetari. Ma presumere di poter acquisire durevoli e solidi spazi di manovra e dun-que di costante capacità negoziale e attrattiva nel con-fronto tra i giganti del teatro mondiale prestandosi ad operazioni di indebolimento e frantumazione dell’Eu-ropa vuol dire non rendersi conto della strumentalizza-zione dell’Italia a fini disgregativi: una volta conseguito tale scopo a vantaggio di terzi, alla nostra nazione ri-marrebbero le briciole e il disdoro.

L’emergenza è perciò chiara. Europa e ripresa eco-nomica vanno di pari passo. Non possiamo distrarci con diversivi da tale duplice impegno.

*Già Vicepresidente del Senato e Ministro per i Beni Culturali, Pro-fessore Ordinario di Scienza della Politica e Dottrina dello Stato

nelle Università di Firenze e Roma Sapienza

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28 | la PROPRIETÀ edilizia • Ottobre 2018

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SERVIZI ai SOCICosti di alcuni dei servizi disponibili per i soli Associati, previo contributo di spesa al netto dell'Iva al 22% e soggetti a Rit. d’Acc. 4%

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IL PUNTO

Non ci sono solo strade colabrodo, servizi pubblici sca-denti e sporcizia dilagante a Roma. Il problema che miglia-ia di famiglie hanno dovuto affrontare in questo inizio di autunno riguarda gli edifici scolastici dove mandare i figli che in otto casi su dieci non sono sicuri da un punto di vista strutturale. Edifici vecchi, in molti casi costruiti prima degli anni '50 quando ancora non esistevano norme antisismi-che. Un esempio fra i tanti? Il liceo classico Giulio Cesare, nel quartiere Trieste, che da poco ha festeggiato i suoi 80 anni di vita. A fine settembre è venuta giù tutta una parte di intonaco della facciata. E per fortuna è accaduto quando la scuola era ancora chiusa. Ma non è l'unico caso. Le cifre sono impietose.

È stato stilato un rapporto nel quale emerge che più dell'80% degli istituti scolastici ubicati a Roma e provincia non ha il certificato anti-sisma, e nemmeno quello di agibi-lità/abitabilità (manca nell'83,1% delle strutture); mentre il 77,4% delle scuole non ha un documento che certifichi l’av-venuto collaudo statico. Il 60% degli edifici, inoltre, ha tra i 40 e i 50 anni e richiede interventi urgenti di manutenzione. Come da manuale, il Comune non ha soldi sufficienti per eseguire tutti gli interventi che servirebbero.

Per fare qualche esempio occorrerebbe un milione e mezzo per dotare di impianti antincendio il liceo classico Pilo Albertelli di via Manin, quattro per rimuovere l'amian-to all'istituto Ferrari, altri due milioni per l'adeguamen-to antisismico al Caravillani. Ma la lista di urgenze nelle scuole di Roma e provincia è ben più lunga. Complessiva-mente – secondo un rapporto presentato dal gruppo con-siliare della Lega – di 340 scuole di II grado di competenza metropolitana, due terzi sono ancora privi della certifica-zione antincendio. E almeno 60 strutture hanno amianto al loro interno. In totale si contano 235 interventi urgenti da eseguire nel 2018 solo a Roma, di cui 197 indifferibili. E a “marcare” ancora di più la scarsa attenzione dell'ammi-nistrazione capitolina c'è anche un altro dato paradossale: i parchi di alcuni istituti sono ancora parzialmente chiusi perché non sono stati rimossi rami e alberi caduti durante la nevicata del febbraio scorso.

Non è solo la scarsa sicurezza delle aule a mettere in agitazione le famiglie. C'è anche il problema della presenza di topi. Solo 5 municipi su 15 hanno, infatti, indetto le gare per liberare le aule e giardini dalla presenza di roditori e in-setti. Tutti gli altri devono ancora segnalare situazioni che richiedono interventi di disinfestazione al Campidoglio e fare affidamento sui fondi disponibili presso il Dipartimen-to ambiente. Perché, nei fatti, non esiste un monitoraggio costante delle strutture per quanto riguarda la presenza di specie infestanti. Tradotto? Sette scuole su dieci potrebbero avere problemi con topi e affini.

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CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA DEI SOCIL’Assemblea dei Soci dell’ARPE è convocata, in via S. Nicola da Tolentino n. 21 Roma, per le ore 20.00 del 19/11/2018. in prima convocazione, con il seguente ordine del giorno:

1. Comunicazioni del Presidente; 2. Approvazione bilancio di previsione per l’e-

sercizio finanziario 20193. Approvazione bilancio consuntivo per l’eser-

cizio finanziario 2017; 4. Nomina della Commissione verifica poteri

per la successiva Assemblea; 5. Eventuali e varie.

In caso di mancanza del numero legale dei Soci, l’Assemblea si terrà in seconda convocazione sempre nella stessa sede, il 20/11/2018 ore 9.30

la PROPRIETÀ edilizia • Ottobre 2018 | 29

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Talvolta mi capita di imma-ginare un cittadino romano, che torni per la prima volta nella nostra città, dopo aver

vissuto per circa trent’anni all’e-stero, dove ha avuto modo di visita-re, magari a più riprese, le principali metropoli, del mondo, potendo no-tare le trasformazioni urbanistiche, architettoniche, infrastrutturali e ambientali che, quasi tutte, hanno subito.

Londra e Parigi, ma anche Pra-ga, Berlino, Budapest e altre an-cora sono molto cambiate rispetto a trenta anni fa. In ognuna di esse ci sono state sensibili innovazio-ni urbanistiche, architettoniche e infrastrutturali, che in un modo e nell’altro riflettono l’idea che le rispettive amministrazioni hanno concepito per rendere la propria città, meglio rispondente alle esi-genze dei tempi attuali.

L’arrivo a Roma, probabilmente, lo sorprenderebbe. Rispetto a tren-ta anni fa è cambiato veramente poco, in termini di trasformazioni

e innovazioni che avrebbero potuto tenerci al passo con le altre capitali europee. Per esempio, questo no-stro concittadino, forse noterebbe, che nulla o quasi è stato fatto per migliorare e integrare il trasporto pubblico locale. È stata aggiunta, è vero, qualche fermata alla linea B della Metropolitana, ed è stata aperta, faticosamente e parzial-mente, una nuova linea, la C, che innova in larga parte un tracciato di superficie già esistente, ma non risolve nessuna delle criticità del-la viabilità e del trasporto pubblico locale, ma soprattutto non aggiun-ge un attraversamento della città, come invece offrono le altre. Nello stesso periodo alcune capitali euro-pee hanno realizzato quattro, cin-que nuove linee di metropolitana, altre hanno intensificato il traspor-to pubblico su ferro, creando una rete di superficie densa e articolata.

In questi modi è stato fornito ai cittadini un sistema di trasporto al-ternativo all’uso delle auto private, contribuendo a ridurre il traffico, ma anche a diminuire l’inquinamen-

to atmosferico, da esso causato. A Roma nessuna di queste possibilità è stata perseguita. Oggi, con qual-che perplessità, si assiste alla pro-posta di una teleferica, e, in fondo, non si capisce se è solo una boutade, oppure qualche proponente ci cre-de davvero. Mentre il problema del traffico, dei trasferimenti, a Roma è ogni giorno più drammatico sia per motivi di sicurezza, legati alla scarsa manutenzione delle strade, sia per i tempi, che ogni giorno di-ventano più lunghi e, soprattutto, imponderabili. Senza andare troppo lontano, la stessa Milano, che pure è in Italia, ha realizzato quattro nuo-ve linee di metropolitana, e una rete ferroviaria locale, di collegamento, con l’hinterland, piuttosto efficien-te.

Oggi a Milano qualunque cittadi-no, dal professionista, al lavoratore più modesto, utilizza regolarmen-te il servizio di trasporto pubblico, nella certezza che i tempi di percor-renza sono accettabili, e competi-tivi con quelli di qualunque mezzo privato. E così avviene in quasi tutta

Roma: un declino che nessuno sa arrestare

LA PIÙ DISASTRATA DELLE METROPOLI

È mancata la visione del futuro da parte dell’intera classe politica capitolina. Il “Governo del cambiamento”non costruisce ed è perfino incapace di gestire l’esistente

Giuseppe Sappa

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Europa. A Roma invece la situazione è ben diversa il paragone più appro-priato è con qualche grande capitale dell’Africa settentrionale o del vici-no Oriente, dove il trasporto pubbli-co non è affidabile, e il traffico pri-vato non ha praticamente certezze nei tempi. Si può dire, con fonda-tezza, che la realizzazione di linee di Metropolitana, a Roma, sia par-ticolarmente complicata, sia per i reperti archeologici, sia per l’asset-to geologico. Ma è possibile, che in alternativa, negli ultimi trenta anni non si sia riuscito a immaginare e o tentate nient’altro? Lo stesso espe-rimento, deludente, dell’anello fer-roviario, realizzato compiutamente, ma timidamente, con i mondiali di calcio del 1990, è un esempio di scarso ammodernamento del siste-ma di trasporto pubblico locale. La visita di una qualunque di queste stazioni ferroviarie locale consente di costatare lo stato di abbandono, riflesso della sostanziale trascura-tezza delle varie amministrazioni locali, che si sono succedute, dal 1990 a oggi, rispetto a una possibile soluzione, che avrebbe potuto avere respiro strategico, se curata e sup-portate adeguatamente.

Ma il nostro concittadino forse non noterebbe solo quest’aspetto, avendo modo di costatare che nes-suna scelta è stata fatta sulla distri-buzione funzionale della città. Ne-gli anni Cinquanta c’era il progetto SDO, Sistema Direzionale Orientale (mai compiutamente realizzato), che avrebbe dovuto dislocare, in un quadrante della città, moderna-mente edificato e dotato di servizi e reti di trasporto, tutta la struttura amministrativa della Capitale, cioè Ministeri ed enti di supporto, de-congestionando così il centro sto-rico, cui sarebbe potuto rimanere il ruolo di rappresentanza e la voca-zione turistica, che gli è propria.

Si può discutere della validità di quel progetto, ma non aver pensato nulla per rendere più funzionale la nostra città, significa averla conse-gnata all’attuale abbandono, anche dal punto di vista logistico. In que-

sto, Roma è la stessa di trenta anni fa, con altrettanti di usura in più e, inevitabilmente, la moltiplica-zione delle funzioni da svolgere. Ci sono città che in questi anni hanno costruito interi centri direziona-li (basti pensare a Parigi o Berlino) mentre Roma ha visto sorgere solo l’Auditorium Parco della Musica, la cosiddetta Nuvola (Palazzo dei Con-gressi), e la nuova Fiera di Roma, vero monumento allo spreco delle risorse pubbliche, poiché in po-chi anni ha perso buona parte della propria funzionalità. È un po’ poco, per una città di oltre tre milioni di abitanti, che ha una superficie di circa 1500 kmq e che per essere at-traversata da una parte a quella op-posta richiede una distanza di circa 40 km.

Dunque, in trenta anni nessun progetto, ma neanche un’idea di sviluppo della città: solo il progres-sivo avvicinamento alla paralisi. È un problema che non coinvolge solamente la Giunta Raggi, ma è pur vero che acquisendo consenso per cambiare radicalmente rispetto al passato, era lecito aspettarsi dal nuovo governo capitolino qualche strategia sul futuro della città. In-vece, non solo non è stato proposto nessun progetto, ma non si riesce più neanche a gestire l’esistente, così che il nostro concittadino do-vrebbe imparare a fare lo slalom fra le buche che coprono larga parte delle strade e dei marciapiedi, ma anche a stare bene attento a cam-minare in tratti, non alberati, per evitare che qualche vecchio fusto si abbatta su di lui, com’è avvenuto nel recente passato a qualche residente e alcune auto. Ma dove forse il ro-mano di ritorno avrebbe ancora più sorprese, è nel settore della raccolta dei rifiuti solidi urbani. Passeggiare per Roma ci allontana rapidamente dall’Europa, avvicinandoci, in fatto di pulizia, a qualche capitale di un paese emergente. Cassonetti stra-colmi, cumuli di rifiuti abbandonati, talvolta animali selvatici che razzo-lano nei dintorni di questi rifiuti ci-bandosene. Altrettanto spesso po-

trebbe notare qualche povero essere umano, curvo in cerca di materiale scartato, passibile d’immediato ri-utilizzo. Mai come in questi ultimi anni la città ha subito un degrado così forte, per quanto riguarda la raccolta dei rifiuti.

Ed è solo parzialmente vero che tale stato deriva dalle difficoltà di smaltimento dei rifiuti stessi. Esi-ste, infatti, un problema di smal-timento, che il nostro concittadino di ritorno rileverebbe, con grande stupore. Tutte le grandi città eu-ropee, ma non solo, hanno risolto brillantemente il problema, anche con tecnologie e metodologie diver-se, trasformando, com’è ragionevo-le, il rifiuto in risorsa, secondaria o energetica, secondo una logica in-dustriale, nel rispetto dell’ambien-te. Solo a Roma, ormai da cinque anni, da quando il primo ottobre del 2013 è stata chiusa la discarica di Malagrotta, non è stata decisa una strategia per lo smaltimento dei rifiuti. In questo campo la Giunta Capitolina ha cambiato gli assesso-ri, ma nessuna strategia è stata mi-nimamente prospettata, e la città è sempre più prossima all’emergenza igienica, oltre che ambientale.

Dunque il ritorno a Roma dopo trenta anni sarebbe per un nostro vecchio concittadino un vero trau-ma. Una metropoli che in tren-ta anni non si sviluppa in qualche modo, è una città abbandonata, che sembra sopravvivere soprattutto perché rimane una delle principa-li attrazioni turistiche del mondo, com’è giusto che sia. Tuttavia è au-spicabile un’inversione di tenden-za sollecitata, e magari promossa, da quella parte di cittadinanza, che pure deve esistere, che si faccia pro-motrice di una proposta d’indirizzo per la città, come pure è stato fatto, per esempio negli anni settanta, e che consenta di reagire all’attuale stallo, apparente, che è invece una deriva di declino inesorabile.

* Associato di Geologia all’Università “La Sapienza” di Roma

Vicepresidente Nazionaledi FEDERPROPRIETÀ Ambiente

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Che fine hanno fatto le piaz-ze romane? La domanda è d’obbligo perché il degrado e l’incuria regnano sovrani,

né quest’amministrazione ha mo-strato grande interesse perché tor-nino all’antico splendore. Declassa-te a enormi pattumiere a cielo aper-to, lesionate, transennate, dimenti-cate, oppure curate con interventi "mordi e fuggi" insufficienti a ga-rantire funzionalità e decoro nel lungo periodo. Le piazze romane fi-niscono così al centro dell'obiettivo dei turisti che scattano le immagini di una città abbandonata. Nel giu-gno dell’anno scorso la sindaca Vir-ginia Raggi firmò un'ordinanza a tutela del decoro di circa quaranta fontane d’interesse artistico, storico e monumentale della Capitale, in-clusi i loro basamenti e le relative piazze. Per i trasgressori fu decisa la sanzione amministrativa pecuniaria da quaranta a 240 euro che prevede-va il divieto di: «Bivaccare, consu-mare alimenti o bevande; sedersi, arrampicarsi e/o porre in essere qualsiasi altra condotta non compa-tibile con la naturale destinazione del bene pubblico; versare liquidi e/o gettare qualsiasi oggetto, ad ecce-zione del lancio tradizionale delle monetine; lavare animali, indu-menti e simili; fare bere animali». Vediamo dunque come oggi sono ri-dotte le piazze della Capitale.

Piazza Istria, quartiere Trieste. Quest'estate, al posto del gagliardo getto d'acqua della sua inaugurazio-

ne, risalente al 2015, nella fontana c'era una pozza muschiata. «Oggi – come ha evidenziato la Repubblica – non c'è più neanche quella, ma solo un guazzo torbido e marrone, impastato di aghi di pino, punteg-giato da contenitori di cibo e botti-glie di plastica. Tutt'intorno erba alta, rose incolte, cespugli in teoria geometrici». E dire che, tre anni fa, ci sono voluti nove mesi di lavori e quasi mezzo milione di euro per ri-mettere a nuovo la piazza e la sua viabilità.

Piazza San Silvestro, centro storico. Fu ristrutturata da Paolo Portoghesi e inaugurata nella sua nuova versione nel 2012. Oggi le grandi sedute in travertino di Tivoli sono diventate di notte giacigli per i senzatetto. La fontanella perde ac-qua, alcune lastre di basalto sono sconnesse e circondate dall'imman-cabile plastica arancione per impe-dirne l'attraversamento, ci sono se-gnali di lavori in corso sopra i sam-pietrini mancanti. E poi di notte, come si è detto, la piazza si trasfor-ma in dormitorio, soprattutto d’e-state.

Piazza Vittorio, quartiere Esqui-lino. Nel novembre del 2014 fu an-nunciato l'inizio dei lavori di re-stauro di lì a qualche mese: bagni pubblici custoditi, un punto di risto-ro, nuova illuminazione, percorsi pedonali all'interno del giardino, parco giochi per bambini con addi-rittura una piccola parete da arram-picata. Il tutto con lo stanziamento

da 1,2 milioni di euro. Si sono visti solo i bagni restaurati e qualche al-tro intervento, subito cancellato dal degrado. Oggi dietro ai bagni di piazza Vittorio ci sono i cassonetti dell’Ama, cestoni in metallo e bido-ni. La puzza è insopportabile. Dopo l'inaugurazione del nuovo bagno, qualcuno si è portato via la cassetta di scarico del wc, sradicandola: adesso c'è un addetto della Multi-servizi a presidio del luogo.

Piazza Testaccio, quartiere omonimo. Dopo il restyling del 2015 ha in parte resistito. Ma nella fonta-na delle Anfore l'acqua è putrida e ci si trova di tutto.

Piazza Ragusa, quartiere Appio. È uno snodo importante nella viabi-lità romana. Vi confluiscono auto-mobilisti diretti verso strade conso-lari come la Prenestina e la Casilina. Ma è anche attraversata dai flussi di traffico diretti verso la tangenziale o, in senso contrario, verso la via Tu-scolana. È inoltre l'epicentro di un quadrante popoloso. Nella zona rap-presenta una delle rare aree, dove i residenti possono trovare, in teo-ria, giochi per i bambini e uno spazio dedicato agli amici quadrupedi. In teoria, perché la piazza è circondata dalle auto e invasa dallo smog, quindi non è certo indice di sicurezza e aria pulita. C’è poi un altro problema: con le piogge una parte della piazza tende ad allagarsi. Ora pare che l’in-conveniente sia stato risolto grazie ad un intervento messo in campo dal municipio VII. «A piazza Ragusa ab-

Sandro Forte

Le piazze abbandonate al degrado

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biamo eseguito tante singole opere che sono state richieste dai cittadini e che abbiamo voluto fare subito», ha dichiarato la presidente Monica Lozzi, che ha promesso di organiz-zare un tavolo di confronto per strutturare ancora meglio le neces-sità da mettere in campo per valoriz-zare la piazza, anche provando a ve-dere cos'è possibile fare per ridurne il traffico.

La presidente ha partecipato all’incontro promosso dall’associa-zione “Piazza Ragusa e dintorni”, che ha visto la partecipazione di una trentina di cittadini, compresi rap-presentanti dei comitati, delle asso-ciazioni di zona e del VII municipio, che aveva al centro delle lamentele il giardino della piazza, di nuovo de-gradato nonostante i numerosi in-terventi degli anni scorsi. Oltre tre-mila metri quadri che versano in uno stato pietoso, a iniziare dalla piatta-forma sollevata di circa 315 metri quadrati, molto criticata perché spezza lo spazio di aggregazione. Il giardino ospita una roccia posta a ri-cordo di Tashunka Witko, ossia Ca-vallo Pazzo, uno dei più noti capi dei Sioux: il monumento intende quindi accendere l’attenzione sul genocidio degli indiani, anche se in modo non certo efficace visto lo stato della pie-tra. L’associazione ha elaborato un progetto per la riqualificazione della piazza e del giardino, per un nuovo uso della stessa in attività culturali e ludiche. Numerose le denunce da parte dei cittadini intervenuti nel di-battito su eventi criminosi, atti van-dalici e costante presenza di senza-tetto, causa la vicinanza con la sta-zione Tuscolana.

L’area cani è gestita dall’associa-zione cinofila Cani Lepophagus, con apprezzamento da parte di molti utenti. Un assessore ha invece par-lato della necessità di spostare l’edi-cola, che secondo le nuove norme non potrebbe essere ubicata all’in-crocio con via Taranto, e il fioraio, per il quale, sempre secondo quanto riferito dall’assessore, ci sarebbe solo la licenza per un veicolo mobile. Altro tema quello dell’ex deposito dell’Atac, con facciata storica su via

Tuscolana. Molti cittadini propongo-no di trasformarlo in un megapar-cheggio capace di liberare la zona dalle auto in sosta, che determinano continui rallentamenti del traffico a causa delle doppie file. L’associazio-ne propone l’alienazione immobi-liare con diritto di prelazione da par-te del Comune per restituirlo alla città. Altri lamentano la presenza di due treni a metano dalle ore 22 nelle vicinanze della stazione Tuscolana, utilizzati poi durante la notte per la manutenzione delle reti. Tale sosta apporterebbe inquinamento e ru-more. Un cittadino ha mostrato an-che filmati registrati.

Al centro delle lamentele, inoltre, il progetto di chiusura di viale Ca-strense, che causerebbe altro traffi-co anche lungo via Caltagirone, villa Fiorelli, via Enna e Piazza Ragusa. L’assessore Marco Pierfranceschi ha difeso strenuamente il progetto, mentre il Comitato Tuscolano-Villa

Fiorelli ha raccolto firme contro la chiusura di viale Castrense, infor-mando che oltre il 70 per cento delle persone interpellate si è dichiarata contraria. Come noto il progetto del-la chiusura di viale Castrense, nella fase iniziale, è stato promosso da Roberto Angotti, presidente del Co-mitato San Giovanni. Ma nella sua evoluzione, com’era prevedibile, questo progetto è diventato un boo-merang per lo stesso Comitato: in-fatti, i sensi unici previsti su via La Spezia e su via Taranto finiranno per trasformare queste vie in vere e pro-prie autostrade perennemente inta-sate, apportando smog anziché be-nefici. Che la chiusura di viale Ca-strense – come l’acqua di un fiume deviato – non riducesse i flussi di traffico, ma li spostasse, aggravando la situazione proprio nel quadrante tra piazzale Re di Roma e Piazza Ra-gusa, era facile da prevedere. Ma evidentemente non per tutti.

Raggi: “poteri speciali” e… tasse sulle case sfitte

Il Sindaco di Roma, Virginia Raggi, non smette mai di stupirci. Deve es-sere, infatti, molto consapevole di come non sia riuscita, in oltre due anni di conduzione dell’amministrazione capitolina, a risolvere nessuno dei pro-blemi che attanagliano la città: immondizia ovunque, verde pubblico in uno stato di completo degrado, trasporti allo sbando, interi fabbricati occupati abusivamente in diversi quartieri della Capitale, problema abitativo ulte-riormente peggiorato. Proprio per questo, in un incontro con il Premier Con-te, ha ritenuto opportuno chiedere quello che Federproprietà sta dicendo da anni: una legge speciale per la Capitale d’Italia. Il guaio è che ha immedia-tamente aggiunto: «Dobbiamo aumentare le tasse sulle case sfitte e con quei soldi risolveremo i problemi di Roma». Siamo alle solite, l’unico metodo che i nostri politici conoscono è quello di spremere i privati e in particolar modo i proprietari di casa. La Raggi non sa neanche che le case sfitte già pagano abbondanti tasse, comprese quelle sui rifiuti salvo che, per evitarle, il pro-prietario non faccia staccare gas e luce. Oltretutto sarebbe forse il caso di far pagare l’affitto a tutti quegli assegnatari di case comunali di cui non si co-nosce neanche l’ubicazione perchè, passano le giunte, ma nessuno è mai riu-scito a mettere ordine nel patrimonio immobiliare del Comune. Siamo quindi arrivati al punto che il proprietario di un appartamento privato, che non trae utili dal suo affitto, deve pagare di più di chi ne usufruisce a tutti gli effet-ti e, soprattutto, deve pagare al posto dei soliti furbi che sanno approfittare delle deficienze dell’amministrazione pubblica. A questo proposito, bisogna proprio lasciare andare in rovina le tante caserme che esistono a Roma e che ormai da anni sono in uno stato di autentico abbandono? Forse si potrebbe cominciare da lì almeno per risolvere in parte il problema parcheggi.

Ro.Ro.

la PROPRIETÀ edilizia • Ottobre 2018 | 33

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di Mauro Mascarucci

GIURISPRUDENZA

1) Confusione contabile e risarcimento del danno di due amministratori

Il Tribunale di Roma (sentenza 26 giugno 2018 n. 13061, ha condannato l'ex amministratore di condominio e il suo successore a risarcire i danni su-biti dal condominio in conseguenza dalla mala gestio contabile.

Il condominio aveva citato in giu-dizio il vecchio amministratore e il suo successore, addebitando a en-trambi di non aver eseguito l'incarico secondo i principi della diligenza del buon padre di famiglia, in particolare per non aver redatto e conservato la documentazione contabile necessaria per presentare i bilanci consuntivi se-condo i criteri di veridicità e chiarezza, con la conseguente impossibilità di ricostruire i bilanci e accertare le reali entrate e uscite.

Tal emergenza, inoltre, aveva im-posto la costituzione di un fondo cassa straordinario per pagare i fornitori.Da tale situazione scaturiva condanna dei due ex amministratore per infedele espletamento del contratto di mandato di amministratore al risarcimento dei danni arrecati al condominio.

2) Utilizzabilità delle riprese di videosorveglianza

Secondo la Corte di Cassazione, quarta sezione penale, sentenza n. 38230/2018 devono ritenersi legittime e utilizzabili le videoriprese effettuate dalla Polizia Giudiziaria sul pianerot-tolo di un condominio che conduce al terrazzo dello stabile e sul quale non insistono abitazioni private.

I Carabinieri avevano monitorato l'attività di spaccio avvalendosi di un sistema di videosorveglianza con mi-crocamera installato sul pianerottolo dell'ultima rampa di scala che dava accesso al terrazzo di copertura di uno stabile.

Con quest’attività di controllo la P.G. aveva verificato il rinvenimento

del narcotico in un cassone in metallo occultato in un vano ricavato nel muro adiacente alla porta di ferro che dava accesso al terrazzo condominiale ce-lato da una lastra di marmo.

Secondo il Tribunale del riesame dovevano ritenersi utilizzabili gli esiti di tali registrazioni poiché il pianerot-tolo situato all'ultima rampa di scale che dà accesso al lastrico dell'edificio, che è una parte condominiale in cui non insistono abitazioni private, non è da considerarsi luogo di privata di-mora per la mancanza di stabilità del rapporto tra il luogo e le persone che lo frequentano.

La Cassazione ha confermato la le-gittimità delle videoriprese effettuate su pianerottoli condominiali poiché si tratta di luoghi che non assolvono la funzione di consentire l’esplicazione della vita privata Sono pertanto legit-time e utilizzabili, in sede di giudizio, le videoriprese effettuate in una zona del condominio che sul quale non in-sistono abitazioni private.

3) Revoca dell'amministratore a seguito di condanna penale

Secondo il Tribunale di Milano, de-creto n. 1963, pubblicato in data 20 giugno 2018, la sentenza di condanna penale dell'amministratore, prevista quale motivo di revoca dall'art. 71 Bis disp. att. Cc, è tale solo al momento del suo passaggio in giudicato.

La norma invocata ai fini della re-voca dell'amministratore, l'art. 71 Bis disp. att. Cc e, in particolare, la lettera b, prevede testualmente che, per ricoprire l'incarico gestorio dello stabile l'amministratore o i candidati ad assumere tale ruolo, non [sia-no] stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione, l'am-ministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio o per ogni al-tro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusio-ne non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque.

Orbene, il delitto d’illecito finan-ziamento non è configurabile come delitto contro il patrimonio, contem-plato dal menzionato articolo. Infatti, la sentenza della Suprema Corte n. 10041/1998, stabilisce che «il valore tutelato dal delitto in esame è da identificare nell'inscindibile binomio "trasparenza e democrazia". La de-mocrazia quale "governo del potere visibile". La trasparenza del potere è la condizione prima del corretto fun-zionamento della democrazia, in quanto serve a garantire da una parte l'attivazione di meccanismi di re-sponsabilità e dall'altra una corretta formazione dell'opinione pubblica. Non a caso il relatore della legge del 1974 individuava nell'art. 49 della Co-stituzione il principio tutelato dalla fattispecie penale: il finanziamento illecito altera "il libero concorso dei cittadini a determinare la politica na-zionale, nella misura in cui i gruppi di pressione pubblica o privata divengo-no determinanti o comunque concor-rono a determinare le scelte dei parti-ti sulla politica nazionale"».

Tale delitto è punito – dall'art. 7 della L. 195/1974, per come modificato dall'art. 4 della L. 659/1981 – con la con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, e non rientra nella fattispecie prevista dall'ultimo periodo dell'art. 71 Bis, lett. b disp. att. Cc, laddove viene rite-nuto sufficiente, ai fini della revoca, un generico delitto non colposo per il quale, tuttavia, sia prevista la pena della reclusione non inferiore, nel mi-nimo, a 2 anni e, nel massimo, a 5 anni.

Ad ogni modo, conclude il Tribu-nale milanese, qualora si versasse in una delle ipotesi previste dalla pre-detta lett. b dell'art. 71 Bis, occorre dare atto che la sentenza penale di condanna della Corte d'Appello non è passata in giudicata, atteso che pen-de ricorso per cassazione depositato in data 8 marzo 2018.

* Avvocato, consulente

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La Corte di Cassazione con l'ordinanza del 12 settem-bre 2018, n. 22157 ha sta-bilito che ai sensi dell'art.

1124 c.c., sia nella precedente sia nell'attuale formulazione, le spese riguardanti la manutenzione e la ricostruzione (sostituzione) dell'a-scensore, al pari delle scale, devo-no essere ripartite tra i proprietari delle unità immobiliari per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l'altra metà esclusivamente in misura propor-zionale all'altezza di ciascun piano dal suolo, con la precisazione che, ai fini del concorso nella metà del-la spesa, si considerano come piani, anche le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprie-tà comune.

La vicenda vedeva contrapposti il condominio e una condomina, che contestava l’inclusione nelle spese, la manutenzione straordinaria di un ascensore.

Il ricorso in Cassazione era arti-colato in quattro motivi avverso la sentenza della Corte d'Appello di Roma n. 1559/2017, che aveva accol-to l'appello del condominio, contro la sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Latina, sezione distac-cata di Terracina, n. 322/2008, e così rigettato l'opposizione al decre-to ingiuntivo emesso nei confronti della condomina per il pagamento delle spese dei lavori di sostituzione dell'impianto di ascensore.

Il regolamento contrattuale del condominio agli artt. 2 e 10, com-ma 3, prevedeva l'appartenenza dell'ascensore «in comproprietà pro indiviso e indivisibile» a tutti i proprietari di unità immobiliari, ponendo a loro carico in proporzio-ne dei rispettivi valori delle singo-le porzioni le spese per il rinnova-mento o la manutenzione straor-dinaria dell'impianto di ascensore (stabilendosi, al contrario, l'esone-ro dall'obbligo di contribuzione per le spese ordinarie e di esercizio per i condomini che non potevano ser-virsene).

Dopo l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da una condo-mina, avverso l'ingiunzione di pa-gamento a istanza del condominio, afferente le spese per il «rinnova-mento o la manutenzione straor-dinaria dell'impianto di ascenso-re», il Tribunale di Latina, Sezione distaccata di Terracina, accoglieva l'opposizione ritenendo incidental-mente nulla la delibera di approva-zione delle spese sopra dette.

La Corte di Appello di Roma, poi investita della questione, in rifor-ma della sentenza di primo grado, approvava l'appello del condomino rigettando, pertanto, l'opposizione del condominio.

Il Giudice di secondo grado, pre-messa, semmai, la mera annulla-bilità della delibera posta a fonda-mento del decreto ingiuntivo – e non l’affermata nullità della stessa statuita dal Tribunale –, pur rite-

nendo formatosi il giudicato sul punto in assenza di specifica censu-ra, giudicava meritevole di riforma la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto esonerata la condomina opponente dalla parte-cipazione alle spese di sostituzione completa dell’ascensore, nono-stante la stessa fosse proprietaria di locali posti al piano terra, con unico accesso dalla via pubblica. Proponeva ricorso per cassazione la condomina soccombente eccepen-do, tra l’altro, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1123, 1124, 1363 c.c., e dell’art. 8 del regola-mento di condominio.

La Corte di Cassazione premet-te che, in materia di opposizione a decreto ingiuntivo riguardante le spese condominiali, non possono esser fatte valere questioni atti-nenti all’annullabilità della delibera condominiale di approvazione del-lo stato di ripartizione. La stessa, infatti, se non sospesa o annullata nell'apposito giudizio d’impugnati-va, è titolo sufficiente alla conces-sione del decreto ingiuntivo.

Secondo la Corte è da ribadire in premessa che nel giudizio di oppo-sizione a decreto ingiuntivo con-cernente il pagamento di contributi per spese, il condomino opponente non può far valere questioni atti-nenti all’annullabilità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione.

Tale delibera costituisce, infat-ti, titolo sufficiente del credito del

Ascensori: per la manutenzione devono pagare tutti i condomini

CASSAZIONE

Mauro Mascarucci *

Quando le parti comuni sono destinate a servire i proprietari in misura diversa (vedi, ad es., abitazioni al piano terra e negozi con solo accesso dalla via pubblica), le relative spese vanno ripartite in proporzione all’uso che ciascuno può farne

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condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiunti-vo, ma anche la condanna del con-dominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è, dunque, ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deli-berazione assembleare di approva-zione della spesa e di ripartizione del relativo onere. Il giudice deve quindi accogliere l'opposizione solo qualora la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia, per esserne stata l'esecuzione sospesa dal giudice dell'impugnazione, ex art. 1137, comma 2, c.c., o per avere questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione ancorché non passa-ta in giudicato, annullato la delibe-razione.

La Suprema Corte ha chiarito, come nel procedimento di opposi-zione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condomi-niali, il limite alla rilevabilità, anche d'ufficio, dell'invalidità delle sotto-stanti delibere non opera quando si tratti di vizi implicanti la loro nul-lità, trattandosi dell'applicazione di atti la cui validità rappresenta un elemento costitutivo della doman-da. Ora, una deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione degli oneri derivanti dalla manutenzione di parti comuni, in deroga ai criteri di proporzionalità fissati dagli artt. 1123 e ss. c.c., va certamente rite-nuta nulla, a differenza di quanto argomentato dalla Corte d'Appel-lo occorrendo a tal fine una con-venzione approvata all'unanimità, che sia espressione dell'autonomia contrattuale. La nullità di una sif-fatta delibera può, quindi, essere fatta valere anche nel procedimen-to di opposizione a decreto ingiun-tivo emesso per la riscossione dei discendenti contributi condomi-niali, trattandosi di vizio che inficia la stessa esistenza della delibera-zione assembleare di approvazione della spesa (esistenza che il giudice dell'opposizione deve comunque verificare) e che rimane sottratto al termine perentorio d’impugnativa

di cui all'art. 1137 c.c.

Chiarito l’aspetto pregiudiziale, la Corte affronta il problema della ripartizione delle spese per com-pleta sostituzione dell'impianto di ascensore condominiale. Secondo costante orientamento interpreta-tivo (nella vigenza della disciplina, qui operante, antecedente alla ri-formulazione dell'art. 1124 c.c. in-trodotta dalla legge n. 220 del 2012, ove espressamente si contempla l'intervento di sostituzione degli ascensori) a differenza dell'instal-lazione "ex novo" di un ascenso-re in un edificio in condominio (le cui spese vanno suddivise secondo l'art. 1123 c.c., ossia proporzional-mente al valore della proprietà di ciascun condomino), quelle concer-nenti la manutenzione e ricostru-zione dell'ascensore già esistente vanno ripartite ai sensi dell'art. 1124 c.c. Stante l'identità di ratio delle spese di manutenzione e di rico-struzione delle scale ex art. 1124 c.c. e delle spese concernenti la conser-vazione e alla manutenzione dell'a-scensore già esistente, deve dirsi che, al pari delle scale, l'impianto di ascensore, in quanto mezzo in-dispensabile per accedere al tetto e al terrazzo di copertura, riveste la qualità di parte comune (tant'è che, dopo la legge n. 220 del 2012, esso è espressamente elencato nell'art. 1117 n. 3, c.c.) anche relativamente ai condomini proprietari di negozi o locali terranei con accesso dalla strada, poiché pure tali condomi-ni ne fruiscono, quanto meno sul-la conservazione e manutenzione della copertura dell'edificio, con conseguente obbligo gravante an-che su detti partecipanti, in assenza di titolo contrario, di concorrere ai lavori di manutenzione straordina-ria ed eventualmente di sostituzio-ne dell'ascensore, in rapporto e in proporzione all'utilità che possono in ipotesi trarne (arg. da Cass. Sez. 2, 20/04/2017, n. 9986; Cass. Sez. 2, 10/07/2007, n. 15444; Cass. Sez. 2, 06/06/1977, n. 2328).

Come tutti i criteri legali di ri-partizione delle spese condominia-li, anche quello di ripartizione delle

spese di manutenzione e sostitu-zione degli ascensori può essere de-rogato, ma la relativa convenzione modificatrice della disciplina legale di ripartizione deve essere contenu-ta o nel regolamento condominiale (che perciò si definisce "di natura contrattuale"), o in una delibera-zione dell'assemblea che sia ap-provata all'unanimità, ovvero col consenso di tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 04/08/2016, n. 16321; Cass. Sez. 2, 17/01/2003, n. 641; Cass. Sez. 2, 19/03/2010, n. 6714; Cass. Sez. 2, 27/07/2006, n. 17101; Cass. Sez. 2, 08/01/2000, n. 126).

Il codice civile stabilisce che tutti i condomini devono partecipare, in base ai propri millesimi, alle spese condominiali. Quando però le par-ti comuni sono destinate a servire i condomini in misura diversa, le re-lative spese vanno ripartite in pro-porzione all’uso che ciascuno può farne. A questo riguardo la Cassa-zione ha detto che non conta l’uso effettivo ma solo quello potenziale. In altri termini significa che se un negoziante può, volendo, entrare nell’androne deve pagare le relati-ve spese; se gli è consentito di usare l’ascensore per arrivare al terrazzo deve contribuire ai relativi costi. Insomma non conta che il proprie-tario del magazzino non usi mai le scale e gli altri servizi se però, an-che astrattamente, non gli è vietato farlo.

È bene infine ricordare che le spese dell’ascensore devono essere pagate anche dal condominio che volontariamente intende rinun-ciare all’uso. Vige nel condominio la regola generale che, ai fini della partecipazione alle spese, occor-re in ogni caso far riferimento non già all’uso effettivo che il singolo fa del servizio comune, bensì a quello che potenzialmente egli può fare. È evidente che il non usare l’ascenso-re non si traduce in un risparmio di spesa per gli altri condomini, così che se uno di essi non vi partecipa, la sua quota va ad aumentare quella degli altri.

* Avvocato, consulente

la PROPRIETÀ edilizia • Ottobre 2018 | 37

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I giudici del Consiglio di Stato nella sentenza 6 settembre 2017 n. 4223 hanno affrontato una fattispecie concernente la tanto

discussa TIA [tariffa igiene ambien-tale poi sostituita dalla Tari, tariffa rifiuti, ndr].

Nella stessa sentenza emessa si ricava anche un principio valido ed estensibile all’attuale Tari.

In breve, nella sentenza di Pa-lazzo Spada emerge l’illegittimità di qualsiasi delibera comunale che fis-sa tariffe differenti e, generalmente, più alte per le utenze domestiche di soggetti non residenti.

Da una tassa strettamente legata ai rifiuti si presupporrebbe, secondo il buon senso, che a pagare di più sia proprio chi produce più “immon-dizia” e non chi, invece, ne produ-ce di meno. Guarda caso, però, che in alcuni Comuni si è deliberato in modo opposto: i residenti pagano di meno dei non residenti. È concepi-bile questo? Sì, tant’è, come sopra accennato, che il caso è approdato davanti ai giudici del Consiglio di Stato che, con una recente sentenza, ha detto “no” alle discriminazioni tra residenti e non residenti. Di qui l'estensibilità di tale sentenza an-che alla Tari.

Nel merito della questione, va rilevato che l’appellante contesta-va che il Comune attraverso le an-zidette delibere abbia sottoposto a tassazione diversa le utenze abitati-ve dei residenti rispetto a quelle dei non residenti, sottoponendo queste ultime, peraltro, a un maggior ca-rico tributario e, quindi, violando il principio europeista di “chi inquina paga” alla luce anche delle recen-ti pronunce della Corte di Giusti-

zia dell’Unione (Corte di Giustizia 9 marzo 2010, C – 378/08; 4 marzo 2015, c-534/13).

Vedi in proposito il Titolo V della Parte VI del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 che racchiude il Codice dell’Am-biente La materia costituisce il frut-to del recepimento della Direttiva 2004/35/CE da parte del nostro legi-slatore. In particolare, la Comunità vuole armonizzare i regimi di re-sponsabilità civile negli Stati mem-bri, mirando a garantire che i costi ambientali siano posti a carico di chi inquina, a prescindere dall’accerta-mento del dolo e della colpa.

Nella specie, la deliberazione del consiglio comunale n. 25/2005 im-poneva il 30% del carico tributario alle utenze domestiche e il restante 70% a quelle non domestiche.

Da quanto esposto si evidenzia come il costo complessivo del servi-zio a carico delle utenze domestiche (individuato dal Comune nel 30% dell’intero importo da sostenere nel 2005) fosse stato posto a carico dei fruitori del servizio in modo non omogeneo e, soprattutto, non rap-portato alla quantità d’immondizie da loro prodotte e dal servizio rice-vuto.

Tale modus procedendi per l’ap-plicazione del maggiore o minor ca-rico fiscale, infatti, si basava su un aspetto formale e cioè sul fatto di essere o no residenti in un Comu-ne. Ciò viola, però, la legge, che basa il prelievo sulla capacità effettiva di produrre un minore o maggiore quantitativo di rifiuti.

Per questo motivo, in virtù del principio di proporzionalità, non è possibile prevedere delle maggiora-zioni fisse per i non residenti.

Nella sentenza citata, il Consi-glio di Stato chiarisce che «mentre le ordinarie abitazioni civili dei re-sidenti sono usualmente abitate nel corso dell’anno, le case utilizzate solo per le vacanze hanno una pre-senza antropica discontinua: la qua-le comporta, di conseguenza, una produzione media annua di rifiuti tendenzialmente inferiore rispetto alle prime. Il rammentato principio di proporzionalità, cui si deve con-formare la discrezionalità tecnica amministrativa nell’individuazione delle aliquote fiscali, porta quindi a ritenere non legittimo un criterio di determinazione che risulti, all’atto pratico e a priori, più gravoso per le abitazioni dei non residenti rispetto a quelle di chi dimora abitualmente nel Comune in questione».

Le considerazioni fin qui svol-te portano, dunque, ad affermare che qualsiasi Comune, nel determi-nare le tariffe della tassa sui rifiuti deve attenersi al basilare principio di proporzionalità in applicazio-ne del canone comunitario secondo cui “chi inquina paga” e, quindi, è certamente assurdo e illegittimo stabilire con delibera comunale una disuguale tassazione delle utenze abitative dei residenti da quelle dei non residenti.

Ma leggiamo la motivazione del-la sentenza del Consiglio di Stato che così recita:

«È da escludere che un Comu-ne possa determinare le aliquote in libertà, in ipotesi generando ir-ragionevoli o immotivate disparità tra categorie di superfici tassabili potenzialmente omogenee, giu-stificandole con argomenti estra-nei a tale specifico contesto. La di-screzionalità dell’ente territoriale

I non residenti non devono pagare tariffe più alte

IL CONSIGLIO DI STATO SULLA TASSA RIFIUTI

Salvatore Albanese

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nell’assumere le determinazioni al riguardo – in particolare, nello sti-mare in astratto la capacità media di produzione di rifiuti cui la norma fa riferimento per tipologie – ha na-tura eminentemente tecnica, non ” politica”. Come tale, si deve basare su una stima realistica in ragione delle caratteristiche proprie di quel territorio comunale e se del caso della sua vocazione turistica: deve insomma concretamente rispetta-re, nell’esercizio di siffatta discre-zionalità tecnica, il fondamentale e immanente principio di proporzio-nalità, incluse adeguatezza e neces-sarietà. Per modo che non ne risul-tino incongruenze o disparità medie nell’applicazione di questo partico-lare prelievo dell’eloquente conno-tazione di tassa».

Inoltre, il Comune nell'esercizio di tale discrezionalità tecnica deve, comunque, rispettare il principio di proporzionalità coordinandolo con il principio comunitario del chi inqui-na paga affermato in tema di Tarsu dalla Corte Ue sia nel 2009 che nel 2014.

La diversità tariffaria tra resi-denti e non residenti non è corretta in punto di diritto, per il solo fatto che i residenti stagionali sono sot-toposti a un maggiore carico contri-butivo che non è proporzionato alla produzione di rifiuti rispetto al ser-vizio ricevuto.

In verità, infatti, mentre le ordi-narie abitazioni civili dei residenti sono normalmente abitate nel corso dell’anno, le case utilizzate esclusi-vamente per le vacanze hanno una presenza antropica discontinua.

Il menzionato principio di pro-porzionalità, cui si deve uniformare la discrezionalità tecnica ammini-strativa nell’individuazione delle aliquote fiscali, porta quindi a ri-tenere non legittimo un criterio di determinazione che risulti, all’atto pratico e a priori, più gravoso per le abitazioni dei non residenti rispet-to a quelle di coloro che dimorano abitualmente in un Comune. Per tali motivi, conclude il Consiglio di Sta-to, la decisione dell'ente comunale è totalmente illegittima.

Competenza per valore dell’impugnazione di delibera dell’assemblea

Il più recente orientamento dei giudici di legittimità (Cass. Civile, sez. VI, 28 agosto 2018, n. 21227, rel. Scalisi) ha statuito che per valori unitari inferiori a euro 5.000,00, la competenza per valore dell’impugnazione di delibera condominiale è del giudice di pace: con le relative (oggi sempre più rilevanti) conseguenze anche in tema di condanna alle spese di lite.

Nell’ordinanza pubblicata lo scorso mese di agosto si legge: «Ai fini della determinazione della competenza per valore avente a oggetto il ri-parto di una spesa approvata dall’assemblea di condominio, anche se il condomino agisce per sentir dichiarare l’inesistenza del suo obbligo di pa-gamento sull’assunto dell’invalidità della deliberazione dell’assemblea, bisogna far riferimento all’importo contestato, relativamente alla sua sin-gola obbligazione e non all’intero ammontare risultante dal riparto appro-vato dall’assemblea».

Tale pronuncia è conforme all’orientamento consolidatosi nell’ultimo decennio.

Fino alla metà anni 2000, la giurisprudenza sembrava essere orientata in senso diametralmente opposto; si veda ad esempio «in tema di compe-tenza per valore, con riferimento all’azione avente a oggetto il pagamento delle spese condominiali secondo approvazione dell’assemblea del condo-minio, il valore della causa va determinato con riferimento alla parte della relativa delibera impugnata, e non alla quota di spettanza del condomino che l’ha impugnata, atteso che l’oggetto del contendere coinvolge i rapporti di tutti i condomini interessati alla ripartizione, e, quindi, l’interezza di tale importo» (vedi Cass. civ., sez. II, 13 novembre 2007, n. 23559, rel. Atripaldi; in senso cfr. Cass. civ. Sez. II, 05/04/2004, n. 6617, rel. Settimy e Cass. civ. Sez. II, 13-06-1994, n. 5726, rel. Trombetta).

A parere di chi scrive, tale cambiamento della giurisprudenza è proba-bilmente riconducibile anche alla necessità di rendere la giustizia più ac-cessibile al singolo condomino, tutelandone in modo più efficace il diritto di difesa.

Infatti, nell’ultimo decennio le condanne alle spese di lite nelle cause civili (ancorate al disputatum in caso di rigetto della domanda) sono au-mentate sensibilmente. Ad esempio, nel caso di un giudizio dal valore “in-determinabile” (quale spesso è una delibera condominiale) applicando il tariffario medio il rischio condanna spese di lite è quantificabile in circa euro 10 mila, oltre accessori.

Ne consegue che far corrispondere il valore dell’intero riparto deliberato al valore della causa, comporterebbe un rischio condanna alle spese di lite sproporzionato rispetto al diritto in concreto esercitato dal condomino (il più delle volte riconducibile a una sola voce del riparto e a un valore con-tenuto).

Da ultimo si rileva che, con riferimento alla giurisprudenza milanese (cui, ovviamente la FEDERPROPRIETÀ Milano presta particolare attenzio-ne), sul punto è stato trovato un solo precedente risalente dell’anno 2009 (e conforme all’orientamento dell’epoca): «Per l’individuazione del giudi-ce competente si ha riguardo al "valore" della delibera impugnata e quin-di all'ammontare dell'intero riparto di spesa deliberato (cfr. Cass. Sez. II, 15.12.1999 n. 14078), ancorché in ipotesi sia contestata una sola voce di importo modesto» (V. Trib. Mi., sez. XIII civ., 2 novembre 2009, giudice Macchi).

Avv. F. Pizzagalli, avv. N.A. Maggi, FEDERPROPRIETÀ Milano

la PROPRIETÀ edilizia • Ottobre 2018 | 39

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Può succedere di scegliere un’impresa per la manu-tenzione delle parti comuni dello stabile soltanto per-

ché offre il prezzo più basso, così prescindendo dalla serietà e dalla professionalità del soggetto incari-cato, e disinteressandosi delle ga-ranzie che offre in materia di sicu-rezza.

Si rischia, però, di “pagare cara” tale opzione, sicuramente vantag-giosa sul versante economico, rim-piangendo di non aver preferito spendere di più in quell’occasione, e la fattispecie, decisa di recente da Cass. pen., sez. IV, 21 settembre 2017, n. 43452, ne rappresenta un’indiretta conferma.

Nello specifico, è stato un am-ministratore di condominio a farne le spese atteso che egli, sia pure con la “complicità” di un condomino, ma agendo con estrema (e imper-donabile) leggerezza, è stato rite-nuto responsabile del reato di omi-cidio colposo.

Il processo penale giungeva in sede di legittimità, perché la Corte d’Appello – in riforma della senten-za emessa dal G.U.P. del Tribunale all'esito del giudizio abbreviato condizionato, che aveva assolto lo stesso amministratore dal reato di cui sopra – aveva ribaltato il verdet-to di prime cure, dichiarando quest’ultimo responsabile del fat-to-reato e, per l’effetto, condan-nandolo al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

In particolare, all'imputato («quale amministratore di condo-minio e committente dei lavori»), e al suddetto condomino («quale procacciatore del lavoro e di mate-riale e fornitore delle attrezzature utilizzate»), si addebitava di avere cagionato la morte di uno sfortuna-to operaio, deceduto precipitando al suolo dal terrazzo del fabbricato, a causa del mancato allestimento di opere provvisionali per la preven-zione della caduta dall'alto e per il mancato impiego di cintura di sicu-rezza con apposita fune di trattenu-ta.

I profili di colpa segnatamente contestati nel capo di accusa atte-nevano, quanto all’amministratore, all’omessa verifica dell'idoneità tecnico-professionale del suddetto operaio in relazione ai lavori com-missionati ed affidati a quest’ulti-mo nonché all’omessa predisposi-zione in fase di progettazione di un documento di valutazione dei rischi indicante le misure adottate per eli-minarli (artt. 90, commi 1 e 9, lett. a, e 26, comma 3, del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81); e, riguardo al coimpu-tato, nella qualità di procacciatore e, quindi, di datore di lavoro, all'a-vere omesso di fornire al lavoratore attrezzature idonee a garantire ed a mantenere condizioni di lavoro si-cure ed a prevenire il rischio di ca-dute dall'alto (art. 111 del citato d.Igs. n. 81/2008).

Essendo pacifico che l’operaio era deceduto a seguito della caduta dall'altezza di circa 10 metri da un

lastrico solare condominiale men-tre stava eseguendo lavori di manu-tenzione ordinaria con una smeri-gliatrice, la struttura argomentativa della sentenza di primo grado era essenzialmente incentrata sulla ri-tenuta insufficienza delle prove in ordine all'affidamento dell'incarico di pulire il terrazzo da parte degli imputati.

Di contro, il ribaltamento della sentenza assolutoria – appellata dalle parti civili – derivava dal rico-noscimento, per opera della Corte territoriale, in capo all'ammini-stratore di condominio della “posi-zione di garanzia” derivante dall'essere lo stesso committente dei lavori per avere affidato gli stes-si all'infortunato.

Deponevano soprattutto in tal senso le dichiarazioni testimoniali: a) del coimputato, condomino ma anche dipendente di altra ditta ope-rante nel settore edile, che aveva dichiarato di avere svolto il ruolo d’intermediario con l'amministra-tore condominiale; b) del titolare di altra ditta, che aveva riferito di es-sersi recato nell'ufficio dell’ammi-nistratore, il quale aveva proposto l'importo di € 1.500,00 per l'esecu-zione dei lavori; c) di altro condomi-no, il quale aveva evidenziato che, «per l'armonia esistente tra i con-domini» (sic!), in genere non veni-vano convocate assemblee per deli-berare riguardo ai lavori di ordinaria amministrazione.

Per concludere – ad avviso dei

La sicurezza “fai da te” può costare molto cara

MANUTENZIONE DEL CONDOMINIO E TUTELA ANTINFORTUNISTICA

Alberto Celeste*

L’affido di lavori in quota, senza le protezioni di legge, a un operaio non sufficientemente qualificato si è trasformato in tragedia, con un morto e una condanna per omicidio colposo

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giudici di appello – era risultato che l’amministratore condominiale, evidentemente per ottenere «l'e-secuzione dell'opera a un basso co-sto», aveva affidato i lavori di cui sopra all’operaio poi infortunatosi.

Risultando pacifico che quest’ul-timo aveva perso la vita a seguito di una caduta dal terrazzo, ove stava eseguendo lavori di manutenzione ordinaria, si è accertato che l'evento era stato causalmente riconducibile all'incarico svolto in un sito collo-cato ad una certa altezza dal suolo e, quindi, in condizioni di obiettivo pericolo per l'incolumità del lavo-ratore, non essendo peraltro emer-so in alcun modo che causa della ca-duta fosse stata una condotta “ab-norme” del lavoratore in-fortunato, suscettibile, come tale, di interrompe-re il nesso eziologico.

Tanto più in questo ca-so doveva essere rilevante l'obbligo dell’ammini-stratore condominiale di verificare, in via preven-tiva antinfortunistica, le modalità e i mezzi di lavo-ro, in quanto l'incarico era stato affidato infor-malmente a un operaio in stato di disoccupazione, e non a un'impresa regolarmente iscritta nel registro della Camera di commercio.

Pertanto, incombeva sull’impu-tato l'obbligo di cui all'art. 90, com-ma 9, lett. a), del d.lgs. n. 81/2008, e, al contempo, sempre quale datore di lavoro committente incombeva anche, ai sensi dell'art. 26, comma 3, dello stesso decreto legislativo l'obbligo di elaborare in fase di pro-gettazione un documento per la va-lutazione dei rischi indicanti le mi-sure adottate per eliminarli.

In materia di infortuni sul lavo-ro, in caso di lavori svolti in esecu-zione di un contratto di appalto o di prestazione di opera, si è affermato che il committente, anche quando non si ingerisce nell'esecuzione, ri-mane comunque obbligato a verifi-

care l'idoneità tecnico-professio-nale dell'impresa e dei lavoratori autonomi scelti in relazione ai lavo-ri affidati (v., per tutte, Cass. pen., sez. IV, 15 luglio 2014, n. 44131).

Tale conclusione risulta, però, attenuata da una precedente pro-nuncia (v. Cass. pen., sez. IV, 30 gennaio 2012, n. 3563), secondo cui, in tema di prevenzione degli infor-tuni sul lavoro, il dovere di sicurez-za, riguardo ai lavori svolti in esecu-zione di un contratto di appalto, è riferibile, oltre che al datore di lavo-ro – di regola l'appaltatore, desti-natario delle disposizioni antinfor-tunistiche – anche al committente; tale principio non può, però, appli-carsi automaticamente, non poten-

do esigersi dal committente un con-trollo pressante, continuo e capilla-re sull'organizzazione e sull'anda-mento dei lavori, sicché, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, occorre verificare in concreto quale sia stata l'inci-denza della sua condotta nell'ezio-logia dell'evento, a fronte delle ca-pacità organizzative della ditta scel-ta per l'esecuzione dei lavori, consi-derando la specificità degli inter-venti da eseguire, i criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore, la sua inge-renza nell'esecuzione dei lavori og-getto di appalto, nonché l’agevole e immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pe-ricolo.

Ciò trova indiretta conferma nel successivo arresto (v. Cass. pen.,

sez. III, 15 ottobre 2013, n. 42347), secondo cui l’amministratore, che stipuli un contratto di affidamento in appalto di lavori da eseguirsi nell'interesse del condominio, può assumere, ove la delibera assem-bleare gli riconosca “autonomia di azione e concreti poteri decisiona-li”, la posizione di committente, come tale tenuto all'osservanza de-gli obblighi di verifica dell’idoneità tecnico professionale dell’impresa appaltatrice, di informazione sui ri-schi specifici esistenti nell'ambien-te di lavoro nonché di cooperazione e coordinamento nell’attuazione delle misure di prevenzione e pro-tezione.

Resta fermo che è titolare di una “posizione di garanzia” nei confronti del lavora-tore il proprietario (com-mittente) che affida lavori edili in economia a un la-voratore autonomo di non verificata professionalità, e in assenza di qualsiasi apprestamento di presidi anticaduta, pur a fronte di lavorazioni in quota supe-riore a 2 metri (v. Cass. pen., sez. IV, 1 dicembre 2010, n. 42465).

In quest’ordine di concetti, il su-premo collegio penale ha eviden-ziato che la Corte territoriale aveva correttamente ritenuto – fornendo al riguardo adeguata motivazione – che l’amministratore: a) aveva dato in effetti incarico alla vittima di svolgere lavori condominiali, b) non aveva verificato in alcun modo la formazione, le competenze e l'ido-neità tecnico-professionale dell'o-peraio, e c) non aveva adottato, no-nostante si trattasse di lavori so-stanzialmente in quota, nessun tipo di precauzione, stante che la morte doveva rinvenirsi nella precipita-zione dall'alto (10 metri) del lavora-tore, che stava svolgendo lavori nell'interesse del condominio sen-za alcuna cautela antinfortunistica.

* Magistrato

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Con la recente ordinanza in-terlocutoria n. 28437 del 28 novembre 2017, la III Sezio-ne della Corte di Cassazio-

ne ha investito le Sezioni Unite per decidere sulla liceità, o meno, di un accordo traslativo di natura fiscale inserito in un contratto di locazione a uso diverso da quello abitativo.

Il coinvolgimento del massimo organo di nomofilachia è stato giusti-ficato alla luce degli elementi dubbi circa la corretta ricostruzione giuridi-ca della fattispecie, considerata, per un verso, la risalenza nel tempo de-gli interventi dei giudici di legittimità (anche nella massima composizione) e valutata, per altro verso, la notevole valenza nomofilattica della questio-ne, in quanto correlata alla diretta precettività dell'art. 53 Cost., per la cui lettura evolutiva potrebbe inci-dere pure il nuovo quadro sistemico come discendente dai tratti inseriti nello Statuto del contribuente.

La causa prendeva le mosse da una domanda, proposta dal conduttore, volta alla condanna del locatore alla restituzione di quanto il primo aveva corrisposto al secondo in forza della clausola del contratto di locazione in-ter partes (avente a oggetto un centro commerciale) così formulata: «Nel corso dell'intera durata del presente contratto, il conduttore si farà carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati, tenendo conseguente-mente manlevato il locatore relativa-mente agli stessi».

Entrambi i giudici di merito ave-vano rigettato tale domanda, in buo-na sostanza, ritenendo l'incidenza esclusiva sulla regiudicanda della normativa dettata per i contratti di affitto di immobili non abitativi, sen-za che avesse rilievo alcuno la trasla-zione dell'imposta, atteso che, con la clausola de qua, non si prevedeva un obbligo diretto verso il fisco del

conduttore per quanto concerne le imposte che variamente gravavano sull'immobile, ma si prevedeva che esso si facesse carico, nei confronti del locatore, dei relativi oneri.

Si argomentava, altresì, che, nel contratto in esame, le parti, sia pure con due distinte clausole, avevano voluto determinare il canone locativo in due diverse componenti, rappre-sentate l'una espressamente quali-ficata come tale e oggetto di un’altra distinta pattuizione, e l'altra come componente integrante tale misura, costituita dalla pattuizione specifi-camente oggetto della suddetta do-manda di nullità, osservando – tra l’altro – che la fatturazione del rim-borso degli oneri per imposte senza contestuale imputazione dell'Iva non sembrava comportare una prova che si trattasse di un mero rimborso svin-colato dal canone e, quindi, costituire un ingiustificato vantaggio per il lo-catore.

Il conduttore aveva, quindi, pro-posto ricorso per cassazione, de-nunciando soprattutto la violazione dell'art. 1418, comma 1, c.c. (secon-do cui «il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative»), in riferimento all'art. 53 Cost. (in base al quale «tutti sono tenuti a concor-rere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva»), in collegamento con l'art. 2 Cost. (che richiede «l’adempimento dei dove-ri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»).

Nello specifico, si opinava che la suddetta clausola statuirebbe una traslazione di imposta dal locatore al conduttore, e avrebbe errato il giu-dice distrettuale nel ritenere che le clausole di un contratto di affitto di immobili non abitativi, che non pre-vedano un obbligo diretto del condut-tore verso il fisco di pagare le imposte gravanti sull'immobile, ma soltanto

un obbligo dello stesso conduttore verso il locatore di sostenere il rela-tivo onere, fossero compatibili con il precetto costituzionale invocato.

In altri termini, una clausola avente a oggetto la traslazione pa-lese di un'imposta dovrebbe dichia-rarsi nulla per violazione dei suddetti precetti costituzionali non solo se diretta a sottrarre il debitore al suo obbligo tributario, ma altresì qualora non risulti inclusa nel corrispettivo negoziale, ponendosi invece a fianco di un sinallagma già perfetto e aven-do a oggetto il tributo in quanto tale anzichè una quota del corrispettivo sinallagmatico.

La clausola in questione sarebbe proprio estranea al sinallagma del contratto di locazione commerciale, già pervenuto a perfezione median-te il canone – corrispettivo del godi-mento del bene – per cui graverebbe il conduttore di un costo, riguardante sì il bene ma distinto dal canone loca-tizio; canone che, peraltro, nel caso in esame, sarebbe stato predeterminato con apposita pattuizione e non emer-gerebbe una volontà delle parti di in-serire la clausola denominata “tasse" allo scopo di integrare il canone.

La clausola in oggetto avrebbe, quindi, a oggetto direttamente il tri-buto (e non una somma di pari im-porto), come dimostrerebbe pure la condotta del locatore, che aveva sem-pre “rifatturato” al conduttore i tri-buti che aveva pagato come rimbor-so di somme meramente anticipate per suo conto – e in quanto tali non le aveva assoggettate all'Iva – come se il tributo gravasse direttamente sullo stesso conduttore; la medesima clausola, pertanto, generante fattu-re di rimborso spese anziché fatture per ricavo o per reddito, sarebbe nulla perché porrebbe l'imposta patrimo-niale, anche se corrisposta al fisco dal locatore, in realtà sul conduttore, così

Traslazione convenzionale di imposta e sinallagma del contratto di locazione

AFFITTO DI IMMOBILI NON ABITATIVI

Alfred Bianco*

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da garantire per tale imposta al medesimo locatore una “neutralità fiscale”.

Di contro, viene richiamato l'art. 8, comma 2, della legge n. 212/2000 (c.d. Statuto del contribuente), il quale stabilisce, che è «ammesso l'accollo del debito d'impo-sta altrui senza liberazione del contribuente originario», esplicitamente ammettendo la negoziabilità del debito di imposta con l'unico limite posto all’autonomia privata consistente nell'impossibilità di liberare, tramite l'ac-collo, l'originario contribuente: l'accollo dell'imposta sa-rebbe valido, dunque, quando la sua efficacia rimane inter partes, poiché non potrebbe invece liberare chi ha un ob-bligo attribuitogli dalla legge.

La questione sottoposta al Supremo Collegio concer-ne, dunque, la sussistenza o meno di un limite all'auto-nomia negoziale – che, se sussistesse, sarebbe presidiato dalla nullità – riguardo a un accordo di traslazione di im-posta patrimoniale posto in una scrittura contenente un contratto locatizio a uso non abitativo, ossia a prestazioni corrispettive, accordo però estraneo al sinallagma con-trattuale locatizio.

Il nucleo della questione s’identifica, pertanto, nel quesito se l'obbligo costituzionalmente rilevante di con-correre alle spese pubbliche in ragione della propria ca-pacità contributiva abbia un significato esclusivamente “oggettivo”, nel senso di obbligo di adempiere a quanto sia giustificato dalla capacità contributiva, oppure anche “soggettivo”, nel senso che l'adempimento debba esse-re compiuto, non solo oggettivamente in modo comple-to, ma altresì dal soggetto che per legge ne ha l'obbligo, escludendosi il trasferimento dell'obbligo a un soggetto diverso.

Considerando che l’art. 53 Cost. – la cui natura è sta-ta da tempo riconosciuta come imperativa, e quindi come direttamente precettiva – occorre chiarire se, a parte le ipotesi in cui vi siano espressi divieti di traslazione da par-te di specifiche norme tributarie, sull'individuazione del soggetto passivo dell'imposta possa incidere l'autonomia negoziale privata, neutralizzando così gli effetti della ca-pacità contributiva.

Al riguardo, i magistrati di piazza Cavour hanno com-piutamente perimetrato la problematica, passando in ras-segna la giurisprudenza (anche comunitaria) e la dottrina che si sono occupate della questione.

A ben vedere, la giurisprudenza di legittimità ha esa-minato – con esiti non sempre collimanti – il problema, da un lato, dovendo considerare il rilievo di norme speci-fiche sulla validità di simili accordi, e, dall'altro, dovendo fronteggiare le varie ipotesi in cui l'accordo traslativo del debito di imposta viene a inserirsi in un più ampio quadro negoziale, in cui sussista pure un contratto tipico a presta-zioni corrispettive; il che, ineludibilmente, ha reso neces-sario individuare se, nei casi in esame, si trattava di una “compresenza” (e, quindi di un accordo autonomo anche se materialmente racchiuso in un unico documento nego-ziale, accordo la cui autonomia impediva altresì la quali-ficazione come misto del contratto, non essendo questo unico), o di una “essenza” (ovvero se l'accordo traslativo costituiva un componente del sinallagma di un unico con-

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tratto, e precisamente un elemento annoverabile tra quelli realizzanti la sua corrispettività.)

Nello specifico, la questione è stata affrontata da due interventi tra loro non conformi delle Sezioni Unite, am-bedue ormai ben risalenti (v., in particolare, sent. nn. 6445/1985 e 3935/1987), e riverberatasi, poi, su una varie-gata giurisprudenza delle Sezioni semplici.

La stessa questione rimane estranea alla normati-va comunitaria, in quanto discendente esclusivamente dall'incidenza dell'art. 53 Cost. quale norma in via diretta precettiva sull'autonomia negoziale, incidenza che deri-verebbe da un’identificazione della voluntas legis propria della disposizione costituzionale che investa non solo l'e-lemento oggettivo, ma altresì l'elemento soggettivo per determinare il significato della capacità contributiva: in-vero, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, anche con recenti pronunce, ha confermato in sostanza che l'accordo di traslazione fiscale, di per sé, non fa ingresso nelle que-stioni che sortiscono dal diritto comunitario nel suo rap-porto con il diritto interno.

Anche la dottrina, a sua volta, non si è rivelata compat-ta sull’argomento.

La tesi maggioritaria è orientata nel senso di esclude-re che, a livello costituzionale, vi sia compressione alcuna dell'autonomia negoziale dei privati sulle modalità di re-perimento dei mezzi finanziari per adempiere all'obbligo di solidarietà ex art. 2 Cost, e che comunque lo stesso art. 53 Cost. non abbia alcuna incidenza sui rapporti privati-stici, in quanto tali appunto rimessi all'autonomia nego-ziale delle parti, insindacabile sotto il profilo della regola-mentazione economica, salvi i limiti previsti da specifiche norme.

Altra opinione avverte, invece, che, in tal modo, si ri-dimensionerebbe la ratio dell'art. 53, riducendo il concorso delle spese pubbliche in base alla capacità contributiva a una regola meramente formale diretta a stabilire il pre-supposto e il contenuto delle obbligazioni tributarie, ri-mettendo alle libere regole del mercato l'individuazione del sacrificio economico effettivo dei singoli contribuenti.

A tutto ciò si aggiunga che è sceso in campo, come fonte di norma generale, il c.d. Statuto del contribuente, ossia la legge n. 212/2000 (in particolare, l’art. 8, com-ma 2, sopra riportato), cui adde, per completezza e da ul-timo, il d.lgs. n. 128/2015, che ha inserito l'art. 10-bis, il cui comma 1 stabilisce che l'abuso del diritto consiste in «una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti», operazioni che sono quindi inopponibili all'erario, e il comma 2 fornisce il contenuto delle definizioni su cui si impernia il preceden-te capoverso, cioè le «operazioni prive di sostanza econo-mica» (che sono quindi «i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali», essendone indice, tra l'altro, «la non conformità dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato»), nonché i «vantaggi fiscali indebiti» (ovvero «i benefici, anche non immediati, rea-lizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario»).

* Esperto tributario

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Nel 1984 Mondadori pubblicò un’edizione speciale del romanzo che George Orwell scrisse nel 1948 e che inti-

tolò, mutando l’ordine delle cifre, ap-punto 1984, e ne affidò l’introduzione a Umberto Eco. La tesi del semiologo di Alessandria era che nessuna delle negative previsioni dello scrittore in-glese si fosse avverata. Tesi sbagliata allora e ancor più oggi, a distanza di trentacinque anni quando risultano aggravate e radicalizzate alcune si-tuazioni allora soltanto ipotizzate.

Come si sa, quella di Orwell era un’antiutopia, o distopia come si pre-ferisce dire oggi, cioè il “peggiore dei mondi possibili” le cui avvisaglie e ra-dici egli vedeva nel mondo uscito dal-la seconda guerra mondiale. Il mondo da lui immaginato per il 1984 raffigura invece una delle più radicali dittature mai pensate: vediamone alcuni aspet-ti la cui previsione è sconcertante ed eclatante.

Sul piano internazionale il mondo di 1984 immagina alcuni blocchi con-tinentali di potere e di nazioni che non potendosi scontrare direttamen-te in un conflitto globale e apocalitti-co, si confrontano settorialmente, e spesso per interposta persona, in li-mitati conflitti locali anche se deva-stanti. È quanto sappiamo avvenuto durante la “guerra fredda”, ma è un sistema che vige ancora oggi, dove gli scontri regionali con “delega” delle superpotenze, si moltiplicano ma si esauriscono in loco senza espandersi.

Ma non è questo l’aspetto certa-

mente più clamoroso di quanto scritto da Orwell, bensì almeno altri due su un piano “privato” che ci riguarda tutti direttamente.

La società del Grande Fratello (nel senso di fratello maggiore, quello che si preoccupa di noi) è una società ipercontrollata attraverso visori po-sti per ogni dove, comprese le abita-zioni private, dove non esiste dunque intimità e riservatezza (concetto ri-preso dall’omonimo programma te-levisivo). E non è forse proprio quan-to succede oggi, non per opera di una Dittatura, bensì grazie alla Democra-zia, non solo disseminando di teleca-mere il territorio per il nostro bene e sicurezza (ci siamo ormai abituati), ma adesso soprattutto attraverso le grandi società mediatiche come Fa-cebook, Amazon e Google? Il recente scandalo internazionale del “furto dei dati personali” di milioni di uten-ti lo dimostra. Non solo. Il controllo individuale oggi può avvenire assai più semplicemente attraverso gli smartphone e le loro innumerevoli applicazioni. Questi sono ormai veri computer tascabili che ti seguono ovunque, ti segnalano ovunque, ti controllano ovunque. Per essere in-dipendente da loro non basta spe-gnerli, non devi averli con te, è me-glio lasciarli altrove. E ovviamente nessuno lo fa: basta andare su un mezzo pubblico e guardare intorno giovani e vecchi che viaggiano con te…

Non c’è dunque un solo Grande fratello ma innumerevoli Grandi Fra-

telli che ti controllano sempre e ovunque, e sanno tutto di te. E, cosa peggiore rispetto alla distopia orwel-liana, grazie alla tua collaborazione, con il tuo consenso. A dispetto delle conclamate leggi in difesa della co-siddetta privacy, l’ostentazione di se stessi, la messa in mostra, la voglia di raccontare tutto della propria vita e delle proprie faccende intime è trop-po forte ed è stata potenziata da que-sti marchingegni. Inutile poi lamen-tarsi che avvengano fatti terribili e tragici se si è portati a fare di FB o di Whatsapp una specie di diario pub-blico e in pubblico.

Ma, a mio parere c’è un’altra pre-visione di Orwell che si è avverata nel modo peggiore. Il protagonista del suo romanzo lavora al Ministero della Verità che ha il compito di adeguare libri, giornali, testi e immagini, alle sempre nuove verità ideologico-po-litiche dello Stato e del Partito. Sic-ché di punto in bianco personaggi scompaiono da libri di storia ed enci-clopedie, fatti scomparire dalle foto, o eventi acclarati cambiano versione. Le stesse parole mutano di senso: Pace vuol dire Guerra, ad esempio. E noi oggi non siamo abituati alle guer-re che sono operazioni umanitarie? È la Neo-lingua, è il Bis-pensiero di Orwell. E non ci vediamo imporre, grazie alla propaganda dei mass me-dia o di particolari lobby culturali la modifica del valore delle parole? E al-cune di esse non ci vien detto che non si devono più utilizzare perché ormai in alto loco si è deciso che sono “of-fensive” o “inappropriate in toto” o “inappropriate” nei confronti di al-cune “minoranze”? Termini che una volta erano considerati usuali e asso-lutamente non offensivi, ma solo de-scrittivi non si potrebbero più usare – pensiamo a pellerossa, zingaro, negro – a rischio di discredito sociale per chi le scrive o pronuncia anche senza voler dir male di nessuno.

È un condizionamento dettato da innumerevoli Grandi Fratelli che di-mostrano come George Orwell avesse avuto profeticamente ragione set-tanta anni fa.

Gianfranco de Turris

Orwell aveva ragioneCONTROCORRENTE

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COSTUME

È di qualche giorno fa la notizia che un quindicenne, nel mi-lanese, è morto cadendo nel tubo di aerazione di un centro

commerciale di cui aveva improvvida-mente scalato il tetto. Il risultato della bravata è stato un volo di più di trenta metri che gli è costato la vita.

La cosa che più sconcerta in questa storia tragicamente banale d’inco-scienza adolescenziale è il fine che nel-la mente del ragazzino doveva avere l‘”impresa”, ovvero scattarsi un selfie con lo smartphone e postarlo sui so-cial network. Già questa sequela di termini stranieri offre un quadro signi-ficativo della realtà in cui si muovono i giovanissimi (e non solo loro) nei tem-pi odierni. Una realtà fatta di morbosa condivisione di ogni aspetto della pro-pria vita con un pubblico virtuale.

Il gesto del ragazzo, in sé non stupisce: gli adolescenti sono portati a sottovalutare i pericoli, a mettersi in mostra inscenando bravate spet-tacolari. Secondo recenti studi è la struttura del loro cervello che gli im-pedisce gli valutare la portata del ri-schio. Forse, più semplicemente, es-sendo la morte così lontana dal loro orizzonte, non è nemmeno presa in

considerazione come eventualità.

Certamente non può essere consi-derata normale la smania di esibirsi che pervade la condotta di tanti ra-gazzi: sembra che per loro il mondo sia un’immensa platea alla quale offrire lo spettacolo di se stessi, con moltissimi spettatori che sono lì pronti a giudicare, a esprimere apprezzamento o, al con-trario, biasimo o disprezzo.

Naturalmente è l’ammirazione che essi inseguono, e cercano di ottenerla ad ogni costo. Nel mondo virtuale non conta la verità, il valore reale, ma la capacità di attirare consenso, compli-menti, visibilità, attenzione e, perché no, invidia. Il meccanismo generato dai

social network è, per questo motivo, perverso; porta le persone a drogarsi di consenso per poi farle rimanere inap-pagate, a tirare fuori il peggio della propria natura: la vanità, il narcisismo, l’invidia, l’aggressività, la competi-zione sfrenata. Tutto è esasperato. E le conseguenze peggiori le subiscono gli adolescenti, che per questioni di ana-grafe non possiedono il bagaglio di esperienze che portano alla costruzione di un’identità forte.

Qualcuno dovrebbe spiegare con chiarezza a questi ragazzi che il proprio valore non si soppesa attraverso il con-senso altrui, non si percepisce median-te il conteggio di quanti ti seguono sui social. La percezione del proprio valore è prima di tutto un fatto personale che ha a che fare con il quotidiano sforzo di coltivare i propri talenti e le proprie passioni nel mondo reale, qualunque essi siano, nel rispetto degli altri e di sé, con appagamento e soddisfazione. Oc-corre che essi abbiano chiaro in mente che chi vive per ottenere ammirazione e invidia da parte degli altri è un per-dente perché, cercando continuamente nel prossimo il riflesso della propria immagine, mostra di essere una perso-na che, messa da sola di fronte ad uno specchio, vede il nulla.

Maria Giulia Stagni

Morte da selfie

Consigliamo le principali mostre d'arte in corso in Italia

Milano, Mudec: Paul Klee dal 26 settembre 2018 al 27 gennaio 2019

Venezia, Palazzo ducale: Tintoretto dal 7 settembre 2018 al 6 gen-naio 2019

Padova, Palazzo Zabarella: Gauguin e gli impressionisti dal 29 set-tembre 2018 al 27 gennaio 2019

Roma, Terme di Diocleziano: Giacometti dal 28 settembre al 20 gen-naio 2019

Caserta,Reggia: Modigliani dal 4 maggio 2018 al 31 ottobre 2018

Palermo,Museo archeologico: Antonello da Messina da ottobre 2018

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In concomitanza con il Festival-Letteratura è in svolgimento a Mantova, nel Palazzo della Ragione, fino al 3 febbraio

2019, la rassegna dedicata a Marc Chagall (Vitebsk 1887 – Saint-Paul-de-Vence 1885), curata da Gabriella Di Milia, con la collaborazione della casa editrice Electa.

Nella mostra è eccezionalmente presente il ciclo completo dei 7 te-leri dipinti da Chagall nel 1920 per il Teatro ebraico da camera di Mosca: opere straordinarie che rappresen-tano il momento più rivoluzionario e meno nostalgico del suo percorso artistico. I teleri costituiscono un prestito speciale della Galleria di Stato Tretjakov ed è di rara presenza in Italia: sono stati esposti a Milano nel 1994 e a Roma nel 1999, dopo le esposizioni del 1992 al Guggenheim di New York e del 1993 al The Art In-stitute di Chicago. Ha ricordato il sindaco della città del poeta latino Virgilio che il Palazzo della Ragione «è un luogo straordinario che, dopo un lungo restauro è tornato al suo splendore originario di sontuoso edificio comunale medievale, co-struito nel 1250 e divenuto poi sede podestarile nel ‘400».

La mostra è occasionata da un’importante esposizione d’arte attuale («Come nella pittura, così nella poesia») ed evoca il magico mondo dell’anima di un artista, in-sieme popolare e raffinato, che ci ha dato una sintesi della favolistica russa e della tradizione talmudica, senza trascurare il mondo spirituale della Bibbia: mondo che secondo l’affermazione dell’artista «mi è sempre sembrata la più grande fon-te di poesia di ogni tempo … è come una risonanza della natura, e questo segreto io ho cercato di tramutarlo … Se ogni vita va inesorabilmente

Marc Chagall a Mantovaverso la fine, dobbiamo colorarla durante la nostra strada con i nostri colori di amore e di speranza … Nell’Arte come nella vita, tutto è possibile se, alla base, c’è l’Amo-re». Infatti, nei suoi segni (una gra-fia centrifuga), come nella pittura (una gamma ridotta di colori: il blu, il giallo e l’ocra), Chagall ha espres-so la semplicità usuale del quotidia-no, resa con serena immobilità, a volte coinvolgendola nell’atto di planare in superficie le deformazio-ni tensive proprie della grafia espressionista.

In effetti, Chagall, che «non tol-lerava il naturalismo», come egli scrisse nelle memorie parigine del 1922, non accettava i sintomi dram-matici delle arti, espressi dall’avan-guardia nel secolo che nasceva, mentre a Torino la notte della ra-gione calava sull’autore di Zarathu-stra, Marinetti lanciava da Milano i manifesti contro corrente per i “mistici dell’azione” ed Ezra Pound da Venezia ricordava ai poeti di ren-dere «forti i sogni, perché il mondo non perda coraggio».

Al contrario, il poeta e il pittore del Teatro ebraico da Camera di Mo-sca, che erano lo stesso autore dei 7 teleri, sdrammatizzava i valori oni-rici dei sogni in una nuova festa del-la realtà, stravagante paradossale. Non accettava i canoni e i dogmi, a bella posta confondeva il vecchio e il nuovo testamento, dipingendo sia le finestre per la Sinagoga di Geru-salemme, sia le vetrate delle catte-drali cattoliche (G. di San Lazzaro). D’altra parte Chagall non conside-rava le regole del sorgente dogma comunista. «La mia conoscenza del marxismo – diceva con candore e non tono polemico – si limitava a sapere che Marx era ebreo e che portava una lunga barba bianca».

Come ha ricordato la curatrice nell’introduzione della mostra: Chagall era «un personaggio cari-smatico e originale, personalizzò i linguaggi e i messaggi con cui venne a contatto. Come il cubismo, che egli trovava però troppo realistico e che colorò di elementi onirici e fan-tastici, trasformando oggetti e per-sone in qualcosa di nuovo e scono-sciuto». Sicché divenne un autore «capace più di ogni altro di far so-gnare grandi letterati e scrittori del suo tempo, stringendo amicizia con i grandi nomi, come i poeti Guillau-me Apollinaire e Paul Eluard, che divennero suoi grandi amici, lo scrittore André Malraux e il collega Max Ernst».

Il Venturi ha sostenuto che «Chagall è un artista classico, per-ché non ne sovverte lo spirito», trovando i canali comunicanti, se-condo il rilievo del Contini, con il simbolismo, l’alcionismo dannun-ziano e le melopee di Pascoli, attra-verso Ungaretti, Buzzi e Campana. All’età di 82 anni gli chiesero qual era stato il suo giudizio sui muta-menti dei valori dell’arte, e lui ri-spose: «Con l’avanzare dell’età vedo sempre più chiaro ciò che è giusto e ciò che era errato nella strada percorsa, e come sia ridicolo tutto ciò che non si raggiunge con il proprio sangue e con la propria ani-ma, tutto ciò che non è compene-trato da amore. Tutto nella vita e nell’arte si può cambiare, e si cam-bierà se noi senza vergogna pro-nunciamo la parola amore … In essa è la vera arte: questa è la mia tecni-ca, la mia religione, la nuova e anti-chissima religione che ci è stata tra-mandata dai tempi più lontani».

* Critico d’arte

MOSTRE

Luigi Tallarico *

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Nel prospetto che segue sono riportate le variazioni percentuali, annuali e biennali, dell’indice Istat, da valere per gli aggiornamenti dei canoni locatizi.

MAGGIO2016 2017 2018

Rispetto al 2015 Rispetto al 2014 Rispetto al 2016 Rispetto al 2015 Rispetto al 2017 Rispetto al 2016V.% tot. = -0,40V. 75% = -0,30

V.% tot. = -0,50V. 75% = -0,375

V.% tot. = 1,40V. 75% = 1,05

V.% tot. = 1,00V. 75% = 0,75

V.% tot. = 0,90V. 75% = 0,675

V.% tot. = 2,30V. 75% = 1,725

COME PAGARE I CONTRIBUTI

Tramite MAV - Il MAV fornito dall’INPS non comprende il versamento ad Ebilcoba. Per ottenere il rimborso della malattia della Colf e/o Badante e tutti gli altri impor-tanti vantaggi che offre il nostro contratto il datore di lavoro deve riprodurre ogni trimestre un nuovo MAV dal sito internet www.inps inserendo il codice E1 applican-do la seguente procedura:

1) servizi on line: per tipologia di utente; cittadino.

2) pagamento contributi lavoratori domestici: paga-mento di un singolo o più rapporti di lavoro; inserimen-to del codice fiscale del datore di lavoro e del codice di rapporto di lavoro; cliccare su “modifica”; inserire nel campo “c.org” il codice E1; inserire l’importo risultan-te dalla moltiplicazione di 0,03 per le ore lavorate nel trimestre.

METODI DI PAGAMENTO ALTERNATIVI

Online sul sito www.inps.it - Selezionare nel campo “codice orga-nizzazione” il codice “E1” e inserire l’importo risultante dalla mol-tiplicazione di 0,03 per le ore lavorate nel trimestre.Con Home Banking - Se si dispone del servizio di Banca via internet, accedere alla sezione “conto on line” >pagamenti > contributi INPS selezionando nel campo cod. org E1” ed inserire l’importo risultante dalla moltiplicazione di 0,03 per le ore lavorate nel trimestre.

IMPORTANTI AGEVOLAZIONI FISCALI

Il datore di lavoro che versa regolarmente i contributi per colf e ba-danti puo’ usufruire delle seguenti agevolazioni fiscali: 1) deduzione dal reddito dei contributi versati per un importo massimo 1.549,37 2) detrazione dall’imposta lorda del 19% delle spese sostenute in caso di assunzione di un lavoratore addetto all’assistenza di persone non autosufficienti (badante) per un importo massimo di 2.100 euro.

Assistenza telefonica 24/24allo 0642746977o [email protected]

FIRMATO IL NUOVO CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE CHE AMPLIA LE TUTELE E OFFRE SEMPRE MAGGIORI GARANZIE AI DATORI DI LAVORO ED AI LAVORATORI ED AL QUALE LA FONDAZIONE DEI CONSULENTI DEL LAVORO HA FORNITO LA PROPRIA VALIDAZIONE GIURIDICA

“La Fondazione Studi ha esaminato la parte normativa del presente contratto e la ritiene coerente con il quadro giu-ridico di riferimento e non sono stati oggetto di valutazione i profili di rap-presentanza e gli effetti del presente contratto.”

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