GENNARO SASSO, Glosse marginali di Giovanni Gentile a...

74
IX GLOSSE MARGINALI DI GIOVANNI GENTILE A LIBRI DI BENEDETTO CROCE* «Leggere con la matita» significa, per lo scrittore 1 che si compiacque di usare questa espressione, leggere con parteci- pazione vivacemente commossa e, nello stesso tempo, con l' intento di imprimere alla lettura un primo segno di intellet- tuale dominio. Non sempre, infatti, si legge con la matita in mano, e non tutti i libri meritano di esser letti così. Ma quando si legge con la matita, il libro acquista un duplice, e pur convergente, significato. A parte obiecti, i segni tracciati sui suoi margini delineano i tempi e i modi della sua «fortu- na» , delle sua appartenenza a uomini e a ambienti. Ma, a parte subiecti, possono essere riguardati come il documento di * Per la citazione dei passi crociani ai quali le glosse di Gentile si rife- riscono , si è fatto uso delle seguenti sigle: B Breviario di estetica (« Piccola biblioteca filosofica», Laterza, NSE TSS AMVP ESF Bari, 1913 . Nuovi sa ggi di estetica , Laterza, Bari 1920. Teoria e storia della storiografia , Laterza, Bari, 1925. Aspetti morali della vita politica (« Piccola biblioteca filosofica», Laterza, Bari 1928. Eternità e storicità della filosofia («Quaderni critici», XXI), Rieti 1930. EP Etica e politica, Laterza, Bari 1931. US Ultimi saggi , Laterza, Bari 1935. SPA La Storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari 1938. 1 L'espressione è, com'è noto, di TH. MANN, Romanzo di un romanzo. La genesi del ' Doctor Faustus ' , in Scritti minori, Milano 1958, p. 130. GENNARO SASSO, Glosse marginali di Giovanni Gentile a libri di Benedetto Croce, in ID., Filosofia e idealismo, II, Giovanni Gentile. Bibliopolis, Napoli 1995, pp. 539-612. Originariamente pubbl. in « La Cultura » XIV, 1976, pp. 255-312. (Riprodotto con il permesso dell'Autore e dell'Editore)

Transcript of GENNARO SASSO, Glosse marginali di Giovanni Gentile a...

IX

GLOSSE MARGINALI DI GIOVANNI GENTILE A LIBRI DI BENEDETTO CROCE*

«Leggere con la matita» significa, per lo scrittore 1 che si compiacque di usare questa espressione, leggere con parteci­pazione vivacemente commossa e, nello stesso tempo, con l'intento di imprimere alla lettura un primo segno di intellet­tuale dominio. Non sempre, infatti, si legge con la matita in mano, e non tutti i libri meritano di esser letti così. Ma quando si legge con la matita, il libro acquista un duplice, e pur convergente, significato. A parte obiecti, i segni tracciati sui suoi margini delineano i tempi e i modi della sua «fortu­na», delle sua appartenenza a uomini e a ambienti. Ma, a parte subiecti, possono essere riguardati come il documento di

* Per la citazione dei passi crociani ai quali le glosse di Gentile si rife­riscono, si è fatto uso delle seguenti sigle: B Breviario di estetica (« Piccola biblioteca filosofica» , Laterza,

NSE TSS AMVP

ESF

Bari, 1913 . Nuovi saggi di estetica , Laterza, Bari 1920. Teoria e storia della storiografia , Laterza, Bari, 1925 . Aspetti morali della vita politica (« Piccola biblioteca filosofica» , Laterza, Bari 1928 . Eternità e storicità della filosofia («Quaderni critici», XXI), Rieti 1930.

EP Etica e politica, Laterza, Bari 1931. US Ultimi saggi , Laterza, Bari 1935. SPA La Storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari 1938.

1 L'espressione è, com'è noto, di TH. MANN, Romanzo di un romanzo. La genesi del ' Doctor Faustus ' , in Scritti minori, Milano 1958, p. 130.

GENNARO SASSO, Glosse marginali di Giovanni Gentile a libri di Benedetto Croce, in ID., Filosofia e idealismo, II, Giovanni Gentile. Bibliopolis, Napoli 1995, pp. 539-612. Originariamente pubbl. in « La Cultura » XIV, 1976, pp. 255-312.

(Riprodotto con il permesso dell'Autore e dell'Editore)

540 GENNARO SASSO

un'altra e diversa storia intellettuale, l'inizio, talora incerto e persino enigmatico, di un nuovo libro.

Queste sono cose ovvie, o rese tali dall'esperienza con­creta che studiosi provetti dell'antichità classica e della tradi­zione umanistica squadernano ogni giorno dinanzi ai nostri occhi. E converrà perciò cercar di imitare la loro prassi, aste­nendosi dall'irrigidirla in una teoria. L'essenza della noia è il voler dire tutto, sempre e comunque, esclamò una volta Vol­taire, che per questa sua massima ricevette l'approvazione di Schopenhauer. E noi, che senza preoccuparci di riuscire noiosi, certo non ci proponiamo, né sapremmo, «dir tutto», non faremo dunque qui il tentativo di delineare una teoria della glossa marginale. Per la medesima ragione nemmeno ci azzarderemo a far notare che la storiografia qui ricordata con onore è bensl meritevole di ogni elogio, ma pur talvolta (come càpita) vittima della sua stessa virtù, se nel ritrovamento delle glosse e nell'individuazione della mano che le segnò coloro che la praticano sembrano far consistere la civiltà stessa delle lettere, anzi la civiltà senz'altro, e cosl dimenticano di leggere il libro glossato ed altresl di seguire la storia intellettuale di cui la glossa è spesso soltanto il primo germe lontano. Essere noiosi, passi. Non, però, più del necessario. Lasciamo dunque che altri elevi la glossa a canone metafisico e metastorico del suo umanesimo, componendo con essa storia e teoria. E re­stringiamoci alle glosse specifiche, che qui di seguito pubbli­cheremo e sobriamente commenteremo, di Giovanni Gentile ad alcuni libri di Benedetto Croce 2 •

Non tutti i libri di Croce, posseduti e letti da Giovanni Gentile, recano infatti sui margini segni di materiale atten­zione critica, e solo alcuni postille e glosse. Perché mai? Ad­durre ragioni in ogni caso valide è difficile, e forse impossi­bile. Ma alcune spiegazioni possono non di meno esser ten­tate . È evidente che non sempre, leggendo un libro crociano

2 La raccolta delle opere crociane, già possedute da giovanni Gentile, si trova ora, con tutti gli altri suoi libri ed opuscoli, nella Biblioteca dell'Isti­tuto di Filosofia dell'Università di Roma.

GLOSSE MARGINALI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 541

appena pubblicato, Gentile si trovava di fronte ad un'opera nuova o, per intero, nuova. Spesso (e s'intende che il riferi­mento va agli anni in cui più stretta fu l'amicizia, più intensa la collaborazione intellettuale) accadeva proprio il contrario. Avesse o no, nei suoi primi anni creativi, natura di sistema­tico postillatore dei libri altrui (e di Croce in modo partico­lare), è un fatto ad esempio che, quando gli giunsero i volumi su Hegel (1906) e sulla Filosofia della pratica (1908) , Gentile non ebbe forse bisogno, nel rileggerli, di segnare in margine le sue impressioni critiche. A parte le discussioni orali soste­nute con l'amico intorno alle questioni della dialettica e della filosofia hegeliane, di quei volumi egli aveva potuto seguire la composizione e la stampa, leggendone le bozze che l'autore via via gli spediva 3 . E se pure ne prese appunti e si provò a fermar subito sulla carta le prime impressioni di lettura, sta di fatto che, quando li lesse nella loro compiuta forma di libri, forse già trascorsa era l'occasione che suole dettare le postille e le glosse. A questa regola o, se si preferisce, a questa abi­tudine di materiale non intervento critico, non fa del resto sostanziale eccezione il volume della Logica crociana del 1909, che, nell'esemplare posseduto e letto da Gentile, è

3 Cfr. le lettere che i due filosofi si scambiarono, quando Gentile lesse prima il manoscritto (Gentile a Croce, 12 maggio 1906, Lettere a Benedetto Croce, a cura di S. Giannantoni, Firenze 1974, II, 268-69, e la breve rispo­sta di Croce, ivi, p . 269 n.; B. Croce, Lettere a Giovanni Gentile, a cura di A. Croce, Milano 1981, p. 195), e poi le prove di stampa del saggio hege­liano (Gentile a Croce, agosto 1906, Lettere, II, 283 e 287) . Non interessa qui ricostruire, di su le lettere di Gentile e di Croce, il dibattito fra i due filosofi su questo libro: si ricordi tuttavia che il 18 settembre 1906, Lettere, II, 296, Gentile scrisse a Croce di star «almanaccando », mentre aspettava che l'editore gli inviasse il volume, « una recensione in forma di lettera (o lettere) a voi, per parlare anche dell'Estetica e della Logica». « Se a Palermo - concluse - sarò tranquillo, farò questo libretto». Il libretto non fu scritto; ma Gentile si impegnò tuttavia in una recensione del Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel, che, rimasta inedita fra le sue carte, fu da lui stesso inserita, molti anni dopo, nei Frammenti di estetica e letteratura, Lanciano 1920, pp . 153-61. Per quanto, infine, attiene alla Filo­sofia della pratica , cfr. la ricostruzione da me offerta nella «Cultura», 12 (1974), pp. 354-59. E cfr. ora Benedetto Croce. La ricerca della dialettica , Napoli 1975 , pp. 127-35 .

542 GENNARO SASSO

bensl segnato in margine, ma solo in qualche raro punto, e forse più a scopo mnemonico che non per esprimere una prima reazione critica 4 .

Assai più singolare è invece che né le Tesi di estetica del 1900, né l'Estetica del 1902, né le sue successive edizioni, e in particolar modo la terza del 1907 (sulla quale egli inter­venne con importanti osservazioni 5) risultino in alcun modo postillate o comunque segnate in margine . Eppure, sono que­sti i libri sui quali Gentile prese a saggiare in concreto la con­sistenza teoretica del pensiero di Croce; e dal carteggio non risulta (anzi, se mai, risulta il contrario) né che il loro autore gli fornisse via via le prove di stampa, né che con lui egli avesse particolare agio di discorrere a voce. Del resto, se l'Estetica e le precedenti Tesi non appaiono postillate, la me­desima assenza di segni, anche di semplice richiamo mnemo­nico, si nota non solo sugli estratti, che Croce gli donò, dei saggi sul marxismo, ma anche sul volume che, nel 1899, ap­parve, in prima edizione, con il noto titolo, presso il Sandron. E se poi si considera che altrettanto immacolati sono i mar­gini dei saggi (da Gentile posseduti in estratto) che più tardi (1909) andarono a costituire la folta raccolta dei Problemi di estetica, l'impressione che agli inizi egli non usasse «leggere con la matita» si rafforza, tendendo quasi a costituire la legge di una diversa abitudine di lettura e di una diversa disposi-

4 La Logica come scienza del concetto puro , Bari 1909 , presenta sem­plici segni di attenzione e di richiamo alle pp. 66, 6 7, 68, nelle quali Croce tratta la vexata quaestio dei distinti e degli opposti. V al la pena di aggiun­gere che nel volume crociano è inserito un foglietto , ripiegato in due, e in­testato ' Ministero dell'Istruzione . Il Ministro ', che reca il seguente ap­punto: « Logica Concetto . Estetismo Misticismo Prammatismo. Il concetto e gli pseudoconcetti ». Converrà notare che se, com'è probabile, l'appunto ri­sale al periodo nel quale Gentile fu ministro della pubblica istruzione nel primo gabinetto Mussolini (1922-1924), non può escludersi che quell'ap­punto fosse preso in vista della stesura dell'Epilogo del Sistema di logica, il cui secondo volume apparve in effetti soltanto nel 1923 . In tale occasione è probabile che Gentile abbia ripreso in mano la Logica di Croce, ricercan­dovi le pagine sul« misticismo »: cfr. B. CROCE, Logica come scienza del con­cetto puro , Bari 19426

, pp . 289-97. 5 GENTILE, Frammenti di estetica e letteratura cit ., pp. 162-72.

G LOSSE MARG INALI DI G. GE NTILE A LI BRI DI B. CROCE 543

zione nei confronti di libri che pure impegnavano a fondo la sua intelligenza critica e, nel senso migliore del termine, il suo stesso spirito di emulazione 6 .

Come che sia di ciò, è un fatto che le prime glosse o po­stille marginali appaiono nella copia delle due edizioni 7 (fuori commercio, l'una, nella «Piccola biblioteca filosofica», l'al­tra) , entrambe uscite nel 1913, del Breviario di estetica , che, com'è noto, Croce aveva composto, su invito dell'Università del Texas, l'anno precedente. È difficile, ovviamente, dire perché, postosi dinanzi a questo libro crociano, Gentile sen­tisse il bisogno non solo di leggerlo e di postillarlo, ma di leg­gerlo e postillarlo in entrambe le edizioni delle quali era in possesso. Può darsi, senza dubbio, che in modo tutt 'affatto particolare egli si sentisse conquistato dalla felicità letteraria, oltre che speculativa, di questo, che è uno dei capolavori del-1' «espressione» crociana; e che, sette anni più tardi, quando fu ristampato nel volume dei Nuovi saggi di estetica (1920), egli tornasse a leggerlo e a postillarlo, può costituire la prova non solo del fascino che molto a lungo questo libro esercitò su di lui, ma anche del suo considerarlo come il più impor­tante ostacolo che, per definire compiutamente sè stessa, l'estetica attualistica era chiamata ad affrontare e a superare . Poiché, d 'altra parte, a partire da quella data, gli interventi del glossatore non si limitarono a quell'opera soltanto, ma si estesero invece ad altri libri crociani; e poiché tali interventi appaiono nel complesso dettati da uno stato d'animo, nel­l'amicizia e poi nel contrasto, variamente polemico, cosl con­verrà cercare qui, nella polemica e nel dissenso (anche se, non ancora, nell 'inimicizia), la ragione, probabile se non addirit-

6 Un sondaggio effettuato su alcuni libri posseduti da Gentile, e da lui certamente studiati con particolare cura (Kant , Hegel, B. Spaventa, B. Va­risco, Pitrè), ha mostrato che, nell'insieme, egli non usava intervenire con « la matita » se non in casi eccezionali; e la circostanza, per quel che può va­lere, è forse degna di qualche considerazione.

7 Non vedo che questa edizione sia stata ricordata né da G . CASTEL­

LANO, Introduzione alle opere di Benedetto Croce, Bari 1936, p. 7, né da F. NrcouNI, L'« editio ne varietur>> delle opere di Benedetto Croce, Napoli 1960, p. 17, né infine da S. BORSARI, L'opera di Benedetto Croce, Napoli 1964, p. 120.

544 GENNARO SASSO

tura sicura, di questa sua mutata abitudine di lettura ed an­che del relativo ritardo con cui si produsse.

In effetti, nei rapporti intensissimi di amicizia e di colla­borazione intellettuale che i due filosofi vennero stabilendo e approfondendo nel primo decennio del nostro secolo, il dis­senso filosofico , che non era mai mancato e che, nella sostan­ziale convergenza culturale, riguardava questioni essenziali della logica e della dialettica, già una volta , fra il 1905 e il 1906, aveva conosciuto toni vivaci ed era andato vicino ad assumere la forma di una vera e propria crisi 8 . La questione che l'aveva provocato e che concerneva il punto d 'unione e di distinzione della filosofia e della storia, era stata poi appia­nata, in parte attraverso le stesse discussioni che, con estrema franchezza, i due amici avevano intrecciate nel loro carteggio, in parte per gli sviluppi obiettivi del pensiero di Croce che, ostile, agli inizi, alla tesi gentiliana del «circolo della filosofia e della storia della filosofia» , era giunto, nella seconda edi­zione della Logica, alla dimostrazione della «identità» di giu­dizio definitorio e di giudizio individuale e, dunque, esplici­tamente, di filosofia e storia. Il nucleo profondo del dissenso rimaneva tuttavia intatto; e poiché, al di qua di convergenze anche importanti, concerneva la questione cruciale dell'unità e della distinzione, che già allora Gentile interpretava in modo assai diverso da quello che Croce aveva ormai condotto alla sua quasi assoluta compiutezza nella Logica del 1909 e negli scritti composti fra quella data e il 1912, era inevitabile che dovesse riemergere e dar luogo a nuovi contrasti quando il più giovane dei due si fosse deciso ad affiancare al suo la­voro, fin ll prevalente, di storico della filosofia , un'attività di­spiegata in termini di esplicita teoria 9 . In effetti, fino al

8 Benedetto Croce cit. , pp . 897-906 . 9 Cfr ., del resto, la lettera del 26 gennaio 1907 , nella quale Croce esor­

tava Gentile ad entrare con maggiore decisione nel campo della esplicita teoria (Lettere a Giovanni Gentile, pp. 232-33) , e quella, per contro, in cui, il 28 gennaio 1907, Gentile gli rispondeva: «io ho fiducia grandissima, come sapete, nella tenace energia del vostro pensiero, e ne aspet to sempre nuova luce e incitamenti nuovi. Per parte mia, finché non vedrò ben chiaro dove voglio vedere, continuerò a far saggi di storia, polemiche e recensioni,

GLOSSE MARG INALI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 545

1912, di teoreticamente impegnativo Gentile non aveva scritto (a parte qualche minore saggio su aspetti particolari della teoria della storia) se non la breve memoria su Le forme assolute dello spirito (1909) 10 che, nel suo andamento conciso

che pur mi giovano a quell'intento» (Lettere a Benedetto Croce, III, 28) . Che, dunque, in quegli anni Gentile ancora non riuscisse a veder chiaro nella direzione che pur intuiva fosse quella lungo la quale il suo pensiero avrebbe dovuto procedere, non può mettersi in dubbio. E ne deriva la pos­sibilità di una «periodizzazione» della sua filosofia in parte diversa da quella che, in certi casi (non però in altri), egli più tardi suggerl. Si veda, ad esempio, nell'intervento polemico del 1913 (Saggi critici, Firenze 1927, II , 12): «io posso dire infatti che il primo nucleo di questo idealismo, che ho testé battezzato idealismo attuale, sia il concetto fondamentale della mia tesi di laurea in filosofia, scritta nel 1897, e pubblicata lanno dopo nel libro Rosmini e Gioberti , dove la mia tesi, per l'intelligenza del valore della filo­sofia rosminiana, e quindi della kantiana, è quella della profonda differenza tra la categoria (che è l'atto del pensiero), e il concetto (che è il passato)[ ... ]. Fin d'allora consideravo il pensiero come reale soltanto nella sua apriorità o attualità: uno, quindi, se guardato nell'atto suo, molteplice, come natura, se guardato nel suo prodotto». Ma, a parte la pertinenza di questa Selbstdar­stellung, che non dirò sia senz'altro da respingere (anche se molto rimanga da articolare e precisare), è pur un fatto che la distinzione, che fin dal 1897 Gentile diceva di aver conquistata fra il pensiero come atto e il pensiero come prodotto o natura, non dissipò di colpo le nebbie dell'incertezza (come sembrano immaginare quanti par che ritengano che un pensiero venga al mondo di colpo, con tutte le sue interne specificazioni e articolazioni). E pur senza negare che il libro del 1897 abbia grande importanza, come punto di partenza, nella storia del suo pensiero, e che fra quella data e il 1911-12 Gentile lavorò con coerenza intorno ad un motivo fin dagli inizi intravisto, più e meglio rispondente al vero sembra l'altra «periodizzazione» che fissa al 1912, dopo un lungo periodo di tentativi e di prove, la nascita dell'idea­lismo attuale. Cfr. del resto, in questa direzione, quel che Gentile scrisse nella ristampa de L 'atto del pensare come atto puro, Firenze 1937, pp . 7-8.

10 Lo scritto fu stampato in Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia , Bari 1909, pp. 229-48 . Ma dr. comunque la lettera che Croce scrisse a Gentile il 27 giugno 1909, nella quale dichiarò di star aspettando di «leggere Io scritto nuovo, aggiunto ai saggi del voi. sul Modernismo», e di aver l'intenzione di scrivergliene a lungo (Lettere a Giovanni Gentile, p. 357): e cfr. lett . 13 luglio: «ho ricevuto le bozze e ho letto subito, come puoi immaginare, il tuo scritto robusto ed eloquente, nel quale ho trovato lo svolgimento delle idee che mi accennasti a voce. Avendo rimandato le bozze al Laterza, non posso ora scriverti le mie osservazioni in proposito: ma Io farò quando avrò sott'occhio, a mio agio, le tue pagine. Ho visto con piacere

546 G ENNARO SASSO

ma qua e là ancora incerto, non aveva avuto la forza di co­stituire l'occasione di un radicale confronto. Di quelle incer­tezze, e della complessiva provvisorietà delle sue tesi filoso­fiche, è probabile che Gentile fosse, nel fondo, più che con­sapevole; e si può intendere quindi come egli avvertisse quasi una sorta di psicologica riluttanza, in quel momento di intensa meditazione e di risorgenti dubbi, a scegliere con de­cisione la via del commento esplicito (anche se condotto in privato) delle ragioni ultime del diverso filosofare crociano. Postillare e glossare i libri del suo amico significava forse per lui contrapporre pensiero a pensiero, segnare differenze e dunque accendere contrasti; e sebbene differenze e contrasti fossero ormai quasi per intero delineati nel fondo della sua coscienza, egli preferiva aspettare che giungessero alla loro maggiore pienezza prima di arrischiarsi ad assumere, innanzi tutto nei confronti di sé stesso, la parte non più del collabo­ratore, che incita e critica nella prospettiva di un cammino comune, bensl invece dell'autore di una diversa, e forse op­posta, filosofia. Il travaglio speculativo, che presto avrebbe dato luogo alla differenza, al confronto e al contrasto, agiva quindi, per allora, come elemento di remora e di psicologica cautela; e, rimandando al futuro l'occasione della polemica, favoriva nel presente l'accordo e la concordia.

L'occasione, tuttavia, venne, o cominciò a delinearsi in

che in alcune cose ci siamo ancora più avvicinati. Spero che potremo inten­derci anche sul resto, perché ciò che tu vuoi garantire (l'unità dello spirito), voglio garantirlo anch'io, e credo di riuscirvi con mezzi in parte diversi dai tuoi » (ivi, p . 358). Per parte sua, il 15 luglio, non senza una punta di de­lusione, Gentile lo ringraziava « dell'occhiata che» Croce aveva dato al suo « scritterello», nel quale, diceva, per suo uso aveva delineato idee che sen­tiva di dover approfondire « per vedere », proseguiva, «se mi riuscisse di ve­nire a capo delle mie difficoltà . E se poi tu volessi scrivermi in proposito una lettera mi faresti un gran beneficio » (Lettere a Benedetto Croce, III , 386). La lettera che Croce aveva promessa e Gentile aveva sperato di rice­vere non venne: forse perché, consapevole della difficoltà e gravità della questione, si era convinto che, se ne avessero discusso, evitare la polemica sarebbe stato per entrambi difficile . Si veda, a conferma, quel che Croce scrisse a Giovanni Castellano il 30 settembre e poi, più largamente, il 17 ottobre 1909 (Lettere a Giovanni Castellano , a cura di P . Fontana, Napoli 1985 , pp. 29 e 30-32) .

GLOSSE MARGI NA LI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 547

modo ben altrimenti consistente che nel passato quando, nel 1912, Gentile sottopose all'amico, perché lo giudicasse, il te­sto del primo volume del Sommario di pedagogia, che sarebbe poi uscito nel corso dell'anno successivo. Ebbene, chi segua nel carteggio le battute del dialogo che i due filosofi inizia­rono su quel libro, vede subito che, al di là del tono sempre affettuoso e amichevole, qualcosa di nuovo si era ormai intro­dotto nello spirito d' entrambi, e cioè la convinzione che i ri­spettivi pensieri fossero giunti a toccare un limite estremo, ol­tre il quale non c'era se non la possibilità di uno schietto e aperto dissenso. In effetti, il dissenso 11 era già nato, o nato di nuovo, in margine alla memoria che Croce aveva allora composta intorno a Storia, cronaca e false storie, e che poi andò a costituire il primo capitolo di Teoria e storia della sto­riografia; e, commentando il 29 ottobre 1912 i dubbi esposti­gli dall'amico sulla questione dell'unità e della distinzione, gli scriveva: «anch'io sono, come puoi immaginare, contento del tuo consenso . E sapevo già che avresti trovato qualche diffi­coltà nella parte concernente la distinzione delle false forme di storia: ma io non riesco finora a pensare in altro modo certe distinzioni, nelle quali m'incontro sempre (voglio dire, da anni e anni) nello studiar l'arte, la storia e la vita stessa. Distinzioni che non sono distinzioni pratiche, ma principii di critica, senza le quali non riuscirei né a intendere e giudicare un poeta né a condannare e giustificare insieme le umane storture. Ma forse anche per questa parte, col tempo ci met­teremo d'accordo, perché io dò grandissima attenzione a tutto ciò che tu dici e scrivi, e son sicuro che tu fai lo stesso verso di me. Ripercorrendo talvolta le nostre relazioni ormai di 16 anni, mi pare che ci siamo nutriti l'uno del sangue del-

11 Ma c'erano, come è ovvio, anche motivi di consenso. Cfr. la lettera di Gentile a Croce , 28 ottobre 1912 («grazie delle bozze, la cui lettura mi ha procurato un vivissimo piacere . Specialmente il concetto di storia con­temporanea (come puoi immaginare) mi ha toccato una corda che vibra molto nell'animo mio. E volevo scrivere una varietà per la Critica dal titolo Le due storie, ora divenuta inutile dopo questa tua splendida memoria. In questa memoria ho visto con gioia che torniamo sempre ad avvicinarci. Ne sono stato contentissimo » (Lettere a Benedetto Croce, IV, 199).

548 GENNARO SASSO

l'altro, - e non ne siamo morti! E sarà poi giovevole un pieno accordo tra noi? Il cuore me lo fa desiderare, i nervi talvolta mi rendono impaziente del disaccordo: ma la mente vichianamente e hegelianamente educata mi dice che è forse provvidenziale che restino o risorgano sempre tra noi disac­cordi, che sono stimoli reciproci» 12 . Certo, nel profondo della mente vichianamente e hegelianamente «educata», Croce poteva pensare tutto questo e dal contrasto via via ri­sorgente ripromettersi nuove occasioni di perfezionamento e approfondimento concettuale. Ma la distesa e pacata conside­razione della concordia discors che s'era ormai consolidata fra loro non poteva evitare che la preoccupazione, che nel fondo lo agitava e turbava, salisse alla superficie attraverso quell' ac­cenno alle ragioni del cuore e, addirittura, dei «nervi»; e niente, in effetti, poteva escludere che, pur mantenendosi fe­condo, il contrasto si accentuasse al punto da coinvolgere le stesse amichevoli «relazioni» . Il che poco mancò che qualche giorno dopo accadesse sul serio.

In realtà, quando Croce lesse nelle bozze il primo vo­lume della Pedagogia gentiliana, la reazione fu, nel com­plesso, aspra. Il 7 novembre di quello stesso anno, a nove giorni di distanza dalla lettura parzialmente citata qui su, scriveva: «mi è piaciuta sopra tutto la seconda parte, che è forse la più fusa e la più persuasiva. Sulla prima e sulla terza ci ho parecchi dubbi: ed anche questa volta mi pare che il problema della distinzione non sia né risoluto né liquida­to» 13 . Il giudizio non era benevolo, e, quando si pensi che nella prima parte del suo libro Gentile aveva cercato di de­lineare un compiuto, anche se sommario, sistema concet­tuale, di netta opposizione . Il «disaccordo», tanto temuto, stava per diventare esplicito nel segno dell 'ostilità. E seb­bene, in una lettera scritta fra il 7 e il 12 di quello stesso mese, Gentile giustificasse le diseguaglianze stilistiche del suo libro con il sospetto, dal quale era stato più volte oscu-

12 Croce a Gentile, 29 ottobre 1912 (Lettere a Giovanni Gentile , p. 433) .

13 Ibid., p . 433 .

GLOSSE MARG INALI DI G . GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 549

ramente visitato durante la composizione, che «esso potesse esser l'ultimo» 14, il dissenso riguardava ben altro che lo «stile». Il 12 novembre, in effetti, Croce ribadiva con seve­rità un giudizio 15 , che, alla fine, riceveva addirittura il sug­gello di una dura ritorsione polemica: «avresti dovuto aste­nerti dal tono aspro, polemico, infastidito, e prendere un tono più conciliante e persuasivo, e giustificare le cose che condanni [ ... ]. In molte pagine della prima parte mi è parso che tu discutessi con me: e come credi che l'intenderanno gli scolari di scuola normale? Tra me e te non si discute di filo­sofia elementare» 16.

Come si vede, a più riprese, durante il 1912, il tono del carteggio si era innalzato verso la polemica. E la cosa appa­rirà ancor meglio comprensibile quando si pensi che quello è l'anno nel quale, trasferitosi fin dal 1906 all'Università di Palermo quale professore di storia della filosofia, Gentile vi aveva inaugurata la Biblioteca filosofica, che divenne uno dei centri propulsori dell'idealismo attuale e, con l'ausilio dell'Annuario del quale proprio in quel periodo venne do­tata, strinse insieme la prima generazione degli scolari e dei liberi discepoli 17 . Accadeva così che, appena nato (lo scritto su L'atto del pensare come atto puro fu letto nella Biblioteca filosofica nell'inverno del 1911, quello su Il metodo dell'im-

14 È un'espressione singolare, che merita di essere sottolineata (Gentile a Croce, 7-12 novembre 1912: Lettere a Benedetto Croce, IV, 205).

15 «Ne è accaduto questo, che hai fatto un libro che ha pagine mirabili di vigore e di profondità, ma che manca di quel garbo, di quella scelta , che a me sembra indispensabile in qualunque libro» (Croce a Gentile, 12 no­vembre 1912: Lettere a Giovanni Gentile, p. 434).

16 Ibid. 17 La Biblioteca filosofica fu inaugurata da Gentile, che ne era altresì il

direttore, il 26 novembre 1911: cfr. G . GENTILE, Il programma della Biblio­teca filosofica di Palermo , «Annuario della Bibl. fil. Palermo », 1 (1912) , pp. 7-12 ( = Saggi critici, Il , 5-9). Ma la sua attività doveva essere iniziata da qualche tempo, come si deduce dall'esordio del discorso gentiliano (« nel ri­prendere la nostra consuetudine delle pubbliche conferenze, che attrassero già lanno scorso lattenzione degli spiriti più colti della nostra città su que­sta istituzione appena nata ... ») . Sull'Amato, del quale Gentile fece un caldo elogio (Saggi critici, Il , 8-9) come del vero ispiratore di quell'iniziativa, dr. E. GARIN, Cronache di filosofia italiana , Bari 1959, pp. 49-50 .

550 GENNARO SASSO

manenza il 16 dicembre dell 'anno successivo), subito l'attua­lismo si trovasse a disporre di una sede e di una rivista, e vedesse sorgere una «scuola», il cui destino sarebbe stato di seminare malintesi e germi di incomprensione fra i due «fi­losofi amici» anche se Croce non fosse stato, per natura sua, ostile ai gruppi e alle scuole, e in quell'Annuario non avesse forse sospettato, con preoccupazione, un possibile antagoni­sta della Critica. Sta di fatto che, sebbene non lo confessasse nemmeno a sé stesso, quel fervore o clamore di iniziative gli dettò subito lo scritto (una «filippica» 18 , come lo definl in una lettera a Gentile del febbraio 1912) contro i «circoli fi­losofici», che ora può leggersi in Cultura e vita morale, e nel quale è notevole che, pur osservando che «la vita sociale ha bisogno di venire rischiarata dalla filosofia, che le impedisce di procedere a caso e nel buio», aggiungesse che «nel tra­dursi in valore sociale», essa, la filosofia, «perde il suo ca­rattere» e «da problema si cangia in risultato, da dubbio metodico in fede» 19 . Parole, queste, che certo potevano ri­ferirsi a Gentile, e alle sue varie iniziative di biblioteche fi­losofiche e di circoli, come a tanti altri, al pari di lui, e meno bene di lui, impegnati in analoghe imprese; ma che,

18 Croce a Gentile, 21 febbraio 1912 (« vedrai nella prossima Critica una mia filippica contro i circoli filosofici. La scrissi nel settembre passato; ma credo che possa andare, perché non offende il Circolo di Palermo, al quale tu stai dando un buon indirizzo. A me quello scatto fu suscitato dal Bollettino del Circolo di Genova» (Lettere a Giovanni Gentile, p . 419) . E cfr. la risposta di Gentile, 11 marzo 1912: « l'articolo sui circoli filosofici dice cose verissime, ma mi pare un po' unilaterale . A ogni modo, anche com'è, farà gran bene». Ma, proseguendo, Gentile diceva di voler fare della Biblioteca « una specie di seminario della mia scuola » (Lettere a Benedetto Croce, IV, 164) : dove, sebbene per «scuola» quasi certamente egli inten­desse il concreto insegnamento universitario, non è da escludere che Croce vi leggesse invece un accenno alla scuola dell'attualismo, e ne rimanesse of­feso e irritato.

19 L'articolo, intitolato Circoli, convegni e discussioni filosofiche , fu stampato non nella Critica , come Croce diceva nella lettera che è stata citata qui su, ma nella « Voce », 4 (1912), pp . 967 sgg., e quindi in Cultura e vita morale, Bari 1955, pp . 133-38. Va comunque ricordata la recensione che del « Bollettino » del Circolo di studi filosofici di Genova, 1 (1910) n. 1, Croce inserì nella « Critica», 10 (1912) , pp. 136-39 .

GLOSSE MARGINA LI DI G . GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 551

non di meno, ritornano e risuonano nella battuta polemica che gli rivolse il 22 novembre 1913, quando ormai la deci­sione di mettere in pubblico il loro dissenso era stata presa ed attuata: «ho visto nel programma dei tuoi Studii che quella collezione si propone di svolgere i principii dell'idea­lismo attuale. Male. Nella Critica non ci siamo proposti di svolgere nessun sistema: ci siamo svolti noi .. . ». E aggiun­geva: «il libro di Omodeo già porta i segni dello svolgi­mento del sistema» 20 .

Non è dunque da escludere, e anzi tutto concorre a sug­gerire, che l'intimo turbamento, che le polemiche già avve­nute e quelle annunziantisi per il prossimo avvenire insinua­vano nel suo animo, rendesse, per così dire, più agguerrite e aggressive le letture che, sistematicamente, Gentile seguitava a fare degli scritti crociani, e che di questa mutata disposi­zione il «leggere con la matita» fosse come il segno visibile. Non, beninteso, che, con le sue glosse, Gentile intendesse esprimere in privato, nel chiuso della sua stanza da studio, quel che, agitandoglisi dentro, non poteva esser tuttavia detto in pubblico. Fra il 1913 e il 1924, che fu l'anno del­l'irreparabile rottura, l'amicizia fra i due pensatori conobbe ancora varie crisi, ma pur rimase salda; né a Gentile sarebbe mai passato per il capo di scrivere in margine ai libri di Croce quel che considerazioni varie di opportunità non gli consigliassero di scrivere sulle pagine delle sue riviste. Chi ha letto il carteggio 2 1, è bene in grado, ove il preconcetto o la naturale ottusità non l'abbiano chiuso all'intelligenza dei moti profondi dell 'animo, di intendere che l'amicizia fra

20 Lettere a Giovanni Gentile, p . 452. 2 1 [Credo opportuno ricordare, perché queste parole (scritte quasi

vent'anni fa) siano intese nel giusto senso, che quando le scrivevo il carteg­gio era, per quanto riguarda la parte crociana, edito solo per il periodo che va dal 27 giugno 1896 al 23 dicembre 1899 (« Giornale critico della filosofia italiana », 1969, pp. 3-100) , e per il resto interamente inedito, mentre, per la parte gentiliana, editi erano i primi due volumi 1972 e 1974 (il terzo, 1976, uscì quando il mio saggio era da qualche tempo terminato). Fu per la cortesia, la liberalità e l'amicizia di Ugo Spirito che io potei studiarlo quando era ancora del tutto inedito e conservato presso la sede della Casa editrice Sansoni a Palazzo Doria, Roma].

552 GENNARO SASSO

questi due uomini fu cosa seria e profonda e che l'ipotesi stessa di una rottura non poteva non apparire ad entrambi come un'autentica sciagura. Ma spingendo Croce a scendere in aperta polemica con il suo amico e collaboratore, e con il sottile disagio che certo ne derivò ad entrambi, con le pole­miche, e con le tensioni che vi si determinarono, la deci­sione della chiarezza recò con sé qualcosa di nuovo, la con­vinzione profonda che qualcosa di irreversibile si fosse or­mai prodotto; e niente, in fondo lo dimostra meglio della speranza e dell 'augurio, più volte proclamati, che la speri­mentata solidarietà culturale ed umana potesse assorbire e superare, nel suo solido fondamento , ogni specifica diver­genza filosofica . «Il mio augurio - aveva scritto Croce, concludendo il suo secondo intervento polemico - è che tu ed io, consenzienti in tante cose e unanimi in tutte, col con­tinuare a ripensare circa i punti di dissenso che abbiamo ora discussi (e che io ho stimato bene portare in pubblico, perché non si tratta di una questione privata o personale) , ci ritroveremo ancora, come ci è accaduto altre volte, dopo aver percorso per qualche tempo strade separate sebbene prossime, ci ritroveremo, dico, con nostra grande soddisfa­zione, sulla stessa strada» 22 .

In realtà, la nascita dell 'attualismo, da una parte, e, da un'altra il sempre più netto definirsi del pensiero e del «gu­sto» crociani, dovevano ormai aver reso chiaro ad entrambi che «sulla stessa strada» non avrebbero potuto né trovarsi né procedere più. Sempre più chiaramente, negli ultimi dieci anni, Croce era diventato Croce; e il ruolo di consigliere se­greto e di incitatore idealistico che Gentile aveva riservato a sé stesso non poteva più esser sostenuto in quella forma e con

22 B. C ROCE, Una polemica tra f ilosofi amici , in Conversazioni critiche, Bari 1924 , Il , 95 . Entrambi gli interventi di Croce, come del resto quello di Gentile, furono pubblicati nella « Voce » del Prezzolini , il 13 novembre 1913 e gennaio 1914 quelli del primo, 1'11dicembre 1913 ( =Saggi critici, II , 11 sgg.) quello del secondo. Ma, ovviamente, nessuno di questi scritti comparve nell'« Annuario» della Biblioteca filosofica di Palermo, come, a proposito del secondo di Croce, trovo scritto in M . DI L ALLA, Vita di Gio­vanni Gentile, Firenze 1975, p . 208.

G LOSSE MARGINALI DI G . GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 553

quello stile: doveva ormai tradursi in espressione autonoma, conducendo alle estreme conseguenze il programma dell'idea­lismo attuale delineato negli scritti palermitani. Di qui, come converrà ripetere, il nuovo stile che Gentile spontaneamente mise nel leggere i libri di Croce, l'attenzione che, sempre pronto a sottolineare con favore le convergenze, egli esercitò nel puntualizzare le divergenze e nel porre in risalto, con un taglio netto e senza speranze, ogni aspetto della «filosofia dello spirito» che con maggiore chiarezza palesasse, a suo giu­dizio, tracce di dualismo e di irrisolto intellettualismo. Di qui anche, come del resto è ovvio, l'incrudirsi, via via che il dis­senso da filosofico si faceva anche politico e morale, delle glosse gentiliane; che con diversa fortuna critica sempre più chiaramente vennero assumendo un tono incalzante, ora iro­nico, ora addirittura sarcastico, perché consumato fino in fondo il dissenso filosofico, nascevano ormai da passioni esa­cerbate e non più medicabili, ed altresì come risposta alle dure sferzate che, negli scritti postillati, Croce non rispar­miava all'idealismo attuale e al suo «misticismo», fattosi, se­condo la sua natura profonda, violento assertore di attivismo e di «irrazionalismo» 23.

Il primo libro che rechi ben visibili i segni del nuovo mo­dus legendi gentiliano è, come si è detto, il Breviario di este-

23 Come documento estremo della durezza, ed anche dell'esacerbata amarezza, con cui Croce seguiva la varia attività del suo antico compagno di studi, non saprei citare niente di più caratteristico di questo giudizio, che egli espresse in una lettera (inedita) a Guido De Ruggiero, 23 agosto 1933 , quando gli fu detto dell'intenzione gentiliana di «tornare al De Sanctis »: « mi dicono che Gentile abbia pubblicato un articolo in cui annunzia che bi­sogna tornare a De Sanctis. O che vuol morire? Tornare a De Sanctis signi­fica, anzitutto, diventare un onest 'uomo ». L'articolo di G . GENTILE, Tor­niamo a De Sanctis!, fu stampato nella rivista «Quadrivio », 6 agosto 1933, e quindi, con il titolo Francesco De Sanctis, in Memorie italiane e problemi del/,a filosofia e del/,a vita , Firenze 1936, pp. 173-81 ; Croce replicò con una postilla aggiunta al saggio, Francesco De Sanctis e lo scioglimento e /,a ricom­posizione del/,a Società Reale di Napoli nel 1861 , in Aneddoti di varia lette­ratura , Bari 1954, IV, 249-50 (e cfr. anche in F. DE SANCTIS, Pagine sparse. Contributi alla sua biografia e supplemento alla bibliografia a cura di B. Croce, Bari 1934, pp . 100-102).

554 GENNARO SASSO

tica. Di queste celebri quattro lezioni, scritte nel 1912, l' edi­tore Laterza stampò nel gennaio 1913 due diverse edizioni: una, assai elegante, fuori commercio e tuttavia simile, per il colore della copertina, ai volumi delle opere crociane, e un'al­tra, più modesta, che venne a costituire il primo numero della «Piccola biblioteca filosofica» . È difficile dire se le due edi­zioni uscissero contemporaneamente, o a breve distanza, e (in questo caso) quale prima e quale dopo . Ma è un fatto che, en­trambe recando l'indicazione «gennaio 1913 », dovettero co­munque uscire , e dunque capitare nelle mani di Gentile, pres­soché nello stesso giro di settimane. E , come si è già detto, la circostanza curiosa è che sia l'una sia l'altra edizione recano segni di lettura «con la matita», e anzi, la seconda delle due addirittura con la penna (il che, giustamente, avrebbe fatto inorridire il professor Peter Kien, lo spettrale protagonista del romanzo di Elias Canetti) . Cosl, nel retro dell'ultima pa­gina dell'edizione fuori commercio, che per il resto reca sol­tanto, a p. 53 , un piccolo segno marginale, Gentile annota:

Actus purus 89 Totalità dell'opera d'arte 5 3 Contenuto dell'arte 52 L'insoddisfazione dell'arte 82

«sola reale è la sin­tesi delle sintesi»

Il lettore che si trovi ad ignorare i termini della discus­sione filosofica intervenuta negli anni fra Croce e Gentile, e che di conseguenza anche ignori i fondamenti delle loro ri­spettive filosofie, non intenderà certo perché, con riferi­mento alla p. 89, sia stato scritto Actus purus in riferimento alla frase crociana in cui si dice che «sola reale è la sintesi delle sintesi». E allora consenta, quel lettore, che gli si indi­chi il contesto dal quale Gentile trasse la sua citazione («se si domanda, delle varie attività dello spirito, quale sia reale, o se siano tutte reali, bisogna rispondere che nessuna è reale; perché reale è solamente l'attività di tutte quelle attività, che non riposa in nessuna di esse in particolare: delle varie sin­tesi, che abbiamo via via distinte, - sintesi estetica, sintesi logica, sintesi pratica, - sola reale è la sintesi delle sintesi, lo Spirito, che è il vero Assoluto, l'actus purus. Ma, per un altro

G LOSSE MARG INALI DI G . GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 555

verso e per la stessa ragione, tutte sono reali nell 'unità dello spirito, nell'eterno corso e ricorso, che è la loro eterna co­stanza e realtà» 2 4); e che gli si dica che qui, in effetti, come il teorico dell'attualismo non poteva non avvertire, si anno­dano alcune delle più specifiche difficoltà intrinseche alla sua non meno che alla filosofia del suo amico. Il quale, postosi di nuovo il problema della relazione che stringe fra loro le auto­nome forme dello spirito, e del sistema di «indipendenza di­pendente» che ne risulta, aveva ancora una volta cercato di dimostrare che se delle varie «sintesi» o «autonomie» o «in­dipendenze», che sono l'arte e la filosofia, l'economia e 1' etica, veramente reale può dirsi , per un verso, soltanto lo spirito, ossia 1' attività che le snoda e le articola come mo­menti dell'intero, reale e non meno reale è poi anche questo concreto snodarsi, ossia le di volta in volta specificate attività che costituiscono lo spirito stesso nella sua concretezza. Una teoria, questa, difficile e complicata, come sempre è difficile e complicata la teoria mediante la quale un pensatore consa­pevole di quel che fa cerchi di risolvere il problema dell'iden­tità e della diversità, della compatta realtà dell'essere e del­l'intrinseco differenziarsi della sua realtà . Una teoria alla quale, avesse torto o ragione, ne comprendesse fino in fondo , o solo in parte, la natura specifica, ossia la tensione profonda, sempre Gentile rimproverò la tendenza a risolversi in un'in­tellettualistica e oggettivistica «descrizione» del suo stesso movimento: in actum purum, presupponente alle sue spalle un soggetto di cui non sapeva e non poteva afferrare la realtà profonda, ossia quell'actus purus che, come assoluto soggetto, risolve in sé ogni differenza e ogni sintesi specifica. Non è questa la sede nella quale possa spiegarsi in che senso e perché la teoria di Croce venisse semplificata dalla critica gentiliana, e come e perché anch'essa, la critica gentiliana, non sfuggisse, se scrutata a fondo , alla stretta di gravi anti­nomie. Ma certo è, in ogni caso, che di «sintesi di sintesi», Croce non aveva il diritto di parlare (nemmeno con le speci-

24 B. CROCE, Breviario di estetica , Bari 1927, p. 74 (e quindi in Nuovi saggi di estetica, Bari 1920, p. 62) .

556 GENNARO SASSO

ficazioni e le cautele dialettiche che possono notarsi nel passo già ricordato del Breviario) . Se sintesi si definisce l'attività che risolve ogni contenuto o materia (e dunque, di volta in volta, l'arte e la filosofia, l'economia e l'etica sono sintesi, per ciò stesso che risolvono il loro contenuto), nella «sintesi delle sintesi» ciascuna di esse dovrebbe decadere a materia, a op­posto, a disvalore assunto nella prospettiva catartica o risol­vente del valore. E poiché la «sintesi delle sintesi» non po­trebbe esser definita così se a materia di sé medesima non ri­solvesse in contemporanea assolutezza ogni sintesi, ad essa non si ponesse perciò come l'orizzonte fermo, unitario e iden­tico della risolta differenza, si capisce bene che in questa pro­spettiva l'unità avrebbe per sempre risolto in sé ogni diverso, ponendosi essa come l'unica verità, l'unica realtà, il A.òyoç E:m1ll<pt0ç di verità e realtà morte in loro stesse, e vive solo nella nuova e unitaria dimora dell'essere. Era questa, benin­teso, una difficoltà molto complessa, che Gentile non poteva, né allora né poi, cogliere fino in fondo in Croce, per ciò stesso che non poteva e sapeva coglierla e risolverla alla ra­dice del suo stesso pensiero; e che egli si compiacesse di quel­l'espressione - actus purus -, che era una sua espressione, e che anche vi vedesse, forse, il dissidio che nel pensiero del-1' amico si era prodotto fra actus purus e actum purum, è quanto, dopo aver avvertito che molta strada dovrebbe per­correre chi studiasse a fondo il problema, ci si può restringere a sottolineare.

Il richiamo che, nello stesso appunto, Gentile faceva alla questione, che Croce aveva svolta esemplificandola con le vi­cende che condussero il Foscolo a idealizzare la donna (la contessa Arese) di cui pur conosceva l'animo, della soddisfa­zione e poi di nuovo dell'insoddisfazione che l'arte procura, concerne ancora e sempre l'autonomia delle forme, e quindi l'unità dello spirito; e lo stesso sarà da dire per l'altro accenno alla «totalità dell'arte» e, già prima, al contenuto dell 'arte . Richiami ed accenni tanto rapidi quanto ricchi di potenzialità filosofiche: a svolgere compiutamente le quali non bastereb­bero molte pagine, dal momento che costituiscono le que­stioni sulle quali sia Croce sia Gentile costruirono parti essen­ziali delle loro filosofie . Ma lo scopo di queste pagine non è

GLOSSE MARG INALI DI G. G ENTILE A LIBRI DI B. CROC E 557

di svolgerle: è invece, più modestamente, di indicarne la pre­senza e forse anche lassillo nella lettura che a chiarimento di sé stesso, l'un filosofo veniva conducendo delle pagine dell'al­tro. Basti perciò osservare che laltra copia del Breviario di estetica, assai più tormentata e segnata, reca tuttavia le tracce di un'attenzione rivolta al medesimo nucleo di problemi (ma, come si vedrà, anche ad altro). E converrà intanto riprodurre questi segni, di attenzione e di vario dissenso, sia che si svol­gano in brevi annotazioni o glosse, sia che invece rimangano segni, e richiedano perciò di essere decifrati nel loro signifi­cato, o con l'aiuto del contesto al quale rinviano o con l'aiuto del pensiero che li pose in quel punto e non in un altro. Per renderli chiari, li riprodurremo, i segni e le glosse, sulla destra del passo corrispondente di Croce, che, in colonna, sarà ci­tato sulla sinistra.

BE 27 25

Vano è opporre che la individualità del­l'immagine non può sussistere senza un rife­rimento all'universale, di cui quell'immagine è individuazione; perché qui non si nega già che l'universale , come lo spirito di Dio, sia dappertutto e tutto animi di sé, ma si nega che, nella intuizione in quanto intuizione, l'universale sia reso logicamente esplicito e pensato. E vano altresì è richiamare il princi­pio della unità dello spirito, che non viene rotta, ma anzi rafforzata, dalla netta distin­zione tra fantasia e pensiero, poiché dalla di­stinzione nasce lopposizione e dall'opposi­zione l'unità concreta.

BE 41

Senonché, quando si comincia a provare la stanchezza dell 'infeconda difesa dell'uno o dell'altro punto di vista parziale; quando, so-

25 Le citazioni sono tratte dalla prima edizione del Breviario di estetica (1 913).

558 GENNARO SASSO

prattutto, dalle ordinarie opere d'arte, che sono prodotti della scuola romantica e della classicistica, dalle opere convulse di passione e da quelle freddamente decorose, si volge lo sguardo alle opere, non degli scolari ma dei maestri, non dei mediocri ma dei sommi; si vede dileguare lungi il contrasto e non si ha il modo di adoperare l'uno o l'altro motto di scuola: i grandi artisti, le grandi opere, o le parti grandi di quelle opere, non si possono bravo' chiamare né romantiche né classiche, né pas-sionali né rappresentative, perché sono in-sieme classiche e romantiche, sentimenti e rappresentazioni: un sentimento gagliardo, che si è fatto tutto rappresentazione nitidis-sima.

BE 44

E un'altra non meno celebre sentenza, dovuta a un semifilosofo svizzero e alla quale è toccata la medesima buona o cattiva for­tuna di trivializzarsi, scopre che ' ogni pae­saggio è uno stato d'animo ': cosa indubita­bile, non perché il paesaggio sia paesaggio, ma perché il paesaggio è arte.

BE 84

Con la percezione siamo entrati m un nuovo e vastissimo campo spirituale; e, vera­mente , non ci sono parole sufficienti per sa­tireggiare quei pensatori che , ora come pel passato, confondono immagine e percezione, e fanno dell'immagine una percezione (l'arte come ritratto o copia o imitazione della na­tura, o storia dell'individuo e dei tempi, ecc .), e, peggio ancora, della percezione una sorta d 'immagine, che si coglierebbe coi 'sen­si '. Ma la percezione è né più né meno che un completo giudizio, e come giudizio im­porta una immagine e una categoria o sistema di categorie mentali, che dominino l'imma­gine (realtà, qualità, ecc .) .. .

C'è già un'eco di questo in Verg. Georg. I 417-23

Ma la percezione dunque ritrarrebbe la natura?

G LOSSE MARGINALI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 559

BE 113

e se Cesare e Pompeo non fossimo noi stessi, cioè quell'universo che si determinò un tempo come Cesare e Pompeo e si deter­mina ora come noi vivendo quelli in noi, di Cesare e Pompeo non potremmo farci al­cun'idea.

c/r. Quest. storiogr ., p. 6

Questi sono dunque, fedelmente riprodotti, gli interventi semplici segni d'attenzione o d'interrogazione, oppure

vere e proprie, ancorché brevi, glosse -, che Gentile eseguì leggendo, quasi contemporaneamente, le due edizioni del Bre­viario di estetica . E dopo aver ribadito che quel piccolo libro doveva aver colpito a fondo la sua fantasia, oltre che filoso­fica, letteraria (se, a poca distanza di tempo, lo lesse e lo segnò due volte), si potrebbe passare al rapido chiarimento delle questioni sottolineate o glossate, se non convenisse in­vece avvertire che, quando il Breviario fu ristampato senza variazioni nei Nuovi saggi di estetica (1920), Gentile tornò a leggerlo e a postillarlo, ancora una volta esprimendo consensi e dissensi.

NSE 27-28

l'intuizione è veramente tale perché rap­presenta un sentimento, e solo da esso e so-pra di esso può sorgere. Non l'idea, ma il sen- sentimento timento, è quel che conferisce all 'arte laerea leggerezza del simbolo ...

NSE 29

E istruttivi sono, come si è veduto, i ri­sultati critici della grande disputa tra classici­sti e romantici, onde rimase negata così l'arte che con l'astratto sentimento, con la pratica violenta del sentimento, col sentimento che sentimento non si è fatto contemplazione, tenta di tra-volgere gli animi e illuderli sulla deficienza dell'immagine, come del pari l'arte che con la chiarezza superficiale, col disegno falsamente

560

corretto, con la parola falsamente precisa, cerca d 'illudere sull'assenza di ragione este­tica che giustifichi le sue figurazioni, sulla deficienza del sentimento ispiratore.

NSE 29-30 Gentile, a fondo pagina:

GENNARO SASSO

Invece a p. 36 ' il sentimento non è un partic.[olare] contenuto, ma è !'universo tutto guardato sub specie intuitionis '. Arte = senti­mento (il sentimento è il natural contenuto dell'intuizione per la cir­colarità delle forme, ecc.). Ma cfr. pp. 34-35 dove l'arte è sintesi di sentimento e intuizione.

NSE 39-40

L'artista, che abbiamo lasciato vibrante d 'immagini espresse che prorompono per in-finiti canali da tutto l'esser suo, è uomo in- Dualismo non supe­tero e perciò anche uomo pratico; e, come rato tale, avvisa ai mezzi di non lasciar disperdere il risultato del suo lavorio spirituale, e di ren-dere possibile e agevole, per sé e per gli altri , la riproduzione delle sue immagini ...

NSE 55

Onde, considerando la cosa in generale, sembra che non vi sia altro modo di pensare la indipendenza e dipendenza insieme delle varie attività spirituali che di concepirle nel rapporto di condizione a condizionato, in cui il condizionato supera la condizione presup­ponendola, e, diventato poi a sua volta con­dizionato, costituisce una serie di svolgi­mento.

Questa è la nega­zione della libertà

A questa abbastanza interesssante serie di considerazioni converrà infine aggiungere, prima di rapidamente esaminarle, le glosse che Gentile segnò in margine al saggio su Il carattere di totalità del!' espressione artistica che, pubblicato nella Critica

G LOSSE MARG INALI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 561

del 1918, fu poi ristampato nei Nuovi saggi di estetica . È in­fatti nelle annotazioni discretamente folte segnate sul mar­gine di questo scritto che, pur mantenendosi nel complesso equilibrato, il tono della sua lettura tende, tuttavia, a ina­sprirsi.

NSE 123

Che la rappresentazione dell'arte, pur nella sua forma sommamente individuale, ab­bracci il tutto e rifletta in sé il cosmo, è stato assai volte notato; ed è questo anzi un crite­rio al quale si suol ricorrere per discernere l'arte profonda dall'arte superficiale ...

NSE 124

A scansare il secondo errore [consistente nel concepire il processo conoscitivo ' come la scoperta di una verità statica'] e a mettersi in

Questo concetto è già accennato nel Brev., p. 36

certo modo d'accordo col pensiero moderno, ma c/r. p. 141. che è nel · suo intimo e irresistibile impulso pensiero dell'immanenza e spiritualismo asso-luto, l'arte è stata considerata, non più come apprensione di un immobile concetto, ma come perpetua formazione di un giudizio, di un concetto che sia giudizio; e questo spie-gherebbe agevolmente il suo carattere di to-talità, perché ogni giudizio è giudizio del-l'universale. [ ... ] Teoria che urta in una sola, ma così insormontabile difficoltà, che ne esce infranta: nella difficoltà che la rappresenta-zione giudicante non è più arte, ma giudizio storico ossia storia.

NSE 126

Perché, che cosa è mai un sentimento o uno stato d'animo? è forse qualcosa che possa distaccarsi dall'universo e svolgersi per sé? forse che la parte e il tutto, l'individuo e il cosmo, il finito e l'infinito hanno realtà l'uno fuori dell'altro?

Dunque l'individuo è finito?

562

NSE 126-127

Nel travaglio del passaggio dal senti­mento come immediato alla sua mediazione e risoluzione nell'arte, dallo stato passionale allo stato contemplativo, dal pratico deside­rare, bramare e volere all'estetico conoscere, si è allora, invece di giungere fino al termine del processo, rimasti a mezzo, in quel punto che non è nero ancora e il bianco muore, e che non può essere stato fermato in tale este­tica contradizione se non per atto di vario e più o meno consapevole arbitrio .

NSE 127

La quale particolarità, finitezza ed angu­stia non è del sentimento - individuale e particolare insieme come ogni forma ed atto del reale, - e non è dell'intuizone - pari­menti individuale e universale insieme, -ma del sentimento che non è più semplice­mente sentimento, e della rappresentazione che non è ancora pura intuizione. Da ciò l'os­servazione più volte fatta, che gli artisti infe­riori si dimostrano assai più documentari ri­spetto alla propria vita e alla società del loro tempo che non gli artisti superiori, i quali trascendono il tempo, la società e sé mede­simi in quanto uomini pratici. Da ciò anche quella sorta di turbamento, che ci recano opere che fremono bensl di passione, ma sono manchevoli nell'idealizzamento della passione, nella purezza della forma intuitiva, dove consiste il proprio dell'arte .

NSE 127 Gentile, a fondo pagina:

GENNARO SASSO

il conoscere non è estetico (ma logico): nel conoscere già !'arte è superata

non è del senti­mento? Ma più sotto la passione non idea­lizzata si considera come particolare e biografica. Cfr. p. 141.

L'A. non sa risolversi a considerare il sentimento come tale già universale; e tende a vederne l'universalità nell'idealizzamento della contemplaz.[ione] estetica per (?) 1uale o evidentemente non aggiun­gendo nessun predicato non è in grado di universalizzare quel che non è universale.

GLOSSE MARG INALI DI G. GENTILE A LI BRI DI B. CROCE

NSE 128

Dare, dunque, al contenuto sentimentale la forma artistica è dargli insieme l'impronta della totalità, l'afflato cosmico; e, in questo senso, universalità e forma artistica non sono due ma uno.

NSE 128

Come, d 'altro canto, le teorie che spun­tarono già all'inizio dell 'Estetica moderna, e furono preannunziate nell'antichità dal-1' oscura teoria catartica di Aristotele, sullo sciogliersi da ogni interesse (la Interessenlosig­keit, come formolò il Kant), ossia da ogni in­teresse pratico, sono da interpretare come al­trettante difese contro la tendenza a intro­durre o lasciare persistere nell'arte il sen­timento immediato, cibo non assorbito nell'organismo e che si cangia in veleno; e non punto come affermazione d'indifferenza pel contenuto dell'arte e riduzione di questa a semplice e frivolo gioco.

NSE 133

Ma ora, dopo un secolo e mezzo di ro­manticismo, non gioverebbe, per avventura, che l'Estetica desse maggiore risalto alla dot­trina del carattere cosmico o integrale della verità artistica, alla depurazione che questa richiede dalle tendenze particolari e dalle forme immediate del sentimento e della pas­sione?

NSE 140

In altri termini : la ricerca della distin­zione tra le materie o parti della realtà che sarebbero poetiche e quelle che tali non sa­rebbero, sotto questa formulazione assurda accennava, senza toccarla, alla distinzione le­gittima, non tra materia e materia, ma tra

563

dunque il sentimento non ha per sé il ca­rattere della totalità: cfr. p. 128

questo sentimento im­mediato non è senti­meno ma è passività

romantzczsmo, senti­mento privo di carat­tere cosmico

ritorno al classicismo

564 GENNARO SASSO

forme spirituali, e, in questo caso, tra l'espressione che è puro sentimento o pura intuizione (poesia), l'espressione che è segno espressione = puro di pensiero (prosa), e l'espressione che è stru- sentimento mento di commozione degli affetti o di azione (oratoria).

NSE 141

Come ogni oratoria, essi suppongono qualcosa di più che non la semplice poesia; cioè, suppongono una critica o riflessione che si dica, e la conclusione di essa, che trapassa e si converte in un'azione sopra sé stessi o so­pra altri. Certo, anche il poeta, in quanto è uomo intero, riflette, cnttca, satireggia, schernisce, ironizza, celia; ma, in quanto poeta, supera questi vari atteggiamenti, riu­nendoli con gli altri tutti e tutti fondendoli nella visione totale della realtà che, in defini­tiva, è sempre seria.

NSE 143

Sotto molta letteratura odierna, che con l'andamento sbrigliato e capriccioso vorrebbe dar a credere di essere prodotta da un senti­mento impetuoso e per il suo impeto e per la sua originalità quasi indomabile e perciò pro­rompente in inusitati modi di espressione, si avverte il freddo del congegnato ed oratoria­mente ironico; la b!ague, e al tempo stesso la malizia di chi, percependo e sospettando che la sua vanteria non sarà creduta, la volge a scherzo: cose con le quali è altrettanto impos­sibile comporre poesia, quanto col pepe e col sale comporre un dolce.

Realismo' ma la realtà è nello spirito! e lo spirito distingue e nega dentro di sè

È vero che l'arte è sempre seria, come si dice a p. 141? Biso­gna distinguere tra serio e serio: tra Bemi e Parini: tra la buffoneria e la satira e il sarcasmo.

Chi ora, tenendo presenti non solo i contesti crociani ai quali i segni e le glosse di Gentile si riferiscono, ma anche gli svolgimenti teorici a cui essi dettero luogo nei suoi scritti, si provasse a condurre fino alle conseguenze estreme il tema che

G LOSS E MARG INALI DI G . GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 565

ha visto delinearglisi dinanzi, certo non potrebbe in poche battute condurlo alla sua conclusione. E poiché non cosl alta è l'ambizione che muove queste pagine, bastino le seguenti , rapide, considerazioni, che altri poi, se vorrà, completerà.

Commentando gli appunti che, a guisa di riepilogo, Gen­tile segnò nel retro dell'ultima pagina dell 'edizione fuori com­mercio del Breviario, quasi spontaneamente, e certo con buone ragioni, il discorso si soffermò piuttosto sulle questioni generali intrinseche alla concezione crociana del reale e della sua struttura, che non sui temi specifici dell 'estetica e della critica. Era questo, allora, il precipuo interesse di Gentile, che da anni, in effetti, trattasse con l'amico di logica o di teo­ria della pratica o, infine, di estetica, sempre, con la sua ti­pica insistenza, aveva battuto sulla questione dell 'unità e della distinzione, dell 'intellettualismo, del dualismo, e del­l'unica forma di idealismo che fosse sul serio in grado di de­bellarli e superarli. Ma già nella lettura che egli fece dell'altra edizione del Breviario e che, con ragionevoli motivi, può ri­tenersi avvenisse, sia pure con breve intervallo, qualche tempo dopo, l'interesse tende ad allargarsi; e non soltanto le questioni generali della realtà e delle relazioni che la costitui­scono sono richiamate in margine, bensl anche quelle che più specificamente concernono l'arte (e la storia) . Cosl, nell'enfasi con cui Gentile approva (« bravo! ») la risoluzione crociana delle opposte unilateralità del romanticismo e del classicismo nell'unica autentica realtà dell 'arte, che sempre è romantica nella passione dalla quale nasce, e classica nella forma alla quale perviene, dovrà leggersi qualcosa di più del compiaci­mento provato dinanzi ad una teoria ormai chiaramente orientata a stringere in unità i motivi costitutivi dell 'universo poetico. E se il lettore attento dell 'opera di Gentile, e il co­noscitore altresl del «gusto» storico che egli espresse nelle sue non numerose, e non sempre felici, «prove» di critico della letteratura, incontra varie difficoltà a riconoscere la pre­senza effettiva di questo concetto nella sua storiografia con­creta, ciò non toglie che il concetto abbia poi un preciso ri­scontro nella stessa Filosofia dell'arte, dove, ultimo paragrafo del primo capitolo della prima parte, esplicitamente «roman­ticismo» e «classicismo » sono considerati, nella reciproca

566 GENNARO SASSO

convergenza e al di là quindi della loro varia opposizione sto­rica e ideale, come l'essenza stessa della poesia 26 . Con alcune conseguenze che, tuttavia, occorrerà brevemente indicare.

Come è ben noto, in quanto propriamente la si consideri come poesia o arte, la poesia è, per Gentile, «inattuale» nel­l'unica concretezza del logo. E così accade per esempio che «il lirico di maggior impeto che (secondo lui) abbia la poesia italiana», ossia Alessandro Manzoni, non possa realizzare «classicamente» il «romanticismo» se non mediante quella forma estrema e coerente e legittima di «riflessione» e di «autocritica sulla propria ispirazione», che è l'ironia. Con una conseguenza per la verità molto singolare . Al di qua del controllo (il momento del «classico») che la «riflessione», e l' «autocritica» e infine l' «ironia» ne fanno, l'ispirazione (os­sia il momento romantico, la poesia vera e propria) è «inat­tuale»; e ravviva bensì il «corpo dell'arte, ma non si vede», e, a leggerla in quanto poesia «si sente il suo fremito, s'in­tuisce l'interno principio che mette in moto il nostro animo e in noi rivive», senza che la si possa «guardare in faccia , fissare, pensare, farne materia di esperienza pensata», sì che di essa deve dirsi che è «un nescio quid, un Deus absconditus e presente, che s'impadronisce di noi, e muove la nostra lin­gua e ci trascina con quella forza misteriosa che suscita i so­gni che tentano talvolta la nostra fede come divine rivela­zioni o veraci segni premonitori» . Ma, non appena il con­trollo sia avvenuto e abbia, per così dire, avuto luogo, essa, l'ispirazione, è ormai pensiero; e Gentile infatti la qualifica in termini non equivoci di «autocritica» e perciò di esplicita autocoscienza. Se quindi, posto il concetto della «inattualità dell'arte» in quanto «pura arte», il momento che viene de­finito «classico» non sta più all 'interno dell 'arte, ma esce in­vece da essa per innalzarla alle regioni del logo, della rifles-

26 G . G ENTILE, La filosofia dell'arte, Firenze 1937, pp. 122-27. E d r. ivi, p. 123: « un'arte tutta classica sarebbe frigida, vuota, un'ombra senza corpo. Un'arte tutta romantica sarebbe un corpo sformato senza nessuna li­nea. Due assurdi ».

GLOSSE MARGINA LI DI G . GENTILE A LI BRI DI B. CROCE 567

sione e dell'autocritica (perché, in effetti, quel momento è esso stesso logo, riflessione, autocritica), ecco allora che il suo nesso con il «romanticismo» si spezza e deve spezzarsi; e sarà quest'ultimo, non l'altro in sintesi con lui, a costituire da solo l'arte in quanto arte, quel nescio quid, quel Deus ab­sconditus che è presente, ma non può tuttavia esser colto dal pensiero, e che, con la forza trascinante e pur ambigua del «sogno», tenta la nostra stessa fede. In tal modo, quindi, l'unità del classico e del romantico, anzi del romantico e del classico, si scinde insieme allo scindersi e «non potersi pos­sedere», che dell'arte è, per Gentile, la vera (ed ambigua) essenza. E in questo senso è da dire che, al di là della sua pretesa (che, come si vede, non ha alcun fondamento ed è anzi schiettamente autocontraddittoria) di essere in linea con le proposizioni di Croce, quella scissione è invece coe­rente in sé, ossia con la concezione generale che la sottende, e in forza della quale, quando c'è, l'arte non può, in quanto tale, esser colta dal pensiero (non può diventare, dice il filo­sofo attualista, «materia di esperienza pensata»), e quando può esser colta dal pensiero, come arte non c'è più, non è attuale, perché è il pensiero che ormai domina risolvendola senza residui nel suo ritmo e nella sua dispiegata essenza. Che altro aggiungere, a questo riguardo, se non che il pro­blema che qui è venuto delineandosi può trovare la sua riso­luzione solo nell'ambito di un'analisi che scenda a fondo nelle ambigue «profondità» del sentimento e del suo proble­matico nesso con il pensiero in atto? Ma, senza la pretesa di neppure delineare, di questa analisi, i termini essenziali, è pur chiaro che il «dualismo», che sempre Gentile pretese di ritrovare alla radice del pensiero crociano, si era insinuato, e in modi assai insidiosi, nella sua stessa filosofia: perché niente meno che «dualistica» è la situazione in forza della quale , per un verso l'arte è «inattuale» nell'attualità del logo, e per un altro è pur sempre presente, come «inattua­le» (il sentimento, il nescio quid, il deus absconditus) in quel­l'attualità. La quale non sarà dunque tanto «attuale» da ri­solvere senza residui quella «presenza» (che è altresl , inevi­tabilmente, un'origine) , e non sarà tanto «presente» a sé medesima (ossia, ancora una volta, sul serio attuale) da im-

568 GENNARO SASSO

pedire che quel fremito misterioso, quel nescio quid, quel deus absconditus, che dell'arte sono come l'indizio e il sin­tomo indiretto, sussistano tuttavia, irrisolti o non a pieno ri­solti, nel fondo oscuro di ciò che, per definizione, dovrebbe invece esser tutto risplendente della luce assoluta dell'auto­coscienza.

Così, attraverso la rapida analisi di questa sottile incon­gruenza, si giunge nei pressi di uno dei nodi più problema­tici dell'attualismo: il nodo del sentimento (che non è, per Gentile, materia dell'arte, ma l'arte stessa in quanto imme­diatezza) . E intorno a questo motivo sarebbe interessante fermarsi, perché è a partire di qui che può forse trovarsi la via che conduce a scoprire l'intima tensione (Gentile direbbe il ~<segreto») di questa filosofia . Senonché, l'analisi di questa essenziale articolazione dell'attualismo andrà bensì affron­tata, ma in altra sede, e con la necessaria cura. Alla natura di queste pagine basterà invece l'osservazione che gli ap­punti presi in margine al Breviario di estetica non ebbero si­stematico svolgimento se non nel 1928, quando Gentile pubblicò il saggio che specificamente dedicò al « sentimen­to» . Fino a quel momento, egli aveva bensì tentato di esporre le linee del suo pensiero (si pensi al primo volume del Sommario di pedagogia e alla Teoria generale dello spirito come atto puro) , senza per altro riuscire a individuare bene il significato della questione, o dedicando ad essa pochi e sporadici accenni: pochi e sporadici, ossia non bene connessi nel circolo e con il circolo concettuale che gli si era costi­tuito nella mente. Da questo punto di vista, con la testimo­nianza che offrono di un non breve travaglio critico, le glosse che qui sono state pubblicate e passate in rapida ras­segna riusciranno senza dubbio di notevole interesse agli oc­chi di chi, del pensiero di Gentile, sia interessato a mettere in luce non solo gli svolgimenti espliciti, ma altresì quelli im­pliciti, ossia più nascosti e segreti. E dopo aver ribadito l'importanza di queste annotazioni marginali , e sopra tutto di quelle che sottolineano l'universalità del sentimento in quanto tale, asteniamoci dal commentarle minutamente, re­stringendoci a notare che quando, a proposito della serietà dell 'arte, Gentile propose che tuttavia si distinguesse fra se-

GLOSSE MARG INALI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 569

rietà e serietà, fra Parini e Berni, chi conosca lo stile e l' ani­mus della sua critica subito intenderà che qui non è in gioco soltanto la disposizione culturale che lo condusse, per esem­pio, a sottolineare con particolare energia il manzoniano «prender le cose sul serio» 27 , ma, a guardar bene, la sua stessa interpretazione del Rinascimento e, in essa, l'inces­sante polemica contro il letterato petrarchesco («dal Petrarca potrà venire lo spirito del grande Rinascimento, che si river­serà splendente di fantasmi immortali sull'Europa meravi­gliata; ma verrà anche l'arida progenie del letteratume acca­demizzante, classicizzante, linguaiolo, rettorico, erudito, anemico dell 'età barocca») 28 .

Non si deve credere, per altro, che solo gli scritti di este­tica attirassero l'attenzione di Gentile. Fra il 1912 e il 1913, nei mesi stessi in cui venne maturandosi e quindi svolgendosi la celebre polemica pubblica che, per iniziativa di Croce, i due filosofi affidarono alle pagine della Voce prezzoliana, Gentile segul con vivo interesse la pubblicazione delle memo­rie che poi, come altrettanti capitoli, andarono a costituire la parte teorica della Teoria e storia della storiografia. E a pro­posito delle Questioni storiografiche (coincidenti con i capitoli che vanno da quinto al nono del libro definitivo) in data 20 febbraio 1913 gli scriveva per «congratularsi» della «nuova bella memoria [ ... ], che mi è piaciuta molto, quantunque in alcune parti eccessivamente stringata». «Vuol dire - aggiun­geva - che presto vi tornerai sopra e svilupperai certi con­cetti. Importanti assai i primi due capitoli, che certamente vorrai riprendere e trattare più ampiamente, perché sono pre­gni di conseguenze filosofiche, nuove e di sommo interesse.

27 È il Leitmotiv della conferenza manzoniana del 1923 (la si veda in Manzoni e Leopardi, Milano 1928, pp . 3-30) .

28 Sono parole del saggio Umanesimo e incunaboli (1937), in Il pensiero italiano del Rinascimento, Firenze 1940, p. 12 ; e il motivo che vi è racchiuso meriterebbe un'indagine specifica, la quale mirasse, anzi tutto, a stringere il nesso Rinascimento-Risorgimento (e quindi , subordinatamente, artista­poeta, artista-uomo, etc.) con più forza e consapevolezza di quanto non ri­sulti da certi studi recenti sulla storiografia gentiliana.

570 GENNARO SASSO

Sono perfettamente d'accordo con te nella critica dell'Idea hegeliana e Provvidenza vichiana. Io mi vengo sempre più persuadendo nella convinzione che Hegel non scoprì il vero principio dell'immanenza e la sua idea rimase però, suo mal­grado, trascendente. E però egli potè sopravvalutare del tutto erroneamente la dialettica del Sofista e del Parmenide nella Storia della filosofia . Vedrai come mi sono incontrato con te in questa critica in uno scritto sul Metodo dell'immanenza» 29 .

In effetti, a parte il giudizio sulla sopravvalutazione he­geliana dei due grandi dialoghi platonici (a proposito del quale è per lo meno sintomatico che né qui né nello scritto sul metodo dell'immanenza si ricordasse la fondamentale critica che, nella Scienza della logica e nella stessa Storia della filo­sofia, era stata rivolta a Platone e alla costruzione «per ge­neri» della dialettica 3°), Gentile si trovava allora nel suo ti-

29 Gentile a Croce , 20 febbraio 1920 (Lettere, IV , 225-26). >O Per la critica rivolta a Hegel e alla sua concezione della dialettica,

dr. G. GENTILE, Il metodo dell'immanenza (1913) in La riforma della dia­lettica hegeliana, Firenze 1954, pp. 226-29. Per la critica hegeliana della dia­lettica platonica, che Gentile non tenne specificamente presente né par­lando di Platone (Il metodo dell'immanenza cit., pp . 198-202) né parlando di Hegel, dr. sopra tutto, G .W.F. HEGEL, Wissenschaft der Logik, hrsg. von G. Lasson, Hamburg 1967, I , 105-106, passim, e Lezioni sulla storia della filo­sofia, tr . it ., Firenze 1932, II , 205-27. Non è questa la sede per trattare un simile argomento. Ma per quanto riguarda Hegel, e cioè le Noterelle di cri­tica hegeliana che Croce inserì nella «Critica» del 1912 (e quindi nel Saggio sullo Hegel, Bari 1913, pp . 177-205), dr. Gentile a Croce, 19 agosto 1912 (« di particolare interesse, come puoi immaginare, mi sono riuscite le tue note di filosofia hegeliana. In quella sul cominciamento mi pare d'essere in­teramente d 'accordo con te. Per la filosofia della natura credo che bisogna andare un po' più in là e non restare alla semplice negazione e al momento polemico. E più in là si deve trovare il valore filosofico della scienza natu­rale, come s'è trovato il valore filosofico della storia (perché l'una e laltra sono un solo processo»: Lettere, IV, 181), e quindi Croce e Gentile, 21 ago­sto 1912 («ho piacere che sii d'accordo con me circa la questione del co­minciamento. Quanto alla filosofia della natura, avrai notato che io do un certo avviamento per la sintesi di essa con la filosofia e con la storia. Ma circa il modo di compiere questa sintesi, ci sarà da discutere e da cercare ancora»: Lettere a Giovanni Gentile , p. 426). Lo scambio epistolare è, come si vede, particolarmente interessante, su questo punto cruciale : e non solo perché Gentile si dichiarasse solidale con la trattazione crociana del « co-

GLOSSE MARGINA LI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 571

pico stato d'animo, consistente, fra sfida e speranza, nell' at­tendere il pensiero dell'amico al decisivo punto d'approdo della estrema coerenza attualistica. E non solo questo stato d'animo è evidente nell'insistenza con la quale egli lo pregò di ritornare con nuovi svolgimenti sulle «parti eccessivamente stringate» della trattazione, ma altresì nel richiamo esplicito di quel suo scritto sul metodo dell'immanenza che, fra i saggi filosofici anteriori alla Teoria generale dello spirito, è forse il più importante, per l'estrema energia con la quale, dal punto di vista rigoroso della teoria dell'atto puro, e dell 'immanenza che, essa sola (a giudizio del suo autore), realizza e può rea­lizzare, ricostruisce in iscorcio l'intera storia della filosofia .

Di questo atteggiamento, che troverà forse la più matura espressione nella Nota che, nella terza edizione della Teoria generale, egli aggiunge al capitolo decimoterzo, L 'antinomia storica e la storia eterna, sono altresì documento interessante le poche glosse che Gentile segnò in margine alla prima edi­z10ne (1917) della Teoria crociana .

TSS 5

Se, invece, ci atteniamo alla storia reale , Il alla storia che realmente si pensa, nell'atto che si pensa, sarà agevole scorgere che essa è perfettamente identica alla più personale e contemporanea delle storie.

TSS 10

La storia è la storia viva, la cronaca la storia morta; la storia, la storia contempora-nea, e la cronaca, la storia passata; la storia è 11 + precipuamente un atto di pensiero, la cronaca un atto di volontà. Ogni storia diventa cro-naca quando non è più pensata ...

minciamento assoluto», e quindi con la durissima critica rivolta a B. Spa­venta, ma essenzialmente per le dichiarazioni relative al problema della «scienza», che i due filosofi giudicavano allora bisognevole di nuove ricer­che (che poi, in realtà, o non vennero o, se vennero, non modificarono il quadro fissato in precedenza).

572

TSS 105

La storia si pensa giudicandola, con quel giudizio che non è, come si è visto, la rea­zione del sentimento, ma l'intrinseca cono­scenza dei fatti. E qui la sua unità con la fi­losofia si scorge in modo sempre più con­creto, perché, quanto meglio la filosofia ap­profondisce e affina le sue distinzioni, tanto meglio approfondisce e affina il particolare; e quanto più fortemente abbraccia questo, tanto più fortemente possiede i suoi propri concetti . Progresso di filosofia e progresso di storiografia vanno insieme, indissolubilmente congiunti.

TSS 126

G ENNARO SASSO

ma il particolare sto­rico non è meno un distinto, termine di distinzione filosofica . I distinti come cate­gorie sarebbero sem­pre l'universale

Nel corso delle precedenti dilucidazioni teoriche, abbiamo negato cosl l'idea di una Il storia universale (nel tempo e nello spazio) , ? cfr. p. 107 come quella di una storia generale (dello spi-rito nella sua indiscriminata generalità o uni-tà), e fatto in cambio valere l'opposta duplice sentenza: che la storia è sempre particolare, ed è sempre speciale; e che queste due deter-minazioni costituiscono per l'appunto l'effet-tiva e concreta universalità, e la effettiva e concreta unità .

TSS 136

La filosofia, in conseguenza della nuova relazione in cui è stata posta, non può essere necessariamente altro che il momento meto­dologico della Storiografia: dilucidazione del­le categorie costitutive dei giudizi storici ossia dei concetti direttivi dell 'interpretazione sto­rica .

TSS 140

Se, infatti, la metodologia toglie la mate­ria dei suoi problemi dalla storia, la storia,

definizione della filo­sofia, ma non battez­zabile come ' meto­dologia'

GLOSSE MARG INALI DI G . GENTILE A LI BRI DI B. CROCE

nella sua modesta ma concretissima forma di storia di noi medesimi, di ciascuno di noi come individuo, ci mostra che noi trascor­riamo di problema in problema filosofico par­ticolare sotto la sollecitazione della nostra vita vissuta, e, secondo le epoche di questa, uno o altro gruppo o classe di problemi tiene il campo o ha per noi interesse preponde-

573

rante. E se guardiamo al più largo ma meno Il cfr. pp. 88 e 145 determinato spettacolo che offre la cosiddetta storia generale della filosofia, osserviamo il medesimo: che cioè, secondo i tempi e i po-poli, ora i problemi filosofici della morale ora quelli della politica ora della religione ora delle scienze naturali e delle matematiche hanno avuto le prime parti ...

TSS 142

Tale disposizione[' proveniente dalla vec­chia concezione metafisica dell'ufficio della filosofia'] ingenerò pessime conseguenze nelle trattazioni filosofiche della scuola hegeliana, nelle quali di solito quegli scolari (diversa­mente dal maestro) mostrarono di avere poco o punto ricercato e meditato nei problemi delle varie forme spirituali, accogliendo vo-lentieri intorno ad esse le opinioni volgari... Vero

TSS 143

Sicché la filosofia definitiva, contenuta come esigenza nella concezione del problema fondamentale , contrasta con l'esperienza sto­rica.

TSS 143

nessuna è definitiva, ma tutte sono pure definitive

Ogni filosofia è definitiva bensl pel pro- Il blema presente che risolve, ma non già per quello che nasce subito dopo, a piede del primo, e per gli altri che nasceranno da que-sto. Chiudere la serie varrebbe tornare dalla filosofia alla religione e riposarsi in Dio.

574

TSS 145

... e il filosofo in generale, il purus philo- Il sophus non trovi più luogo tra le specifica­zioni professionali del sapere.

GENNA RO SASSO

Ebbene, intorno a queste postille gentiliane, veloci e som­marie ma pur acute nel sottolineare i punti di più vivo inte­resse ed anche di più profonda tensione del rinnovato filoso­fare crociano sul tema della storia, che cosa dire? Nel fatto, esse sono così rapide nell'enunciazione e così ricche di conse­guenze nell'ambito del pensiero che le sorregge, che farne la storia significherebbe ripercorrere una linea interpretativa che, nel complesso, è ben nota, e troppo ampie considerazioni invece richiederebbe se si intendesse, come per qualche verso è necessario, rinnovarne e approfondirne i motivi. E perciò, dopo aver rilevato che Gentile aveva ragione (sebbene fosse troppo rapido e drastico nel formulare il relativo problema) quando osservava che i distinti, in quanto categorie, sono universali, e che invece ne aveva assai di meno, e alludeva a un'aspra difficoltà là dove osservava che soltanto il partico­lare, in quanto particolare, può esser nota o strumento di di­stinzione; dopo aver avvertito che, dissertando intorno al­l'aporia storicistica del «definitivo» e del «non definitivo», egli non riusciva certo più persuasivo, o più rigoroso, del suo amico; dopo aver notato che con le glosse che segnava in mar­gine alla concezione della «filosofia come metodologia», ed anche con le più distese argomentazioni che altrove ne trasse, la teoria crociana non può esser compresa nelle sue ragioni, e nel problema al quale mette capo, - dopo aver detto, dun­que, quanto, rapidamente, c'era da dire, passiamo alle glosse più interessanti che mai gli accadesse di dedicare a pagine crociane: le glosse che ancora si leggono nella copia degli Ele­menti di politica, La terza, Bari 1925.

È ovvia avvertenza che, a questa data, siamo ormai post res perditas, nel vivo della controversia che, se non aveva (al­meno formalmente) ancora posto fine ali' amicizia, già aveva per altro scatenato una tempesta che non si placò più negli

GLOSSE MARGINALI DI G. GEN TILE A LIBRI DI B. CROCE 575

anni successivi, e che solo la morte violenta di Gentile sembrò per un attimo placare nell'animo dell'amico che, più vecchio, gli sopravviveva. Con il 1924 anche il carteggio, ini­ziato nel lontano 1896, era cessato, sebbene l'ultima lettera che Croce inviò a Gentile esplicitamente negasse che con quella egli intendesse dimittere amicitiam («ma io non ho mai pensato a romperla con te, come tu dici» 3 1). Al di là della

3 1 L'ultima lettera inviata a Gentile, il 24 ottobre 1924, fu raccolta da Croce in una «scelta di lettere» che egli mise insieme a «ricordo della sua vita» durante il ventennio 1914-1935 (cfr. B. CROCE, Epistolario, Napoli 1967, I, 107: ma cfr. ora Lettere a Giovanni Gentile, pp. 670-71. E si veda, ivi, pp. 118-21, la lettera che il 30 luglio 1925 egli scrisse, e non inviò, ad un amico « sconosciuto», per ragguagliarlo delle ragioni che lo avevano in­dotto a rompere con il suo vecchio amico: se poi la lettera fosse scritta per essere inviata o come pro memoria personale in forma di lettera, è una que­stione, in ultima analisi, irrilevante) . A proposito della «rottura» fra i due filosofi, va anche ricordato che nella «Critica», 22 (1924) , pp. 51-55 , Croce aveva pubblicato una recensione, secca senza dubbio ma non «ostile», del II volume (non della « seconda edizione», come scrive il Dx LALLA, Vita di Giovanni Gentile, p. 322) del Sistema di logica, uscito presso Laterza nel 1923 unitamente alla seconda edizione (ecco forse l'origine dell'equivoco) del primo, il quale già aveva visto la luce sei anni prima, nel 1917 . A questa recensione Gentile, che l'aveva annunziato, con parole ancora amichevoli, il 25 marzo 1924 (Lettere a Benedetto Croce, V, 430-32; e la replica di Croce, il 27 marzo, Lettere, pp . 668-69), rispose con un articolo, Un altro giudizio di B. Croce sull'idealismo attuale, «Giornale critico della filosofia italiana», 5 (1924) , pp. 67-72, deciso e secco nella sostanza, ma pur commosso e sin­cero nell'augurio che, con Croce, a lui fosse ancora concesso di ricercare, criticamente e autocriticamente, la verità. In effetti, anche Croce aveva concluso la sua recensione esprimendo il convincimento che una vera colla­borazione intellettuale richiedesse piuttosto contrasti che non una concordia « degna di Bouvard e Pècuchet» (i quali, per altro, talvolta si trovavano in disaccordo anch'essi!). Ma il tono di questa conclusione, poi soppressa (in­sieme all'esordio) nella ristampa che della sua recensione Croce fece nelle Conversazioni critiche, Bari 1932, IV, 297-304 , è freddo, e ha quasi l'aria di un'excusatio . La rottura non avvenne, per altro, a causa dei contrasti teorici , che forse avrebbero raffreddato i rapporti senza distruggere l'amicizia, ma per le note ragioni politiche, che esasperarono quei contrasti, innalzandoli sul piano dell'insanabile conflitto fra concezioni della vita. Per i documenti della polemica politica di quei due anni cruciali , 1924-1925 , si vedano B. CROCE, Pagine sparse, Bari 1960, II, 475 sgg., e G. GENTILE, Che cosa è il fascismo , Firenze 1924 [ma 1925], pp. 153 sgg. Altri testi saranno citati in seguito.

576 GENNA RO SASSO

stessa polemica filosofica, parole molto gravi erano state scambiate in pubblico tra Gentile che, anticipando un tema che sarebbe stato rozzamente ripreso nel secondo dopoguerra, parlava di Croce come di uno schietto fascista inconsapevo­le 32, e quest'ultimo che, con estrema durezza, lo accusava di alterare in tal modo ogni serio concetto che si fosse mai messo innanzi nell 'interpretazione della più recente storia d'Italia. Si aggiungano le polemiche che, senza dar prova di eccessiva discrezione, gli scolari 33 di Gentile accendevano ad ogni occasione, esacerbando gli animi e rendendo sempre più difficile ogni tentativo che altri si proponesse di esperire allo scopo di salvare, almeno, il salvabile. Ma sopra tutto si con­sideri la forza stessa delle cose, la violenza delle passioni e il loro fatale trascendersi nella logica intrinseca ad una situa­zione in cui, ben al di sopra dei sentimenti personali, un as­setto politico e sociale stava toccando il fondo della crisi e un intero sistema di civiltà vacillava sotto i colpi dei vincitori. In questa situazione, il tentativo che, a partire dal 1927, Adolfo Omodeo aveva intrapreso ed eseguito con scrupolo, e con la generosa illusione di riuscire a far passare indenni attraverso quell'incendio almeno il rispetto reciproco dei due filosofi e le loro formali relazioni, merita di esser ricordato come il docu­mento esemplare non solo della crisi profonda che il progres­sivo distacco politico dal maestro, di cui ancora condivideva

32 GENTILE, Il liberalismo di B. Croce, « Epoca», 21 marzo 1925 , e poi in Che cosa è i/fascismo, pp . 153-59. L'espressione citata nel testo è, ivi, p. 154. L'articolo crociano al quale Gentile qui risponde , comparve nel «Gior­nale d 'Italia », 12 marzo 1925, quindi nella «Critica », 23 (1925) , pp. 125-28 e, da ultimo, in Cultura e vita morale cit ., pp . 283-88. Alla risposta gentiliana Croce replicò ancora nel « Giornale d 'Italia », 24 marzo 1925 (;Pagine sparse, II , 454-57), e Gentile ribatté nell'« Epoca» del 25 marzo 1925 ( ; Che cosa è il fascismo, pp. 159-61).

H Le polemiche degli scolari di Gentile nei confronti di Croce sono, a partire sopra tutto dal 1923-1924 , un fa tto pressoché costante nella storia delle relazioni fra i due filosofi: cfr . la lettera di A. Omodeo a Gentile, 22 dicembre 1923 , in Carteggio Gentile-Omodeo , Firenze 1975 , p. 294. E cfr. del resto anche U. SPIRITO, I cinquant'anni del « Giornale critico della filo­sofia italiana » , « Quaderni » della Biblioteca filosofica di Torino, 32 (1969), pp . 7- 9. Si veda, in genere, l'ampia documentazione raccolta da R. CoLA­PIETRA, Benedetto Croce e la politica italiana, Bari 1970, II , 561 sgg., passim.

GLOSSE MARGINALI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE .577

il pensiero filosofico, gli scavava nell'animo, ma altresl della vanità degli sforzi che, in tempi come quelli, uomini onesti e disinteressati compiono per impedire che la politica consumi intero il suo dramma e, in esso, vecchie solidarietà, affetti, speranze di pace. Era inevitabile, dunque, che la «tregua d'armi» 34 , che Omodeo aveva richiesta alle due parti, non potesse essere rispettata né dall 'uno né dall'altro filosofo. Non poteva essere rispettata da Gentile, che nel vecchio amico di tante battaglie, ora attestato su posizioni diverse dalle sue, e fin opposte, vedeva e sentiva come un monito continuo, un richiamo alla buona compagnia per la quale era nato; e ne era perciò indotto, per contrasto, a esacerbare il tono della polemica e a far vibrare con maggior forza la voce interna di un convincimento, che nessuno certo si permetterà di discutere nel suo fondamento morale, ma che pure non po­teva essere privo, nel suo fondo oscuro, di dubbi e di intimi motivi di lacerazione. Ma, per altro verso, la tregua non po­teva essere rispettata da Croce: il quale, in una zona segreta e profonda della sua coscienza, pensava bensl che, forse, svol­tesi le cose secondo la loro logica intrinseca, il fascismo avrebbe finito per dissolversi e Gentile per riconoscere di nuovo i suoi; ma, d'altra parte e nello stesso tempo, non po-

H La proposta di una « tregua d 'armi» è contenuta nella lettera a Gen­tile del 27 ottobre 1927, Carteggio Gentile-Omodeo , p. 391, e fu accettata da Croce (ivi, p. 392) e da Gentile nella lettera a Omodeo del 28 ottobre, Carteggio, p. 393 . La «tregua » naufragò definitivamente il 30 gennaio 1928, quando Gentile scrisse a Omodeo (Carteggio, p. 397) per avvertirlo, con due parole, di quel che Croce aveva scritto nella recentissima Storia d'Italia, a proposito dell'idealismo attuale e del suo torbido mescolarsi nelle cose della pratica. E Omodeo, il 1 ° febbraio dello stesso anno: « ho letto con dolore il passo in questione, ma non le nascondo che con eguale dolore lessi tempo fa un'invettiva contro i rammolliti e gli smidollati . Evidentemente il mio ten­tativo è fallito, e non si può fermare un cozzo deplorevole, ma inevitabile finché si pongono avanti - come allora feci io - criteri d 'opportunità» (Carteggio Gentile-Omodeo , p. 398) . La vicenda fu poi rievocata, senza per altro alcun accenno specifico alla proposta della «tregua d'armi», in A . 0MODEO, La collaborazione con Benedetto Croce durante il ventennio , « Ras­segna d 'Italia », 1 (1946), p. 269 e ora in Libertà e storia. Scritti e discorsi politici, Torino 1960, p. 491, dove è comunque durissimo il giudizio sulla «scuola » gentiliana.

_J

578 GENNARO SASSO

teva non avvertire l'amarezza, il disinganno e anche il disgu­sto provocatigli dall'atteggiamento del suo amico, dal tono baldanzoso e a tratti arrogante della sua polemica, nonché dalla pretesa di continuo ribadita di esser lui, e lui solo, il vero e unico interprete di quel che il pensiero crociano fosse nella realtà, e al di là di ogni soggettiva illusione.

Avvenne cosl che quando nella Storia d'Italia (alla quale egli cominciò a lavorare, come si apprende dai Diarii, il 18 giugno 1926) Croce giunse, nel capitolo decimo, a trattare dell'opera sua, di quella del suo maggior collaboratore e del­l'indirizzo variamente irrazionalistico preso a un certo punto dal suo pensiero, che di recente si era infatti rivelato come un «non limpido consigliere pratico» 35 , Gentile giudicasse giunto il momento di rompere definitivamente la tregua che l'Omodeo aveva proposta, accettando, ed inducendo ogni al­tro ad accettare come irreversibile, una guerra lunga e aspra . «Avrai visto nell'ultimo libro del Croce - scriveva a Omo­deo il 30 gennaio 1928 - come sia stata da lui osservata la tregua da te invocata: e come sia quindi facile il silenzio. Quell'uomo è accecato dall'orgoglio : da un orgoglio satanico. Ed è diventato pericoloso come un cavallo sfuriato. Non si può perciò non occuparsene» 36 . A sua volta, a Giovanni La­terza 37 che aveva tentato l'estrema mediazione, Croce scri­veva duramente : «la frase non è modificabile, perché è giusta. È strano che il Gentile si lamenti di cosa nota a tutti, e della quale egli stesso ha data fresca riprova col suo discorso di otto giorni or sono, che è parso a tutti un complesso di contraddi­zioni , un dire e un non dire , ossia proprio il contrario della

>5 B. CROCE, Storia d'Italia dal 1871al1 915, Bari 1943 7, p. 259. 36 Carteggio Gentile-Omodeo, p. 397. 37 Giovanni Laterza aveva ricevuto da Gentile una lettera, 27 gennaio

1928, nella quale erano contenute lamentele per la « frase equivoca, che è una vera insinuazione maligna e spregevole contro di me » (il testo è in Mo­stra storica della Casa editrice Laten:a, Bari 1961, p. 599; e l'editore aveva cercato di operare , in extremis, una mediazione, la quale naturalmente falll , come si vede dalla risposta di Croce, citata nel tes to.

GLOSSE MARGINA LI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 579

limpidezza. Cerchi il Gentile di decidersi, diventi limpido, e la mia frase non gli sarà più applicabile» 38 .

Ma nel 1925, quando Gentile si mise dinanzi al testo cro­ciano della Politica ' in nuce ', che forse egli già aveva letto nella Critica dell'anno precedente, la tregua delle armi non era stata ancora proposta, e la polemica era per contro nel suo pieno corso. E poi, in ogni caso, la tregua non è la pace; e nel chiuso di una stanza da studio è inevitabile che dinanzi ad un libro come quello di Croce, tutto risonante, nel profondo, dei toni appassionati di una durissima polemica, l'animo sia in­dotto ad accettarla e ogni volontà diplomatica di non esaspe­rarla ne sia invece travolta. Del resto che la Politica ' in nuce ' sia anche un documento di esplicita, o quasi esplicita, pole­mica antiattualistica, è cosa di cui, chiunque l'abbia letta con un minimo d'attenzione, si sarà ben accorto. Esso culmina nella distinzione, duramente ribadita, della politica dalla mo­rale; riduce lo stato a un processo e a un intreccio di azioni utili; con estrema decisione combatte contro le aberrazioni dello «stato etico»; eleva al di sopra dello stato la moralità e la storia, e in questa intende la vera concretezza dell'agire po­litico, che non è soltanto di coloro che «acconsentono» e di­cono sì, bensì anche degli oppositori, degli uomini del dubbio e della rivolta, degli intellettuali, come Croce li definisce, di «tempra fine». E Gentile che, leggendo questo testo, meglio di ogni altro era in grado di coglierne le più riposte sfumature polemiche, non poteva non reagire subito, matita in mano, a quelle forti provocazioni critiche. Le postille che, più inten­samente che altre volte , egli segnò nei margini del saggio cro­ciano, gli riuscirono perciò non solo vibranti di passione po­lemica, ma, come quelle che nascevano da una sfida esisten­ziale, oltre che teoretica, nutrite di particolare impegno filo­sofico ed esegetico. Fra le glosse che , nel corso degli anni, egli dedicò ai libri del suo amico, sono queste, in effetti, le più interessanti; e converrà perciò, dopo averle pubblicate, dedi­care ad esse un breve commento .

38 Croce a G. Laterza, 29 gennaio 1928, Mostra storica cit ., p . 60.

580

EP 17

L'uomo (come sapevano e dicevano già gli antichi) è un essere sociale o politico per sua natura; e lo Stato (come diciamo noi mo­derni) non è un fatto, ma una categoria spi­rituale .

EP 19

Il dilemma se lo Stato si fondi sulla forza o sul consenso, e il quesito se legittimo sia lo Stato dovuto alla forza o solo quello dovuto al consenso, vanno messi in compagnia con la distinzione di sopra ricordata tra Stato e go­verno; perché, in verità, forza e consenso sono in politica termini correlativi, e dov'è l'uno, non può mai mancare l'altro. Consenso (si obietterà) 'forzato'; ma ogni consenso è forzato, più o meno forzato, ma forzato, cioè tale che sorge sulla ' forza ' di certi fatti, e perciò 'condizionato ' : se la condizione muta, il consenso, com'è naturale , viene ritirato, scoppiano il dibattito e la lotta, e un nuovo consenso si stabilisce sulla condizione nuova. Non c'è formazione politica che si sottragga a questa vicenda: nel più liberale degli Stati come nella più oppressiva delle tirannidi, il consenso c'è sempre, e sempre è forzato , con­dizionato e mutevole. Se cosl non fosse, man­cherebbero insieme e lo Stato e la vita dello Stato.

EP 22

La sovranità, in una relazione , non è di nessuno dei suoi componenti singolarmente preso, ma della relazione stessa.

GENNARO SASSO

Se lo Stato è catego­ria, si distingue dal­/' azione politica, con cui si identifica a p. 12.

Ma se l'azione poli­tica è la stessa azione del singolo, che è questo Stato che man­cherebbe se ... ?

che cosa è questa re­lazione, posto il no­minalismo di pp. 11-12? O anche in quelle pagine il pro­cesso è qualcosa di interindividuale?

G LOSSE MARGINALI DI G . GENTILE A LIBRI DI B. CROC E

EP 22

E se la sovranità è in ogni parte della re­lazione nec cubat in uffa, cade anche, come destituita di valore speculativo, la divisione degli Stati secondo le persone che esercitano la sovranità, e anzitutto la celebre tripartizio­ne in monarchia, aristocrazia e democrazia.

EP 24

Il presupposto di questa [la teoria eguali­taria] è la eguaglianza degli individui, messa a fondamento degli Stati: eguaglianza che non sarebbe pensabile se non nella forma di au­tarchia, del pieno appagamento dell'indivi­duo in sé medesimo, che non ha nulla da chiedere all'altro, al quale è eguale; e perciò in una forma cosl fatta, che non può valere a fondare lo Stato, ma per contrario ne mostra la superfluità, essendo, in tale ipotesi, ogni individuo uno Stato a sé .

EP 32

Poiché lo Stato veniva inteso [da Hegel e dagli hegeliani] come la vita morale, la con­cretezza stessa della vita morale , era affatto conseguente innalzarlo al fastigio sul quale il Kant aveva collocato la legge morale e pro­porlo alla medesima reverenza e venerazione. Ma l'errore di quei dottrinari consisteva, e consiste, per l'appunto nell'aver concepito la vita morale nella forma, a lei inadeguata, della vita politica e dello Stato.

EP 33

Ma la vita morale abbraccia in sé gli uo­mini di governo e i loro avversari, i conser­vatori e i rivoluzionari, e questi forse più de­gli altri , perché meglio degli altri aprono le

581

lo Stato è relazione? Ma allora la legge non s'immedesima con !'operare effet­tivo del singolo.

Ogni individuo è uno Stato a sé. Lo Stato è relazione (Dio , Storia, Idea) . Questo è Hegel.

di quale Stato? Se lo Stato s'intende come anche il Croce !'in­tende a p. 24, no: perché oltre Dio o la Storia non c'è altro.

582

vie dell'avvenire e procurano lavanzamento delle società umane . Per essa non vi sono al­tri rei che coloro i quali non si sono ancora elevati alla vita morale; e spesse volte loda e ammira e ama e celebra i reietti dai governi, i condannati, i vinti, e li santifica martiri del­l'idea. Per essa, ciascun uomo di buona vo­lontà serve alla causa della cultura e del pro­gresso a sua guisa, e tutti in concordia di­scorde .

G ENNARO SASSO

ma lo Stato com­prende gli uomini di governo e gli avver­sari perché coincide con la relazione, la sintesi. Bisognerebbe dimostrare che gl'in­tellettuali di fine qualità siano fuori della sintesi.

Gentile alla fine di EP 35 :

In tutti questi 2 primi capitoli giuocano due concetti diversi dello Stato; una volta inteso come governo ( = governanti) e un'altra come relazione e storia (governanti e governati, e rapporti internazionali). Per uscir dall'astratto nominalismo, !'A . si a/ferra al 2° concetto. Per combattere l'eticità dello stato, si afferra al 1°.

EP 46

Ma quando i nomi si trattano come nomi, e si rispettano anche ma come nomi, e nei partiti si ricerca e si affisa il loro essere storico, e gli individui che li compongono e li guidano, questi giochetti di reciproca conver­sione, questi sofismi sono impediti o resi vani, perché si ha allora dinanzi la realtà dei vari partiti, che è diversità di sentimenti, di temperamenti, di precedenti, di svolgimento mentale, di cultura, di educazione, di voca­z10ne.

EP 66

La durezza e l'insidiosità, inevitabili nella politica e che il Machiavelli riconosceva e raccomandava pur provandone a volte nau­sea morale, vengono spiegate dal Vico come parte del dramma dell'umanità, che in perpe­tuo si crea e ricrea; e sono riguardate nel loro duplice aspetto di bene reale e di male appa­rente ...

qui si torna al nomi­nalismo

GLOSSE MARG INALI DI G. GEN TILE A LIBRI DI B. CROCE

EP 72

Ciò che noi abbiamo chiamato vita poli­tica e Stato in senso stretto o in senso pro­prio, corrisponde ad un dipresso a quello che lo Hegel chiamava ' società civile' (burgerliche Gesellschaft) e che comprendeva non solo l'operosità economica degli uomini, la produ­zione e lo scambio delle merci e dei servigi, ma anche il diritto e l'amministrazione o go­verno in base alle leggi.

EP 100 39

Da questi difetti di teoria e da queste an­gustie di contingenza la storia morale o etico­politica si deve disciogliere, correggendo sé stessa e concependo come suo oggetto non solo lo Stato e il governo dello Stato e l'espansione dello Stato, ma anche ciò che è fuori dello Stato, sia che cooperi con esso, sia che si sforzi di modificarlo, rovesciarlo e so­stituirlo.

EP 105-106

Sol che, al modo stesso nel quale si è di-sopra ammonito a non scambiare la vita eti­co-politica o statale, che è oggetto della sto- p. 72. ria, con lo Stato come vien concepito dai meri politici e per fini politici o giuridici, bi-sogna pur raccomandare di non prendere la 'religione ' nel significato materiale degli adepti delle varie religioni .. .

583

Ripercorrendo nel loro insieme le glosse che sono state qui su pubblicate, è facile vedere che due sono le preoccupa­zioni che Gentile vi esprime. La prima è di controbattere il

39 Questo testo, e quello successivo, appartengono al saggio Storia eco­nomico-politica e storia etico-politica , che Croce aveva incluso nella riedi­zione in volume degli Elementi di politica.

584 GENNARO SASSO

giudizio che nel testo di Croce corre netto da una capo ali' al­tro della trattazione, e che consiste nel restringere, al di qua di ogni limite in precedenza fissato, l'ambito spirituale dello stato, il suo valore e la sua importanza per la vita etica e cul­turale. E questa è, si direbbe, la preoccupazione più ovvia, e che, malgrado i motivi filosofici che pur la sottendono, più di ogni altra si rivela legata ali' attualità del contrasto poli­tico allora in atto , su questo tema, tra fascisti e antifascisti. Quel contrasto, che in atto era in realtà da tempo, proprio nelle settimane in cui, con ogni probabilità, Gentile leggeva e postillava la memoria crociana sulla «politica», stava impe­gnando i due filosofi in uno scambio piuttosto aspro di opi­nioni e di accuse. Ebbene, giova, da questo punto di vista, osservare che se, in pubblico, Gentile non tralasciava occa­sione che comunque gli consentisse di far vedere come, bene al di là dei suoi soggettivi convincimenti, anche Croce fosse in realtà solidale con il nuovo accento che il fascismo aveva posto sulla classica idea liberale dello stato etico, in privato, ossia nelle glosse che scriveva per suo stretto uso personale, questo atteggiamento è assai meno vivo e presente, e in suo luogo si nota piuttosto la preoccupazione di dimostrare con­traddittoria l'idea della libertà e del dissenso, quella cioè che, nella Politica 'in nuce ', costituisce una delle dimensioni essenziali della stessa relazione, che l'una all'altro stringe la «forza» e il «consenso». Il quale è «forzato», a giudizio di Croce, perché sorga sulla «forza» di certi fatti . Ma i fatti sui quali sorge sono tanto la realtà, che si accetta, dello stato, quanto la realtà della sua non accettazione da parte della coscienza etica e politica; sì che, sempre «forzato» e, in questo senso, «condizionato», il consenso è altresì peren­nemente «mutevole», viene dato e poi anche ritirato, e chi lo ritira e lo nega non è meno reale e meno «politico» di chi lo dà e lo conferma. Se quindi, in vista del carattere sempre «consensuale» degli stati - dei più oppressivi come dei più liberali - , si argomentasse che ad essi mai potrebbe negarsi il predicato della eticità, l'obiezione di Croce sarebbe che questo non è che un sofisma, perché non nello stato in quanto tale, ossia nella consolidata relazione della forza e del consenso, consiste l'eticità, bensì al contrario nella vigile

GLOSSE MARGINA LI DI G. GENTILE A LI BRI DI B. CROCE 585

coscienza dell 'uomo, nel cui interno dev'essere ricercato il criterio vivente del consenso e quindi, in ultima analisi, della moralità. Di questo mobile carattere del «consenso» crociano, Gentile si era reso ben conto; e che poi, anche nelle glosse polemizzasse contro il concetto che il suo amico ne aveva delineato, significa non che negasse la peculiarità di quella delineazione, ma al contrario che, sforzandosi di demolirne il fondamento, la riconosceva diversa dalla sua propria.

In questo senso, dunque, Gentile si mostra, nelle glosse, alquanto diverso da come invece appariva e comunque cer­cava di apparire in pubblico. Ed anche un altro aspetto della polemica pubblica qui dileguava o perdeva molto del suo mor­dente specifico: laspetto che può individuarsi nell 'insistenza con la quale egli aveva a più riprese osservato come gli riu­scisse incomprensibile lostilità dichiarata al fascismo da uno scrittore che sempre si era distinto per il vigore dei suoi con­vincimenti antigiusnaturalistici, antidemocratici e antimasso­nici, e, d'altra parte, per lo schietto apprezzamento della «forza» teorizzata da Machiavelli e da Marx come lessenza stessa della storia politica e sociale 40 . Come poi Gentile po­tesse metter d'accordo queste due tesi - in forza delle quali Croce avrebbe dovuto dichiararsi fascista a) perché antidemo­cratico assertore della forza , e b) perché autentico liberale, non insensibile perciò alla lezione hegeliana e spaventiana dello «stato etico» che suppone bensì la 'forza ', ma, almeno a parole, come forza dello spirito -, è un altro discorso, che converrà, se mai, svolgere altrove . Ma, avesse o no torto nel ragionare così, è chiaro che queste tesi della sua polemica pubblica non si riflettono, o si riflettono in modo assai pal­lido, nella sua lettura privata. Ed ecco, dunque, che nella sua privata nota di lettura proprio il maggiore autore della tesi re­lativa al fascismo ante litteram di Benedetto Croce, negava questa tesi, o se ne dimenticava, o comunque non la confer­mava. Ecco altresì che proprio lui, Gentile, che per primo

4° Cfr ., essenzialmente, G ENTILE, Il liberalismo di Benedetto Croce (1925), in Che cosa è il fa scismo cit ., pp . 158-59.

586 GENNARO SASSO

l'aveva formulata, smentiva, suo malgrado, la verità della tesi che tanti pubblicisti fascisti allora sostenevano intorno al ca­rattere (non antifascista) della relazione stabilita da Croce fra il consenso e la forza 41 .

L'altra preoccupazione è meno ovvia, più interessante e meritevole perciò di attenzione. Se affrettata e, in ultima analisi, verbalistica si rivela la glossa nella quale Gentile obiettò che, in quanto «categoria», lo stato deve distinguersi dall 'azione politica nella quale invece Croce pretendeva di ri­solverlo (e si dice affrettata e verbalistica, perché è fin troppo ovvio che qui egli aveva in mente un concetto della categoria che poco ha a che vedere con quello che, fin dai tempi della Filosofia della pratica, era stato elaborato), ben diversa pene­trazione mostrano le altre. Senza coglierne il significato com­plessivo e senza svolgere l'analisi fino alle conseguenze estreme, Gentile aveva, nell'insieme messo l'occhio su un nesso essenziale di pensieri. È vero, infatti, che per Croce lo stato si risolve nella concretezza dell'azione politica, e che questa non potrebbe non esser sempre «individuale» senza perciò cessare di essere concreta. Ma è pur vero che lo stato è, per un verso un processo di azioni utili, e quindi una «re­lazione», mentre, per un altro, è azione individuale, ed è re­lazione solo per ciò che, senza bisogno di presupporre una pluralità di soggetti, racchiude nel suo orizzonte (materia e forma) il carattere della relazionalità. Si aggiunga che se l'azione individuale è colta una volta nel processo al quale ap­partiene, e un'altra nella relazione che stabilisce con la sua propria struttura di azione, è poi anche inevitabile che, in en-

4 1 Gli Elementi di politica ebbero, al loro apparire in volume (1925) , notevole fortuna di recensioni e di discussioni, la cui storia non è stata an­cora ordinatamente raccontata (forse perché la qualità della maggior parte di quei contributi, assai scadente, ha avvilito l'es tro degli studiosi di oggi!). Ad alcuni di quegli interventi (senza per altro nominarne gli autori) Croce re­plicò in una noterella, La politica dei non politici, «Critica », 23 (1925), pp . 190-92 (=Cultura e vita morale, pp. 289-92). Ma, per l'analogia dell'argo­mento, si veda anche Fissazione filosofica , già pubblicata nella « Stampa» del 16 luglio 1925, quindi nella «Critica », 23 (1925) , pp. 252-56 ( = Cultura e vita morale, pp. 293-300). Per l'indicazione di alcuni fra questi testi, cfr. CoLAPIETRA, Benedetto Croce, II , 521 sgg.

GLOSSE MARG INA LI DI G. GENTI LE A LIBRI DI B. CROCE 587

trambe le sue accezioni, essa si realizzi come azione indivi­duale toccando altresl , in questo atto , il limite della sua tra­sfigurazione nella storia o, come nella Filosofia della pratica Croce aveva detto, nell'accadimento. E la storia diviene in tal modo il punto di vista veramente reale dal quale osservare le azioni politiche in cui lo stato, per la sua concretezza, si ri­solve: sl che - ed è l'ultimo corollario che, in questa sede, debba trarsi dall'analisi - quel punto di vista è storico non meno che etico, perché l'essenza della moralità consiste nel dare a ciascuno il suo, nel superare le opposte unilateralità, ossia la colpa che, per la loro angusta particolarità, gli uomini si pagano a vicenda nella concretezza del loro vivere e agire.

In altre pagine, alle quali ci permettiamo di rinviare il let­tore che di quelle lette fin qui non si fosse ancora stancato 42 ,

è stata nostra cura ricostruire nei particolari questa complessa vicenda di pensieri culminanti, attraverso tensioni e aporie, nell'anzidetta trasvalutazione dello stato in etica e in storia. E al riguardo non potrebbe dirsi che, nelle sue glosse, Gentile le cogliesse, quelle tensioni, le indicasse con esattezza, quelle aporie, e quindi assegnasse al tutto che ne consegue il suo au­tentico significato. Ma, parte per la via regia del suo ingegno critico, parte per quella stessa della passione polemica, dalla quale l'ingegno stesso era come acuito e, pur nell'inevitabile unilateralità, reso più penetrante, a lui riusd comunque di mettere in chiaro che il nodo del pensiero crociano era costi­tuito non solo dalla vicenda delle due diverse «relazioni» che, senza riuscire mai a coincidere, si inseguono nelle pagine della Politica ' in nuce ' , bensl anche da quel trasfigurarsi dello stato in etica e in storia che, comunque egli lo intendesse, è come il suggello di questa dottrina. Che poi, trascinato in basso dalla medesima passione che, in certi momenti aveva reso più penetrante il suo sguardo, egli quasi materializzasse i termini del discorso di Croce e, con evidente sofisma, osser-

42 Alludo al mio Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Morano, Napoli 1975, al quale mi permetto di rinviare per il chiarimento, o la mi­glior comprensione, di alcuni accenni contenuti in queste pagine, i quali forse risulteranno, presi a sé, troppo sommari .

588 GENNARO SASSO

vasse che, se lo stato è una sintesi onnicomprensiva, non si vede come possano starne fuori, opponendoglisi , gli intellet­tuali del dubbio e del dissenso, è cosa che, psicologicamente, può comprendersi. Ma la circostanza non può far dimenticare che, con le inevitabili cadute, le sue glosse contengono, per alcuni aspetti, più verità di quanta sia data incontrarne in certi contributi di allora e anche di oggi, celebri nei rispettivi ambienti e cenacoli, e, non di meno, quanto angusti e me­schini, se osservati con spregiudicatezza. Si vuol dire, con questo, che l'interpretazione di Gentile è l'unica che, nei suoi limiti possa considerarsi « vera»? Ma no, niente affatto, se ad essa sfugge, come si è detto , la sintesi, il luogo ideale in cui le tensioni e le aporie si annodano e fanno corpo e ritrovano il loro significato. Si vuol dire soltanto che essa contiene, im­pliciti, elementi che, meglio di altri, si rivelano idonei a far avvertire le tensioni e le difficoltà, e, attraverso questi, il senso complessivo della teorizzazione crociana.

Ed anzi, non per dilettarsi con i paradossi, ma perché sembra che le cose stiano proprio così, potrebbe persino dirsi che le glosse scritte nei margini della Politica 'in nuce ', con­tengano spunti e intuizioni che lo stesso Gentile fu lungi dal saper riprendere nella recensione che di questa memoria cro­ciana inserì, nel 1924, nel Giornale critico 43 . In effetti, se nel leggere e postillare gli Elementi di politica , Gentile era andato più volte vicino al punto in cui, come s'è detto, le sue diffi­coltà si annodano e fanno corpo, nello svolgere in positivo il tema dello «stato etico» il suo pensiero si impigliò invece in gravi incertezze 44 . Così, con gli occhi ben fermi su Hegel e su Croce, egli osservava che fuori della storia lo stato « non esi-

4> G . G ENTILE, Stato etico e statolatria , « Giorn . crit. filos . ital. », 5 (1 924), pp . 467-68.

44 GENTILE, Stato etico e statolatria , p. 468. La questione dell'eticità dello stato, in Gentile, richiede, a mio avviso, una trattazione attenta, e volta a metterne in chiaro i tempi e le fasi. Un testo molto importante è nella Prefa zione (1904) che egli scrisse per la ristampa dei Principi di etica di B. Spaventa (ora in Opere, Firenze 1971 , I , 603): « nell'idea dello spirito obbiet­tivo definire lo stato realizzazione (Wirk lichkeit) dell'idea morale, mi pare ben altra cosa che far dipendere la morale dallo stato; anzi importa fondare questo sulla morale, e non riconoscerne quindi il valore in un'istituzione che

GLOSSE MARG INALI DI G. G ENTILE A LI BR I DI B. CROCE 589

ste» ed è un'astrazione; che nei rapporti internazionali, nella guerra e quindi nella storia c'è una vita etica che nello stato non può essere contenuta e compresa; che in esso si inclu­dono le opposizioni e la stessa rivoluzione: e vi si includono, parrebbe, non nel senso che ne sono negate e trascese e ol­trepassate. Ma poi, curiosamente, pretendeva che, attraverso il suo stesso essere superato da questo empito di vita morale che non trova posto entro i suoi confini, attraverso le oppo­sizioni e le rivoluzioni (che, dovrà ora intendersi, ne sono ne­gate, trascese e oltrepassate), lo stato di continuo riaffermasse il suo carattere e la sua specifica natura. Un nodo di gravi dif­ficoltà si era costituito alla radice del suo pensiero; e poiché a lui non riusciva di scioglierlo, ne nasceva il sofisma: se non il sofisma, l'ambiguità. Che, infatti, lo stato sia un'esistenza storica e, fuori della storia, un'astrazione, doveva certo esser cosa ovvia per lui, come per Croce e per tutti. Ma, come i te­sti di Hegel e di Croce imponevano che si dicesse, la que­stione era se lo stato racchiuda dentro di sé la storia, o ne sia invece racchiuso e dunque superato. E nonché risolverla, Gentile non riusciva forse nemmeno a vederla, la questione, nei suoi termini estremi. Come può comprendersi, solo che si spinga lo sguardo nella sua pretesa di considerare lo stato, da un lato come sempre superato dalla totalità della vita etica e, da un altro, invece, come sua adeguata espressione; da una lato come includente, e non oltrepassante, opposizioni e rivo­luzioni, e da un altro come autentico signore e risolutore di esse. Se infatti, opposizioni e rivoluzioni, che, in quanto tali, si formano di necessità all'interno dei singoli stati storica­mente «esistenti», sono intese come opposizioni e rivoluzioni reali, ossia, per toglier via ogni possibile equivoco, come op­posizioni e rivoluzioni caratterizzate in senso empirico, esse procederanno sempre «contro lo stato», intraprenderanno con lui una lotta mortale, e o vinceranno o saranno vinte. E

non realizzi l'idea morale»; e di qui forse occorrerà partire anche per far ve­dere come, agli inizi della sua meditazione politica, fosse l'eticità a costituire il criterio dell'eticità dello stato, che, in quanto tale, può esserne privo, e non è dunque necessariamente « etico ».

590 GENNARO SASSO

allora non può dirsi, a rigore, che attraverso le opposizioni e le rivoluzioni che gli si formano dentro e che, in questo senso, esso include in sé, lo stato si realizzi e si affermi. Dovrà dirsi che vince o viene vinto, si riafferma o viene di­strutto, e che, se questa è la sua vicenda necessaria, reali ve­ramente sono la lotta e la mobile sintesi in cui, di volta in volta e non per sempre, esso si risolve. In questo senso, dun­que, lo stato è «storico» perché il ritmo del suo vivere ed esi­stere lo spinge sempre oltre alla sua vita specifica; e non è, di conseguenza, la storia a culminare, con l'etica che è ad essa intrinseca, nello stato, ma è lo stato a culminare, con l'etica che è ad esso intrinseca, nella storia. Una soluzione, questa, che si ritrova, almeno in parte, in Hegel (dove, peraltro, ha la funzione di rendere estremamente problematica la concezione dello stato come «sostanza etica» realizzata), e certo si ri­trova in Croce; una soluzione che anche in Gentile finisce per esser presente, senza che in una filosofia come la sua, che teo­rizza la coincidenza di stato, storia e moralità 45 , riesca tutta­via a trovare pieno e coerente diritto di cittadinanza.

Il compito sarebbe troppo gravoso e, in questa sede, non eseguibile, se qui ed ora ci proponessimo di connettere queste glosse con le tesi di filosofia giuridica e politica che, fin dal 1916, Gentile aveva fissate in un corso pisano, che in quel medesimo anno prese la forma dei Fondamenti della filosofia del diritto; e quindi, d'altra parte, con gli svolgimenti che, va­riamente premuto dai tempi, egli aggiunse ad esse negli anni successivi. Sarebbe infatti fuori di luogo, anche se assai inte­ressante nella giusta sede, scrutare con attenzione il punto critico in cui l'universalizzazione del volere tende a trapassare nel concetto, che a rigore Gentile teorizzò molti anni più tardi, dello stato etico. E altresì sarebbe interessante venir mostrando alla radice del suo pensiero politico quella che

45 Questa identità si trova affermata, ma in un contes to teorico molto sommario e di debole rigore, nel saggio gentiliano su Lo Stato (1931) , nato come comunicazione da leggere, con il diverso titolo Il concetto hegeliano dello Stato , nel convegno hegeliano di Berlino dell 'ottobre 1931: « ... storia universale e stato coincidono» (G. GENTILE, I fondamenti della filosofia del diritto, Firenze 1961 , p. 117).

G LOSSE MARG INALI DI G . GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 591

forse potrebbe chiamarsi la continua tentazione dell'estremo individualismo, se non addirittura, in certe articolazioni, del­!' anarchia. Ma questo è, come si diceva, argomento di altra indagine; e qui converrà passare alle glosse che Gentile segnò sui margini degli Aspetti morali della vita politica , un volu­metto uscito nel 1928, e che può considerarsi il seguito di quello del 1925, sulla politica e sullo stato.

AMVP 8 46

Ma la concezione liberale, propriamente detta è rimasta fuori del quadro sopra tracciato . Per­ché? Perché, in verità, questa concezione è me­tapolitica, supera la teoria formale della politica e, in certo senso, anche quella formale del­l'etica, e coincide con una concezione totale del mondo e della realtà.

AMVP 9

Non è già, la concezione autoritaria, una concezione sic et simpliciter, immorale, ma di

altra e inferiore morale, sorgente sopra al­tri e inferiori presupposti teoretici, e, come tale , vede la sua diretta nemica nella conce­zione liberale, contro cui (senza parlare degli espressi e solenni cartelli di guerra o 'sillabi') è sempre convulsa di odio e di paura ...

Gentile a fondo pagina:

una concezione me­tapolitica non può dar luogo a norme, criteri, atteggiamenti, programmi e partiti sul terreno pratico.

Anche questa conce­zione aut[ orita]ria è metapolitica?

Dunque, il liberale non può accedere alla tesi della nota V. Quella concezione di Stato e Chiesa è dualistica, quindi autoritaria 47 .

46 Si tratta del primo saggio della raccolta, Il presupposto filo sofic o della concezione liberale, già pubblicato negli «Atti Ace. Scienze mor. e poi. della Società reale di Napoli », 50 (1927) , pp. 289-98, e quindi, definitivamente, in Etica e politica, Bari 1931 , pp . 135-41.

47 Gentile allude qui al saggio Stato e Chiesa in senso ideale e loro per­petua lotta nella storia , pubblicato, con diverso titolo, negli « Atti Ace.

592

AMVP 26 48

Orbene, l'impotenza di esso [dell'ideale imperialistico e nazionalistico] si fa palese nella contradizione stridente in cui si mette con la coscienza morale, che vi ripugna senza remissione, sentendo quanto trista immagine della vita umana gli stia dietro come presup­posto e dinanzi come annunzio, quale vile fi­gura dell'uomo, condannato a fare schiavi e a farsi schiavo, a morire e a dar morte, steril­mente, con la sola promessa beatitudine del ghigno feroce onde si allieterà il provvisorio conculcatore di classi e di popoli, o l'altra, poco diversa, di qualche artistica voluttà ne­roniana. Che se, per difenderla, si venga co­munque temperando e correggendo questa ideologia, e mettendola in rapporto con la co­scienza morale, come lotta che non sia chiusa in sé stessa e sterile, ma abbia a suo fine la sempre maggiore elevazione morale del­l'uomo, e l'eroe vi faccia da demiurgo del bene [ ... ], si è ricondotti a poco a poco al concetto della lotta per la libertà, la quale im­plica i contrasti e le antitesi .. .

AMVP 32

Non c'era, dunque, da stupire che la lotta continuasse o diventasse più aspra, che sorgessero difficoltà non prima sperimentate o non sperimentate in quella estensione o grado, che illusioni dovessero essere dissi­pate, generalizzazioni rivedute e corrette, e la mitologia sostituita dalla critica.

GENNARO SASSO

?

e allora? Se la lotta per la libertà può farsi anche per mezzo di questo demiurgo del bene, anche l'au­toritario è liberale.

Il liberalismo perciò che non ammette la Realpolitik e tutto il resto di p. 33 è ' mi­tologia '! Alla buo­n' ora!

Scienze Napoli», 51 (1928), pp . 135-41, nella «Critica», 26 (1928), pp. 182-86, e quindi , definitivamente, in Etica e politica, pp. 339-44.

48 È un passo tratto dal secondo saggio della raccolta, Contrasti d'ideali politici dopo il 1870, che già costitul il I dei « Quaderni critici » del Petrini (per altre edizioni, dr. BORSARI , L'opera di Benedetto Croce, p. 247) .

GLOSSE MARGINALI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE

AMVP 42 49

La difficoltà si scioglie col riconoscere il primato non all'economico liberismo ma al­i' etico liberalismo, e col trattare i problemi economici della vita sociale sempre in rap­porto a questo. Il quale aborre dalla regola­mentazione autoritaria dell'opera economica in quanto la considera mortificazione delle facoltà inventive dell'uomo, e perciò ostacolo ali' accrescimento dei beni o della ricchezza che si dica; e in ciò si muove nella stessa li­nea del liberismo, com'è naturale, posta la comune radice ideale. Ma non può accettare che beni siano soltanto quelli che soddisfano il libito individuale, e ricchezza solo I' accu­mulamento dei mezzi a tal fine; e, più esat­tamente, non può accettare addirittura, dal suo punto di vista, che questi sieno beni e ricchezza, se tutti non si piegano a strumenti di elevazione umana.

AMVP 43

Del resto, quel che noi procuriamo di presentare in chiari termini critici si può dire riconosciuto dagli stessi economisti, sia pure in forma poco critica e poco rigorosa, i quali [ ... ] hanno sempre ammesso che il principio del 'lasciar fare e lasciar passare' sia una mas­sima empirica, e non si possa prenderlo in modo assoluto e bisogni limitarlo. Senonché il limite è qui inteso come qualcosa di posto ab extra, e, come tale, contradittorio al con­cetto che si vuol così limitare; onde o il con­cetto stesso ne esce distrutto o il limite viene rigettato.

AMVP 44

Passando a considerare in concreto, la di­sputa ridiventa quella circa il carattere di un

593

dunque liberalismo = individualismo.

Il bene economico è strumento di elevazio­ne spirituale. Dun­que economia è na­tualismo, non può sorgere sul te"eno dello spirito.

Questo limite è lo Stato? Lo Stato, al­lora, è il moralmente buono? Stato etico?

49 Il passo è tratto da Liberismo e liberalismo , poi ristampato in Etica e politica, pp. 316-20 (per altre indicazioni, BORSARI, op. cit. , p. 253) .

594

dato provvedimento, se sia liberale o illibe­rale , moralmente buono o cattivo.

GENNARO SASSO

liberale = moralmente buono

Gentile a fondo pagina 45 :

Se il liberalismo corregge il liberismo vuol dire che questo è falso . Ma un liberalismo senza liberismo, un liberismo della libertà più grande contro la libertà più piccola è più liberalismo (individualismo)?

AMVP 68 50

La politica [secondo il Kay Wallace] tra­monterebbe, perché le potenze del mondo sono ora gli industriali e gli operai, e la plu­tocrazia e il proletariato, mentre il ' ceto me­dio' o la borghesia, che era quella che pen­sava e faceva politica, è via via più schiac­ciato tra le due enormi forze antagonistiche, e il mondo moderno non si muove più se­condo la politica ma secondo l'economia. Ora, come si può pensare che tramonti mai una categoria spirituale essenziale dell'uma­nità?

AMVP 79 5 1

Se si desidera qualche punto di medita­zione per intendere quella che si chiama na­tura utilitaria o economico-politica dello Stato, si consideri, per esempio, che laddove l'uomo morale , ha, in dati casi, il dovere e il diritto di sacrificare la sua vita, lo Stato è di qua da questo dovere e da questo diritto .

AMVP 83

Dall'esatta determinazione di questo rap­porto fra politica e etica, mal determinato o

Pel K. W . non sa­rebbe una categoria.

che cosa è !' econo­mico-politico?

50 È un luogo del saggio Di un equivoco concetto storico: la « borghe­sia », poi raccolto in Etica e politica , pp. 321-38 (BORSARI , p . 254).

51 Da Giustizia internazionale, ora in Etica e politica, pp. 345-49 (BOR­

SARI, Bibl., p. 250).

G LOSSE MARG INALI DI G . GENTILE A LIBRI DI B. CROCE

stortamente presentato dai moralisti della po­litica (come, nel caso analogo, dai domanda­tori di poesia direttamente filosofica, che non sarebbe poesia ma polemica o didascali­ca), si ricava la pratica conseguenza che dagli Stati e dagli uomini politici non basta invo­care opere di pregio morale a pro dell'intero genere umano [ .. . ], ma bisogna aiutarli al­l'uopo e venir loro incontro con le effettive modificazioni indotte nelle menti e negli ani­mi .. .

AMVP 83

Se diventasse più generale che non sia il rispetto per la verità ideale e storica, per la vita teoretica che è una in tutto il genere umano, più generale il discernimento e l'abito riflessivo e critico; come si potrebbe, innanzi al saldo muro opposto da questa energia spirituale, non fare una politica di­versa da quella che si fa col fabbricare quoti­dianamente il falso, eccitare le immagina­zioni, stordire con le vuote parole?

AMVP 84

La negazione del carattere etico dello Stato in quanto tale ha, dunque, tra gli altri suoi motivi, anche questo: di togliere ai facili moralisti l'alibi ch'essi si procacciano quando si danno a chiedere agli Stati di cangiare la propria natura ed esercitare la moralità, in­vece di attendere da parte loro al grave do­vere di promuovere nel mondo la coscienza e il costume morale , affinché gli Stati se li tro­vino di fronte da ogni banda, e senza can­giare la loro peculiare natura, concorrano a servirli .

Gentile a fondo pagina:

595

Il

Il ?

Servire la coscienza morale? È possibile a chi non sia per sua na­tura morale? La conclusione contraddice a tutta la tesi di questa nota.

596 GENNARO SASSO

Su quest'ultima annotazione, che ha senza dubbio il suo peso critico e in ogni caso rivela la vigile attenzione con cui il Gentile leggeva le pagine del suo amico-nemico, occorre tut­tavia fermarsi brevemente per una precisazione preliminare . Certo, se Croce avesse detto che, trovandosi di fronte coloro che dedicano la loro vita al concreto innalzamento della co­scienza e del costume morali, gli stati collaborano con costoro ed anch'essi, dunque, «servono» a quella coscienza e a quel costume, l'obiezione gentiliana coglierebbe nel segno, perché non può esser servitore della moralità chi, per suo conto, non abbia natura morale. Ma pur ammettendo che il periodo scritto da Croce a conclusione di quel saggio (che s'intitola alla Giustizia internazionale) non sia fra i più limpidi e perspi­cui che uscissero dalla sua penna, e concedendo altresì le molte difficoltà che la sua aspra concezione della politica in­contrò nel suo svolgimento, e nell'approfondimento del suo rapporto con l'etica, - è ben possibile ammettere che il senso complessivo di quel passo sia diverso, ossia più com­plesso e articolato, di quanto, nella foga della polemica, a Gentile non apparisse. È vero infatti, senza dubbio, che, pre­muti e quasi sfidati da coloro che, senza nutrire illusioni sulla loro natura specifica, si battono per innalzare le coscienze e i costumi, gli stati vengono anch'essi colti nell 'atto di servire a quelle coscienze e a quei costumi. Ma vero è anche che, come Croce esplicitamente dice, in quel «servire» essi non rinne­gano la loro natura specifica; e se dunque servono la causa della moralità senza propriamente entrare nel suo regno e mu­tare con ciò il loro carattere, non dovrà intendersi che quel loro «servire» sia qualcosa di indiretto, consistente nell'osta­colo, e nella materia, che in qualche modo offrono ali ' attività universalizzante dell 'etica? Interpretazione, anche questa, plausibile, una volta che sia prospettata in riferimento, se non a questo specifico testo crociano (che infatti rimane incerto, e nemmeno così mostra di poter risolvere la sua ambiguità), al­meno al senso complessivo della «filosofia dello spirito» . In­terpretazione che, senza dubbio, potrebbe dar luogo a inte­ressanti svolgimenti se, come qui non si può, venisse posta a confronto con la «totalità» delle tesi crociane, di filosofia po­litica e di filosofia senz'altro, ma che, in ogni caso, vale a ri-

GLOSSE MARGINALI DI G. GENTILE A LI BRI DI B. CROCE 597

durre di molto il peso del rilievo gentiliano (del quale non si saprebbe, tuttavia, disconoscere il valore di stimolo e di sug­gerimento che, invece, gli è implicito) .

Per il resto, chi abbia seguito il commento che qui su è stato dedicato alle glosse scritte in margine alla Politica ' in nuce ', non ne richiederà, per queste ultime, uno altrettanto diffuso. E basti quindi osservare con quanta cura, e, d 'altra parte, con che scarsa forza di convinzione, nelle pagine cro­ciane Gentile tentasse di ritrovare la giustificazione del suo diverso pensiero e delle sue· diverse scelte pratiche. Così, per un verso, egli si compiace di sottolineare che «se la lotta per la libertà può farsi anche per mezzo di questo demiurgo del bene, anche l'autoritarismo è liberale», o di ironizzare sul li­beralismo, che sarebbe pura mitologia se non accogliesse la dura lezione della Realpolitik; e in questo senso, la tendenza a fare del fascismo il vero liberalismo e comunque a conside­rarlo non sul serio distinguibile da quello, anche in queste glosse si riafferma. Nelle quali, per un altro verso, altrettanto chiara è l'insistenza sugli aspetti deteriormente «individuali­stici» della concezione liberale, sulla contraddittorietà intrin­seca alla distinzione che, per altro, non può essere analizzata in questa sede: dove, se mai, più interesserà osservare come quella notazione relativa alla teoria «metapolitica» della li­bertà, che non può stabilire norme, leggi e criteri di azione, torni più volte nelle polemiche che nel corso degli anni si svolsero intorno a questi aspetti del pensiero di Croce . E ba­sti pensare agli scritti non solo di Luigi Einaudi 52, ma anche di Guido Calogero e di Norberto Bobbio 53 .

Ebbene, che altro aggiungere a queste rapide annota­zioni? Lo scopo di queste pagine è bensì di commentare ma, sopratutto, di pubblicare le glosse di Gentile. E poiché altro ancora rimane da far conoscere al lettore, passiamo agli ultimi tre libri che egli lesse «con la matita»: la raccolta Eternità e

52 L. EINAUDI , Il buongovenzo , Bari 1953 , pp. 254 sgg. 5> G . CALOGERO, Difesa del liberalsocialismo , Roma 1945 , pp. 32 sgg.,

passim ; N. BOBBIO, Politica e cultura, Torino 1955 , pp. 263-64.

598 GENNARO SASSO

storicità della filosofia (che, corrispondendo con qualche va­riante all'ultima sezione degli Ultimi saggi, apparve dapprima, nel 1930, nel ventunesimo dei «Quaderni critici» che Dome­nico Petrini stampava a Rieti), gli Ultimi saggi (1935), e, in­fine, La storia come pensiero e come azione (1938) .

ESF 64 54

Per uscire da questo intrigo, e per giusti­ficare il nostro giudizio che il criterio hege­liano, nonostante il mal passo al quale fu con­dotto dallo Hegel e dai suoi scolari, è un ri­trovamento geniale, conviene negare che la storia della filosofia, cioè del pensiero umano, consista in una serie di sistemi, cia­scuno retto da un proprio principio, ossia da un'eterna categoria; e sostituire a questa l'al­tra concezione che la storia del pensiero è la storia di singoli problemi, solo a un dipresso sistemati da ciascun pensatore, e anzi varia­mente sistemati da un medesimo pensatore nel corso del suo svolgimento mentale .

ESF 70 55

dunque c'è una siste­mazione! E il farla a un dipresso è giudi­zio che suppone una sistemazione che non sia a un dipresso .

Sì, queste e altre cose noi sappiamo, che v. Estetica. i vecchi pensatori, vindici della individualità contro lastratto universale non sapevano e non vedevano, e noi stessi in un primo tempo non vedevamo, e non c'importava vedere, perché à chaque ;our su/lit sa peine.

ESF 71

E troppe volte vediamo che i predicatori dell'universale concreto ricascano in quello

54 Si tratta di un breve saggio, scritto come recensione di B. HEIMANN,

System und Methode in Hegels Philosophie, Leipzig 1927, che fu ristampato in Conversazioni critiche, Bari 1932 , IV, 48-51.

55 Parole tratte dal saggio, Sul concetto d'individualità nella storia della filosofia , ristampato fra gli Ultimi saggi, Bari 19482

, pp. 368-72.

GLOSSE MARGINALI DI G. GEN TILE A LIBRI DI B. CROCE 599

astratto, gli assertori della dialettica nella sta­tica identità: come quando, nella teoria del-1' arte, seguitano a trattare l'arte quasi filoso­fia sensibile e immaginosa e a risolverla nella filosofia al pari di una qualsiasi philosophia inferior, o, nella teoria dello Stato, schiac- E dal/i! ciano sotto il cosiddetto Stato e la cosiddetta autorità l'individualità e la libertà.

ESF 82 56

Né la cosa andava molto diversamente nelle aule universitarie, perché, fatta ecce­zione di taluno rispettato per il suo ' passato patriottico' o per l'austerità presente della vita, i professori di filosofia erano i meno sti­mati dai loro colleghi di facoltà, considerati estranei a tutte le questioni concrete di cui essi si occupavano, e peggio che estranei quando vi mettevano bocca, perché allora si scoprivano o semplici o ignari o sconclusio­nati.

No, non chiacchie­riccio sciocco. Si ri­cordi Fiorentino, Tocco, Cantoni.

Al di là dell'espressione di sentimenti polemici resisi or­mai quasi cronici, queste glosse toccano punti, per la filosofia dello spirito come per quella dell'atto puro (il rapporto fra «sistema» e «sistemazione», in Croce, quello fra l'unità e la molteplicità dei problemi filosofici, in Gentile), molto impor­tanti. Ma, alla data in cui furono scritte, rinviano piuttosto ad un corpo consolidato di teorie, che non al progetto di teo­rie da costruire. E perciò converrà passare agli Ultimi saggi.

us 52 57

Quel che, togliendo la base stessa a cote­ste costruzioni, dà altro indirizzo al problema

56 Il passo è tratto dalla nota su Il Filosofo, ora m Ultimi saggi, pp. 386-90.

57 Questo e i successivi passi crociani fanno parte del saggio, Le due scienze mondane: l'estetica e l'economia , in Ultimi saggi, pp. 43-58 .

600 GENN ARO SASSO

della natura, è la considerazione gnoseologica onde ci si è a poco a poco avveduti che non sussistono già due ordini di realtà o due Il mondi, l'uno spirituale e l'altro naturale o materiale, l'uno governato dalla finalità, l'al-tro meccanico, ma che l'unica compatta in­scindibile realtà può essere a volte elaborata secondo i concetti di spirito, vita, fine, e se­condo quelli di materia, causa e meccanismo.

us 52-53

Per uscire da questa stretta, non c'è altra Il via che riporre e riconoscere in uno solo di quei due modi il genuino pensiero e la verità, e attribuire all'altro un ufficio meramente pratico e strumentale o 'economico ' , com'è stato chiamato.

us 53-54

E poiché tale esso [l'oggetto] è [ossia 'il fantasma ritornante' dell 'inconscio , della na­tura, della materia] , tutti gli sforzi che si ado­perano per riassorbirlo sono altrettanto vani quanto quelli delle vecchie filosofie della na­tura, e riescono a tautologie e a bisticci, come quando s'insiste sulla dualità che è unità del rapporto di soggetto-oggetto, e si riecheg­giano i termini del problema senza risolverlo, o si cerca di escamoter l'oggetto, facendolo scomparire e poi ricomparire come il fatto di fronte all'atto, e cioè come natura di fronte a spirito, o come il passato di fronte al pre­sente, e con altrettali giochetti di sublime me­tafisica.

us 55

Il pensiero, anche quando pensa e critica gli altrui pensieri e ne svolge la storia, non pensa il pensiero ma la vita pratica del pen­siero, perché il pensiero è sempre il soggetto che pensa e non mai l'oggetto pensato.

Bisogna prima ca­pire'

GLOSSE MARG INALI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 601

L'unica glossa 58 che, al di là dei pochi segni materiali qui riprodotti, possa leggersi in margine al saggio crociano su Le due scienze mondane, riguarda bensì un punto di grande im­portanza ma, avendo tono di semplice ritorsione polemica, rinvia in effetti a quel motivo della incomprensione, da parte dei critici, dei princìpi fondamentali dell'attualismo, che ri­suona più volte negli scritti di Gentile, e sopra tutto in quelli successivi alla composizione del secondo volume del Sistema di logica (1923) e, quindi, de La filosofia dell'arte (1931). Non ha quindi particolare importanza. E ben diversamente inte­ressanti risultano perciò le glosse, molto polemiche e discre­tamente folte, che Gentile dedicò al libro su La storia .

SPA VII

Conforme a questa origine, il volume si compone di una serie di saggi, che hanno un'implicita unità nel pensiero che tutti li regge e ai quali ho procurato di dare un'unità anche esplicita col primo, che può servire da introduzione.

SPA 14

Il giudizio, nel pensare un fatto , lo pensa Logo astratto' quale esso è, e non già come sarebbe se non fosse quello che è: lo pensa, come si diceva nella vecchia terminologia logica, secondo il principio d 'identità e contradizione, e perciò logicamente necessario.

SPA 19

Se il giudizio è rapporto di soggetto e predicato, il soggetto, ossia il fatto , quale che

58 Va tuttavia rilevato che annotazioni gentiliane si trovano in margine al saggio Antistoricismo, « Critica», 28 (1930) , pp . 406 e 407 . A p. 406: «origine del fascismo dalla guerra! ». A pp. 406-407, in margine al passo che comincia: « quanto si consideri non solo che nella guerra, etc .», l'annota­zione è: « elogio della guerra' »; e se, a proposito della prima, può forse in­tendersi che fosse diretta a criticare l'idea che fosse nato dalla guerra il fa­scismo che Gentile invece considerava come il frutto maturo del Risorgi­mento, capire il senso della seconda è proprio impossibile perché non c'è, nella pagina crociana, una sola parola che possa essere interpretata come « elogio della guerra».

602 GENNARO SASSO

esso sia, che si giudica, è sempre un fatto sto-rico, un diveniente, un processo in corso, Un. fatto non è dive-perché i fatti immobili non si trovano né si niente. concepiscono nel mondo della realtà.

SPA 21-22

Ma il pensiero storico ha giocato a que­sta rispettabile filosofia trascendente un cat­tivo tiro, come alla sua sorella, la trascen­dente religione, di cui essa è la forma ragio­nata e teologica: il tiro di storicizzarla, inter­pretando tutti i suoi concetti e le sue dottrine e le sue dispute e le sue stesse sfiduciate ri­nunzie scettiche come fatti storici e storiche affermazioni ...

SPA 23

Stavo per dire, cogliendo un esempio sul vivo, che anche le dilucidazioni metodologi­che, che qui vengo dando, non sono vera­mente intelligibili se non col rendere mental­mente esplicito il riferimento (di solito da me dato in modo soltanto implicito) alle condi­zioni politiche, morali ed intellettuali dei giorni nostri, delle quali concorrono a dare la descrizione e il giudizio.

SPA 23

Sono essi [i professori di filosofia] i na­turali conservatori della filosofia trascen­dente, a segno che anche quando professano a parole l'unità della filosofia e della storia, la smentiscono col fatto, o tutt 'al più discen­dono di tanto in tanto dal loro sopramondo per pronunziare qualche vieta generalità o qualche falsità storica.

SPA 24-25

Scetticismo, che è per altro una filoso­fia anch'essa sopra­storica.

Il che non vuol dire che debbano esser veri per oggi e per sempre.

E l'Estetica? E la Filos. d. pratica? e le ' eterne categorie ' di cui si parla qui appresso (p. 29)?

Né le categorie cangiano e neppure di Dualismo e meta/i­quel cangiamento che si chiama arricchi- sica.

GLOSSE MARG INALI DI G. GENTILE A LIBRI DI B. CROCE

mento, essendo esse le operatrici dei cangia­menti : ché, se il principio del cangiamento cangiasse esso stesso, il moto si arresterebbe. Quelli che cangiano e si arricchiscono sono non le eterne categorie, ma i nostri concetti delle categorie, che includono in sé via via tutte le nuove esperienze mentali, per modo che il nostro concetto, dell'atto logico, è di gran lunga più ammaliziato e più armato che non fosse quello di Socrate o di Aristotele ...

SPA 25-26

Per accennare a tempi recenti, in Germa­nia, nell'ottocento, a consimile rimedio ri­corse il rigido pedagogista Herbart contro le

603

perversioni della dialettica e dello storicismo Herbartismo. in parte nello stesso Hegel, ma più ancora nella scuola hegeliana, che sembravano insi-diare non meno la serietà della vita morale che quella della vita scientifica ...

SPA 27

Poiché si è stranamente pensato che bi­sognasse andar soffiando su tutti i lumi per assicurare interezza e purezza all'immanenza, quasi che la sua degna sede sia il ' regnum te­nebrarum ', non fa meraviglia che sia stata combattuta, e in immaginazione abbattuta, anch~ la distinzione primigenia e fondamen­tale, che il senso comune dell'umanità ha sempre posta e osservata e le filosofie hanno rispettata: quella del conoscere e del volere, del pensiero e dell'azione.

SPA 27

L'argomento che in ciò si adopera si ri­conduce al fonte di ogni sofisma, che è nel prendere uno stesso termine in due accezioni diverse, e dimostrata l'una delle due acce­zioni, far passare come dimostrata l'altra e vi­ceversa.

Ignora l'A. la distin­zione di logo astrat­to e l[ogo] concreto che spiega l' oggetti­vità e necessità del vero di fronte al­t' azione (al soggetto) senza i misteri delle 4 parole. Altro che lumi spenti'

l'A. pare si dimenti­chi di dirci quali sa­rebbero le due acce­zioni diverse.

604

SPA 29

Basta guardarsi intorno e porgere ascolto alle voci che si levano dai circoli intellettuali e artistici, religiosi e politici, e insomma da ogni parte della società, per trovarsi dinanzi le ma­nifestazioni dell'indifferenza e dell'irriverenza per la carità e la verità, e l'attivismo privo di

GENNARO SASSO

ideale, e tuttavia irruente e prepotente. E se in contro il fascismo' alcuni casi si tratta veramente di mediocre let-teratura che non mena a conseguenze, in altri molti si osserva con quanta facilità gli assertori non è vero! della statica identità del conoscere con l' ope-rare, che hanno mortificato in sé stessi la vigile forza della interiore distinzione e chiarezza, passino, nella vita pubblica, alla sofistica e alla rettorica in rispondenza dei propri comodi, in-grossando le fila di quei 'clercs' traditori, con-tro i quali uno scrittore francese , or è qualche anno, sentì il bisogno di stendere uno speciale atto cl ' accusa. La cattiva teoria e la cattiva co-scienza si originano l'una dall'altra, si appog-giano l'una all'altra e cascano, infine, l'una sul-1' altra.

SPA 30

Più strano è vedere come, invece di far oggetto di accurata e profonda analisi le mal­sanie sociali della specie di quella ora accen­nata [ ... ], si prenda ad accusare il pensiero storico o lo 'storicismo', reo (si dice) di ge­nerare quelle malsanie col promuovere il fata­lismo, dissolvere i valori assoluti, santificare il passato, accettare la brutalità del fatto in quanto fatto , plaudire alla violenza, coman­dare il quietismo, e, insomma, di togliere im­peto e fiducia alle forze creatrici [ ... ]. Ma tutte queste cose hanno già i propri loro nomi nel mondo morale, chiamandosi fiac­chezza cl ' animo, disgregamento volitivo, di­fetto di senso morale, superstizione del pas­sato, sospettoso conservatorismo, viltà che cerca pretesti a sé medesima ...

Ma che abbiano nomi propri non to­glie che siano tutti forme di storicismo.

GLOSSE MARGINALI DI G. GENTILE A LIBRI DI B CROCE

SPA 37

Sono queste le sfere del fare, dell'attività umana, a cui rispondono le forme fondamen­tali ed originali della storiografia: politica o economica; della civiltà, o dell 'ethos o della religione che si chiami; dell'arte ; e del pen­siero o filosofia . E benché una sorta di diffi­denza si soglia manifestare verso la discrimi­nazione di queste quattro forme della storia, esse non sono state già ritrovate e distinte da un singolo filosofo, per quanto abbia potuto ragionarvi intorno e meglio formularne la di­stinzione, ma dalla coscienza del genere uma­no ...

SPA 38

Rispondere che le categorie sono innu-

605

Sforzo di ridurre a quattro le forme che non si crede di poter contestare per cui a un tratto si fa ethos = religione.

merevoli e infinite quanto le particolari Affermazione arbi­azioni e giudizi è (come si è veduto) non un traria rispondere filosofico, ma una rinunzia al giu-dicare, che è pensare, e una rinunzia al fare, che è sempre un fare specificato qualitativa-mente .

SPA 38

Comunque, quali che siano queste sfere di attività, il principio che tutte le anima è la libertà, sinonimo dell'attività o spiritualità, Hegel che non sarebbe tale se non fosse perpetua creazione di vita. Un creare sforzato, un creare meccanico, un creare a comando e vin-colato nessuno ha mai sperimentato, né rie-sce a concepirlo in idea; e, in effetti, è un nesso di vocaboli che non dà senso.

SPA 38

Di decadenza si può bensl parlare, ma per l'appunto in riferenza a certe guise di opere e di ideali che ci sono cari (e troppe volte si dà così la stura agli insipidi piagnistei

606 GENNARO SASSO

del 'peior avis ' , del 'nequior' e del 'vitio­sior '); ma in senso assoluto, e in istoria, non c'è mai decadenza che non sia insieme forma- e allora? zione o preparazione di nuova vita e, per-tanto, progresso.

SPA 40

La più importante di coteste combina­zioni [fra concetto del progresso e concetto di uno stato terminale e paradisiaco della realtà], culmine di moltissime altre dello stesso genere, si ritrova in una filosofia che Falso' ha più di ogni altra conferito a interpretare la realtà come storicità, e la vita come sintesi di opposti, e l'essere come divenire, la filosofia hegeliana .. .

SPA 43

E che cosa mai aggiunge a queste opere belle, vere e variamente utili la moralità? Si dirà : le loro opere buone. Ma le opere buone, in concreto, non possono essere se non opere di bellezza, di verità, di utilità. E la moralità stessa, per attuarsi praticamente, si fa pas­sione e volontà e utilità, e pensa col filosofo , e plasma con lartista, e lavora con I' agricol­tore e con l'operaio, e genera figli e esercita politica e guerra, e adopera il braccio e la spada.

SPA 43

La moralità è nient 'altro che la lotta con­tro il male; ché se il male non fosse, la morale non troverebbe luogo alcuno. E il male è la continua insidia all'unità della vita, e con essa alla libertà spirituale: come il bene è il continuo ristabilimento e assicuramento del­l'unità, e perciò della libertà .

SPA 44

Domandarsi perché mai il processo pro­ceda cosl, o pensare che possa procedere al-

Dunque le forme sono tre?

Verba praetereaque nihil.

G LOSSE MARG INALI DI G . GEN TILE A LIBRI DI B. CROCE 607

trimenti senza lotta, senza passaggi faticosi, senza pericoli, senza arresti, senza pencolare verso il male né impigliarvisi, non ha senso, come non ha senso domandarsi perché il 'sì' abbia per correlativo il 'no', e almanaccare di non c'è mai perché. un puro ' sì' scevro di 'no', o di una vita che non contenga in sé la morte e non debba sor-passare ad ogni istante la morte .

SPA 44

Ora, l'azione che mantiene nei loro con­fini le singole attività, che tutte le eccita ad adempiere unicamente il loro proprio ufficio, che si oppone in tal modo al disgregamento dell'unità spirituale, che garantisce la libertà, è quella che fronteggia e combatte il male in tutte le sue forme e gradazioni, e che si chiama l'attività morale.

SPA 45

E un altro punto si rischiara: perché mai tra le forme della storiografia si sia sempre mirato ad una che è parsa la storia per eccel­lenza, una storia sopra le storie; e, conside­rando storie speciali quelle dell'arte, della fi­losofia e della varia attività economica, si sia additata questa come la vera e propria storia, la storia sopra le storie, quella dello Stato in­tesa come stato etico e regola della vita, e quella della Civiltà, che meno imperfetta­mente designa la vita morale, traendola fuori dall'angustia politica del concetto di stato.

!'A . si è accorto in­tanto che la teoria della 4 • forma o grado, che era nella Filos. d. pratica, non regge: perché quell'universale che lì era !'oggetto del volere morale ha in­ghiottito ogni parti­colare.

Come se ci fosse ci­viltà senza stato.

Nell'ultima pagina, non numerata, di questo libro cro­ciano, Gentile annotava: «storie razzistiche 12. Le 4 forme ridotte a 3: p. 43 ». Erano temi sui quali, evidentemente, pensava di dover tornare con maggiore attenzione . Se il mo­tivo del razzismo bruciava nell'animo dell'uomo che, forse, stava osservando con intimo sgomento l'estrema degenera­zione a cui, proprio in quel giro di mesi, il fascismo condan-

608 GENNARO SAS SO

nava sé stesso, l'altro motivo, quello della quadripartizione dello spirito, attirava di nuovo il suo vivo interesse di vecchio lettore e interprete della filosofia di Benedetto Croce . Ma, nell'insieme, che cosa dire di queste glosse gentiliane? Anche qui, certo, come il libro di Croce è, nella sua prima parte, il più duramente polemico che, senza mai nominarla, egli diri­gesse contro la filosofia del suo antico collaboratore, cosl al­trettanto dura e veemente è la reazione di Gentile; e sebbene, come si diceva, le sue glosse siano interessanti e vivaci 59 ,

pure è un fatto che ormai la polemica che da anni quasi quo­tidianamente li impegnava trovava difficoltà evidenti a scen­dere con cura alla radice delle rispettive «ragioni», e si svol­geva invece, violenta e sprezzante, attraverso il gioco delle ri­torsioni e delle contrapposizioni. Ecco, cosl, Gentile fermarsi su un periodo crociano nel quale è detto che un «fatto» è un processo storico (e dunque non è, ma diviene), e obiettare che un fatto, non diviene, e che ad esso unicamente adeguata è la logica del «logo astratto». In margine alla p. 14 del libro su La storia, Gentile aveva annotato, con enfasi, «Logo astrat-

59 Nascono di qui, o anche di qui, sia il saggio su La distinzione cro­ciana di azione e pensiero, «Giorn. crit. fil. ital.», 22 (1941), pp. 274-78, sia l'altro, Storicismo e storicismo, «Annali Se. Nor. Sup. Pisa», 11 (1942), pp. 1-7 (poi in Introduzione alla filosofia, Firenze 19582

, pp. 259-70). Ma val la pena di aggiungere che (come ricordò CALOGERO, Ricordi del movimento li­bera/socialista, in Difesa del liberalsocialismo cit. , pp. 192-94) assai notevole era, intorno al 1940, la diffusione delle idee crociane nell'ambiente della Scuola Normale Superiore di Pisa , di cui Gentile era direttore. Ed anche questa sarà stata una delle ragioni che indussero Gentile a intervenire pub­blicamente contro l'ultimo libro filosofico di Croce (dr., per es ., CALOGERO, Ricordi , p. 193: «c'è stato tutto un periodo in cui Croce è stato il livre de chevet, la lettura segreta della migliore gioventù italiana. Quel fascino che in altri tempi poteva avere un romanzo proibito, allora ebbero i pesanti volumi laterziani di Croce . Per loro conto, molti professori facevano quanto più po­tevano, per destare e rafforzare nei giovani il gusto di tali letture. Si arrivò al paradosso che in quella stessa che doveva essere la roccaforte dello spirito gentiliano, la Scuola Normale Superiore di Pisa, lo studio del Croce era così intenso e diffuso che Gentile, non avendo né il coraggio di proibirlo né quello di permetterlo , ricorse una volta al ripiego di togliere a un professore l'incarico di ' Esercitazioni di storia della filosofia ' e di sostituirlo con quello di 'Esercitazioni di storia della filosofia antica ', per impedirgli di svolgere tali esercitazioni su testi crociani») .

GLOSSE MARGINALI DI G . GENTILE A LIBRI DI B. CROCE 609

to! », intendendo con questo che se la necessità storica dev' es­sere intesa come sempre identica e in sé stessa non contrad­dittoria, allora la sua corretta trattazione non potrà esser data nella logica del concreto, o del pensiero pensante, ma in quella, invece, dell 'astratto, o del pensiero pensato. E cosl aveva anticipato, o ribadito, la sua critica dello storicismo crociano come filosofia, nel suo fondo, intellettualistica e «naturalistica». Ma nella glossa che stiamo esaminando, senza richiamare la precedente definizione del « fatto» in ter­mini di identità e non contraddizione (e senza soffermarsi sulla difficoltà complessiva che ne risulta) , egli si limitò a scri­vere quel che si è letto. E il suo giudizio assunse perciò la forma dell 'estrema semplificazione. Una semplificazione, non un giudizio: alla quale sarebbe stato facile replicare che al «fatto», quale l'intende la logica dell 'astratto, anche Croce avrebbe in effetti riconosciuto carattere « non diveniente », perché quella che, per Gentile, era la statica identità, formale e vuota, di A con A, era per lui la realtà schematizzata dalla logica astraente dello pseudoconcetto nelle sue varie forme; mentre, per altro verso, anche per il filosofo dell'atto puro il «fatto storico » non è in sé statico e compiuto, se è vero che «nulla è mai fatto, nulla già pronto, come tavola imbandita a cui uno si possa senz'altro sedere» 60 . Per quante differenze, anche profonde, si vogliano riconoscere nella concezione che del « fatto storico» i due filosofi elaborarono nel corso degli anni, non può dirsi che esse abbiano la forza di far sparire questa specifica convergenza. E nella sua glossa perciò Gen­tile faceva una questione di parole: semplificava, non criti­cava, cedeva alle lusinghe della polemica.

Del resto, altrettanto semplificatrici o, se si preferisce, troppo sommariamente polemiche, sono anche altre sue anno­tazioni: come quella, ad esempio, nella quale egli definl « scet­ticismo» la «storicizzazione » che il pensiero fa delle posi­zioni che investe della sua critica, o l'altra, nella quale pretese di porre in contrasto una pur chiara proposizione crociana con la teoria, pur essa crociana, dell'eternità delle categorie, o

60 G ENTILE, Sistema di logica, II, 68 .

610 GENNARO SASSO

quella, infine, nella quale è detto che «ignora l' A. la distin­zione di logo astratto e logo concreto che spiega l'oggettività e necessità del vero di fronte all'azione (al soggetto) senza i misteri delle 4 parole. Altro che lumi spenti! » 6 1 . Osserva­zione, questa, che nel tono perentorio e fin aggressivo che la caratterizza, nell 'estrema sicurezza e, qua e là, anche nell' ar­roganza che la affliggono, nasconde forse piuttosto il deside­rio di confermare una verità in cui si riposa ormai come in un inattaccabile fortilizio, che non la volontà di scendere di nuovo in campo a fare sul serio la prova delle armi. Come po­teva, infatti , Gentile, dire sul serio che Croce «ignorasse» la sua distinzione fra astratto e concreto, se nel Sistema di logica aveva concluso la trattazione osservando che il pensiero cro­ciano era in effetti come l'immanente «autocritica» della sua filosofia?

Ma anche qui , se è comunque interessante (psicologica­mente e storicamente interessante) che la polemica di Gentile incupisse i suoi temi e, nella violenza di una drastica contrap­posizione, irrigidisse le sue linee, non deve tuttavia dimenti­carsi che molte cose acute si ritrovano nel suo fondo. E basti pensare all 'insistenza che, leggendo il libro di Croce, Gentile mise nel sottolineare l'inquietudine introdottasi nel sistema delle categorie, che ora si distinguono secondo il consueto ritmo quadripartito e ora, invece, sembrano all 'improvviso ri­dursi a tre , a causa della nuova concezione che qui caratte­rizza la moralità. Certo, chi studi a fondo la risistemazione che del precedente universo categoriale Croce fece nel libro su La storia, e, cogliendone le fortissime tensioni interne, la confronti con quanto al riguardo era stato detto ai tempi della costruzione e poi dei primi svolgimenti del «sistema», si ac­corge che ben più complesso è il problema che occorre mettere a tema dell 'indagine. Ma, sia pure fra le nebbie di una polemica ormai incapace di serenità, ancora una volta Gentile aveva in­tuito un punto importante, da svolgere senza dubbio e, dunque, da non trascurare. Sebbene il suo tono fosse ormai quello di chi

6 1 Sull'espressione relativa alle « quattro parole », cfr. qui appresso, pp. 615-43.

GLOSSE MARGINALI DI G. GEN TILE A LIBRI DI B. CROCE 611

si compiace di sottolineare difficoltà e far notare incongruenze, l'intelligenza era migliore dello stato d 'animo, e ancora sapeva arrecare contributi degni di discussione e di critica.

Come si è detto , La storia come pensiero e come azione è l'ultimo libro crociano che Gentile leggesse con la matita, po­stillando con sistematicità (ed anche con accanimento) . Privi di ogni segno sono infatti i margini del libro su La poesia , in­tatti quelli de Il carattere della filosofia moderna (1941), che pure, come può desumersi dall 'esame materiale dei volumi, Gentile quasi certamente lesse per intero e con attenzione . Era dunque ormai esaurita l'occasione della polemica, oppure l'ansia procurata dalla guerra, da poco iniziata e già volgente al peggio, tratteneva il filosofo dal proseguire un «gioco» che doveva apparirgli di troppo inferiore alla gravità del mo­mento? E questo, forse , il vero motivo per il quale, se in qualche occasione non poté astenersi dal colpire ancora con asprezza la filosofia di Croce e la « religione della libertà», in privato, dove da lui soltanto dipendeva se dar di nuovo corso, oppure no, alla espressione dell'animo esacerbato, egli preferl tacere. E non deve del resto dimenticarsi che del fastidio , o del disagio morale, che a lui procurava la polemica con quel-1' antico compagno di battaglia, al quale tuttavia lo avvince­vano « ricordi incancellabili », Gentile esplicitamente parlò nell 'ultima delle postille anticrociane del Giornale critico 62 .

Quali , d 'altra parte , nella vita profonda dei sentimenti, delle speranze, delle oscure angosce, trascorressero, fra l' en­trata dell 'Italia nel conflitto e la morte, gli ultimi suoi anni, non sappiamo. La tranquillità 63 che, forse , egli aveva in qual­che modo conquistata attraverso il silenzio che s'era imposto e che soltanto il 24 giugno 1943 sarebbe stato, tragicamente, rotto , dové essere, nel profondo, insidiata da dubbi , da incer­tezze, da esitazioni che, in un uomo meno forte nel dominare o almeno dissimulare le passioni, e meno orgoglioso, avreb-

62 G . G ENTILE, A Benedetto Croce, « Giorn. crit. fil. ital. », 23 (1 942), p. 120.

63 Cfr ., per questo, la testimonianza offerta da B. G ENTILE, Dal di­scorso agli Italiani alla morte (24 giugno 1943-15 aprile 1944), in Giovanni Gentile. La vita e il pensiero, Firenze 195 1, IV, 12 .

612 GENNARO SASSO

bero pur trovata qualche via d'espressione. Ma nell'assenza di ogni documento che valga a confermare, oppure a smentire, ciò che, per le sue esigenze, la fantasia ama dipingere, con­verrà al riguardo astenersi da ogni ulteriore congettura. Ed anche sul tema dei rapporti profondi che lo legavano e lo op­ponevano a Croce, la cui immagine forse si sarà a tratti ras­serenata ai suo occhi mentre la tempesta della guerra si ab­batteva sul suo mondo, insinuandogli nell'animo l'angoscioso presagio della fine, il silenzio è più apprezzabile di ogni di­scorso, per cauto che sia. Del resto, che cosa potrà mai dirsi di non banale, o di non stridente, in una materia come que­sta? Soltanto questo, forse: che, come ogni uomo racchiude dentro di sé qualche frammento almeno della comune uma­nità, cosl i «sentimenti» di Giovanni Gentile non saranno stati, nel profondo della sua coscienza, diversi da quelli che, alla notizia della morte violenta di lui 64 , Croce affidò ad una pagina del suo Diario, che non può rileggersi senza che, con la commozione che ne spira, un senso sofferto di superiore se­renità penetri nell'animo 65.

64 Sull'uccisione di Gentile gli storici non hanno ancora trovato, anche per le difficoltà intrinseche ad una documentazione ancora largamente lacu­nosa, l'accordo . Cfr ., essenzialmente, C .L. RAGGHIANTI, Disegno della Libe­razione italiana , Pisa 19622

, pp . 151-57 , il quale offre un'ottima analisi delle « testimonianze » atte a sostenere l'ipotesi , che circolò subito a Firenze, il giorno stesso dell'uccisione (dr. anche GENTILE, Dal discorso agli Italiani alla morte cit., p . 129), secondo cui il filosofo sarebbe stato soppresso dalla famigerata banda del Carità, contro la quale egli aveva più volte protestato presso Mussolini . Cfr . anche C. FRANCOVICH, La Resistenza a Firenze , Fi­renze 1961, pp . 187-88, il quale accenna anche lui, ma per dichiararla im­probabile, alla « voce che attribuiva l'omicidio allo stesso Carità ». Successi­vamente, per altro, il Francovich dedicò all'analisi di questa «ipotesi », uno specifico contributo (Un caso controverso: chi uccise Giovanni Gentile?, « Atti e Studi lst . st . Resistenza Tosc .», n. 3, 1961 , pp. 20-45) . Per altre in­dicazioni bibliografiche, dr. D1 LALLA , Vita di Giovanni Gentile, pp. 539-40, il quale, per altro, non accenna in alcun modo all'ipotesi , discussa dal Rag­ghianti e dal Francovich (e del resto registrata anche da Benedetto Gentile) .

65 B. CROCE, Quando l'Italia era tagliata in due , Bari 1948, pp . 111-12 (ora in Scritti e discorsi politici [1943-1947), Bari 1963, I , 305-306). [Ma dr. ora il mio Per invigilare me stesso. I ' Taccuini di lavoro ' di Benedetto Croce , Bologna 1989, pp. 40-60).