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gennaio 2013 Reg. n. 2/2011 del 19/01/2011 al Registro Stampa del Tribunale di Terni direttore responsabile: Michele Di Schino foto di copertina: Paolo Balistreri

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gennaio 2013Reg. n. 2/2011 del 19/01/2011 al Registro Stampa del Tribunale di Ternidirettore responsabile: Michele Di Schinofoto di copertina: Paolo Balistreri

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Abusivismo edilizioFRANCESCA LEONARDIFOTO: PAOLO BALISTRERI

“Il dossier sulla situazione dell’abusivismo in Italia.”

– Legambiente

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Abusivismo edilizio

Una piaga del nostro Paese è senza dub-bio l’abusivismo edilizio. Quante volte, nel corso degli anni, abbiamo ascoltato in tele-visione l’eterna storia dei condoni, un mal-destro tentativo di salvare la faccia di fron-te all’incapacità dello Stato di far valere i propri diritti e di applicare la legge? Un’in-dagine di Legambiente porta allo scoperto il male nascosto dell’abusivismo italiano: la sua effettiva non punibilità, dovuta ai tempi della giustizia, ma anche alle difficoltà di rendere effettiva un’ordinanza. Su 72 pro-

vincie monitorate dall’associazione ambien-talista, a fronte di 46.760 ordinanze di de-molizione emesse dal 2000 al 2011, ne so-no state eseguite solamente 4.956, appe-na il 10,6% del totale.

Davanti a queste cifre, l’abusivismo non può che continuare: secondo il Cre-sme,  nel 2011 sono quasi 26mila gli abu-si, tra nuove case o grandi ristrutturazioni: il 13,4% del totale delle nuove costruzioni. Se prendiamo i dati dal 2003, anno dell’ulti-

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mo condono edilizio, arriviamo alla cifra mostruosa di oltre 258mila case illegali, per un fatturato complessivo di 1,8 miliar-di di euro, una pratica ormai comune e condivisa, con evidenti ricadute su malavita e corruzione.

Ma il “mattone selvaggio” non si ferma qui, secondo Legam-biente: è pesante, anzi pesantissima l’eredità delle centinaia di migliaia di richieste di condono inevase, presentate in occasio-ne delle leggi 47/1985, 724/1994 e 326/2003. Complessiva-mente le domande presentate sono state 2.040.544, quelle re-spinte 27.859, quelle ancora in attesa di una risposta ben 844.097 pari al 41,37% del totale, il grosso delle quali risale addirittura al primo condono, quello del 1985. Nel Comune di Roma, il primo in Italia con oltre 596.000 richieste, poco meno della metà (circa 262.000) sono ancora senza risposta. E in at-tesa dell’esito della richiesta di condono, gli immobili abusivi continuano ad esistere, nella piena disponibilità dei loro pro-

Pesantissima l’eredità delle centinaia di migliaia di richieste di condono inevase.

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prietari, case “sanabili”, quindi poste in un limbo capace di renderle appetibili perfino nel campo della compravendita im-mobiliare.

Di ben altro limbo e impunità usufruiscono invece quegli immo-bili fantasma, oltre 1.200.000, in cui sono compresi anche gli abusivi, ma che in vista di un’eventuale regolarizzazione porte-rebbero nelle casse dello Stato quasi 500 milioni di euro attra-verso una emersione fiscale molto agevolata. Come a dire che anche lo Stato preferisce monitorare con sufficienza il matto-ne selvaggio, come spesso fanno molte amministrazioni: an-che a questo tenta di sopperire il volontariato, e Legambiente accompagna al dossier “Stop a Mattone Selvaggio” il manua-letto “Abbatti l’abuso”, vero e proprio vademecum per l’indivi-duazione e la segnalazione degli edifici abusivi che rovinano l’ambiente e il paesaggio del nostro Paese.

Legambiente accompagna al dossier “Stop a Mattone Selvaggio” il manualetto “Abbatti l’abuso”.

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Mal’Aria 2013MARTA BONUCCIFOTO: VALERIA DI SCHINO

“Il dossier sulla qualità del-l’aria in Italia.”

– Legambiente

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Mal’Aria 2013

Il 2012 si chiude con una conferma sugli elevati livelli di inquinamento atmosferico che respiriamo nelle città italiane e lo smog è destinato a caratterizzare anche l’anno appena cominciato: si pare così il rapporto Mal'Aria 2013 di Legambiente sui livelli, preoccupanti, di inquinamento atmo-sferico e acustico nel paese.

Problemi che anche l'Europa ci ha chiesto di risolvere. Già nel 2008 la Commissione europea ha informato il nostro Paese di vo-

ler avviare un procedimento di infrazione sui dati di qualità dell’aria forniti per gli an-ni 2006 e 2007, dove risultava che i valori limite venivano superati per lunghi periodi e in molte zone.

L'Italia ha risposto con una promessa: ela-borare una strategia nazionale in grado di arginare il problema e risolverlo. Così non è stato, e il risultato è stato un procedimen-to in Corte di giustizia europea, seguito da condanna dell'Italia. La situazione, insom-

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ma, era già preoccupante qualche anno fa. Ciò che la Commis-sione europea contestava all'Italia, infatti, erano le eccessive concentrazioni di PM10 nel 2006 e 2007. Nel frattempo le co-se non sono migliorate. Il problema, cioè, non solo non è stato risolto, ma sotto certi punti di vista la situazione è addirittura peggiorata.

Lo dimostrano i dati forniti proprio da Mal'Aria 2013, relativi a diversi agenti inquinanti. La prima parte, dedicata all'inquina-mento atmosferico, prende in esame varie cause dell'inquina-mento, a partire proprio dalle polveri fini o PM10: l'elevata pre-senza di polveri fini nell’aria delle città è ancora oggi uno dei problemi principali per quanto riguarda l’inquinamento atmo-sferico. Basti pensare ai dati forniti dall'associazione ambien-talista per il 2012, aggiornati in tempo reale sulle centraline di monitoraggio di tipo urbano di 95 città (l'86,3% dei capoluo-ghi di provincia): i dati a disposizione indicano che il 54% di

La Commissione europea contestava all'Italia erano le eccessive concentrazioni di PM10 nel 2006 e 2007.

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esse ha superato i 35 giorni di “bonus” consentiti per legge. Dunque, ben 51 città sulle 95 analizzate hanno sforato i limiti. Il 15% di queste 51 città ha superato tale limite più del triplo delle volte, il 38% lo ha superato più del doppio, mentre il 19% una volta e mezza. E se per diversi motivi legati agli aspetti meteorologici ogni anno può risultare più o meno favo-revole alla concentrazione o dispersione degli inquinanti, dal confronto con i dati delle passate edizioni di Mal’Aria emerge un dato che non ammette scuse o attenuanti: gran parte di queste città hanno sempre superato, dal 2009 ad oggi, i valori imposti dalla legge. Insomma, sono recidive e non sembrano in vena di cambiamenti.

Ma non c'è solo il PM10. Dal 2011 le città sono obbligate a monitorare anche la frazione più leggera e più pericolosa delle polveri, ovvero il PM2,5. In questo caso, sono meno le città prese in analisi: i dati riportati nel rapporto si riferiscono al

Dal 2011 le città sono obbligate a monitorare anche la frazione più leggera e più pericolosa delle polveri, ovvero il PM2,5.

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2011 e a 42 città (quelle per cui erano disponibili e accessibili dai siti internet delle Arpa). La peggiore di queste è Torino, se-guita da Padova e Milano: quelle cioè che hanno superato più volte il valore obiettivo fissato per legge.

Finora le politiche messe in campo in Italia per migliorare la qualità dell’aria hanno avuto effetto solo su alcuni inquinanti atmosferici, mentre per altri le emissioni sono rimaste presso-ché invariate negli ultimi 10 anni. Alcuni fanno ben sperare: per alcuni inquinanti, come il monossido di carbonio, gli ossidi di zolfo e il Benzene nell’ultimo decennio le emissioni si sono ridotte notevolmente (meno 44% per il primo, meno 72% il se-condo e meno 63% per il benzene). Altri mantengono un anda-mento pressoché costante, a dimostrazione che gli interventi e le politiche messe in campo fino ad oggi hanno avuto scarsa efficacia. Ma quel che è peggio è che alcuni agenti inquinanti, anziché diminuire, aumentano. Come nel caso degli IPA (Idro-carburi policiclici aromatici), che negli ultimi 10 anni hanno vi-sto aumentare l’emissione del 30% in Italia. Esistono centinaia di composti all’interno di questo gruppo, con diverse caratteri-stiche, alcune delle quali altamente tossiche. L’origine principa-le degli IPA è la combustione delle sostanze organiche e risul-ta strettamente connessa ai settori del riscaldamento (che rap-presentano oltre il 50% delle emissioni nazionali), e l’industria (circa il 30%) e solo in minima parte (2%) dal traffico. Ma c'è anche un altro tipo di inquinamento che Legambiente ha pre-so in considerazione, quello acustico. Nonostante la crescen-te consapevolezza degli effetti altamente dannosi che genera l’esposizione al rumore, paragonabili come gravità a quelli le-gati all’inquinamento atmosferico, stenta ancora a partire un costante e tempestivo controllo da parte delle autorità compe-tenti.

Quel che è peggio è che alcuni agenti inquinanti, anziché diminuire, aumentano. Come nel caso degli IPA (Idrocarburi policiclici aromatici).

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Le leggi emanate sono tante, articolate e complesse. Ma per riassumere si può dire che il primo passo da muovere per ri-durre i livelli di rumore, è la classificazione acustica a livello co-munale, un atto tecnico-politico che pianifica gli obiettivi am-bientali di un’area in relazione alle sorgenti sonore esistenti per le quali vengono fissati dei limiti.

Ecco, in base ai dati forniti dall’Ispra, e che si riferiscono al 2011, emerge che la classificazione acustica a livello comuna-le risulta approvata, a distanza di oltre 15 anni dalla sua obbli-gatorietà, solo dal 46,2% dei comuni. Dato in lieve aumento rispetto ai valori del 2009, ma ancora decisamente insufficien-te. E se quello della classificazione doveva essere il primo pas-so da eseguire, va da se che le altre tappe previste, come la relazione biennale per i comuni oltre i 50 mila abitanti e i piani di risanamento acustico comunale per quelli in cui si era accer-tato superamento dei valori limite, non possono aver avuto mi-

La classificazione acustica a livello comunale risulta approvata, a distanza di oltre 15 anni dalla sua obbligatorietà, solo dal 46,2% dei comuni.

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glior sorte: su 149 comuni con oltre 50 mila abitanti, solo 22 hanno redatto la relazione biennale, e per ciò che concerne i piani di risanamento, la percentuale è del 1,7% (solo 62 comu-ni su 3.739).

Legambiente giunge a una conclusione: c'è crisi, è vero. Il che non facilita l'avvio di buone pratiche ambientali. Non in tutta Italia, almeno. Ma la penuria di risorse non è un motivo suffi-ciente per spiegare a brusca e preoccupante battuta d’arresto delle politiche ambientali urbane. Dunque, “c'è, prima ancora di quella economica, una crisi della capacità di fare buona am-ministrazione che investe molte, troppe realtà locali. Una crisi della capacità di innovazione, del coraggio, delle scelte utili che frena oggi quegli interventi necessari a rendere più sosteni-bili le realtà urbane”, si legge nel rapporto. Che prosegue: “Prevale un format decisionale che guarda alla città da pro-spettive parziali, ciascuna delle quali persegue logiche disettore spesso contraddittorie e in reciproca elisione che favo-riscono un’errata programmazione delle priorità, un’incoerente destinazione delle risorse, la perniciosa disorganicità delle azioni. Da una parte, magari, una mano inaugura un tratto di tranvia o compra nuovi bus elettrici mentre l’altra autorizza la costruzione di un quartiere residenziale o di un outlet in mezzo al nulla e scollegato dal resto”.

E fra le proposte di Legambiente, ce ne sono alcune che pos-sono essere adottate da subito, come le strade scolastiche car free. Ci sono poi proposte per il medio periodo, una serie di interventi low cost da sviluppare nell’arco di 3-5anni: come mettere in piedi un piano di rete ciclabile portante, la progettazione e attivazione di servizi integrati e innovativi, la ridefinizione degli spazi urbani e la definizione di piani locali della mobilità.

“C’è, prima ancora di quella economica, una crisi della capacità di fare buona amministrazione che investe molte, troppe realtà locali”.

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Stop ai sussidi alle fonti fossili

FRANCESCA LEONARDIFOTO: VALERIA DI SCHINO

“Il dossier sui sussidi alle fonti fossili nel mondo.”

– Legambiente

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Stop ai sussidi alle fonti fossili

Le emissioni di CO2 continuano a crescere in tutto il Pianeta (+ 20% dal 2000) con ef-fetti ambientali e sociali  sempre più dram-matici: da una stima dell’International Ener-gy Agency nel 2012, i sussidi alle fonti fos-sili nel Mondo sono arrivati a 630 miliardi dollari, in crescita rispetto agli scorsi anni, quando erano 523 nel 2011 e 412 nel 2010.

Stati uniti in testa, tutti i Paesi più industria-lizzati sono nelle primissime posizioni nella

classifica degli Stati con un maggiore impe-gno economico nel sostenere e incentivare la produzione energetica da fonti non rinno-vabili.

Con buona pace delle polemiche, spesso strumentali, sui costi esorbitanti dei sussidi all’energia verde, che totalizzano global-mente sussidi per soli 88 miliardi di dollari.

Secondo i dati dell’OCSE, l’Italia nel 2010 ha sostenuto il settore energetico fossile con oltre 2 miliardi di dollari americani, ov-

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vero 1,6 miliardi di Euro, ma Legambiente nel suo dossier pro-pone una stima più articolata, tenendo conto anche dell’incen-tivazione indiretta rappresentata, ad esempio, dai sussidi ero-gati per il trasporto merci su gomma e quelli per strade e auto-strade, senza dimenticare i fondi diretti per le imprese energi-vore e quelli per le centrali a olio combustibile, da attuare in ca-so di emergenza nelle forniture di gas.

Ne viene fuori la cifra esorbitante, tra sussidi diretti e indiretti, di 9,11 miliardi di euro, un peso sul futuro energetico del Pae-se, qualora si volesse decisamente puntare su un nuovo mo-dello di produzione di energia, legato alle rinnovabili.

E pensare che i benefici sarebbero immediati e fondamentali per la salute dell’intero Pianeta, per il quale l’84% delle emis-sioni di gas a effetto serra è rappresentato proprio dai combu-stibili fossili: fermare, in maniera globale, ogni incentivazione

La cifra esorbitante, tra sussidi diretti e indiretti, di fondi alle fonti fossili ammonta, in Italia, a 9,11 miliardi di euro.

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all’utilizzo delle fonti fossili, porterebbe a una riduzione delle emissioni di CO2 di 750 milioni di tonnellate, pari al 5,8% al 2020, contribuendo al raggiungimento della metà dell’obietti-vo climatico necessario a contenere l’aumento di temperatura globale di 2°C.

L’84% delle emissioni di gas a effetto serra nel Pianeta è rappresentato proprio dai combustibili fossili.

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L’Irlanda investe greenMICHELE DI SCHINOFOTO: MAURO AMATI

“La carbon tax ha alleviato la crisi e favorito una economia green.”

– Irlanda

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L’Irlanda investe green

Un misto di aiuti del FMI e di crescita basa-ta sulle energie rinnovabili, e il rapporto de-ficit-PIL dell’Irlanda dovrebbe scendere, se-condo l’Economist, sotto la soglia del 2%, con una crescita che invece si attestereb-be proprio al 2%. Certo 1,17 miliardi di dol-lari messi a disposizione dal Fondo Mone-tario Internazionale per ridare linfa alle disa-strate casse irlandesi è servito, ma il Gover-no ci ha messo del suo, tassando l’utilizzo dei combustibili fossili per case, automobi-li, fabbriche, uffici, e aumentando la tassa-

zione per chi non fa la differenziata. Una cura da cavallo, per promuovere una cultu-ra sempre più verde nel Paese più verde d’Europa che fino a qualche anno fa era an-che uno dei peggiori per produzione di gas serra procapite.

I costi di petrolio, cherosene, gas naturale sono schizzati in alto, con aumenti dal 5 al 10%, e gli irlandesi hanno dovuto per forza guardare all’energia pulita non solo come una soluzione ambientale, ma soprattutto

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economica: le emissioni, dal 2008, sono calate del 15% (il 6,7% nel solo 2011), e da due anni l’economia ha ripreso a cre-scere, e il Governo a guadagnare: circa un miliardo di euro dal-la carbon tax in tre anni, 400 milioni nel solo 2012, e un’appro-vazione della svolta green nella politica energetica dell’isola as-solutamente bipartisan.

E per la raccolta differenziata? Se non la fai, l’immondizia, let-teralmente, ti stende a terra. La campagna di sensibilizzazione “Tackle litter before it tackles you” (“Placca l’immondizia prima che lei placchi te”), ha diffuso in tv un simpatico video che mo-stra un bidone all'inseguimento del cittadino che non rispetta l'ambiente. Un’immagine netta e diretta per dire quanto l’inqui-namento possa davvero renderti la vita impossibile…

Le emissioni in Irlanda, dal 2008, sono calate del 15% (il 6,7% nel solo 2011), e da due anni l’economia ha ripreso a crescere.

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