Genesi,Esodo,Levitico,Numeri,Deuteronomio A CURA DEL...

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1 LETTURA DEL PENTATEUCO Genesi,Esodo,Levitico,Numeri,Deuteronomio A CURA DEL GRUPPO BIBBIA E LAVORO INDICE PREMESSA e INTRODUZIONE relative a griglia di lettura, metodo di lavoro e motivazioni vedere il Profeta ISAIA GENESI 1-11 “IN PRINCIPIO” pag. 1 (Progetto di Dio e risposta dell’uomo) - Contenuto e importanza - La Creazione ( Gen 1-2) - La relazione infranta (Gen 3) - Dio è fedele alla promessa (Gen 4-11) - Il riposo nella Bibbia GENESI 12-50 “ESCI DALLA TUA TERRA” pag. 14 Struttura e contenuto - Il tema del lavoro in Gen 12-50 - ANTOLOGIA A di singoli contributi al libro di GENESI pag. 16 ESODO “HO ASCOLTATO IL LAMENTO DEL MIO POPOLO” pag. 22 (un Dio liberatore) - Sintesi generale di Esodo - Riflessioni e analisi - Generalità - I personaggi - Analisi di Es 1-6 - Analisi di Es 7-40 - Considerazioni particolari - Del “Servire” - Lavoro per tutti in ogni tempo - generalità sui profeti LEVITICO “FA VIVERE IL TUO FRATELLO PRESSO DI TE” pag. 31 (una legge di Santità e di Giustizia) - Struttura generale di Levitino - Riflessioni riguardo al lavoro - Giubileo, Giustizia, Lavoro

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LETTURA DEL PENTATEUCO

Genesi,Esodo,Levitico,Numeri,Deuteronomio

A CURA DEL GRUPPO BIBBIA E LAVORO INDICE PREMESSA e INTRODUZIONE relative a griglia di lettura, metodo di lavoro e motivazioni vedere il Profeta ISAIA GENESI 1-11 “IN PRINCIPIO” pag. 1 (Progetto di Dio e risposta dell’uomo)

- Contenuto e importanza - La Creazione ( Gen 1-2) - La relazione infranta (Gen 3) - Dio è fedele alla promessa (Gen 4-11) - Il riposo nella Bibbia

GENESI 12-50 “ESCI DALLA TUA TERRA” pag. 14 Struttura e contenuto

- Il tema del lavoro in Gen 12-50 - ANTOLOGIA A di singoli contributi al libro di GENESI pag. 16

ESODO “HO ASCOLTATO IL LAMENTO DEL MIO POPOLO” pag. 22 (un Dio liberatore)

- Sintesi generale di Esodo - Riflessioni e analisi - Generalità - I personaggi - Analisi di Es 1-6 - Analisi di Es 7-40 - Considerazioni particolari - Del “Servire” - Lavoro per tutti in ogni tempo - generalità sui profeti

LEVITICO “FA VIVERE IL TUO FRATELLO PRESSO DI TE” pag. 31 (una legge di Santità e di Giustizia)

- Struttura generale di Levitino - Riflessioni riguardo al lavoro - Giubileo, Giustizia, Lavoro

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NUMERI “VOI BENEDIRETE COSI’ GLI ISRAELITI” pag. 34 (una lunga marcia che dura 40 anni)

- Struttura e contenuto di Numeri - Riflessioni generali - Riferimenti al lavoro - L’episodio di Balaa

DEUTERONOMIO “ASCOLTA ISRAELE! “ pag. 37 (una rilettura della Torah alla scuola dei Profeti)

- Struttura e contenuto di Deuteronomio - Analogie e differenze - I precetti nei riguardi dei poveri - “Ascolta Israele”

ANTOLOGIA B pag. 41 (di singoli contributi su Esodo, Levitico,Numeri, Deuteronomio) A cura di: GRUPPO BIBBIA E LAVORO Coordinatore: don Raffaello Ciccone Partecipanti del gruppo al lavoro sul Pentateuco: don Raffaello Ciccone, Marco Bonarini, Mirto Boni, Teresa Ciccolini, Mariella e Vittorio Villa, Giorgio e Silvana Canesi, Giancarlo Ricotti, Renata Livraghi, Gigliola Chiesa, Rina e Cesare Martinelli, Lorenzo Cantù, Sebastiano Gilardi La stesura del Pentateuco è stata curata da Mirto Boni

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1. IN PRINCIPIO...

Progetto di Dio e Risposta dell'Uomo (Gen 1-11)

1.1 Contenuto e importanza GENESI Primo libro del Pentateuco e della Bibbia, e lo si può suddividere in due sezioni principali: la prima riguarda i primi 11 capitoli, la seconda i successivi ( da 12 a 50 ). La prima parte contiene la descrizione della creazione del cosmo e dell'umanità, l'infedeltà dei primi uomini e le relative conseguenze, il progressivo popolamento della terra.

Questi capitoli sono stati problematici – e spesso imbarazzanti - per i lettori credenti quando i progressi delle scienze naturali, della storia e dell'archeologia avevano messo in risalto divergenze sempre più accentuate fra le conoscenze da esse man mano acquisite e verificate e quanto invece riportato dal testo sacro. L'esegesi contemporanea ha ormai superato questa difficoltà, poiché ammette che il contenuto di Gen 1-11 non è né vuol essere una descrizione storico-scientifica di quello che è successo nei "primi tempi" di vita del mondo e dell'uomo, ma piuttosto una profonda riflessione sapienziale su una serie di conflitti e di paradossi che continuamente si verificano nell'esperienza di tutti i popoli e in tutti i periodi storici.

Un esempio: perché l'uomo, creatura limitata e mortale, ritrova in sé stesso un "desiderio di infinito e di eterno" che lo rende inquieto e, spesso, profondamente infelice, anche quando apparentemente potrebbe vivere bene e tranquillamente con quello di cui dispone?

Perché, fin dai primordi della civiltà, in tutte le comunità umane si è verificata la presenza di pratiche cultuali e una coscienza religiosa?

Perché la natura, così bella e adatta a consentire e favorire la sopravvivenza e il benessere, è anche, sotto alcuni aspetti, ostile e terribile e causa di disagi e di morte? Perché la stupefacente varietà di forme viventi, animali e vegetali, sopravvive in funzione di una continua lotta fra predatori e predati, fra inseguitori e fuggiaschi?

E si potrebbe continuare... I primi undici capitoli di Genesi si rivelano allora non più come la descrizione di un

percorso temporale, da un inizio perfetto ( Gen 1,31) a un progressivo degrado, come del resto sostengono varie mitologie antiche ( dall’ età dell’ oro all’ età del ferro), ma come la presentazione di un progetto di Dio, che è tuttora in divenire e che necessita, per avanzare, anche della collaborazione dell'umanità, in un'economia di Alleanza. La meta finale sarà la piena accoglienza e la perfetta visibilità del Regno di Dio annunciato dai Profeti, e ancor più chiaramente nel Nuovo Testamento.

L'autore - o meglio il redattore finale - di Genesi ha raccolto la sintesi di una riflessione secolare su questi temi sviluppata, sotto l'ispirazione dello Spirito del Signore, dai Sapienti di Israele. La lingua usata è l'antico ebraico, il genere letterario è quello del racconto simbolico ed eziologico, analogo ai "miti" delle letterature antiche, la cultura di riferimento è quella semitica della metà del primo millennio a.C. Con queste premesse è possibile estrarre dal testo i tesori di sapienza, di profezia e di verità che lo hanno reso un riferimento costante e ineludibile per tutte le generazioni successive.

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In Genesi sono presi in considerazione tutti gli aspetti e le manifestazioni essenziali dell'esistenza dell'uomo e delle sue attività; tuttavia in questo studio si siamo sforzati di sottolineare i punti che si riferiscono - o possono in qualche modo riguardare - i lavoratori, l'attività lavorativa, il rapporto lavoro/riposo. 1.2. La Creazione ( Gen 1-2 ) Analisi esegetica ripresa da testi e presentata alla prima riunione Nell’intera sezione i primi 3 capitoli sono particolarmente significativi, poiché narrano i due eventi fondamentali della storia dell'umanità: la creazione e la radicale non-accoglienza, da parte degli uomini, del patto con Dio. Premettiamo questa analisi generale dei racconti della creazione, per poi focalizzare la nostra attenzione sugli aspetti che più direttamente riguardano i problemi del lavoro. 1.2.1 I° Racconto ( 1,1-2,4 ) : è segnato dal tempo della settimana ove l’uomo trova i confini tra lavoro e riposo.

Tutto è segnato dall’armonia, senza nessun conflitto, perché ordinato dal pensiero di Dio creatore al quale nulla sfugge, anzi, tutto progetta con bellezza e grandezza, che da quel momento accompagneranno il sogno d’Israele. Dio si presenterà nella storia di Israele come Promessa di pace, di liberazione, di umanità riconciliata

"La stessa insistenza sul simbolismo settenario ci invita non a cercare una misurazione del tempo del mondo, ma una sua bellezza".

Per questo,oltre ai 7 giorni, sette sono le formule usate dallo scrittore ispirato per descrivere la litania della creazione:

- introduzione: "Dio disse", - comando: "vi sia", - esecuzione: "e così fu", - lode: "Dio vide che era bello", - descrizione: "Dio separò", - imposizione del nome: "Dio chiamò", - conclusione: "fu sera e fu mattina".

Il parallelismo tra l'erba e gli alberi da una parte e la creazione dell'uomo e della donna

dall'altra richiamano il senso del lavoro che non sarà violento perché non verserà sangue e il cibo dell'umanità sarà vegetariano.

7 volte risuona il verbo bara’= creare (3 volte per l’umanità: 1,27): il verbo “ creare “ nella Bibbia compare 49 volte e sempre con riferimento a Dio. Non indica tanto il modo di originare le cose (come il creare dal nulla) quanto il risultato dell'opera di Dio: "fare tagliando/ separando", ponendo nel mondo qualcosa di inedito, insolito, insperato, meraviglioso perché novità assoluta rispetto a quanto già esisteva prima. 7 volte viene usato il verbo ’asah = fare” il nome di Dio è scandito 35 volte (7 x5) la terra e il cielo" appaiono 21 volte (7 x 3) "Dio vide che era cosa buona" 7 volte: (6+1: l'ultimo è: "era cosa molto buona "). Bontà, santità, verità e vita s’intrecciano in una trama perfetta ed omogenea il cui famoso ritornello in ogni sezione narrativa è: “…e Dio vide che tutto era bello” ( tov ). Normalmente si traduce con “:..e Dio vide che ciò era buono”. Ma il significato di “tov” oscilla tra il buono e il bello, tra l’utile e il dilettevole, tra il vero e l’affascinante, tra il retto e il dolce. Il progetto infatti lega il lavoro alla bellezza ed alla completezza per tutti. - 10 volte si ripete che le creature sono create secondo la loro specie

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- 6 volte ”e fu sera e fu mattina” poiché per il settimo giorno non c’è fine

1,2 “lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque": tutto il mondo è carico dello Spirito di Dio e nulla è al di fuori di lui "dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera" (Sal 33,6). . Separò (badal) significa "mettere ordine", per cui ogni realtà creata occupa il proprio posto senza "creare disordine “ (o "violenza"). E questo è il compito dell'uomo: mettere ordine. Ogni creatura e ogni realtà devono essere distinte e gerarchizzate rispetto alle altre. Questo significa che è possibile la relazione tra gli esseri creati, nel rispetto di un “disegno divino”. Nella creazione v’è un insieme di realtà e differenze da rispettare per il posto che in essa occupano secondo il "progetto divino". Siamo in presenza di una “vera legge normativa" che regola le relazioni tra le realtà create in vista della loro funzionalità o “servizio-governo” che devono rendere. Il primo giorno Dio separa la luce dalle tenebre, il secondo giorno Dio separa l'acqua al di sopra e al di sotto del firmamento e il terzo giorno Dio separa il mare dalla terra. Gli stessi luminari del cielo: sole e luna sono ricordati ben sette volte nel quarto giorno con la loro funzione di separare, illuminare e governare. Il quarto giorno equidistante dal primo e dal settimo è un giorno fondamentale che richiama la festa. Sono anche chiamate lampade come le lampade del Tempio di Gerusalemme che illuminavano l'area sacra e richiamavano la presenza del “Signore”. . “E così avvenne": la parola di Dio non ritorna a Lui senza effetto (Isaia 55,11). . Dio benedisse: è un impegno che Dio prende per garantire crescita, fecondità, ben-essere e bene-stare. Una prima volta è detto per tutto il creato: poiché il cielo e la terra, ricevendo la benedizione del Signore, la manifestino in modo efficace nella fecondità. Legato alla fecondità è anche il richiamo a riempire gli spazi a loro riservati. 1,26: l'umanità è a immagine somigliantissima di Dio e però non coincidente perfettamente. Infatti ogni essere umano è sì immagine, cioè copia conforme all'originale e rappresentante visivo di Dio in terra, ma è anche somiglianza, cioè apparenza, “forma analoga o corrispondente”, non coincidente in tutto e per tutto all'originale.

Gli esseri umani non sono creati “secondo la loro specie” poiché sono a immagine di Dio. L'originale ebraico vuole dire che l'umanità "nel dominare e soggiogare” ogni altra creatura

(v. 26) e nel popolare la terra (v. 28) è icona di Dio in terra. Nel mondo antico un re era solito collocare nelle regioni più lontane del suo regno una statua che lo rappresentasse e che ricordasse a tutti chi fosse il sovrano. Ogni uomo è rappresentante di Dio sulla terra. Viene usato da Dio il “noi” o il “nostro” tre volte: la creazione avviene mediante la comunicazione anche se qui la comunicazione è con Sé stesso.

Dio definisce le altre creature in rapporto alla terra, al cielo e al mare mentre definisce l’essere umano in rapporto a sé. Questo significa che gli esseri umani non hanno in sé, a differenza delle altre creature, un proprio punto di riferimento, ma lo hanno in Dio. " Dominare e soggiogare" sono parole forti. "dominare" è l'azione del "calcare pesantemente il piede su qualcosa” "soggiogare" indica il "sottomettere" per esempio una regione con una occupazione militare e quindi stabilirvi la propria sovranità.

Ambedue sono azioni tipiche di un re che vengono estese a ogni persona umana: non è più solo il sovrano ad essere "icona della divinità" come presso le popolazioni orientali ma lo è ogni uomo e ogni donna. La loro responsabilità perciò è enorme e si esercita come "rappresentanza di Dio" non in modo autonomo e non al di fuori di ogni controllo. La tradizione ebraica afferma che

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ogni essere umano è invitato a imitare Dio nel dominare e soggiogare la terra: non può essere né tiranno né conquistatore, ma piuttosto un "re pacifico e non violento" interessato alla vita, al benessere e alla giustizia su tutto il creato (Sal 72/71). . 1,27: “maschio e femmina li creò” poiché Dio ama la vita e vuole che sia trasmessa in un rapporto relazionale: la somiglianza con Dio corrisponde alla identità-diversità, nella fecondità, nella bipolarità sessuale, e per conseguenza nell'essere più capaci, nella comunità, di una continuità nel lavoro e della signoria sul mondo. . 1,28: sono espressi 5 imperativi, che corrispondono ad una autentica “istruzione " o Torah. - “siate fecondi”: se il richiamo letterale è sulla linea della generazione, il significato più profondo riporta all'amore alla vita. La fecondità conduce ad accogliere la vita in sé e fuori di sé in un orizzonte che è ampio. Essa è prima di tutto e fondamentalmente interiore. - “moltiplicatevi”: la fecondità si esprime nell'amare la vita attorno a sé moltiplicandola fisicamente ma anche moltiplicando la relazionalità. - “riempite la terra”: la vita non ha confini, non conosce privatizzazione che la mortifichi, poiché, nella fecondità, l’umanità porta amore profondo e totale per ogni realtà. I primi tre imperativi sono uguali a quelli che Dio pone sugli animali (v. 22). - "soggiogatela”: se c'è amore alla vita, allora la terra diventa il luogo dell'accoglienza, dell'incontro e della fecondità. Non esiste, d’altra parte un dominio unilaterale poiché come l’umanità deve assoggettare la terra così dalla terra dipendono i frutti per il sostentamento e per il cibo. - “dominate": il dominare, se si sviluppa come ricchezza e amore alla vita, è capace di uno sviluppo che porta la pace e la bellezza del mondo e non certo la morte e la schiavitù. Esiste un vincolo di reciproca responsabilità tra l’essere umano e la terra che non va infranto. . 2,1-4a. Dio stesso riposa e perciò la settimana di Dio, diventa, somigliando a Lui, "settimana dell'uomo”; propone il lavoro per sei giorni e il riposo per il settimo. Poiché il settimo giorno è benedetto, esso è l'ultima opera che produce “fecondità". E’ il tempo dedicato al culto, per cui l'uomo entra in dialogo con Dio e riceve da Dio quella fecondità che alimenta il suo essere nel tempo. Nel culto il riposo umano acquista il suo senso e scopre la sua direzione: non tanto come "mancanza" di lavoro, ma come "presenza di Dio “. “Il sabato è lo spirito sotto forma di tempo" (A.J. Heschel).

In conclusione noi viviamo in rapporto con Dio, con gli animali, con le piante e la terra; le piante sono collegate solo con la terra; gli animali e gli uomini invece sono indissolubilmente collegati con la terra, con le piante e fra loro. 1.2.2. II° Racconto (Gen 2, 4-25 ). Se nel primo racconto della creazione si narra, attraverso un testo poetico e magnifico, che Dio intervenne creando il mondo in sei giorni e riposando poi al settimo, passando così le consegne all’umanità perché continuasse il lavoro iniziato, nel II° racconto si mette soprattutto in risalto la creazione dell’umanità, in un crescendo di bellezza e di richiamo dall’indistinto al distinto, dal semplice al complesso, tutto retto dal richiamo del desiderio e della felicità di queste nuove creature per cui anche Dio è in ricerca, finché ritrova, nel canto finale dell’uomo verso la donna, il compimento della perfezione.

• Vengono usati 8 verbi, segno della pienezza e dell’operosità dell’Alleanza totale. • Tutto il testo inizia con la pienezza della vita e finisce nella linea della morte qualora

l’umanità non accetti di seguire le indicazioni di Dio. • Il mondo creato si sviluppa :

- nella fertilità: le piante e i frutti e quindi abbondanza e raccolto. - e nella bellezza: acqua e luogo ombroso, rigoglioso.

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- In questo secondo capitolo l’umanità è messa al centro, perché continui nel mondo il lavoro di Dio nella pienezza e nella partecipazione con Lui . - All’inizio Dio :

- pone mano alla creazione. - la terra è arida, deserto senza vita. - ed Egli porta l’acqua sulla terra in un contesto non ancora lavorato dall’umanità.

- L’essere umano viene plasmato per volere di Dio dalle sue mani e con ciò che c’è: polvere, della terra e acqua; un essere inanimato (ha adam: lett. un terrestre dalla terra ha-hadamah). E’ colui che abita la terra in rapporto a Dio che abita il cielo. - L’umanità è fatta di polvere inconsistente, fragile (non è roccia). E’ creatura nelle mani di Dio, plasmata da Dio, per cui ciò che è stato fatto è stato ideato e portato a compimento secondo il disegno di Dio stesso, con l’amorevolezza e la maestria delle sue mani. - per la Bibbia Dio è simile ad un'artista o ad un lavoratore soddisfatto della sua attività; l'immagine è pacifica ed esalta l'attività dell'uomo. - Poi viene dato l’alito di vita, la capacità di respirare e quindi di vivere, ciò che fa di un corpo una persona viva ma anche cosciente e responsabile. Tutto ciò che l’umanità ha in sé, di pensiero e di coscienza, viene dal mondo di Dio che ci permette la conoscenza e il dialogo. La parola "alito di vita" non è il vocabolo che viene usato per indicare l'energia vivente degli animali ma è il vocabolo che viene usato solo per Dio e per l'uomo: neshamah. È l'autocoscienza, é la capacità di conoscersi e di giudicarsi, la libertà creativa, il potere di introspezione e di intuizione, di amministrare e gestire. - Tutto ciò che l’ umanità “è” ed “ha”viene dal dono di Dio. - Il giardino è un dono che viene dalle mani di Dio, un luogo splendido, ricco di tutta l’acqua che irriga il mondo. I 4 grandi fiumi allora conosciuti iniziano proprio dall’unica fonte dell’Eden. Eden è una parola che assomiglia ad una parola ebraica e che significa “gioia, piacere”. Nella lingua greca, quando il testo ebraico è stato tradotto, la parola Eden si tradusse con “paradeisos” che nella lingua persiana indicava il luogo di svago e di divertimento del re.

Dio non è geloso della sua opera, ma la mette a disposizione; non è diffidente, ma generoso.

Dio carica e arricchisce del suo Spirito perché ci sia una somiglianza anche nel futuro, ed una continuità. Lo Spirito è la risorsa divina che Dio pone nel mondo perché l’umanità possa essere capace di continuare a fare quello che Lui stesso ha cominciato.

L'uomo non è stato creato, come sostengono le altre religioni dell'Antico Oriente, per sostituire il lavoro degli dei o per essere loro schiavo nei servizi più umili; è stato creato perché costruisca, inventi, trasformi la realtà, perché viva l'esperienza dell'azione. Nella tradizione giudaica non si disprezzerà mai il lavoro manuale, anzi, lo si abbinerà, nelle scuole rabbiniche, allo studio.

Il testo esprime una particolare spiritualità del lavoro. Infatti i due verbi tradotti con “coltivare e custodire" in ebraico significano anche "servire e osservare” che sono i due termini classici della teologia dell’Alleanza. C'è quindi un'Alleanza con Dio che si esprime nell'azione quotidiana, nell'impegno di trasformazione del mondo. Ad essa partecipano tutti coloro che, al di là delle loro confessioni religiose o del loro ateismo, si sforzano di offrire pane, benessere, serenità ai fratelli. Ammonisce San Paolo " ( lavorate ).. onestamente con le proprie mani, per poter condividere con chi si trova nel bisogno “ (Ef 4,28 ) .

Così ciascuna persona dell’umanità sarà tramite e riferimento con il suo Creatore, con il mondo e con gli altri: uomini e donne.

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1.3 La relazione infranta ( Gen 3 ) 1.3.1 L'atmosfera di pace e concordia con Dio (ebr. shalom) dei primi due capitoli viene bruscamente interrotta nel cap. 3. Si può discutere parecchio sulle cause e le modalità di questa rottura (cominciando col ridicolizzare la ancor oggi diffusa credenza che il "peccato originale" consista nel desiderio di unione genitale tra la coppia primigenia); resta il fatto che in essa si guastano non solo i rapporti "uomo/Dio" ma anche quelli "uomo/uomo", "maschio/femmina", "uomo/natura". Anche noi ci meravigliamo di come siamo, di come ci comportiamo, singolarmente e collettivamente e ci chiediamo come mai in certe occasioni siamo spinti ad assumere un dato comportamento anche se ne giudichiamo migliore uno diverso. Ci incuriosisce sapere che cosa ci frena, che cosa ci spinge, che cosa ci affascina e ci determina ad agire. Constatiamo una lotta interiore alla quale a volte assistiamo quasi senza prendere posizione. Sentiamo che c’è qualcosa di nemico anche dentro di noi, a cui vorremmo porre resistenza ma è difficile, perché non è facile riconoscerlo di primo acchito. Si presenta bene, come cosa buona, saggia, logica, necessaria e solo ponendovi molta attenzione può essere smascherato. Noi siamo attenti a quanti attorno a noi ci contrastano, li temiamo e ci difendiamo ma consideriamo di poco conto quanto avviene dentro di noi, alla nostra vita interiore come luogo di tentazione; invece proprio qui si compie la lotta e si origina il peccato ( cfr. Mc 7, 15 ) Nel racconto biblico il serpente, insinuando alcune parole cariche di dubbio e di diffidenza, capovolge il significato di tutto l’ agire di Dio. Paralizza la libera adesione alle parole di Dio e invita implicitamente a prenderne le distanze, anzi pone un dubbio su Dio, sulla sua volontà di dare la vita, sulla differenza tra quanto dice di fare e quanto fa in realtà col suo comando. E’, in fondo, un invito a ritirare la fiducia in Dio e a riporla soltanto in sé stessi per difendersi. Il sospetto sulla bontà di Dio fa respingere l’ idea che l’ opera di creazione provenga da un amore disinteressato, e suscita la mormorazione ( “Dio non è dono per tutti, Dio limita la nostra libertà, Dio ci odia, vuole Lui vivere e fare morire noi …” ): ne vedremo chiaro esempio nei comportamenti del popolo dell’ Esodo nel deserto. E’ una tentazione che ci spinge a voler prendere noi il Suo posto.

Ad un certo punto, dopo la creazione, Dio scompare e l’uomo fa esperienza della sua assenza: è il momento in cui l’adulto sperimenta una certa autonomia, sente meno la dipendenza dalla sua origine e ha l’occasione di esercitare pienamente la sua libertà, resistendo alla tentazione. Allora se quanto comandato fa unità nella sua coscienza perché riconosce nel comando il segno e la conseguenza dell’amore di Dio, l’uomo si trova libero di seguirlo, ed evidenzia la sua fede e la sua fiducia in Lui. Se conserva il dubbio e lo fa crescere, può o disobbedire o dare un’obbedienza formale, solo apparente, in cui la fede non ha posto. Il serpente descrive il comando di Dio come conseguenza della Sua gelosia per la nostra vita, come colui che volendo essere il solo a dominare, fa in modo che gli altri muoiano: uccidendo gli altri affermerebbe la propria signoria ! Essere sotto la legge di fatto per noi significa essere sotto questa tentazione. La legge in questo modo ci appare come esperienza negativa. Il dubbio posto dal serpente riduce la percezione della pericolosità di ciò che è vietato, e lo fa apparire bello e desiderabile. Il peccato è l’andare verso il frutto apparentemente buono. La logica del divino sarà invece di servirsi delle apparenze del male per mostrare la verità e la vita. L’uomo è chiamato a vivere la totalità della sua vita che è la vita stessa di Dio: quello che gli è proibito è semplicemente il morire di cui l’uomo fa esperienza mangiando il frutto. Anche la nostra quotidianità è illuminata da questa pagina. Ciò che la sapienza di Israele ha maturato è valido anche per noi ed esplicitato ulteriormente con la venuta di Gesù, la sua storia tra noi, la sua morte e resurrezione.

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Anche noi siamo fondamentalmente invitati a scegliere nel senso di accogliere tutto quanto ci circonda come dono di Dio, porre fiducia in questo Mistero buono che ci accompagna; essere liberi di fronte a certi semplici divieti (come quelli stradali o quelli protettivi sul lavoro ad esempio) vedendoli come strumenti per conservare la vita, non per rischiarla inutilmente.

Facciamo spesso esperienza dell’insidia della tentazione che ci invita a decidere di testa nostra contro ogni legge, facendoci vedere solo i vantaggi immediati. Così, l’insidia della diffidenza non si limita a guastare i nostri rapporti con Dio, ma dilata la sua azione su ogni cosa buona, su ogni rapporto umano, in ogni comunità, dandoci una visione capovolta della realtà e impedendo alla nostra libertà di aderire prontamente al bene.

1.3.2 L’esperienza del lavoro dell’uomo è inserita in questa condizione. Nel suo agire l’uomo sperimenta la sua debolezza di fronte a quanto ha progettato; nonché la sua insufficienza nel relazionarsi positivamente con l’altro. L’insidia del pensare male di chi gli sta sopra, di chi dipende da lui o di chi collabora con lui, è sempre in agguato e storpia la lettura della situazione. Tutto ciò lo induce a riporre la sua fiducia in se stesso; lo spinge a procurarsi tutto quanto gli può servire per non aver bisogno di nessuno, a tenere lui in pugno la situazione e distogliere lo sguardo dalla Forza generatrice da cui è venuto e, insieme, da chi ha contribuito a dare a lui la vita. In questa situazione ogni lavoro può essere lecito, purché serva a me; e non si guarda né al proprio futuro, né a quello delle generazioni successive, per quanto riguarda sia la partecipazione alla vita, sia la preoccupazione di far trovare loro un ambiente bello da abitare. Il non riconoscere il Mistero buono iniziale e non poter quindi porre in esso la fiducia per il futuro è una distrazione dall’essenziale che produce confusione sul valore del lavoro, che sia rivolto alla vita o rivolto alla morte, che possa o meno recare conseguenze disastrose per la salute, l’ ambiente, gli altri uomini.

Dopo la disubbidienza emergono i limiti: Adamo ed Eva dicono “siamo nudi, per questo ci nascondiamo da Te”. La nudità che prima non era causa di vergogna, ora li fa nascondere; Dio allora dice loro in che cosa consiste la perdita della relazione, o, meglio, dice che l’armonia che era del creato si è spezzata e che per ricostruire ogni relazione ci sarà dolore.

Nella cacciata dal giardino di Eden, Dio lancia apparentemente delle maledizioni: l’uomo avrà la condanna del lavoro, la donna partorirà con dolore. In realtà non maledice, bensì apre i loro occhi sulle conseguenze del disordine causato dal rifiuto del progetto “ buono “ della creazione; non solo l’ uomo ( e la donna ), ma tutto il creato resterà contaminato da quella scelta. Ma Dio ha ancora tenerezza per le creature che ha fatto a sua immagine e somiglianza, e mostra sollecitudine e premura: prima che l’uomo e la donna lascino il paradiso confeziona per loro vesti di pelli.

L’uscita dal paradiso rappresenta l’ingresso nella storia; è una delle tante uscite. La storia biblica è fondata sull’uscire da e sull’andare verso. Prima di tutto il mondo esce dal caos. Poi Adamo ed Eva escono dal paradiso. Abramo esce dalla sua patria. Israele esce dall’Egitto. Gli esuli escono da Babilonia. Questo indica una cosa fondamentale nella concezione biblica: l’avere il futuro davanti a sé, andare verso il futuro. Futuro che può anche non essere bello: Adamo ed Eva vanno incontro a un futuro di tribolazioni e di spine, come dice il testo. Ma è nella natura umana lasciare qualcosa dietro le spalle e andare verso, un ricominciare.

E’ come se Dio avesse creato un modello, di uomo e di donna, beato, ma solamente come progetto. Poi abbiamo l’uomo e la donna nella storia, e questo progetto iniziale è in realtà un progetto messianico, escatologico, che verrà dopo. Si può forse dire che Adamo ed Eva non hanno perso nulla, ma stanno camminando verso l’acquisizione di molto. Verso l’acquisizione del loro essere uomini e donne; della loro piena umanità, attraverso il lavoro e attraverso la consapevolezza della conoscenza di sé stessi e del mondo. Adamo ed Eva, come l’uomo e la donna di tutti i tempi, stanno camminando verso qualche cosa che è nascosto dalla storia ma che è nella storia e che il mito delle origini ci rivela, se lo consideriamo un mito dell’arrivo, della fine.

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1.4 Dio è fedele alla promessa ( Gen 4-11 ) Nei capitoli successivi di Genesi si possono identificare due linee di percorso:

1) Un progressivo degrado e distacco dal progetto di Dio (= situazione di peccato) 2) La persistenza di un ricordo nostalgico della pace "edenica", che si trasmette di generazione in generazione (sia pure in un gruppo ristretto di individui) e permette la continuità della vita e della storia.

1.4.1 In Gen 4 Caino lavora il suolo, ma la sua offerta non viene accolta. I commentatori si sono ingegnati in varie ipotesi sul perché Dio preferisce l’offerta di Abele a quella di Caino, ma sostanzialmente non ne vengono a capo. Certo è, che di fronte all’agire di Dio, Caino si trova in difficoltà. E il suolo , da cui traeva la vita, ora è il luogo da cui grida il sangue di Abele! Caino non potrà più trarre la vita dal suolo, ma dovrà inventarsi costruttore di città per poter vivere. La sua discendenza saranno allevatori, musicisti e fabbriferrai.

1.4.2. L’episodio del diluvio ci mostra esattamente questo: la violenza dilaga sulla terra e occorre un bagno purificatore per ricominciare a vivere. Le acque si ritirano e il primo segno è un ramo di ulivo; il suolo germina ancora, si reinstaura quella alleanza tra l’uomo e il suolo presente nel giardino dell’eden, di reciproca cura e di reciproco scambio di vita. Però la vita ormai è stata intaccata: l’uomo può mangiare gli animali, anche se simbolicamente non può mangiarne la vita, cioè il sangue. C’è una ferita nell’alleanza eterna.

Noè pianta una vigna, ma il frutto della vigna non gli giova perché si ubriaca, il rapporto con il suolo è sempre difficile, segnato dal peccato. 1.4.3 Il racconto della torre di Babele è altamente simbolico: la torre non è tratta dal suolo come espressione di vita, è poggiata sulla terra per evitare la dispersione. Ma è solo nella diversità che può esserci relazione. Allora il lavoro dell’uomo che vuole portare a unità è un lavoro per la morte e non per la vita. Dio disperde gli uomini per poterli poi radunare, rispettando la loro differenza strutturale.

1.4.4 Ci sembra un aspetto importante per la nostra riflessione sul lavoro. Caino era stato mandato fuggiasco sulla terra e costruì una città, struttura che assume

l’aspetto di una mediazione culturale rispetto alla fonte della vita e al creato. Il lavoro sembra avere questa forte caratterizzazione di mediazione rispetto allo scambio

della vita, che deve avvenire secondo le caratteristiche della vita: gratuità del dono che ci precede e che ci fa vivere, reciproco riconoscimento della differenza per la valorizzazione dell’altro. Nessuno lavora da solo e occorre rispetto per il lavoro di ognuno. E’ una scelta di libertà, in quanto inclina al bene o al male a seconda delle nostre scelte. E’ metaforicamente una danza che può essere più o meno armonica, ma che si può trasformare anche in scontro. 1.4.5 Può essere interessante analizzare anche il linguaggio con cui ci riferiamo al mercato.

Noi parliamo di libero mercato, di concorrenza, di avversari da “mettere al tappeto”, intendiamo il mercato regolato dalla legge del più forte mitigata dalla regolazione statuale-legislativa che dovrebbe aiutare la ridistribuzione del reddito prodotto. Altro sarebbe pensare il mercato come rispetto del lavoro di ognuno, dove la collaborazione per la vita di tutti è il primo aspetto, perché è la sua finalità: il lavoro serve allo scambio della vita, perché non siamo più capaci di accedere direttamente alla vita, come accadeva nell’Eden. E’ necessaria la mediazione del lavoro, ma attraverso un lavoro che rispetta la dignità di ogni uomo.

Come benediciamo la tavola prima di mangiare con una formula analoga a quella degli

ebrei: “Benedetto sei tu Dio Signore nostro, re per sempre, che hai tratto dalla terra questo pane che ci dai”, così potremmo benedire il Signore per il lavoro che svolgiamo: “Benedetto sei tu Dio Signore nostro, re per sempre, che attraverso il lavoro ci unisci in un unico popolo che riceve la vita da Te, fonte di ogni benedizione”. 1.4.6 Già si è accennato agli effetti negativi che il rifiuto del Patto con Dio ha portato riguardo a tutti gli aspetti della vita umana, e in particolare riguardo al lavoro. Vediamo di

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approfondire l’analisi, seguendo sempre la narrazione “eziologica“ di Gen 1-11. La rottura dei “criteri“ definiti nel primo paragrafo ha profondamente snaturato le caratteristiche progettuali del lavoro umano, causando una serie di connotati negativi, che cercheremo di riunire in tre gruppi, a seconda che riguardino il peggioramento del rapporto con la creazione, l’ imbarbarimento delle relazioni fra lavoratori, la privazione e/o le gravi limitazioni alla libertà.

Queste negatività non hanno fortunatamente del tutto estromesso gli aspetti positivi ricordati all’inizio, che hanno potuto quindi coesistere con i lati deboli e permettere una certa “riscossa“ del senso positivo del lavoro. Questa riscossa, già iniziata con la storia dei Patriarchi (Gen 12-50), troverà il riscatto definitivo nella piena rivalutazione del lavoro operata da Gesù di Nazareth. 1.4.6.1 Fuori del giardino di Eden la terra non produce più soltanto buoni frutti ed ortaggi mangerecci (Gen 1,29), e gli animali non restano più tutti erbivori (1,30). Si dovrà imparare a guardarsi dalle erbe velenose e dagli animali ostili. Anche il clima non rimane più dolce e temperato, ma ci saranno gli eccessi di caldo e di freddo, le siccità e le alluvioni (fino ad arrivare al grande diluvio), i fulmini e i terremoti... E’ con tutti questi ostacoli che si dovrà misurare il lavoro dell’ Uomo (3,17-19), il quale dovrà dedicare un tempo sproporzionato a “procacciarsi un reddito“. Diventerà carnivoro (9,3) e si eserciterà nell’ arte di uccidere gli animali (10,9), fino a considerare la caccia come uno sport o uno “status symbol“ delle classi dirigenti. L’ agricoltura dovrà fare i conti con i parassiti e gli infestanti (3,18), ma anche i buoni frutti potranno avere effetti indesiderati (9,20-23). Si aprirà una continua rincorsa tra il miglioramento delle tecnologie produttive e il peggioramento delle condizioni ambientali, di cui le tecnologie stesse sono quasi sempre una concausa. 1.4.6.2 Al cap. 4 della Genesi troviamo l’ episodio di Caino e Abele, universalmente noto come l’antesignano dei rapporti di invidia e violenza reciproca tra fratelli. Attira molto meno l’ attenzione la circostanza che il brano specifica, con rilievo, la professione dei due contendenti (4,2); non sembra quindi fuori luogo il considerare la narrazione anche come un conflitto di lavoro. La scarsità o la poca produttività della terra suggerirono ben presto ai discendenti dell’Adam l’opzione di incolpare i loro simili delle difficoltà alimentari ed economiche; perciò molti, anziché lavorare meglio o cercare attività più adeguate al contesto, preferirono estorcere risorse ai vicini con la violenza o con l’ inganno, oppure sfruttare all’eccesso il lavoro dei sottoposti. Tutto era cominciato con la mancata solidarietà dell’Adam con la “carne della sua carne e ossa delle sue ossa“ al momento di rispondere del comune rifiuto del patto (3,12 ). Nel prosieguo della Bibbia i conflitti tra lavoratori avranno numerosi riscontri, accanto a quelli di carattere politico/etnico e di carattere familiare; essi si protrarranno anche quando, come vedremo nel punto seguente, si svilupperà un’organizzazione del lavoro di carattere gerarchico e - quasi sempre - dispotico, che avrebbe dovuto invece promuovere solidarietà e sostegno reciproco tra i lavoratori (cfr. ad esempio l’ episodio di Es 2,11-15). 1.4.6.3 La conseguenza più radicalmente negativa concerne però la rottura tra l’attività lavorativa e l’esercizio della libertà. C’è naturalmente tutta una graduazione progressiva in questa perdita di libertà. Al punto più basso si trova la condizione di schiavitù; nel testo della Genesi non c’è menzione specifica di come e quando questo istituto abbia avuto inizio, salvo un accenno nella maledizione di Noè a Cam (9,25-27). Nel narrare la storia di Abramo viene detto che il Patriarca si mosse da Carran “con tutte le persone che si era procurato...“ (12,5), considerando perciò come “normale“ già da allora il possesso di servi. La Legge del Sinai pone delle regole di protezione per gli schiavi (in particolare per quelli Ebrei) contro gli abusi più gravi, ma non connota negativamente il fatto che ci siano.

A un livello superiore troviamo, poi, la condizione dei salariati agricoli e dei lavoratori dipendenti “a contratto“. Questi godono formalmente delle condizioni basilari della libertà personale, ma di fatto sono schiacciati dalla differenza di potere contrattuale rispetto alla

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controparte. Analoga è la condizione dei piccoli agricoltori o artigiani indipendenti, che sono comunque soggetti ai ricatti del “mercato“ governato dai ricchi speculatori che controllano lo scambio dei prodotti. Contro queste situazioni si leva alta e frequente l’invettiva dei profeti, ma la situazione permane. La stessa istituzione dell’ anno Giubilare (Lev 25) dimostra la consapevolezza che l’autore sacro aveva dell’estensione e della gravità del problema; purtroppo sappiamo dalla storia che le prescrizioni sul Giubileo sono rimaste lettera morta in tutto il periodo in cui avrebbero potuto essere osservate. 1.4.7 Si è detto prima che non si trova traccia di una esplicita “ narrazione eziologica “ della schiavitù. Si può tuttavia immaginarla, in modo implicito, tra le righe, nell’ episodio della torre di Babele (11,1-9). Si tratta del primo esempio di impresa complessa e colossale, che certamente richiese un’organizzazione gerarchica del lavoro (e a quei tempi la superiorità gerarchica comportava il diritto di vita e di morte); inoltre il Signore la giudica un’impresa ostile. Ora poiché l’Onnipotente non poteva ragionevolmente temere un rischio per Sé (lo stesso seguito della narrazione dimostra con quale facilità può far fallire il progetto), è probabile che il giudizio negativo riguardasse l’attentato alla dignità dell’ Uomo. Si potrebbe confrontare con la reazione negativa del Signore alla richiesta di un re da parte del popolo ebreo (1Sam 8). Del resto numerosi “midrashim “ rabbinici su Babele esplicitano situazioni di lavoro forzato, inumano e rischioso.

Per concludere riprendiamo in considerazione i già citati precetti sul Giubileo. Ordinando (1) il riposo della terra; (2) la restituzione della casa e l’ accoglienza al fratello; (3) la cancellazione della schiavitù e dei debiti, il comandamento cerca appunto un rimedio radicale ai tre aspetti negativi del lavoro umano sopra citati. 1.4.8 Un ulteriore aspetto che interessa il lavoro è riscontrabile nella sezione di Genesi 1-11: riguarda l’origine dei diversi comparti lavorativi, ed è collocata all’interno della genealogia dei discendenti di Caino. E’ curioso notare come la Bibbia attribuisce a Caino e alla sua stirpe sia la fondazione di città, e quindi della cultura urbana (4,17), sia le attività di tipo industriale (4,22 ) e terziario/artistiche (4,21). Rammentiamo che Caino stesso era agricoltore, mentre Abele era pastore.

L’allevamento del bestiame è indubbiamente l’ attività più benvista dagli autori sacri; è il mestiere dei Patriarchi e di David, ai pastori è dato il primo annuncio della nascita del Salvatore (Lc 2,8ss); “ Buon Pastore “ è uno dei titoli messianici attribuiti a Gesù, con riferimento alla profezia di Ezechiele... L’ agricoltura, partita male con Caino, acquisterà prestigio col tempo, in corrispondenza con la progressiva sedentarietà del popolo nella terra di Canaan.

Resterà invece sempre una connotazione negativa, o almeno di sospetto, per la città e per le attività più specificamente cittadine. Infatti l’ invidia, che Caino non sa più dominare, non gli permette più di avere un rapporto diretto con il suolo e con la vita. Nasce la prima mediazione rispetto al nutrimento:in città non si coltiva, ma si commercia quanto è prodotto da altri, con tutti i rischi connessi ai commerci ( ben espressi poi dai profeti ): bilance false, pesi falsi, prezzi iniqui. Si potrebbe dire che la vita stessa viene commerciata, perdendo in dignità e rispetto. Le cosiddette professioni liberali e le arti non saranno mai al vertice del prestigio e dell’ortodossia religiosa in Israele; tant’ è che per la costruzione del Tempio si dovrà fare ampio ricorso a manodopera straniera. Già allora probabilmente ci si rendeva conto che la vita e la cultura cittadina facevano diminuire il senso di dipendenza dal Signore (cui si attribuiva un influsso diretto sulla fertilità del suolo e la riproduzione del bestiame), ed aumentava la tentazione di autosufficienza dell’ uomo, con grossi rischi di perdita del “timor di Dio“.

Una grande eccezione è costituita da Gerusalemme. Essa non è soltanto la sede del Tempio, il luogo scelto dal Signore come Suo “riposo“; è anche il centro che predispone e forma gli Israeliti all’ unica attività culturale raccomandabile, senza riserve, e cioè lo studio della Torah. Queste considerazioni possono spingersi ben più in là di una semplice curiosità storica sulle preferenze professionali degli agiografi biblici. Per esempio, se si volesse fare un discorso sulla laicità dei credenti, non è di poco conto una riflessione su come l’ascolto della Parola possa rendere positivo

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anche il legittimo sentimento di autonomia dell’ uomo, e l’orgoglio creativo delle attività tipicamente “cittadine“. Dalla mitica città di Caino possiamo man mano risalire, prima alla città di Ninive che sa convertirsi rispondendo alla predicazione di un profeta (libro di Giona), infine alla Gerusalemme che “come una sposa adorna per il suo sposo“, non ha più bisogno del culto del tempio perché “il Signore è là “ ( Ez 50,35 ; cfr. Ap 21,22 ). 1.5 Il riposo nella Bibbia Nella Bibbia il tema del " lavoro " è strettamente collegato a quello del " riposo ". Il riposo tuttavia non va considerato semplicemente come una " pausa dal lavoro " dovuta esclusivamente a una necessità fisiologica (il corpo umano deve nutrirsi, recuperare le forze, dormire...), e neppure soltanto come un elemento costitutivo della qualità della vita: esso ha invece una sua funzione positiva e fondamentale nell'ottica dell'Alleanza con Dio. Infatti il riposo è l'irrompere di Dio nella storia quotidiana di ciascun uomo e donna; è il criterio per un diverso giudizio sulla realtà storica e sul mondo; è il riconoscere che il tempo è di Dio e Dio chiede tempo dedicato a Lui. Il concetto di riposo è anche legato a quello di " festa ". Il tempo dell'uomo non è sempre uguale: ci sono i periodi dell'attività quotidiana, in genere ripetitiva, volti a soddisfare le esigenze fondamentali della vita e in essi si svolge l'attività lavorativa. Ci sono poi momenti straordinari nei quali l'uomo fa memoria dei benefici ricevuti, primo fra tutti l'esistenza e, legato a questa, lo spirito di libertà. Questi periodi sono i tempi di festa e in essi l'attività " giusta " dell'uomo deve essere il riposo. Col riposo quindi ci si ricorda, ci si stupisce e ci si compiace dell'Alleanza con Dio, si fa comunione coi fratelli e le sorelle e si ammira la bellezza e l'armonia del creato. I due aspetti basilari di questa memoria festosa e orante (= santificazione) si fondano sui due interventi fondamentali del Signore nella storia: 1. La Creazione. Nel primo capitolo della Genesi si narra come Dio abbia creato il mondo in 6 giorni e nel settimo si sia riposato ammirando la perfezione di quanto aveva fatto, e benedicendo così questo giorno in modo singolare. Pertanto l'attività lavorativa avrà delle sospensioni periodiche, affinché i lavoratori, i loro familiari, i sottoposti ed anche il bestiame possano godere di questo dono e benedire il Creatore (cfr. Es 20, 8-11). 2.La Liberazione dalla schiavitù. Se l'episodio di riferimento è la liberazione del popolo di Israele, schiavo in Egitto (cfr. Dt 5, 12-15), è chiaro che l' allusione si estende ad ogni forma di schiavitù, dovuta sia a forze esterne che a passioni o perversioni interne (schiavitù dal peccato). Per questo la festa può essere goduta soltanto da chi è liberato, e perciò diviene anche soggetto di liberazione dei fratelli e sorelle, e della creazione tutta. La prima motivazione è soprattutto menzionata nel riposo settimanale; la seconda nelle festività straordinarie che scandiscono lungo tutto l'anno momenti significativi. E' chiaro però che le giustificazioni - e quindi la ricorrenza - di queste feste saranno anche legate alla cultura, all'economia, all'organizzazione sociale prevalenti nelle varie epoche e tra i diversi raggruppamenti umani. Con una periodicità più lunga abbiamo l'anno sabbatico e l'anno giubilare (Lv 25; Dt 15). Qui il riposo di tutto il creato (compresa la terra coltivabile) dura tutto un anno: non si tratta di un anno speso senza far nulla; al contrario esso sarà caratterizzato da un'intensa attività di liberazione e restaurazione del progetto di Dio (liberazione degli schiavi, remissione dei debiti, redistribuzione della terra, ...). Si potrebbe ancora notare che un tipo di riposo come quello descritto potrebbe adattarsi anche a un " non credente " di buona volontà, che, nei suoi tempi non dedicati alla professione e al lavoro dovrebbe occuparsi di sindacato, promozione sociale, formazione politica, ecc. : un"sabato laico"che credo dispiacerebbe al Signore.

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Quale lavoro dunque non si deve compiere nei giorni di sabato e nelle feste? E’ il lavoro "servile", cioè quello che si fa perché costretti. E' il caso degli schiavi veri e propri (continuano purtroppo a esistere anche oggi); ma lo è anche un lavoro retribuito, magari con regolare contratto, se esso è considerato esclusivamente come mero strumento di sostentamento della vita e di guadagno ( e quindi alienante ). Anche l'estremo opposto non soddisfa la legge del riposo: quando il lavoro è scelto volontariamente, ed anche eseguito con forte motivazione e soddisfazione, qualora diventi a sua volta un “ idolo “ a cui sacrificare ogni altra attenzione e priorità. Oggi più che mai si fa sentire, nella pratica se non sempre nella teoria, la volontà di costruire la città senza ricorrere all’ “ ipotesi Dio “. Per concludere, possiamo osservare come una autorevole conferma a questo modo di concepire il riposo e la festa risulti chiaramente dall’ esempio di Gesù di Nazareth. Sappiamo dai Vangeli che Gesù era abitualmente osservante dei precetti della Torah ( cfr Mt 3, 15 ); tuttavia faceva apparentemente eccezione riguardo all’ osservanza del precetto del Sabato, giorno in cui, sempre secondo i Vangeli, compì buona parte delle sue guarigioni ed esorcismi. Questo strappo alla regola gli venne ripetutamente e pesantemente rinfacciato dagli avversari, e, almeno agli inizi, metteva anche in imbarazzo i suoi stessi seguaci. Il realtà il “ lavoro “ di liberare da una malattia o da una possessione diabolica è tipicamente un’ attività sabbatica, fatta ad imitazione del Padre ( cfr. Gv 5, 17 ). Perciò Gesù non solamente non trasgredisce il precetto, ma anzi lo onora e lo compie nel più perfetto dei modi: questo è anche il senso della Sua affermazione che “ il sabato è per l’ uomo e non l’ uomo per il sabato “.

2 . ESCI DALLA TUA TERRA... ( Gen 12-50 )

( Inizia il Cammino verso la Redenzione )

2.1 Struttura e contenuto

Con il XII° capitolo inizia la seconda parte di Genesi, cioè la storia dei Patriarchi. In un'umanità ormai diffusa in tutta la terra ma sempre più schiava del peccato - e delle sue

conseguenze -, Dio sceglie un piccolo popolo per mettere in atto una"pedagogia della salvezza", basata sull'accettazione e il rispetto di un'Alleanza con Lui. Quest'alleanza (chiamata anche Testamento, dal latino ) impone di vivere nella santità e nella giustizia; ciò si ottiene osservando gli insegnamenti e i regolamenti contenuti nella Torah ( vocabolo tradotto generalmente in italiano con Legge, che è un termine piuttosto riduttivo ).

Il racconto dell'Alleanza si trova in Esodo, il testo della legge in Esodo stesso e nei libri seguenti. In Genesi 12-50 è invece riportato l'antefatto, cioè la narrazione dell'origine del"popolo di Dio", cioè di Israele. Come nei precedenti capitoli, anche qui la narrazione non è " storica " nel senso moderno. I personaggi dei Patriarchi sono dei " tipi " esemplari, le cui vicende servono a spiegare l'origine, la struttura, la cultura e le usanze dello stato di Israele come si presentava, molti secoli più tardi, al tempo della redazione definitiva di questi libri ( circa v° secolo a. C. ). I Patriarchi sono: - Abramo, originario della Mesopotamia, che su invito del Signore emigrerà verso Canaan (la Palestina del tempo). Ivi stabilirà un'Alleanza personale, ma trasmissibile alla discendenza, con il Signore. Avrà 8 figli da tre mogli diverse, da cui prenderanno origine, oltre agli Ebrei, molte etnie

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del vicino Oriente; tra esse anche gli Arabi, ragion per cui i Musulmani si considerano a buon diritto discendenti di Abramo. - Isacco, il figlio della promessa, generato miracolosamente dalla moglie legittima Sara, sterile e ormai vecchia. Abiterà stabilmente in Canaan e avrà due gemelli da Rebecca. Con un sotterfugio la"primogenitura", cioè il diritto alla titolarità dell'Alleanza e alla speciale Benedizione divina, che di diritto sarebbe spettata a Esaù, viene invece acquisita da Giacobbe. - Giacobbe, che poi cambierà nome in Israele, avrà 12 figli maschi da due mogli legittime, Lia e Rachele e dalle rispettive schiave Zilpa e Bila. Questi figli saranno i capostipiti delle 12 tribù, che ne prenderanno il nome. Gli ultimi capitoli di Genesi narrano alcuni episodi delle vicende dei figli di Giacobbe/Israele; tra esse di gran lunga più importante è quella di Giuseppe, uno dei due figli della moglie preferita Rachele. Dopo molte avventure Giuseppe farà fortuna in Egitto, divenendo addirittura il vicario del Faraone; allora egli chiamerà con sè anche le famiglie dei fratelli, per cui l'intero nucleo del futuro popolo ebreo si stabilirà e moltiplicherà in Egitto: da qui si dipaneranno gli avvenimenti del libro dell'Esodo. I Patriarchi sono tutti uomini di fede nel Dio unico, ma, per il resto, non sempre si comportano in maniera ineccepibile; lo stesso si può dire delle loro mogli, spesso gelose e intriganti. Tuttavia anche le scorrettezze commesse da questi personaggi vengono in modo provvidenziale recuperate dalla " regia " del Signore ( eterogenesi dei fini ), e finiscono col favorire lo sviluppo e la continuità del popolo dell'Alleanza. Si delinea già in questi capitoli la " teologia della storia " propria del pensiero biblico, per la quale Dio, pur lasciando la massima libertà e autonomia di comportamento agli uomini, interviene con discrezione e lungimiranza in modo da orientare il divenire della storia verso sbocchi che portino in direzione del Regno di Giustizia.

2.2 Il tema del lavoro in Gen 12-50 Venendo al tema da noi scelto, il lavoro, possiamo delineare alcune linee di analisi. a) Innanzitutto i tipi di lavoro (le " categorie " diremmo oggi ): i Patriarchi sono tutti allevatori, nomadi o semi-nomadi. L'agricoltura è raramente menzionata nelle loro attività ( Gen 26 ,12; 37, 7), e si può presumere che alcuni prodotti agricoli venissero da loro comprati da estranei, o meglio barattati in cambio dei prodotti dell'allevamento. Nessuno di loro fonda città. La vita stanziale e cittadina verrà più tardi e per i pii Israeliti sarà sempre collegata, poco o tanto, con l'idea di corruzione e decadenza politica e religiosa. Vale quanto già osservato commentando le storie di Caino e Abele e la discendenza di Caino (Gen 4). b) I rapporti sociali sono ovviamente di tipo paternalistico/ tribale. I Patriarchi sono dei capi-clan, e hanno al loro servizio un certo numero di collaboratori: alcuni sono parenti, altri schiavi. I rapporti sono improntati a un paternalismo responsabile e a un autoritarismo non oppressivo. Il capo si prende cura dei suoi " dalla culla alla tomba ", ed essi generalmente accettano la sua autorità e i suoi giudizi. In qualche caso il padre/padrone può essere ingiusto, ma generalmente senza malafede. c) Sono anche possibili rapporti di collaborazione non servili, per contratto; ne è un esempio il rapporto di Giacobbe con lo zio Labano (Gen 29-31). In quello stesso episodio è anche possibile notare che già allora si sperimentavano tentativi per intervenire sulla riproduzione degli animali domestici per migliorarla ed aumentarla ( Gen 30, 37-43); naturalmente è lecito aver dubbi sulla reale efficacia dei metodi descritti. d) Una maggior varietà di professioni si riscontra nell'ambiente egiziano, e in particolare alla corte del Faraone, dove si svolge la vicenda di Giuseppe. L'Egitto per la Bibbia rappresenta la modernità

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e l'egemonia culturale. Giuseppe stesso dimostra subito inattese qualità di amministratore e programmatore; egli contribuirà alla prosperità degli affari del suo padrone (39, 1-6), e addirittura del re d'Egitto (47, 15-26). Ironia della storia (e della Bibbia), questo accentramento del potere economico nelle mani del Faraone contribuirà nel futuro a rafforzare la sopraffazione dei suoi lontani successori contro i discendenti di Giuseppe ( Es 1, sgg. ). e) Sembrano estranei alla cultura dei Patriarchi due tipi di occupazione che pure nell’ antichità erano frequentemente esercitati: la caccia e il servizio militare professionale. Riguardo al primo, gli esempi riportati in Genesi sono riferiti ad altri popoli ( Gen 10, 9 ) oppure a discendenze collaterali ( Gen 25, 27 sgg. ). Quanto alla organizzazione di un esercito permanente, formato da militari professionisti, sappiamo dai libri storici che ciò avverrà in Israele solo nel periodo della monarchia. Un’ altra antica “ professione “, la prostituzione, non viene mai collegata ai figli ( o meglio alle figlie ) di Israele: l’ unico esempio narrativo in Genesi riguarda Tamar, che era Cananea. Troveremo altri episodi nei libri storici ( Gs 2: Gdc 16; ecc. ), ma sempre riferiti a donne straniere.

f) Un'ultima osservazione; compare già in forma narrativa in vari passi della storia dei Patriarchi l'elogio del lavoro fatto bene, con cura e competenza. Il riferimento più pertinente viene toccato nel racconto delle vicende di Giuseppe. Egli dà sempre il meglio, sia quando lavora a suo profitto che quando lo fa a profitto di altri. Nei libri biblici successivi questa concezione entrerà anche in alcuni precetti specifici della Torah, oltreché nella diffusa e meticolosa descrizione del lavoro degli artigiani per l’ Arca dell’ Alleanza e il Santuario. E' di nuovo confermato il principio biblico per cui il lavoro dell'uomo dev'essere a somiglianza del"lavoro di Dio", che ha fatto bene tutte le cose ( Gen 1, 31).

ANTOLOGIA A ( Brani di singoli contributi agli incontri su Genesi) A.1 ( su Gen 1-3)

Il progetto di Dio sul lavoro dell’uomo è reso esplicito, con grande chiarezza, nei primi tre

capitoli del libro della Genesi. Nel primo capitolo si descrive il lavoro di Dio per l’uomo. Dio agisce, osserva e dice che il

lavoro è cosa buona (Gen. 1, 31). Nel secondo capitolo, Dio dichiara di volere un uomo in grado di riflettere la sua immagine

e per questo sostiene che il lavoro dell’uomo nel mondo è quello di “coltivare e di custodire” il giardino di Eden, con l’aiuto di un altro essere affine. Il lavoro valorizza le potenzialità della persona, se è svolto in relazione con Dio, in collaborazione con altre persone che hanno uguale dignità, se è realizzato in un dato ambito, perseguendo date finalità. Si legge: “ Dio creò l’ Uomo a Sua immagine, a immagine di Dio lo creò “ ( Gen 1, 27 ). “Allora il Signore Dio plasmò l’ uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita, e l’ uomo divenne un essere vivente “ (Gen. 2, 7). “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen. 2, 15). “Poi, il Signore Dio disse. «Non è bene che l’uomo sia solo; gli voglio fare un aiuto che gli corrisponda». (Gen. 2, 18).

Nel terzo capitolo l’uomo e la donna, nell’esercizio della loro libertà, spezzano la relazione con Dio. L’isolamento li rende nudi, fragili e infelici. Il lavoro diviene dolore e fatica per procurarsi

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i beni essenziali per la vita; non è più quindi un modo per acquisire maggiore conoscenza di sé e possibilità per realizzare benessere e pertanto felicità.

Il lavoro è cosa buona per Dio e per l’uomo. E’ una cosa buona perché insito nel fare di Dio ed è essenziale nella vita degli uomini e delle donne. Il lavoro è azione e relazione per realizzare benessere e gioia. Il senso del lavoro è pertanto una nozione più ampia di quella corrente che fa coincidere il lavoro con la produzione di beni e di servizi prodotti dal mercato. Il lavoro è azione per acquisire autonomia economica, maggiore conoscenza, consapevolezza del proprio essere e relazione, non scelta, con altri simili; non è quindi solo scambio tra servizi lavorativi e reddito da lavoro.

Il lavoro produce benessere se è realizzato da persone che hanno empowerment ovvero elevate capacità, relazioni corrette in ambiti di fiducia diffusa e in grado di esercitare libertà positiva. Il lavoro è invece solo un mezzo che permette di procurare beni essenziali per condurre una vita dignitosa, se non dà la facoltà di ampliare la conoscenza e se si svolge in ambienti privi di relazioni, di fiducia e di speranza. In questo caso il lavoro è necessario per l’uomo ma non procura benessere e gioia; è, invece, solo fonte di fatica e talvolta anche di incertezza.

Il fare dell’uomo, in un contesto di conoscenza e di speranza, genera pace e armonia. Al contrario, in un contesto di ignoranza e di sfiducia, produce conflitto e fatica.

Il fare di Dio è contraddistinto dal lavoro e dal riposo. Nel capitolo secondo della Genesi si dice che il “riposo “ di Dio non è un dolce far nulla. Infatti, nel settimo giorno Dio opera: consacra a sé quel giorno e lo benedice. E’ un riposo fecondo, perché la benedizione divina rende fecondo il settimo giorno consacrandolo a sé. C’è dunque una fecondità divina che scaturisce dalla sua attività lavorativa e una fecondità che è legata alla sua benedizione. Dio non lavora per poter riposare né riposa per lavorare di più. In altri termini, “terminata la creazione, il Dio d’Israele non tende a diventare una divinità oziosa; non delega quindi a nessuno le sue prerogative ed i propri interventi provvidenziali: dopo il riposo di un sol giorno, l’attività divina continua, in un divenire senza sosta”. A.2 ( su Gen 1-2 )

Dall'esame comparato dei due racconti della creazione, l'uno più sistematico e oggettivo

(1,1-2,4a), l'altro più soggettivo e antropocentrico (2,4b-25) , si possono desumere alcuni importanti criteri: 1. La somiglianza con Dio, esclusiva dell'uomo come specie creaturale (Adam); essa è dichiarata esplicitamente in 1,27; inoltre solo per l'Adam si parla dell'alito di vita" insufflato da Dio (2,7) 2. L'incarico specifico di "coltivare e custodire il giardino” (2,15 che fa da riscontro alla carenza evidenziata in 2,5b-6) 3. La vocazione sociale dell'Adam (2,18-24)

Dal criterio n. 2 si può correttamente dedurre che l'essenza del lavoro umano consiste nel continuare e implementare l'opera di Dio, cioè la creazione; per fare ciò l'Adam ha avuto una delega specifica di autorità (1,28; cfr. anche 2,19-20).

Dal criterio n. 1 risulta che anche, se non esclusivamente, con il lavoro l'uomo rende effettiva la sua somiglianza con Dio. Resta però sempre il fatto che egli non è Dio, il che gli pone delle limitazioni (2,17; cfr. inoltre la limitazione alla dieta vegetariana in 1,29). Dal criterio n. 3 segue che anche il lavoro dovrebbe assecondare e rafforzare la vocazione sociale dell'uomo.

Nel progetto di Dio l'adesione a questi criteri avrebbe permesso la conservazione permanente della bellezza/bontà di tutto il creato in condizioni di ideale "shalom" per la durata indefinita dello Shabbat di Dio ( 2,2-3). Invece la situazione si complica in seguito alla libera scelta di Adam di non accettare le regole del gioco (Gen 3). La rottura del rapporto di alleanza con Dio ha implicazioni immediate

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anche sull'attività del lavoro e, in particolare, sui criteri n. 2 e 3: il giardino fertile e protetto (cfr. 2,25) si trasforma in una terra ostile e faticosa da dissodare, piena di insidie. La convivenza sociale si degrada immediatamente, come appare dagli scaricabarile di 3,12-12 e da quel che succede nel cap. 4 e successivi…

A.3 ( su Gen 2 )

Lo schema seguente riassume per parole chiave le considerazioni suesposte: A. Il lavoro come relazione gratuita e libera Progetto originario (cfr.Gen 2,15: “perché lo coltivasse e lo custodisse”) + Lavoro come relazione implica: soggetti simili e differenti comunicazione (anche come mettere in rapporto, collaborare...) simpatia produttività

+ relazione gratuita sono in gioco: le potenzialità (competenze) la creatività la progettualità la carica di umanità la giustizia (non va bene se io lavoro e gli altri no) il senso del dono della lotta comune

+ relazione libera sentire e affrontare il lavoro come scelta non lasciarsi tiranneggiare né strumentalizzare star bene con se stessi (mantenere spazi di fantasia e di interessi) B. Il lavoro come custodia della vita I1 lavoro deve: - sviluppare la vita e non distruggerla - contribuire allo sviluppo, come ben-essere comune - essere mantenuto per tutta la vita ( cambiando modalità, ecc. ) A.4 ( su Gen 1-11) Nei primi 3 capitoli Dio chiarisce il Suo progetto sul Lavoro ( e il Riposo ) - Il lavoro è una cosa buona - Il lavoro è azione per acquisire autonomia economica, maggiore conoscenza, consapevolezza del proprio essere, ed è una relazione non scelta con altri simili; non è quindi solo uno scambio tra servizi lavorativi e reddito da lavoro;

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- Il lavoro è azione per acquisire autonomia economica, maggiore conoscenza, consapevolezza del lavoro che valorizza la persona se è svolto da persone adulte, capaci di agire con libertà e responsabilità, e in contesti di uguale opportunità; - il lavoro è fatica e dolore quando non vi è empowerment ovvero quando non esistono capacità, relazioni e condizioni perché l’uomo e la donna siano in grado di agire con libertà per realizzare le modalità di essere e di fare a cui attribuiscono valore (well-being); - il lavoro produce ben-essere alle persone solo quando si acquisiscono capacità, relazioni e si ha la consapevolezza di essere in grado di agire per “coltivare e custodire” le risorse date e quelle che esse riescono a mobilitare e sviluppare; - l’uomo e la donna, per “dominare sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra” (Gen 1,26), devono trovare soluzioni ai problemi che incontrano con l’azione, il pensiero e la capacità di apprendere. Ed è per questo motivo che il lavoro, ovvero l’azione, non si contrappone al riposo, il quale non è disimpegno, ma “quiete” che serve a ricostituire e ad accrescere il ben-essere individuale e collettivo, per riprendere poi l’attività lavorativa in un divenire senza sosta. Nei capitoli 4-11 di Genesi si coglie il senso del lavoro per la persona e per la collettività . - Il lavoro contribuisce a dare identità alla persona: “Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo “ ( Gen 4,2 ) “ Egli fu il padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto “ ( Gen 4, 21 ) ; Zilla a sua volta partorì Tubalkain, il fabbro, padre di quanti lavorano il bronzo e il ferro “ ( Gen 4, 22 ); ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna” (Gen 9,20). Il “ fare “ di ciascuna persona concorre a creare la sua identità sociale ed è ciò che lo distingue dalle altre persone; - Il lavoro richiede etica. Dio chiede all’uomo di scegliere il bene o il male negli atti che compie e quindi anche nel fare il proprio lavoro. Se l’uomo sceglie di operare per il bene non sarà risentito e depresso: “Il Signore disse allora a Caino: “Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dominalo” (Gen 4,6-7). Tuttavia il Signore non abbandona chi commette colpe molto grandi per invidia. Ma il Signore gli disse: “Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte! Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato” (Gen 4,15). Dio è presente ma deve essere cercato. L’odio è un peccato contro lo Spirito e quindi anche contro la carità ed è per questo motivo che “Caino si allontanò dal Signore e abitò nella regione di Nod, ad oriente di Eden” (Gen 4,16); - Il lavoro richiede solidarietà. Dio, dopo il diluvio, dà indicazioni precise per creare un nuovo ordine del mondo. Egli sottolinea l’importanza di conservare la vita di tutti, con responsabilità e solidarietà. “Del sangue vostro, anzi, della vostra vita, io domanderò conto; ne domanderò conto ad ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello” (Gen 9,5); - Il lavoro richiede solidarietà intergenerazionale. “Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino si ubriacò e si denudò all’interno della sua tenda. Cam, padre di Canaan, vide la nudità di suo padre e raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori. Allora Sem e Iafet presero il mantello, se lo misero tutte e due sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono il padre scoperto; avendo rivolto la faccia all’indietro, non videro il padre scoperto” (Gen 9,23); - Il lavoro può dare origine a una produzione che non realizza ben-essere. Il lavoro di Caino è un esempio. Egli costruisce la città di Enoch dopo aver spezzato la relazione essenziale con Dio. La città è un prodotto voluto da un uomo che non riesce a mobilitare alcun fattore produttivo vitale. “Ora Caino si unì alla moglie che concepì e partorì Enoch; poi divenne costruttore di una città che chiamò Enoch, dal nome del figlio” (Gen 4,17); - Il lavoro produce speranza e fiducia, in altre parole benessere sociale, quando è fatto per trovare una soluzione alla violenza diffusa e inaccettabile. Dio disse a Noè: “Fatti un’arca di legno di

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cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori” (Gen 6,14). Il lavoro di Noè contribuì a creare una buona vita che gratificò anche il Signore. “Allora Noè edificò un altare al Signore; prese ogni sorta di animali puri e di uccelli puri e offrì olocausti sull’altare. Il Signore ne odorò il profumo gradito, e disse in cuor Suo: Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo, perché ogni intento del cuore umano è incline al male sin dalla adolescenza; né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto” (Gen 8,20-21); - Il lavoro produce invece malessere sociale e incomunicabilità, quando è fatto per generare isolamento sociale e fa nascere un potere arrogante. La torre di Babele è un esempio a questo proposito. “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra” (Gen 11,4). A.5 ( su Gen 4 ) Tre nodi avevo indicato nelle considerazioni precedenti: - l’equità quale misura di giustizia, - l’equilibrio come condizione di uno sviluppo ordinato, - la condivisione quale modalità di adesione all’invito del Padre ad accogliere e vivere con fiducia

ed obbedienza filiali l’invito a partecipare alla Sua vita piena e senza fine. Ne ricavo la sollecitazione a prendere coscienza che apparteniamo alla stessa famiglia umana; siamo stati creati da Dio, ciascuno con peculiari caratteristiche fisiche, culturali, professionali e sociali, ma con la stessa natura e la stessa intensità di amore.

Siamo cioè chiamati a vivere da fratelli: - con attenzione alle concrete possibilità di vita di tutti, considerando l’identità, le particolari esigenze di ciascuno e le effettive occasioni della loro espressione; - ricordando sempre che ogni divisione separa, ed innesca conflitti; - impegnandoci a fare quanto è nelle nostre facoltà per sviluppare forme produttive di collaborazione tra le persone e tra le loro comunità organizzate.

Su questo tema il racconto di Caino ed Abele mi ha aiutato a considerare come fin dalle origini dell’umanità si siano manifestate chiaramente le diversità di professione e come queste risentano del rapporto che l’uomo ha con Dio.

Il racconto è incentrato fin dall’inizio sulle diversità tra coltivatori e pastori e sulle gelosie che su di esse si sviluppano quando manca un corretto rapporto con Dio ed i gesti di culto diventano un fatto strumentale che allontanano ulteriormente da Dio, dalle Sue indicazioni e dalla capacità di comportarsi con saggezza e rispetto dei fratelli. Fa riflettere il fatto che a non avere un buon rapporto con Dio sia Caino, il coltivatore della terra, colui che ha avviato una primordiale esperienza imprenditoriale; colui che ha superato la dipendenza totale dalle condizioni climatiche e che si illude quindi di non aver bisogno di Dio. Le sue offerte, in effetti, sono un’occasione di ostentazione delle sue capacità, anziché un sincero ringraziamento al Signore per i doni che gratuitamente riceve e che fa ad ogni uomo, seppure in modo diverso e con logiche che a noi spesso sfuggono totalmente. Nel riferimento alla discendenza di Caino abbiamo poi anche il riferimento ad altre professioni; a fianco di alcuni discendenti che rispettano la condanna di Dio ad essere “ ramingo e fuggiasco sulla terra “ e vivono di pastorizia, troviamo indicate altre professioni che comportano un rapporto stabile in un determinato luogo: i fabbri, i costruttori di città ed i suonatori di flauto e di cetra che, verosimilmente, erano anche i costruttori di questi strumenti.

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Riprendendo i tre nodi che mi sono prefisso di approfondire e alla luce delle aperture della mente e dello spirito favorite dalle suddette riflessioni, ho cominciato a considerare che: a) l’equità quale misura di giustizia:

E’ una concreta forma di adesione docile e fiduciosa al comandamento di Dio e ad un rapporto corretto: - con noi stessi, eseguendo il disegno che Dio ha tracciato fin dal principio dei tempi per ogni creatura, - con il Creatore, rispettando la bellezza e l’armonia della Sua opera, - con i fratelli, considerando le loro aspettative ed esigenze nella logica di offrire a tutti pari opportunità di espressione e realizzazione personale, - con la natura, evitando di sciupare risorse essenziali per altre persone, di deturparne la bellezza e di alternarne la struttura. E ci sollecita a viverla come forma di: - rispetto della peculiare ed irripetibile identità personale e delle molteplici potenzialità che Dio si premura di offrire ad ogni persona, - saggia guida ai nostri consumi che aiuta a non alterare e ridurre le nostre facoltà fisiche, culturali, sociali e spirituali, - responsabile considerazione del grado di giusta remunerazione del lavoro con cui sono stati prodotti e vengono commercializzati i prodotti ed i servizi che acquistiamo.

b) l’equilibrio come condizione di uno sviluppo ordinato e come adesione all’organizzazione di ogni forma di convivenza umana, dalla più piccola alla più grande: - accogliendo e curando la vita, in ogni sua fase, in obbedienza alla volontà del Creatore che ha comandato all’umanità di crescere e di moltiplicarsi; - rispettando l’opera di cui il Creatore si è compiaciuto ed il comando di dedicare a Lui il giorno del riposo vivendolo nella preghiera, nell’ascolto attento della sua Parola ed astenendosi dalle attività rivolte alla produzione di beni e servizi per il mercato; - improntando in termini di reciprocità i nostri rapporti con i fratelli, evitando sia modalità autoritarie che paternalistiche; - evitando differenziazioni che, inevitabilmente, dividono e portano a lacerazioni e conflitti, in riferimento al possesso ed alla disponibilità di beni, alle concrete possibilità di libera espressione di tutti i gruppi sociali, alle pari opportunità di partecipazione attiva di tutti i gruppi sociali, alla formazione delle decisioni ed alla loro attuazione.

c) la condivisione come modalità di adesione al Padre ad accogliere e vivere con fiducia ed obbedienza filiali l’invito a partecipare alla Sua vita piena e senza fine. - quale concreto itinerario che ci porta progressivamente a capire che non c’è alcuna contrapposizione tra l’amore a Dio e l’amore ai fratelli ed a scoprirne la bellezza e l’efficacia, nonché la quantità e la grandezza dei limiti e quindi della nostra necessità di abbeverarci alla fonte inesauribile di acqua viva che è Dio. - quale sollecitazione a condividere la nostra esistenza, in primo luogo con Dio, riconoscendolo Creatore, Signore e Padre; e di conseguenza col prossimo - in particolare mettendo a disposizione della comunità ciò di cui disponiamo, facendoci carico dei problemi di tutti i componenti la comunità, avendo attenzione ai problemi di quanti non sentiamo “ prossimo “ a causa dei nostri limiti di conoscenza, di sensibilità, di amore.

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A.6. ( su Gen 3 ) Ho avuto l’ impressione che i primi tre capitoli di Genesi siano come un dittico: la

situazione dell’alleanza realizzata e la situazione dell’alleanza infranta. Non c’è quindi un “ prima “ e un “ dopo “, ma ci sono queste due situazioni accostate l’una

all’altra, che indicano il movimento di come si passa dall’una all’altra e viceversa. Dall’alleanza realizzata si passa all’alleanza infranta quando l’uomo vuole mettersi al posto di Dio, a causa sostanzialmente dell’invidia, come viene detto in Sap 2,24. L’invidia che è contro la gratuità, contro il dono, contro l’alleanza.

Viceversa è mostrato come si ricostruisce l’alleanza: Dio ricostruisce il dono, la libertà, la gratuità, perché sbarrare la porta del giardino è preservare la libertà dell’uomo affinché non si impossessi anche della vita e muoia. Penso anche ad Ap 21,1-4 dove si parla dell’alleanza di Dio con gli uomini e della sua restaurazione.

Il corpo che abbiamo ha memoria di ciò che gli è successo. Ha memoria che è nato, che non si è fatto da solo; ha memoria che ha bisogno di mangiare; ha memoria delle cure ricevute; ha memoria di una gratuità originaria di cui è stato fatto oggetto. Questo è così vero che sappiamo che cosa succede quando un bambino non è fatto oggetto di questa cura gratuita: si lascia morire oppure ha problemi per il resto della vita. Il nostro corpo ha questa memoria che diventa coscienza mentre si cresce.

L’alleanza si infrange quando viene meno questa memoria. Nella Bibbia il “ricordati dei doni di Dio” è il tema fondamentale dell’alleanza: “Io sono il Signore Dio tuo che ti ho fatto uscire dall’Egitto”, Io ti ho fatto questa cosa, ecc. E’ il ricordo totale e completo di quanto è già successo e di ciò che già siamo. Il lavoro, che è visto sia come libertà che come oppressione, è riappropriarsi della memoria di ciò che è la cura originaria che ci è stata donata.

Quando si parla di formazione nelle organizzazioni, uno dei principali fattori di coesione è il fare delle attività insieme. Quando si fa analisi organizzativa si vede se le cose funzionano o meno, se la comunicazione è fluida, se il potere è diffuso, se l’autorità è condivisa, se le persone si sostengono vicendevolmente, se ci sono buone relazioni. Quindi fa parte proprio della natura dell’uomo fare delle attività.

Rimane il fatto che ci sono persone che non lavorano: che cosa vuol dire per loro lavorare con tutti i significati che ci siamo detti? Penso a una forma estrema di condivisione: la comunità del Chicco dell’Arca di Jean Vanier a Roma. Ci sono handicappati con gravi menomazioni al cervello che sono accompagnati da una persona perché non possono fare altrimenti. Lo stare insieme dei volontari con queste persone è il fare insieme delle cose, perché vivono insieme. Questo produce una relazione che permette agli uni e agli altri di crescere compatibilmente con le possibilità di ognuno.

Per questo pensavo quanto sia fondamentale fare delle cose insieme e dar loro un senso, perché spesso abbiamo la tentazione di dire che si fa prima a fare le cose da sé che a farle con gli altri; e quanto è vero che la povertà di cui siamo portatori necessita della relazione con gli altri, perché da soli non ce la facciamo.

Questo, rispetto al lavoro, mi pare un atteggiamento fondamentale da evitare, anche se spesso ce ne dimentichiamo facilmente, e ciò vale sia dall’alto verso il basso che viceversa.

I monaci e gli artigiani hanno una cura verso le piccole cose che è rara, hanno un’intelligenza del lavoro che è rara. Questo fa la differenza rispetto al lavoro e alla sua cura. Che cosa succede quando facciamo lavori inutili, come riuscire a dar loro un senso?

E’ importante riappropriarsi della memoria della cura che abbiamo ricevuto e rimanere coscienti che le cose vanno fatte insieme… .

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3. HO ASCOLTATO IL LAMENTO DEL MIO POPOLO

( Un Dio Liberatore )

3.1 Sintesi generale di ESODO

Con il libro dell'Esodo la storia della salvezza descritta nella Bibbia comincia a intrecciarsi con la storia dei popoli - almeno dei popoli del Mediterraneo orientale e del Vicino Oriente - come è riportata dai libri di storia profani. Non si tratta più soltanto di narrazioni mitiche e personaggi"simbolo"; non che questi scompaiano, ma d'ora in poi le vicende del popolo di Israele sono collegate a datazioni, fatti e personaggi che conosciamo anche da fonti del tutto indipendenti dai testi sacri. In questo libro il Dio dell'alleanza con i Patriarchi, che nella Genesi non ha alcuna descrizione o definizione, acquista una personalità ben precisa: 1) è un Dio liberatore, che parteggia per gli schiavi e gli oppressi; 2) è un Dio rispettoso della libertà dell’ uomo, quindi anche esigente, perché le libere scelte del Suo popolo non debbono andare contro le esigenze di libertà, giustizia e qualità di vita di ciascuno; 3) è un Dio misericordioso perché conosce la fragilità intrinseca della volontà umana ed è quindi sempre pronto a perdonare e a ristabilire una relazione di alleanza.

In Esodo Dio si attribuisce anche un Nome proprio, che ne ribadisce il carattere di eterna presenza ed esistenza. E' il noto tetragramma JHWH che per i pii Ebrei è impronunciabile e che per rispetto noi traduciamo con Signore. La trama del testo si può così riassumere:

Si parte con la descrizione della pesante schiavitù imposta al popolo di Israele - costituito dai numerosissimi discendenti dei dodici figli di Giacobbe - dal Faraone d'Egitto; è da notare come questo faraone non abbia mai un nome proprio; è quindi una persona/simbolo del tiranno dispotico, infedele ai patti e sfruttatore.

Mosè, un giovane Ebreo cresciuto ed educato alla corte del Faraone, cerca di provocare un movimento di resistenza, ma fallisce ed è costretto a fuggire dal paese. Si stabilirà con la famiglia del suocero nella penisola del Sinai.

Molti anni dopo Dio si manifesta a Mosè sotto forma di fuoco che arde senza mai consumarsi; gli ordina di tornare in Egitto, di farne uscire il popolo e di condurlo in una terra che Dio aveva promesso ai suoi Padri (la Palestina).

Dopo un difficile negoziato col Faraone, sostenuto da prodigi divini che colpiscono l'economia e la salute degli Egiziani (le 10 piaghe), Mosè riesce a far uscire i suoi dall'Egitto, ad attraversare miracolosamente il mar Rosso e ad inoltrarsi nel deserto del Sinai fino ad arrivare all'omonimo monte. E qui, sul monte Sinai Mosè riceve direttamente da Dio la Torah.

Essa si basa su "10 Parole" incise su tavole di pietra e su una serie di comandamenti e istruzioni per la loro attualizzazione e applicazione nei diversi contesti.

L'elencazione dei vari precetti e istruzioni - che proseguirà nel libro successivo - è interrotta dall'episodio del"vitello d'oro", il primo peccato di idolatria commesso dal popolo ebraico, che si costruisce un idolo "fabbricato da mano d'uomo". Questo atto di "religiosità senza fede", causato dalla difficoltà di sopportare l'idea di un Dio completamente "Altro", diverrà l'esempio paradigmatico di tutti i successivi tradimenti dell'alleanza col Signore, commessi in ogni luogo e in ogni epoca, non solo dagli Ebrei, ma anche dai Cristiani.

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3.2 Riflessioni e Analisi 3.2.1 Generalità

Anche se i temi centrali del libro dell’ Esodo sono quelli di Liberazione, Libertà, Alleanza, il tema del lavoro non è affatto marginale, anzi è strettamente intrecciato con i primi.

La descrizione delle condizioni di vita durante la permanenza in Egitto indica chiaramente come le modalità del lavoro siano essenziali nel conflitto che si realizza tra il faraone e gli ebrei: chi servire nella propria vita? E in quale condizione: da schiavo, come vuole il faraone, o da liberi, come vuole Dio?

Ci sono poi molti riferimenti indiretti alle attività lavorative degli Israeliti; in particolare, i numerosi riferimenti al bestiame indicano come essi continuassero comunque la professione di pastori. Oltre al lavoro “ forzato “ di costruttori edili, troviamo che si parla della professione delle levatrici; tra gli Egiziani poi sono già diffuse le professioni intellettuali. Il lavoro è poi centrale nell’offerta delle primizie a Dio, quale riconoscimento del suo fondamentale apporto alla fertilità del suolo e alla prolificità dei greggi e degli armenti. Per il popolo di Israele il lavoro è un aspetto primario della sua esistenza, attraverso il quale cresce il rapporto con Dio, si realizza la liberazione dagli Egiziani e si sviluppa la speranza di raggiungere la terra promessa “dove scorre latte e miele” e dove il lavoro dei pastori può esprimersi appieno. L’impegnativa costruzione della Dimora con l’impiego di rilevanti risorse e con l’apporto di molteplici e ben coordinate competenze, rivela come il forte rapporto con Dio e l’obbedienza ai suoi comandi, anche quando sono poco comprensibili con le categorie correnti, non compromettono affatto la maturazione delle abilità e sensibilità artistiche. L’apporto di Dio alla produttività del lavoro è altrettanto rilevante e decisivo dell’intervento attivo in battaglia per infondere coraggio e guidare alla vittoria gli eserciti di Israele anche quando affrontano nemici assai più forti.

Il libro dell’Esodo racconta come Dio, fedele alle sue promesse, continua a mostrare il suo amore verso l’umanità: dopo averla creata non l’abbandona ma passo dopo passo l’accompagna verso la pienezza di vita che è in Lui.

Nel suo agire Dio rivela la sua vita: in Lui c’è unità tra lavoro e vita. In noi spesso registriamo un conflitto. Il lavoro di Dio sembra consistere nell’accompagnare pazientemente ma decisamente le persone che si affidano a lui e nel riconoscere che Lui è il Signore (Es. 15,2), perché possano essere speranza per tutto il popolo (Es 14,31) e finalmente il popolo trovi la capacità di scegliere la vita (Es 19,8).

Per questo Dio, mentre chiede la memoria per quanto ha già compiuto in mezzo a loro, indica i passi successivi, facendoli emergere da un futuro grigio di paura, bisogni, preoccupazioni che opprimono il cuore. 3.2.2 I personaggi 1. Con il libro dell’ Esodo la Storia della Salvezza fa un salto di qualità: dall’ alleanza con una singola famiglia/clan ( i Patriarchi ) si passa a quella con un intero popolo “ numeroso “. Non è solo una questione di numeri; il coinvolgimento di tante persone e tante famiglie mette in campo, per la prima volta, la “ questione sociale “. La divisione del lavoro, che nei nomadi beduini restava poco marcata, e tutto sommato accettata nel complesso dei legami familiari e tribali, si rivela ora apertamente come segno di discriminazione e nei casi estremi come strumento di oppressione. Ovviamente la questione sociale non è la sola; nel ricco, civilissimo ( e religiosissimo ) Egitto l’ aumentare in numero di una popolazione allogena fa sorgere naturalmente dei problemi

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legati alla purezza etnica e alla diversità culturale. L’ oppressione di questa minacciosa minoranza, dopo il fallimento di un progetto esplicito di genocidio - evidentemente poco assecondato anche dalla stessa popolazione egiziana ( Es1,15 - 2,10 ) -, si concretizza tuttavia nel settore del lavoro ( Es1, 11 - 14; 5, 6-14 ), ed in questo settore viene particolarmente sofferto e lamentato dai figli di Israele ( Es 2, 23-24 ).

La “ maledizione “ del lavoro, enunciata in termini simbolici in Gen 3 ( e implicitamente in Gen 11 ), trova qui un’ applicazione storica reale e paradigmatica. Analizziamo alcuni aspetti tipici. 2. Cominciamo con “ Faraone “. Questo personaggio è chiaramente il simbolo per antonomasia della gerarchizzazione dispotica e disumana dell’ organizzazione del lavoro ( un po’ come il termine “ padrone “ del linguaggio vetero-marxista ). Infatti non gli viene mai dato un nome proprio, e non viene mai identificato con un singolo personaggio reale. 3. Dall’ altra parte ci sono i lavoratori/schiavi. Anche il loro comportamento inaugura uno schema destinato a ripetersi di continuo nella storia. La prima naturale - e plebiscitaria - reazione è il lamento. Qualsiasi progresso e miglioramento nelle condizioni e nella qualità di vita degli uomini nasce dall’ aperta reazione a uno scontento non più sopportabile. La Bibbia ne dà anche una motivazione teologica: il Dio di Abramo e di Mosè è un dio che ascolta il lamento, soprattutto quello dei poveri e degli emarginati ( Es2, 24-25; 3, 7 ).

Il lamento da solo però non basta a migliorare la situazione; occorre organizzarsi e rischiare una vertenza, altrimenti tutto si riduce a uno sfogo inefficace. Il popolo di Israele prova le stesse difficoltà e contraddizioni che si riscontrano presso le moderne categorie di salariati. Lottare uniti è difficile e non sempre si vede concretamente un risultato. Ci sono le rivalità e le beghe tra poveri (Es 2, 13 ); c’ è la diffidenza verso quelli che cercano di aiutarti, cui è facile attribuire qualche secondo fine inconfessabile ( 2, 14 ); c’ è la paura di perdere anche quel poco che comunque è assicurato ( p. e. 16, 3 ).

Per un vero riscatto dalla servitù occorre dunque, oltre alla presa di coscienza di aspirare alla libertà, anche una guida adatta alle circostanze e un forte senso di solidarietà verso i compagni di sventura. Tutta la quarantennale storia dell’ Esodo sarà costellata dai progressi e dai regressi del popolo nell’ osservanza di queste precondizioni. 4. Ed ora il leader, questo Levita dal nome egiziano, destinato a divenire non solo la guida dei suoi, ma anche il legislatore del più antico e diffuso codice tuttora in vigore. Anche in questa circostanza si ribadisce una costante della storia biblica: i progetti solo “ umani “, anche se portati avanti in buona fede e con buone intenzioni, hanno corto respiro. Solo dopo aver raggiunto la piena maturità, accettando di attendere e percepire il compiersi dei tempi di Dio, egli potrà di nuovo riprendere il progetto di liberazione, portandolo a un traguardo che va ben oltre il semplice miglioramento retributivo e normativo dei suoi compatrioti.

Anche Mosè, come in seguito Sansone, David, e tanti altri, trovò nella “terza età “la saggezza e l’ equilibrio per discernere con chiarezza e precisione l’ autentica fedeltà all’ Alleanza. Anche per lui si potrà dire, pur nei limiti della sua umanità sempre esposta alla tentazione e alle ricadute, che “ imparò l’ obbedienza dalle cose che patì ... “ ( Eb 5, 8 ). 5. Sopra tutti sta poi l’ Attore principale, JHWH Dio, che in Esodo 3 arricchisce la Sua autodefinizione in modo da renderSi non solo più facilmente identificabile e interpellabile dai suoi fedeli, ma anche dimostrando di essere assolutamente Altro, e inconfondibile con qualsiasi altra definizione o raffigurazione della divinità, che mai sia stata escogitata dalle tradizioni religiose e mitologiche o dal pensiero filosofico di tutti i popoli della storia.

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Se infatti molte teologie e filosofie, antiche e moderne, assumono il concetto di un unico Dio, creatore dell’ uomo e dell’ universo, benevolo e giusto; se molti filosofi hanno ipotizzato e cercato di dimostrare razionalmente l’ esistenza di un Essere supremo, onnipotente e onnisciente, causa prima e motore immoto, ecc. , solo in Esodo - e nei testi biblici che seguiranno - troviamo la rappresentazione di un Dio che: I ) in una vertenza fra dipendenti schiavi e il loro Re e padrone, sta dalla parte degli schiavi; II) mette in atto questa scelta di campo nel pieno rispetto delle libere scelte dei Suoi protetti, accettandone i rifiuti e i reiterati tradimenti e incomprensioni, continuando a tener fede alle promesse da Lui fatte, senza mai stancarsi di riproporre i suoi salvifici insegnamenti; III) non tralasciando tuttavia di giudicare e rimproverare sia Faraone che il Suo popolo. 3.2.3 Analisi di Es 1-6

Il brano inizia con un riassunto delle ultime vicende narrate in Genesi. Giuseppe, venduto

schiavo dai fratelli, giunge in Egitto e qui, divenuto viceré, fa in modo che l'Egitto non si trovi impreparato davanti alla carestia che manderà in crisi i paesi vicini costringendo anche i fratelli di Giuseppe a recarsi in Egitto per acquistare grano.

Dopo numerose vicissitudini Giuseppe si fa riconoscere dai fratelli e perdona la loro colpa. Alla morte di Giuseppe e dei suoi fratelli i figli d'Israele prolificheranno e cresceranno secondo la promessa fatta da Dio al loro padre Abramo.

Ciò che si racconta in Esodo 1 è un fatto marginale della storia egiziana ma gli ebrei gli hanno dato una forma epica per raccontare le proprie origini. L'origine della storia del popolo ebreo narra di una situazione di minorità e di asservimento sotto tutti i punti di vista. L'Egitto, da terra di salvezza diventa terra di schiavitù.

Bisogna riconoscere che nella Bibbia accanto all'ingiusto, singolo o collettivo, c'è sempre un giusto, fedele a Dio e/o inviato da lui, che testimonia la possibilità di una vita diversa, di una vita realizzata, di una vita piena, di una vita sapiente.

Ora il quadro muta: sorse sull'Egitto un nuovo re che non aveva conosciuto Giuseppe. La paura degli egiziani cresce, gli egiziani si sentono minacciati dalla fecondità degli ebrei, hanno un timore puramente ipotetico: che si alleino con un fantomatico avversario e che se ne vadano dal paese.

Dal testo non si comprende bene come il gravare con lavori forzati sugli ebrei potesse allontanare questo pericolo. Forse affaticandoli con il lavoro pensavano di fiaccarne la volontà e le forze. Invece di cercare una alleanza stabile con gli ebrei, di fatto gli egiziani li esasperano (cfr. 1 Re 12). Cercare un'alleanza stabile vuol dire esprimere una volontà di comunione, di una compagnia (compagno = colui che ha il pane in comune, che mangia il pane insieme) reciproca, di crescere insieme, di proteggersi a vicenda, di uno scambio di beni, di una comunione di beni, di darsi vita in modo reciproco, in ultima analisi di ristabilire la giustizia, come relazione in cui ognuno riceve ciò che lo rende persona in senso pieno.

Gli egiziani non vogliono fare alleanza perché non si fidano degli ebrei, pensano che li vogliano tradire. Una alleanza senza fiducia non è possibile, ma una fiducia che non si concretizza in una alleanza è altrettanto vana.

La cosa più strana è che ciò che spaventa gli egiziani è il manifestarsi in abbondanza della vita. Ciò che li dovrebbe rendere felici, in fondo li spaventa. Invece di rallegrarsi provano paura e/o, più sottilmente, invidia: loro sono numerosi e noi no, loro hanno il dono della vita e noi no.

Da qui nasce la radice di ogni ingiustizia: loro hanno di più e noi di meno – di qualunque cosa si tratti, che sia reale o meno questa differenza, e soprattutto che questa sia l'unica differenza su cui confrontarsi (cfr. Caino e Abele: Genesi 4).

In Gen 1,28: «Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare…».

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In Gen 2 si parla di coltivare e custodire la terra e della creazione della donna quale aiuto simile all'uomo.

In Gen 3 le conseguenze della menzogna del serpente che insinua l'invidia nella donna e nell'uomo si riversano sui due aspetti fondamentali per la vita dell'uomo: il lavoro e la generazione della vita.

Nel racconto di Genesi il lavoro e il partorire vengono messi in parallelo, come segni della capacità degli esseri umani di trasmettere la vita. Entrambi sono oggetto di perversione dei rapporti: ancora in funzione della vita, ma non più in regime di alleanza, bensì in regime di peccato, cioè sotto il segno dell'invidia del dono altrui. La sofferenza che li accompagna è segno del limite dell'uomo, che altrimenti potrebbe pensare di essere padrone della vita. L'invidia infiltra la violenza e la sofferenza in tutti gli ambiti della vita.

Nel racconto di Esodo 1 gli egiziani si comportano allo stesso modo: opprimono il lavoro degli ebrei, costringendoli a corvée inusuali (il verbo usato qui per “opprimere” ha la stessa radice di anaw, cioè povero, umile). L'autore sembra qui suggerire velatamente che solo rendendosi umile il popolo può servire Dio con cuore libero. Infatti nel deserto più volte ritorna la nostalgia per la schiavitù dell'Egitto, dove si mangiava e si era protetti, per quanto sfruttati. E' una situazione che anche oggi viviamo e su cui sarebbe utile un discernimento comunitario.

Tutto questo però non diminuisce la fecondità degli ebrei, che continuano a fare figli accrescendo involontariamente la paura degli egiziani ai cui occhi gli ebrei diventano come un incubo.

Ecco allora la decisione del faraone di intervenire direttamente sulla generazione della vita, affrontare di petto il problema, cercando di convincere le levatrici ad uccidere i figli maschi degli ebrei. In questo gli egiziani non si vogliono ancora sporcare direttamente le mani, andare cioè fino in fondo alla violenza strisciante messa in atto riguardo al lavoro.

Avviene ora la prima decisione in favore della vita: le levatrici temettero Dio e non diedero seguito al comando del faraone. C'è molta ironia sapienziale in questo racconto. Delle levatrici si dice il nome: Sifra (che rasserena, porta piacere) e Pua, ma del faraone no, per indicare chi è che fa veramente la storia. Inoltre la loro risposta è piena di umorismo, quasi una presa in giro del potere violento.

Il faraone allora deve prendere direttamente in mano la questione e ordina al suo popolo di commettere violenza, smascherando così il suo vero volto.

Da questa minaccia di morte per i maschi ebrei nasce la salvezza per il popolo. Una salvezza che avrà bisogno di tutto il suo tempo per giungere a pienezza nella terra promessa e fino ai nostri giorni.

Nasce infatti Mosè, che trova molti alleati per vivere, crescere e maturare. Fino a Dio che trasforma il suo desiderio di giustizia, lo assume e ne trasforma lo stile e gliene dà la forza: aveva provato con le sue forze e aveva fallito, per cui di fronte alla proposta di Dio dichiara la sua incapacità. Ma il Signore gli dà un potere e un aiuto: il fratello Aronne.

Rimane fino alla fine il rimpianto di una situazione sicura, benché ingiusta, rispetto al deserto e a una terra promessa in cui vivere in libertà: il dono è sempre maggiore dell'aspettativa, ma fino a che non lo si gusta, rimane un sogno su cui è difficile fare affidamento.

. 3.2.4 Analisi di Es 7-40

Col decalogo il Signore dona il suo modo di vedere. Tutto risulta armonicamente sistemato avendo messo al primo posto Dio, il solo assoluto (Es 20,2; Dt 6,4).

Il nostro lavoro, letto in questa luce, imiterà il lavoro di Dio che nella creazione ha lavorato sei giorni e il sabato ha cessato ogni attività (20,8-11), ha donato la manna per essere raccolta ogni giorno nella quantità necessaria per lo stesso giorno /(senza accumulare). Solo al sesto giorno dovrà

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essere raccolta il doppio perché “il sabato non ve ne sarà” ( 16,26). Il Signore ha messo un limite al suo fare perché non pensassimo a un Dio schiavo del proprio fare e non cadessimo anche noi in tale schiavitù (Gen 2,2-3).

Il Signore chiede un lavoro: la costruzione della Dimora, assicurando l’aiuto necessario per i costruttori e chiedendo fedeltà e precisione ad ogni particolare comando (Es 25,10). Questo perché “essi mi faranno un santuario ed io abiterò in mezzo a loro” (25,8)..” perché si sappia che io sono il Signore che vi santifica” (31,13). Il lavoro del Signore è sempre per il bene del suo popolo. Per lo stesso motivo chiede la distruzione degli idoli (34,13).

Anche il lavoro del Signore sembra faticoso perché si trova sempre a dover contrastare l’incredulità d’Israele che mormora “il Signore è in mezzo a noi, si o no?” (17,7). Sembra che non sappia più cosa inventare per convincere Israele che si può fidare, anzi si deve fidare perché Lui è fedele, non cede alla fatica e alla rassegnazione, non perde la speranza, ma vuole con forza il bene di tutti.

Israele è inviato da Dio a fare diversi lavori: a partire, a raccogliere la manna, a seguire Mosè, a costruire la Dimora… Fa fatica a stare nel progetto di Dio superando il rimpianto di qualche vantaggio avuto in Egitto che, al momento della difficoltà, luccica più della condizione servile a cui era sottoposto (14,11-12).

Quando ci sta, scopre di aver fatto un passo verso la sua liberazione e sperimenta una vita pacificata con se stesso e la propria attività (39,43) e può camminare sicuro dietro la guida del Signore che si è reso presente tra il suo popolo (40,36).

La situazione di schiavitù per Israele non consiste tanto nel fatto di dover lavorare, ma dalla condizione in cui si svolge il lavoro, condizione di non libertà rispetto alla dignità delle persone. La prima richiesta che Israele, per bocca di Mosè, fa al faraone è di poter rendere culto a Dio. Di fronte al rifiuto di questa richiesta che esprime la libertà dell’uomo, lo scontro si fa sempre più frontale e duro. Dalla non riconosciuta libertà di culto nasce una serie di coercizioni della libertà e della dignità di tutta la vita delle persone. E’ in gioco qui il concetto di libertà religiosa, ma anche più in generale il concetto di uso del tempo dell’uomo. Per Faraone il tempo dedicato al culto per Dio è tempo sprecato, anzi una scusa per interrompere il lavoro (5,17). Oggi sembra che i ritmi di lavoro e di impegno siano sempre più frenetici fino a rendere le persone totalmente prive di “tempo libero” nel senso più vero del termine.

Esiste anche la paura della libertà, che è paura dell’ignoto, delle responsabilità. “Uscire” da una situazione di schiavitù spesso comporta la fatica di entrare in una situazione sconosciuta che potrebbe rivelarsi non sostenibile. Il popolo d’Israele, finalmente libero dall’Egitto, sembra conservare in sé un animo da schiavo: infatti arriva a rimpiangere la condizione lasciata (14,12). E’ un chiaro segno di immaturità di fronte alla grandezza dell’esercizio della libertà; forse non c’è da meravigliarsi di fronte a questo atteggiamento umano che si fa presente ogni volta che le scelte fatte fanno sentire l’esigenza di essere forti e coerenti. 3.3 Considerazioni particolari I giudici (Es 18)

Mosè viene consigliato da Ietro suo suocero su come amministrare la giustizia per non

affaticarsi. E’ un lavoro che prevede la divisione delle responsabilità a seconda della gravità del giudizio. E’ interessante notare le caratteristiche richieste per giudicare: uomini integri che temono Dio, uomini retti che odiano la corruzione. Il decalogo

Nel decalogo si parla di due lavori, uno da fare e l’altro da non fare. Il primo da fare è il

lavoro quotidiano che deve articolarsi con il riposo per ricordarsi della creazione e della

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liberazione (Dt 5). Occorre imitare il Signore che ha benedetto il settimo giorno e lo ha dichiarato sacro (la liberazione ricevuta deve essere donata).

Il secondo lavoro, quello proibito, è “ costruire idoli “, cioè adorare la creatura invece del creatore e in più una creatura che ci è stato comandato di dominare (cfr. Gen 1-2 e 4). Non fare o distruggere idoli e costruire la Dimora

Il tema degli idoli da non fare (20,23) o distruggere (34,13ss) mostra la condanna di Dio nei

confronti del culto falso, quel culto che non dà vita. Il Signore invece invita a costruire un altare (20,23) e la Dimora (cap. 25-31), cioè a lavorare

per il vero culto, quello in cui si compie ogni giustizia. A coloro che costruiscono la dimora Dio fa dei doni in ordine al loro lavoro: sono riempiti

dello spirito di Dio, affinché abbiano sapienza, intelligenza e scienza, per concepire progetti e realizzarli. Saggezza perché possano eseguire il comando del Signore.Costruire la Dimora è simbolo del costruire la comunità per offrire il vero culto, per questo Dio ha costituito Israele come popolo di sacerdoti e nazione santa (19,6). Benedizione di Mosé e presa di possesso da parte di Dio

In 39,43 Mosé benedice tutto il lavoro svolto, cioè sanziona che il lavoro svolto porterà vita

in mezzo al popolo. In 40,34 Dio prende possesso della Dimora, cioè si rende presente in mezzo al Suo popolo

appunto con la Sua presenza manifesta. 3.4 del “ servire “ Il termine “servire” ha una ricchezza di sfumature che vanno dal semplice “lavorare” a “essere schiavi” fino a raggiungere il concetto di “servire il Signore” che diventa espressione di adesione al progetto della Creazione e fedeltà all’ Alleanza. Dai primi capitoli dell’ Esodo è dunque possibile elaborare una “ teologia dei conflitti sociali “, facendo naturalmente attenzione a non banalizzare le analogie e a non semplificare troppo la corrispondenza delle situazioni e quindi delle soluzioni.

La civiltà nella quale viviamo - industriale, del lavoro, moderna e post moderna - ci sospinge a considerare il lavoro come parte del tempo umano a cui dedicare ogni attenzione e risorsa. L’orario giornaliero, settimanale, annuale, il periodo attivo, la relativa organizzazione , l’impresa da cui deriva la spinta odierna ad una imprenditorialità generalizzata… tutto ciò viene posto come centrale, declassando e subordinando tutto il rimanente della vita, considerato come “ non-lavoro.

Nell’opera della creazione tutto è lavoro e il lavoro è la vita. Dio salva il suo popolo dalla durezza del “lavoro”, Dio cura il suo popolo che geme sotto il peso della schiavitù. Anche oggi il “non-popolo “ deve invocare il suo Dio perché lo riscatti dalla schiavitù del lavoro, dalla oppressione del mercato, dal regime dell’impresa, dalla schiavitù del consumo. Dio può insegnarci quello che dobbiamo fare affinché gli si celebri una festa!

Il lavoro è l’impiego di una energia: l’energia vitale. Ogni momento di lavoro è un momento di vita. Il dispiegarsi di questa energia costituisce un tempo e, come è già stato detto, la memoria di ogni persona, di un popolo chiamato a scrivere la storia della salvezza.

Ci troviamo davanti a gruppi di persone che operano in vari modi: il faraone, la figlia del faraone, Mosè, la madre e la sorella di Mosè, le levatrici, l’egiziano, i due ebrei, Aronne, i sorveglianti e gli scribi, il popolo ebreo, gli egiziani e Dio. L’autore sacro osserva come nell’operare dell’uomo si scorge la fonte a cui esso attinge e da cui dipende la direzione del suo agire.

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C’è una sapienza degli Egiziani fatta di paura e diffidenza che genera morte, come si vede nel racconto: “…sorse in Egitto un nuovo re …vide che il popolo di Israele era più forte e più numeroso…si cominciò a sentire come un incubo la presenza dei figli di Israele… ordinò alle levatrici: se è maschio lo farete morire”(1,8-16).

C’è il riferimento a Dio di chi lavora per la vita rischiando di persona e cerca le modalità per superare la costrizione di morte… “le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d’Egitto e lasciarono vivere i bambini”(1,17).

Non si vede spazio per la neutralità. Ogni lavoro sembra segnato da questo spartiacque: l’indifferenza o la passività è già nella linea dell’abbandono e non della cura della vita. Dio chiede all’uomo la cura. Lasciar vivere è liberare la potenza di Dio–Vita da ciò che la imprigiona. Mosè, munito dalla sapienza degli egiziani, pur essendo giovane, forte e potente non riesce ad operare per la vita e viene visto da coloro che vuol difendere come colui che sembra voler prendere il posto di Dio “chi ti ha costituito capo e giudice su noi?” E produce timore di morte “Pensi di uccidermi?…” ( 2,14). Non sembra mosso dalla compassione amorosa di Dio ma, come nel racconto della torre di Babele, appare impegnato in un’opera solo dell’uomo pericolosa e senza frutti buoni. Il messaggio non passa:… “egli pensava che i suoi connazionali avrebbero capito che Dio dava loro salvezza per mezzo suo, ma essi non compresero” (racconto di Stefano in At 7,25). Per il faraone il lavoro del popolo è appropriato anche se “forzato”; è intoccabile e Mosè è accusato di distogliere il popolo dal suo lavoro” (5,4). Le persone non sono riconosciute come lavoratori ma considerate “fannulloni” e causa del malessere generale (5,9)

In realtà c’è un lavoro da schiavi che impedisce al popolo di ascoltare. “Mosè parlò così con gli Israeliti ma essi non ascoltarono perché erano stremati dalle sofferenze per la dura schiavitù” (6,9).

Scopo del faraone è operare perché questa schiavitù continui. L’ impegno di Dio è di segno contrario, è mosso dalla compassione verso il popolo in difficoltà e opera per liberarlo. Dice a Mosè: “Ho osservato la miseria del mio popolo, ho udito il suo grido.. conosco le sue sofferenze e sono sceso per liberarlo” (3,7). Così pure la madre di Mosè, le levatrici, la figlia stessa del Faraone sono mosse dalla compassione, mentre il Faraone è fermo nella sua ostinazione.

Il compito consegnato da Dio a Mosè è portare un annuncio di salvezza per il popolo che sta nella schiavitù. 3.5 Lavoro per tutti, in ogni tempo

Mosè, vecchio, impacciato nella parola, cosciente della sua totale inadeguatezza, è chiamato a entrare in un’ attività di liberazione condotta dal Signore per il suo popolo; a lui è chiesto di fare le veci di Dio presso il popolo e presso il Faraone. Anche le altre persone collaborano o si oppongono a questa operazione.

C’è un lavoro per tutti; a ognuno è affidato un compito da svolgere tra gli uomini per il bene comune e la custodia della vita di tutti, nella libertà e nella gratuità. Nessuno si deve sentire inutile ma ognuno deve sentirsi invitato a prenderne parte. Nessuno può pensare di porsi al posto del Signore. Israele ha capito che sopra ogni altra cosa c’è il posto da assegnare a Dio, che assicura lo svolgersi ordinato della vita. Ha anche capito che la tentazione di occupare quel posto è sempre latente e dice che questo produce una quantità di mali.

Ogni tempo è propizio alla rivelazione di Dio. La nostra quotidianità, il nostro lavoro è tempo aperto alla visita del Signore che ci tira fuori dalla nostra tranquillità e ci muove per partecipare al suo lavoro.

Quando le nostre scelte di sobrietà interpellano anche il rapporto col tempo, con le attività e gli interessi, si producono margini alla fitta lista di impegni cronometrati delle nostre giornate e si sgombrano vie aprendole all'iniziativa di Dio.

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Così possiamo capire che il nostro lavoro non può essere considerato un assoluto ma attraverso di lui possiamo partecipare al lavoro di Dio, od opporci. E tutto questo vale anche quando siamo disoccupati o in pensione.

Può essere utile ogni tanto verificare personalmente e comunitariamente per chi stiamo lavorando. Viene da pensare a un certo tipo di simbolismo: la terra (simbolo della donna) è madre e non fa differenza tra le razze, non teme concorrenza, è attirata dalla bellezza della vita. Chi nutre la vita è ripagato con un compenso reale oltre che con la vita stessa.

Mosè è chiamato a lavorare per ridare la libertà alle persone del suo popolo che dovranno passare per il deserto: Dio sarà con loro, li nutrirà e li guiderà.

4 FA VIVERE TUO FRATELLO PRESSO DI TE ( Una Legge di Santità e di Giustizia )

4.1 Struttura generale del LEVITICO

Il libro del Levitico è in posizione centrale fra i 5 del Pentateuco: è un segno della considerazione che il redattore finale della raccolta provava per il suo contenuto. Il lettore contemporaneo fa probabilmente fatica a condividere questo entusiasmo; tutto il libro infatti è costituito da norme, divieti e istruzioni dettate da Dio a Mosé e da questi ritrasmesse ai figli di Israele, e più particolarmente ai leviti. Oltretutto molte di queste prescrizioni sono molto lontane dalla nostra mentalità ed esperienza, o sono tediosamente minuziose e ripetitive, o rivelano tendenze classiste e/o sessiste... Questa difficoltà di approccio può essere superata prima di tutto rifacendosi alla cultura, alla situazione politica e sociale e all'evoluzione religiosa del popolo di Israele al tempo in cui il libro è stato effettivamente composto (dopo il ritorno dei primi gruppi di esuli da Babilonia); inoltre è opportuno individuare e seguire il filo rosso che attraversa tutto il Levitico, che è un omaggio riconoscente alla santità e benevolenza del Signore, un impegno a onorarlo nel miglior modo possibile e in generale a compiere ogni atto di culto con la massima cura e precisione rituale. Se l'Esodo rappresenta soprattutto il Trattato di Alleanza fra Dio e il Suo popolo, il Levitico esplicita la natura e le regole dei rapporti fra le due parti dell’ alleanza stessa. Rispetto alla struttura possiamo dividerlo in quattro grandi sezioni 1. Prescrizioni riguardo ai sacrifici (capp. 1-7) Non si tratta solo di arido ritualismo; i sacrifici, oltre ad esprimere il riconoscimento della signoria di Dio su tutta la terra e il popolo che la abita, hanno anche una valenza economica, perché sono legati al sostentamento dei sacerdoti e degli addetti al servizio del Tempio. E' dunque necessario che si svolgano in forma perfetta e in quantità adeguata alle circostanze e alle risorse dell'offerente. 2. Norme sulla consacrazione dei Sacerdoti (capp. 8-10), sul loro modo di comportarsi e come retribuirli. Queste norme riguardano un periodo storico in cui i sacerdoti avevano di fatto ereditato il potere civile (per quanto concesso dai dominatori stranieri) e la funzione profetica di interpretare le Scritture. 3. Decreti sulla Purità (capp. 11-16) E' forse la sezione più ostica per la nostra sensibilità. Si può darne una spiegazione ricordando che all'epoca le conoscenze di medicina, igiene, zoologia e dietetica erano molto scarse e spesso fantasiose. In generale perciò certe forme di malattia, come pure normali fenomeni fisiologici, soprattutto del corpo femminile, erano attribuiti alla presenza di " cattivi spiriti " o alle conseguenze di una situazione specifica di peccato, o comunque di un

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disordine. Questo rendeva indispensabile una purificazione per vivere correttamente all'interno della comunità; la regola era ancora più drastica per i sacerdoti, soprattutto nell'esercizio delle loro funzioni. 4. La Legge di Santità (capp. 17-26) E' la parte più elevata ed esigente del libro. L'argomento di base è che il Signore è Santo, e pertanto il credente deve imitarlo nella santità in ogni aspetto della vita ( 20, 26). E' da notare che in ebraico il termine "santità" indica non tanto un comportamento moralmente ineccepibile, quanto uno stato di separatezza, di alterità rispetto all'ambiente, ai popoli e ai comportamenti " profani ".

All'interno di questa sezione si trovano gli spunti più significativi che interessano il tema del

lavoro, soprattutto nei capp. 23-25; anche il lavoro infatti è un’attività che deve essere compiuta " con santità ". L’ultimo capitolo (27) costituisce un'appendice, e contiene una serie di codicilli utili per l'applicazione pratica della legge.

4.2 Riflessioni riguardo al Lavoro

La rilettura del libro del Levitico ci ha portato all’esperienza, per noi del tutto nuova, di considerare il lavoro come concreta possibilità di risposta alla parola di Dio.

Ovviamente non si devono trascurare le notevoli differenze tra le attuali modalità di

organizzazione sociale ed economica rispetto a quelle del popolo ebraico all’epoca in cui è stato scritto il Levitico. Oggi la percezione del nesso tra lavoro e culto è sicuramente meno immediata e diffusa di quanto lo fosse per un popolo di pastori. Ma se ci fermiamo a riflettere sulla comunicazione di Dio agli israeliti le connessioni emergono forti e numerose.

Le pratiche di offrire le primizie dei raccolti e degli allevamenti; dei sacrifici di olocausto, di oblazione, di espiazione e di comunione; l’astensione da ogni lavoro servile il settimo giorno; l’esecuzione dei rituali prescritti per la festa delle settimane, per la festa del primo giorno del settimo mese o per la festa delle capanne, se considerati nell’ottica di risposta alla Parola di Dio, evidenziano in modo chiaro il significato liturgico del lavoro e la relativizzazione della sua valenza economica.

L’astensione dal lavoro comporta infatti una minor produzione, così come i numerosi ed impegnativi sacrifici richiesti dalla legge mosaica comportavano la rinuncia a beni prodotti con l’impegno di notevoli quantità di lavoro. Tutti questi sacrifici hanno senso solo come forme di espressione del dialogo con Dio e canali con cui entrare in comunione con il Signore della vita in ogni sua forma. Il lavoro, in questa prospettiva, è produttivo in quanto consente di conoscere la creatività dell’amore di Dio e, seppur in modo embrionale ed imperfetto, di prendervi parte.

Le precise indicazioni di comportamento previste per l’anno sabbatico e il Giubileo, così come quelle con cui riscattare le proprietà della terra e delle persone, proprio perché assai impegnative, aiutano: - a capire la dinamica dell’attrazione che la gratuita e rigeneratrice parola di Dio ha per chi

l’ascolta, - a riconoscere l’autorità di Dio in ogni aspetto delle nostre attività e in ogni momento della nostra esistenza, - a percepire il nesso esistente tra il rapporto con Dio e con il prossimo, - a vedere la gratuità illimitata dell’amore di Dio,

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- ad assumerlo come criterio di vita e di riferimento per l’organizzazione dei rapporti sociali e delle comunità.

La rinuncia a lavorare la terra durante l’anno sabbatico poneva a rischio la sicurezza di

potersi sfamare fino al successivo raccolto; la perdita di sicurezza che comportava il carattere temporaneo della proprietà della terra, dei pascoli, delle case metteva in crisi l’ innato senso di proprietà; il dover rinunciare dopo un certo tempo sia ai crediti in denaro che all’ opera degli schiavi obbligava a relativizzare l’ importanza delle rendite “ di capitale “; queste rivoluzionarie rinunce e limitazioni sono possibili solo riconoscendo la grandezza di Dio, il bisogno che ogni uomo ed ogni donna hanno del Suo aiuto, affidandosi alla provvidenza divina, al di là di ogni calcolo di convenienza misurato con parametri umani.

Nella prospettiva suggerita da queste riflessioni possiamo quindi comprendere come la Parola di Dio, che leggiamo nel Levitico, aiuti anche noi a riscoprire il valore autentico della vita e delle potenzialità espressive, comunicative e organizzative che le persone continuano a conservare in società complesse e nell’economia globale; a capire meglio gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa quando afferma l’autenticità ed attualità della Parola di Dio e testimonia l’alterità del Vangelo rispetto ad ogni sollecitazione del mondo.

Proprio perché per noi oggi sono meno immediate le connessioni tra lavoro e culto, assumono ulteriore importanza gli inviti a santificare le feste, sia in termini di astensione dal lavoro che di partecipazione alle assemblee liturgiche; a relativizzare il valore di scambio del nostro lavoro; a considerare e rispettare i diritti di tutte le persone, compresi i forestieri che si trovano in mezzo a noi; a concordare forme di organizzazione della società che rendano possibile il riscatto delle terre, dei mezzi di produzione e della case; a rispettare l’ordine della natura voluto dal Creatore e ad evitare la confusione dei rapporti provocata dagli egoismi che portano a non considerare in modo adeguato i diritti delle persone.

La consapevolezza che non è l’entità della retribuzione a dare valore al lavoro e significato all’impegno che esso richiede, fa pensare ad organizzare il volontariato come espressione delle nostre potenzialità professionali, comunicative , intellettive ed organizzative .

4.3 Giubileo, Giustizia e Lavoro Quando si cercano riferimenti al lavoro umano nel libro del Levitico, il testo più pertinente e interessante si trova nel cap. 25, con l’istituzione del Giubileo. Il Giubileo mira sostanzialmente a ristabilire, almeno nei limiti del paese abitato dagli Israeliti, la giustizia e la libertà previste per tutti gli uomini dal progetto del creatore. Ne consegue, per quanto concerne il lavoro: - restituzione della dignità del lavoratore, con la liberazione dalla condizione di schiavitù; è interessante notare che questa prescrizione vale, sotto certe condizioni, anche per i lavoratori stranieri; - ristabilimento del diritto al lavoro, mediante la distribuzione delle terre; ricordiamo che a quel tempo la modalità abituale di lavoro era quella agro-pastorale; - preoccupazione per la sicurezza sociale dei lavoratori e delle loro famiglie, tramite la restituzione delle case e l’estinzione dei debiti.

Secondo il testo del Levitico tutti questi provvedimenti sarebbero dovuti avvenire a costo zero per i lavoratori.

Al di fuori del cap. 25 i riferimenti espliciti al lavoro sono molto scarsi: Alcuni passi del cap. 19 riguardano sia la tutela del lavoro (corresponsione tempestiva del salario (19,13); osservanza del riposo sabbatico (19,30); rispetto per il lavoratore forestiero (19,32-34)), sia la preoccupazione perché il lavoro si svolga con giustizia e carità verso il prossimo, e in particolare i più poveri (raccomandazioni sul permesso di spigolare dopo la mietitura e la vendemmia (19,9-19); sull’uso di strumenti di misura corretti (19,35-36)). Questi precetti sono

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molto scarni, ma sono collocati in un punto decisamente importante, forse il più solenne di tutto il libro, dove si insegna come comportarsi da “santi” (19,2).

Vi sono poi delle considerazioni sul modo di lavorare e sul senso del lavoro che sembrano occuparsi di altri problemi. Infatti il Levitico tratta essenzialmente del “lavoro” dei sacerdoti, cioè del culto.

Tuttavia il testo descrive fra i loro compiti attività più “laiche”, come quella di ufficiale sanitario (nel controllo dello stato di malattia o di guarigione dei lebbrosi) o di macellaio (per sacrificare gli animali in modo corretto). In ogni caso è costante la preoccupazione e lo scrupolo perché il compito sia eseguito sempre con la massima precisione e col massimo rispetto delle regole.

Ciò vale ovviamente per i sacerdoti, che fungono da tramite fra il popolo e la maestà di Dio; me se confrontiamo i testi del Levitico con quelli di altri libri che descrivono i compiti di lavoratori diversi (ad esempio gli artigiani e artisti in Esodo), vediamo che la cura nei particolari e l’attenzione ai precetti della Torah non sono norme esclusive della classe sacerdotale, bensì hanno un carattere generale.

5. VOI BENEDIRETE COSI' GLI ISRAELITI

( Una “ lunga marcia “ che dura 40 anni )

5.1 Struttura e contenuto di NUMERI

Il libro dei Numeri ha una funzione di completamento rispetto ai due libri precedenti: da un lato continua la storia della marcia del popolo di Israele verso la " terra promessa ", già iniziata in Esodo; dall'altro completa la serie delle norme legislative elencate in Levitico

I brani narrativi, spesso vivaci e curiosi, si alternano perciò con le sezioni normative e i lunghi e minuziosi elenchi di persone. Una caratteristica specifica di Numeri - quella che ne giustifica il titolo - è infatti costituita dai censimenti. Ne sono riportati due, uno eseguito prima della partenza dal Sinai (Nm 1-4), l'altro al momento di affacciarsi finalmente alla terra di Canaan (Nm 26). Entrambi sono specificamente ordinati dal Signore, come segno della Sua sovranità sul popolo. Tra l'uno e l'altro passano quasi quarant’anni, trascorsi in una lunga serie di spostamenti da un accampamento all'altro, ma sempre confinati tra la penisola del Sinai e le steppe a sud-est della Palestina. Questo periodo di nomadismo nel deserto è causato dalla continua sequenza di mormorazioni, ribellioni e tradimenti perpetrati dal popolo contro Mosè (e di conseguenza contro Dio). Il Signore si sdegna e ritarda l'accesso definitivo alla terra sospirata per un tempo sufficiente al ricambio generazionale completo: soltanto 2 fra tutti coloro che sono usciti dall'Egitto entreranno in Palestina ( saranno Giosuè e Caleb ), e lo stesso Mosé potrà vederla soltanto dall'alto di un monte situato presso il confine (Dt 34). Ecco una breve sintesi delle principali sezioni. - (capp. 1-9) Si parte dall'accampamento ai piedi del Sinai, dove Mosè ha ricevuto la Torah; dopo il censimento - già menzionato - e la descrizione dell'accampamento, segue una sezione dedicata soprattutto alla consacrazione dei sacerdoti e dei leviti e alla descrizione dei loro compiti. Essa è

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interessante soprattutto per motivi storici, ma al suo interno contiene un autentico gioiello, costituito dal testo della benedizione solenne al popolo (6, 22-27), tuttora in uso presso gli Ebrei, ma ripresa anche nella liturgia cristiana. Prima di ripartire viene celebrata solennemente la Pasqua, perfezionando il rito già descritto in Es 12. - (capp. 10-14) Si leva l'accampamento e, sempre guidati dal Signore, si raggiunge il deserto di Paran (a nord del Sinai). Da lì si mandano degli esploratori per dare un'occhiata alla terra di Canaan. Gli esploratori tornano narrando meraviglie della terra, ma nello stesso tempo mettono in guardia contro il rischio di scontrarsi con i suoi abitanti, formidabili guerrieri. Perciò il popolo si ribella all'invito a proseguire; il Signore, già irritato per molti altri episodi di indisciplina e scarsa riconoscenza (Nm 11, 1-22; 12) decide a quel punto di procrastinare la conclusione della marcia di avvicinamento fino alla scomparsa per morte naturale di tutta quella generazione. - (capp. 15-25) E’ una lunga peregrinazione per le varie località della zona, fino a giungere finalmente alle steppe di Moab, che confinano da sud-est con la terra promessa. La descrizione narrativa è intervallata da ulteriori brani normativi (Nm 15; 18-19). L'itinerario è costellato di incidenti, sia interni (ulteriori mormorazioni e ribellioni nel popolo) che esterni (opposizione all'avanzata da parte delle varie popolazioni incontrate sul cammino). Particolarmente interessante e significativo il lungo episodio di Balaam, mago mesopotamico fatto chiamare dal re di Moab per maledire gli Israeliti; la potenza del Signore è superiore ai poteri magici dello stregone, per cui le sue maledizioni si tramutano in benedizioni (Nm 22-24). - (capp. 26-36) E' la parte terminale del libro, dedicata principalmente a tutta una serie di prescrizioni giuridiche e amministrative (Nm 27-30; 34-36). Dopo il secondo censimento, cui avevamo già accennato, il popolo di Israele sconfigge gli ultimi nemici a est del Giordano e si impadronisce di una striscia di territorio in Transgiordania (Nm 31-32). Dopo una certa riluttanza iniziale, Mosè permette a due tribù di occuparlo stabilmente, a condizione che gli uomini validi delle stesse collaborassero comunque alla conquista della terra di Canaan. La presenza di queste tribù transgiordaniche avrà sovente delle conseguenze importanti nelle successive vicende del popolo di Israele, narrate nei libri “ storici “.

5.2 Riflessioni generali

Il libro dei Numeri riprende il tema del cammino nel deserto già iniziato nel libro dell’Esodo.

La problematica è tutta impostata sulla fedeltà e infedeltà, sul coraggio e la paura, sulla nostalgia e la fatica della libertà che bisogna conquistarsi.

Chi ha vissuto nella schiavitù deve maturare nella vita una scelta nuova ma morirà nel deserto.

Entreranno nella terra promessa solo coloro che avranno vissuto nel deserto tagliando i ponti con il proprio passato di schiavi.

Il tema del lavoro è marginale poiché si lotta per la sopravvivenza in dipendenza dai doni di Dio. Il popolo cammina alla ricerca della terra e spera nel suo possesso. Si sente, comunque, che è un popolo capace e laborioso, ricco di risorse e di possibilità.

Il rapporto con Dio si sta rinsaldando nonostante la fatica. Ci sono segni di durezza e di grande crudeltà. Va chiarito che i fatti avvenuti rispecchiano lo stile delle guerre del tempo, ma le stragi sono sulla linea del pericolo di una adulterazione del rapporto a Dio e quindi della deformazione della fede. Il cammino dell’esodo e la liberazione sarebbero divenuti inutili. In caso di ritorno all’idolatria e ai culti egiziani o cananei, il popolo sarebbe caduto nel disfacimento, come i progenitori nell’ascolto delle parole del serpente in Genesi 3.

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La benedizione sul popolo (6,22-27) invoca la pace e la prosperità del Signore mediante la preghiera e la benedizione dei sacerdoti del tempio.

Le offerte dei carri e l’offerta della dedicazione sono frutto di abbondanza e di lavoro. Per ciascuna tribù l’offerta è uguale. Essa è un segno, non una tassa legata al reddito (cap. 7). 5.3 Riferimenti al lavoro

Nel cap. 1 ai Leviti viene affidata la cura del Tabernacolo. Nel cap. 3 i Leviti vengono scelti per il servizio del sacerdozio (cfr. anche 4,4.43). Si evidenzia il lavoro come servizio in onore di Dio a beneficio di tutta la comunità.

Il lavoro fa corrispondere il desiderio di Dio con la concretezza di un manufatto ( Nm 8, 4 ). Con il lavoro attento e meticoloso si può arrivare ad ubbidire a Dio per il servizio del culto. Il lavoro fatto è in rapporto alla luce e alla tenda del convegno.

La lettura di Numeri ci ha aiutato a riflettere sul lavoro come dimensione connaturale della vita.

La storia di un popolo di pastori nomadi ed in perenne conflitto con i popoli vicini è tutta intrisa di riferimenti al lavoro, ma in modo strettamente intrecciato agli altri aspetti della vita, per cui la considerazione preminente riguarda il chiaro e forte invito a vivere il lavoro in obbedienza al creatore che, assai meglio di noi, conosce i nostri limiti, le potenzialità della natura e quali scelte, tra quelle che abbiamo la possibilità di compiere, sono le giuste.

Un episodio che ci ha colpito moltissimo, anche se secondario nell’economia del racconto, è l’importanza che gli israeliti davano all’astensione dal lavoro il giorno di sabato (Nm 15, 32-36), al punto da condannare alla lapidazione, fuori dall’accampamento, l’uomo sorpreso a raccogliere legna in giorni di sabato.

Questo episodio, così come molti altri narrati nel libro dei Numeri, ci suggeriscono due considerazioni: la prima è che i comandamenti del Signore vanno presi seriamente; la seconda è che, anche nella Bibbia, la Parola di Dio va ricercata ed interpretata con l’aiuto dello Spirito; con le nostre sole capacità intellettive non siamo in grado di discernere ciò che è frutto della cultura di Israele e ciò che viene dalla Parola di Dio.

I riferimenti più diffusi, distribuiti in tutto il libro, sono però rivolti al carattere totale e senza sconti della dedizione al Signore dei leviti e dei sacerdoti.

Proprio per potersi dedicare pienamente al Signore, i leviti erano dispensati dalla guerra ed erano esclusi dalla distribuzione delle terre, con l’eccezione delle città da abitare, alcune delle quali dedicate all’asilo dei rifugiati. Il loro sostentamento dipendeva dalla fedeltà con cui gli israeliti assolvevano ai sacrifici prescritti dalla legge e, conseguentemente, il loro lavoro era il servizio al Signore, svolto obbedendo ai comandamenti ad essi assegnati in merito al trasporto della Dimora ed alla celebrazione dei sacrifici.

Nello stesso tempo, assolvendo ai servizi del tempio, i leviti erano al servizio anche del popolo che, loro tramite, aveva la possibilità di rispondere agli inviti del Signore e di presentare offerte a Lui gradite, frutto del loro lavoro. Gli animali offerti in sacrificio, così come il vino, l’olio e le focacce, richiedevano diversi tipi di lavoro: da parte degli uomini ed anche delle donne che la Bibbia, in ossequio alla cultura del tempo, cita solo raramente, e quasi sempre in forma anonima.

5.3 L’ episodio di Balaam Fortemente espressivo di questa richiesta per una totale dedizione al Signore possiamo considerare anche il racconto delle vicende del mago Balaam ( Nm 22- 24). Balak, re di Moab, lo aveva cercato e chiamato dalla lontana Mesopotamia perché maledicesse gli Israeliti, accampati ai suoi confini dopo avere sconfitto e sterminato gli Amorrei. Ma quando il mago si rende conto , sia pure con un po’ di ritardo, che il Signore sta con gli Ebrei e non con Moab, non tiene più conto dell’ impegno preso con Balak, né delle promesse di munifici doni, né delle minacce dei Moabiti. Così l’

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intervento di questo curioso personaggio si trasforma, sotto la regia del Signore, da minaccioso scongiuro contro il popolo di Israele in solenne benedizione e profezia di vittoria. Tra l’ altro la patria di origine di Balaam e l’ accenno a una stella ( Nm 24, 17 ) nel suo poema hanno contribuito a ispirare il racconto di Mt 2 sulla visita dei Magi a Betlemme

In questo episodio ci ha colpito anche la significativa ( oltreché finemente ironica ) esperienza dell’ asina di Balaam durante il viaggio per andare da Balak ( 22, 21-35 ). Alla vista dell’angelo del Signore aveva disatteso i comandi del padrone per evitargli un pericolo mortale. Tra l’ altro, escludendo il serpente di Gen 3 che è un essere simbolico, è l’ unico caso di animale parlante riportato nella Bibbia; ed è significativo che in tutta la Bibbia gli asini abbiano un’ ottima reputazione, al contrario per esempio dei cavalli. L’ episodio ci è sembrato un efficace esempio di come l’obbedienza ai comandi di Dio sia per noi importante anche quando non riusciamo a comprenderla e la riteniamo ingiusta.

6. ASCOLTA, ISRAELE

( Una rilettura della Torah alla scuola dei Profeti )

6.1 Struttura e contenuto del DEUTERONOMIO 6.1.1 Il nome deriva dal greco, e significa"seconda Legge". In questo libro infatti troviamo, sotto la forma letteraria di una serie di discorsi di Mosè, una rilettura e rielaborazione degli avvenimenti e dei precetti descritti nei libri di Esodo, Levitico e Numeri. Possiamo mettere in risalto alcuni criteri guida che orientano questa rilettura: a) una riconferma chiara e netta della fedeltà del popolo all'unico Dio, liberatore della schiavitù, con l'obbligo di mantenere la propria diversità e separatezza (= santità) nella vita di tutti i giorni in mezzo a popoli di altra religione, cultura e principi morali. Viene ribadito il divieto assoluto di ogni forma di idolatria e, come corollario, di farsi delle immagini di Dio e/o dell'uomo (per evitare il rischio che l'immagine diventi essa stessa oggetto di culto). Questa fedeltà è condizione per ottenere la benedizione del Signore su tutti gli aspetti dell'esistenza. In caso di abbandono della fede o di cedimento a pratiche idolatriche i figli di Israele saranno soggetti a una maledizione totale. In alcuni passi tuttavia il testo si mostra comprensivo su possibili comportamenti che non corrispondano all'ideale descritto nel codice dell'alleanza; in questi casi, anziché limitarsi a deplorare e condannare i cedimenti morali, suggerisce degli aggiustamenti che ne riducono gli effetti negativi e salvano almeno i diritti fondamentali di Dio e dei fratelli. b) L'essenzialità dell'ascolto della Parola di Dio, riferita da Mosè ma continuamente riletta dalla tradizione e interpretata dai Profeti. La Torah quindi non si limita ad essere un Codice fisso, una sorta di costituzione da tenere in archivio e consultare eventualmente in caso di controversie sull'applicazione; essa è un insegnamento e un nutrimento costante per il credente (Dt 8, 3). E' interessante che questo versetto sia citato alla lettera tanto in Matteo quanto in Luca nell'episodio della"tentazione"di Gesù.

Ogni persona dovrà avere accesso alle Sacre Scritture, assicurandole le capacità per comprenderle (Dt 30, 11-13) e senza la necessità di un particolare livello di istruzione o il conseguimento di uno specifico ministero.

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In caso di necessità Dio susciterà dei Profeti, come Mosè, per rammentare agli uomini i princìpi e interpretarli in nuovi contesti e circostanze impreviste (Dt 18, 15 e sgg.). La profezia non è finita con la rivelazione di Dio a Mosè, ma è una risorsa continuamente a disposizione dei credenti di ogni tempo, in ogni luogo e situazione. c) Una spiccata sensibilità sociale, già presente nei libri precedenti ma ancor più chiaramente ribadita nel testo del Deuteronomio, con grande attenzione ai problemi del lavoro umano, del benessere dei cittadini, dei diritti del povero. Questo punto sarà esaminato con maggior dettaglio nei paragrafi successivi. 6.1.2 Quanto al contenuto, possiamo riassumerlo nel modo seguente: Primo discorso di Mosè ( 1,1-4,40 ) Contiene una sintesi degli avvenimenti trascorsi dalla partenza dal Sinai ( Oreb ) riletti alla luce della nuova teologia che cominciava ad affermarsi in Giuda. Tra le righe appare la sentenza del Signore che escluderà lo stesso Mosè dalla terra promessa. Secondo discorso: ( 4, 44- 28, 69 ) E’ di gran lunga la parte più importante e più lunga del libro. Essa contiene una riesposizione dei fatti accaduti sul monte Sinai durante la lunga e reiterata teofania concessa a Mosè, commentati in funzione della maggiore o minore rispondenza all’ alleanza dei successivi comportamenti del popolo nel deserto. Anche gli avvenimenti storici successivi, fino all’ esilio di Babilonia sono prefigurati sotto forma di ipotesi profetica. In particolare, in questa sezione troviamo: Il Decalogo ( 5, 6-21 ) Il comandamento fondamentale ( “ shemà “ ) 6, 4-19 Il grande Codice ( 12 – 26 ), che in parte ripete e in parte aggiunge precetti al codice di Esodo e ad alcuni passi di Levitico La necessità di scegliere: la Torah va accettata o rifiutata, e in corrispondenza ci saranno le benedizioni oppure le maledizioni sull’ intero popolo. Terzo discorso: ( 29 – 30 ) E’ un’ esortazione a ratificare e rimanere fedeli all’ alleanza, ribadendo i disastrosi effetti che avrà l’ eventuale infedeltà alla Torah. E’ di nuovo “ predetto “ l’ esilio, ma c’ è in più la promessa di un ritorno, dopo la conversione e il pentimento. Gli ultimi capitoli concludono la storia dell’ Esodo, con il passaggio delle consegne a Giosuè e la misteriosa dolce morte di Mosè sul monte Nebo. Mosè si accomiata dal suo popolo con uno splendido cantico che riassume poeticamente l’ insegnamento del libro. Molto si è discusso sulle motivazioni che possono aver causato l’ esclusione do Mosè dall’ ingresso nella Terra Promessa. Tra le tante ipotesi proposte dagli esegeti non ci sentiamo di sceglierne una. Una cosa è certa: a quel punto Mosè aveva pienamente compiuto l’ incarico che gli era stato affidato in Es 3. 6.2 Analogie e Differenze E’ interessante paragonare alcuni passi paralleli tra il Deuteronomio e i libri precedenti; da questi paragoni si evince la diversa sensibilità sociale e culturale, dovuta a una diversa linea redazionale. 1) Prendiamo, ad esempio, il Decalogo e in esso il comandamento sul riposo festivo; lo abbiamo già trovato in Es 20, 8-11, ed è ripreso in Dt 5, 12-15; ma l'ottica è diversa.

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Nel libro dell’Esodo il nome del sabato è esplicitamente unito dalla Bibbia a una radice che significa “cessare, riposare”. E’ un giorno di riposo settimanale, consacrato a Jahvè che ha riposato nel settimo giorno della creazione. A questo motivo religioso si unisce una preoccupazione umanitaria.

Nel Deuteronomio invece il sabato è collegato alla liberazione dalla schiavitù in Egitto e ciò gli conferisce un duplice carattere: è un giorno di gioia ed è un giorno in cui i servi e gli schiavi stranieri vengono liberati dal loro lavoro faticoso (cfr. anche la medesima giustificazione nella legislazione in favore dei poveri (Dt 24,18; 24,22). Questi sviluppi sono stati aggiunti in un’epoca in cui il precetto sabbatico aveva assunto maggiore importanza. 2) Analogamente in Lev 25 avevamo trovato l'istituzione dell'anno sabbatico e del giubileo, previsti come occasioni straordinarie per il recupero dell'equità sociale, della libertà economica e della dignità personale. Nel Deuteronomio si parla solo dell'anno sabbatico, ma le prescrizioni sono simili a quelle previste in Levitico per l'anno giubilare (cap. 15). Di fatto si accelerano i tempi della remissione dei debiti e della liberazione degli schiavi (almeno di quelli ebrei) e ciò per esplicita volontà del Dio liberatore.

A questo punto è ancora interessante notare il disincantato realismo del testo che, dopo aver affermato al v. 4"non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi", si corregge al v.16 con"i bisognosi non mancheranno mai nel paese". (Questo versetto è stato citato da tre Evangelisti nell'episodio dell'unzione di Gesù a Betania). L'autore ispirato si rende conto che i decreti della Legge non bastano, senza una effettiva e costante conversione dei cuori, a riportare la società umana alle condizioni previste dal progetto di Dio (Gen 1-2).

6.3 I precetti nei riguardi dei poveri Frequenti, e sparsi in molti capitoli del libro, sono poi i decreti e i consigli specifici, che

mettono in risalto la preoccupazione per ridurre al massimo i disagi dei poveri – anche se non solo dei poveri - e rendere comunque più gradevole la vita degli abitanti della"terra promessa".

Citiamo alcuni esempi (non esaustivi): - E' stabilito il dovere di pagare le tasse, cioè le " decime " sui raccolti e sui primogeniti degli animali allevati. Tuttavia è specificato che questi tributi devono servire al mantenimento dei sacerdoti e leviti (che non disponevano di terra propria) e dei poveri, vedove ed orfani (c. 14, ribadito in c. 26) - Nelle feste " comandate " la gioia della festa dovrà essere condivisa con i familiari, ma anche con i servi, gli ospiti, i vicini poveri (c. 16). - Tutti gli uomini abili sono tenuti a prendere le armi in caso di invasione dei nemici, tuttavia ci sono dei motivi di esonero: l'aver costruito una casa senza averla ancora abitata; l'aver piantato una vigna senza averne ancora gustato i frutti; l'avere sposato una donna senza ancora aver coabitato (c. 20). E' commovente la delicatezza di un Legislatore che si preoccupa affinché ciascuno possa almeno assaggiare i frutti del proprio amore e del proprio lavoro! - Molto interessanti le prescrizioni riguardo ai prestiti: intanto è vietato l'interesse, almeno per gli Israeliti (23, 20-21), mentre si può chiederlo agli stranieri (non siamo ancora all'ecumenismo paolino di Gal 3, 28). Si può invece chiedere un pegno, ma sempre salvaguardando le necessità basilari e la dignità del debitore (24, 6.10-13) - E’ vietato prevaricare col salario dei propri dipendenti; non è lecito né decurtarlo arbitrariamente né differirne il pagamento. Dio stesso si farà garante del diritto del povero (24, 14-15). Su questo punto non si fa differenza tra israeliti e forestieri.

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- Un altro precetto misericordioso per i poveri vieta di rimandare al suo padrone uno schiavo fuggito in cerca di rifugio (23, 16-17). Un caso del genere succederà anche all'apostolo Paolo, che però risolve il problema senza invocare questa norma (Fm 8-20). - Ulteriori disposizioni riguardano il diritto alla spigolatura, la moderazione con gli avversari nei litigi e nei processi, la limitazione delle pene dolorose...

Ne risulta un complesso di norme che mettono insieme armonicamente i grandi princìpi e le piccole vicende del vivere quotidiano, la Sapienza trascendente dello Spirito del Signore con i dettami del buon senso comune. 6.4 “Ascolta Israele”

Concludiamo con una sintesi, costruita sulla principale confessione di Fede dell'Ebraismo.

Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio

Mosè accoglie le parole del Signore “Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo”(6,4),e le trasmette fedelmente al suo popolo perché le ascolti e “ avrà cura di mettere in pratica “ (12,1), orientando così ogni comportamento, non solo relativo al culto ma ad ogni atteggiamento esteriore ed interiore verso il Signore, verso sé stessi e verso il prossimo.

Che ti ha salvato

Così Mosè elenca un gran numero di norme e leggi spicciole che riguardano il cibo, il lavoro, la famiglia, i rapporti, i sentimenti, le attenzioni , le responsabilità a cui ogni israelita è invitato ad aderire fornendo ad ogni indicazione la stessa motivazione per cui è tenuto a comportarsi in quel modo: perché “ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto e il Signore ti ha liberato”(15,2). Israele è invitato a guardare al lavoro che il Signore sta per fare per lui “il Signore scaccerà davanti a voi…”(11,23) ed è ammonito “guardati bene dal non dimenticarti del tuo Dio”(8,11), “Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, e con tutte le forze” (6,5) E’ invitato a rallegrarsi “Te beato Israele! Chi è come te, popolo salvato dal Signore? Egli è lo scudo della tua difesa (33,29).

Che ti ha scelto perché ti ama e ti invita a operare secondo il suo stile Al comando di Dio “non aggiungerai nulla e nulla ne toglierai” (13,1), perché tu sei popolo consacrato al Signore tuo Dio (14,21), e “voi siete figli per il Signore Dio vostro” (14,1). “Vi ha scelti non perché siete i più numerosi di tutti gli altri popoli…ma perché il Signore vi ama” (7,7) “e resta fedele alle sue promesse” (10,10-11). La parola del Signore non è un parere fra altri da considerare a giudizio dell’uomo: “non è una parola senza valore per voi; anzi è la vostra vita”(32,47). Dio chiede al suo popolo l’obbedienza filiale e grata e lamenta con forza la sua infedeltà “la Roccia che ti ha generato tu hai trascurato ( 32, 15 )…non hai manifestato la mia santità”(32,51). Trascurare la legge è fonte di ogni male e il Signore invita a vigilare e operare “anzi devi ucciderlo… perché ha cercato di trascinarti lontano dal Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto” (13,10-11).

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Perché la tua gioia sia piena “La giustizia di Israele consisterà nel mettere in pratica questi comandi” (6,25). In questa fedeltà al Signore Israele troverà la sua gioia “mangerete davanti al Signore e gioirete voi e le vostre famiglie”(12,4; 14,26), “gioirete tutti” (12,12), “ il sangue non lo mangerai perché sia felice te e i tuoi figli” (12,25); perché il Signore tuo Dio ti benedica in ogni lavoro delle tue mani (24,19) “gli darai il suo salario il giorno stesso… perché egli è povero …così egli non griderà contro di te al Signore e tu non sarai in peccato”(24,15)

Ti invita oggi: poni attenzione a quanto stai per fare “Voi riconoscerete oggi,… la Sua grandezza.. ( 11,2). “Voi state per passare il Giordano (11,31). “Non farete come facciamo oggi qui dove ognuno fa’ quanto gli sembra bene… ma quando avrete passato il Giordano…(12,8-9 ).

La conversione a cui il Signore invita è per il momento presente; comincia dal cuore e dalla mente ma arriva al “mettere in pratica” il comando del Signore nella quotidianità, in tutto.

Così Israele può obbedire ai comandi: “astieniti dal mangiare il sangue, tu non devi mangiare la vita insieme alla carne (12,23), “dovrai prelevare la decima perché tu impari a temere il Signore”(14,22-23), “non farai alcun lavoro in giorno di sabato ”(16,8); “offrendo nella misura della tua generosità e in ragione di ciò in cui il Signore tuo Dio ti ha benedetto (16,10); “ti costituirai giudice…non avrai riguardi personali, non accetterai regali (16,19); “darete ascolto al piccolo come al grande, non temerete alcun uomo (1,17); “non spaventatevi e non abbiate paura di loro”(1,29); “il levita, l’orfano e la vedova non li abbandonerai”(14,27-29); “entro i tuoi confini”(16,3) (per quanto è nella tua responsabilità), “quando facendo la mietitura nel tuo campo, vi avrai dimenticato qualche mannello, non tornerai indietro a prenderlo; sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova, perché il Signore tuo Dio ti benedica in ogni lavoro delle tue mani. Quando bacchierai i tuoi ulivi…ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese d’Egitto; perciò ti comando di fare questa cosa (24,19-22). “Quando un uomo si sarà sposato da poco, non andrà in guerra..(24,5), “Nessuno prenderà in pegno né la macina né la pietra superiore della macina…(24,6)

E vi sono ancora molti altri precetti che accompagneranno Israele a vivere secondo la giustizia di Dio, fedele e misericordioso.

ANTOLOGIA B (Brani di contributi presentati alle riunioni su Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio) B.1 ( sull’ Esodo ) Rispetto a “ l’ equità quale misura di giustizia “, mi sento indotto a considerare l’equità non solo in termini di consumi, ma anche di disponibilità di risorse e di modalità con cui finalizzarle allo sviluppo attraverso la semina, la costruzione di case, di strade, di canali irrigui, ecc. Infatti questa espressione ci rivela quanto siano antiche le pretese di mantenere le stesse quantità di

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produzione anche riducendo le risorse a disposizione e aumentando i carichi di lavoro. Il potere, allora come oggi, induceva ad usare ogni forma di discriminazione e di ingiustizia; ma ci insegna anche che le oppressioni, alla lunga, comportano serie conseguenze alle persone che le esercitano, senza risparmiare i più potenti che si ritengono in diritto di opprimere e fare violenza ai più deboli.

L’oppressione degli egiziani sugli israeliti è stata lunga, se si considerano gli anni che intercorrono tra la nascita di Mosé e l’episodio che lo porta ad uccidere l’egiziano e poi quello della sua permanenza in Madian; ed è stata esercitata con mezzi sempre più pesanti, quali quelli di non far nascere o di annegare nel Nilo i maschi israeliti; ma il Signore, anche in queste situazioni, è riuscito a guidare il suo popolo alla libertà aiutando gli israeliti a comprendere le radici profonde della solidarietà con gli oppressi ed i deboli, le sue pressanti sollecitazioni all’impegno, i limiti delle reazioni individuali e l’efficacia delle azioni comunitarie preparate dalle preghiere corali del popolo di Israele. Rispetto a “ l’ equilibrio come condizione di uno sviluppo ordinato “, la sequenza di piaghe che rendono difficile la vita anche per gli egiziani, mi interrogavo su una possibile concatenazione dei fenomeni fisici che ne sono all’origine proprio come effetti della rottura degli equilibri con cui Dio ha creato il mondo. La conseguenza è che un primo eccesso ne causa altri: sia nei rapporti con la natura che nei confronti delle persone. La mancanza di equilibrio innesca processi di logoramento che rendono insicuri e suscitano angoscia anche nei potenti, proprio per il timore di non poter più esercitare pienamente il potere. Rispetto alla condivisione, mi sembra di poterla definire quale adesione all’ invito del Padre ad accogliere e vivere con fiducia ed obbedienza filiali l’ invito a partecipare alla Sua vita, piena e senza fine. Mi induce a interrogarmi se i gesti straordinari che compiono i sapienti, gli incantatori e i maghi convocati dal Faraone non significhino che tutte le persone che vivono una sincera dimensione religiosa - anche se non riconoscono il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe - accedono in parte alla saggezza e alla sapienza di Dio. Ma quando manca il rapporto con le modalità che Lui stesso ci ha insegnato, la religione acuisce i limiti umani e può essere usata per acuire le oppressioni. Dalla sottomissione coatta al Faraone, Israele passa alla capacità di esercitare il libero “servizio al Signore”. E’ il cammino di ogni liberazione umana: dalla condizione di incapacità/impossibilità di esprimere libere azioni, alla capacità di scegliere e di decidere.

Il termine “ schiavitù “ nella Bibbia diventa sinonimo di idolatria; gli “dei stranieri” infatti esigono un rapporto di sottomissione assoluta con arbitrio di vita e di morte, mentre il Dio d’Israele chiede la capacità di “servire” in libertà. Ancora di più: Dio si dichiara “liberatore” per Israele che da schiavo diventerà figlio.

Per altro trovo che oggi viviamo in circostanze simili a quelle dell’impero d’Egitto sia per quanto riguarda l’economia sia per ciò che riguarda le schiavitù del popolo. Pur nelle debite differenze economiche, politiche, culturali, sociali e ambientali rispetto all’Egitto biblico, la finanza, la tecnologia, la globalità dei mercati, del lavoro e dei consumi nella civiltà odierna rappresentano il Faraone. Da una parte non ci sfuggono le piaghe dei giorni nostri, le stesse dell’Egitto di un tempo: l’acqua e l’aria inquinate, le pestilenze e malattie infettive, la mortalità del bestiame, la trasformazione degli alimenti, il black-out delle città, la morte dei primogeniti; dall’altra la schiavitù e gli asservimenti del popolo al Faraone, a quel Faraone che ci compromette e ci impedisce di fare festa al Dio di Abramo, all’unico Dio. Impedisce al popolo di Dio di celebrare la Pasqua, di osservare la legge, di raccogliere la manna nel deserto secondo il bisogno. Ma quale è oggi in una società globale il popolo di Dio? Sono gli Ebrei? I cristiani? I Maomettani? Sono i seguaci di altre religioni? Questo è un interrogativo che mi ha lasciato sgomento, e tuttavia speranzoso…

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B.2 ( sull’ Esodo ) Associo il passaggio nel deserto con la meditazione: in un luogo qualsiasi, poiché la

sacralità della terra è ovunque, è possibile rendersi “ deserto “ per ascoltare e accogliere la parola di Dio. Dio dà istruzioni sul lavoro da fare, dà le sue referenze per dare autorità a quello che si fa. Riguardo alla lebbra che sperimenta Mosè: per poter guarire una persona occorre assumere la malattia nel proprio seno, nel proprio cuore: non si può capire una persona malata se non si prende nel proprio cuore la malattia e sempre e solo attraverso il cuore si può guarire e far guarire.La liberazione di Dio passa quindi dalla totale conversione.

Bisogna diventare umili strumenti nelle mani di Dio, essere cioè servi inutili, perché è da questi che Dio sceglie i suoi inviati.

Il popolo ebraico lascia la terra promessa ad Abramo perché non gli permette più di vivere; pensiamo alle immigrazioni che anche oggi avvengono nel mondo. Arrivano sul posto, si dimostrano capaci e ricevono stima per il loro lavoro, anzi viene loro data la possibilità di impostare il nuovo per aggiungere il bene della nuova nazione (come l’Egitto per gli Israeliti). Passato però il tempo in cui il lavoro era ben accetto nasce il nuovo egoismo contro “gli altri”, gli immigrati e li obbligano in schiavitù con lavori sempre più pesanti, che fanno ribellare anche gli stessi fratelli: si arriva sino all’uccisione dei figli. Al potere, ancora una volta, dà fastidio chi costruisce il nuovo per l’uomo.

All’interno del popolo però esiste anche chi “ha paura” e temendo il più grande si schiera con lui. Ciò fa paura anche a chi decide di ergersi a difensore dell’uomo perché ricattabile e passibile di denuncia per l’uccisione di un oppressore, messo a custodirli. Questo li rende doppiamente schiavi: sono ebrei ed hanno paura di chi ha il potere.

La scelta di Dio di mandare un suo inviato è preceduta da una preparazione meticolosa del rappresentante facendolo passare attraverso difficoltà e vita dura nel deserto, lo passa al crogiuolo, così da farlo diventare metallo puro e malleabile. Sperimentata e temprata, la sua vita lo rende attento strumento e inviato per liberare il suo popolo.

Per essere d’aiuto ai fratelli dobbiamo quindi essere docili strumenti nelle mani di Dio e così capire che senza di lui non siamo niente. Quello che facciamo è solo merito suo e noi dobbiamo essere consenzienti al suo piano di salvezza.

La liberazione, che Dio compie, richiede impegno “totale” per essere strumenti docili nelle sue mani, nella vita personale ed insieme a tutti gli uomini “che egli ama”. B.3 ( sull’ Esodo ) E’ la sensibilità di Dio, che ascolta con particolare attenzione il grido di chi soffre e si affida a Lui. Egli ama tutte le persone, una per una, ma le sue comunicazioni sono comprese in modo diverso dalle persone. Chi soffre riconosce più facilmente i propri limiti ed è meglio disposto ad ascoltarlo e a seguirlo.

Proprio la sofferenza per la condizione di oppressione in cui si trovano a causa dei sorveglianti egiziani, aiuta gli israeliti ad aver fiducia nella promessa fatta da Dio ai loro padri. E questa fedeltà a Dio è compensata da una maggiore prolificità rispetto agli altri popoli e richiama l’invito che, fin dalla creazione, Dio ha rivolto agli uomini e alle donne, di moltiplicarsi e riempire la terra per partecipare attivamente e responsabilmente al dono grandissimo di trasmettere la vita ad altre persone.

Il tema della prolificità è ripreso anche nel racconto sull’esperienza delle levatrici di Israele che, grazie alla fiducia in Dio, hanno la saggezza e la forza di riconoscere l’errore dell’ordine dato dagli egiziani di non far nascere i figli maschi degli israeliti e dando una motivazione alla scelta di disobbedire ad un ordine contrario alla legge naturale.

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Anche le situazioni di sofferenza, ingiustizia ed oppressione, con l’aiuto di Dio, possono essere vissute con serenità, come spiegheranno meglio i molteplici riferimenti alle beatitudini: che ritroveremo in diversi passi del Vecchio e del Nuovo Testamento. La dignità delle persone, anche di quelle più povere ed emarginate. I racconti di Esodo evidenziano che quando la dignità dei lavoratori non viene rispettata, si entra in contrasto con le finalità del Creatore e questo li rende incapaci di saggezza e li espone alle sollecitazioni dell’egoismo e della paura di perdere i poteri che esercitano. Gli egiziani erano ben consapevoli della situazione di oppressione in cui tenevano gli israeliti, tant’è vero che temevano che gli israeliti, cresciuti di numero potessero allearsi con i nemici dell’Egitto e lasciare il Paese.

Le iniziative che essi assumono per prevenire i pericoli che avvertono, vanno però nel senso di accrescere ulteriormente le oppressioni nei confronti degli israeliti, obbligandoli a procurarsi anche le stoppie da impiegare nella fabbricazione dei mattoni, non riducendo la quantità della produzione e acuendo le condizioni di oppressione.

Sono fatti che si ripeteranno innumerevoli volte nel corso dei secoli e che ritroviamo pure oggi anche nei Paesi che, come l’Egitto, all’epoca di Esodo, erano tra i Paesi più sviluppati.

La parola di Dio che leggiamo in Esodo ci aiuta a continuare a sperare nell’intervento del Signore, sempre attento al grido dei poveri…

B.4 … Il culto è collegato alla giustizia ( sul Levitico )

La legge di santità ( capp. 17-26 ) mostra come la ricerca della santità è un ordine di Dio (19,2). Questo toglie ogni arma alla presunzione di farsi santi, e apre la via all'obbedienza cordiale al comandamento del Signore. Dio è Santo, cioè è giusto, in lui non c'è ingiustizia. La santità è di fatto l'osservanza della Legge come realizzazione di giuste relazioni. Il lavoro viene menzionato in quanto i suoi frutti devono essere condivisi con i poveri: esso diventa strumento di giustizia.

L’attività dell’uomo è il suo lavoro anche se non è retribuito da nessuno. Nei nostri dialoghi quotidiani è molto difficile scindere il binomio: lavoro-retribuzione.

Anche nei nostri ambienti, quando si parla di lavoro, intendendo per lavoro qualcosa di serio, di continuativo, che non fai solo finché lo vuoi, al quale dedichi il tempo che esso richiede e non quello che tu vuoi dedicargli e per il quale senti di non dover rendere conto solo a te stesso, si pensa sempre e solo a qualcosa di retribuito.

Se non è retribuito scade subito di qualità. A meno di passare nella classificazione del volontariato per cui ridiventa buono, ma insieme appare superfluo e precario. In questo modo si fatica a vedere la gratuità nel lavoro e quella vera nel volontariato.

I comandi del Signore toccano l’uomo nel suo lavoro. Il lavoro di Dio è gratuito. Nella creazione ha preparato tutto perché gli uomini possano

goderne insieme fraternamente nella gioia e Lo riconoscano con gratitudine fonte di ogni cosa. Nel Levitico il Signore, attraverso Mosè, dà agli Israeliti una lunga serie di minuziosi

comandi, prescrizioni, puntualizzazioni che si incarnano nel vivere quotidiano: si parla degli animali che stanno allevando, degli alimenti di cui si cibano, del lavoro che compiono nei campi, ecc..

Nel lavoro, nella vita nasce la risposta all’alleanza con il Signore attraverso il rito “…i pani davanti al Signore …saranno forniti dagli israeliti: è alleanza” (24,8). Il rito parte dalla vita e sale come risposta al Signore che lo ha chiesto. L’alleanza è un rapporto. Il Signore chiede. Israele risponde.

Il rito riassume nella celebrazione quello che nel tempo il popolo vive e vivifica la quotidianità con la memoria di quanto il popolo ha già avuto dal Signore.

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Il Signore propone un’alleanza precisa, che deriva dalla sua Santità e che Lui solo può dare e può conoscere. Chiama Israele, dopo averlo liberato, ad assomigliare a Lui nella gratuità, attraverso una fiducia basata su quanto Lui ha già compiuto e il popolo ha già sperimentato. “…siate santi perché io, Signore Dio vostro, sono santo” (19,1). “…Io sono il Signore che vi santifico” (22,32).

Israele ha capito che la terra e il creato in cui l’uomo si trova è segno di gratuità e non di

conquista e quindi non deve sentirsi padrone e sfruttatore ma è invitato a gioire per quanto trova come comanda il Signore “…e gioirete davanti al Signore”( 23,40). Potrà rispondere con gratitudine attraverso la celebrazione dei riti comandati che invitano a esprimere questa gratuità, che il Signore desidera anche dal Suo popolo: l’ offerta dei primogeniti, del primo covone, i sacrifici, le oblazioni, la lampada perenne, le regole nello spigolare, ecc. Fino a quando Israele si atterrà a quello che il Signore gli prescrive, farà direttamente esperienza dell’ Alleanza e sentirà il Signore camminare con lui, e il Suo stile si vedrà riflesso nell’ agire del Suo popolo. B.5 ( sul Levitico ) Abbiamo quindi ripreso le considerazioni approfondite durante la lettura del libro del Levitico sugli atti di culto quali risposte consapevoli e concrete all’azione costante di Dio in nostro favore e ci siamo interrogati sul come vivere il nostro lavoro in obbedienza a Dio. Le risposte che abbiamo cercato di dare a questa domanda, e che riportiamo per una opportuna verifica ed integrazione, sono state:

- Collegare il lavoro a specifici momenti di preghiera a Dio; in primo luogo per ringraziarLo degli interventi che rendono fruttuoso il nostro lavoro, poi per offrirgli le fatiche e le incomprensioni che incontriamo proprio sul lavoro e le ingiuste considerazioni con cui spesso è considerato;

- Invocare il Suo aiuto, indispensabile per vivere in modo più coerente l’esperienza di lavoro che la Chiesa ci propone con puntuali e stimolanti aggiornamenti della dottrina sociale, in modo che anche il lavoro sia occasione di dialogo con il Signore ed espressione della nostra obbedienza ai Suoi comandamenti;

- Partecipare in modo attento alle celebrazioni liturgiche, alle catechesi ed alle iniziative pastorali promosse dalle comunità cristiane quali percorsi essenziali per rispondere attivamente all’iniziativa che Dio, Padre, figlio e Spirito Santo, sviluppa costantemente per noi e vivere da laici adulti la dimensione sacerdotale alla quale siamo impegnati dal Battesimo e che il Concilio ha confermato;

- Offrire al Signore,anche tramite la Chiesa, una parte del reddito guadagnato attraverso il lavoro, per sostenere progetti di solidarietà intrapresi a livello locale e per far fronte ai grandi bisogni che si manifestano a livello nazionale ed internazionale.

B.6 ( sul Deuteronomio ) In questo libro incentrato sulla legge che, attraverso Mosè, Dio dà al popolo di Israele i riferimenti al lavoro riguardano in particolare i rapporti con i dipendenti ed i collaboratori, inseriti all’interno di narrazioni ed indicazioni che considerano il lavoro come una delle attività che il popolo di Israele è invitato, in modo caldo e pressante, a vivere secondo la legge di Dio, in stretto rapporto con Lui, protagonista di ogni attività umana.

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Superata la tentazione iniziale di considerare alla lettera i comportamenti che la legge mosaica ordina agli israeliti di attuare e che riflettono la cultura dell’epoca, essi mi hanno portato a riflettere sui significati di fondo: 1) della gratuita partecipazione attiva di Dio alle sorti di Israele, nonostante sia un popolo di

“dura cervice” ed incapace di essere fedele a Dio come richiamano diversi passi del Deuteronomio ed in particolare il capitolo 8, 17-18 “Guardati dunque dal dire nel tuo cuore: la mia forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze. Ricordati invece del Signore tuo Dio perché Egli ti dà la forza per acquistare ricchezze, al fine di mantenere come fa oggi l’alleanza che ha giurato ai tuoi padri”

2) della possibilità di dialogo con Dio da parte delle persone che riconoscono in Lui il Signore ed

obbediscono ai comandi che ha affidato a Mosé, richiamando in termini ancor più espliciti la grandezza della prospettiva di potersi rapportare direttamente con Dio ed in tal modo partecipare alla Sua vita ( 26, 17-19 ):“Tu hai sentito oggi il Signore dichiarare che Egli sarà Dio per te, ma solo se tu camminerai per le sue vie e osserverai le sue leggi i suoi comandi e le sue norme ed ascolterai la sua voce. Il Signore ti ha fatto oggi dichiarare che tu sarai per lui un popolo particolare, come Egli ti ha detto, ma solo se osserverai tutti i suoi comandi,

3) del nesso profondo tra il rapporto con Dio e quello con i fratelli e con ogni creatura,

soffermandomi in particolare sui riferimenti a quest’ultimo aspetto, per le sue più dirette connessioni con il lavoro, ma tenendo ben presenti anche le altre due questioni ed approfondendo qualche sollecitazione di carattere generale ed alcune dei numerosi richiami a specifici aspetti del lavoro.

In termini generali mi hanno colpito i riferimenti fortemente innovativi della legge mosaica rispetto alle culture di altri popoli: alla difesa della dignità delle persone che va ben oltre i doveri di assistenza, soprattutto ai fratelli israeliti, alle vedove agli orfani, ma che si estendono anche ai forestieri.

Sempre nell’ampio quadro, così ricco e intensamente profondo della teologia e della spiritualità del Deuteronomio, stralcio solo alcuni passi che possono riguardare la tematica del lavoro.

In primis mi ha fatto pensare l’orizzonte entro cui si muove tutto il Deuteronomio: è l’orizzonte del “ camminare con Dio ”, della consapevolezza umile e coraggiosa di essere il “suo popolo”; ogni situazione prende rilievo da questo sfondo: esprime un essere o un non-essere del Signore e con il Signore. - Dt 1,17: “darete ascolto al piccolo come al grande”. Siamo in un contesto di giudizio, ma, mi pare, il criterio si possa allargare: per essere uomini, così come li vuole il Signore, occorre non basarsi su criteri di superiorità o inferiorità, ma allargare la dignità, il diritto d’ascolto a tutti (andrebbe tenuto presente in ogni relazione); - Dt 11,8-17: il lavoro è un’attività affidata all’uomo, sulla quale si posano sempre gli occhi del Signore; quindi ciò che maneggi non è tua proprietà e tu non sei padrone di niente, tanto meno delle persone; - Dt 16,13: il lavoro come festa del raccolto; dev’esserci sempre un raccolto su cui fare festa perché è a favore degli uomini.