Genesi della filosofia morale in Kant
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GENESI DELLA FILOSOFIA MORALE IN KANT
AUTORE: Tomiri Giusy
Kant aveva tenuto lezioni di filosofia pratica nel semestre invernale del 1756-57, dove fissa un
punto importante per gli sviluppi successivi: per comprendere il concetto di obbligatorietà,
fondamentale per ogni dottrina morale, è necessario distinguere tra regole che obbligano sotto
condizioni e regole che obbligano senza. La prima è la necessitas problematica, l’altra la
necessitas legalis.
Solo le regole che esprimono un obbligazione incondizionata hanno autentico significato morale.
L’errore delle filosofie morali del suo tempo era di confondere i principi della prudenza o del buon
senso e i principi che indicano il comportamento conveniente rispetto a qualsiasi fine. La moralità
non si può ridurre solo alla corretta scelta dei mezzi per raggiungimento di fini soggettivi.
Tra il 1764-84 Kant critica e classifica le morali degli antichi (stoici, epicurei, cinici) e moderni
(Hobbes, Hume, Crusius, Wolff) con un continuo sforzo comparativo di ridefinizione dei principi
della propria filosofia.
Le dottrine morali prese in considerazione sono tre:
• la dottrina di Wolff, il cui principio supremo è la perfezione morale.
• la dottrina di Crusius, in cui bisogna agire in conformità al volere di Dio
• la dottrina del sentimento morale di Hutcheson, come la facoltà in grado di sentire il bene
I concetti della filosofia morale sono in una situazione di incertezza perché bisogna chiarire qual è
la facoltà che ne deve giudicare, se sia solo la facoltà conoscitiva (come nei primi due) o se a
decidere sia il sentimento.
Inizialmente Kant aveva aderito alle teorie inglesi del senso morale rappresentate da Hutchson e
Hume, secondo i quali il sentimento come facoltà può fornire i principi materiali della morale,
come quello della bellezza e della dignità della natura umana: chi agisce secondo tali sentimenti può
amare se stesso e gli altri di un amore imparziale, e può agire sulla base di principi universali e
immutabili.
Al contrario, chi agisce per compassione o simpatia lo fa sulla base di stimoli che dipendono da
impressioni contingenti e instabili.
Ma nella dissertazione del 1770 “Della forma e dei principi del mondo sensibile e intelligibile”,
Kant esclude che la morale possa essere fondata sul sentimento, perché il sentimento in sé non è
capace di universalità rigorosa, mentre la morale rivendica una validità universale e oggettiva.
A segnare l’orientamento teorico sviluppato nella Fondazione fu l’incontro con Rousseau e il suo
Contratto sociale, a partire dal quale inizia a definire l’obiettivo di fondare la sua filosofia morale
sulla ragione come coglimento dell’universalità. Se la volontà è libera, serve un fondamento
necessario per le proposizioni morali che utilizza, essa è l’universalità come applicabilità a tutti i
soggetti del medesimo fondamento del volere.
Il problema di come era possibile concepire un dovere incondizionato e assoluto fu concepito già
nel 1772.
La filosofia è la scienza razionale dei principi, non una casistica di comportamenti umani. La
morale non è una questione di apprendimento empirico nell’abilità di evitare i mali e ottenere i beni,
ma si basa su principi della ragione che valgono anche per la prassi.
Nel secondo capitolo della Dottrina trascendentale del metodo, “il canone della ragion pura”, Kant
afferma che la ragion pura può definire principi morali, perciò il canone è un insieme di principi a
priori che regolano il retto uso di detta facoltà. Nel suo uso pratico la ragione pura possiede i
principi che fondano l’esperienza morale, a differenza della ragione teoretica che non ha canone.
I principi fondano la possibilità di azioni morali e sono le leggi morali.
La determinazione della volontà in vista di qualcosa che è utile o dannoso è detta libera perché
esige lo sganciamento dall’arbitrio dell’immediatezza di ciò che si desidera. Ma una cosa è la
libertà con cui l’arbitrio viene determinato a negare una passione immediata per ottenere un utile a
lungo termine, un'altra cosa è la libertà con cui l’arbitrio è determinato a compiere un azione morale
in se stessa, senza riguardo per utilità futura.
Si può definire razionale reprimere una passione per un bene futuro, ma non è detto che ciò sia
morale. L’indipendenza può essere relativa, non implicare una determinazione assolutamente
autonoma, perché il bene futuro potrebbe essere acquisizione illecita di capitale.
Da Crusius Kant riprendeva il concetto centrale dell’etica, quello di obbligazione o normatività.
Solo il dovere di compiere un azione non in vista di altro fonda l’obbligazione morale, Kant è un
deontologista perché sostiene che si danno doveri morali assoluti, fautore del dovere per il dovere.
LA FONDAZIONE DELLA METAFISICA DEI COSTUMI →1785
Nel 1781 Kant non aveva programmato un opera dedicata alla filosofia morale, perché la Critica
della Ragion Pura avrebbe dovuto costituire la propedeutica a entrambi i rami della metafisica,
quella speculativa e quella dei costumi.
Nel 1785 pubblica la Fondazione della metafisica dei costumi, dove introduce la nozione di critica
della ragion pura pratica. La Crpura non è più sufficiente come propedeutica a tutto il sistema e
anche la ragione pratica ha bisogno di critica.
La Fondazione accolse il compito di presentare al pubblico la filosofia morale kantiana, mentre
nella Critica della Ragion Pratica Kant tenterà di risolvere diversamente i problemi che in essa
erano rimasti aperti, modificandone la loro configurazione.
Il programma della Fondazione è la ricerca e la definizione del supremo principio in grado di
fondare l’autonomia della ragion pratica, esplicitamente in contrasto con le etiche dominanti
nell’Europa del 700.
L’unico soggetto pensabile come assolutamente buono è la volontà, e per produrre tale bene la
volontà deve sottoporsi ad una regola.
Il metodo della Fondazione è quello analitico, inizia dal condizionato e risale ai principi.
Dall’analisi della conoscenza morale comune emerge il fatto che gli esseri razionali sono in grado
di pensare un dovere assoluto e agire in base a esso, avendo come motivazione dell’azione solo
questi principi che comportano il concetto di dovere incondizionato. L’autonomia è la proprietà
della volontà di essere legge a se stessa.
Tale programma esprimeva le idee di fondo dell’illuminismo secondo cui l’uomo doveva essere in
grado di definire da se stesso mediante la propria ragione, senza la necessità di rivelazioni religiose
una determinazione pratica del bene.
Per fondare un etica improntata sul principio di autonomia per Kant bisogna abbandonare la
credenza di un rapporto logico-ontologico tra la dimostrazione dell’esistenza di Dio e le leggi
morali.
Ciò che nella Fondazione rimane irrisolto è la deduzione dell’imperativo e il concetto pratico di
libertà, per mostrare l’unita della ragione teoretica e pratica attraverso la possibilità di pensare dal
punto di vista pratico il sovrasensibile. Kant non affronta l’uso noumenico delle categorie, rivolto
al pensiero di oggetti non intuibili (Dio, anima e mondo).
Nella prefazione della CRPratica tratta degli esisti aporetici della fondazione riguardo la possibilità
di pensare il soprasensibile, per dare una spiegazione della libertà.
Nella Fondazione mancano i postulati di anima e dio e Kant ha scritto la CRPratica per poter
aggiungere essi in una formulazione libera dai moventi che dipendano da scopi materiali,
dall’interesse personale o dalla paura di punizioni divine.
Dal momento che l’obbedienza alla legge morale rende degni di ogni felicità ma nel mondo
presente questa non è in proporzione con quella, la credenza nell’immortalità e in dio è da postulare
onde non venga meno la realtà delle norme morali. Nel caso in cui Dio non esiste ci si troverebbe al
dilemma di comportarsi o da furfante nel caso tornasse utile o da stolto nel caso si sacrificasse per
qualcosa come la virtù che sarebbe solo una chimera.
Kant ammetteva i postulati di Dio e anima fondandoli sull’argomento che i principi morali non
avrebbero alcuna forza, perché senza virtù connessa alla felicità verrebbe meno la realtà delle
norme morali. La tesi che solo l’aspettazione di pene o premi ultraterreni può costituire il movente
per obbedire alla legge morale viene rifiutata da Kant, in quanto anche senza tale prospettiva la
legge morale conserva intatta la sua forza e comanda categoricamente.
LA STRUTTURA DELLA FONDAZIONE
Nelle Fondazione Kant inizia con l’analizzare le premesse della comune concezione della
moralità per risalire ai principi a priori, universali e necessari.
La struttura si divide in 3 sezioni:
1. Nella prima analizza il concetto di volontà buona
2. Nella seconda analizza il concetto di un dovere assoluto non fondato su motivazioni
empiriche ma sull’imperativo categorico.
3. Nella terza analizza la libertà dell’essere razionale sulla base dell’imperativo categorico
1 SEZIONE
Se il valore morale dell’azione sta solo nel principio con cui la volontà agisce, tale principio non
può essere materiale (derivato dall’oggetto dell’azione) ma formale. Formale è la legge, e dovere
significa comportarsi in modo che io possa volere cha la mia massima debba diventare legge
universale. La massima deve modellarsi sull’universalità della legge.
2 SEZIONE
L’imperativo categorico comanda in modo assoluto e incondizionato senza tener conto delle
circostanze esterne e delle motivazioni sensibili dell’azione. Esso è una proposizione sintetica-
pratica a priori, che non deriva dal fine a cui si riferisce ma la sua assolutezza sta nel comando
stesso.
La formula di tale imperativo e quella che esprime per la volontà il significato di necessità pratica
assoluta. Tale formula è espressa dal concetto di dovere come adeguamento ad una legge
oggettiva e universale.
Kant classifica le tre formule in relazione al contenuto delle massime:
• una forma espressa dall’universalità della legge
• una materia, cioè il fine che è l’essere ragionevole stesso
• una determinazione del regno dei fini, espressa dalla volontà come universalmente
legislatrice.
3 SEZIONE
Discute sul problema della libertà come carattere specifico della costituzione del soggetto. L’essere
razionale in quanto intelligenza o pura ragione appartiene a un mondo nel quale è lecito pensarsi
come libero, indipendente dal meccanicismo che regna nel mondo naturale.
Vi è anche la definizione del concetto di autonomia, come principio dell’autonomia della volontà,
per cui la volontà e legge a se stessa. La morale di Kant definisce l’essere razionale come
indipendente rispetto al mondo, libero giudice e attivo rispetto a esso.
LA STRUTTURA DELLA CRITICA DELLA RAGION
PRATICA
La Critica della ragion pratica è scritta sul modello del trattato, procede con una definizione degli
elementi primi e sposa un metodo sintetico adeguato al fine dell’elaborazione sistematica e
scientifica della conoscenza.
Se l’analitica della ragion pura teoretica iniziava dall’intuizione per passare ai concetti degli
oggetti e terminare coi principi che organizzano la conoscenza in una totalità, la CRpratica opera
con gli oggetti non per conoscerli ma per produrli, determinando la volontà a compiere azioni.
Essa inizia dai principi per definire poi le condizioni di applicazione degli stessi:
1. dai principi
2. ai concetti
3. infine i sensi.
Non tratta della sua facoltà di conoscere oggetti ma di produrli, perché la ragione pura pratica
fornisce una legge alla volontà. La forma sistematica è quella propria del sillogismo:
dal principio morale rinvenuto nella formulazione dell’imperativo categorico
alla sussunzione sotto esso di azioni buone o cattive
alla determinazione soggettiva della volontà, l’individuale nella conclusione
La CRPratica è divisa in:
1. Dottrina degli elementi
Analitica
Dialettica
2. Dottrina del metodo
ANALITICA
Definizione dei principi pratici come leggi universali e oggettive e come massime valide solo
soggettivamente. Il principio di determinazione della volontà è la legge morale che non è materiale
ma formale.
Si inizia dai principi, si passa ai concetti e si perviene alla relazione a priori della ragion pratica
pura con la sensibilità come sentimento morale, i sensi:
Nel primo capitolo viene data una definizione nuova del principio supremo della moralità,
proprio di una ragione pura pratica che può determinare le azioni. Esposizione more
geometrico, definizione dei principi pratici come leggi universali e oggettive.
Nel secondo e terzo vengono definiti la finalità e l’intento dell’azione, cioè l’oggetto e il
movente. Qui c’è la critica della ragion pratica, in base ai principi bisogna stabilire quali
sono i vero oggetti di una ragione pratica pura. È la legge morale a dover definire cosa è
bene e cosa è male, non gli oggetti.
1. motivo determinante è elemento causa dell’atto della volontà, fondamento
dell’azione in senso oggettivo (legge morale).
2. movente, fondamento dell’atto della volontà come modalità soggettiva, causa
dell’azione dal punto di vista soggettivo. I modi in cui il soggetto può percepire la
legge morale come propria motivazione ad agire.
3. I moventi, come causa dell’azione. La ragione pratica opera producendo i suoi
oggetti, le azioni, e la critica deve iniziare dai principi in base ai quali si producono
azioni, per definire le condizioni di applicazione dei principi.
L’unico movente della ragione pratica è la legge morale, il sentimento prodotto dalla legge è il
rispetto, come prodotto sensibile dell’assunzione della legge morale. Il rispetto è l’elemento che
mostra alla ragione la diversità tra momenti derivati dalla sensibilità e quelli della legge morale.
DIALETTICA
Nella Critica della ragion pura la soluzione delle antinomie cosmologiche era fondata sulla
dottrina dell’idealità dello spazio e del tempo, con distinzione tra il mondo fenomenico e
noumenico.
Anche nella Critica della ragion pratica vi è un antinomia rispetto alla determinazione del
concetto di sommo bene:
Tesi, il sommo bene è possibile perché lo richiede la legge morale. La tesi è falsa per il
mondo fenomenico ma vera per quello intelligibile, nell’al di là, individuate le
condizioninecessarie come l’anima e dio. Concezione del sommo bene come felicità,
epicureismo.
Antitesi, il sommo bene è impossibile perché la proporzione di virtù e felicità non è
analitica e garantita nel mondo. È vera se per il mondo si intende quello fenomenico dove
tutto è sottomesso alle leggi di natura necessarie. Concezione del sommo bene come virtù.
Necessità di concepire il sommo bene come sintesi, affinchè la pratica della virtù sia connessa alla
felicità. Kant argomenta la necessità che la ragione pratica , superando i limiti imposti dalla ragion
pura, ammetta proposizioni trascendenti per introdurre successivamente i postulati
DOTTRINA DEL METODO
Il metodo che raccomanda per l’educazione morale si caratterizza come maieutico, anzichè
inculcare formule astratte si sottopongano ai ragazzi casi concreti e li si lascino valutare a loro
stessi. Ma perché gli esempi siano appropriati e necessario che mettano in luce la virtù nella sua
purezza, senza compromessi come l’amor di sè. Non bisogna incoraggiare l’essere virtuosi con
prospettive di vantaggio personale o con pretese ambiziose.
Pedagogicamente è opportuno presentare casi che mostrino come la nostra anima rivela tutta la sua
eccellenza solo nella sofferenza provocata dal sacrificio delle inclinazioni al rispetto per la legge
morale.
La virtù ha un gran valore perché costa molto, non perché si accompagna al minimo vantaggio o
perché sia attraente.