Gambarie d'Aspromonte, 25-26 settembre 2014 - Il vaso di Pandora

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La posizione di garanzia dello psichiatra nella gestione del paziente psichiatrico: una review della attuale dottrina giurisprudenziale Gambarie 26 Settembre 2014 Dott.ssa Maria Ciafone- DSM Reggio Calabria

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DR.SSA MARIA CIAFONE - LA POSIZIONE DI GARANZIA

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La posizione di garanzia dello psichiatra nella gestione del paziente psichiatrico: una review della attuale

dottrina giurisprudenziale

Gambarie 26 Settembre 2014

Dott.ssa Maria Ciafone- DSM Reggio Calabria

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La responsabilità dello psichiatra comprende sia le condotte attive che le condotte omissive.

La condotta è attiva quando il soggetto pone in essere unfattore che innesca il processo causale sfociante nell’eventolesivo. Un fattore cosiddetto iatrogeno, ossia provocato dalmedico. Un operatore sanitario, ad esempio, somministra unfarmaco con una posologia inadeguata o ignorando eventualicontroindicazioni, cagionando così la morte del paziente.Ancora, la condotta è attiva quando il fattore realizzato dalmedico non innesca il decorso causale, ma lo accelera soltanto.Ad esempio, interviene chirurgicamente su un paziente giàdebilitato da una certa malattia, accelerando il processopatologico, con conseguente anticipazione dell’evento letale.

La condotta è, invece, omissiva quando il soggetto non pone inessere un fattore ostacolante il processo causale già esistente,ontologicamente, in rerum natura, capace di produrreautonomamente l’evento lesivo.

Nell’accertamento dell’esigibilità della condotta di protezionein favore della parte debole (la condotta omissiva) ed ilverificarsi dell’evento dannoso vi è la posizione di garanziadello psichiatra.

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La posizione di garanzia è una locuzione che utilizziamoper spiegare il contenuto della norma giuridica postadall’art. 40 c.p. comma II ( rapporto dicausalità) "nessuno può essere punito per un fatto previstodalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, dacui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza dellasua azione od omissione”,

2° comma : “non impedire un evento, che si ha l’obbligogiuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

l’accento andrà posto su due termini (azione edomissione) nonchè su quello che in diritto viene definitocome nesso (rapporto) di causalità.

La posizione di garanzia è una situazione di fatto in cui ilgarante si trova senza che questa situazione di garantederivi da una legge o da un contratto.

La locuzione “posizione di garanzia” è invero unaespressione troppo generica, quasi atecnica, che spessosostituisce quella di obbligo giuridico di tutela, unica adessere menzionata nell’art. 40 comma II c.p.

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Rapporto di causalità: Tizio rifila un pugno a Caioprocurandogli la frattura del setto nasale. Caio vienesoccorso da un’ambulanza, che, sciaguratamente, duranteil trasporto in ospedale, esce di strada e finisce perincidentarsi; Caio, a seguito del sinistro, decede. Ecco ilpunto: giuridicamente Tizio non è responsabile della mortedi Caio, ma solo del suo ferimento e ciò perchè il pungorifilato non è stata la"causa" della morte ma, come si dicein gergo giuridico, soltanto l’"occasione". E’ vero che senzapugno Caio non sarebbe morto, ma è altrettanto vero cheper la frattura del setto nasale non si muore; ilsopravvenuto incidente, quindi, ha eliminato il rapporto dicausalità.

Il nesso causale è chiaramente intuibile nella condottaattiva mentre nella condotta omissiva il nesso di causalitàdiventa opera di una ricostruzione probabilistica.

Si parla cioè di giudizio controfattuale

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Volendo usare il criptico lessico della Cassazione "Il nessocausale può essere ravvisato quando, alla stregua delgiudizio controfattuale condotto sulla base di unageneralizzata regola di esperienza o di una legge scientifica- universale o statistica - si accerti che, ipotizzandosi comerealizzata dal medico la condotta doverosa impeditivadell’evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato,ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamenteposteriore o con minore intensità lesiva".

Il ragionamento controfattuale consiste nell’avere, al di làdi ogni ragionevole dubbio, la prova contraria chequell’evento non si sarebbe verificato se quella condotta inesame non fosse stata posta in essere.

Viene così abbandonato ogni atteggiamento di ossequioalla probabilità ed alla certezza.

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Lo psichiatra ha l’obbligo giuridico, ex art. 40 commaII c.p., di impedire gli atti auto ed eteroaggressivi delpaziente?

In termini ancora più espliciti: lo psichiatra può essereritenuto responsabile per omesso impedimento delsuicidio del paziente o dell’omicidio da questicommesso?

Con questa domanda ci si imbatte in uno dei piùtormentati e cruciali problemi della dogmatica delreato omissivo improprio: l’individuazione delcontenuto della posizione di garanzia.

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La tecnica utilizzata dal legislatore per la tipizzazione delreato omissivo improprio, invero, se da un lato persegueistanze solidaristiche, dall’altro non consente il pienorispetto dei principi di riserva di legge e determinatezza,complice la laconicità della clausola di equivalenzacontenuta nell’art. 40 comma II c.p.

Lascia, dunque, all’interprete il compito di delineare iconfini e l’oggetto della posizione di garanzia. E il compitosi fa ancora più complicato quando il destinatario dellaposizione di garanzia, il cosiddetto garante, è un medicoparticolare. Un medico che non ha il solo dovere dioccuparsi della terapia, ma anche della condotta delpaziente e cioè lo psichiatra.

Detto ciò, occorre chiedersi se nel fascio di obblighi checompongono la posizione di garanzia rientri anche quellodi evitare conseguenze lesive per il paziente e per i terzi.

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Trattasi di un quesito che richiede da subito una precisazione:l’espressione posizione di garanzia è correttamente riferita alle soleipotesi di responsabilità omissiva. Non può parlarsi, pertanto, diposizione di garanzia quando oggetto di accertamento sia unacondotta commissiva.

L’art. 40 comma II c.p., con l’espressione “non impedire un evento”, faappunto riferimento ad una condotta omissiva, cioè al mancatoinserimento di un fattore ostacolante il processo causale cheautonomamente può sfociare nell’evento lesivo. Questo principio èstato affermato, a chiare lettere, da Cass. IV, n. 4107/2009, imputatoD.xx e altro. Riassumiamo brevemente il caso: un uomo, affetto dagravi disturbi psichici, spara dalla propria abitazione, sita al terzopiano di un edificio, in direzione dei passanti. Ne colpisce alcuni,provocando loro gravi lesioni. La polizia giudiziaria rinviene,all’interno del palazzo, il cadavere di una donna e nell’appartamentodell’uomo, il corpo senza vita dello stesso e della sua convivente. Lapistola era detenuta legalmente dallo sparatore, grazie ad uncertificato anamnestico rilasciatogli da uno psichiatra. Certificato poipresentato ad un medico militare che, all’esito della visita, redige asua volta il certificato per il conseguimento della licenza per il portod’armi. Entrambi i medici vengono condannati nel merito e laCassazione conferma la condanna.

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La sentenza appare di notevole rilievo, poiché asserisce, inmaniera inequivocabile, che non ha senso chiedersi se i medicisiano investiti della posizione di garanzia, proprio perchétrattasi di una condotta attiva, essendosi realizzata con ilrilascio di certificati da parte di entrambi. Non si deve, dunque,procedere alla ricerca della posizione di garanzia in coloro chehanno posto in essere un antecedente, causalmente efficiente,nella verificazione dell’evento e la cui condotta va riportata, sicet simpliciter, all’art. 40 comma I c.p.

La sentenza rappresenta una rarità nel panoramagiurisprudenziale, in quanto spesso si assiste all’individuazionedella posizione di garanzia, seppur non vi sia necessità di farloproprio perché trattasi di condotta attiva. Un esempio èrappresentato dalla Sentenza Pozzi, in cui la Cassazione avevasostenuto la presenza, in capo allo psichiatra, di una posizionedi garanzia diretta ad evitare il verificarsi di aggressioni allasfera giuridica altrui. La condotta, tuttavia, era consistita nellaincongrua riduzione della terapia farmacologica e, per pertanto,si trattava di condotta attiva.

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Un chiaro esempio è Cass. IV, n. 10795/2008, imputato Pozzi. Un paziente, affetto da schizofrenia paranoide cronica, è degente

presso una struttura psichiatrica residenziale. Ogni tre settimane gliviene praticata un’iniezione di Moditen, un neurolettico a rilascioritardato. Chiede allo psichiatra curante che il trattamento vengasospeso. Lo psichiatra dapprima dimezza la dose del farmaco e poisospende il trattamento. Il trattamento continua poi con lasomministrazione di Entumin gtt ( 5+8/die) e Diazepam a bassodosaggio. Decide poi di riprendere la terapia, rinforzandola conl’associazione del Clopixol, poiché il quadro clinico si riacutizza. Ilpaziente, infatti, rivolge minacce di morte ad un operatore dellastruttura: è convinto che questi voglia avvelenarlo. Nutre altresì laconvinzione che due pazienti decedute nella struttura, sue amiche,siano state in realtà uccise. Sei giorni dopo la reintroduzione deltrattamento, l’operatore si reca nella sua camera per somministrargli ifarmaci, ma viene colpito mortalmente dal paziente con un coltello.Allo psichiatra viene addebitato di aver incongruamente dispostoriduzione e sospensione del farmaco e di non aver disposto il t.s.o.Quest’ultimo Quest’ultimo addebito, che è quanto interessa in tema diesposizione di garanzia, viene escluso in Cassazione, sostenendo che ilpaziente accettava gli interventi terapeutici che gli venivano proposti eche, quindi, difettava un presupposto necessario per disporre ilricovero coatto: il rifiuto delle cure.

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Un altro caso, frutto di questo orientamento maturato inseno alla giurisprudenza di merito, è quello esaminato dalTrib. Di Busto Arsizio nel 2008. Un paziente, affetto almomento del fatto da psicosi cronica, con diagnosi didisturbo delirante di tipo persecutorio, colpisceviolentemente con un colpo di martello alla testa unaragazzina di dodici anni. Lo psichiatra che lo ha in curaviene condannato per il delitto di lesioni personali colpose(art. 590 commi I e II c.p.). La colpa dello psichiatra siincentra sulla sottovalutazione della patologia e, per quelche ci riguarda, sulla mancata attuazione del ricoverocoatto. Secondo l’organo giudicante, il rifiuto di farsivisitare, la mancata accettazione della terapiafarmacologica, nonché la grave forma di malattia da cui eraaffetto avrebbero giustificato di per sé il t.s.o e, quindi, lanecessità e l’urgenza di intervenire.

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L’analisi delle sentenze dal 1978 ad oggi mostra un atteggiamentotendenzialmente incline all’affermazione della sussistenza dellaposizione di garanzia, in capo all’operatore di salute mentale.

Le numerose pronunce assolutorie, infatti, non si sono basatesull’esclusione della stessa, quanto sull’assenza di altripresupposti della responsabilità penale, come il nesso causale ola colpa.

La giurisprudenza, inoltre, all’interno della posizione di garanziadistingue due diverse tipologie: una posizione di protezione euna posizione di controllo.

La prima ha ad oggetto la protezione di soggetti, che indeterminate circostanze, non sono in grado di provvedere a sestessi per età, infermità o altra causa e comporta il dovere diimpedire eventi dannosi nei loro riguardi. Posizione diprotezione, dunque, che si attaglia perfettamente all’operatorepsichiatrico. Egli, infatti, ha l’obbligo di proteggere la vita el’incolumità del paziente da potenziali comportamenti auto oetero lesivi, mediante l’attuazione di precise cautele.

Ma da dove scaturisce tale dovere di cura? In termini ancora piùsemplici: quale è la fonte della posizione di protezione?

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Secondo un primo indirizzo, meglio noto come concezioneformale, l’obbligo di impedire l’evento deve trovare ilproprio fondamento in un atto dotato del crisma dellagiuridicità formale, individuando così quali fontidell’obbligo in oggetto, la legge e il contratto.

La teoria, se da un lato, ha il merito di soddisfare ilprincipio di legalità, stante il disposto dell’art. 40 comma IIc.p., dall’altro non consente di individuare quegli obblighiin grado di fondare la responsabilità penale per omessoimpedimento dell’evento.

Ai difetti della concezione formale risponde quellasostanzialistico - funzionale, secondo la quale la fonte dellaposizione di garanzia va individuata con riguardo allasituazione o posizione fattuale del soggetto nei confrontidel bene giuridico tutelato.

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Ai difetti della concezione formale risponde quellasostanzialistico - funzionale, secondo la quale la fontedella posizione di garanzia va individuata con riguardoalla situazione o posizione fattuale del soggetto neiconfronti del bene giuridico tutelato.

La teoria, pur avendo il pregio di selezionare tra gliobblighi di attivarsi quello di garanzia, non si mostrarispettosa del principio di legalità.

Tale concezione, infatti, lascia in ombra la giuridicitàdell’obbligo richiesta dall’art. 40 II comma c.p.,accogliendo una soluzione completamente priva diqualsiasi riferimento ad essa.

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Nella letteratura italiana è, attualmente, prevalente la teoria mista. Secondo tale concezione, gli obblighi di impedimento dell’evento

trovano il proprio fondamento in una fonte formale e si dirigono asoggetti che si trovano a potere di fatto garantire determinati benigiuridici.

A ben vedere, questa teoria cerca di operare una sintesi tra istanzedi legalità ed esigenze di effettiva garanzia.

Nella giurisprudenza di legittimità si è fatta strada una nuovaconcezione che trova la propria matrice nell’ambito dellaresponsabilità medica

La suddetta teoria presta attenzione alla posizione che il soggettooccupa in una data situazione, sostenendo che una posizione digaranzia del medico può sorgere esclusivamente conl’instaurazione della relazione terapeutica tra il predetto e ilpaziente.

Rapporto che può instaurarsi su base contrattuale, come nel casodi paziente che si affidi al medico di fiducia; ma anche in base allanormativa pubblicistica di tutela della salute, come avviene nelcaso di ricovero in una struttura ospedaliera o in comunitàprotette.

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La posizione di garanzia sussiste per il solo fatto di unrapporto di fatto tra medico e paziente. Questo, perciò, siverifica anche quando non vi sia stata una formaledistribuzione degli incarichi all’interno della struttura.

Un esempio di questo orientamento è Cass. IV, n.10795/200893, imputato Pxxx, già analizzata con riguardoad un altro aspetto della materia di cui si discute. Nel casodi specie, l’imputato (medico psichiatra) aveva compiti diconsulenza esterna e di partecipazione ad un gruppo dilavoro per il miglioramento delle procedure. Non era,dunque, incardinato all’interno della struttura sanitaria.

I giudici della Suprema Corte, nonostante l’assenza di unaformale determinazione degli incarichi, avevano sostenutoche l’imputato fosse gravato di una posizione di garanzia,sotto il profilo di un obbligo di protezione.

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Quale che fosse l’incarico formalmente attribuito allopsichiatra, egli aveva di fatto tutelato la vita e l’incolumità delpaziente.

Egli, invero, aveva accettato l’affidamento della cura delmalato, deciso di modificare la terapia farmacologica,nonché stabilito le modalità di svolgimento dei colloquiterapeutici.

La sentenza mette così in evidenza l’importanzadell’instaurarsi della relazione terapeutica, decretando iltramonto di una concezione meramente formale dellaposizione di garanzia.

Sulla posizione di garanzia come funzione di protezione delpaziente dai suoi ipotizzabili comportamenti autoaggressivinulla questio??!!

Le difficoltà emergono più evidenti, se possibile,ogniqualvolta sia necessario giustificare la posizione digaranzia con riguardo ai delitti commessi dal paziente.

Possiamo sempre parlare di “protezione” oppure sarebbepreferibile riferirsi al “controllo” del malato mentale?

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Il termine controllo, come abbiamo visto, tende ad essere esiliatodal linguaggio psichiatrico.

A volte, però, è inevitabile il suo rimpatrio. Il pazientepsichiatrico, spesso, si mostra pericoloso e, pertanto, capace dicomportamenti aggressivi verso terzi.

Un recente orientamento della giurisprudenza di merito, haaperto la strada ad una nuova fisionomia della posizione digaranzia, riconducendola nell’alveo della posizione di controllo,seppur circoscritta all’interno dei luoghi di degenza.

La posizione di controllo assegna al garante il dovere di impedireche determinate fonti di pericolo, nei confronti delle quali abbiapoteri di signoria, rechino danni a terzi.

La violenza e l’aggressività del paziente, secondo questoindirizzo, vengono in rilievo non solo come alterazionicomportamentali correlate alla malattia, ma come fonti dipericolo da monitorare.

Il controllo, dunque, è parte dell’insieme di segmenti checompongono la sfera di obblighi dei soggetti responsabili, a variotitolo, della struttura sanitaria.

Una posizione di controllo che è, quindi, connessa ai doveri disicurezza che si rivolgono ad ogni operatore psichiatrico.

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Il comportamento illecito posto in essere del pazientediventa, così, fonte di responsabilità penale per coloro chenon hanno rispettato quei doveri volti ad impedire ilconcretizzarsi del pericolo derivante dalla malattiapsichica.

Tali principi sono stati affermati dal tribunale di Milano nel2008.

Il giudice ambrosiano aveva, infatti, ritenuto che laposizione di garanzia degli operatori psichiatrici nonpotesse limitarsi alla cura del singolo paziente, ma dovesseestendersi agli eventuali pericoli scaturibili dallainterazione tra i degenti, nonché dalle potenzialiaggressioni fisiche dell’uno nei confronti dell’altro.

Il modello di organizzazione gestionale, perciò, devegarantire non soltanto la cura, ma anche la sicurezza delpaziente, in modo tale da salvaguardare l’incolumità deimalati e di tutti coloro che lavorano all’interno della

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A tal fine è necessario riconoscere la presenza dei fattori dirischio, definirne gli aspetti specifici, nonché formulare un pianodi prevenzione e di intervento.

L’analisi della giurisprudenza, al riguardo, evidenzia comenormalmente i soggetti condannati siano il medico curante delpaziente ricoverato e gli infermieri per gravi negligenzenell’attività di sorveglianza.

Un caso che vede condannati i medici per gli atti lesivi compiutidal paziente è Cass. IV, n. 18950/2009, imputato Pexxxxx.

Un paziente oligofrenico, degente presso una clinicaneuropsichiatrica, aggredisce violentemente un altro paziente,cagionandone la morte per arresto cardiocircolatorio, successivoa trauma cranioencefalico.

I due medici che lo hanno in cura vengono ritenuti colpevoli deldelitto di omicidio colposo, per aver omesso adeguate cautele eidonei presidi terapeutici, che probabilmente avrebberodiminuito la carica aggressiva dello stesso paziente. La sentenzaè assai significativa poiché ritiene sussistente la posizione digaranzia, sia in capo al medico specialista che al medico di turno.

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La Suprema Corte ritiene infondata la deduzione difensiva diquest’ultimo, il quale aveva eccepito la mancanza di competenzain materia, essendo un semplice medico di turno, privo dispecializzazione in neuropsichiatria.

Entrambi i medici della clinica neuropsichiatrica, secondo laCassazione, sono gravati, nei confronti dei pazienti ricoverati, diuna posizione di garanzia, che impone loro di evitare eventilesivi cagionati da altri pazienti.

Nella specie, il medico in posizione apicale ha l’obbligo diimpartire direttive cautelari organizzative, al fine di impedire chepazienti aggressivi vengano in contatto tra loro.

Tale medico e quello di turno hanno, altresì, l’obbligo dicontenere l’aggressività dei pazienti con adeguati trattamentifarmacologici. Il caso appena esaminato evidenzia, così,l’importanza della posizione che il soggetto occupa in una datasituazione, sottolineando che una posizione di garanzia sorge, inrealtà, con l’instaurasi della relazione terapeutica tra il medico eil paziente e, dunque, indipendentemente da qualifiche formali.

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TSO: posizione di garanzia dello psichiatra in caso di mancata esecuzione

Nel 1990 la Corte Costituzionale( il c.d. Il Giudice delleleggi) ha, invero, affermato che l’imposizione di untrattamento sanitario, per essere compatibile con l’art. 32Cost., debba essere diretta non soltanto a migliorare opreservare lo stato di salute di chi vi sia sottoposto, maanche a proteggere l’incolumità degli altri soggetti.

Si pensi, allora, alle conseguenze derivabili da unapproccio differenziato, quando con una sola azione ilpaziente realizzi più eventi lesivi, in danno sia di se stessoche di terzi.

Ad esempio, il malato mentale si suicida lasciando aperto ilgas, provocando così il crollo del palazzo, in cui perde lavita anche un condomino. Accogliendo la tesi delladifferenziazione, il garante avrebbe l’obbligo di impedire ilcompimento dei soli atti autolesivi.

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Possono venire in considerazione diverse ipotesi di reato. Vediamo una prima: t.s.o. dovuto ma non disposto. In questo caso può profilarsi il reato di abbandono di persona

incapace, previsto dall’art. 591 c.p.; se poi dall’abbandono derivala morte del paziente ne consegue l’aggravante del comma III.

Un caso giurisprudenziale nel quale è stato contestato , ma poiescluso, il suddetto reato è quello esaminato dalla Corte d’Assisedi Cagliari, 1999, imputato Urxxxx.

Un ragazzo affetto da disturbo di personalità di tipo borderlineviene sottoposto a t.s.o., ma viene dimesso prima che sianotrascorsi i sette giorni previsti dalla procedura.

Una volta uscito dalla struttura ospedaliera, si toglie la vita. Lo psichiatra che lo ha dimesso viene imputato del reato di

abbandono di persona incapace seguito da morte, per non avertrattenuto il paziente in ospedale.

La sua responsabilità viene però esclusa, in quanto, consideratoil quadro clinico presente all’atto della dimissione, non si èritenuto presente un requisito del ricovero coatto: la presenza dideterminate alterazioni psichiche. Le dimissioni del paziente,perciò, sono da ritenere legittime oltre che doverose.

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Analogamente, nel 2002, il Tribunale di Trento aveva escluso la responsabilità di un medico per il reato di abbandono di persona incapace.

Ecco il caso: un uomo, affetto da disturbo borderline di personalità, giunge al pronto soccorso in stato confusionale, minacciando di suicidarsi tramite ingestione di trielina, qualora non venga accolta la sua richiesta di ricovero.

Il medico rifiuta e preferisce affidarlo alla comunità protetta presso la quale l’uomo è già stato curato, somministrandogli venticinque gocce di Noan a scopo placebo.

Due ore dopo, il paziente viene trovato in stato comatoso a causa dell’ingestione di trielina, evolvendo nell’exitus nei successivi quattro giorni.

Come nel caso precedente, si è ritenuto che il paziente avesse la capacità di autodeterminazione.

Manca, ancora una volta, uno dei presupposti del ricovero coatto: alterazioni psichiche tali da consentire urgenti interventi terapeutici.

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Delicata si presenta, poi, la valutazione del mancatoprocrastinarsi del ricovero del paziente per insussistenza di unpresupposto.

Un caso recente è quello di Cass. IV, n. 18504/12, imputatoGiaxxxx: due medici vengono imputati di concorso in omissionedi atti del proprio ufficio, per aver omesso di procrastinare ilricovero di un paziente, nonostante le sollecitazioni dei genitori.

Questi segnalano il pericolo che il figlio possa porre in esserecomportamenti aggressivi.

Pericolo poi verificatosi con l’omicidio della madre, una voltadimesso dall’ospedale. La Suprema Corte condivide leconclusioni del giudice dell’udienza preliminare, il quale avevaescluso la responsabilità per il reato di cui all’art. 328 c.p., perassenza di volontà e rappresentazione dell’evento.

Essendo, infatti, l’omissione di atti d’ufficio un reato punito asolo titolo di dolo. La considerazione che, a questo punto, piùinteressa è il motivo per cui non era stato disposto il ricoverocoatto: il paziente aveva recuperato una condizione di compensoe, di conseguenza, era assente uno dei presupposti del t.s.o.,ossia ancora una volta alterazioni psichiche tali da determinareurgenti interventi terapeutici.

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Occorre osservare come, nei casi esaminati, l’addebito del rifiutodel ricovero sia stato giudicato privo di fondamento.

Appare, inoltre, difficile reperire sentenze definitive dicondanna fondate su questo tipo di contestazione.

L’oscillante atteggiamento della giurisprudenza rivela, dunque,l’esistenza di difficoltà ermeneutiche sui presupposti deltrattamento sanitario obbligatorio, dovute probabilmente allapoca chiarezza in merito alle ragioni che lo giustificano.

È quindi giocoforza tornare ancora sui presupposti.

Secondo un certo indirizzo giurisprudenziale, il ricovero coattosi giustificherebbe per ragioni di prevenzione.

Alla base di tale ragionamento vi sarebbe l’idea che il pazientepsichiatrico sia un soggetto pericoloso per sé o per altri, per ilsolo fatto della malattia che lo affligge.

La valorizzazione di tali esigenze ha stimolato l’interpretazioneestensiva dei presupposti del t.s.o., in particolare di quelli relativialla necessità ed urgenza.

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Un altro caso, frutto di questo orientamento maturato inseno alla giurisprudenza di merito, è quello esaminato dalTrib. Di Busto Arsizio nel 2008.

Un paziente, affetto al momento del fatto da psicosicronica, con diagnosi di disturbo delirante di tipopersecutorio, colpisce violentemente con un colpo dimartello alla testa una ragazzina di dodici anni

Lo psichiatra che lo ha in cura viene condannato per ildelitto di lesioni personali colpose (art. 590 commi I e IIc.p.).

La colpa dello psichiatra si incentra sulla sottovalutazionedella patologia e, per quel che ci riguarda, sulla mancataattuazione del ricovero coatto.

Secondo l’organo giudicante, il rifiuto di farsi visitare, lamancata accettazione della terapia farmacologica, nonchéla grave forma di malattia da cui era affetto avrebberogiustificato di per sé il t.s.o e, quindi, la necessità el’urgenza di intervenire.

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Un altro orientamento, sostenuto da certa dottrina medicolegale ( prof. Catanesi), nega qualsiasi presunzione dipericolosità del malato mentale e conferma il principiosecondo cui ogni trattamento sanitario debba essereaccettato dal paziente.

Le uniche eccezioni, previste dall’art. 32 Cost., possonotrovare asilo nel nostro ordinamento solamente in presenzadi esigenze terapeutiche in senso stretto.

Secondo questo indirizzo, i presupposti per l’attuazione delricovero coatto sussisterebbero unicamente nei confronti dipazienti incapaci di intendere e di volere.

Più precisamente, in presenza di un quadro clinico cheriveli un chiaro e indiscutibile disturbo dell’ideazione edelle percezioni sensoriali, quali ad esempio tutte le diverseforme psicotiche.

Nonché, quando il paziente esprima un netto rifiuto altrattamento, nonostante i ripetuti inviti dell’èquipesanitaria.

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L’orientamento prima analizzato, invece, analizza,ipresupposti del trattamento coattivo secondoun’interpretazione costituzionalmente orientata.

Esso ritiene che la deroga introdotta dalla legge Basaglia trovila sua giustificazione nell’esigenza di proteggere un interesse divalore sociale pari o superiore, che potrebbe essere sacrificatodal rifiuto del paziente.

Il trattamento, pertanto, diverrebbe obbligatorio quando ildissenso espresso dal malato rechi pregiudizio a terzi, rectiusquando la malattia coinvolga direttamente l’interesse pubblico.

L’art. 32 Cost., del resto, riconoscendo la duplice dimensionedella salute individuale, quale diritto fondamentale e qualeinteresse della collettività, giustificherebbe l’attuazione di unintervento obbligatorio per tutelare la società dai rischi legatialla patologia psichiatrica.

Se si condividesse questa opinione si dovrebbe giungere aquesta conclusione: il t.s.o. viene legittimamente dispostoquando vi siano valide ragioni per ritenere che il paziente possacompiere un gesto auto -soppressivo con modalità tali darecare danno a terze persone.

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Si pensi, ad esempio, al suicidio mediante esplosione all’internodi un appartamento.

Ancora, nel caso in cui il malato si presenti particolarmenteaggressivo, tale da lasciar presagire la commissione di un delittocontro la persona.

Al contrario, il t.s.o. sarebbe illegittimo quando lo stato dialterazione psichica, seppur grave, consenta di escludere rischinei confronti di terzi.

Si consideri, ad esempio, il paziente affetto da disturbo mentaleche si caratterizzi per l’assenza di tratti di aggressività, oppureper le modalità del suicidio, come nel caso di ingestione di unasostanza tossica.

Ebbene in questi casi, secondo l’orientamento di cui sopra, ilpaziente psichiatrico, al pari di qualsiasi altro, avrebbe il dirittodi rifiutare le cure qualora il suo gesto produca conseguenzenegative solamente sulla sua salute.

Occorre a questo proposito ricordare che obiettivo del t.s.o. è,comunque, la cura del paziente e che la prevenzione vieneattuata indirettamente mediante una terapia adeguata. Nonavrebbe senso, dunque, distinguere a seconda che il gestoproduca conseguenze soltanto per sé o anche per altri.

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11 Giugno 2014 Trib. Milano, sez. IX, 8 aprile 2014, Giud. Roia

Suicidio di detenuto in carcere e responsabilità civile del ministero della giustizia per carenze organizzative dell’amministrazione penitenziaria centrale e locale

[1. Il signor CL, detenuto in esecuzione di misura cautelare in carcere presso laCasa Circondariale di Milano "San Vittore", è inviato alla Casa Circondariale diPavia per allentare una situazione di tensione ambientale venutasi a creareall'interno della struttura penitenziaria. A causa dell'ingravescenza dellecondizioni psichiche viene ritrasferito, il 30 luglio 2009, presso il carceremilanese per essere ricoverato presso idonea struttura psichiatrica giudiziaria. Iltrasferimento temporaneo viene disposto senza preventiva verifica dellapossibilità di destinare il detenuto al centro medico.

Proprio a causa della mancanza di posti-letto presso il "Centro di osservazioneneuro-psichiatrica" (CONP), a CL viene assegnata una sistemazione provvisoriain cella a basso rischio suicidario con sorveglianza a vista fino a nuovavalutazione medica. Lo stesso giorno la psicologa del carcere adotta unprovvedimento (che verrà eseguito il 10 agosto) con il quale revoca lasorveglianza a vista, verso la quale il detenuto, già noto per precedentecarcerazione, aveva mostrato forte insofferenza, e dispone l'ubicazione in cellaplurima di osservazione psichiatrica a medio rischio suicidario con "attentasorveglianza". La riduzione del livello di sorveglianza sarebbe compatibile -secondo la professionista - con il quadro clinico del detenuto, affetto dadisturbo di personalità, e con la valutazione sul livello di rischio suicidario, inconsiderazione del fatto che i gesti autolesivi di cui egli si sarebbe reso fino adora autore non sarebbero qualificabili con certezza come anticonservativi.

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Il 4 agosto il detenuto viene visitato dalla psichiatra del carcereche, conoscendo la storia clinica pregressa e recente di CL,conferma la diagnosi. Viene modificata invece la terapiafarmacologica nel tentativo di ricercare una compliance con ildetenuto che aveva autonomamente deciso di sospenderel'assunzione dei medicinali. Il medico dichiara nel corso delprocesso che il giorno in cui visitò il paziente non era aconoscenza della decisione della psicologa di modificarel'ubicazione del detenuto.

Dopo la visita psichiatrica, CL si lesiona lo stesso giorno duevolte. Il giorno 8 agosto la psicologa dopo un colloquio con ilpaziente conferma in sintonia con la psichiatra diagnosi evalutazione del rischio suicidario. Il 12 agosto CL, due giornidopo il cambio di cella, si toglie la vita mediante impiccamento.

2. Vengono chiamate a rispondere del delitto di omicidio colposoai sensi degli artt. 113 e 589 c.p. la psichiatra e la psicologa inservizio presso la Casa Circondariale di Milano, in virtù dellaposizione di garanzia della vita e delle salute psico-fisica dellepersone recluse che il personale sanitario condivide con quellodell'amministrazione penitenziaria.

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3. Orienta il ragionamento del Tribunale di Milano un principiogenerale di diritto, valido in qualsiasi contesto sanitario (ospedaliero,residenziale, penitenziario), secondo cui per un'adeguata presa incarico del detenuto affetto da malattia mentale, funzionale asalvaguardarne interessi primari come la vita o l'incolumità psico-fisica, le esigenze di cura vanno, se necessario, bilanciate con leesigenze di sorveglianza sulle irregolarità comportamentalieventualmente indotte dalla condizione di sofferenza psichica.

Anche nel particolare contesto carcerario ˗ osserva il Tribunale diMilano ˗ la legittimità dell'intervento sanitario è condizionata alconsenso del paziente, e nei limiti in cui ciò sia possibile l'agiremedico deve essere orientato alla realizzazione di un'alleanzaterapeutica con la persona reclusa. Il rispetto della dignità umana edel diritto all'autodeterminazione del detenuto in ambito sanitarioesclude, pertanto, che il controllo possa normalmente declinarsi inpratiche estreme di prevenzione della morte, coercitive oulteriormente segreganti, come ad esempio la coercizione fisica o lacontenzione meccanica, l'isolamento o la sorveglianza a vista H 24.Consenso e alleanza terapeutica non assurgono però a valori assoluti,potendo al contrario essere validamente derogati in situazioni distretta necessità per la protezione di interessi primari dello stessopaziente o di altri detenuti.

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4. La sentenza assolve la psichiatra in servizi presso la CasaCircondariale di Milano ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p. perla presenza di una prova insufficiente sul piano dell'esigibilità diuna condotta alternativa idonea ad impedire l'evento, eprecisamente perché non è possibile affermare «con alto grado diprobabilità, che il mantenimento della terapia farmacologica ...fosse un atteggiamento esigibile a quale momento, e soprattutto,idoneo a scongiurare l'evento mortale in presenza delle altresituazioni stressanti costituite dalla collocazione nelle celleplurime del CAR e della detenzione in quell'ambiente milaneseche era diventato per la parte lesa, sul piano della percezionesoggettiva, fortemente ostile».

5. Della morte del detenuto viene giudicata penalmenteresponsabile la psicologa, condannata alla pena(condizionalmente sospesa) di otto mesi di reclusione ed alrisarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale con unaprovvisionale immediatamente esecutiva di euro 529.000, insolido con il responsabile civile, Ministero della Giustizia, ex art.2049 c.c.

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Si rimprovera alla psicologa non già di aver modificato l'ubicazione del detenutoin cella con inferiore livello di sorveglianza (da "sorveglianza a vista" ad "attentasorveglianza") in attesa che si liberasse un posto nel settore CONP, bensì di avertenuto, pur in presenza di «ulteriori tre episodi auto lesivi [a lei noti] posti inessere da CL, in un contento ambientale divenuto difficile ... a causa dellerelazioni complesse con i detenuti e il personale di polizia e con una derivapsicotica comunque accertata dalla [psichiatra]», un "atteggiamento di tipoattendista" censurabile sul piano della imperizia e della negligenza. Inparticolare, la professionista avrebbe colpevolmente omesso di rivalutare lasituazione personale del detenuto e si sarebbe astenuta dall'adottare con urgenzaqualsiasi «tipo di intervento, anche di tipo decisamente sollecitatore neiconfronti dei soggetti responsabili delle strutture, quali il richiedere una visitapsichiatrica per valutare a questo punto l'efficacia della terapia [farmacologica]adottata dalla dr.ssa M. ..., il coinvolgere la responsabile del reparto dr.ssa C., o lastessa dr. M., per sollecitare il ricovero presso il CONP dove CL sarebbe statofinalmente "monitorato", l'attivarsi per richiedere un ricovero in una strutturasanitaria ospedaliera o giudiziaria»; soprattutto si contesta alla psicologa,trattandosi di azione personalmente esigibile, il non aver "messo in sicurezza" ildetenuto attraverso la predisposizione di un «totale controllo» con sorveglianza avista H 24, almeno per un periodo di tempo limitato in attesa dell'adozione diuna delle misure sanitario-trattamentali sopraindicate.

6. L'Amministrazione penitenziaria viene condannata ex art. 2049 c.c. non soloper il fatto illecito della psicologa ma anche per le numerose deficienzeevidenziate a tutti i livelli, centrale e locale, nella gestione «inaccettabile» di undetenuto in gravi condizioni cliniche.

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Alla Amministrazione Penitenziaria centrale si contesta un approccioburocratico e gravemente negligente nelle modalità del trasferimentodi una persona per motivi di salute, e in specie il fatto che dettotrasferimento alla Casa Circondariale di Milano sia avvenuto in assenzadi una preventiva verifica della disponibilità di posti presso il centromedico (n.d.r.: per di più in una struttura che costituisce un'area diosservazione e trattamento psichiatrico importante per l'intero circuitopenitenziario lombardo), e che il provvedimento amministrativo ditrasferimento del detenuto sia stato portato a conoscenza deglioperatori penitenziari dell'istituto di ricezione nel momento stessodell'arrivo

Viene inoltre affermata la responsabilità dell'amministrazionepenitenziaria anche in relazione alla scarsa professionalità mostratadall'agente di polizia penitenziaria addetto alla sorveglianza nel raggioin cui era detenuto CL, in occasione di un gravissimo episodio,giudicato dalla sentenza "verosimile". L'agente di custodia, di frontealla richiesta di CL di incontrare un medico, rafforzata dalla minacciadi tagliarsi, avrebbe risposto con la frase «prendi pure una corda edimpiccati». La provocazione dell'agente, segno di insensibilità umana earretratezza culturale, è ritenuta priva di rilevanza sul piano causalerispetto al proposito suicidario del detenuto

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La sentenza stigmatizza, a prescindere dalla eventualerilevanza sul piano della responsabilità penale, l'operatodel personale sanitario, a tutti i livelli nella strutturaorganizzativa, della Casa Circondariale di Milano "SanVittore". Alla Direzione rimprovera, in particolare, d'averomesso di vigilare sulla gestione di un detenuto connotatada importanti manchevolezze: superficialità nella presa incarico del paziente, in una situazione caratterizzataperaltro da divisione di ruoli poco chiara in merito a chispettasse seguire sul piano psichiatrico l'evoluzione delquadro sintomatologico dopo la visita del 4 agosto, epassività dei responsabili dei reparti e dei medici, chehanno avuto contatto con il detenuto, nel rinvenire conurgenza una collocazione nel settore psichiatrico CONP oal limite nel CDT (Centro Diagnostico Terapeutico),eventualmente attraverso lo spostamento di un altrodetenuto.

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Rischio suicidario del paziente e rischio penale dello psichiatra 22 Giugno 2012 DIRITTO PENALE CONTEMPORANEO

Nota a Cass. pen. sez. IV, 22 novembre 2011 (dep. 1 febbraio 2012) n. 4391, Pres. Marzano, Est. Blaiotta, Imp. Di Lella [ DOTT. Paolo Piras]

1. Nei panni dello psichiatra.

Il caso

La sentenza tratta di un paziente affetto da schizofrenia paranoide, che è ospite di una comunità protetta. E' preda di allucinazioni auditive dettanti ordini, c.d. a contenuto imperativo. Ha sviluppato un delirio di veneficio, con rifiuto intermittente di alimentazione. Presenta ostinata chiusura in sé stesso. Da ultimo appare particolarmente confuso. All'anamnesi figurano stati di eccitazione psicomotoria con tentativi di atti autolesivi. Nel corso di una riunione fra gli operatori della comunità si segnala il quadro al direttore sanitario, che manifesta il suo proposito di somministrare un antidepressivo e la trasferibilità del paziente in altra struttura, senza tuttavia dar corso a questi atti. Qualche giorno dopo il paziente si defenestra, riportando lesioni che si evolvono mortalmente in ospedale. Il giudizio di merito si conclude con la condanna per omicidio colposo del direttore sanitario della comunità, per avere omesso: la terapia appropriata, la vigilanza del paziente, l'accesso alle finestre e il trasferimento in altra struttura più idonea.

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Mettiamoci nei panni di uno psichiatra che sta visitando unpaziente schizofrenico. Ci sta dicendo che “…sto pensando di faretestamento…ogni tanto immagino la vita dei suoi familiari senzadi lui… vedo solo buio .. le "voci" che sento non tolleranorepliche.

Il quadro è serio, anche se prende l'antipsicotico e all'anamnesinon risultano pregressi tentativi autolesivi.

Forse questo paziente si suiciderà.

Ovviamente lo vogliamo curare al meglio, ma oltre alla cura delpaziente ci viene da pensare al nostro destino giudiziario se ilsuicidio avverrà. Lungi da noi l'idea di fare psichiatria difensiva,altrimenti di gran fretta ne disporremmo il ricovero in unastruttura dove il rischio suicidario è più controllabile, in ipotesianche con coercizione fisica. Ma nel percorso terapeutico delpaziente un ricovero sarebbe un passo indietro, perché glidemolirebbe quel poco di autostima tanto faticosamentericostruita. Ed è in gioco anche la sua libertà. E' più facilericoverare che non ricoverare.

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Vogliamo curare il paziente, ma non vogliamo rischiare penalmente seil suicidio avverrà. Vogliamo allontanare da noi una preoccupazioneche ci attanaglia spesso quando visitiamo schizofrenici, che sonopazienti ad alto rischio suicidario. Semplicemente vogliamo sapere giàda ora che cosa dobbiamo fare per evitare la sanzione penale, fino a chepunto possiamo rischiare il loro suicidio senza rischiare la nostracondanna. In fondo è un nostro diritto saperlo già da ora. Anche se nonconosciamo il codice penale e la letteratura penalistica, pensiamo cheda qualche parte ci deve pur essere scritto che abbiamo il diritto disapere prima, di sapere come ci dobbiamo comportare per non esserepuniti, per contenere il rischio di suicidio entro limiti consentiti. Ildiritto di sapere prima è scritto dentro di noi, ci veniva spontaneo fin dabambini difenderci dicendo: questo però non me l'avevi detto.

E' essenziale indossare il camice, per renderci davvero conto di come ilproblema è vissuto da uno psichiatra che vuole dare il meglio di sé. Chevuole curare il paziente e allo stesso tempo rispettare la legge. E' unproblema quotidiano: sicuramente anche in questo istante c'è unopsichiatra che lo sta vivendo.

Adesso svestiamo il camice e indossiamo nuovamente la toga.

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Non neghiamo nella maniera più assoluta quello che laicamente èchiamato il diritto di sapere prima. Tecnicamente lo riportiamo alprincipio di colpevolezza e lo ancoriamo agli artt. 27 I co. Cost. e 43alinea III c.p.: non si può esprimere un giudizio di rimproverabilità seex ante non era conoscibile la condotta doverosa. Più condivisibilmentelo riportiamo al principio di legalità penale e lo ancoriamo agli artt. 25II co. Cost. e 1 c.p.: la condotta costituente reato deve esserepreviamente prevista. E nel reato colposo la condotta costituente reatoè esattamente quella che viola una norma che impone cautele. Unanorma che prima ancora che essere cautelare è comportamentale e chedeve essere quindi nota prima della commissione del fatto. E' questa lavera concezione normativa della colpa: non possiamo ridurre questaconcezione ad un fenomeno puramente descrittivo della colpa qualeviolazione di una norma cautelare. Dobbiamo assumerne tutte leconseguenze sul piano giuridico: la norma cautelare si sposaindissolubilmente con la quella incriminatrice, che senza la prima èpriva di significato. "Chiunque cagiona per colpa la morte di unapersona", come dice l'art. 589 c.p., non significa nulla se non si fariferimento ad una norma cautelare.

Ma comunque sia, o colpevolezza o legalità, il "diritto di sapere prima"rimane innegabile.

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Il giudizio

La Cassazione, con la sentenza in commento, parrebbe invecenegare quell'innegabile diritto.

Asserisce che i pazienti psichiatrici non possono essere segregati,che il rischio suicidario non può essere eliminato e che c'è quindiun rischio consentito. Ma aggiunge che il limite fra un rischioconsentito e non consentito è in definitiva rimesso al giudice.Viene ovviamente da pensare che se è il giudice a stabilire quellimite, allora l'imputato apprende solo dalla sentenza, a processoconcluso, come si sarebbe dovuto comportare per contenere ilrischio entro il limite consentito. Mentre è suo diritto sapere giànel momento in cui sta valutando il rischio suicidario, se si trattadi rischio consentito o no. Se cioè al rischio suicidario siaccompagna anche un rischio penale.

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CONCLUSIONI

Il confine fra il lecito e illecito non può essere appreso con la sentenza.

Verrebbe negata la necessaria conoscibilità ex ante della condottadoverosa. Verrebbero lesi i principi di legalità e colpevolezza.Scomparirebbe il diritto di sapere prima.

Si finirebbe per assegnare al giudice un ruolo che non è suo: quello distabilire se una condotta è o non è penalmente sanzionata. Cometalvolta la stessa Cassazione ha ricordato, in tema di colpa il giudicenon è un facitore, ma un fruitore di regole di diligenza, prudenza eperizia. Di quelle regole che non sono endoprocessuali, maectoprocessuali: formate al di fuori e prima del processo. Preesistononon solo al processo, ma anche al fatto.

A ben vedere la sentenza esprime la difficoltà, assolutamenteindiscutibile, d'individuare il limite del rischio suicidario consentito.Chi stabilisce il limite fra lecito e illecito, "... finisce..." per essere ilgiudice, con l'aiuto degli esperti.

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In termini generali, rimane la domanda, spietatamente pratica:fino a che punto lo psichiatra può rischiare il suicidio delpaziente senza rischiare penalmente? Quale modellocomportamentale deve seguire?

Il tanto proposto agente modello, appare qui improponibile. Lopsichiatra modello è uno psichiatra fantasma. Con sanorealismo: non esiste. Se indossiamo ancora il camice e pensiamoallo psichiatra modello, non sappiamo a chi pensare, per saperese dobbiamo ricoverare il paziente. Forse il massimo dellecautele. Ma lo psichiatra modello non può essere quello chericovera tutti i pazienti, perché così non li cura, ma li terrorizza.

D'altra parte anche lo psichiatra modello, a pensarci bene, non èpoi così modello. Sia detto senza ironia: anche l'agente modelloha un difetto: la mancata puntualità. Arriva sempre in ritardo, asuicidio avvenuto, a dirci come si sarebbe comportato. Giustificail suo ritardo raccontandoci ogni volta la favola della riacquistataverginità gnoseologica, del ritornare indietro nel tempo facendofinta di non sapere come sono andate a finire le cose. Insegna aglipsichiatri come depurare il cervello dal senno di poi.

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E allora: accogliamo l'invito della sentenza di servircidell'aiuto degli esperti per tracciare il confine fra rischiolecito e illecito.

LINEE GUIDA

Serviamoci di questo aiuto prima ancora che il gesto auto-etroaggressivo avvenga. Dell'aiuto che giunge dalle societàscientifiche mediante la sintesi della miglior scienza,operata nelle linee guida.

La fattispecie colposa, si sa, è aperta: va chiusa. Ci sonopagine del codice penale che sono state lasciate volutamentein bianco, perché il diritto non può vivere senza la scienza.Con riguardo al rischio suicidario ma anche alle condotteaggressive verso terzi, non possono che essere le societàscientifiche a scrivere quelle pagine. Compito non certoagevole, perché la condotta aggressiva non è facilmente

obiettivabile.

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GRAZIE PER L’ATTENZIONE