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finanza d’impresa PRIVATE EQUITY Contabilità finanza e controllo 4.2006 309 Con la crescita del giro d’affari, le risorse mobilitate dall’imprenditore finiscono per essere quasi intera- mente assorbite dalle esigenze di gestione operativa. Ne consegue che le imprese difficilmente riescono a crescere oltre una certa soglia dimensionale (identi- ficabile in un fatturato nell’ordine di euro 50-100 milioni), se non attraverso l’iniezione di risorse ester- ne in grado di fertilizzare l’intera organizzazione aziendale e di attivare quel processo di sviluppo tipi- co delle aziende eccellenti. Tale aggiunta di risorse gestionali e finanziarie è però resa ardua da un paio di ulteriori connotazioni delle no- stre PMI. Innanzi tutto la presenza dell’imprenditore- fondatore è ancora maggioritaria e sfortunatamente essa si identifica troppo spesso con una sfiducia verso le competenze gestionali altrui (soprattutto di coloro che non abbiano creato un’impresa) e con una scarsa abitudine alla delega di responsabilità non meramente operative, che si traduce nello strangolamento delle at- titudini manageriali dei collaboratori e nell’esodo di molti talenti verso le multinazionali. In seconda battu- ta, diversamente dalle loro concorrenti internazionali, le imprese italiane non sanno ancora sviluppare un rapporto efficace con le fonti più diffuse di capitale per lo sviluppo, vale a dire il private equity e la Borsa. Basti citare che: Il private equity come fonte per finanziare la crescita delle imprese Che cosa può accadere alle imprese in crescita; il private equity è veramente utile? Quale può essere l’apporto del private equity? Guidalberto Gagliardi Consulente M&A Il nostro sistema industriale stenta a incanalare il suo abbondante tes- suto imprenditoriale lungo un diffuso sentiero di crescita profittevole. Tra le numerose cause di questa situazione, che, come ha recentemen- te notato Confindustria, penalizza gravemente l’intero sistema-Paese, si possono annoverare alcune caratteristiche della nostra economia, qua- li il maggiore peso di settori tradizionali rispetto a quelli tecnologici (in- trinsecamente più dinamici), la forte presenza di imprese pubbliche nei comparti ad alta intensità d’investimenti, la duratura miopia del ceto bancario, l’arretratezza di molte infrastrutture critiche. Queste peculia- rità si combinano pericolosamente con cause interne che accomunano troppe piccole e medie imprese, quali la carenza di competenze mana- geriali strutturate e complete (in particolare, in relazione alla gestione di operazioni di acquisizione e al controllo di gestione), ma soprattutto la mancanza dell’attitudine mentale allo sviluppo per linee esterne.

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Con la crescita del giro d’affari, le risorse mobilitatedall’imprenditore finiscono per essere quasi intera-mente assorbite dalle esigenze di gestione operativa.Ne consegue che le imprese difficilmente riescono acrescere oltre una certa soglia dimensionale (identi-ficabile in un fatturato nell’ordine di euro 50-100milioni), se non attraverso l’iniezione di risorse ester-ne in grado di fertilizzare l’intera organizzazioneaziendale e di attivare quel processo di sviluppo tipi-co delle aziende eccellenti.Tale aggiunta di risorse gestionali e finanziarie è peròresa ardua da un paio di ulteriori connotazioni delle no-stre PMI. Innanzi tutto la presenza dell’imprenditore-

fondatore è ancora maggioritaria e sfortunatamenteessa si identifica troppo spesso con una sfiducia versole competenze gestionali altrui (soprattutto di coloroche non abbiano creato un’impresa) e con una scarsaabitudine alla delega di responsabilità non meramenteoperative, che si traduce nello strangolamento delle at-titudini manageriali dei collaboratori e nell’esodo dimolti talenti verso le multinazionali. In seconda battu-ta, diversamente dalle loro concorrenti internazionali,le imprese italiane non sanno ancora sviluppare unrapporto efficace con le fonti più diffuse di capitale perlo sviluppo, vale a dire il private equity e la Borsa.Basti citare che:

Il private equity come fonte per finanziarela crescita delle impreseChe cosa può accadere alle imprese in crescita; il privateequity è veramente utile? Quale può essere l’apporto del private equity?

GuidalbertoGagliardiConsulente M&A

Il nostro sistema industriale stenta a incanalare il suo abbondante tes-suto imprenditoriale lungo un diffuso sentiero di crescita profittevole.Tra le numerose cause di questa situazione, che, come ha recentemen-te notato Confindustria, penalizza gravemente l’intero sistema-Paese, sipossono annoverare alcune caratteristiche della nostra economia, qua-li il maggiore peso di settori tradizionali rispetto a quelli tecnologici (in-trinsecamente più dinamici), la forte presenza di imprese pubbliche neicomparti ad alta intensità d’investimenti, la duratura miopia del cetobancario, l’arretratezza di molte infrastrutture critiche. Queste peculia-rità si combinano pericolosamente con cause interne che accomunanotroppe piccole e medie imprese, quali la carenza di competenze mana-geriali strutturate e complete (in particolare, in relazione alla gestionedi operazioni di acquisizione e al controllo di gestione), ma soprattuttola mancanza dell’attitudine mentale allo sviluppo per linee esterne.

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– su quasi 6 milioni di imprese esistenti nel nostroPaese, meno di 1.2001 vedono la presenza di inve-stitori istituzionali nel loro capitale di rischio (si ve-da la tavola 1 per una statistica sulla penetrazionedel private equity per zona geografica);

– secondo una stima di Borsa Italiana, in Italia vi sa-rebbero oltre 1.200 imprese potenzialmente quo-tabili, mentre nel decennio 1995-2004 il totale de-gli IPO italiani raggiunge il misero numero di 160(nel solo 2004 Londra ne ha registrati quasi 300 el’assai meno attiva Parigi 41).2

Questa limitata propensione ad allargare la compa-gine dipende dalla psicologia di alcuni imprenditori

(dichiarazioni del tipo: «l’azienda è della mia fami-glia e a gestirla dovranno essere i miei figli», «i pa-renti sono gli unici soci affidabili», oppure «non hointenzione di condividere con terzi le informazionisulla mia società»), dall’ancora ridotta notorietà delprivate equity tra le PMI,3 nonché da una certa dif-fidenza specifica verso tale categoria di investitori.4

Che cosa può accaderealle imprese in crescita

Quando l’attività di un’impresa evolve da una di-mensione artigianale o locale, il fatturato cresce aritmi più o meno sostenuti, ma, nel contempo, il cir-colante tende a drenare cassa.5

La struttura e i sistemi organizzativi sono da com-pletare e, per la parte già realizzata, da aggiornare eintegrare con le novità: gli investimenti seguonoquindi a ruota la crescita, sono rilevanti e non sem-pre finanziabili con leasing o mutui (si pensi alle spe-se di R&S, a quelle di marketing o ai costi per la se-lezione e la formazione del personale).Servono quindi soldi e competenze contabili, finanzia-rie e organizzative per fronteggiare l’aumentata com-plessità dell’impresa (esacerbata ormai dal venire me-no delle barriere doganali e valutarie che in preceden-za proteggevano i “piccoli” italiani dai “colossi” stra-nieri). La disponibilità di relazioni (soprattutto quelleche consentono di individuare nuovi manager, clienti,distributori, alleati o imprese da acquisire) è impor-tante per sostenere e accelerare il trend di crescita.

1Aifi, Il mercato italiano del private equity e del venture capital 2004, ricerca pubblicata nel 2005 e disponibile gratuitamente al-l’indirizzo www.aifi.it.2G. Rossi Cairo, “Come attirarne 1.200 in Borsa”, in Il Mondo del 3 marzo 2005.3Aifi, L’incontro tra domanda e offerta del capitale di rischio: il punto di vista dell’imprenditore, ricerca pubblicata nel 2003 escaricabile all’indirizzo www.aifi.it.4In questo senso vanno i risultati di due ricerche condotte autonomamente nel 2004 da Almaweb Graduate School dell’U-niversità di Bologna (con la collaborazione di Confindustria Emilia-Romagna e dell’Assessorato alle Attività Produttive del-la Regione, attraverso il coinvolgimento di un campione di 153 aziende) e dall’Area Finanza Aziendale della SDA Bocconi.Le inchieste hanno evidenziato una particolare diffidenza nei confronti del private equity, dovuta soprattutto alla scarsa co-noscenza delle caratteristiche tecniche dello strumento, al timore degli imprenditori di perdere il controllo dell’azienda dalpunto di vista manageriale e all’ancora scarsa diffusione delle notizie relative al settore. Nonostante la costante crescita delprivate equity nel nostro Paese, i risultati non rispecchiano ancora le potenzialità di sviluppo del settore e le aziende han-no difficoltà nel conoscere le esperienze di quelle imprese che siano o siano state partecipate da investitori istituzionali. Se-condo questi ricercatori, per avvicinarsi di più al mondo dell’imprenditoria italiana, il private equity dovrebbe cercare dicogliere con maggiore sensibilità le esigenze e la mentalità degli imprenditori ed esprimersi con termini meno tecnici e piùcomprensibili.5Ampliando l’area coperta o incrementando il livello di servizio offerto si rischia di vedere crescere le scorte di prodotti finiti (ma-gari presso depositi decentrati), mentre il vorticoso aumento della produzione e l’insediamento di nuovi stabilimenti (di proprie-tà o di terzisti) può portare a lievitare le giacenze di materie prime e semilavorati.

Tavola 1 – Indici di penetrazione del private equity (pernumero d’imprese) da fonte Aifi Mediobancae Unioncamere

Nord-Ovest:2,5%

Nord-Est:1,7%

Centro: 2,0%

Sud e Isole:3,6%

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Nel complesso, quindi, l’impresa in fase espansivaavrà probabilmente un crescente fabbisogno finan-ziario, da soddisfare mediante debiti finanziari o ca-pitale di rischio. Purtroppo il credito bancario evi-denzia i suoi limiti proprio in situazioni di crescitarapida, ove l’aumento delle richieste d’affidamentonon può spesso essere supportato da dati contabiliaggiornati.E qui entrerebbe in gioco il private equity, cioè quelloche, secondo gli addetti ai lavori, sarebbe una moda-

lità soft di apertura del capitale, che dovrebbe per-mettere alle imprese di superare i limiti della capacitàdi finanziamento dei loro soci, combinando un’evolu-zione graduale della mentalità del management (chedovrebbe abituarsi a pianificare e gestire con sistema-ticità, adeguandosi anche alla condivisione delle in-formazioni) con un “allenamento” ai doveri post quo-tazione (realizzando, per esempio, un’informativaeconomico-finanziaria solida, costante e trasparente).

L’aumento del fatturato crea poi un’espansione dei crediti verso clienti, a meno che esso straordinariamente si combini con la ri-duzione delle dilazioni accordate e con un più rigoroso controllo del credito. In teoria questa porzione del circolante è smobilizza-bile presso banche o società di factoring, ma occorre considerare che non sempre i castelletti disponibili sono sufficienti (essendomagari tarati sulle esigenze precedenti l’espansione del giro d’affari), che può essere impegnativo ottenere linee di credito ag-giuntive (anche perché è probabile che il bilancio che si può presentare alla banca non rifletta ancora i recenti sviluppi) e che, inogni caso, il credito finanziario è esplicitamente oneroso. In alcune ipotesi, inoltre, potrebbe essere “intrinsecamente” difficile smo-bilizzare i crediti commerciali derivanti dall’incremento di fatturato, per mancanza o eccessiva onerosità di strumenti idonei (co-me il factoring pro soluto): si pensi alle esportazioni verso Paesi a rischio in termini di stabilità sociale, economica o valutaria, ov-vero con crediti a scadenza particolarmente lunga in relazione a forniture di beni strumentali. Il credito di fornitura, se non altro,tenderà a svilupparsi in parallelo con il fatturato, per quanto di solito con valori assoluti inferiori rispetto alle scorte e ai crediti.L’insufficienza del flusso di credito di fornitura non sarà sempre compensabile dai crescenti margini, anche perché è possibile cheall’inizio della fase espansiva i rendimenti percentuali peggiorino a causa dello stress cui sono sottoposte la produzione e l’interaorganizzazione. Le economie di scala e di esperienza non hanno ancora spiegato in pieno i loro effetti, gli spazi di ottimizzazionee alleggerimento dei costi non mancano. Gli stessi costi fissi sono in crescita, in parallelo con la definizione e il completamento del-la struttura aziendale. Ne consegue che in un’impresa in crescita è probabile che i margini non siano elevati come nel caso di con-correnti più maturi e dimensionalmente forti.

Operazione di private equityAumento di capitale: 15 (quota = 1/3)Acquisition financing: 20Transaction cost: 3

Il valore creatoImporto Valore

investito finale IRRImprenditore (2/3 capitale): 30 86 30,1%Private equity (1/3 capitale): 15 43 30,1%

Quattro anni dopo, società “A”+“B”Cagr

Vendite 270 7,8%Ebitda 32 15,5%Ebitda % 12,0%Multiplo dell’Ebitda 4,5Enterprise value 144Posizione finanziaria netta (15)Equity value 129

Società “A”+“B” (dopo l’operazione)Vendite 200Ebitda 18Ebitda % 9,0%Multiplo dell’Ebitda 4Enterprise value 72Posizione finanziaria netta (30)Equity value 42

Società “A”, il target del fondoVendite 100Ebitda 10Ebitda % 10,0%Multiplo dell’Ebitda 4Enterprise value 40Posizione finanziaria netta (10)Equity value 30

Società “B”, il target della società “A”Vendite 100Ebitda 8Ebitda % 8,0%Multiplo dell’Ebitda 4Enterprise value 32Posizione finanziaria netta (12)Equity value 20

Tavola 2 - Esemplificazione di un’operazione di private equity

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Il private equity è veramente utile?

Qualcuno ne dubita, ma non necessariamente a ra-gione. Una delle “leggende metropolitane” sull’attivi-tà di private equity racconta che l’apporto di questi in-vestitori-speculatori è, nella migliore delle ipotesi, dacircoscrivere a una ridotta e temporanea iniezione dirisorse finanziarie alternative all’autofinanziamento eall’indebitamento bancario.6 Questa asserzione è verasolo circa la temporaneità dell’intervento del privateequity: l’investitore istituzionale resta nell’impresa perun lasso non breve e comunque sino a quando gliobiettivi pianificati siano stati conseguiti o, malgradol’impegno del fondo e del management, siano divenu-ti assolutamente irrealizzabili. E dato che si tratteràsempre di traguardi tesi all’incremento del valore del-l’impresa partecipata7 e al mantenimento della repu-tazione dell’investitore,8 è evidente che, ove opportu-no e possibile, l’operatore di private equity farà di tut-to per investire, insieme al “vil danaro”, ogni risorsa,relazione ed energia di cui dispone.Fortunatamente, al di là delle argomentazioni logichesopra riportate, in contrasto con la presunzione che ilprivate equity apporti solo del denaro, si pronuncia-no numerose ricerche italiane e internazionali.9

Per chiarire meglio il nostro discorso, nella tavola 2è esemplificata un’operazione di private equity, co-struita per ragioni di riservatezza come condensatodi una serie di esperienze reali. Nel caso in specie sitratta di un’iniziativa di development capital miran-te, dopo che l’investitore abbia sottoscritto un au-mento di capitale riservato nella società “A”, all’ac-quisizione e all’integrazione di un concorrente loca-lizzato in un Paese straniero, la società “B”.Dall’esempio si evince che, in quattro anni, l’operazio-

ne ha saputo creare valore tanto per l’imprenditore,quanto per l’investitore finanziario, nella misura di unrendimento annuo composto (IRR) superiore al 30%.Ma l’incremento di valore da che cosa è derivato?Nel caso esemplificato, come illustra graficamente la ta-vola 3, si è trattato della realizzazione di sinergie com-merciali tra la società “A” e la società “B” (con amplia-mento della gamma e internazionalizzazione dell’offer-ta), di un migliore assorbimento dei costi fissi (in pre-senza di un contenimento dei costi di integrazione), diun incremento dei multipli di valorizzazione a seguitodel superamento della soglia dimensionale critica e diun’efficace politica di marketing finanziario, nonché diuna valida gestione del debito che ha nel tempo porta-to a un miglioramento del rapporto di leva finanziaria.

Quale può essere l’apporto del private equity?

A prescindere dall’esempio, in generale, possiamoelencare nella tavola 4 le vie che i private equity pos-

6Nel periodo della new economy, alcuni investitori non hanno effettivamente valorizzato la categoria, avendo abbandonato le piùelementari cautele per investire in iniziative improbabili, talora “forzando” gli imprenditori a comportamenti poco ortodossi: ac-cettare finanziamenti per importi superiori a quelli necessari, ottenere valutazioni più alte di quelle ragionevolmente sostenibili,sviluppare frettolosamente la società al solo scopo di quotarla in Borsa appena possibile. Fortunatamente l’esplosione nel 2000della “bolla speculativa” legata a internet ha contribuito a selezionare gli operatori nel capitale di rischio, facendo uscire dal mer-cato quelli troppo “rampanti”.7Quindi intrinsecamente favorevoli anche per gli altri portatori di interessi rispetto a tale impresa.

8Si rammenta che i fondi chiusi, come qualsiasi attività imprenditoriale, per potere operare (nello specifico effettuare ulteriori in-vestimenti) devono potere contare su un’immagine rispettabile, di competenza e serietà. Gran parte degli operatori di privateequity, inoltre, è abituata a varare la raccolta di un nuovo fondo, una volta investito il capitale a disposizione del precedente: perpotersi presentare efficacemente ai potenziali sottoscrittori del nuovo fondo saranno quindi importanti tanto i guadagni realizza-ti, quanto l’immagine che si è lasciata sul mercato dopo la cessione delle imprese via via partecipate.9Aifi, Insead e Liuc, L’impatto economico dei management leveraged buy out, ricerca del 2001 scaricabile dal sito www.aifi.it;McKinsey – Bocconi, 600 risposte a un questionario inviato a 2.150 società “venture backed” localizzate in 12 paesi europei, ci-tato da www.evca.com.

Tavola 3 – Che cosa ha creato il valore

Aumento fatturato

90

60

30

0Aumento

EbitdaAumentomultiplo Ebitda

Leva finanziaria

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sono percorrere per valorizzare il loro investimento:si noterà che esse sono, nei fatti, la declinazione delcontributo extra monetario che gli investitori istitu-zionali apportano per agevolare lo sviluppo a tuttotondo delle loro partecipate.

La diffusione della cultura del capitale di ri-schio sta cambiando anche il concetto di fonte di fi-nanziamento. Le piccole e medie imprese, semprepiù penalizzate nell’accesso al credito bancario, dasempre la forma di finanziamento più utilizzata,stanno a poco a poco scoprendo i vantaggi del ricor-so al private equity e al venture capital, anche a cau-sa dell’introduzione di Basilea 2.

Come sostiene Gianemilio Osculati, il private equity,più di ogni altro strumento finanziario, può rivelarsiun utile alleato, in quanto l’ingresso di capitale di ri-schio rappresenta per le aziende un’opportunità peravviare nuovi processi industriali ed eventuali ri-strutturazioni finanziarie, per rinnovare l’imposta-zione organizzativa dell’impresa e per adeguare il si-stema di corporate governance alle richieste dei mer-cati finanziari, senza che questo implichi tuttavia unaperdita del controllo familiare sull’azienda. Il privateequity consente anche alle imprese di usufruire dellecompetenze manageriali e organizzative di un nuovopartner finanziario, i cui unici obiettivi sono la tra-sparenza e la creazione di valore economico.

Tavola 4 - Le vie per valorizzare l’investimento

Arbitraggio finanziarioGenerazione di valore derivante dall’abilità di cedere a una va-lutazione più elevata di quella pagata, a parità di risultati del-l’impresa

Ingegneria finanziariaOttimizzazione del rapporto di leva e minimizzazione del costodel capitale (al netto dell’effetto fiscale)

Efficienza operativaRiconfigurazione delle modalità di impiego delle risorse da par-te dell’impresa, incrementando produttività ed efficienza

Affinamento della strategiaAggiustamento degli obiettivi strategici, dei programmi e deiprocessi della partecipata

Riduzione dei costi d’agenziaLimitazione del conflitto tra i ruoli di manager e di proprietario

Presenza del private equityAumento di ricavi o riduzione di costi dell’impresa in quanto par-tecipata da un investitore istituzionale

1. Per cambiamenti nelle valutazioni di mercato (multiple riding).2. Disponendo di informazioni interne sulla partecipata (insider

information).3. In virtù delle migliori informazioni sul mercato.4. Grazie all’efficace gestione della transazione (proprietary deal

flow, negotiation skills ecc.).5. Ottimizzando la strategia aziendale.6. Migliorando la credibilità dell’impresa.

1. Calibrando opportunamente la struttura del capitale.2. Rinegoziando i termini dei finanziamenti.3. Riducendo il carico fiscale.

1. Tagliando i costi non collegati alla creazione del valore e mi-gliorando i margini.

2. Riducendo gli impieghi (CCN e cespiti).3. Rimuovendo inefficienze gestionali.

1. Rifocalizzando.2. Crescendo per linee esterne (con piani di buy and build o di

clustering).3. Confrontandosi con il management sui piani industriali.

1. Riducendo la discrezionalità del management negli investi-menti a causa dell’indebitamento caricato sull’impresa.

2. Allineando gli incentivi (equity ownership of management).3. Migliorando il controllo in termini di qualità e tempi.4. Introducendo meccanismi trasparenti di corporate governance.

1. Restaurando lo spirito imprenditoriale.2. Fornendo consulenza.3. Sviluppando sinergie di portafoglio (outsourcing).4. Valorizzando il network di contatti del private equity per au-

mentare e sfruttare le opzioni disponibili.5. Supportando emotivamente il management nei frangenti difficili.6. Migliorando la capacità di attrarre nuovi talenti manageriali.

Traduzione e adattamento da A. Berg e O. Gottschalg, Understanding value generation in buyouts, Evcj, July/August 2004.

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