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20 L’ultima configurazione particolare è quella in cui i valori della bassa classe media incrociano quelli dell’alta classe media a causa dell’ipercorrezione, vale a dire della tendenza ad essere più corretto del suo stesso modello laddove c’è maggior controllo conscio della produzione linguistica. Un problema metodologico è quello del numero di varianti da considerare. Infatti, come distribuzione tipica si otterrà un continuum, per cui è necessario individuare delle categorie pertinenti da considerare come varianti cui riportare le varie occorrenze. Nel caso migliore, saranno due, ma è possibile che siano tre, quattro o anche più. Variabili sociolinguistiche e livelli di analisi Un primo problema è rappresentato dal fatto che le varianti, per essere considerate tali, devono essere realizzazioni diverse, ma non devono portare a modificazioni di significato (o di funzione). Se questo non ha grande importanza per il livello fonologico e morfologico, a livelli superiori (sintassi, lessico, testualità e grammatica) le singole varianti sono già dotate di significato ed è difficile stabilire se esso sia lo stesso per ogni diversa realizzazione. Sankoff ritiene che il concetto di variabile possa essere esteso anche al di sopra del livello fonologico (assumendo che le eventuali differenze referenziali siano neutralizzate dal discorso in atto), mentre Lavandera riformula il concetto di identità di significato in quello di comparabilità funzionale in uno stesso concetto. Gadet e Godard invece sono molto più critici e affermano che solo al livello fonologico, in cui le entità sono totalmente arbitrarie e prive di significato, si può parlare di variabili. Una visione intermedia porta a discutere la nozione di variabile per i livelli superiori, ma al tempo stesso ne ammette l’importanza, purché si abbandoni il significato nell’accezione puramente denotativa e referenziale, anche perché (Romaine) la sintassi dovrebbe essere inquadrata nella pragmatica del discorso. Per noi la variabilità linguistica appare applicabile anche ai livelli di analisi alti, intendendola come un punto determinato del sistema linguistico in cui una categoria ben definibile ha diverse realizzazioni formali caratterizzate da un’ampia sostitutibilità reciproca in diversi contesti. Un secondo problema riguarda l’arbitrarietà dei tratti linguistici suscettibili di variare in relazione a fatti sociali. Allo stato attuale delle conoscenze pare che questi segni siano arbitrari, a causa del fatto che la loro eventuale funzione di variabile sociale non è una proprietà derivante dal sistema linguistico ma dalla società in esame. Una generalizzazione è però proponibile e riguarda quali varianti di date variabili tendono a essere marcate socialmente. In genere, quanto più esse sono meno linguisticamente marcato, essa sarà ritenuta substandard, mentre una più linguisticamente marcata sarà socialmente favorita. + percentuale classi socio-economiche delle realizzazioni foniche - non standard + - stili contestuali +

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L’ultima configurazione particolare è quella in cui i valori della bassa classe media incrociano quelli dell’alta classe media a causa dell’ipercorrezione, vale a dire della tendenza ad essere più corretto del suo stesso modello laddove c’è maggior controllo conscio della produzione linguistica.

Un problema metodologico è quello del numero di varianti da considerare. Infatti, come distribuzione tipica si otterrà un continuum, per cui è necessario individuare delle categorie pertinenti da considerare come varianti cui riportare le varie occorrenze. Nel caso migliore, saranno due, ma è possibile che siano tre, quattro o anche più. Variabili sociolinguistiche e livelli di analisi Un primo problema è rappresentato dal fatto che le varianti, per essere considerate tali, devono essere realizzazioni diverse, ma non devono portare a modificazioni di significato (o di funzione). Se questo non ha grande importanza per il livello fonologico e morfologico, a livelli superiori (sintassi, lessico, testualità e grammatica) le singole varianti sono già dotate di significato ed è difficile stabilire se esso sia lo stesso per ogni diversa realizzazione. Sankoff ritiene che il concetto di variabile possa essere esteso anche al di sopra del livello fonologico (assumendo che le eventuali differenze referenziali siano neutralizzate dal discorso in atto), mentre Lavandera riformula il concetto di identità di significato in quello di comparabilità funzionale in uno stesso concetto. Gadet e Godard invece sono molto più critici e affermano che solo al livello fonologico, in cui le entità sono totalmente arbitrarie e prive di significato, si può parlare di variabili. Una visione intermedia porta a discutere la nozione di variabile per i livelli superiori, ma al tempo stesso ne ammette l’importanza, purché si abbandoni il significato nell’accezione puramente denotativa e referenziale, anche perché (Romaine) la sintassi dovrebbe essere inquadrata nella pragmatica del discorso. Per noi la variabilità linguistica appare applicabile anche ai livelli di analisi alti, intendendola come un punto determinato del sistema linguistico in cui una categoria ben definibile ha diverse realizzazioni formali caratterizzate da un’ampia sostitutibilità reciproca in diversi contesti. Un secondo problema riguarda l’arbitrarietà dei tratti linguistici suscettibili di variare in relazione a fatti sociali. Allo stato attuale delle conoscenze pare che questi segni siano arbitrari, a causa del fatto che la loro eventuale funzione di variabile sociale non è una proprietà derivante dal sistema linguistico ma dalla società in esame. Una generalizzazione è però proponibile e riguarda quali varianti di date variabili tendono a essere marcate socialmente. In genere, quanto più esse sono meno linguisticamente marcato, essa sarà ritenuta substandard, mentre una più linguisticamente marcata sarà socialmente favorita.

+ percentuale classi socio-economiche delle realizzazioni foniche - non standard

+

- stili contestuali +

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Modelli di descrizione e analisi della variabilità Regole variabili e sociolinguistica quantitativa La metodologia delle regole variabili si propongono di costruire delle grammatiche (descrizioni formali della lingua) che incorporino la variabilità. Per regola variabile si intende una regola nella cui formulazione non si tiene conto solo delle categorie e dei tratti linguistici, ma anche dei fattori che influiscono sulla sua applicazione. La forma generale di una regola variabile è X→<Y>/Z, che si legge “X è realizzato variamente come Y nel conteso Z”. Z indica sia specificazione del contesto linguistico sia dei fattori extralinguistici, in notazione /(V)-(W). Tutto ciò che compare tra parentesi uncinate ha un peso variabile, non obbligatorio. Le regole variabili possono avere un grado elevato di complessità, e consentono un’elaborazione statistica delle probabilità con le quali si realizzerà una variante in relazione a ciascuno dei fattori contestuali (linguistici oppure extralinguistici) presi in considerazione. Essi potranno avere indice compreso tra 0 (nessuna realizzazione del tratto considerato per quel fattore) e 1 (sicura realizzazione). Un problema delle regole variabili subentra quando si fa ad esse assumere un valore predittivo, inglobandole nella grammatica. Secondo Labov e Sankoff questa è un’operazione lecita, ma altri ribattono che la grammatica si occupa di strutture astratte, di classi di frasi (types) e non di frasi occorrenti (tokens). Inoltre le regole variabili rischino di ricadere nel riduzionismo (cioè nell’applicare i metodi delle scienze esatte al comportamento umano). Infine le regole variabili quantificano i rapporti tra i diversi fattori e i tratti contestuali, ma non spiegano la natura e la causa di questi rapporti. Quindi le regole variabili hanno perso importanza nella sociolinguistica, rivelandosi utile soprattutto per la descrizione dei fenomeni. Grammatica di varietà Si tratta di un modello che cerca di tenere conto anch’esso della variabilità nella formazione della grammatica. La grammatica di varietà ha un puro intento descrittivo e ha una struttura sintagmatica, indipendente dal contesto. Ogni regola è formata da un blocco di regole aventi la medesima entrata ma uscite plurime, ciascuna con un diverso indice di probabilità di occorrenza. Ovviamente anch’essa si basa su un corpus di dati empirici. Sia pure con un’apparenza diversa, l’utilizzo delle probabilità nella formazione della grammatica fa assomigliare questa tecnica a quella delle regole variabili. La differenza principale sta nel fatto che la grammatica di varietà non considera i contesti e quindi le variabili sociali. In compenso, essa può essere applicata a tutti i livelli di analisi, non è orientata su nessuna varietà, può facilmente dar conto di variabili non binarie ma soprattutto è un metodo di descrizione chiaro e semplice.

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Scale di implicazione Questo modello si può utilmente impiegare con gli altri già descritti, perché si rivolge ad altri scopi. Infatti si basa sull’analisi non delle variabili, ma dei loro rapporti. Il suo scopo non è quello di elaborare delle probabilità di occorrenza, ma quello di scoprire eventuali implicazioni tra le variabili e le varianti che le realizzano, e di far emergere rapporti e gerarchie tra tratti (anche extralinguistici). La tecnica delle scale di implicazione è un procedimento euristico che consiste nel partire da una certa distribuzione di tratti e vedere se la scelta di un determinato tratto implica la scelta di altri tratti. Il risultato è una matrice a doppia entrata (tratti linguistici/varietà di lingua) in cui un valore + abbia sopra di sé e sinistra solo valore + e che i valori – abbiano sotto di sé e a destra solo valori -. TRATTI T1 T2 T3 T4 T5 T6 + + + + + + V1 + + + + + - V2 + + + + - - V3 VARIETÀ + + + - - - V4 + + - - - - V5 + - - - - - V6 Il fatto che talvolta si trovi una scalabilità dei tratti non perfetta è accettabile nella misura circa del 10%. Le scale di implicazione comportano dei problemi. Ad esempio, esse presuppongono coppie di tratti che ammettono solo tre delle quattro combinazioni possibili (+A+B, +A-B, -A-B ma non –A+B). Tutte le coppie delle scale di implicazione devono presentare questa natura, ma ciò significa ridurre di molto la gamma della possibile variazione. Infatti si passa da xn (con x numero dei valori possibili per ogni variabile e n numero delle variabili) a n+1. Un altro problema consiste nell’utilizzare tratti non binari, a più valori. Esso si unisce a quello di rappresentare nelle scale di implicazione la variabilità, e per risolverlo è stato proposto di ammettere scale con tre valori (+,- o v). A v si sostituiranno i tratti effettivi di frequenza o probabilità. TRATTI PARLANTI T1 T2 T3 T4 T5 P1 + + + + + P2 + + v + v P3 + + v v v P4 + v v v - P5 v v - - - P6 v - - - -

Le scale di implicazione sono un metodo duttile e potente, anche se non possono tenere conto dei fatti propriamente sociali. Esse si possono applicare a tutti i livelli, alti o bassi, ma la loro utilità è palese per i livelli alti. Per questo sono state associate alle regole variabili o alla grammatica di varietà. Si sono dimostrate adatte anche per studiare le sequenze di acquisizione. In ogni caso, si tratta di un tipo di analisi più linguistica che sociale, dato che gli elementi sociali vengono inseriti in un secondo tempo.

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Altri modelli i modelli precedenti non si dimostrano però del tutto adatti per una descrizione della situazione europea, perché nel vecchio continente la situazione linguistica più frequente è quella della presenza simultanea della lingua con uno o più dialetti, che si influenzano a vicenda. Risulterebbe più costruttivo creare una grammatica con una base comune, sulla quale innestare le variazioni specifiche per ogni altra varietà di lingua ad essa collegata (analisi dei sistemi coesistenti, Kristensen-Thelander). Mioni e Trumper, nello studio della competenza dell’italiano e del dialetto insieme nei parlanti di una comunità regionale (grammatica di variazione), inglobano sia le regole variabili sia le scale di implicazione e lasciano ampio spazio all’interferenza tra i due gradata che costituiscono il repertorio. Infatti troviamo sia regole relative a fenomeni equivalenti nelle diverse varietà, sia regole sia trattano differenze nelle restrizioni contestuali di una stessa regola comune a più varietà sia l’eventuale differenziazione quantitativa nell’applicazione di una data regola. Questo apparato serve a descrivere l’articolazione di un sistema in varietà e la sua variabilità interna, ed è dunque valida per una situazione di presenza simultanea di lingua e dialetto. Per dar conto dei rapporti tra di essi, la grammatica di variazione prevede filtri di inferenza costituiti da “regole di traffico” (che specificano le linee generali dell’interferenza dell’italiano sul dialetto e viceversa) e “regole di corrispondenza” (che permettono di passare da una forma dialettale alla corrispondente italiana e viceversa).

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LA DIFFERENZIAZIONE DEL REPERTORIO: APPUNTI DI SOCIOLOGIA DEL LINGUAGGIO

Status e funzione delle lingue e varietà di lingua Queste nozioni riguardano non solo il rapporto tra il sistema linguistico e i parlanti e il loro posto nella società, ma anche tra esso e l’organizzazione della vita sociale, politica e amministrativa. Dunque in esse troviamo molte dimensioni che si incrociano. Lo status di una lingua è determinato da ciò che con essa si può fare, in campo pratico, legale, culturale, economico, politico, ecc., in una certa comunità di riferimento. Invece per funzione si intende ciò che effettivamente viene fatto, quindi lo status ha valore potenziale mentre la funzione è l’attuazione effettiva. Si tratta di due concetti correlati ma non identici, ci possono essere discrepanze tra lo status e l’effettiva funzione. Per funzione, in questo contesto, non si intendono gli usi o gli scopi per i quali un parlante si serve della lingua (“a cosa serva l’atto linguistico X?”), ma la funzione di singoli e determinati sistemi linguistici intesi nella loro globalità, in un contesto sociale di riferimento (“a cosa serve la lingua X nella società Y?”). Si intendono dunque funzioni come quella ufficiale, educativa, tecnica, internazionale e così via. Un terzo importante concetto è quello di attributo, vale a dire le proprietà che un sistema linguistico deve possedere per svolgere una certa funzione e per godere quindi di un certo status. La sociolinguistica recente, per classificare le lingue e le varietà di lingua, si concentra sulle dimensioni o sulle componenti dello status dei sistemi linguistici nelle rispettive entità politiche di riferimento, invece che sulle funzioni (troppo riduttive).

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Dimensioni dello status delle lingue e tipi funzionali di lingua Dimensioni geo-politiche Per classificare le lingue in base al genere di usi a cui i sistemi linguistici sono destinati e assoggettati nella comunità e al conseguente status socio-istituzionale che a loro spetta, si possono esaminare tre parametri. Il primo è l’area di diffusione della lingua, che può essere compatta o diffusa, ampia o ristretta, in un solo Paese o in più Paesi. Un concetto importante è quello di copertura, con il quale si intende il fatto che una varietà di lingua abbia sopra di sé, in un determinato territorio, come lingua di cultura e riferimento una lingua con la quale è strettamente imparentata (lingua tetto). Quando la lingua superiore non è imparentata con la varietà di lingua in esame si parla di lingua senza tetto. Il secondo è dato dai sistemi sociali e istituzioni di riferimento: Stati, nazioni, associazioni internazionali e così via. A questo proposito si distinguano le lingue nazionali, che sono espressione del sentimento di unità di una nazione, lingue internazionali, lingue di lavoro ecc.. Il terzo invece dipende dallo statuto giuridico e legale delle lingue, cioè dalla loro posizione come è espressa dalle leggi. Fondamentali è la distinzione tra lingue riconosciute e non riconosciute. Tra le lingue riconosciute importanti sono le lingue ufficiali, stabilite come tali dalle leggi e impiegate nell’amministrazione. Dimensioni socio-demografiche Anche qui possiamo distinguere tre raggruppamenti fondamentali. Il primo riguarda il numero e il tipo dei parlanti. Per quanto riguarda il numero, è importante distinguere tra quantità relativa, intesa come proporzione tra il numero dei parlanti e la comunità totale (per esempio nella distinzione tra lingua di maggioranza e di minoranza), e assoluta (utile per distinguere lingue grandi, medie e piccole). Quanto al tipo dei parlanti, la distinzione fondamentale è quella tra parlanti nativi o meno. È ovvio che una lingua con molti parlanti non nativi (come l’inglese) avrà uno status diverso da quello di una lingua con pochi parlanti non nativi. Il secondo concerne le caratteristiche socio-culturali degli utenti (classe sociale, età, religione, etnia, cittadinanza, professione, ecc.). Molto importante è il terzo, che fa capo ai domini d’impiego, in cui si oppongono lingua di uso generalizzato e lingue impiegate solo in domini particolari (cultura, educazione, economia, ecc.). Dimensioni linguistiche Le dimensioni linguistiche, come le altre, si dividono in tre ambiti differenti. Il primo riguarda il grado di elaborazione (Ausbau) di un sistema linguistico. Il primo livello è quello di grafizzazione, in cui la lingua deve essere dotata di scrittura e abbia parlanti alfabeti in senso pieno. Kloss individua due ulteriori parametri: argomenti, a loro volta gerarchizzati in temi relativi alla storia e tradizione locale, temi culturali e generali e temi di scienze naturali e tecnologia, e livelli di sviluppo, ordinati in livello do scuola elementare, secondaria e universitario, per creare dei gradi di elaborazione. Egli distingue così lingue standard pienamente sviluppate, lingue standard giovani, lingue preletterate, e così via. Il secondo è il grado di standardizzazione. La lingua standard è una varietà di una lingua per la quale esista un codice linguistico di riferimento riconosciuto (dizionari, grammatiche, ecc.) che prescriva il corretto uso della lingua ed esistano dei modelli di riferimento sui quali si appoggino questi manuali. Il terzo è il grado di vitalità, inteso come la tendenza della lingua a trasmettersi da una generazione all’altra. Importante è anche il grado di vigore. Una lingua ha vigore quando un buon possesso di essa ha incontestabilmente un alto valore in una comunità.

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Lingua, lingua standard, varietà di lingua, dialetto Lingua È difficile stabilire i confini tra questi concetti. Per “lingua” si possono definizioni: una linguistica (ogni sistema linguistico, organizzato in paradigmi e regole, con sue peculiarità in termini di caratteristiche strutturali), una variazionistica (somma di varietà di lingua, formanti diasistema) e una sociolinguistica (ogni sistema linguistico socialmente sviluppato, che sia lingua ufficiale o nazionale in qualche Paese, che svolga molte funzioni in una società, che sia standardizzato e sovraordinato ad altri eventuali sistemi in uso, chiamati dialetti se imparentati con essa). Kloss, per unificare queste concezioni, ha introdotto le nozioni di Abstandsprache (lingua per distanziazione, secondo la terminologia di Muljačić) e di Ausbausprache (lingua per elaborazione). Una lingua per distanziazione è riconosciuta come lingua a sé sulla base delle caratteristiche strutturali che la differenziano dalle altre; una lingua per elaborazione è un lingua sviluppata, che è in grado di soddisfare tutte le funzioni richieste dalla società, che può valere come espressione di tutti gli aspetti della vita moderna. Le lingue dunque possono essere sia Abstandsprache sia Ausbausprache (italiano, francese, ecc.), solo Abstandsprache (le parlate zingare) oppure solo Ausbausprache (il còrso). Per affermare l’esistenza di una Ausbausprache criterio fondamentale è la presenza di manuali e trattati di scienza e tecnica in quella lingua, che dev’essere pertanto codificata e avere un pubblico interessato. Si tratta di “strumenti socialmente evoluto, perfezionati per essere veicolo standard di attività letteraria”. È più difficile caratterizzare invece una Abstandsprache, perché bisogna considerare sia la distanza tra due varietà di lingua sia il modo in cui misurarla. Ci sono cinque criteri principali per questa operazione. Il problema può essere affrontato su base genealogica, di appartenenza a uno stesso gruppo linguistico. Ma questo non aiuta quando due sistemi hanno una forte parentela ma diverso trattamento sociale. In secondo luogo ci può essere la comprensibilità delle varietà linguistiche in causa, ma anche questo criterio non è affidabile, perché la comprensione di una varietà non è soggetta solo alla mera distanza ma agli atteggiamenti dei parlanti, che potranno affermare di non comprendere una varietà stigmatizzata o viceversa. Una terza modalità è quella del riconoscimento diretto dei parlanti del fatto che il loro sistema sia una lingua o meno, ma questo può dare informazioni sul suo status, meno sul suo carattere di Abstandsprache. Swadesh introduce il criterio di lessicostatica, che consiste nel misurare quanta parte del lessico fondamentale (non culturale, meno esposto a influenze da parte di altre lingue) le due varietà abbiano in comune. Maggiore sarà la corrispondenza, più vicine saranno le lingue. Il più importante criterio è quello della dissimilarità linguistica, stabilita esaminando non solo il lessico, ma tutti i livelli di analisi del sistema linguistico, confrontandoli tra loro. In realtà si tratta di un metodo complesso e quasi impraticabile, anche perché resterebbe sempre il problema di stabilire un limite per discriminare due lingue diverse da due varietà della stessa lingua. Questi sistemi di valutazione, usati insieme, possono essere soddisfacenti, specie se integrati con la dimensione sociologica. Ammon definisce una lingua come un insieme di varietà in cui una (standard) copre tutte le altre, che non sono più che mediamente dissimili da essa. Le due dimensioni di Ausbau e di Abstand possono permetterci di schizzare un continuum in cui troviamo queste classificazioni: 1. Massimo grado sia di Ausbausprache sia di Abstandsprache (italiano, tedesco, ecc.) 2. Massimo Ausbausprache ma scarso Abstandsprache (neerlandese) 3. Massimo Abstandsprache ma scarso Ausbausprache (lingue africane) 4. Discreto Abstandsprache ma minimo Ausbausprache (sardo) 5. Minimo Abstandsprache e minimo o nullo Ausbausprache (emiliano, lucano, abruzzese, ecc.)

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Lingua standard La nozione di lingua standard è simile a quella di Ausbausprache. Infatti la lingua standard per Ammon deve essere sovraregionale, parlata dai ceti alti, essere unificata con alto grado di invarianza, essere scritta ed essere codificata in base a un corpo riconosciuto di opere di riferimento. Garvin e Mathiot la definiscono in questi termini: stabilità flessibile, intellettualizzazione, funzione di modello di riferimento, alto prestigio, funzione unificatrice all’interno della comunità e separatrice dall’esterno. Notiamo che le ultime due caratteristiche si riferiscono anche alla definizione di lingua nazionale. In ogni caso, la lingua standard è parlata da un’élite, che le dona grande prestigio sociale, economico e culturale, ed è sostenuta dalle classi dominanti con la scuola, l’amministrazione, i mass media e via dicendo. Dialetto Per essere definito dialetto di una lingua Y, una varietà di lingua X deve avere una buona vicinanza strutturale con Y, Y deve essere la sua lingua tetto e X deve essere geneticamente imparentato con Y. Di solito, in aggiunta a queste condizioni, per dialetto si intende una varietà di lingua diatopicamente determinata, tipica e tradizionale di una certa area. È opportuno distinguere tra dialetti primari e secondari o terziari. I dialetti primari sono quelli che si sono sviluppati autonomamente e parallelamente alla lingua standard, che è stata promossa in seguito tale per motivi sociali, da cui mantengono una certa distanza e autonomia. I dialetti secondari o terziari sono quelli che si sono differenziati diatopicamente dalla lingua comune (secondari) o dalla lingua standard dopo la sua diffusione (terziari). Appare dunque chiaramente il fatto che dal punto di visto linguistico non è possibile determinare se un sistema linguistico sia una lingua o un dialetto (anzi, la questione non ha senso). Essi condividono le proprietà semiologiche di ogni sistema linguistico. Solo la sociolinguistica può distinguere queste due entità, chiamando in causa fattori di tipo funzionale, sociale e comunicativo: un dialetto ha poca Ausbau. È chiaro che i dialetti sono sempre subordinati a una lingua, ma ciò non significa che essi siano parlati solo dai ceti sociali bassi. Questo di solito si verifica, ma non è sufficiente a distinguere concettualmente la nozione di dialetto, al pari dell’oralità o dell’ambito di uso locale. La coesistenza delle lingue e dei dialetti crea interessanti fenomeni, come la commutazione di codice, l’avvicinamento dei dialetti alla lingua (convergenza), l’avvicinamento dei dialetti tra di loro (livellamento dialettale), con la formazione della koinè (compromesso tra le diverse varietà locali).

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Tipologia dei repertori linguistici Diglossia Per diglossia, in linea generale, si intende la compresenza di più lingue o varietà di lingua diverse con funzioni socio-culturali ben distinte, cioè usate per differenti funzioni. La definizione di Ferguson è più precisa e comprende vari aspetti: esistenza di vari dialetti primari (nativi) di una lingua, esistenza di una varietà sovrapposta (appresa dopo la varietà nativa) ai dialetti, stabilità della coesistenza tra le varietà basse e quella alta, la varietà alta è sensibilmente differente dalle altre, la varietà alta è veicolo di una prestigiosa tradizione letteraria, la varietà alta è altamente codificata e standardizzata, la varietà alta è appresa a scuola attraverso istruzione normale, la varietà alta è impiegata sia per gli scopi scritti sia per quelli orali, la varietà alta non è mai usata per la comunicazione ordinaria (in-diglossia). Il concetto di diglossia di Ferguson presenta alcune problematiche. La sociolinguistica estende il concetto di diglossia (basata non su aspetti linguistici ma soprattutto su quelli sociali) anche ai casi in cui c’è compresenza di lingua chiaramente diverse, in ogni caso con differenze socio-funzionali rilevanti (out-diglossia). Inoltre la rigida e mutuamente esclusiva distribuzione degli usi (ufficiale per la varietà A e confidenziale per la varietà B) teorizzata da Ferguson pare difficile da trovare. Il terzo punto critico riguarda la diffusione delle due varietà nella comunità parlante. Ferguson è piuttosto vago, per cui si assume che vi sia diglossia quando almeno un segmento della società di dimensione non minima padroneggia sia A sia B. Rapporti diglottici Il concetto di diglossia ha avuto molto successo ed è stato arricchito nella terminologia, con la nascita della triglossia, pentaglossia, aglossia, e così via, applicandola variamente anche in relazione al bilinguismo. Ma negli anni ’80 questo uso indiscriminato della diglossia ha portato a una ridefinizione del concetto secondo tre strade. La prima implica un concetto allargato di diglossia, al quale di volta in volta applicare delle distinzioni specifiche. La seconda tende a rendere prototipica la nozione, definendola come un concetto costituito da un insieme di dimensioni lungo le quali le diverse situazioni possono situarsi in punti diversi. Le dimensioni, secondo Lüdi, sono: distanza linguistica, tipo ed estensione della comunità, complementarità funzionale, standardizzazione, tipo di acquisizione dei codici, differenza di prestigio. Il problema fondamentale di questa trattazione è che non è chiaro quale sia la diglossia prototipica (ideale). La terza soluzione si propone di mantenere un approccio fergusoniano e di aggiungere delle distinzioni caso per caso. Questo implica una classificazione in questi termini: bilinguismo sociale, diglossia, dilalia e bidialettismo. Il bilinguismo sociale sarebbe la situazione in cui due lingue chiaramente diverse ed entrambe elaborate sono compresenti in una comunità e possono venire usate senza subordinazione funzionale. Qui il concetto di diglossia sarebbe simile a quello introdotto da Ferguson, mentre per dilalia si intende il fatto che il codice A è usato anche per la conversazione normale ed è normale usare i due codici in alternativa (anche se è chiara la loro distinzione funzionale in ambiti di spettanza). Il bidialettismo invece richiede presenza nel repertorio di una varietà standard e altre regionali, che non sono molto distanti tra loro, normalmente è usata la varietà B nel quotidiano, B non è promossa a lingua alternativa e sono favoriti gli usi commisti di A e B. È chiaro che, a differenza di quanto sostiene la sociolinguistica classica, questi concetti non possono essere combinati tra loro.

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Bilinguismo e selezione delle varietà Per bilinguismo si intende la compresenza nello stesso territorio di due lingue diverse (Abstandsprachen). Una prima distinzione è quella tra bilinguismo di diritto e bilinguismo di fatto; importanti sono anche i rapporti tra le competenze che i parlanti hanno delle due lingue. Il primo caso è quello del bilinguismo monocomunitario, in cui quasi tutti i parlanti sono bilingui e costituiscono un comunità unica. Il secondo caso è quello in cui una parte consistente della popolazione è bilingue, ma le due sottocomunità sono fondamentalmente separate. Il terzo caso è quello in cui tutti i parlanti della lingua B parlano anche la lingua A, ma non viceversa. Il quarto caso è quello del bilinguismo bicomunitario, in cui la comunità è divisa in due sottocomunità ciascuna con l’uso della sua propria lingua. Il bilinguismo porta a due interessanti fenomeni: la scelta di una delle due lingue nei diversi domini o situazioni e la commutazione di codice all’interno dello stesso evento comunicativo. Di solito, in un parlante, la situazione di bilinguismo ideale non si verifica, perché una delle due lingue domina, se non altro per competenza (oltre che per ambito d’uso). La distribuzione delle lingue nei diversi domini si chiama configurazione di dominanza. Questa è molto importante per analizzare lo stato della situazione del bilinguismo: se una lingua viene utilizzata in molti domini tenderà a soppiantare l’altra.

Commutazione di codice La configurazione di dominanza stabilisce la scelta normale del codice dei bilingui in una data situazione. Questo fenomeno si chiama alternanza di codice. Per commutazione di codice si intende invece il passaggio da una lingua all’altra, da parte dello stesso interlocutore, nell’ambito dello stesso evento linguistico. Gumperz è il caposcuola delle ricerche sulla commutazione di codice. Egli ritiene che questo avvenimento sia governato da leggi ben precise, infatti la scelta di un codice rispetto all’altro non è mai casuale ma è determinata da scelta funzionali per lo svolgimento del discorso. Dal punto di vista sociologico, la commutazione di codice è un espediente per superare i conflitti tra le due identità culturali connesse alle due lingue, regolando continuamente la negoziazione dello sviluppo dell’interazione. Un’altra teoria prevede la commutazione come mezzo per l’identificazione culturale in un nuovo ambiente. È importante introdurre il concetto di enunciazione mistilingue, quando cioè il passaggio avviene all’interno di una stessa frase e che comporta come risultato la formulazione di una frase con costituenti appartenenti a diversi sistemi linguistici. Questo passaggio è regolato dalla restrizione dell’equivalenza di struttura, una teoria che, in base alla comparazione delle diverse grammatiche, indica quali sono i punti in cui una lingua può lasciare il passo ad un’altra all’interno di una stessa frase. Ciò può accadere solo quando la giustapposizione degli elementi delle due lingue non viola le regole di nessuna della due. Questa teoria non tiene conto del fatto che la commutazione di codice sia insensibile alla distanza tra i sistemi considerati. Scotton afferma che la commutazione di codice è dominata da una lingua matrice (tale per ragioni sociali e psicologiche) che determina la struttura morfosintattica del discorso commutato. A causa del fatto che per ogni teoria si trovano delle eccezioni, Sankoff avanza la distinzione tra una commutazione di codice regolata da restrizioni sintattiche e una commutazione di codice libera, che avverrebbe in qualsiasi parte del discorso.