Gabriella Cotta, Male e Questione Ontologica a Partire Da Del Noce (Dialegesthai)

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Stampa | Salva | Invia | Translate Gabriella Cotta Male e questione ontologica a partire da Del Noce 1. Un tema fondamentale nel pensiero di Del Noce 2. Profili storici e teoretici del problema del male in Del Noce 3. Lo scandalo del male innocente e il problema della teodicea 4. Le tre prospettive delnociane 5. Shestov: la finitezza ontologica come male 6. Oltre Shestov e Del Noce: differenza e relazione 1. Un tema fondamentale nel pensiero di Del Noce Il tema del male è certamente uno tra i più importanti nella ricerca delnociana e molti sono gli autori che ne hanno analizzato la portata. [ 1 ] Sin dal primo grande convegno dedicato alla figura di Del Noce, [ 2 ] Vittorio Possenti rileva l'importanza di tale questione nel suo pensiero, individuando tre linee di riflessione intorno a cui si diparte l'analisi delnociana intorno all'argomento in questione. [ 3 ] Soprattutto, però, Possenti rileva la prima «biforcazione» nel resoconto delnociano sul tema, che viene considerato "talvolta come «male in sé», che colpisce la condizione umana, e talvolta come «male del secolo», ossia qualche cosa che concerne specificamente il Novecento", [ 4 ] rilevando la maggior rilevanza teoretica del primo versante della questione. Accanto a Possenti, anche Giuseppe Riconda sottolinea come sia precisamente a partire dalla riflessione sul male -- tra la rilettura biblica del Genesi e quella del mito di Anassimandro, tra male morale o ontologico, -- a permettere a Del Noce di elaborare la propria critica al razionalismo metafisico moderno e ai suoi esiti ateistici, vero e proprio fil rouge dell'intero percorso del pensatore torinese. [ 5 ] Un altro studioso, Andrea Paris, ricostruendo il pensiero di Del Noce intorno alla questione essenziale del formarsi della persona attraverso l'esercizio della libertà e della conseguente «conquista di sé», indica come questo percorso -- il cui fulcro l'analisi delnociana colloca nel pensiero di Cartesio [ 6 ] -- si dipani a partire dalla convinzione che saggezza e meditazione si hanno «in senso proprio solo nel riconoscimento che il male e il negativo hanno la loro origine nelle profondità del soggetto. In caso contrario -- laddove il negativo è esteriorizzato e oggettivato -- l'attività intellettuale si traduce [...] in schema per l'agire, le idee perdono il loro spessore ontologico e si appiattiscono in una prospettiva pragmatista'. [ 7 ] Anche Paris, dunque, evidenzia la priorità teoretica del tema «male», indicandolo anzi come il motore soggiacente all'intera costruzione speculativa di Del Noce. D'altra parte, ciò che questi studiosi segnalano appare chiaramente a chi si accosti all'opera di Del Noce, al punto che si può sostenere che il male -- e i radicali problemi che le diverse interpretazioni di esso sollevano -- costituisce lo sfondo più o meno esplicito della ricerca delnociana sull'ateismo, sulla secolarizzazione, della sua analisi del marxismo, del razionalismo metafisico [...] in pratica, della grande maggioranza dei suoi temi più significativi. Nel complesso processo di decostruzione perseguito da Del Noce per cogliere Gabriella Cotta, Male e questione ontologica a partire da Del Noce (Di... http://mondodomani.org/dialegesthai/gcot01.htm 1 di 20 23/04/2013 01:28

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Gabriella Cotta

Male e questione ontologica a partire da Del Noce

1. Un tema fondamentale nel pensiero di Del Noce2. Profili storici e teoretici del problema del male in Del Noce3. Lo scandalo del male innocente e il problema della teodicea4. Le tre prospettive delnociane5. Shestov: la finitezza ontologica come male6. Oltre Shestov e Del Noce: differenza e relazione

1. Un tema fondamentale nel pensiero di Del Noce

Il tema del male è certamente uno tra i più importanti nella ricerca delnociana e molti sonogli autori che ne hanno analizzato la portata.[1] Sin dal primo grande convegno dedicato allafigura di Del Noce,[2] Vittorio Possenti rileva l'importanza di tale questione nel suo pensiero,individuando tre linee di riflessione intorno a cui si diparte l'analisi delnociana intornoall'argomento in questione.[3] Soprattutto, però, Possenti rileva la prima «biforcazione» nelresoconto delnociano sul tema, che viene considerato "talvolta come «male in sé», checolpisce la condizione umana, e talvolta come «male del secolo», ossia qualche cosa checoncerne specificamente il Novecento",[4] rilevando la maggior rilevanza teoretica del primoversante della questione. Accanto a Possenti, anche Giuseppe Riconda sottolinea come siaprecisamente a partire dalla riflessione sul male -- tra la rilettura biblica del Genesi e quelladel mito di Anassimandro, tra male morale o ontologico, -- a permettere a Del Noce dielaborare la propria critica al razionalismo metafisico moderno e ai suoi esiti ateistici, vero eproprio fil rouge dell'intero percorso del pensatore torinese.[5] Un altro studioso, AndreaParis, ricostruendo il pensiero di Del Noce intorno alla questione essenziale del formarsi dellapersona attraverso l'esercizio della libertà e della conseguente «conquista di sé», indica comequesto percorso -- il cui fulcro l'analisi delnociana colloca nel pensiero di Cartesio[6] -- sidipani a partire dalla convinzione che saggezza e meditazione si hanno «in senso proprio solonel riconoscimento che il male e il negativo hanno la loro origine nelle profondità delsoggetto. In caso contrario -- laddove il negativo è esteriorizzato e oggettivato -- l'attivitàintellettuale si traduce [...] in schema per l'agire, le idee perdono il loro spessore ontologico esi appiattiscono in una prospettiva pragmatista'.[7] Anche Paris, dunque, evidenzia la prioritàteoretica del tema «male», indicandolo anzi come il motore soggiacente all'intera costruzionespeculativa di Del Noce.

D'altra parte, ciò che questi studiosi segnalano appare chiaramente a chi si accosti all'opera diDel Noce, al punto che si può sostenere che il male -- e i radicali problemi che le diverseinterpretazioni di esso sollevano -- costituisce lo sfondo più o meno esplicito della ricercadelnociana sull'ateismo, sulla secolarizzazione, della sua analisi del marxismo, delrazionalismo metafisico [...] in pratica, della grande maggioranza dei suoi temi piùsignificativi. Nel complesso processo di decostruzione perseguito da Del Noce per cogliere

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appieno il senso dei percorsi filosofici sfocianti nell'ateismo e nell'irreligiosità moderni, si puòleggere in controluce il duraturo e spesso angoscioso confronto con la nostra questione. Taliitinerari speculativi, infatti, sono stati da lui presentati prioritariamente come più o menoespliciti tentativi di autoredenzione dell'uomo: potremmo dire, l'inverso di quel processo diacquisizione autocoscienziale di sé e dei propri limiti strutturali cui si faceva cenno pocosopra.[8] E, dunque, come lo sforzo di operare una cancellazione definitiva del tema «male»,letto come segno esplicito della finitezza e dipendenza dell'uomo rispetto alla trascendenza.In questo senso, addirittura, sarebbe ricostruibile, nell'orizzonte delnociano, l'intero processodella secolarizzazione -- necessariamente innervato di ateismo -- pur non esaurendone,evidentemente, il significato complessivo. Specularmente, e come attuando una forma dicompensazione rispetto all'incoercibile spinta di una parte della modernità a procedere inquesta direzione, Del Noce concentra la sua attenzione su autori che sono statiparticolarmente sensibili al tema del male, ma nel cui pensiero tale argomento si trasforma incentro propulsore di una costruzione speculativa volta a un'inesausta -- perché mai del tuttocompiuta -- ricerca religiosa. In questa linea, il lettore di Del Noce incrocia le suestraordinarie meditazioni su autori come Pascal e Kierkegaard, Lequier e Shestov, SimoneWeil.[9]

2. Profili storici e teoretici del problema del male in Del Noce

Proseguire in direzione di una -- sia pur schematica -- ricostruzione della riflessionedelnociana intorno al problema del male significa anche prendere consapevolezza che talequestione non verrà mai da lui affrontata nel perseguimento sistematico di un percorsoteoretico. Questo avviene, al contrario, nel pensiero di un autore come Pareyson, a luivicinissimo come epoca, ambiente, frequentazioni culturali, appartenenza religiosa. Seentrambi gli autori sono consapevoli che la sfida fondamentale per il pensiero cristiano èporsi fino in fondo la questione della libertà -- centrale per ogni interlocuzione con il«moderno» -- e, dunque, anche del suo assetto concettuale a riguardo del tema del male e delnegativo,[10] Pareyson farà dell'interconnessione di questa duplice questione il vero culmineteoretico della sua ricerca. I suoi ultimi scritti, infatti, -- che concludono, non solotemporalmente ma anche concettualmente, un percorso filosofico prematuramente interrotto-- sono tutti rivolti all'impostazione delle questioni prime, al cui centro è la sempre piùradicale formulazione dell'assoluta libertà di Dio come sola possibilità di cogliere «lapositività e l'esistenza» divina, capace di comunicare «una densità, una profondità che lametafisica dell'essere non può né prospettare né sondare'.[11] Ma questa stessa libertà divina,mentre proclama la propria definitiva vittoria sul male, lascia emergere anche l'inestricabilepresenza di «un aspetto se non notturno almeno vespertino e crepuscolare, una penombra dinegatività» che «accompagna e lascia il suo segno» sul «glorioso splendore che s'irraggiadalla vittoria sul nulla» realizzata da Dio nel suo «venire all'essere'.[12] Come si vede daqueste pagine, la questione riveste, per Pareyson, un'originarietà assoluta, tale da costituire aun tempo il vertice e il fondamento del suo pensiero.

Non penso che la stessa cosa si possa dire per Del Noce, per il quale il tema ècontemporaneamente più presente -- in senso latitudinario -- ma meno decisivo di quantonon la sia per Pareyson. Più presente perché, come vedremo, esso costituisce -- per lo piùnella sua formulazione indebolita di finitudine, soprattutto negata -- la questione cheinterroga radicalmente il moderno, meno significativa perché mai veramente posta con ladecisività teoretica con cui viene affrontata da Pareyson. Per quanto riguarda Del Noce, si puòprobabilmente dire che il tema, nella sua formulazione teoretica, è affrontato in modo piùsintetico e indiretto, costituendo, tuttavia, la vera e propria trama -- non sempre manifesta --soggiacente alla sua ricerca, tutta fortemente caratterizzata dalla problematica dell'ateismo edell'irreligiosità.

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Proviamo allora a individuare gli estremi problematico-teoretici entro i quali è collocato il suo«discorso» sul male. Il primo, come già si è detto, è individuabile nel tema della libertà, nodofondamentale, sia perché intrinsecamente connesso alla questione «male», sia perchésignificativo indicatore della forte sensibilità delnociana per la prospettiva esistenziale,centrale soprattutto nella fase giovanile del suo pensiero.[13] Tale sponda tematica viene poitrasformata -- nelle grandi ricostruzioni filosofico-politiche della maturità, concentratesoprattutto sulla critica del razionalismo metafisico, trascendente e immanente --nell'individuazione di una linea di portata storico-teorica alla base del suo ampio percorsoricostruttivo della modernità. Il fulcro di questa è costituito dal «rifiuto senza prove» dellostatus naturae lapsae dell'uomo, e dalla negazione, altrettanto immotivata, della possibilitàdel soprannaturale.[14] Da qui, i due esiti: o rifiutare, fino a normalizzarlo, il male nell'uomo eaccettarne, appunto «come normale» ogni sua manifestazione, o tentare di «cangiarlo»,superandone, attraverso la filosofia della prassi e l'impulso rivoluzionario, le storichealienazioni, che del male sono la concreta manifestazione.[15] Terzo punto, nel qualeinevitabilmente la questione-male si ripropone, sia pure in modo più indiretto e inprospettiva ricostruttiva anziché decostruttiva, la riflessione ontologica individuata da DelNoce nella via di una modernità che, partendo da Cartesio, si muove verso Rosmini passandoda Malebranche, Pascal, Vico e non, piuttosto, dirigendosi verso Nietzsche.[16]

Aver delineato i confini teoretico-problematici dell'interesse di Del Noce per l'argomento dicui stiamo trattando, ci consente di chiarificare anche la mappa dei suoi principaliinterlocutori filosofici, siano essi autori o grandi indirizzi di pensiero. Il tema della libertà cuitanto Del Noce è sensibile soprattutto negli anni della propria formazione lo spinge, infatti, aconfrontarsi con quello che andava diventando uno degli indirizzi filosofici dominanti nonsoltanto nella sua Torino, ma anche nell'intero paese: l'esistenzialismo, e con gli autori che,all'interno di questo orizzonte speculativo, si erano rivolti con più ampiezza alla questione dicui trattiamo: prima di tutto, Pascal, poi, il padre di ogni esistenzialismo, Kierkegaard, perapprodare ad autori come Shestov, Lequier, S. Weil.

Dall'altra, il suo continuo confronto con il pensiero medievale, con la prima scolastica -- inparticolare con il tomismo, grazie anche al suo fecondo rapporto con il p. Fabro -- con laseconda scolastica -- soprattutto de Vitoria e de Molina -, e con il «600 -- con Cartesio eMalebranche -, è spesso orientato dal nostro problema. Ancor più manifesto, tuttavia, essodiviene nella lettura che Del Noce dà dei razionalismi moderni, dell'idealismo, delneoidealismo, del marxismo come inveramento di una filosofia che si fa prassi in unaprospettiva di riscatto definitivo della storia.

Tuttavia, aver sottolineato quanto Del Noce si sia occupato del problema «male», non èsufficiente per spiegare i motivi per cui si può ritenere questo tema fondamentale nellaricostruzione del suo pensiero. La ragione più evidente -- direi di superficie -- che lo harivolto a tale ordine di questioni, è riconducibile al fatto che, chiunque voglia fare unafilosofia cristianamente orientata, deve, prima o poi, rendere ragione -- o tentare -- di unaquestione che, da Giobbe in poi, ha tormentato e tormenta tutti i credenti e, ancora di più,coloro che, come i cristiani, credono in un Dio dell'amore più che in un Dio/potenza.

Scendendo un po» più all'interno delle motivazioni che andiamo cercando, tuttavia, ritengoche l'interesse di Del Noce per il tema del male sia riconducibile piuttosto alla forte visteoretica che ispira la sua ricerca e che, a volte, sembra passare in secondo piano rispetto allasterminata mole di conoscenze storico filosofiche che nutrono le complesse genealogie deisuoi percorsi intellettuali. La questione del male, in realtà, non è soltanto uno dei nucleinascosti più importanti attorno a cui prende forma e si costruisce la modernità così a lungoindagata da Del Noce. Ancor prima e ancor di più, i temi del male, del negativo, del nihil, sonoveramente centrali nella costruzione e adozione di qualsiasi prospettiva teoretica, perchécoinvolgono ogni interpretazione ontologica, ogni lettura dell'idea di Principio -- trascendenteo immanente -, ogni visione etica e antropologica, e il fatto che acquistino -- in superficie o in

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controluce -- tanto rilievo nel pensiero delnociano è, come dicevo più sopra, dimostrazione,se mai ce ne fosse bisogno, dell'inesausta vena teoretica che muove la sua ricerca.[17]

Connesso a ciò che manca, che non è perfetto e completo in sé, alla carenza -- conoscitiva,ontologica -- accostato dunque al tema del nulla,[18] o distinto in male di pena o di colpa oricondotto unicamente alle azioni compiute dall'uomo, il tema del male è sempre sullo sfondodel nostro pensare, precondizione di ogni impostazione metafisica, di ogni prospettivaesistenziale, di ogni opzione teoretica. E, dunque, per qualsiasi filosofo, sia esso teoretico,morale, politico, il modo in cui lo si affronta -- esplicitamente o implicitamente, secondoun'opzione o un'altra -- è discriminante per stabilire qualsiasi futuro assetto argomentativo.

Ora, non c'è dubbio che Del Noce sia stato un pensatore in cui entrambe le motivazioni --l'appartenenza cristiana[19] e la forte sensibilità teoretica -- fossero tali da porlonecessariamente dinnanzi al problema del male.

3. Lo scandalo del male innocente e il problema della teodicea

Delineati, dunque, i confini storici e teoretici entro i quali Del Noce affronta il tema inoggetto, non ci stupiremo di vedere che gran parte delle sue riflessioni giovanili, rivolte, comesi è detto, alla questione del rapporto verità-necessità e degli spazi della libertà -- nell'uomo ein Dio -- lo portano a confrontarsi con gli interrogativi radicali sollevati intorno a questetematiche da due autori come A. Spir e P. Martinetti. Dinnanzi allo scandalo del male nellanatura e nell'uomo, infatti, entrambi gli autori sono indotti a rifiutare la possibilità di un Diocreatore e, dunque, di un ordine naturale che ne conservi traccia visibile, nell'intenzionedichiarata di preservarLo da ogni responsabilità -- altrimenti non giustificabile -- riguardo aldramma del negativo. Secondo Spir, il male presente nel mondo e nella storia sarebbe,addirittura, la prova dell'impossibilità di sostenere l'idea della creazione divina. Alle precocisuggestioni operate in Del Noce dal pensiero di questi due autori, si aggiunge in lui anchel'autonoma difficoltà di accettare lo scandalo del male innocente, a rivelare quanto questoargomento fosse determinante nel condizionare fin dalle origini il suo successivo sviluppofilosofico.[20]

La questione del male, perciò, si propone, in Del Noce, sin dagli inizi del suo itinerariospeculativo, in tutta la sua radicale originarietà. Le ricerche di Spir e Martinetti, tematizzandol'insostenibilità di ogni teodicea, pongono in questione il principale schema ermeneutico chesta a fondamento di ogni pensiero cristiano: l'idea stessa di creazione come manifestazionegratuita della bontà e della libertà di Dio. I problemi che da queste prime suggestioni DelNoce si pone, finiranno per costituire una vera e propria struttura ermeneutica soggiacente,in modo più o meno evidente, alla sua opera, interrogandolo -- praticamente per tutta la vita-- sulla portata teoretica dell'opzione ateistica, la cui natura egli legge precisamente cometentativo di risposta definitiva al negativo. Gran parte della sua ricerca sarà d'ora in poidedicata all'analisi delle diverse figure via via assunte dall'ateismo, teorizzando laperiodizzazione della storia della filosofia in base al realizzarsi della novità dell'ateismostesso.[21]

Di questo, Del Noce coglie da par suo manifestazioni e coloriture diverse evidenziandone lemotivazioni nascoste: del razionalismo, la negazione postulatoria della trascendenza e dellanatura lapsa; del marxismo, la radicalità della negazione dell'idea di partecipazione, --«fondamento del pensiero cristiano» e «punto di eccezionale importanza» in quanto «nessotra pensiero greco e pensiero cristiano» -- che ne configura il materialismo «più radicale eautentico'.[22] Di vaste aree del pensiero religioso, poi, egli coglie il sostanziale cedimento difronte all'ateismo stesso, quando ne afferma la capacità purificatrice, a discapito dell'idea diun Dio leggibile «come ragione costitutiva'.[23] Tutte queste posizioni, come rileva Del Noce,operano così in direzione di una dissoluzione degli elementi fondamentali dell'impianto

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metafisico classico-cristiano.

La negazione del male, che rappresenta il comun denominatore tra queste posizioni, rivela aDel Noce l'errore fondamentale della modernità nel rifiuto da parte dell'uomo della propriacreaturalità e dell'accettazione della limitatezza della propria condizione antropologica. Inquesto senso, lo studio delle opere di Spir e Martinetti ha rivestito un ruolo importante, perDel Noce, consentendogli di avviare la messa a fuoco di quello che sarà uno dei leit-motivdella sua ricerca: la questione della portata teoretica inclusa nell'idea -- assolutamente nuova-- della creatio ex nihilo, in stretta connessione con il problema della continuità-discontinuitàdell'ordine della trascendenza rispetto a quello dell'immanenza, e della dicibilità, indicibilità esignificato del primo rispetto al secondo.[24] Dalla constatazione dell'impossibilità diconciliare la bontà di Dio con il male, presente negli autori della sua giovinezza -- e dalleproblematiche risposte che a questo quesito angoscioso Del Noce tenta di formulare, ancheattraverso la ricostruzione del pensiero di altri autori -, egli passerà poi all'analisi delmaterialismo e della questione cruciale dell'accettazione come 'normale' della situazione difinitezza della natura umana, elemento caratteristico di un razionalismo che, prima di tutto,nega postulatoriamente l'idea di caduta.[25] Da Sade a Lautréamont, da Nietzsche a Marx,[26]i diversi materialismi condividono, nella sua ricostruzione, una prospettiva «dura» sul realedal quale vengono così espunti -- e come potrebbe essere diversamente? -- 'compassione» e«carità». Questi, sono atti e sguardi tipici del cristianesimo che, andando oltre adun'accettazione neutrale della natura, aprono una prospettiva di possibile guarigione delleferite materiali e morali che la finitudine dell'uomo e del mondo recano con sé e/oinevitabilmente producono. Guarigione, tuttavia, quella operata da carità e compassione, maipalingenetica, mai definitiva, posta piuttosto sotto il segno dell'impegno della libertàindividuale, garantito dalla convinzione di portare interiormente impresso in sé --agostinianamente -- il segno della verità.[27]

Le tematiche giovanili sopra segnalate, e le linee di ricerca che ne sono conseguite, pongonoin luce un elemento tipico del modo di procedere della ricerca delnociana: quella internaambivalenza che man mano si rivelerà sempre più come un tratto caratteristico del suopensiero. Penso che questo si possa descrivere come stretto tra due versanti tematici semprein tensione tra loro: da una parte nella critica al razionalismo metafisico del quale Del Nocevede, come si è detto, l'esito drammaticamente e necessariamente ateistico[28] -- e del quale,tuttavia, lo vediamo ricostruire le più minute articolazioni, in una sorta di fascinazionenegativa -, e, dall'altra, nella constatazione dei limiti dello spiritualismo, dell'esperienzialismoe dell'esistenzialismo religioso nella loro pretesa di opporsi all'ateismo in modo risolutivo. Neiconfronti dell'anelito di libertà e dello slancio di fede di questi ultimi, tuttavia, egli mostrachiaramente la propria costante ammirazione, che emerge dalle sue ricostruzioni del pensierodi Pascal, di Kierkegaard, di Lequier, di Shestov, di S. Weil.[29] Potremmo ricondurre lacontinua ambivalenza del pensiero di Del Noce ai suoi temi principali: la critica all'ateismo dauna parte e all'antiumanesimo di Pascal dall'altra, al razionalismo antimetafisico ma ancheall'insufficienza della metafisica classica, l'interesse e la fascinazione per Shestov e,contemporaneamente, il riconoscimento a Rosmini e alla linea ontologistica. In definitiva,tuttavia, proprio lo studio del suo autore principale, Cartesio, è indicativo, nella ricostruzioneche Del Noce ne fa, di un pensiero affascinato dalle contraddizioni e dal continuo e insolubileintrecciarsi di negativo e positivo. Oltre a questo aspetto della sua ricerca, anche l'indubbiaadesione di Del Noce al cristianesimo dimostrata -- se mai ce ne fosse bisogno -- dalla sualettura della storia del pensiero come divisa nei due blocchi contrapposti ditrascendentalismo e immanentismo, rivela quanto il problema del male sia in lui veramentecruciale.

4. Le tre prospettive delnociane

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Cerchiamo ora di ricapitolare le molte -- forzatamente sintetiche -suggestioni avanzate sin quinel tentativo di ricostruire l'influenza della questione del male nella ricerca di Del Noce.Come abbiamo appena evidenziato -- certamente semplificando all'estremo -- è possibilenotare che gran parte del suo pensiero si svolge lungo le due principali direttriciprecedentemente indicate.

La prima, come si è visto, si confronta con il razionalismo, metafisico e non, in un quadroricognitivo che Del Noce va componendo durante tutta la propria vita di studioso. Talequadro viene delineato soprattutto grazie ad un'opera di decostruzione delle aporiestrutturali emergenti da tale impostazione filosofica. Il male che il razionalismo filosoficoproduce -- precisamente nel contraddittorio tentativo operato di eliminarlo del tutto,naturalizzandolo pienamente -- raggiunge, per Del Noce, il suo culmine teoretico nellafilosofia della prassi marxista per realizzare poi, nella sua tarda declinazione gramsciana, ilparadosso del suicidio della propria anima rivoluzionaria nell'incontro con l'attualismogentiliano e il nichilismo borghese capitalistico. Del Noce -- prima di Marquard e della suaricostruzione della modernità come sottoposta dall'uomo a un processo di costantetribunalizzazione, nel tentativo di giudicarsi continuamente e continuamente assolversi delmale realizzato nella storia e solo all'uomo attribuibile[30] -- coglie l'assoluta centralità di talequestione interpretando i grandi sistemi del razionalismo filosofico come grandiosi progetti dineutralizzare -- naturalizzandolo -- una volta per tutte il male dalla storia e dal pensiero. Nesono massima dimostrazione la pretesa del completo assorbimento dell'irrazionale-negativonel reale e la conseguente ipotesi del riscatto definitivo della storia, che una filosofia che sivuol fare prassi teorizza di poter raggiungere con terribile e ultimativa coerenza. Ma èevidente che questi e altri tentativi hanno ragion d'essere solo a partire da una radicalecancellazione della trascendenza da parte dell'ateismo moderno, il quale gioca tutto il proprioprometeismo per l'appunto sulla pretesa della piena realizzazione della propria autonomia eautosufficienza. Addirittura, come sostiene Del Noce, in una relazione tenuta a Gallarate,[31]la costruzione stessa del sistema indica la volontà di sollevarsi dal finito, infinitizzandolo.

La seconda direttrice del pensiero di Del Noce, come si è visto, si confronta con lospiritualismo cristiano e l'esistenzialismo -- anch'esso nella sua versione cristiana -- e con ildramma che li percorre dell'inspiegabilità/necessità del male e dell'impossibilità dellateodicea. A queste due linee, in modo abbastanza evidente, va la sua simpatia più immediata,senza che, tuttavia, egli ne condivida mai pienamente gli argomenti speculativi, dei qualicoglie l'insufficienza dinnanzi alle insidie dell'ateismo.[32] Certamente, è l'attenzione al temadella libertà e il confronto diretto con il reale assunto nell'esperienza che -- soprattutto neglianni giovanili -- attrae l'attenzione di Del Noce sull'esistenzialismo, spingendolo spesso adeclinare questi temi anche in rapporto alle questioni teologico-religiose e agli interrogativipersonali che lo agitavano. Nello stesso senso, penso si possa dire che è la potenza el'immediatezza della fede proposta da Pascal e dal suo pari a esercitare un forte fascino suDel Noce. A dimostrazione di questo suo coinvolgimento personale basterebbe citare il fattoche, leggendo Mazzantini, Del Noce sosteneva di averne ricavato una vera e propriailluminazione circa l'essere la vita criterio di validità della filosofia.[33]

Il confronto con pensatori come Shestov, Lequier, Renouvier, che assumono la questione delmale come centro propulsore della loro indagine speculativa, rivela a Del Noce con sempremaggiore chiarezza l'errore del razionalismo metafisico e delle sue pretese sistematiche.[34]Tanto da fargli proclamare che la tesi dell'inoggettivibilità dell'essere dimostra che "ilproblema filosofico si presenta in questo senso per me come un problema vitale, lariconquista del mio essere, la mia posizione nell'essere (e non la visione della mia posizionenell'essere) ".[35]

E, tuttavia, nonostante l'evidente simpatia di Del Noce per l'approccio esistenzialistico,entrambe queste linee, come egli stesso percepisce, lasciano aperta e non soddisfacentementespiegata la questione del male. Da parte del razionalismo metafisico, come si è visto, o

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negando la trascendenza, il ruolo di Dio creatore, o pretendendo di porsi dal punto di vistadella totalità dell'essere per neutralizzare l'esistenza del negativo.[36] Da partedell'esistenzialismo, o sfociando in un personalismo incapace di fare i conti con il temadell'essere[37] o giungendo addirittura a elaborare -- in forme diverse -- un radicaleseparatismo tra fede e ragione, come per esempio avviene in Shestov, nella lineaprecedentemente aperta da Pascal.[38]

Se queste sono le due principali vie attraverso cui si elabora la speculazione di Del Noce apartire dagli interrogativi che il problema del male impone a chi abbia sensibilità etica eteoretica, vi è un terzo momento che segna gran parte del suo pensiero, in direzione di unasempre più approfondita elaborazione del medesimo problema. La ricerca di Del Noce,infatti, compie un passo decisivo grazie al suo incontro con Voegelin e all'assunzione del temadello gnosticismo come chiave ermeneutica in grado di dar conto non soltanto della criticaradicale dell'ordine dell'essere sviluppatasi nell'antichità, e, dunque, di una radicaledissoluzione dell'etica,[39] ma, anche e ben di più, dello spirito di negazione rivoluzionariadel reale di quello postcristiano. Per Del Noce lo gnosticismo postcristiano, caratterizzatodall'aver introiettato l'idea cristiana della storia,[40] o si risolve in un'attività prassistica, voltaa modificarla in prospettiva rivoluzionaria, o in una sua accettazione indifferentisticamentenichilistica. Il tema costitutivo di fondo è sempre quello del rifiuto del mondo, ma laprospettiva immanentistica dello gnosticismo postcristiano porta a conclusioniautodissolutive. Come rileva Del Noce, infatti, ciò che si perde nell'imprescindibile spintaimmanentistica che contraddistingue il nuovo spirito gnostico, è il dualismo che rimandavaalla realtà «totalmente altra» della precedente versione. In questa sua seconda declinazione,invece, da una parte si aspira a un completo rivolgimento entro la storia, e, dall'altra, -- dovesecondo Del Noce si realizza in pieno la sua autoconfutazione -- lo gnosticismo nella versionenichilistica arriva a una negazione radicale del male attraverso la sua piena e indifferentisticaaccettazione.

L'uso che Del Noce farà dello gnosticismo come di una vera e propria categoria ermeneutica,conferma, se mai ce ne fosse ancora bisogno, l'importanza, nel suo pensiero, del tema delmale, per lo più da lui letto come manifestazione di una sempre risorgente spinta ateistica,piuttosto che nella sua problematicità teoretica. Il tema che in questa prospettiva ricostruttivaemerge in modo particolare nelle pagine delnociane riguarda gli esiti drammatici checonseguono al rifiuto «dell'ordine dell'essere, della creazione, dell'immagine di Dio'.[41]Ancora una volta e con sempre maggior chiarezza e penetrazione ermeneutica, Del Noce si fainterprete del tema del male come elemento strutturale del programma a-teistico progettantela ricostruzione dell'esistente. Ricostruzione, come già si è detto, destinata a rovesciarsi nelproprio suicidio.

5. Shestov: la finitezza ontologica come male

Ora, se questo è, in sintesi estrema, il quadro entro cui il tema-male viene affrontato da DelNoce a partire dall'analisi di pensatori e linee speculative diverse, di cui egli segue poi lecomplesse ricadute, vorrei ora soffermarmi su alcuni elementi più propriamente teoretici delproblema, che costituiscono lo sfondo su cui le sue argomentazioni vengono costruite.L'intento è quello di indicare alcune possibili linee teoretiche in grado di evitare gli esiticontraddittori cui vanno incontro sia le opzioni immanentistiche, che la filosofia religiosadell'esistenza. Le prime, come si è visto, concludendo il proprio itinerario con il suicidionichilistico della rivoluzione, le seconde paradossalmente favorendo il processo discristianizzazione con la tematizzazione della completa alterità tra Dio e il mondo.[42]L'ipotesi che qui si propone è di ripensare il tema del male in prospettiva ontologica,esaminando la categoria -- assolutamente centrale -- della differenza, che non sia néseparante o ubiquitaria come nella prima versione,[43] né solo separante come nella seconda.

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Ciò consente di porre le basi di una critica ancora più decisiva delle diverse linee che«naturalizzano» il negativo, e di evidenziare l'errore delle posizioni dell'esistenzialismoreligioso fondate sul «Dio nascosto», e di individuare indirizzi speculativi potenzialmentericostruttivi.

Torniamo ora al confronto Del Noce/Shestov, dove la questione teoretica del male è posta conmaggiore chiarezza. La riflessione condotta da Del Noce a partire da Shestov, si muove entrol'interpretazione del racconto biblico, da una parte, e del noto frammento di Anassimandrodall'altra; testi peraltro citati da Del Noce più volte, anche al di fuori del contesto shestoviano,per riassumere paradigmaticamente lo status quaestionis. Cominciamo dunque dall'ultimo,che suona così:

"Il principio di tutte le cose è l'illimitato; e ciò stesso che le fa nascere è necessariamente lacausa della loro distruzione; perciò al tempo fissato esse subiscono, l'una per l'operadell'altra, la punizione e la retribuzione della loro empietà". Come commenta Shestov -- e conlui Del Noce -- il frammento significa che ogni realtà finita, proprio perché tale, deve subirel'annullamento della propria singolarità come castigo dell'emancipazione dall'universalitàdell'essere: il male risiede dunque precisamente nella finitezza ed è ontologico, dunqueirredimibile.[44] In questa prospettiva, dunque, nella ricostruzione datane da Shestov e DelNoce, potremmo dire che il male non è altro che l'essere la singolarità differenza rispettoall'universale.

Per quanto riguarda il racconto biblico, invece, il male descrittovi non è ontologico come nelcaso del frammento di Anassimandro, ma, com'è noto, morale. Tuttavia, come evidenzia DelNoce, Shestov lo interpreta in modo "molto differente da quelle (interpretazioni, N. d. A.)correnti, sia cattoliche che protestanti".[45] Egli, infatti, sostiene che il male del primo peccatonon scaturisce dalla disobbedienza fatta a Dio, quanto nel mangiare del frutto dellaconoscenza, che fa scoprire all'uomo l'esistenza del male già nella creazione.

Per Shestov, infatti, dopo aver mangiato del frutto della conoscenza, necessariamente si rivelache la creazione, in quanto tale, non può non custodire il male: "L'uomo si lasciò tentare,gustò il frutto proibito [...] e divenne sapiente. Che cosa gli apparve? [...] Gli apparve ciò chepoi apparve ai filosofi greci e ai saggi indiani: il valde bonum divino è ingiustificato, non tuttoè buono nel mondo creato. Nel mondo creato e proprio perché creato, è impossibile che nonci sia del male, molto male, un male insopportabile, così come ce ne dà testimonianza conun'evidenza indiscutibile tutto ciò che ci circonda -- i dati immediati della coscienza [...] Apartire dal momento in cui gli uomini sono diventati scientes, vale a dire col sapere, si èintrodotto nel mondo il peccato e il male".[46] Prende corpo qui la radicale differenzashestoviana tra Atene e Gerusalemme, tra la ragione e la fede, differenza che identifica sferedel tutto divergenti, condannando la ragione a un'azione appunto separante, di cui «il padredella menzogna», il «divisore», ha fatto fare esperienza ai progenitori.[47]

Come Del Noce rileva, l'uso della ragione da parte dell'uomo nel giardino di Eden, dunque nelrecinto delle cose di Dio, non significa altro per Shestov, che elevarsi dalla propria situazioneesistenziale di singolarità e proiettarsi nell'universale della concettualizzazione, cercando diinfrangere il proprio limite ontologico, ma, perciò stesso, compiendo il male.[48] Secondo laricostruzione di Del Noce, il pensiero di Shestov può perciò essere così sintetizzato: 'proprionel (e per) voler raggiungere la universalità relativizzo e umanizzo la verità'.[49] Perciòstesso singolarizzandola e asservendola a una situazione di male ontologico.Nell'interpretazione del racconto biblico, dunque, Shestov pone in primo piano, come veraespressione del male, il cercare di elevarsi idealmente, razionalmente, verso l'universale,senza abbandonarsi -- con la im-mediata sottomissione della fede -- al disegno di Dio e viverecosì in piena sintonia con la Sua libertà. Il male, perciò, consiste, per Shestov, nellasostituzione alla «fiducia in Dio», della «fiducia nella ragione», trasformando il peccato davizio della volontà a vizio teoretico.[50] L'universale, insomma, si raggiunge con

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l'abbandonarsi a esso e non con il volerlo conquistare con le proprie forze.

Il discorso di Shestov, analizzato da Del Noce, mi pare riveli pienamente l'indirizzospeculativo del filosofo russo. Appare, qui, infatti, in modo evidente, quella che è una vera epropria costante del pensiero shestoviano e che Del Noce coglie anche nella ricostruzioneparziale operata perfino nei suoi stessi autori di riferimento: Kierkegaard, Dostoevskij,Nietzsche. Del pensiero di questi autori a Shestov sfuggirebbe, infatti, secondo Del Noce, ladimensione ontologica, concentrandosi egli soltanto sulla loro prospettiva esperienzialistica,risolta fondamentalmente nell'annichilimento della ragione filosofica.[51] Tale mancatoaccoglimento, da parte di Shestov, delle implicazioni onto-antropologiche presenti nellefilosofie dei propri autori di riferimento, mi pare indicativa di una più generaleincomprensione della portata del problema ontologico, soprattutto in riferimento allaquestione del male.[52] Shestov, infatti, come abbiamo visto, dice molto chiaramente che: "nelmondo creato, proprio perché creato, è impossibile che non ci sia del male", riproponendocosì con forza l'argomento ontologico del distacco come male del quale, peraltro, avevarespinto ogni possibile argomentazione teoretica. Questa convinzione, lungi dall'incentivareun'analisi della questione anche in prospettiva metafisica, produce in Shestov, come si è visto,una violenta critica riguardo l'uso della ragione nelle cose di Dio -- tanto violenta che sembrasottintendere una condanna radicale dello statuto ontologico dell'uomo -- e, più in generale,nella comprensione del reale, e ribadisce il tema esperienziale e fideistico che signoreggia sututta la sua costruzione speculativa. In definitiva è possibile dire che, per Shestov, la veralibertà dell'uomo è precisamente il ripristinare «l'unione immediata» con Dio tramite l'atto difede.

Il rifiuto della ragione filosofica in Shestov è così radicale[53] da rivelare la sua profondaaffinità con le posizioni di Lutero -- al cui pensiero del resto egli si rifà largamente edesplicitamente[54] -- e ci consente di interpretarlo, sull'esempio del Riformatore, come ilfilosofo della differenza abissale uomo-Dio, almeno dopo il peccato originale, dopo l'ingressodella ragione. Per il filosofo russo, dunque, se è vero che il peccato più evidente è quello dellaragione e delle sue pretese, è vero anche che questo male va letto insieme all'affermazionedella creazione, sorprendentemente piena di male «per il fatto stesso dell'essere creata». Nonpare qui di ritrovarci dinnanzi ad una variante della la teoria di Anassimandro: il male è laseparazione dall'universale? E, questo non ci riconduce forse al tema della radicale differenzauomo-Dio luterana, dove si manifesta il tema di un'onto-antropologia condannata inradice?[55] Una condanna così totale della ragione, infatti, -- in Lutero fondata suun'antropologia negativa, speculare addirittura a Dio -- in Shestov si giustifica con il rifiutodella separazione dalla libertà divina, che la libertà razionale inesorabilmente mette inopera.[56] Ma una simile posizione finisce per apparire autocontraddittoria, poiché il malemorale evocato da Shestov nella sua interpretazione del racconto della Genesi si risolvepiuttosto in una riformulazione della tematica anassimandrea del male ontologico, in cui siripropone il tema di una differenza totalmente separante.

Per quanto riguarda Del Noce, in questa fase della sua ricerca ciò che emerge è un evidenteinteresse per la posizione antirazionalistica e antimetafisica, di Shestov -- e non solo -, il chespiega la brevità dell'accenno critico sulla questione ontologica, che, pure, mi sembra il nodonon risolto dell'impostazione shestoviana. Tuttavia, è bene porre l'accento sul fatto che, in DelNoce, la questione dell'articolazione della ricerca filosofica a partire dall'essere -- di cuicontinua a dichiarare l'insuperabile necessità -- rimane sempre aperta ed imprescindibile.

6. Oltre Shestov e Del Noce: differenza e relazione

Proprio la contraddittoria sovrapposizione tematica presente nel discorso shestoviano, indicala necessità di individuare una possibile via d'uscita alla questione in oggetto, certamente diestrema complessità. Il problema che si pone è il seguente: come porre il problema del male

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ontologico -- di fatto incomprimibile -- in rapporto con il male morale, salvaguardando labontà di Dio e la libertà dell'uomo, come uscire dall'alternativa Anassimandro/Genesi -- che,come abbiamo visto, segna drammaticamente l'intero pensiero di Del Noce, e non solo,naturalmente -- senza separare drasticamente la conoscenza intellettuale dalla fede, ilrapporto costitutivo all'essere di una creatura irrimediabilmente ferita dalla proprialimitatezza, dall'autonomia della dimensione individuale?

La via d'uscita più nota e articolata -- alla quale si riferisce Shestov contestandola duramentecome non risolutiva per salvare Dio dall'accusa di aver permesso il male nel mondo -- è quelladi Leibniz e della sua teodicea. Ma anche le posizioni ontologico-razionaliste di Spinoza e diHegel sono del tutto respinte da Shestov,[57] che si esprime invece in favore di un'opzioneesistenzialisticamente modellata sulla finale risposta al male di Giobbe. Risposta che, come sisa, si fonda sulla apertura fiduciosa a Dio a partire dalla completa disperazione intorno allerisposte umane, conformemente al debito di Shestov nei confronti di Lutero e della suaposizione sul male.[58] In questa questione, posta con nettezza da Shestov, si può cogliere unaimpasse nel pensiero di Del Noce. Da una parte, infatti, egli segnala, non riuscendo acondividerla, la radicale antimetafisicità della posizione shestoviana, mentre dall'altra noncondivide neppure l'insuperabile ontologicità del male del frammento di Anassimandro nédei diversi tentativi di superamento da parte del razionalismo metafisico, teodicea di Leibnizin testa. La soluzione da lui prospettata -- riduttiva rispetto alla vastità delle argomentazioniriportate -- è quella, classica, del male morale come disobbedienza e come non accettazionedella propria finitudine.

Per tentare di procedere oltre questo punto morto dell'argomentazione sulla questione male,vorrei proporre alcuni spunti di riflessione al di là del pensiero del maestro torinese,precisando tuttavia in quale direzione ritengo sia possibile procedere. Rispetto a Del Noce,infatti, ritengo che la via da percorrere, per poter dire qualche cosa sul male, sia quella dellariflessione metafisica a partire da Platone, mentre la via ontologistica da lui indicata come laprospettiva teoretica più promettente da seguire -- la via evocata più volte da Cartesio aRosmini -- lo lasci invece senza risposte al riguardo.

Gli spunti che vorrei proporre cercano una composizione tra le due linee -- ontologica emorale -- utilizzando uno schema ermeneuticamente forte e, mi sembra, in grado di delinearequesto raccordo. Lo schema è quello che ci viene offerto da Platone e che affronta laquestione partendo certamente da una prospettiva metafisica, ponendo come punto dipartenza il tema fondamentale di ogni metafisica: il rapporto tra l'essere ed il non-essere, e, inimmediata successione, dell'identità e della differenza.

Ricollegandoci al frammento di Anassimandro, potremmo porci la seguente domanda: èproprio vero che il peccato ineliminabile della singolarità è essere tale, separatadall'universale dell'essere? Platone in alcuni tra i suoi dialoghi più importanti, rispondeprecisamente a questa questione. Nel Sofista -- dove il problema si rivela tutta la sua decisivaportata teoretica analizzando il rapporto essere/ente -- Platone, come si sa, supera laposizione di Parmenide circa l'unitarietà dell'essere, evidenziando la necessità inderogabile,logico-ontologica, della conservazione del non-essere in vista di una più convincente letturadel tema ontologico, grazie all'abbandono del concetto di nulla «assoluto» e all'introduzionedel nulla relativo, tematizzato come differenza. Il non-essere, infatti, viene letto da Platonecome appartenente a ciascun ente nel suo non-essere un altro ente: appunto nella differenzache ciascun ente è rispetto ad ogni altro, e che consente ad ogni identità di porsi,precisamente grazie alla diversità che la individua e descrive, in relazione all'altro.[59]

Una tale conservazione del non-essere nella forma della differenza dà ragione della strutturadi un essere non più monoliticamente unitario, ma percorso dialetticamente dalla diversità, edal movimento che lo percorre: in questa prospettiva, l'essere sfugge alla totalizzanteimpenetrabilità che lo caratterizzava nel pensiero di Parmenide.[60] D'altra parte, si sfugge

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anche al dilemma di Anassimandro, che vede la singolarità destinata ad essere inglobatanell'universale o scontare una situazione irrimediabile di male ontologico. Il tema delnon-essere viene dunque accolto da Platone nella propria costruzione ontologica, per evitarela situazione di indicibilità in cui altrimenti cadrebbe. Secondo Platone, infatti, soltantoponendo in relazione essere e non-essere, è possibile accostare il dato ontologico di ogni ente,elaborandone una corretta conoscenza, rinviante all'universale struttura dell'essere. Cito daBeierwaltes:

«se l'essere rappresenta ciò che è identico ed il non essere . . ciò che è differente, allora (ciò)rappresenta lo sviluppo primo, ed insieme ricco di conseguenze, del nesso di identità edifferenza, l'identità (essendo) diventata una unità non più fissata in sé, (ma) un punto diriferimento di una relazione molteplice» (cit., p. 26).

Ciò che Beierwaltes evidenzia qui, del discorso platonico, è il fatto che ogni identità, sia nelproprio dato ontologico, sia nella propria conoscibilità, si presenta e si dice come intrecciostrutturale di relazioni. Relazione all'essere -- cioè all'elemento unitario e, perciò, identitario;-- al non-essere nella forma della diversità -- cioè alla partecipazione all'alterità, senza laquale l'ente non è dicibile; al movimento dialettico-partecipativo, grazie al quale tutte questerelazioni effettivamente si svolgono.

Due elementi emergono qui soprattutto. Il primo è che la direzione qui intrapresa da Platonenon si limita alla descrizione del modo in cui l'ente può essere pensato, ma, ben di più, siproietta verso l'analisi della struttura stessa dell'essere, la quale -- sciolta dalla immobilitàparmenidea, resa dialettica in se stessa[61] -, in questo suo interno articolarsi viene guidata ericondotta da ciò e a ciò che l'ha tratta alla luce, l'Uno/Bene, origine e spiegazione di tutto ciòche è.[62] Il secondo punto significativo, che Beierwaltes sottolinea e coglie come un nucleoessenziale del pensiero di Platone a questo proposito, è che la particolarità individuale solo inquesto modo è, e può essere conosciuta, non più 'fissata in sé', ma nucleo ontologicodinamico di relazioni. La particolarità di ciascuno, perciò, non solo si relaziona ad altro, ma èessa stessa alterità in riferimento a ciò cui si relaziona e riferisce. L'essere è dicibileprecisamente nella dialettica di identità e alterità, attraverso la quiete e il moto. Beierwaltessottolinea significativamente che la tesi platonica:

correttiva [...] della tradizione parmenidea [fa sì che] escluso in precedenza dall'essere, il nonessere non deve essere concepito come l'opposizione contraddittoria dell'essere, ma -- in quanto siriflette sulla relazionalità verso un «altro» essere -- solo come una cosa diversa dall'esseredeterminato, dunque un non essere relazionale o relativo, che è assolutamente connesso conl'essere identico del punto di partenza (Sofista, 257 b 3) . Dunque, il presupposto della possibilitàdi dire che il non essere è, è il concetto che la differenza determini del tutto ogni essere, nonostantel'identità di quest'ultimo. «In relazione a tutti, infatti, la natura del diverso, rendendo ciascuno diessi diverso da "ciò che è", lo fa essere» (Sofista, 256 d 12 ss).[63]

Come si vede, in questa posizione platonica -- e nella lettura che di essa compie un grandeinterprete come Beierwaltes -- si stabiliscono alcuni punti fondamentali: il non essere, ilnulla, ciò che, secondo Parmenide, non poteva neppure essere detto, non solo è dicibile, ma,anche, è. Anzi è del tutto necessario che sia, ed è ciò che rende comprensibile l'essere e ogniente, nel suo essere relazione strutturalmente partecipativa. Con ogni altra alterità infatti, --il non-essere me che ogni altro ente è rispetto a me -- ogni ente condivide, secondo Platone, e,in modo ancor più esplicito in Plotino, la medesima partecipazione all'essere-uno e lacondizione di diversità da questo. Il male invece, -- nella risposta affermativa data da Platonealla domanda dei sofisti circa la possibilità di un logos falso -- è possibile quando "Il logos, nelsenso di giudizio da interrogare riguardo alla sua qualità logica, deve essere determinatocome logos «falso», [...] (e) dice del (reale) non essere che è o dell'essere che non è",[64]contraddicendo così alla verità delle cose.

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Ciò comporta che la singolarità, al contrario di quanto adombrato nel frammento diAnassimandro, non sia male -- non possa esserlo -- pur essendo diversa dall'universale,proprio perché la sua stessa diversità la rinvia ontologicamente a quello in una dialetticaunità/molteplicità che è il modo stesso di pensare l'essere e la sua universalità. Il male è,piuttosto, legato alla possibilità di dire falsamente di ciò che è o non è. La differenzaontologica, evocata da Anassimandro, che ogni singolarità è, rappresenta piuttosto unelemento identitario, dialettico e relazionale imprescindibile all'interno della metafisicadell'essere.

Se questo primo ordine di riflessioni riscatta dunque la colpa ontologica della singolarità, nonpiù separata ma relazionata, occorre ora rivolgere l'attenzione all'apporto dato dall'ebraismo-cristianesimo, dove con più evidenza si trapassa dal tema ontologico a quello morale, daAnassimandro al racconto biblico in un rapporto di continuità teoretica. Con il male, comeproblema speculativo fondamentale, il pensiero cristiano deve necessariamente confrontarsi,essendo la propria metafisica fondata sul presupposto di un Principio assolutamente buono e,dunque, anche, sull'analisi del rapporto tra tale Principio e tutto quanto vi si rapporta comedifferenza a quello partecipante. Ora, non è possibile in questa sede fare altro che offrire unospunto in relazione allo svolgimento del tema in oggetto in una direzione che potrebbepresentarsi come raccordo tra le due riflessioni sul male ipotizzate da Shestov e Del Noce.

Lo spunto che desidero prendere in considerazione è offerto da Agostino, che compie unpasso fondamentale nella costruzione di un pensiero della differenza relazionante e nonseparante, alla luce della innovativa prospettiva cristiana della libertà e compiendoun'elaborazione ulteriore sull'essenza e il senso del male, nel passaggio dal piano ontologico aquello morale.

Agostino, infatti, ponendosi nella linea platonico-plotiniana, declina il rapporto necessarioessere e non-essere, identità e differenza, all'interno del legame costitutivo/creaturaledell'uomo a Dio, articolandone la struttura ontologica grazie alla chiave ermeneutica delladifferenza-relazione ed inserendola nell'analisi della creazione. La questione viene esaminataattraverso il prisma teologico-filosofico della natura della creazione nel suo rapporto con ilCreatore, e Agostino descrive l'"esistere come modalità creaturale di essere, segnataindelebilmente da un debito ontologico".[65] Precisamente per questo motivo l'esser creaturaè descrivibile con l'affermazione che gli enti sono caratterizzati dal fatto di aver ricevutol'essere e di non essere l'Essere nella sua pienezza -- Dio -- dal quale, evidentemente, unadifferenza li separa e al quale una relazione, tuttavia, li lega necessariamente. AncoraBeierwaltes mostra come Agostino, interpretando la creazione come il risultato nel tempodell'effusione d'amore dell'Inizio senza tempo,[66] grazie all'intervento della Parola senzatempo[67] in questo modo ponga la differenza dall'eternità della temporalità e la differenza --nella propria struttura d'essere -- di ogni «altro» che inizia nel tempo.[68]

Questo comporta immediatamente il fatto che ogni cosa che è sia tratta dal non essere -- l'exnihilo del racconto biblico -- e ne partecipi strutturalmente, appunto con ciò rivelando lapropria carenza ontologica, di cui la temporalità di ogni creatura è manifestazione evidente.Anche per Agostino, dunque, come già avveniva in Platone, gli enti non possono essere névenir pensati altro che all'interno della relazione identità/differenza, partecipazione all'esseree al non essere. La processione creativa dal Creatore alla creazione, che da una partecomporta un salto senza mediazione -- appunto l'avvento del tempo come posizione delladifferenza -, dall'altro, invece, istituisce in questa prospettiva una relazione necessaria tral'assenza di tempo e la temporalità, tra principio e principiato.[69] Questo perché, comericorda Beierwaltes, il fondamento dell'ente creato è ciò che lo precede ontologicamente, cioèl'essere eterno, senza il quale la temporalità non può neppure essere nominata. Laconseguenza che ne deriva è che la differenza che ogni ente è -in sé e rispetto alla propriaorigine- custodisce, necessariamente, un legame strutturale rispetto alla propriaorigine/fondamento. Per Agostino dunque, l'essere è, in Dio, pienezza ontologica dove si

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custodisce ogni senso e si garantisce ogni esistenza,[70] e, nell'uomo che ne partecipa, luogodove si articolano somiglianza[71] e differenza. In questo modo ogni ente è in primo luogo, inquanto esistente, appartenenza e relazione ontologica all'eterno inizio, all'Essere.[72] Taleappartenenza, nell'uomo, si manifesta sotto forma di strutturale somiglianza a Dio -- l''averel'essere'-, mentre è nella sua appartenenza al non-essere -- cioè alla carenza, al male possibile-- che si rivela il suo essere differenza rispetto a Dio.[73] Qui è particolarmente evidente ilpassaggio dal piano ontologico al piano assiologico, poiché l'essere, cui l'uomo è relazionato, è-- nell'orizzonte agostiniano -- l'Amore effusivo dal quale egli ricava la propria identità;questa egli può scegliere di accogliere o allontanare, seguendo o rifiutando la correttadialettica dell'uti et frui.

Che conclusioni trarre, allora, da questa osservazione sulla metafisica agostiniana? Anche qui,come in Platone, ma in modo ancor più chiaro, possiamo osservare alcuni dati moltoimportanti: ciascun ente è descrivibile non in sé e per sé, ma come relazione strutturaleall'essere e, contemporaneamente al non-essere/differenza. L'identità di ciascun ente sicostruisce precisamente nella relazione all'unità dell'essere ed alla diversità del non essere,attraversando, come insegna Platone, le fasi della quiete e del moto. Questa struttura anzi, è lacondizione necessaria di esistenza di tutto ciò che è. Platone legge la relazione all'essere comeresa costitutivamente possibile dalla partecipazione di ogni cosa all'Uno, Agostino comepartecipazione alla pienezza di essere che Dio è. Ma la partecipazione alnon-essere/differenza che ogni ente ugualmente è e non può non-essere, per il santo non èmale di per sé, anzi è, anch'essa, condizione di possibilità dell'esistenza di tutto ciò che è. Ilmale, dunque, non è ontologico, né può esserlo: ontologica è la dinamica relazionale diidentità e differenza che ciascun ente è, buono nella propria esistenza, eppure, in quantodifferenza da Dio, aperto alla possibilità del male.

È proprio nell'essere differenza ed identità, che si gioca la sempre aperta dinamica dellalibertà, molto più evidente che nel pensiero greco. Come evidenzia Agostino, accanto alladescrizione metafisica di ciò che l'uomo è -- struttura ontologica relazionata allabontà/pienezza ed alla carenza -, viene soppesata la considerazione di ciò che l'uomo fa. Lasomiglianza all'infinito, alla pienezza, a Colui che contiene in sé tutte le differenze e tutte leimmagini,[74] infatti, si rivela nel dato onto-antropologico di partecipazione dell'uomo --fattasi concretezza esistenziale -- all'ordo amoris che struttura la creazione.

Posto in questa prospettiva, il tema del male non può essere risolto esclusivamente con lanegazione della ragione ed il salto/rifugio nella fede, come sostenuto da Shestov. La continuaopera autocoscienziale del ritorno in se stessi, là dove più profondamente abita la verità --come ricorda spesso anche Del Noce -, basta da sola ad escludere tale irrazionalismofideistico.[75] Nonostante la drammatica compromissione della volontà umana, la dinamicadella libertà permette ad ogni uomo di scegliere tra il Bene e i beni, così come la creazioneprima che «nascondere molto male», rivela il bene da cui è tratta e che la sorreggerà fino allafine dei tempi. La libertà dell'uomo oscilla sempre tra l'attivare una dinamica di bene, nellacomprensione ed adesione ad un ordo amoris, che altro non è che il frutto della dialetticarelazionale trinitaria di cui la costituzione ontologica dell'uomo custodisce traccia e a partiredalla quale riesce a ritrovare in sé la verità che lo trascendente; di male, come si sa, conAgostino, nella possibilità di tralasciare il Bene maggiore scegliendo altri beni eassolutizzandoli nella loro singolarità non relazionale.

Il male, allora, appare configurarsi in questo modo: non come uso arrogante della ragione checi distacchi dall'universale, né come male ontologico che definisca la natura umana. Neppuresemplicemente come la disubbidienza dell'uomo all'imperativo morale. Prima di tutto essoappare come la possibilità, da parte dell'uomo, di porsi al di fuori della logica relazionaled'identità e differenza che lo costituisce, rifiutandone il contenuto di amore e verità, capace diporlo in rapporto con l'A/altro.Il presente saggio è lo sviluppo di una conferenza su Il problema del male in Del Noce tenuto al

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Convegno La filosofia italiana del ventesimo secolo. I filosofi della «Sapienza», Montecompatri2009.

Copyright © 2012 Gabriella Cotta

Gabriella Cotta. «Male e questione ontologica a partire da Del Noce». Dialegesthai. Rivistatelematica di filosofia [in linea], anno 14 (2012) [inserito il 10 luglio 2012], disponibile su World WideWeb: <http://mondodomani.org/dialegesthai/>, [97 KB], ISSN 1128-5478.

Note

È praticamente impossibile citare tutti coloro che, in varie prospettive e a diverso proposito,hanno toccato questo problema nel pensiero di Del Noce, anche perché, in modo più o menotangenziale, esso è stato ricordato dalla maggioranza degli studiosi della sua opera. Per rendersiconto della molteplicità degli apporti in questo senso, cfr. gli Atti del Convegno Internazionalein suo onore, tenuto nel 1995. Cfr. infra, nota 2.

1.

Il convegno, organizzato nel V° anniversario della morte dalle Università di Roma La Sapienza,Tor Vergata e dalla Lumsa, fu tenuto nel novembre del 1995. Gli Atti, Augusto Del Noce. Essenzefilosofiche e attualità storica, in due poderosi volumi, furono pubblicati a cura di F. Mercadantee V. Lattanzi e grazie ad uno sforzo collettivo de La Sapienza, della Fondazione Del Noce, delCNR e del Comune di Roma nel 2000, per le Edizioni Spes e Fondazione Augusto Del Noce. Larelazione di V. Possenti qui citata è dedicata a Il problema del male in A. Del Noce(esistenzialismo religioso, razionalismo gnostico, pensiero tradizionale).

2.

Possenti individua queste tre linee nell'analisi delnociana del tema «male»: la prima articolataintorno al razionalismo basato sulla separazione tra filosofia e religione, da una parte, e,dall'altra, su di «un clima gnostico»; la seconda sull'analisi delle varie filosofie della libertà; laterza sull'analisi della tradizione teologica cristiana. Cfr. V. Possenti, cit. p. 144.

3.

V. Possenti, cit., p. 144. 4.

G. Riconda, Tradizione e pensiero, Edizioni dell'Orso, Alessandria, 2009, p. 272 ss. e, anche, pp.355-56.

5.

Per valutare l'importanza del tema della libertà nella sua ricostruzione del pensiero di Cartesio,v, A. Del Noce, Riforma cattolica e filosofia moderna, vol. I, Cartesio, Il Mulino, Bologna, 1965,p. 43 ss. sulla questione della libertà divina, e, per quanto riguarda quella umana, p. 87 ss. Cfr.anche di A. Sabetta, Teologia della modernità. Percorsi e figure, S. Paolo, Milano, 2002, p. 311ss.

6.

Andrea Paris, Le radici della libertà. Per un'interpretazione del pensiero di Augusto Del Noce,Marietti 1820, Genova-Milano 2008, p. 19.

7.

Cfr. A. Del Noce, Il problema dell'ateismo, Il Mulino, Bologna, 1970, p.24 ss. 8.

Il pensiero di Pascal -- segnato tanto in profondità dal tema del male da essere percorso da unradicale e angoscioso antiumanesimo di stampo giansenista -- è, tuttavia, e nonostante la criticadi questo aspetto, una vera e propria costante nell'orizzonte delnociano: cfr. Il problemadell'ateismo, cit., pp. 467 ss. Per quanto riguarda l'analisi del pensiero di Lequier, Del Noceevidenzia soprattutto l'angoscia «orribile» nutrita dal pensatore francese nei confronti «dellapotenza dell'idea di necessità», portata alla sua «massima ampiezza» fino a farsi coincidente conun Niente che ha preso l'apparenza della vita e della realtà» (qui Del Noce citaun'interpretazione di Lequier di Lazarev) e di fronte a cui l'unica via d'uscita sembra esserequella di pensare fino in fondo la radicalità della libertà: dell'uomo e di Dio. Cfr., A. Del Noce,Introduzione a J.-L. Jules Lequier, Opere, Morcelliana, Brescia, pp. 47-51. Per quanto riguarda ilpensiero di L. Shestov e quello di S. Weil, autori in cui il tema del male è particolarmentepresente, cfr. di Id., L'esistenzialismo di Chestov, in: Filosofi dell'esistenza e della libertà, a c. diF. Mercadante e B. Casadei, Giuffrè, Milano, 1992 e Simone Weil interprete del mondo di oggi,

9.

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in L'epoca della secolarizzazione, Giuffrè, Milano, 1970.

Per quanto riguarda Del Noce e il nesso libertà-male, cfr. il testo di A. Paris già citato, per quantoriguarda il pensiero di Pareyson, cfr. la Prefazione a Ontologia della libertà. Il male e lasofferenza, di G. Riconda e G. Vattimo, Einaudi, Torino, 2000, p. XII.

10.

L. Pareyson, cit., p. 267. 11.

Ibidem, p. 268. 12.

Cfr. Andrea Paris, Le radici della libertà ..., cit., p. 59 ss. 13.

A. Del Noce, Il problema ..., cit., p. 356. Cfr. anche «Antiumanesimo di Pascal», in Id., DaCartesio a Rosmini. Scritti vari, anche inediti, di filosofia e storia della filosofia a c. di F.Mercadante e B. Casadei, Giuffrè, Milano, 1992, p. 225, ss.

14.

A proposito di questo secondo modo di risolvere la questione della natura lapsa, grazie ad unavera e propria metamorfosi dell'uomo, v. tra gli altri, le pagine conclusive di Id., Riformacattolica e filosofia moderna. vol. I, Cartesio, p. 686 ss.

15.

Cfr. Id., Da Cartesio a Rosmini..., cit., ma anche Riforma cattolica..., cit. 16.

Pareyson, nel suo La filosofia e il problema del male, sottolinea con forza la necessità per lafilosofia di confrontarsi con questo tema, sottolineando assai duramente quanto spesso essa siastata inefficace e deficitaria in tale confronto, oscillando tra un presuntuoso ottimismo e unapigrizia colpevole. Pur legando strettamente e inevitabilmente la ricerca filosofica intorno aquesto problema con quello di Dio, e sottolineando dunque la necessità di un suo continuoconfronto con la religione a questo proposito, le pagine di Pareyson sono una potente monitorivolto alla filosofia a confrontarsi con un aspetto fondativo della sua ricerca. L. Pareyson, Lafilosofia e il problema del male, in Ontologia della libertà Einaudi, Torino, 2000.

17.

Cfr. su questa connessione, l'Introduzione alla propria Storia del nulla di S. Givone, Laterza,Roma-Bari, 1995.

18.

Quanto fosse importante per Del Noce l'adesione al cristianesimo, è dimostrato dalla suaaffermazione che il cristianesimo è un'"attitudine totale" che si riverbera su ogni aspetto dellavita, della conoscenza, del giudizio (A. Del Noce, Il problema dell'ateismo,p. 379, in AndreaParis, Le radici della libertà..., cit. p. 88.

19.

A testimonianza di quanto queste prime letture abbiano lavorato costantemente all'interno delsuo pensiero, si veda il saggio molto più tardo, dove Del Noce riprende ancora le suggestioniricavate dal pensiero di Spir, da lui definito «il vero maestro di Martinetti», che negano lapossibilità per «il condizionato» di provenire «dall'incondizionato», a rischio di confondere «inragione della comune discendenza dall'incondizionato», il male con il bene, falsificando così lacoscienza morale e religiosa». A. Del Noce, Il problema filosofico della violenza, in AA. VV.Violenza. Una ricerca per comprendere, Contributi al XXXIV Convegno del Centro di Studifilosofici di Gallarate, (19-20-21 aprile 1979), Morcelliana, Brescia 1980, p. 204. Cfr. anche, sulrapporto di Del Noce con Spir e Martinetti, il vol. citato di A. Paris, Le radici..., soprattutto allepp. 124 ss.

20.

Del Noce, Il problema..., cit., p. 347 ss. 21.

Idem, p. 550, nota 2. 22.

Vale la pena di riportare qui un brano più ampio da Il problema dell'ateismo, lasciando la parolaallo stesso Del Noce: «La più grande parte delle forme di pensiero religioso [...] è [...]caratterizzata dall'idea [...] dell'"ateismo purificatore" [...] essenzialmente definito come"scoperta del male" e rivolta contro di esso in nome della "morale"; quindi, come distruzionedegli idoli filosofici, del Dio inteso come anima del mondo, come natura naturante, comesoggetto trascendentale, come spirito della storia, come assioma eterno, come ragionecostitutiva [...] è il riconoscimento lucido della realtà del male [...] L'ateismo, insomma,rappresenterebbe il momento della «morte di Dio», preludio a quello della sua Resurrezione»cit., pp. 553-4.

23.

Questo tema emerge, per fare un esempio, nel testo già citato «Antiumanesimo... », a proposito,appunto, del pensiero di Pascal e del suo rifiuto della metafisica in ragione del suo fortissimoantiumanesimo e della discontinuità tra gli ordini della trascendenza e dell'immanenza, per il cui

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tema Del Noce si rifà anche al pensiero di Gouhier. Cfr., cit., p. 226-27. L'elemento curioso, checredo vada sottolineato, è, che, di fronte all'estrema abbondanza di materiale mosso da Del Noce- secondo il suo consueto modo di procedere per filiazioni e rimandi genealogici assai articolati -per illustrare la tesi dell'antiumanesimo di Pascal e della conseguente profonda critica di questiad una possibile prospettiva metafisica, Del Noce stesso non fa cenno alle vere radici di talefondamentale prospettiva, individuabili - ben prima! - in quella che fu la posizione non solo piùdrastica in questo senso, ma anche più significativa e capace, indubbiamente, di condizionaretutto il pensiero moderno, da Pascal, a Hobbes e, in modo più indiretto, praticamente tutti gliautori del contrattualismo. Intendo riferirmi a quello che è stato l'antiumanesimo più radicale ditutti nella teorizzazione della specularità della natura umana rispetto a quella divina e nellacostituzione ontologica dell'uomo nel male e nel desiderio: quella di Lutero. Su questo, mipermetto di rinviare al mio La nascita dell'individualismo politico. Lutero e la politica dellamodernità, Il Mulino, Bologna, 2002. Per quanto riguarda la critica di Del Noce a Pascal e al suospiritualismo chiuso in se stesso e sfociante in un'oppositività - potenzialmente scristianizzante- tra l'indicibilità di Dio e l'immanenza, v. anche le importanti note di T. Perlini inEsistenzialismo religioso e teologia civile in Augusto Del Noce, in AA. VV. Percorsi e figure.Filosofi italiani del «900, a c. di S. Natoli, Marietti 1820, Genova 1998, alle pp. 194-5.

Su questo cfr. le sintetiche ma decisive analisi di G. Riconda, A. Del Noce e J. Lequier, in A. DelNoce. Essenze filosofiche..., cit., alle pp. 357-59.

25.

A. Del Noce, Il problema..., cit., p. 560. 26.

Cfr. Andrea Paris, cit., p. 92, dove si sottolinea il tema della libertà dell'uomo di far valere ilproprio libero arbitrio per vincere sul male, accompagnato dell'agostiniano principiodell'inabitazione della verità. Cfr. anche le riflessioni molto significative di G. Riconda aproposito del nesso libertà/responsabilità dell'esperienza religiosa individuate da Del Noce nellafigura di Lequier: G. Riconda, Tradizione e pensiero, cit., p. 347. A proposito dell'importanzafondamentale, in Del Noce, dell'impegno individuale della libertà, P. Miccoli individua quiun'indubbia eco agostiniana nei confronti della storia e del suo essere «banco di prova dellafedeltà dell'uomo a Dio». P. Miccoli, La transpoliticità della storia secondo Augusto Del Noce,Augusto Del Noce, il pensiero filosofico, a c. di D. Castellano, ESI, Napoli 1992, p. 312.

27.

Cfr. G. Riconda, Tradizione..., cit., p. 271. 28.

Per cogliere l'affinità tra il giovane Del Noce e l'esistenzialismo religioso, si veda, p.e. la suaprefazione al testo di L. Chestov, Concupiscentia irresistibilis della filosofia medioevale, orapubblicata con il titolo L'esistenzialismo di Chestov, in Filosofi dell'esistenza e della libertà, cit.,p.31-52.

29.

Odo Marquard, soprattutto in Entlastungen. Theodizeemotive in der neuzeitlichen Philosophie,in Apologie des Zufälligen, Reclam, Stuttgard 1986 e Der angeglakte und der entlastete Menschin der Philosophie des 18 Jahrhunderts, in Abschied vom Prinzioiellen, Reclam, Stuttgard, 1981entrambi in Odo Marquard, Alberto Melloni, La storia che giudica, la storia che assolve, Laterza2008, Roma-Bari, pubblicati con i titoli Esoneri. Motivi di teodicea nella filosofia dell'epocamoderna e Imputato ed esonerato. L'uomo nella filosofia del XVIII secolo.

30.

III° convegno di Gallarate, 1948. 31.

Cfr. T. Perlini, Esistenzialismo religioso..., cit., pp. 195-6. 32.

La frase esatta di Del Noce, appuntata a margine dei suoi appunti sul pensiero di Mazzantinisuona così: "Il criterio della validità d'una filosofia è nella vita. È chiaro che da questo punto divista la posizione della filosofia si presenta come un'opzione". In T. Dell'Era, Augusto Del Nocefilosofo della politica, p. 86 ss., Rubbettino, Soveria Mannelli, 2000, in Andrea Paris, cit., p. 163.

33.

Cfr., per es., Id., Léon Chestov, in Filosofi dell'esistenza, cit., là dove Del Noce sottolinea ladifferenza delle visuali di Shestov e di Spinoza su che cosa sia filosofia: p. 32, nota 1.

34.

"Ma la totalità del reale potrà diventare oggetto di scienza solo a patto di sostituire a me l'iogenerico, la «categoria uomo»: col pretendere di farla oggetto di scienza si sostituisce allatotalità del reale una realtà astratta appunto perché astrae da me. È una tesi, questadell'inoggettivibilità dell'essere [...] oggi così nota che non è certo il caso di insistervi" (A. DelNoce, Razionalismo metafisico e punto di partenza, in III° Convegno di studi filosofico-

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cristiani tra professori universitari - Gallarate, 1947, Padova 1948, pp. 168-69)

"La figura del razionalismo metafisico è costituita dal collegamento tra l'idea della negatività delfinito e l'ideale della comprensione. Di questo ideale della comprensione importa segnalare ilcarattere etico e la dipendenza stretta dalla tesi dell'ontologicità della colpa. Se il male sta nellafinitezza, l'uomo conseguirà la libertà spirituale nel porsi dal punto di vista dell'essereconsiderato nella sua totalità (della necessità «compresa'); dunque nell'elevarsi con il pensiero auna tale universalità che gli diventi indifferente la sua esistenza o non esistenza nella vita finita[...] la duplice contraddizione del razionalismo metafisico -- tra la intenzione di ateologizzazionedel finito e la teologizzazione di quel finito che è il sistema" (idem, 167-68)

36.

È bene sottolineare, comunque, la diffidenza di Del Noce nei confronti del personalismo o, per lomeno, di un abuso di questa prospettiva, alla quale, egli sottolinea, si fa ricorso «in modo quasimagico» da almeno trent'anni (A. Del Noce, Introduzione, p. 100 a J.-L. Jules Lequier, Opere,Morcelliana) e che può contenere elementi di semplificazione o, addirittura di deformazionecirca una corretta prospettiva antropologica. Tale punto è sottolineato da G. Riconda in questitermini: "io credo che Del Noce denunci qui chiaramente un pericolo, che il personalismo puòcontenere, e a cui spesso non ha saputo sottrarsi per il suo porsi innanzitutto comerivendicazione della persona nei confronti di un tutto naturalisticamente o idealisticamenteinteso, esaurendosi quasi completamente in questa rivendicazione, sino a considerare sospettal'idea stessa dell'essere o della verità, salvo poi recuperarne ecletticamente l'esigenza sul pianoreligioso, per evitare appunto che la rivendicazione della persona si tramuti in libertinismoateo" (G. Riconda, A. Del Noce e J. Lequier: il problema della libertà, p. 354 in Atti del ConvegnoInternazionale Augusto Del Noce. Essenze filosofiche, cit., corsivo mio). Riconda qui sottolineamolto giustamente il legame che si fa sempre più stretto nel pensiero di Del Noce, del tema dellaverità con quello dell'essere e come, in definitiva, egli vada prendendo le distanze, dopo gli annigiovanili, non solo dall'esistenzialismo, ma anche da un personalismo non sufficientemente echiaramente provvisto di substrato metafisico.

37.

La critica di Del Noce all'esistenzialismo si potrebbe sintetizzare nella definizione fulminante cheegli ne dà come di «una filosofia del Dio nascosto». V. Id., a proposito di una nuova edizionedella «Teosofia» del Rosmini, in Id., Da Cartesio a Rosmini..., cit., p. 541. In modo più ampio T.Perlini dà conto della critica delnociana dell'esistenzialismo religioso in Esistenzialismo religiosoe teologia civile, Percorsi e figure. Filosofi italiani del «900, a c. di S. Natoli, Marietti 1820,Genova 1998, p. 191 ss. . Perlini sottolinea come Del Noce rilevi l'insufficienza delle posizioni siadi Pascal che di Kierkegaard dinnanzi all'avanzare dell'immanentismo. Del primo evidenzial'insufficienza dell'insondabilità degli abissi dell'interiorità cristiana a contrapporsi alla nascitadello Stato moderno, del secondo, l'incapacità di individuare il vero nemico cui contrapporsi ecioè non tanto l'universalismo hegeliano, quanto l'ateismo «come sbocco logico delrazionalismo».

38.

«La critica di Plotino rappresentava l'estrema difesa del pensiero classico, per il quale il compitodell'uomo era quello teoretico di contemplare e quello pratico di imitare l'universo, riflettendo insé l'ordine dell'essere. L'idea di virtù era insomma inscindibilmente connessa con quelladell'ordine dell'essere. Ora gli studiosi del pensiero gnostico hanno visto nella rivolta control'idea dell'ordine cosmico il suo carattere essenziale. Gli gnostici non negano al mondol'attributo di ordine, ma lo volgono a significare obbrobrio anziché lode. Non dicono che il cosmoè disordinato, ma che è retto da un ordine rigido e nemico, da una legge tirannica e malvagia» A.Del Noce, Il problema filosofico della violenza, in AA. VV. Violenza. Una ricerca percomprendere, Contributi al XXXIV Convegno del Centro di Studi filosofici di Gallarate,(19-20-21 aprile 1979), Morcelliana, Brescia 1980, p. 11.

39.

Voegelin spiega lo spirito gnostico con il desiderio di acquisire una comprensione più chiara enetta circa il trascendente di quanto non possa fornire la cognitio fidei, sottolineando comequesta pretesa sfoci poi in una «inclusione di Dio nell'esistenza dell'uomo». Tale inclusione,secondo Voegelin, potrà spingere in direzione «di una penetrazione speculativa del misterodella creazione e dell'esistenza [...] O essere soprattutto emozionale e assumere la forma di unainabitazione della sostanza divina nell'anima umana, [...] O può essere soprattutto volontaristicae assumere la forma di una redenzione attivistica dell'uomo e della società, come nel caso degliattivisti rivoluzionari tipo Comte, Marx o Hitler». Cfr. E. Voegelin, La nuova scienza politica,Borla, Torino, 1968, p. 195-6.

40.

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Cfr. A. Del Noce, Violenza e secolarizzazione della gnosi, in Violenza. Una ricerca percomprendere, Contributi al XXXIV Convegno del Centro di Studi filosofici di Gallarate,(19-20-21 aprile 1979), Morcelliana, Brescia 1980.

41.

Cfr., p.e., A. Del Noce, Il problema dell'ateismo, cit., p. 386 ss., dove l'Autore esamina il casoPascal facendo riferimento al testo di L. Goldmann, Le Dieu caché. Anche qui, è opportunoricordare che il tema dell'alterità di Dio e del suo nascondimento sono stati tematizzati, primache da Pascal, da Lutero, con i medesimi -- ma precedenti e ben più rilevanti quanto a capacitàdiffusiva -- esiti di avvio del processo di secolarizzazione.

42.

In una filosofia della prassi rivoluzionaria la differenza è separante poiché il salto rivoluzionarioauspicato è in una dimensione totalmente altra; ubiquitaria, invece, è la differenza nellaprospettiva nichilistica, dove la differenza è la categoria di riferimento; talmente assolutizzata eubiquitaria, tuttavia, da rovesciarsi in un'assoluta uniformità. Per quanto riguarda invece leposizioni dell'esistenzialismo religioso, la differenza tra la bontà/libertà di Dio e l'uomo è tale daessere separante, in attesa della grazia, del «salto nella fede», e necessitante un pari.

43.

"Ogni realtà finita deve, proprio perché finita, subire, con l'annullamento della sua singolarità, ilcastigo di essere emancipata dall'essere puro; il male sta nella finitezza stessa dell'esistente, lacolpa è ontologica, scritta nella struttura stessa dell'esistente finito. L'uomo è colpevole inquanto esistente", così Del Noce a proposito del frammento. V. L'esistenzialismo di Chestov, pp.33-34, in A. Del Noce, Filosofi dell'esistenza e della libertà, a c. di F. Mercadante e B. Casadei,Giuffrè, 1992 Milano. Cfr. anche V. Possenti Il problema del male, cit., p.145 ss.

44.

Idem, pp. 34-35. In realtà, invece, la posizione sul peccato di Shestov, qualora la si riconduca alsuo nucleo teorico fondamentale, della condanna radicale della ragione, causa di separazione tral'uomo e Dio rispetto allo stato di unione immediata originaria, è riconducibile all'insegnamentoluterano di cui, d'altra parte, è noto che Shestov subì fortemente il fascino.

45.

L. Shestov, Kierkegaard et la philosophie existentielle, 12-13, in A. Del Noce, idem, p. 34, corsivomio.

46.

Cfr. L. Shestov, Atene e Gerusalemme, Introduzione di Alessandro Paris, p. 75 ss., Bompiani,Milano 2005.

47.

È appena il caso di ricordare qui la immediata consonanza di questa posizione con quella diLutero, per il quale la ragione umana, nelle cose di Dio, è prostituta del demonio. V. infra, nota55.

48.

L'intero brano recita così: "Per «pensare» (elevarsi all'universale) si deve rinunciare a se stessi,alla propria sempre individualissima vita. Ma allora la verità che si ottiene è una verità che vienedopo un si deve: perciò non è la verità prima, ma un'immagine secondaria e derivata; proprionel (e per) voler raggiungere la universalità relativizzo e umanizzo la verità". In A. Del Noce,cit., p. 47.

49.

Del Noce, cit., pp. 34-35. 50.

Idem, p. 50. 51.

Significativamente Shestov afferma che «l'etica ha preso il posto dell'ontologia» e che ilproblema sta nella sottomissione e nell'obbedienza. Cf. Alessandro Paris, Introduzione a L.Shestov, Atene e Gerusalemme, p. 36, Bompiani, Milano 2005.

52.

Lo stesso titolo Atene e Gerusalemme è rivelativo del modo di pensare al riguardo di Shestov,che dissemina questo ed altri testi -- per esempio L'Apothéose du Déracinement - di rilievi diquesto genere. Tuttavia, mi pare particolarmente significativo il legame da lui istituito trapensiero filosofico e quella che lui giudica una pietrificazione della realtà operata dalla ragionequando insegue una necessità veritativa che si manifesta poi come del tutto costrittiva. Ma,secondo Shestov, questa non è che la pretesa, profondamente violenta e radicalmente erroneadel "pensiero (che) avrebbe preferito considerare l'Ananke come una creazione dell'essere,perché l'essere che per sua stessa natura è irrequieto, potrebbe ben ripudiare l'Ananke edichiararla figlia del puro pensiero. L'essere non è, checché ne dica Parmenide, la stessa cosa delpensiero [...] Abbiamo detto che la filosofia ha sempre significato e voluto significare: rifletteresich besinnen, guardarsi indietro [...] «Guardarsi indietro» paralizza l'uomo. Colui che si volta[...] deve vedere ciò che già esiste, cioè la testa di Medusa; e chi vede la testa di Medusa viene

53.

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inevitabilmente pietrificato, come già sapevano gli antichi; il proprio pensiero sarà dunque unpensiero pietrificato, corrispondente, evidentemente, al proprio essere pietrificato". Atene eGerusalemme, cit., parte Ia, Parmenide incatenato, p. 227-229, corsivi miei.

Cfr. soprattutto, Shestov, Atene e Gerusalemme, cit., parte IIa, Nel toro di Falaride, p. 527 ss. 54.

L'eco di questa antropologia si avverte anche in Kant e nella sua tesi del male radicaleimprescindibilmente presente nell'uomo.

55.

Cfr. Alessandro Paris, Introduzione a Atene e Gerusalemme, cit., p. 74 ss. che sottolinea come«Con la ragione entra dunque il limite nell'illimitatezza originaria della vita paradisiaca».

56.

Cfr. Del Noce, cit., p. 36. 57.

Per quanto riguarda il tema del male in Lutero, mi permetto di rinviare al mio La nascitadell'individualismo politico. Lutero e la politica della modernità, Il Mulino, Bologna 2002,soprattutto al cap. I.

58.

Platone, Sofista, 258, e -- 259 d. 59.

Cf. W. Beierwaltes, Identität und Differenz, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main, 1980,trad. it. cit., Identità e differenza, p. 46-47, Vita e Pensiero, Milano 1989.

60.

Idem, p. 46. 61.

Idem, p. 48. 62.

W. Beierwaltes, cit., p. 49, corsivi miei. 63.

Idem, cit., p. 51. 64.

L. Alici, L'altro nell'Io. In dialogo con Sant'Agostino, p. 64 ss., corsivo mio, Città Nuova, Roma,1999.

65.

Agostino, Confessionum Liber XIII, 11, 8, 10; 11, 9, 11; 11, 30, 40. De Civitate Dei, libro XI, dovesi tratta soprattutto del rapporto tempo-creazione. Cfr. anche G. Beschin, S. Agostino. Ilsignificato dell'amore, Città Nuova, Roma, 1983, soprattutto alle pp. 30 e ss.

66.

Cfr. Agostino, De natura boni, 26, e, soprattutto, Conf., 11, 6, 8; 11, 7, 9. 67.

W. Beierwaltes, Identità e differenza, cit., p. 120. 68.

W. Beierwaltes, cit., p. 121 e ss. V. anche, Beschin, cit., pp. 32-33 e L. Alici, L'altro nell'io, CittàNuova, Roma, 1999, alle pp. 64 e ss.

69.

G. Beschin, cit., a questo proposito, si esprime così: «Ma allora è possibile pensare la coesistenzatra Dio e le cose solo se si concepisce l'essere e, quindi, prima di tutto l'essere divino, non comechiuso in sé, ma come infinitamente partecipabile. L'essere di Dio include in un certo modo ledifferenze che costituiscono le varie creature conoscendosi come infinitamente partecipabile»,cit., p. 32, corsivo mio.

70.

Agostino, De Trinitate, 7, 6, 12; 14, 14, 20. 71.

Tale appartenenza è descrivibile, oltre che in termini di temporalità/eternità, anche in terminiontologici --partecipazione alla pienezza di essere che descrive la natura di Dio (v. notaprecedente)- o assiologici --appartenenza di ogni cosa che è al Bene che Dio è. Cfr. su questo,Agostino, soprattutto in De natura boni, I, 17 «Non ergo mala est, in quantum natura est, ullanatura; sed cuique naturae non est malum nisi minui bono. Quod si minuendo absumeretur,sicut nullum bonum, ita nulla natura relinqueretur, non solum qualem inducunt Manichei, ubitanta bona inveniuntur, ut nimia eorum caecitas mira sit; sed qualem potest quilibet inducere»,corsivi miei.

72.

Il tema è delicatissimo e veramente centrale per la comprensione di Agostino, della suametafisica, antropologia, etica, poiché è il fondamento e la spiegazione della sua idea di male.L'uomo, infatti, partecipando all'essere che Dio è, partecipa anche alla bontà che Dio è. Essendotuttavia differenza rispetto a Dio --se fosse uguaglianza non vi potrebbe essere partecipazione, e,d'altra parte che l'uomo sia differenza rispetto a Dio è dimostrato dalla sua appartenenza allatemporalità, al nulla da cui è stato tratto- ha la possibilità di scegliere i beni minori rispetto alBene. Questo, appunto, è, per Agostino, il male.

73.

Mi permetto di rinviare qui al mio Immagine, differenza, artificio. Prospettive sul problema del74.

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male, cap. I, Il male e i suoi simboli, soprattutto a p. 42, Franco Angeli, Milano, 2004.

Agostino, De vera religione, 39, 72. 75.

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