funzioni+variabili

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FUNZIONI A PIU’ VARIABILI MASSIMO FERRAROTTI 1. Nozioni generali Studieremo le funzioni con n> 1 variabili a valori reali. Per quanto molte delle nozioni e dei risultati che enunceremo valgano per n qualsiasi, focalizzeremo la nostra attenzione sui casi n =2e n = 3. La scrittura f : R n R denoter` a una funzione a n variabili non necessariamente definita su tutto R n . L’insieme dove tale funzione ` e definita, cio` e il suo dominio, sar` a indicato con D f . Esempio. Se f (x, y)= 1 xy-1 , D f = {(x, y) R 2 | xy > 1} ` e la parte del piano ”esterna” all’iperbole xy = 1. Per n = 2, il grafico di f ` e l’insieme G f = {(x, y, z ) R 3 | (x, y) D f ,z = f (x, y)}. Evidentemente il grafico ` e una superficie in forma cartesiana in R 3 . Consideriamo ora gli insiemi S f (c)= {P R n | P D f ,f (P )= c}, con c R. Se n = 2 tali insiemi si dicono curve di livello, mentre per n = 3 si dicono superfici di livello. Anche se in generale le S f (c) sono curve o superfici in forma cartesiana, questo non ` e sempre vero. Comunque si pu` o cercare di studiare il grafico di f utilizzando le curve di livello come sezioni di G f con i piani z = c. Esempio. Sia f (x, y)= x 2 + y 2 . Allora S f (c): x 2 + y 2 = c si pu` o vedere come intersezione di G f : x 2 + y 2 = z con z = c. Per c< 0 abbiamo S f (c)= , per c = 0 abbiamo S f (0) = {O}, mentre per c> 0 S f (c)` e la circonferenza giacente nel piano z = c, di centro (0, 0,c) e raggio c. Rappresentando tali sezioni nello spazio otteniamo una superficie detta paraboloide ellittico. Come nel caso di una variabile, si possono definire la somma e il prodotto tra funzioni. Se f 1 : R n R e f 2 : R n R, per P D f 1 D f 2 definiamo (f 1 + f 2 )(P )= f 1 (P )+ f 2 (P ) e (f 1 f 2 )(P )= f 1 (P )f 2 (P ). Riguardo alla composizione, la considereremo in particolare in 2 casi. 1) Se f : R n R e gR R, consideriamo (dove ` e definita) la composizione g f (P )= g(f (P )) Esempio. Se f (x, y)= x - y e g(t)= t 2 , g f (x, y)=(x - y) 2 . 2) Se P : I R n ` e una parametrizzazione e f : R n R, f P (t)= f (P (t)) ` e la funzione su I ottenuta restringendo f alla curva C sostegno di P (t). In questo caso, se I =[a b], si pone 1

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  • FUNZIONI A PIU VARIABILI

    MASSIMO FERRAROTTI

    1. Nozioni generali

    Studieremo le funzioni con n > 1 variabili a valori reali. Per quanto molte delle nozionie dei risultati che enunceremo valgano per n qualsiasi, focalizzeremo la nostra attenzionesui casi n = 2 e n = 3.

    La scrittura f : Rn R denotera` una funzione a n variabili non necessariamentedefinita su tutto Rn. Linsieme dove tale funzione e` definita, cioe` il suo dominio, sara`indicato con Df .

    Esempio. Se f(x, y) = 1xy1 , Df = {(x, y) R2| xy > 1} e` la parte del piano esterna

    alliperbole xy = 1.

    Per n = 2, il grafico di f e` linsieme

    Gf = {(x, y, z) R3| (x, y) Df , z = f(x, y)}.Evidentemente il grafico e` una superficie in forma cartesiana in R3.

    Consideriamo ora gli insiemi Sf (c) = {P Rn| P Df , f(P ) = c}, con c R. Sen = 2 tali insiemi si dicono curve di livello, mentre per n = 3 si dicono superfici di livello.Anche se in generale le Sf (c) sono curve o superfici in forma cartesiana, questo non e`sempre vero. Comunque si puo` cercare di studiare il grafico di f utilizzando le curve dilivello come sezioni di Gf con i piani z = c.

    Esempio. Sia f(x, y) = x2+y2. Allora Sf (c) : x2+y2 = c si puo` vedere come intersezionedi Gf : x2 + y2 = z con z = c. Per c < 0 abbiamo Sf (c) = , per c = 0 abbiamoSf (0) = {O}, mentre per c > 0 Sf (c) e` la circonferenza giacente nel piano z = c, di centro(0, 0, c) e raggio

    c. Rappresentando tali sezioni nello spazio otteniamo una superficie

    detta paraboloide ellittico.

    Come nel caso di una variabile, si possono definire la somma e il prodotto tra funzioni.Se f1 : Rn R e f2 : Rn R, per P Df1 Df2 definiamo

    (f1 + f2)(P ) = f1(P ) + f2(P ) e (f1f2)(P ) = f1(P )f2(P ).

    Riguardo alla composizione, la considereremo in particolare in 2 casi.1) Se f : Rn R e gR R, consideriamo (dove e` definita) la composizione g f(P ) =g(f(P ))Esempio. Se f(x, y) = x y e g(t) = t2, g f(x, y) = (x y)2.2) Se P : I Rn e` una parametrizzazione e f : Rn R, f P (t) = f(P (t)) e` la funzionesu I ottenuta restringendo f alla curva C sostegno di P (t).

    In questo caso, se I = [a b], si pone1

  • 2 MASSIMO FERRAROTTI

    Cfds =

    Cf Pds =

    baf(P (t))P (t)dt.

    Esempio. Siano f(x, y) = xy e P () = (2 cos , sin ), 0 pi2 . AlloraCfds =

    pi2

    02 cos sin

    1 + 3 sin2 d =

    10

    1 + 3udu =

    149

    dove abbiamo sostituito u = sin2 .

    2. Topologia

    Sia P0 Rn. Gli insiemi U(P0, r) = {P Rn| P P0 < r} al variare di r > 0 sarannodetti gli intorni di P0.

    Definizione 2.1. Sia A Rn e P0 Rn.(1) P0 si dice punto di accumulazione di A se ogni suo intorno contiene punti di A

    diversi da P0. Indicheremo con D(A) linsieme dei punti di accumulazione di A.(2) P0 si dice punto isolato di A se P0 A ma P0 non e` punto di accumulazione di

    A. Indicheremo con Iso(A) linsieme dei punti isolati di A.(3) P0 si dice punto interno di A se esiste un intorno di P0 contenuto in A. Indicher-

    emo con Int(A) linsieme dei punti interni di A.(4) P0 si dice punto di frontiera di A se ogni suo intorno contiene sia punti di A che

    del complementare Rn \A. Indicheremo con F(A) linsieme dei punti di frontiera.di A.

    Osserviamo che Iso(A) F(A) e che D(A) = Int(A) (F(A) \ Iso(A)).Esempio. Sia A = {(x, y) R2| (x2 + y2)x 1 0}. Allora1) D(A) = {(x, y) A| x 1},2) Int(A) = {(x, y) A| x > 1},3) F(A) = {(x, y) A| x = 1} {(0, 0)},

    mentre lunico punto isolato e` (0, 0).

    Definizione 2.2. Sia A Rn.(1) Se A = Int(A), A si dice aperto.(2) Se F(A) A, A si dice chiuso.(3) Per convenzione e Rn si considerano sia aperti che chiusi.

    Osserviamo che A e` chiuso se e solo se A = Int(A) F(A).Un sottoinsieme non e` necessariamente aperto o chiuso: per esempioA = {(x, y) R2| x2 + y2 < 1, y 0}non e` ne` aperto ne` chiuso. Abbiamo comunque la seguente proposizione.

    Proposizione 2.3. .

    (1) A Rn e` aperto se e solo se Rn \A e` chiuso.(2) Unione e intersezione finite di aperti (di chiusi) sono un aperto (un chiuso)

  • FUNZIONI A PIU VARIABILI 3

    Osservazione. Con le stesse definizioni, in R abbiamo come aperti le unioni finite diintervalli aperti.

    3. Limiti

    Definizione 3.1. Sia f : Rn R una funzione con dominio Df e sia P0 D(Df ).(1) Si dice che f ha limite L R per P che tende a P0, e si scrive

    limPP0

    f(P ) = L

    se per ogni > 0 esiste > 0 tale che, se P P0 < , allora |f(P ) L| < .(2) Si dice che f e` continua (C0) in P0, se P0 Df e se

    limPP0

    f(P ) = f(P0).

    Proposizione 3.2. Se esiste, il limite e` unico.

    Osserviamo che la definizione data di limite (e di continuita` ) e` del tutto analoga aquella in una variabile: naturalmente essa puo` anche essere formulata usando gli intorni.Anche per i limiti allinfinito si ha una stretta analogia con una variabile. In particolare:1) limPP0 f(P ) = significa:

    per ogni C > 0 esiste > 0 tale che, se P P0 < , allora f(P ) > C (+) of(P ) < C ().2) limP f(P ) = L significa:

    per ogni > 0 esiste C > 0 tale che, se P > C, allora |f(P ) L| < .3) Combinando 1) e 2) otteniamo la definizione di limP f(P ) = .

    Proposizione 3.3. Siano f1 : Rn R, f2 : Rn R e sia P0 D(Df1) D(Df2). SelimPP0 f1(P ) = L1 e limPP0 f2(P ) = L2, allora

    (1) limPP0(f1 + f2)(P ) = L1 + L2.(2) limPP0(f1f2)(P ) = L1L2.

    (3) Se L2 6= 0, limPP0 f1(P )f2(P ) =L1L2

    In particolare, se f1 e f2 sono C0 in P0 anche f1 + f2, f1f2 e (se f2(P0) 6= 0) f1f2 sonoC0 in P0.

    Proposizione 3.4. Sia f : Rn R e sia P0 D(Df ). Supponiamo che limPP0 f(P ) =L. Allora

    (1) Se P : I D(Df ) e` una parametrizzazione con sostegno contenuto in D(Df ) taleche limtt0 P (t) = P0 allora limtt0(f P )(t)) = L.

    (2) Se g : R R e` una funzione reale a una variabile tale che L D(Dg) tale chelimtL g(t) = L, allora limPP0(g f)(P ) = L

    In particolare, se f , P e g sono C0 in P0, t0 e L rispettivamente, anche f P e g fsono C0 in t0 e P0 rispettivamente.

  • 4 MASSIMO FERRAROTTI

    La proposizione precedente puo` essere usata per calcolare i limiti per sostituzione.Esempio. Calcoliamo, se esiste

    lim(x,y)(0,0)

    sin(x2 + y2)x2 + y2

    .

    La funzione e` uguale a g f , dove f(x, y) = x2 +y2 e g(t) = sin tt , quindi il limite cercatoe` uguale a limt0 g(t) = 1.

    In pratica si sostituisce nellespressione della funzione t = x2 + y2 e si calcola il limiteper t 0.

    Proposizione 3.5. Siano f, g1, g2 : Rn R e sia P0 D(Df ) D(Dg1) D(Dg2).Supponiamo che:

    (1) limPP0 g1(P ) = limPP0 g2(P ) = L;(2) per P in un intorno di P0 si abbia g1(P ) f(P ) g2(P ).

    Allora limPP0 f(P ) = L.

    Esempio. Calcoliamo, se esiste

    lim(x,y)(0,0)

    xy2

    x2 + y2.

    Abbiamo

    0 |xy2|

    x2 + y2 x,

    da cui segue che il limite e` 0 per 3.5.

    Un criterio generale per lesistenza del limite e` il seguente:

    Teorema 3.6. Sia f : Rn R e sia P0 D(Df ). Allora limPP0 f(P ) = L se esolo se limk f(Pk) = L per ogni successione {Pk} Df tale che Pk P0 (cioe`limk Pk P0 = 0).

    Tale teorema si applica essenzialmente per provare che non esiste limite.Esempio. Sia

    f(x, y) =2xy

    x2 + y2.

    Abbiamo che Df = R2 \ {O}. Se Pk = ( 1k , 0) e Qk = ( 1k , 1k ), abbiamo che f(Pk) = 0 ef(Qk) = 1 per ogni k. Quindi, per 3.6, non il limite non esiste. Osserviamo che si puo`anche verificare questo fatto restringendo f alle rette y = 0 e y = x. Di fatto, la funzione inquestione sulle rette y = mx ha valore costante m

    1+m2: da questa considerazione e` possibile

    farsi unidea del suo grafico.Consideriamo ora la funzione

    g(x, y) =2x2yx4 + y2

    .

    Si verifica facilmente che ristretta a ogni retta y = mx la funzione g tende a 0 per (x, y)tendente a 0, ma questo non implica che esista il limite: infatti sulla successionePk = ( 1k ,

    1k2

    ) ( anzi sulla parabola y = x2) la funzione ha valore costante 1.

  • FUNZIONI A PIU VARIABILI 5

    4. Funzioni continue

    Sia f : Rn R e sia A Df . Diciamo che f e` continua su A se e` C0 in ogni punto diA: se A = Df diciamo semplicemente che f e` continua. Linsieme delle funzioni continuesu A si indica con C0(A).

    Esempio. Le funzioni polinomiali sono continue. Infatti:1) le funzioni costanti sono evidentemente continue;2) se consideriamo (nel caso n = 2) le funzioni px(x, y) = x e py(x, y) = y (proiezioni sugliassi), queste sono C0 (di fatto sono a 1 variabile!);3) le funzioni monomiali axhyk sono C0 in quanto prodotti di funzioni C0;4) le funzioni polinomiali sono somme di funzioni monomiali e quindi sono C0.

    Esempio. Le funzioni

    f(x, y) ={ 2xy

    x2+y2(x, y) 6= (0, 0)

    0 (x, y) = (0, 0)e

    g(x, y) =

    {2x2yx4+y2

    (x, y) 6= (0, 0)0 (x, y) = (0, 0)

    gia` introdotte in un precedente esempio non sono continue nellorigine.

    Studiamo le proprieta` globali delle funzioni continue. Intanto possiamo identificaremolti insiemi definiti da funzioni C0 come aperti o chiusi.

    Proposizione 4.1. Sia f : Rn R continua su A Df .(1) Se A e` aperto, allora V +f = {P A| f(P ) > 0}, V f = {P A| f(P ) < 0} sono

    aperti.(2) Se A e` chiuso, allora Z+f = {P A| f(P ) 0}, Zf = {P A| f(P ) 0} e

    Zf = {P A| f(P ) = 0} sono chiusi.Quindi le curve e superfici di livello di funzioni continue su chiusi (quindi anche su Rn)

    sono insiemi chiusi (Sf (c) = Zfc).

    5. Connessione e teorema degli zeri

    Definizione 5.1. Un sottoinsieme A Rn si dice connesso se comunque dati P1, P2 Aesiste una parametrizzazione P : [a b] A di classe C0 tale che P (a) = P1 e P (b) = P2.

    Intuitivamente un insieme connesso e` formato da un solo pezzo.

    Esempi.1) Gli insiemi convessi sono connessi (un insieme A Rn si dice convesso se dati P1 e P2in A il segmento P1P2 e` contenuto in A) .2) Le rette, le ellissi e le parabole sono connessi, le iperboli no.3) Una corona circolare e` connessa ma non convessa.

    Se A non e` connesso, si dice sconnesso. In tal caso supporremo comunque che A siaunione finita di insiemi connessi disgiunti, detti componenti connesse di A.

  • 6 MASSIMO FERRAROTTI

    Teorema 5.2. Sia f : Rn R di classe C0 su un insieme connesso A Df . Se esistonoP1 e P2 in A tali che f(P1) > 0 e f(P2) < 0, allora esiste P0 A tale che f(P0) = 0.

    Proof. Se P : I = [a b] A e` una parametrizzazione C0 tale che P (a) = P1 e P (b) = P2,la funzione g(t) = f(P (t)) e` C0 su I con g(a) < 0 e g(b) > 0. quindi per il Teorema deglizeri in una variabile abbiamo che esiste t0 I tale che g(t0) = f(P (t0)) = 0: basta alloraprendere P0 = P (t0).

    Il teorema 5.2 puo` essere usato per determinare il segno di una funzione.Esempio. Sia f(x, y) = 4x3 + x2 y2. La curva C : f = 0 e` il folium di Cartesio elinsieme A = Rn \ C non e` connesso, ma e` unione di 3 componenti connesse A1, A2, A3.Su ognuna di esse f ha segno costante: se infatti ci fossero due punti in Ai su quali favesse segno diverso, per il teorema 5.2 f si annullerebbe almeno in un punto di Ai, il chee` assurdo perche Ai e` nel complementare del luogo di zeri di f .

    6. Teorema di Weierstrass

    Definizione 6.1. Se f : Rn R, A Df e P0 A, P0 e` :(1) punto di estremo assoluto su A se per ogni P A f(P0) f(P ) (massimo assoluto)

    oppure f(P0) f(P ) (minimo assoluto);(2) punto di estremo relativo (o locale) in A se esiste un intorno U di P0 tale che per

    ogni P A U f(P0) f(P ) (massimo relativo) oppure f(P0) f(P ) (minimorelativo)

    Nei casi in cui valgano le disguaglianze strette >,< si parla di punti di massimo ominimo stretto. Il valore f(P0) in punto di estremo si dice valore estremo (massimo ominimo).

    Definizione 6.2. Un sottoinsieme Rn si dice limitato se esiste M > 0 tale che P M per ogni P A.

    Teorema 6.3. Sia A Df chiuso e limitato e sia f una funzione continua su A. Alloraesistono P1 e P2 in A tali che per ogn iP A si ha f(P1) f(P ) f(P2).

    Quindi su di un insieme chiuso e limitato una funzione continua assume sempre unvalore massimo e uno minimo.

    Corollario 6.4. Sia A Df connesso, chiuso e limitato e sia f una funzione continuasu A. Siano M e m rispettivamente i valori massimo e minimo di f su A. Allora per ognim c M esiste P0 A tale che f(P ) = c.

  • FUNZIONI A PIU VARIABILI 7

    7. Derivate e differenziabilita`

    Sia f : R2 R e sia P0 = (x0, y0) Int(Df ). Diremo che f e` derivabile rispetto a x inP0 se esiste finito il limite

    limh0

    f(x0 + h, y0) f(x0, y0)h

    In tal caso, tale limite si dice derivata parziale di f rispetto a x in P0 e si denota in unodei seguenti modi:

    f

    x(P0), xf(P0), fx(P0).

    In modo analogo di definiscono e si denotano le derivate rispetto alle altre variabilianche per n > 2. Si dice che f e` derivabile in P0 se e` derivabile in P0 rispetto a tutte levariabili.

    Se A Df e` un aperto, diremo che f derivabile su A se lo e` in ogni punto di A ediremo semplicemente che e` derivabile se lo e` su Df (supponendolo aperto). In tal casosono definite su A le funzioni fx, f derivate parziali di f .

    Se f e` derivabile in P0, il gradiente di f in P0 e` il vettore f(P0) in Rn le cui componentisono le derivate parziali di f in P0. Per n = 2, f(P0) = (fx(P0), fy(P0)). Il gradienteviene anche denotato con grad f(P0).

    Usando il gradiente possiamo esprimere in modo sintetico alcune regole per la derivazione.

    Proposizione 7.1. Se f1 e f2 sono funzioni su Rn derivabili abbiamo:(1) (c1f1 + c2f2) = c1f1 + c2f2.(2) (f1f2) = f1f2 + f2f1.(3) (f1f2) = f2f1f1f2f22 .

    Definizione 7.2. Sia f : R2 R e sia P0 Int(Df ). Se v e` un versore di Rn, diremoche f e` derivabile rispetto a v in P0 se esiste finito

    limt0

    f(tv + P0) f(P0)t

    per t R, t 6= 0.In tal caso, tale limite si dice derivata direzionale di f rispetto a x in P0 e si denota in

    uno dei seguenti modi:

    f

    v(P0), vf(P0), fv(P0).

    Analogamente alle derivate parziali, si puo` definire la funzione derivata direzionale fvsu un aperto A Df .Osservazione. Le derivate direzionali rispetto ai versori canonici coincidono con lederivate parziali. Per esempio, se v = e1 = (1, 0),

    limt0

    f(te1 + P0) f(P0)t

    = limt0

    f(x0 + t, y0) f(x0, y0)t

    = fx(P0)

    Esempi.1) Se

  • 8 MASSIMO FERRAROTTI

    f(x, y) ={ 2xy

    x2+y2(x, y) 6= (0, 0)

    0 (x, y) = (0, 0)abbiamo f(x, 0) = f(0, y) = 0 per x 6= 0 e y 6= 0, quindi il rapporto incrementale in

    O rispetto a x e a y e` nullo e f e` derivabile in O con derivate parziali nulle. Ricordandoche tale funzione non e` continua in O, otteniamo che in piu` variabili la derivabilita` nonimplica la continuita` , contrariamente a quanto succede in una variabile.

    Comunque, se v = (a, b) e` un versore diverso da e1 e e2,

    limt0

    f(at, bt) f(0, 0)t

    = limt0

    2abt

    = ,quindi non esistono le altre derivate direzionali.

    2) Se

    g(x, y) =

    {2x2yx4+y2

    (x, y) 6= (0, 0)0 (x, y) = (0, 0)

    analogamente al caso precedente g e` derivabile in O pur non essendo continua. Inoltreabbiamo che, per ogni versorev = (a, b) 6= e1

    limt0

    f(at, bt) f(0, 0)t

    = limt0

    2a2ba4t2 + b2

    =2a2

    b.

    Quindi anche lesistenza di tutte le derivate direzionali non garantisce la continuita` .

    Definizione 7.3. Supponiamo che f : Rn R sia derivabile in P0 InT (Df ). Alloraf si dice differenziabile in P0 se

    limPP0

    f(P ) f(P0)f(P0) (P P0)P P0 = 0.

    Lapplicazione lineare dfP0 : Rn R definita da dfP0(X) = f(P0)X si dice il differen-ziale di f in P0.

    .Osserviamo che il differenziale di f in P0 e` definito comunque se f e` derivabile in

    P0: la condizione di differenziabilita` significa intorno a P0 la differenza di f e dfP0 e` uninfinitesimo di ordine maggiore della distanza da P0.

    Inoltre se f e` differenziabile in P0 abbiamo che f(P ) tende a f(P0) per P P0, quindila differenziabilita` implica la continuita` .

    Una condizione sufficiente e di piu` immediata verifica per la differenziabilita` e` la seguente

    Proposizione 7.4. Sia f : Rn R derivabile su un aperto A Df . Se fx e fy sonoentrambe C0 su A, allora f e` differenziabile su A.

    Se f ha derivate parziali continue su A si dice che e` di classe C1 (brevemente e` C1) suA e si scrive f C1(A).Significato geometrico Supponiamo per semplicita` che f : R2 R sia differenziabilein (0, 0) e che f(O) = 0. Allora il grafico del suo differenziale ha equazione z = fx(O)x+fy(O)y: evidentemente si tratta del piano : fx(O)x+ fy(O)y z = 0 visto come grafico.Se poniamo z = f(x, y), allora la differenza |z z| e` infinitesimo maggiore di

    x2 + y2.

  • FUNZIONI A PIU VARIABILI 9

    Quindi il piano approssima Gf con ordine maggiore di 1: possiamo considerare ilpiano tangente Gf in (0, 0, 0).

    In generale possiamo affermare che, se f : R2 R e` differenziabile in P0 = (x0, y0) ese z0 = f(x0, y0), e` definito il piano tangente a Gf in punto (x0, y0, Z0), e tale piano haequazione

    fx(x0, y0)(x x0) + fy(x0, y0)(y y0) (z z0) = 0.Abbiamo le seguenti formule per la derivazione delle funzioni composte.

    Proposizione 7.5. Sia f : Rn R differenziabile in P0 Int(Df ).(1) Se P : I Rn e` una parametrizzazione di classe C1 in t0 I tale che che

    P (t0) = P0, allora

    (f P )(t) = fracf(P (t))dt(t0) = f(P0) P (t0).(2) Se g : R R e` una funzione reale a una variabile derivabile in f(P0), allora

    (g f)(P0) = g(f(P0))f(P0).

    Osserviamo ora che la derivata direzionale di un funzione f rispetto a un versore v siottiene anche come derivata della funzione composta (f P )(t) con P (t) = tv+P0. PoicheP (t) = v, applicando la regola di derivazione composta abbiamo la cosiddetta Formuladel gradiente per le derivate direzionali.

    Corollario 7.6. Sia f : Rn R differenziabile in P0 Int(Df ). Per ogni versorev Rn la funzione f e` derivabile rispetto a v in P0 e

    fv(P0) = f(P0) v.

    La formula precedente mostra una proprieta` del gradiente: infatti se f(P0) 6= Oabbiamo

    fv(P0) = f(P0) v = f(P0) cos .Evidentemente in valori massimi e minimi di fv(P0) al variare di v si ottengono per

    = 0, pi, cioe` per v = n(f(P0)). Ricordando il significato della derivata, abbiamoquindi che il gradiente di f in P0, se non nullo, individua la direzione di massima crescitao decrescita di f in P0.

    Gradiente e curve di livello. Sia fR2 R sia differenziabile e consideriamo la curvadi livello C : f(x, y) = c.

    Se P0 C, supponiamo che f(P0) 6= O. Allora si puo` dimostrare che esiste unaparametrizzazione regolare P : (1 1) R2 di un arco di C tale che che P (0) = P0.Quindi f(P (t)) = c per ogni t e, derivando entrambi i lati e valutando in t = 0, abbiamoper la formula di derivazione composta

    f(P0) P (t0) = 0.Quindi il gradiente di f in P0 e` ortogonale alla curva di livello di f passante per P0.

    Questo risultato vale anche per n = 3 ovviamente riferito alle superfici di livello e si puo`

  • 10 MASSIMO FERRAROTTI

    utilizzare per determinare le equazioni in forma canonica rette o piani tangenti alle curveo superfici di livello.Esempi.1) Consideriamo lellisse C : 4x2 + 9y2 = 1 e sia P0 = (12 ,

    13). Allora P0 C e, se f(x, y) =

    4x2+9y21, f(x, y) = (8x, 18y). Quindi f(P0) = (4, 6) 6= O e la retta tangente a C inP0 e` la retta passante per P0 e normale a f(P0), cioe` 4(x 12)+9(y 13) = 4x+9y5 = 0.2) Se f : R3 R, il suo grafico Gf e` la superficie di equazione cartesiana g(x, y, z) =f(x, y) z = 0. Se f e` C1 in P0 = (x0, y0) e z0 = f(P0), il piano tangente in Q0 =(x0, y0, z0) e` il piano passante per Q0 normale a g(Q0). Poiche g = (fx, fy,1),ritroviamo la formula gia` dedotta in precedenza

    fx(x0, y0)(x x0) + fy(x0, y0)(y y0) (z z0) = 0.In base alle precedenti considerazioni diamo la seguente definizione.

    Definizione 7.7. Sia f : Rn R differenziabile in P0 Int(Df ). Il punto P0 si dicepunto regolare di f se f(P0) 6= O.

    Se P0 e` un punto regolare di f e se c = f(P0), la curva o superficie di livello Sf (c) di fpassante per P0 ha una retta o un piano tangente ben definito che ha equazione cartesiana

    f(P0) (P P0) = 08. Derivate di ordine superiore

    Se f : R2 R e` derivabile su A Df aperto, sono definite su A le funzioni derivateparziali fx e fy. Se a loro volta queste funzioni sono derivabili otteniamo le derivateparziali seconde fxx, fyy, fxy, fyx. Diremo che f e` (di classe) C2 su A (brevementef C2(A)) se tali derivate sono C0. Naturalmente possiamo considerare derivate diordine arbitrariamente grande per funzioni con un numero qualsiasi di variabili e definirefunzioni su Rn di classe Cr per n 1 e 0 r . Vale

    Proposizione 8.1. Se r 1 e f Cr(A) allora f Cr1(A).Abbiamo il seguente Lemma di Schwarz.

    Teorema 8.2. Se f : R2 R e` C2 su A Df aperto, allora fxy = fyx su A.

    Il Lemma di Schwarz vale per funzioni di classe Cr, r 2, con n 2 variabili e assicurache le derivate fino allordine r rispetto a variabili diverse non dipendono dallordine incui si deriva.

    Per n = 2 abbiamo quindi le derivate seconde fxx e fyy rispetto a x e y e la derivatamista fxy.

    Se ora f : Rn R e` C2 su un aperto A Df e se P0 A, la matrice Hf(P0) i cuielementi sono le derivate seconde di f in P0 ([Hf(P0)]i,j = fxixj ) si dice matrice Hessianadi f in P0. Per n = 2 abbiamo

    Hf(P0) =[fxx(P0) fxy(P0)fxy(P0) fyy(P0)

    ].

    Vale il seguente sviluppo di Taylor al 2 ordine:

  • FUNZIONI A PIU VARIABILI 11

    Teorema 8.3. Sia f : Rn R di classe C2 e su un aperto A Df e sia P0 A. Allora

    f(P ) = f(P0) +f(P0) (P P0) + 12t

    (P P0)Hf(P0)(P P0) + o(P P02).

    Dipartimento di Matematica, Politecnico di Torino, Corso Duca degli Abruzzi 24, I-10129Torino, Italy

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