Franco Lo Piparo, Teoria Dei Linguaggi (2011-12)

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1 F. Lo Piparo. Teoria dei linguaggi (corso triennale 2011-12) FRANCO LO PIPARO Teoria dei linguaggi Anno accademico 2011-12-19 Corso triennale, 6 CFU 1. Il linguaggio: foglio di carta o nastro di Moebius? (Versione italiana di Le signe linguistique est-il à deux faces? Saussure et la topologie, “Cahiers Ferdinand de Saussure”, 45, 1991, pp. 213-221). 2. Archeologia del simbolo. (Pubblicato in “VS”, n. 102, settembre-dicembre 2006, pp. 11-26). 3. La parola è proposizione. (Pubblicato in: Vincenzo Lo Cascio (a c. di), Parole in rete, Utet, Milano 2007, pp. 45-58). 4. Omonimia/Sinonimia/ Metafora.Una lettura linguistico-matematica. (Pubblicato in: C. Rossitto (a c. di), Studies on Aristotle and the Ariatotelian, Edizioni di Storia della Tradizione Aristotelica, Lecce 2011, pp. 31-57) 5. La verità e la negazione come regole generatrici di senso. (Pubblicato col titolo Cosa accade quando capiamo una frase. La verità come regola generatrice di senso in “Siculorum Gymnasium”, gennaio-dicembre 1998, pp. 537-54).

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  • 1 F. Lo Piparo. Teoria dei linguaggi (corso triennale 2011-12)

    FRANCO LO PIPARO Teoria dei linguaggi

    Anno accademico 2011-12-19 Corso triennale, 6 CFU

    1. Il linguaggio: foglio di carta o nastro di Moebius?

    (Versione italiana di Le signe linguistique est-il deux faces? Saussure et la topologie, Cahiers Ferdinand de Saussure, 45, 1991, pp. 213-221).

    2. Archeologia del simbolo. (Pubblicato in VS, n. 102, settembre-dicembre 2006, pp. 11-26).

    3. La parola proposizione. (Pubblicato in: Vincenzo Lo Cascio (a c. di), Parole in rete, Utet, Milano 2007, pp. 45-58). 4. Omonimia/Sinonimia/ Metafora.Una lettura linguistico-matematica. (Pubblicato in: C. Rossitto (a c. di), Studies on Aristotle and the Ariatotelian, Edizioni di Storia della Tradizione Aristotelica, Lecce 2011, pp. 31-57) 5. La verit e la negazione come regole generatrici di senso. (Pubblicato col titolo Cosa accade quando capiamo una frase. La verit come regola generatrice di senso in Siculorum Gymnasium, gennaio-dicembre 1998, pp. 537-54).

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    I

    FRANCO LO PIPARO Versione italiana di Le signe linguistique est-il deux faces? Saussure et la topologie, Cahiers Ferdinand de Saussure, 45, 1991, pp. 213-221.

    Il linguaggio: foglio di carta o nastro di Moebius? 1. Il segno linguistico leggiamo nel Cours di Saussure unentit psichica a due facce (CLG, 99). Le due facce sono il concetto o significato, l'immagine acustica o significante. Per rendere ancora pi evidente la intrinseca bifaccialit del segno linguistico Saussure ricorre all'immagine esemplificativa, diventata famosa, del foglio di carta: La lingua paragonabile a un foglio di carta: il pensiero il recto ed il suono il verso; non si pu ritagliare il recto senza ritagliare nello stesso tempo il verso; similmente nella lingua, non si potrebbe isolare n il suono dal pensiero n il pensiero dal suono; non vi si potrebbe giungere che per unastrazione il cui risultato sarebbe fare della psicologia pura o della fonologia pura (CLG, 157).

    La bifaccialit del segno linguistico un concetto cos radicato nel senso comune della linguistica teorica da fare apparire temerario un qualsiasi tentativo di metterlo in discussione. Eppure, la domanda si impone: quello di bifaccialit concetto adeguato alla specifica complessit del linguaggio? Volendo restare allinterno del paradigma saussuriano: la natura bifacciale del segno linguistico compatibile con la lingua come sistema di valori relazionali o, nella terminologia di Saussure, arbitrari?

    Per rispondere alla domanda propongo di abbandonare il terreno delle definizioni intuitive e utilizzare invece le definizioni rigorose che la geometria topologica fornisce delle figure a una faccia e di quelle a due o pi facce.

    2. Una figura ha una sola faccia ci spiega la topologia quando due suoi qualsiasi punti possono essere uniti tracciando una linea continua che soddisfi due condizioni: (1) non fora la superficie; (2) non attraversa nessun bordo o frontiera. Nessuna delle due condizioni soddisfatta dalle figure plurifacciali.

    Dal momento che intuitivamente evidente che le considerazioni svolte sulla bifaccialit a maggior ragione valgono per figure con un numero di facce superiore a due, sufficiente restringere qui lattenzione alle sole figure bifacciali. Sfera e foglio di carta sono esempi di figure a due facce. Chiamiamo A

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    e B le due facce. Rispetto ad un osservatore comunque situato una di esse la faccia interna, l'altra la faccia esterna.

    Prendiamo il saussuriano foglio di carta come figura bifacciale di riferimento. In essa le facce A e B formano due insiemi discontinui di punti che possono essere messi in collegamento in due modi: (i) mediante una deformazione della superficie: la linea che passa da una faccia all'altra fora la superficie (fig. 1a); (ii) percorrendo un cammino che in un determinato istante x non si trover in nessuna delle due facce della superficie: la linea che passa da una faccia all'altra si trover in un dato istante x, per cos dire, a cavalcioni delle due facce senza trovarsi n nell'una n nell'altra (fig. 1b).

    fig. 1a

    fig. 1b

    In entrambi i casi, la linea che unisce il punto della faccia A con il punto

    della faccia B deve uscire da una faccia e rientrare nell'altra. Quello che chiamiamo l'entrare da una faccia e l'uscire dall'altra l'immagine visiva della discontinuit ed eterogeneit radicale dei due insiemi dei punti A e B. come se le due facce, nonostante la loro contiguit spaziale, potessero comunicare solo mediante qualcosa di qualitativamente diverso da entrambe. Mediante qualcosa che stia fuori sia della faccia A che della faccia B. Chiamiamo traduttori semiotici le linee che congiungono i punti della faccia A coi punti della faccia B.

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    3. Esaminiamo la bifaccialit del segno utilizzando i concetti topologici qui richiamati. Seguendo Hjelmslev e la letteratura semiologica chiamo piano dell'espressione la faccia esterna A, piano del contenuto la faccia interna B. Per esemplificare mi riferisco a un esempio canonico: nell'insieme dei segnali luminosi che formano il codice semiotico del semaforo, /luce rossa/ una porzione (un insieme di punti equivalenti) del piano dell'espressione, il significato che corrisponde nella lingua italiana alla proposizione divieto di percorrere un determinato tratto di strada una porzione (un insieme di punti equivalenti) del piano del contenuto.

    Esaminiamo attentamente l'esempio. Le due facce appartengono a un medesimo segno perch un osservatore esterno alle due facce traccia una linea che in maniera continua unisce i punti della faccia A coi punti della faccia B. La linea tracciata l'immagine metaforica della deduzione o implicazione semiotica che, come gi Aristotele e gli stoici avevano spiegato, ha la forma logica se questo, allora quest'altro: se questo punto della faccia A, allora quest'altro punto della faccia B.

    L'implicazione semiotica se questo, allora quest'altro la linea topologica di congiunzione delle due facce. Rispetto alle due facce, dove si colloca la linea topologica dell'implicazione? Evidentemente non sta interamente n in A n in B. Parte da A (se questo) e arriva a B (allora quest'altro), o viceversa. Per congiungere i due punti delle due facce deve attraversare un'area di frontiera che non appartiene n ad A n a B. C' anche di pi: perch la linea di congiunzione possa essere tracciata, il punto di osservazione deve essere esterno ad A e B. L'osservatore che traccia la linea deve, per cos dire, stare a cavalcioni delle due facce; solo a questa condizione pu bene osservare i due punti da congiungere. Stare a cavalcioni delle due facce vuol dire stare nel punto X della figura 1b. L'implicazione semiotica (= linea continua che unisce A e B) pu essere dedotta a partire dal punto X, esterno sia a A che a B, in cui le due facce sono visibili.

    La descrizione topologica delle superfici bi-facciali rappresenta perfettamente la natura di quella linea di congiunzione che l'implicazione semiotica. L'implicazione semiotica non appartiene a nessuna delle due facce che mette in relazione. tracciata da un osservatore esterno che si trova a cavalcioni delle due facce e che utilizza strumentazione estranea alle due facce: la linea tracciata dal giudizio semiotico proviene di solito da un sistema altro che si chiama linguaggio verbale.

    Possiamo formulare il seguente corollario: Le superfici e i segni a due facce non sono autosufficienti o, se si vuole,

    non possono autoesplorarsi. L'avvio (a[rchv) e lo sviluppo dell'implicazione

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    semiotica che trasforma due entit differenti in facce di un medesimo segno sono esterni al segno.

    4. Passiamo al linguaggio verbale e chiediamoci se la descrizione topologica della bifaccialit sia adeguata alla spiegazione della relazione tra significato e significante cos come la descrive Saussure.

    Stando a una letteratura pi che bimillenaria le due facce sono facili da identificare. Data una qualsiasi espressione verbale, ad esempio Il cane gioca a palla, la faccia A la sequenza dei suoni o delle tracce scritte, la faccia B il contenuto semantico che, seguendo le convenzioni canoniche, anche noi indichiamo mettendo la frase tra apici Il cane gioca a palla.

    Poniamo che sia tutto chiaro (ma non lo affatto) e che la identificazione discontinua delle due facce non ponga alcun problema empirico e teorico. Proviamo a tracciare la linea continua o implicazione semiotica che congiunga le due presunte facce. La linea di congiunzione non altro che una sequenza di parole del tipo:

    La sequenza grafica o fonica /IL CANE GIOCA A PALLA/ significa che

    un animale mammifero, quadrupede che abbaia si comporta con un oggetto rotondo in modo che etc..

    Come si pu facilmente costatare, il giudizio semiotico dello stesso tipo

    dei due punti che mette in relazione. La linea di congiunzione non esce mai dalla superficie. Nel linguaggio verbale non c' discontinuit tra significante e significato e non c' discontinuit nemmeno tra significante e significato da una parte e l'implicazione semiotica che li mette in relazione dall'altra. In termini filosofici: i punti messi in relazione e la relazione medesima ricadono nella medesima regione ontologica. Detto ancora pi chiaramente: la bifaccialit del segno verbale solo una finzione, didatticamente e teoricamente fuorviante e nociva. tra l'altro lo stesso Saussure a insistere pi sulla inseparabilit e intrinseca unitariet che sulla differenza qualitativa delle due facce. Cito dal Quaderno Constantin delledizione Engler:

    [Nella lingua] le concept devient una qualit de la substance acoustique comme la

    sonorit devient une qualit de la substance conceptuelle. (). On pourrait comparer l'enitit linguistique un corps chimique compos, ainsi l'eau, o il y a de l'hydrogne e de l'oxygne: . Sans doute, la chimie, si elle spare les lments, a de l'oxygne et de l'hydrogne, mais l'on reste dans l'ordre chimique. Au contraire, si on dcompose l'eau linguistique , on quitte l'ordre linguistique: . Ce n'est que pour autant que subsiste l'association que nous sommes devant l'objet concret linguistique (CLG, ed. Engler, p. 233).

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    5. Se mettiamo insieme le definizioni rigorose della topologia e le osservazioni teoriche di Saussure sul funzionamento del linguaggio verbale bisogna concludere che le espressioni verbali non sono segni bifacciali e che il foglio di carta un cattivo modello geometrico della teoria saussuriana oltre che, naturalmente, delleffettiva natura delle lingue storiconaturali.

    Preciser meglio questa tesi fornendo un esempio di superficie con una sola faccia.

    La figura qui disegnata possiede la caratteristica che la rende superficie a una sola faccia: ciascun punto di essa pu essere raggiunto a partire da un qualsiasi suo altro punto tracciando una linea continua che non fora in nessun punto la superficie e non oltrepassa mai la sua frontiera. In altre parole essa pu autoesplorarsi: un ipotetico viaggiatore situato sulla sua superficie pu percorrerla interamente senza uscire mai da essa. Dal nome del suo inventore una superficie siffatta si chiama nastro di Mbius. Ne riporto qui una delle raffigurazioni fatte nel 1963 da Escher:

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    6. Lingua verbale e nastro di Mbius condividono le medesime caratteristiche topologiche. Sono universi autosufficienti, monofacciali, illimitati.

    Sono autosufficienti. A partire da un punto, arbitrariamente scelto, dei loro rispettivi universi possibile raggiungere un qualsiasi altro punto senza uscire mai dalluniverso. Le lingue si possono autoesplorare senza ricorrere a sistemi semiotici esterni.

    Sono monofacciali. Significanti e significati non sono due facce separate e da collegare mediante una implicazione semiotica (se questo allora quest'altro) ma punti dinamici di un universo che unitario non perch diventa unitario ma perch nasce unitario. In quanto universi monofacciali non sono divisibili in una parte interna e in una parte esterna.

    Sono illimitati ovvero senza bordi. Non possibile individuare un limite esterno alle capacit espressive del linguaggio verbale. Linguaggio e nastro di Mbius sono universi i cui abitanti non possono pensare universi che si trovino effettivamente al di l. L'ineffabile un particolare modo di dire, l'al di l condannato ad essere un continente dell'al di qua. Come dir Wittgenstein, noi non possiamo dire ci che noi non possiamo pensare (T 5.61) e, pertanto, per gli animali linguistici lunico modo per riferirsi allindicibile rappresentare chiaramente il dicibile (4.115). 7. Esaminiamo un'altra delle caratteristiche che differenziano le superfici monofacciali da quelle bifacciali rispetto al rapporto tra il tutto e le sue parti. Se di una superficie bifacciale (ad esempio, un foglio di carta) si ritagliano con delle forbici delle parti, si ottengono ancora delle superfici bifacciali. Superfici bifacciali si ottengono anche da tagli operati sul nastro monofacciale di Mbius. Il corollario dell'esperimento sorprendente e suggerisce alcune considerazioni: le superfici monofacciali hanno come parti proprie superfici bifacciali ma non vale l'inverso. Ossia: la monofaccialit pu generare la bifaccialit ma non viceversa.

    La medesima caratteristica si ritrova nel linguaggio verbale. Data una lingua sempre possibile esaminarne una sua parte propria come sistema semiotico bifacciale. stato questo fatto a dare l'illusione del successo esplicativo alle semiotiche linguistiche. Ai semiolinguisti sfuggiva il fatto fondamentale che formuliamo in questo modo: la monofaccialit del linguaggio verbale la matrice generativa delle semiotiche bifacciali. Dato un qualsiasi numero n di sistemi semiotici bifacciali ritagliabili da una lingua verbale sempre possibile mostrare che la lingua verbale sta altrove. Detto diversamente: una lingua verbale

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    non la sommatoria degli infiniti sistemi semiotici bifacciali che possibile identificare in essa.

    Lo stesso concetto Saussure formula nelle lezioni sul valore linguistico. Cito dalle fonti manoscritte:

    Le schma {a doppia faccia}:

    n'est pas initial dans la langue. La distribution des ides dans les mots d'une langue nous donne les contours de l'ide elle-mme; une fois que nous avons les contours, ce schma {a doppia faccia}:

    peut entrer en jeu (Engler, 1899, fasc. 2, p. 264). Gli editori del Cours rendono bene il pensiero di Saussure:

    Lo schema

    vuole dire che in francese un concetto juger unito allimmagine acustica juger; insomma, esso simboleggia la significazione; ma resta inteso che questo concetto non ha niente di originario, che esso solo un valore determinato dai suoi rapporti con altri valori similari, e che senza tali valori la significazione non esisterebbe: Quando io affermo semplicemente che una parola significa qualche cosa, quando io mi attengo allassociazione dellimmagine acustica col concetto, faccio unoperazione che pu in una certa misura essere esatta e dare unidea della realt; ma in nessun caso io esprimo il fatto linguistico nella sua essenza e nella sua ampiezza (CLG, p.162; cors. mio).

    8. Ancora una considerazione. I sistemi bifacciali in quanto incapaci di autofondarsi sono necessariamente convenzionali: i punti delle due facce A e B sono collegabili mediante una linea di implicazione che, essendo qualitativamente diversa da A e da B, stabilisce dall'esterno e convenzionalmente la connessione. Il linguaggio verbale, invece, in quanto costituzionalmente monofacciale , volendo usare la terminologia della fisica contemporanea, un sistema bootstrap: si tira su reggendosi, per cos dire, sui tiranti dei propri stivali. Caratteristica questa che alcuni interpreti di Saussure indicarono ricorrendo alla nozione di arbitrariet

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    radicale: non esiste un punto o un luogo non linguistico su cui fare leva per spiegare il funzionamento del linguaggio, cos come non esiste un punto fuori delluniverso fisico a partire da cui dedurre le leggi delluniverso. Il linguaggio, come lUniverso, poggerebbe su quella che i fisici chiamano una singolarit, cio su una discontinuit radicale con ci che lo precede. 9. Larbitrariet radicale, cos intesa, non concetto diverso da quello di irriducibile naturalit della specie-specificit degli animali linguistici. laccezione naturalistica con cui Wittgenstein usa il termine: Nel linguaggio l'unico correlato di una necessit naturale una regola arbitraria. l'unica cosa che da questa necessit naturale si possa travasare in una proposizione (PU, I,, 372). Per spiegare questo strano ibrido di arbitrariet naturale e necessaria, la Grammatica filosofica ( 133) ricorre al significato della parola non: dove trovare le regole che ne governano il significato se non negli usi della parola medesima? Il fatto che tre negazioni neghino (~~~p = ~p) e due negazioni affermino (~~p = p) dato arbitrario nel senso che lunica spiegazione che se ne possa dare descriverlo come fatto connesso con la natura della mente linguistica dellanimale umano. La nostra natura connessa con entrambe e, pertanto, non pu esserci nessuna discussione se le regole corrette per la parola non siano queste o quest'altre (voglio dire se siano conformi al suo significato). Infatti, senza queste regole, la parola non ha pi nessun significato; e se cambiamo le regole ha un significato diverso (o nessun significato) e possiamo benissimo cambiare anche la parola (PU, I, nota a 554; PG, I, 133).

    Arbitrariet, probabilmente rispetto a questo ordine di questioni, termine poco felice e, per questo, fonte di equivoci. Ma limportante intendersi sugli usi che delle parole facciamo. 10. Alcune precisazioni terminologiche e concettuali prima di proseguire. (a) La nozione di faccia o piano non va confusa con quella di dimensione. Le dimensioni sono coordinate che definiscono uno spazio. Nello spazio bidimensionale, le figure a noi appaiono monofacciali perch le vediamo dentro lo spazio tridimensionale, a rigore non hanno nessuna faccia. Lo spazio tridimensionale consente, invece, al proprio interno la formazione di una molteplicit indeterminata di figure o oggetti plurifacciali: ad esempio, la sfera ha due facce, il cubo ne ha dodici, etc. Lerrore della moderna riflessione teorica sul linguaggio lavere cercato ausilio esplicativo nella geometria delle figure piuttosto che in quella dello spazio. Tenuto conto delle conoscenze scientifiche disponibili nel primo decennio

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    del Novecento a uno studioso non specialista di fisica e di matematica, Saussure rimane il pi innovativo1. (b) Il nastro di Mbius rappresenta pi uno spazio che una figura: non ha confini, le geometrie euclidee delle figure piane e dei solidi sono in esso possibili. Potrebbe essere una rappresentazione approssimativa dellUniverso in cui siamo immersi.

    (c) Pensare il linguaggio verbale in termini di nastro di Mbius vuol dire pensarlo come un corpo vivente la cui logica di auto-organizzazione con la quale si riferisce al Mondo va cercata dentro e non fuori del suo corpo. un modo scientificamente pi adeguato per rappresentare librido saussuriano e wittgensteiniano della nozione di arbitrariet naturale e necessaria.

    1 Una lettura della linguistica aristotelica in termini di dimensioni, piuttosto che di facce o piani, ci siamo sforzati di fare in Lo Piparo 2003.

  • 11 F. Lo Piparo. Teoria dei linguaggi (corso triennale 2011-12)

    II

    Franco Lo Piparo

    Archeologia del simbolo

    Pubblicato in VS, n. 102, settembre-dicembre 2006, pp. 11-26 0. Peirce e Saussure

    Del termine simbolo in epoca moderna possibile individuare almeno due accezioni fondamentali, tra loro antitetiche, ciascuna illustrabile con le definizioni datene dai due fondatori della semiotica novecentesca, Charles Sanders Peirce e Ferdinand de Saussure2.

    Peirce:

    La parola Simbolo ha gi tanti significati che laggiungerne un altro costituirebbe uningiuria al linguaggio. Io credo che il senso che io attribuisco alla parola Simbolo, cio quello di segno convenzionale, oppure di un segno istituito in base a un abito acquisito o innato, non sia poi tanto un nuovo significato, quanto piuttosto un ritorno al significato originario. (). I Greci () usavano molto spesso gettare insieme (sumbavllein) per significare listituzione di un contratto o convenzione. E infatti troviamo che il simbolo (suvmbolon) fin dalle origini e spesso era usato per significare una convenzione o contratto. Aristotele chiama un nome un simbolo, cio un segno convenzionale. In greco erano detti simboli, cio segnali convenuti, i fuochi degli accampamenti, le bandiere e le insegne, le parole dordine, i distintivi, il credo di una religione, poich serve come distintivo o segno di riconoscimento, un biglietto di teatro, ogni biglietto o tagliando che autorizzasse una persona a ricevere qualcosa, e, inoltre, qualunque espressione di sentimento. Questi erano i principali significati del termine nella lingua originale (CP 2.297).

    Saussure:

    Il simbolo ha per carattere di non essere mai completamente arbitrario: non vuoto, implica un rudimento di legame naturale tra il significante e il significato. Il simbolo della giustizia, la bilancia, non potrebbe essere sostituito da qualsiasi altra cosa, per esempio da un carro (CLG: 101).

    Non difficile mettere daccordo Peirce e Saussure mediante unadeguata inter-traduzione e interpretazione che esamini la questione andando oltre la superficie della terminologia usata: quello che Saussure chiama simbolo Peirce lo denomina icona; il simbolo di Peirce corrisponde nella terminologia saussuriana al segno. Impostato cos, il problema verrebbe a essere solo terminologico e non concettuale. Indubbiamente le cose stanno in questo modo se limitiamo lattenzione a Peirce e Saussure e alla tradizione che essi rappresentano.

    Il problema che vorrei sollevare altro. In questa breve nota mi propongo: (1) mostrare che la parola simbolo nasce nella lingua greca con un significato che non

    2 Per una disamina critica delle varie accezioni moderne della nozione di simbolo rimandiamo a Eco (1984: 199-

    254).

  • 12 F. Lo Piparo. Teoria dei linguaggi (corso triennale 2011-12)

    n quello di Peirce n quello di Saussure; (2) mostrare i nuovi usi che del simbolo vengono fatti in epoca tardo-antica e specificamente nella filosofia neo-platonica.

    1. Due esempi di simboli naturali e non-iconici

    Comincer con lesaminare due testi del V secolo a. C. in cui la parola simbolo viene usata con unaccezione che non riconducibile a nessuna delle due definizioni sopra riportate: un frammento di Anassagora, un passaggio dellEdipo re di Sofocle.

    Anassagora, (frg. 19 Diels). Noi chiamiamo arcobaleno il riflettersi del sole nelle

    nuvole. Esso dunque il suvmbolon del temporale: lacqua che versata tuttintorno produce, infatti, vento o fa cadere pioggia.

    Che qui suvmbolon non abbia il significato di segnale convenuto (accezione con cui secondo Peirce in accordo con quasi tutti gli studiosi delle teorie linguistiche della Grecia classica viene usato il termine nellantica Grecia) mi pare fin troppo chiaro. 3 Per losservatore esterno indubbiamente larcobaleno segno di riconoscimento, non convenuto ma naturale, di temporale. Ma il senso complessivo del frammento va oltre: larcobaleno manifestazione naturale del temporale e quindi, non essendo fenomeno staccabile dal fenomeno temporale, ne anche naturale suvmbolon. La parola non ha nemmeno il significato saussuriano: larcobaleno, simbolo naturale del temporale, non richiama per somiglianza il temporale; tra larcobaleno e il temporale non vige nessuna relazione di iconicit del tipo di quella che lega giustizia e bilancia.

    Sofocle, Edipo re, 220-221. Siamo alle prime battute della tragedia. Edipo chiede ai Tebani di aiutarlo a trovare il responsabile della morte di Laio perch dice da solo non farei molta strada, non possedendo alcun simbolo (mh; oujk e[cwn ti suvmbolon). Edipo sta dicendo che gli manca uno straccio di segnale convenuto? Non mi sembra proprio. Dai traduttori suvmbolon viene qui correttamente reso con indizio o traccia. Ma gli indizi sono per lappunto fatti e/o eventi che, essendo per loro intrinseca natura inseparabili dal fatto su cui si indaga, mostrano la pista giusta per scoprire la verit. Gli indizi che cerca Edipo sono per lappunto suvmbola nel senso che debbono stare in relazione necessaria (fuvsei) e non convenzionale (qevsei) con la morte violenta di Laio.

    Quindi, anche questo passo del V secolo confuta la lettura convenzionalista di Peirce.4 Ma memmeno in questo caso simbolo ha il significato che Saussure gli attribuisce. Tra il fatto da scoprire e lindizio che conduce al fatto c un legame naturale ma non del tipo della relazione di somiglianza che sussiste tra la bilancia e la

    3 Discutendo AeL, Gusmani (2004: 158-159), cieco allevidenza testuale, cita il frammento di Anassagora a sostegno

    del fatto che nel V-IV secolo a. C. il termine suvmbolon indicava comunemente il segnale concordato tra pi individui.

    4 Gusmani (2004: 158) cita anche questo passo, insieme ad altri, a documentazione che spesso simbolo veniva usato con la connotazione particolare di segnale convenuto.

  • 13 F. Lo Piparo. Teoria dei linguaggi (corso triennale 2011-12)

    giustizia: la bilancia non indizio di giustizia ma, rispetto a determinate sue caratteristiche, rappresenta iconicamente un concetto di giustizia fondato sulla nozione di equilibrio e imparzialit. Il simbolo di cui Edipo va alla ricerca ha altre caratteristiche. 2. Simbolo come convenzione

    Indubbiamente, nel VI e V secolo suvmbolon ha anche il significato di segno convenzionale di riconoscimento. Unoccorrenza inequivoca si trova nel Libro VI delle Storie di Erodoto. Viene raccontato che un uomo di Mileto, temendo di perdere le proprie ricchezze, le affid allo spartano Glauco, che aveva la fama di uomo giusto. Gli consegn anche dei suvmbola con limpegno che avrebbe restituito quei beni a chi gli avesse presentato i corrispondenti suvmbola. Prendi i miei averi ma conserva anche questi suvmbola; a chi, avendo questi [suvmbola], ti dovesse richiedere i miei averi, restituisciglieli. Evento accaduto. Passato molto tempo, giunsero a Sparta i figli di colui che aveva lasciato in deposito i propri averi e, venuti a colloquio con Glauco, mostrandogli i suvmbola, gli chiesero la restituzione dei beni [affidatigli dal padre] (VI, 86).

    Due altre occorrenze inequivoche di simbolo = segnale convenuto nellAgamennone di Eschilo. La tragedia inizia con la messa in scena di una guardia notturna che dice di attendere di vedere il suvmbolon della fiaccola: il bagliore del fuoco che da Troia porti la voce e lannuncio della sua conquista (8-10). Non molto dopo, Clitennestra preannuncia al Coro di avere la prova certa (tevkmar) che Troia quella notte stata presa dagli Achei. Alla richiesta di essere pi chiara, Clitennestra spiega che tutto un sistema di fuochi successivamente accesi, precedentemente concordato, le ha portato la notizia dellevento desiderato. Riporto i versi che interessano il nostro problema: tali erano le regole (novmoi) con me a cui dovevano attenersi i portatori di fiaccole in modo che in successione luno dopo laltro portassero a termine il compito: il primo e lultimo corridore annuncia in tal modo la vittoria. Questa prova certa e questo simbolo di mio marito che mi trasmette la notizia da Troia ti dico (tevkmar toiu`ton suvmbolovn te soi; levgw ajndro;" paraggeivlanto" ejk Troiva" ejmoiv) (312-316).

    Qui indubbiamente suvmbolon significa anche segnale convenuto. Una particolare attenzione va posta al fatto che nel testo il suvmbolon anche un tevkmar, prova certa, di un evento realmente accaduto. Il momento dellaccordo qui enfatizzato insieme alla univoca e necessaria interpretazione del segnale luminoso della fiaccola.

    Due occorrenze di suvmbolon col significato di segnale convenuto si leggono nella Lettera XIII di Platone che per gli studiosi concordano a non considerare autentica.

    Linizio della lettera sia segno (suvmbolon) che essa proviene proprio da me (360a). Penso che tu non ti sia dimenticato del contrassegno (suvmbolon) che io metto nelle lettere per distinguere quelle importanti dalle altre (363b).

  • 14 F. Lo Piparo. Teoria dei linguaggi (corso triennale 2011-12)

    Le altre, pochissime, occorrenze platoniche che si leggono in luoghi teoricamente molto impegnativi (Simposio, Repubblica) non sono invece riconducibili allaccezione di convenzione. Di essi accenner fra poco e comunque per unanalisi dettagliata rimando a AeL (pp. 55-7).

    Occorrenze di suvmbolon nel significato di patto stipulato si trovano anche in Aristotele. Anche per questi passi rimando a AeL (pp. 64-5). 3. Simboli contrari e complementari

    Peirce (e quasi tutti gli interpreti sono dello stesso parere) non si sbagliava quando asseriva che, nella lingua greca, suvmbolon significava anche contratto, patto, convenzione. La tesi che ho sostenuto in AeL e che qui vorrei ulteriormente precisare che vi sono abbastanza dati testuali per ritenere che (1) convenzione e patto non siano i significati originari del simbolo; (2) quando nella lingua della Grecia classica un patto viene chiamato suvmbolon spesso il tratto che si vuole enfatizzare il legame necessario che lega almeno due contraenti, a volte con interessi differenti o contrari anche se convergenti ( il caso di un contratto di compra-vendita), piuttosto che la libera scelta da cui si origina un contratto.

    I dati testuali che provano in maniera a mio parere incontrovertibile il punto (1) si trovano sia in Platone che in Aristotele. Ricordo qui alcuni di questi luoghi (AeL, pp. 55-62). Tanto Platone (Simposio 191d) quanto Aristotele (De generatione animalium 722b 10-12) chiamano il maschio e la femmina simboli luno dellaltro. In una pagina del De generatione et corruptione (331a 23-b4), trascurata o non adeguatamente valorizzata da chi si occupa della storia della nozione di simbolo, i costituenti di ciascuna delle due coppie elementari (caldo/freddo; umido/secco) che formano gli stoicheia dellintero universo (fuoco, aria, acqua, terra) sono chiamati luno simbolo dellaltro: il caldo simbolo del freddo e viceversa; lumido simbolo del secco e viceversa. I corpi che hanno simboli gli uni rispetto agli altri (e[cei suvmbola pro;" a[llhla) si trasformano rapidamente, quelli che non ce lhanno si trasformano lentamente dal momento che pi facile trasformare una cosa piuttosto che molte: ad esempio, dal fuoco si pu generare laria mediante la trasformazione di una delle qualit (giacch il fuoco era CALDO e SECCO, mentre laria sar CALDA e UMIDA, e quindi basta che il SECCO sia sconfitto dallUMIDO e si avr laria), e dallaria si genera, a sua volta, lacqua, qualora il FREDDO prevalga sul CALDO (infatti laria era CALDA e UMIDA mentre lacqua sar FREDDA e UMIDA, e quindi basta la sola trasformazione del CALDO e si avr lacqua). Allo stesso modo dallaqua si avr la terra e dalla terra il fuoco dal momento che entrambi gli elementi posseggono {fattori} che sono simboli gli uni rispetto agli altri (e[cei ga;r a[mfw pro;" a[mfw suvmbola): lacqua, infatti, UMIDA e FREDDA mentre la terra SECCA e FREDDA e perci baster la sconfitta dellUMIDO e si avr la terra, e, daltra parte, poich il fuoco SECCO e CALDO mentre la terra SECCA e FREDDA, baster la distruzione del FREDDO e da terra si avr fuoco. Da ci risulta chiaro che per i corpi semplici la generazione sar in forma ciclica e questo modo di trasformazione pi facile perch nei corpi che si trovano in successione {rispetto alla generazione} ineriscono simboli (suvmbola ejnupavrcein toi`" ejfexh`") (331a 23 - b 4).

    Altra pagina trascurata dagli studiosi della storia della parola simbolo quella dellEthica Eudemia (1239b 23-27) in cui Aristotele sostiene che la relazione di amicizia vige tra soggetti contrari e non simili (Il contrario [to; ejnantivon] amico

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    del contrario in quanto gli utile; infatti il simile [to; o{moion] non utile a se stesso. Questo il motivo per cui il padrone ha bisogno del servo e il servo del padrone, la donna e luomo hanno bisogno luno dellaltro). A causa di questa contrariet costitutiva gli amici vanno considerati simboli luno dellaltro: si desiderano lun laltro in funzione di un punto di equilibrio: in quanto simboli si desiderano lun laltro per generare in tal modo a partire da entrambi un unitario punto di equilibrio (ojrevgetai ga;r ajllhvlwn dia; to; mevson: wJ" suvmbola ga;r ojrevgetai ajllhvlwn dia; to; ou{tw givnesqai ejx ajmfoi`n e}n mevson).5

    impossibile leggere i passi che abbiamo qui riportato con le definizioni di Peirce (simbolo-convenzione) o Saussure (simbolo-icona). Maschio/femmina, umido/secco, caldo/freddo, servo/padrone sono citati come esempi paradigmatici di coppie di simboli ma, per esemplificare su una sola coppia, n il maschio segno convenzionale della femmina (o la femmina del maschio) n maschio e femmina sono in relazione di iconicit. I simboli, in questa particolare accezione, non sono n convenzionali n iconici ma reciprocamente contrari.

    I simboli-contrari a cui fanno riferimento Platone e Aristotele posseggono tratti distintivi che li rendono inediti nella pur variopinta galleria degli usi moderni del termine. Ne elenchiamo i tre pi importanti.

    (1) Essendo elementi complementari di una coppia, hanno unontologia solo e soltanto relazionale: maschio e femmina, umido e secco, etc, esistono solo e soltanto in quanto elementi di una struttura duale. Tutti i contrari esistono rispetto a un sostrato e nessuno di essi ha unesistenza separata (cwristovn) (Metaphysica 1087b 1-2). (2) Nessuno dei simboli della struttura duale in una posizione privilegiata rispetto allaltro. Ciascuno di essi ha un valore in quanto d e riceve valore dallaltro: lumido non esiste senza il secco e nemmeno il secco senza lumido (Meteorologica 359b 27-32). (3) La complementarit dei due elementi in relazione simbolica non statica ma dinamica: i simboli si attraggono reciprocamente e tendono o a trasformarsi luno nellaltro ( il caso delle coppie umido/secco, caldo/freddo) o a comporsi in una realt che li inglobi entrambi ( il caso della relazione sessuale maschio/femmina e ce ne occuperemo fra poco dei contraenti un contratto).

    I tre tratti distintivi possono essere riassunti dicendo che, in questo contesto teorico, la relazione simbolica non unidirezionale o gerarchica ma circolare e, di conseguenza, non assimilabile a nessun tipo di relazione causale o fondativa. A rigore, nel caso dei simboli, in questa accezione, pi che di relazione si dovrebbe parlare di movimento circolare. Nel senso spiegato nel De generatione et corruptione: Tutte le cose che si trasformano le une nelle altre rispetto ai loro modi di essere e alle loro virtualit (kata; ta; pavqh kai; ta;" dunavmei"), come ad esempio i corpi semplici, imitano il movimento circolare: quando dallacqua si genera laria, dallaria il fuoco e a sua volta dal fuoco lacqua, noi diciamo che la generazione avvenuta in maniera circolare per il suo incurvarsi su se stessa (337a 2-6).

    5 Dato il rilievo teorico che opere come De generatione et corruptione e Ethica Eudemia hanno nella filosofia aristotelica, stupefacente che Gusmani (2004: 157) possa considerare occasionalmente (sic) presente in Aristotele laccezione non convenzionalista con cui il termine simbolo viene in esse usato. Nessuno studioso della filosofia di Aristotele considera occasionali i problemi che vi vengono trattati col ricorso alla nozione naturalistica di suvmbolon: costituzione degli elementi naturali a partire da due coppie di simboli (caldo/freddo; umido/secco), nella prima opera; differenza concettuale tra contrariet e somiglianza, nella seconda.

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    3.1. Contrari e relativi

    Il legame circolare e non unidirezionale o gerarchico tra gli elementi in relazione simbolica Aristotele lo fa rientrare nella categoria, per noi moderni insolita in questo contesto teorico, della contrariet (ejnantivwsi", evnantiovth") piuttosto che in quella, pi generale, della relazione (prov" ti). Mi sembra importante individuare le ragioni di questa scelta terminologica e concettuale.

    Perch i simboli sono relativi-contrari e non semplici relativi?6 Della nozione di relazione il corpus aristotelico si occupa in vari luoghi e in particolare nelle Categoriae (6a 36 - 8b 24) e nel Libro D della Metaphysica (1020b 26 - 1021b 10) ed stato da tempo documentato (Trendelenburg 1846: 205-217) che i vari luoghi in cui se ne discute non ci consegnano una teoria unitaria scevra di oscillazioni e qualche contraddizione. Tenuto conto di ci, il motivo principale per cui Aristotele non ha descritto la simbolicit, nellaccezione in cui la usa, come una generica relazione risiede nel fatto che la categoria prov" ti, nella trattazione che ne fa, copre anche relazioni tra termini gerarchicamente ordinati o, nella terminologia aristotelica, non simultanei. il caso delle relazioni tra conoscenza e oggetto da conoscere o tra sensazione e oggetto da percepire. Non sembra vero che per tutti i fatti in relazione (prov" ti) valga il principio che siano per loro natura simultanei (a{ma). Per lo pi dei fatti (pravgmata) che preesistono che noi acquisiamo le conoscenze: in pochi casi o in nessuno, infatti, si vede la conoscenza sorgere insieme col da conoscere. Se il da conoscere scompare, scompare con esso anche la sua conoscenza; se per viene meno la conoscenza, non scompare con ci il fatto da conoscere: se infatti non ci sono da conoscere non c nemmeno conoscenza la conoscenza sarebbe conoscenza di nulla ma se non c conoscenza, nulla impedisce che ci sia qualcosa da conoscere. Si prenda il caso della quadratura del cerchio se mai fosse conoscibile: di esso non c ancora conoscenza anche se rimane da conoscere. () In modo simile stanno le cose della sensazione. Pare infatti che loggetto da percepire (to; aijsqhtovn) debba essere anteriore alla sensazione: infatti se loggetto da percepire scompare, scompare anche la sensazione, mentre la sensazione, , non fa scomparire loggetto da percepire (Categoriae 7b 22-38).

    La relazione simbolica, essendo circolare (i due termini in relazione sono simultanei e tendono verso una reciproca composizione unitaria, anche se instabile), non chiaramente riconducibile a questa tipologia di prov" ti.

    Aristotele contempla anche un tipo di prov" ti i cui termini in relazione sono simultanei e quindi non gerarchicamente ordinati. doppio e met sono simultanei (a{ma): se c la met c anche il doppio e se c lo schiavo c anche il padrone. In modo simile si comportano gli altri relativi . Questi relativi si dissolvono anche reciprocamente: se, infatti, non c il doppio non c nemmeno la met. E lo stesso vale per gli altri relativi dello stesso tipo (Categoriae 7b 16-22).

    6 Marmo-Bonfiglioli (2003: 166-172), dissentendo da AeL, ritengono che il simbolo aristotelico rientri nella

    categoria del relativo e non in quello della contrariet. Le osservazioni contenute in questo paragrafo sono state scritte su sollecitazione delle loro obiezioni.

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    Riassumendo. Rispetto alla questione che stiamo trattando, i relativi sono distribuiti in due classi: (1) relativi-simultanei; (2) relativi-non-simultanei. I simboli-contrari rientrano nella classe (1): lesempio della relazione schiavo/padrone, che nellEthica Eudemia presentata come relazione simbolica, ne la prova.

    Anche se un passo della Metaphysica pone i relativi-contrari come esempi paradigmatici dei relativi-simultanei (Le relazioni si possono dire in due modi diversi: o come lo sono i contrari o come lo la conoscenza rispetto a ci che conosciuto 1056b 35-36), altrove il corpus aristotelico propone una classificazione pi sottile. I relativi-simultanei vengono divisi a loro volta in: (1a) relativi-simultanei-contrari; (1b) relativi-simultanei-non-contrari: Nei relativi sussiste (uJpavrcei) anche contrariet: ad esempio, la virt contraria al vizio (ciascuno di essi esistendo in quanto relativo allaltro [pro;" ti]) e la scienza contraria allignoranza. Ma non in tutti i relativi sussiste (uJpavrcei) il contrario: infatti al doppio niente contrario, n al triplo, n ad alcuna delle cose di questo genere (6b 15-18).

    In che cosa i relativi-simultanei-contrari (in cui rientrano le coppie simboliche maschio/femmina, umido/secco. etc.) si differenziano dai relativi-simultanei-non-contrari (ad esempio, met/doppio) bisogna leggerlo nelle pagine che trattano la nozione di contrariet. A me sembra che il tratto differenziatore si possa chiamare movimento circolare o circolarit autogena.

    Provo a spiegarlo illustrando gli esempi usati da Aristotele. Met/doppio sono termini correlativi cos come lo sono maschio/femmina o umido/secco e per doppio e met sono nozioni astratte che, diversamente da umido/secco e maschio/femmina, non si muovono luno verso laltro (suvmballein) per completarsi a vicenda. Detto diversamente, mentre lumido tende a diventare secco e viceversa, il maschio tende a congiungersi con la femmina e viceversa, doppio e met non tendono a comporsi insieme.

    questa caratteristica la circolarit autogena che render la simbolicit particolarmente adatta a spiegare, nelle famose righe iniziali del De Interpretatione, la relazione, non solo simultanea ma anche circolarmente dinamica, tra ta; ejn th/` fwnh/` (le articolazioni della voce) e ta; paqhvmata ejn th/` yuch/ `(i contenuti cognitivi specificamente umani). 3.2. Simbolo-battaglia

    Suvmbolon nella lingua della Grecia classica non ha mai del tutto dismesso laccezione con cui nella lingua greca arcaica viene usato il verbo sum-bavllein da cui deriva: lazione di incontro-scontro di due o pi entit per qualche aspetto differenti tra loro. Tale accezione ben documentata in Omero. Iliade, XVI, 563-5: E quando dalle due parti ebbero strette le file, Teucri e Lici e Mirmidoni e Achei andarono gli uni contro gli altri a combattere per il corpo del morto (suvmbalon ajmfi; nevkui katateqnhw`ti mavcesqai). Il., XX, 54-55: Gli dei beati, spingendosi lun laltro, vennero a scontrarsi (suvmbalon). Il., IV, 453. Viene descritto uno scontro tra due eserciti in battaglia: allo stesso modo due fiumi in piena, precipitando dai monti, si incontrano-scontrano (sumbavlleton) a valle. Il., V, 774: Giunsero () l dove le acque del Simoenta e dello Scamandro vengono a incontrasi-scontrarsi (sumbavlleton).

    Il significato attivo dellincontro-scontro di sumbavllein spiega perch sumbolhv, termine geneticamente imparentato a suvmbolon, in Erodoto, ad esempio, ha il significato di battaglia, scontro bellico. I, 66. Sconfitti nella battaglia (eJsswqevnte" de; th`/ sumbolh`/).

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    I, 74. I Lidi e i Medi mentre combattevano con uguale fortuna, accadde che nel sesto anno, durante uno scontro (sumbolh`" genomevnh"), in pieno combattimento il giorno allimprovviso divenisse notte. IV, 159. I Cirenei () vinsero gli Egiziani nella battaglia (ejnivkhsan th`/ sumbolh`/). V, 95. Il poeta Alceo durante uno scontro (sumbolh`" genomevnh") () si salv fuggendo. V, 118. () se fossero stati sconfitti nello scontro [th`/ sumbolh`/]. VI, 109. () il parere di coloro che sconsigliano la battaglia (th;n sumbolhvn).

    Ad esse va aggiunta questaltra occorrenza: IV, 10. Eracle mostr la cintura che aveva allestremit della giuntura [ejp a[krh" th"` sumbolh`"; trad. pi libera: nei punti estremi in cui la cintura si annoda e snoda] una coppa doro.

    3.3. Perch il contratto e la moneta sono simboli

    Cosa hanno in comune i simboli-contrari e il simbolo-contratto? Quando, in semiotica e in linguistica teorica, ci si riferisce alla nozione di contratto o convenzione si pensa esclusivamente al fatto che i contratti, essendo liberamente stipulati, non hanno alcun vincolo naturale. Ma i contratti, oltre ad essere libere scelte, sono anche lincontro di due o pi soggetti che, possedendo merci differenti, decidono di scambiarsele in forza di una loro supposta equivalenza: io ti d queste merci o ti fornisco questi servizi, tu in cambio mi dai altre merci o altri servizi. Nel contratto sono essenziali sia la diversit-complementarit dei contraenti il contratto sia la volont di comporre nel e col contratto le diversit complementari.

    La moneta esempio di questa accezione di suvmbolon-contratto. Con e nella moneta merci differenti, non solo diventano complementari e quindi scambiabili, ma, per cos dire, si compongono in un unico valore. Da queste considerazioni nasce lassimilazione, operata da Platone (Repubblica 371b), della moneta (novmisma) a sumvbolon.

    Allinterno della citt come avverr lo scambio delle cose che ciascuno produce, tenuto conto che questo il motivo per cui abbiamo creato una comunit e fondato una citt? chiaro che ci avverr vendendo e comprando. Di conseguenza si formeranno per noi il mercato e la moneta, simbolo finalizzato allo scambio ( jAgora; dh; hJmi`n kai; novmisma suvmbolon th`" ajllagh`" e{neka genhvsetai ejk touvtou) (Rep. 371b).

    La moneta un suvmbolon non per una sua supposta convenzionalit ma perch, in quanto unit non arbitraria di misura, esiste solo in funzione degli scambi tra merci differenti.7 Per questo la moneta un simbolo-contratto.

    Stipulando un contratto i contraenti si comportano come simboli: luno va verso laltro alla ricerca di una realt terza di equilibrio; ciascuno d e riceve qualcosa. Dei

    7 C una profonda continuit tra questa pagina della Repubblica e quelle dellEthica Nicomachea (1132b 31 - 1133b 28) in cui Aristotele analizza la natura kata; sunqhvkhn della moneta. Se queste pagine si leggono per intero e non a saltare (vedi ad esempio Gusmani 2004: 152-153) ci si accorge facilmente che in esse svolge un ruolo centrale la nozione di unit di misura (mevtron) e le unit di misura per i Greci non erano stabilite per convenzione. Si perde quindi il nocciolo teorico duro dellargomentare aristotelico se non si tiene nel giusto conto il contemporaneo dibattito matematico e filosofico sulla natura dei mevtra di cui Platone e Aristotele sono stati attori principali. Vedi AeL, pp. 125-133.

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    contraenti un contratto vale quello che nellEthica Eudemia si dice del comportamento dei contrari simbolici: si desiderano lun laltro in funzione di un punto di equlibrio: in quanto simboli si desiderano lun laltro per generare in tal modo a partire da entrambi un unitario punto di equilibrio (1239b). Per un normale processo metonimico simbolo, in questo caso, non denota le parti contrarie e complementari ma il risultato finale raggiunto dalle parti: simboli non sono i contraenti ma i contratti stipulati dai contraenti. Un processo metonimico simile accade al simbolo-parola: simboli non sono solo le parti complementari costitutive delle parole ma le parole.8

    Diversamente che negli usi semiotico-linguistici del termine contratto, il suvmbolon-contratto della lingua greca enfatizza la diversit complementare dei contraenti (la moneta-simbolo ne il caso esemplare) piuttosto che la non-cogenza naturale del patto. Il contratto ha unontologia relazionale simile alla struttura duale delle coppie maschio/femmina, caldo/freddo, umido/secco, servo/padrone. Come in queste coppie di contrari anche nel simbolo-contratto non c una relazione gerarchica tra un prima e un dopo, un originale e una copia. Tra i contraenti, come tra maschio e femmina, la relazione circolare e non gerarchica. 4. Dai simboli complementari e circolari al simbolo-icona

    Il salto qualitativo di paradigma accade quando suvmbolon viene a confondersi (a volte a identificarsi) con la nozione di immagine (eijkwvn). La relazione da complementare diventa gerarchica (loriginale esiste senza la sua immagine ma non viceversa), da orizzontale e bidirezionale diventa verticale e unidirezionale (loriginale precede e fonda limmagine ma limmagine inessenziale ai fini della formazione delloriginale). Al cambiamento hanno sicuramente contribuito problematiche e considerazioni teologiche. Non tra i compiti di questa nota documentarne, in maniera esaustiva, le tappe storiche.9 Mi limiter qui a fare brevi osservazioni.

    Comincio col fare notare come il senso delle famose righe 16a 3-4 del De Interpretatione cambi radicalmente a seconda che si leggano col primo paradigma (simbolo come movimento circolare di realt complementari) o col secondo (simbolo come immagine-segno di qualcosa che comunque esisterebbe).

    Le righe 16a 3-4 a cui ci riferiamo sono: [Esti me;n ou\n ta; ejn th`/ fwnh`/ tw`n ejn th`/ yuch`/ paqhmavtwn suvmbola, kai; ta; grafovmena tw`n ejn th`/ fwnh`/.

    Prendiamo come traduzione di riferimento quella di Giorgio Colli:

    8 Diversamente da quanto sostiene Gusmani (2004: 159, nota 26) non c quindi alcuna incoerenza nel chiamare

    simbolo lintera parola. 9 Informazioni e osservazioni critiche in Bonfiglioli e Marmo (2004), Bonfiglioli (2005).

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    Ordunque, i suoni della voce sono simboli delle affezioni che hanno luogo nellanima, e le lettere scritte sono simboli dei suoni della voce.

    Non discuto in questa sede se suoni della voce e affezioni che hanno luogo nellanima rendano adeguatamente il testo greco10 e mi soffermo sul termine simbolo. Se il simbolo ci che esiste solo in funzione di realt tra loro circolarmente complementari (come il contratto o la moneta o le relazioni freddo/caldo, umido/secco, maschio/femmina, servo/padrone), allora in queste righe Aristotele sta suggerendo due importanti tesi teoriche.

    (1) Le due facce che formano la parola (significante e significato, per usare i termini di Saussure), essendo realt simultanee e complementari, non sono ontologicamente separabili. la tesi che, per altre vie e con altra terminologia, sosterr Saussure ricorrendo allesempio del recto e verso del foglio di carta: La lingua paragonabile a un foglio di carta: il pensiero il recto ed il suono il verso; non si pu ritagliare il recto senza ritagliare nello stesso tempo il verso; similmente nella lingua, non si potrebbe isolare n il suono dal pensiero n il pensiero dal suono; non vi si potrebbe giungere che per unastrazione il cui risultato sarebbe fare della psicologia pura o della fonologia pura (CLG: 157).

    (2) Lequilibrio instabile che significanti e significati volta per volta realizzano nelle parole di una lingua, essendo il risultato mai definitivo di un movimento circolare di relativi-contrari, soggetto a modifiche e riaggiustamenti. Ci spiega perch la presa delle parole-simboli sui fatti di cui parlano non diretta e nemmeno esente da errori:

    Dal momento che non possibile discutere portando nella discussione i fatti di cui parliamo ma al posto dei fatti ci serviamo delle parole in quanto simboli (toi`" ojnovmasin ajnti; tw`n pragmavtwn crwvmeqa wJ" sumbovloi"), noi riteniamo che ci che accade alle parole accada anche ai fatti [ejpi; tw`n pragmavtwn], come accade ai sassolini quando si fanno calcoli.

    In coerenza con questa semantica, arcaica ma densa di suggerimenti teorici, del simbolo, la traduzione che in AeL abbiamo proposto delle righe 16a 3-4 : Le articolazioni della voce umana e le operazioni logico-cognitive dellanima umana [ma si potrebbe tradurre pi genericamente: i contenuti cognitivi specifici dellanima umana] sono tra loro differenti e complementari cos come lo sono le articolazioni scritte e quelle della voce.

    Se si cambia paradigma e il simbolo si interpreta come ci che mostra e/o segnala una realt che precede e preesiste al simbolo (quindi viene a cadere la necessaria complementarit circolare delle due facce), il passo aristotelico asserirebbe invece che esiste una autonoma realt cognitiva di cui la voce con le sue articolazioni sarebbe segnale esteriore. Il fatto che il segnale esteriore possa essere da alcuni pensato come un segno convenzionale, da altri come icona e/o imitazione del contenuto segnalato, non muta la natura del paradigma. Il problema che ha tenuto impegnati per due millenni i lettori delle righe 16a 3-4 (i simboli sono fuvsei o qevsei?) secondario, e crediamo anche irrilevante, rispetto alla questione, ben pi

    10 Me ne sono occupato in AeL, pp. 42-48.

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    decisiva, se le due realt legate da relazione simbolica debbano considerarsi circolarmente complementari oppure gerarchicamente e linearmente ordinate (prima la cognitivit, poi la sua espressione verbale).

    Diversi indizi fanno pensare che probabilmente il mutamento di paradigma accade quando la nozione di simbolo-immagine diventa centrale nella riflessione teologica. Neoplatonismo, religioni misteriche ma anche religione giudaico-cristiana sono i luoghi in cui matura il nuovo modo di intendere e usare i simboli. A partire da questo momento, teologia e riflessione sul linguaggio intrecciano i loro destini. Le Enneadi di Plotino, oltre ad essere tra i primi documenti dellintreccio, tracciano la strada su cui si incammineranno i primi commentatori del De Interpretatione (Ammonio, Boezio) e, di riflesso, i futuri studiosi di segni e parole. Due passaggi dellopera plotiniana confermano la lettura che stiamo proponendo: sono omonimi? No, certo: luno originale [prwvtw"], laltro differente e dal primo. Come il linguaggio posto nella voce imitazione del linguaggio posto nellanima [oJ ejn fwnh`/ lovgo" mivmhma tou` ejn yuch`/], cos il linguaggio dellanima una imitazione del che si trova in un altro (Enneadi I, 2, 3). Il linguaggio che si mostra allesterno immagine del linguaggio che risiede nellanima [lovgo" oJ ejn profora`/ lovgou tou` ejn yuch`/] (V, 1, 3).

    In apparenza, Plotino sembra ricalcare la riga 16a 3 di Aristotele (I suoni della voce sono simboli delle affezioni che hanno luogo nellanima nella traduzione di Colli) ma la sostituzione di suvmbolon con mivmhma e eijkwvn mostra il radicale cambiamento di prospettiva: articolazioni vocali e contenuti cognitivi perdono la loro simultanea e dinamica relazionalit ontologica e vengono a collocarsi in una scala gerarchicamente ordinata, a sua volta sorretta da una entit ad essa sovraordinata. 4.1. Proclo e le religioni misteriche

    Nelle Enneadi il termine suvmbolon non compare mai.11 Segno, questo, che la parola ancora troppo carica del significato correlazionale, con cui la usano Platone e Aristotele, per poterla utilizzare in una metafisica e teologia (e, di riflesso, in una teoria linguistica) fondate sulla scala gerarchica degli enti? Saranno i futuri interpreti neoplatonici di Aristotele ad attribuire a suvmbolon significati affini a quelli di eijkwvn e mivmhma con cui Plotino ripeteva la riga 16a 3 del De Interpretatione.12

    Quelli di Giamblico e Proclo sono i testi che meglio documentano il contesto teologico entro cui il simbolo viene risucchiato nellarea semantica della nozione di immagine ed assume il significato prevalente di qualcosa che rinvia e/o allude a realt

    11 Per la precisione vi compare una sola volta lavverbio sumbolikw`". Si parla della difficolt di trovare un nome

    adeguato per nominare lente supremo: Forse, anche il nome Uno non altro che la rimozione dei molti. Per questo i Pitagorici fra loro lo chiamarono simbolicamente [sumbolikw`"] Apollo che significa negazione dei molti [a-pollon] (V, 6, 26-27).

    12 Per questo aspetto rimandiamo a AeL, pp. 42-70.

  • 22 F. Lo Piparo. Teoria dei linguaggi (corso triennale 2011-12)

    sovraordinate e indipendenti. Cito, per tutti, un passaggio del commento procliano al Cratilo: Ora, evidente che c nellanima una potenza produttrice di immagini (eijkastikh; duvnami") (e infatti la pittura e le arti del genere dipendono da tale potenza dellanima), che capace di rendere le cose inferiori simili a quelle superiori (). E ancora, lanima, in virt di questa stessa potenza, pu rendere se stessa simile agli enti a lei superiori, cio a dei, angeli e demoni. Ma lanima, in virt di questa stessa potenza, pu anche rendere simili a se stessa le cose inferiori; e ancora renderle simili a quelle a lei superiori, ed per questo che lanima costruisce statue (ajgavlmata) di dei e di demoni. Volendo poi lanima far sussistere delle somiglianze (oJmoiovthta") degli enti le quali siano in qualche modo immateriali (ajuvlou") e derivanti soltanto dallessenza razionale (movnh" th`" logikh`" oujsiva" ejggovnou"), allora, servendosi dellimmaginazione linguistica (lektikh/` fantasiva/) come sua collaboratrice, produce da se stessa lessenza dei nomi. E cos come liniziazione ai misteri rende, per mezzo di alcuni simboli e concordati segni segreti (dia; dh; tinwn sumbovlwn kai; ajporrhvtwn sunqhmavtwn), le statue di quaggi simili agli dei, e fa s che esse siano idonee a ricevere le illuminazioni divine, alla stessa maniera anche la nomotetica, in virt di questa stessa potenza assimilatrice, fa sussistere i nomi come statue delle cose (ajgavlmata tw`n pragmavtwn), rappresentando (ajpeikonizomevnh) per mezzo di questo o quel suono la natura degli enti, e, una volta fatti sussistere i nomi, li trasmette agli uomini perch se ne servano. Ed per questo che si dice che il nomoteta signore della generazione dei nomi, e cos come unempiet recare offesa alle statue degli dei, allo stesso modo non neppure lecito commettere errori a proposito dei nomi . Il demiurgo, infatti, che il nomoteta dei nomi, Intelligenza che imprime in essi immagini dei modelli (eijkovna" ... tw`n paradeigmavtwn). E bisogna venerare i nomi per la loro affinit agli dei (LI 18,26-19,24).

    I simboli, non solo rimandano o alludono a realt gerarchicamente superiori, ma sono, in questo contesto teologico-filosofico, seminati nelluniverso dalle Intelligenze superiori a cui i simboli medesimi rimandano. quanto sostiene un frammento degli Oracoli Caldaici ripetuto quasi alla lettera da Proclo nel Commento al Cratilo. Oracoli Caldaici: Infatti lIntelletto del Padre ha seminato i simboli nel mondo (suvmbola ga;r patriko;" novo" e[speiren kata; kovsmon), Lui che pensa gli Intelligibili, che sono chiamati bellezze indicibili (fram. 108.1). Proclo: Come, dunque, la Natura e la Monade demiurgica e lo stesso Padre che trascende ogni cosa seminano nelle cose che vengono dopo di loro segni di riconoscimento (sunqhvmata) del loro proprio carattere, e per mezzo di questi segni convertono a se stessi ogni cosa, cos anche tutti gli dei forniscono alle cose da loro stesse prodotte suvmbola della loro causa, e per mezzo di quei simboli fissano ogni cosa allinterno di se stessi. (LXXI 30,29-31,4).

    I simboli non rimandano pi circolarmente ad altri simboli (Platone, Aristotele) ma a soggetti superiori che li creano e li seminano come immagini in cui gli uomini possano intravedere Colui che li trascende. Luomo, che nel Vecchio Testamento immagine di Dio e Suo simile (Poihvswmen a[nqrwpon kat eijkovna hJmetevran kai; oJmoiwsin Facciamo luomo a nostra immagine e somiglianza Genesi 1, 26), grazie a questa trasformazione semantica si avvia a diventare anche simbolo di Dio.

    Riferimenti bibliografici

    Fonti ANASSAGORA Fragmenta, in Die Fragmente der Vorsokratiker, Griechisch und Deutsch, 3 voll., ed. H. Diels, Berlin: Weidmann, 19526. ARISTOTELE

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    (le edizioni di riferimento sono quelle della Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis) Categoriae De generatione animalium De generatione et corruptione De Interpretatione Ethica Eudemia Metaphysica Meteorologica ERODOTO Historiae, ed. A.D. Godley, 4 voll., London-Cambridge (Mass.): Heinemann-Harvard University Press, 1920-1925. ESCHILO Agamennone, in Aeschyli Tragoediae, ed. D. Page, Oxonii: e typographeo Clarendoniano, 1972. Genesi = in Septuaginta (edidit Alfred Rahlfs), Stuttgart: Deutsche Bibelgesellschaft, 1979: 1-50. OMERO Ilias, eds. D.B. Monro e T.W. Allen, in Homeri opera, Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis. Oracoli caldaici = Oracles Chaldaques, avec une choix de commentaires anciens, ed. . des Places, Paris: Les Belles Lettres, 19892.

    PLATONE (ledizione di riferimento per tutte le opere : Platonis Opera, 5 voll., ed. J. Burnet, Oxonii; e typographeo Clarendoniano: 1900-1907) Epistulae Symposium Respublica PLOTINO Enneades = Ennades, ed. E. Brhier, Paris: Les Belles Lettres, 1924-1938. PROCLO In Cratylum = In Platonis Cratylum Commentaria, ed. G. Pasquali, Lipsiae: B.G. Teubner, 1908. SOFOCLE Oedipus rex, ed. G. Dindorf, editio sexta stereotypa ed. S. Mekler, Lipsiae: Teubner, 1908.

    Letteratura secondaria BONFIGLIOLI, S. 2005 Linventio incompiuta. Spunti di retorica e semiotica dalle Enneadi di Plotino, in S.

    Bonfiglioli e C. Marmo (a c. di), Retorica e scienze del linguaggio. Teorie e pratiche dellargomentazione e della persuasione (Atti del X Congresso della Societ di Filosofia del Linguaggio), Roma: Aracne 2005: 61-75.

    BONFIGLIOLI, S. e C. MARMO 2004 Symbolism and Linguistic Semantics. Some Questions (and confusions) from Late Antique

    Neoplatonism up to Eriugena, intervento presentato al 15th European Symposium on Medieval Logic and Semantics, The Traditions of Ancient Logic in the Middle Ages (Cambridge, 1-4 luglio 2004), ora in stampa in J. Marenbon ed., The Traditions of Ancient Logic in the Middle Ages.

    ECO, U. 1984 Semiotica e filosofia del linguaggio, Torno: Einaudi. GUSMANI, R. 2004 Su una recente interpretazione della teoria aristotelica del linguaggio, Incontri linguistici,

    27: 149-165. LO PIPARO, F. AeL Aristotele e il linguaggio. Cosa fa di una lingua una lingua, Roma-Bari: Laterza, 20053. MARMO, C. e S. BONFIGLIOLI 2003 Simboli, voci, oggetti et similia. Note di discussione su F. Lo Piparo, Aristotele e il

    linguaggio, Histoire pistmologie Langage, 25/II: 161-194. PEIRCE, CH.S. CP Collected Papers, Cambridge (Mass.): Harvard University Press, 1931-58. SAUSSURE, F. DE

  • 24 F. Lo Piparo. Teoria dei linguaggi (corso triennale 2011-12)

    CLG Cours de linguistique gnrale, Paris: Payot, 1922 (tr. it. di T. De Mauro, Corso di linguistica generale, Roma-Bari: Laterza, 1967).

    TRENLENBURG, A. 1846 Die Kategorienlehre des Aristoteles (tr. it.: La dottrina delle categorie in Aristotele, a cura di

    G. Reale, Milano: Vita e Pensiero, 1994).

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    III

    Franco Lo Piparo La parola proposizione*

    Pubblicato in: Vincenzo Lo Cascio (a c. di), Parole in rete, Utet, Milano 2007, pp. 45-58.

    1. Che cosa una parola? Quale il suo statuto cognitivo? Per approssimarci a una risposta che miri a identificare le effettive operazioni mentali di un normale parlante-ascoltatore, poniamoci preliminarmente unaltra domanda: cosa facciamo quando non capiamo una parola? Poniamo che un parlante italiano si imbatta per la prima volta nel termine cuneo fiscale ascoltando la frase13:

    Il governo ha promesso di tagliare il cuneo fiscale.

    Se non conosce il significato del termine, il comportamento pi banale e naturale chiedere allinterlocutore che cosa il termine significa (Puoi per favore spiegarmi cosa il cuneo fiscale?). Seguir verosimilmente la spiegazione del termine. In questi comportamenti elementari si trova secondo Wittgenstein la definizione di significato di una parola: Il significato quello che spieghiamo nella spiegazione del significato della parola (BT, 9, p. 42). Quindi: Il significato ci che la spiegazione del significato spiega; ovvero, non domandiamo che cosa sia il significato, ma andiamo a vedere che cosa chiamiamo spiegazione del significato (id., p. 39). una definizione indubbiamente circolare ma che descrive bene quello che i parlanti fanno quando commerciano con le lingue. Nessuno pu fornire il significato di parole italiane come zio o sindaco oppure, a maggior ragione, Dio, nessuno, tutti, forse, e, etc., se non spiegandone luso che se ne fa nella lingua italiana. AncoraWittgenstein: Il significato di una parola il suo uso nella lingua (PU, I, 43). E che cosa una spiegazione delluso? La risposta inscritta nella pratica lessicografica: una o pi proposizioni. Nei nostri primi due esempi, sicuramente i pi facili: zio il fratello del padre o della madre o il marito della zia; sindaco il capo dellamministrazione di un comune o, in riferimento alle societ finanziarie, il membro dellorgano di controllo per il rispetto delle leggi e dello statuto nellattivit della societ14.

    * Ringrazio Enzo Lo Cascio per le osservazioni e i suggerimenti che ha voluto darmi dopo la lettura di una prima versione dellarticolo. 13 User in questo saggio frase e proposizione come sinonimi. 14 Qui e nel seguito utlizzo definizioni e documentazione del Grande Dizionario Elettronico di Lo Cascio.

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    Quasi due millenni e mezzo fa Aristotele della questione aveva dato una chiara formulazione teorica: il significato di una parola la proposizione (logos in greco) che la definisce.

    La definizione () la proposizione (lovgo") che esprime ci che la parola significa [oJrismov" ... e[stai lovgo" tou` tiv shmaivnei to; o[noma] (An. Post. 93b 29-31). La definizione la proposizione (lovgo") di cui la parola segno [oJ ga;r lovgo" ou| to; o[noma shmei`on oJrismo;" e[stai] (Met. 1012a 24-25). La parola segno della proposizione [shmei`on tou[noma ... tou` lovgou] (Met. 1045a 26-27). Una semantica proposizionale delle parole (to speak is to

    propositionise asseriva lo psicolinguista Jackson alla fine dellOttocento15) apre una strada che forse non stata mai percorsa fino in fondo. Alcuni dei punti cardinali di questo paesaggio teorico sono stati fissati da Wittgenstein. Il pi fondamentale lo enuncia in una delle Lectures tenute a Cambridge negli anni 1930-1932: Non c, nella lingua, unit pi piccola della proposizione; la prima unit che ha senso e non potete costruirla da altre unit che abbiano gi senso (Lect. 1930-1932, B XIV). Pertanto, una lingua non la totalit delle parole ma delle proposizioni che in essa si possono dire (TLP, 4.001). I corollari sono molteplici:

    Solo la proposizione ha senso (Sinn); solo nella tessitura (im Zusammenhang) della proposizione un nome ha significato (Bedeutung) (TLP, 3.3). Pensare a una cosa pensare una proposizione nella quale quella cosa ricorre (Lect. 1930-1932, B III, 1). mai possibile capire (verstehen) qualcosa che non sia una proposizione (Satz)? (). Ma il capire comincia soltanto con la proposizione (BT, 1, p. 1). Una parola ha significato soltanto nel suo nesso proposizionale (im Satzverband): come se si dicesse che unasta solo nelluso (im Gebrauch) una leva. Solo lapplicazione (Anwendung) ne fa una leva (PB, 14).

    15 1893, p. 205

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    2. Se le parole sono esse stesse proposizioni contratte o, se si preferisce limmagine biologica, cellule di potenziali proposizioni, la proposizione non pu essere vista come una combinazione di parole. La proposizione e le sue parti, in questa prospettiva, vengono a intrattenere tra loro una relazione che in geometria frattale si chiama self-similarity: le parti sono simili tra loro e al tutto di cui fanno parte. una relazione molto presente in natura e gi studiata dai matematici greci in termini di relazione gnomonica16. La illustro con un esempio della geometria frattale. La figura qui riportata chiamata in letteratura curva o fiocco di neve di Koch (dal nome del matematico che lha descritta): La sua linea di confine appare cos frastagliata che sembra impossibile darne una descrizione esatta. facile invece dimostrare che la complessit della curva il risultato della iterazione di unoperazione semplicissima su un triangolo equilatero: fig. 2a. Se si divide ciascun lato del triangolo in tre parti uguali e, dopo aver rimosso la parte centrale, si costruisce un altro tiangolo equilatero avente come base la parte rimossa, si ottiene la fig. 2b. La ripetizione della medesima operazione su ogni lato della nuova figura (divisione in tre parti uguali, rimozione della parte centrale, costruzione di un nuovo triangolo equilatero) ha come risultato la fig. 2c. Lapplicazione delloperazione sulla fig. 2c genera la fig. 2d. Dopo un numero sufficientemente grande di iterazioni della operazione iniziale si ottiene la complessa curva di Koch della fig. 1 che,

    16 Di questo aspetto mi sono occupato in Lo Piparo 2007.

    fig. 1

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    nonostante la sua apparente complessit, formata da parti che, oltre ad essere simili tra loro, sono anche simili allintera figura: vedi fig. 3.17

    17 La descrizione matematica della curva di Koch si trova in Mandelbrot 1975, pp. 36-9. Una esposizione divulgativa e accessibile al non specialista in Stewart 2003.

    fig. 2a fig 2b

    fig. 2c fig. 2d

    fig. 3

  • 29 F. Lo Piparo. Teoria dei linguaggi (corso triennale 2011-12)

    Nellapprendimento della prima lingua accade qualcosa di simile: La prima parola echeggia e presuppone lintera lingua osservava Humboldt (1820, p. 15). La prima parola pronunciata dal bambino (formata sempre da una sillaba reiterata: papa, mama, etc.) una olofrase: soggetto/predicato o, in una terminologia meno tradizionale, topic/comment sono condensati nella medesima sequenza fonica. Nelle tappe successive la cellula olofrastica (una vera e propria cellula staminale) si dispiegher in proposizioni articolate in parole-frasi sintatticamente differenziate. Semplificando molto, poniamo che la prima parola sia mama: essa usata non come etichetta da appiccicare a una persona ma per condurre un gioco relazionale, ad esempio richiamare lattenzione del proprio interlocutore sulla palla con cui si vorrebbe giocare. In uno dei passi successivi la parola-frase si svilupper in mama palla per arrivare alla fine a mama prendi la palla o mama giochiamo a palla. La descrizione molto semplificata ma qui interessa notare la self-similarity proposizionale tra le configurazioni delle successive tappe dello sviluppo linguistico. Similarit naturalmente non vuol dire identit: mama una proposizione quanto mama prendi la palla ma indubbio che la seconda consente giochi relazionali pi complessi della prima. 3. Avanziamo lipotesi che la mente linguistica del parlante non sia composta da un lessico e una sintassi ma sia interamente e costitutivamente proposizionale: il lessico, oltre che una costruzione legittima del linguista, sarebbe anche una sorta di stenografia cognitiva con cui il parlante memorizza frasi. La proposizione non sarebbe allora una composizione di parole a-proposizionali ma una macro-parola proposizionale che si articola in proposizioni-condensate-in-parole. Lipotesi una versione forte del principio di contestualit enunciato da Frege: il significato di una parola non va spiegato considerando questa parola isolatamente, ma considerandola nel contesto di una proposizione (Grundlangen, 106). Ad essa, a nostro parere, pensava Wittgenstein quando asseriva che non c, nel linguaggio, ununit semantica pi piccola della proposizione e quindi non potete costruirla da altre unit che abbiano gi senso (Lect. 1930-1932, cit.). Lapproccio proposizionale al lessico ha il vantaggio di spiegare in maniera semplice alcune fondamentali modalit fisiologiche del parlare. Accenniamo qui solo a tre di esse: (a) parole polirematiche; (b) lattivit metaforica e la sua onnipresenza nelle lingue storiconaturali; (c) doppi sensi e motti di spirito. 3.1 Parole polirematiche. Lespressione cuneo fiscale con cui abbiamo iniziato queste riflessioni un esempio di parola polirematica: parola formata

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    da pi parole. Altri esempi: ferro da stiro, camera da letto, sala daspetto, sale da cucina, etc. Chi pensa e parla nella lingua italiana non scompone le locuzioni nei suoi costituenti lessicali ma le vive e le usa come uniche parole semanticamente piene. Questo tipo di parole si trova in tutte le lingue. Alcune, come il tedesco, tendono a trasformarle in ununica entit lessicale: le parole polirematiche italiane citate corrispondono, ad esempio, alle singole parole composte tedesche Pltt-eisen, Schlaf-zimmer, Warter-saal, Koch-salz. Ci sembra questa una conferma dello statuto proposizionale delle parole: proposizioni (ferro che serve a stirare, ad esempio) che diventano parole (ferro-da-stiro) che, pur mantenedo la originaria polirematicit, si comportano da singola parola. Lespressione ferro-da-stiro una parola nella misura in cui globalmente definita da ununica proposizione. la proposizione, che spiega luso dellunit lessicale (mono o polirematica), a mostrare i confini della parola. 3.2 La metafora. Ciascuna parola-proposizione la cellula di un ampio (infinito?) numero di usi metaforici in ragione del fatto che il meccanismo della metafora inscritto nella costituzione proposizionale della parola: gi le prime parole pronunciate dal bambino sono metafore. Assumiamo la definizione di metafora che Aristotele d nella Poetica (1457b 5-8):

    La metafora lo spostamento di un nome altrui [metafora; d ejsti;n ojnovmato" ajllotrivou ejpiforav]: o da genere a specie o da specie a genere o da specie a specie o per analogia [kata; to; avnavlogon].

    Lo spostamento possibile grazie alla proposizione (logos) condensata nella parola e produce un senso nuovo perch la parola si sposta con la proposizione di cui essa traccia stenografica. Nella fig. 4 rappresentato lo schema che riproduce i percorsi cognitivi sottesi alla produzione di due metafore citate nella Poetica: sera della vita, vecchiaia del giorno.

    (Fase avanzata della vita caratterizzata da deterioramento del fisico e della mente)

    (Parte del giorno compresa tra il tramonto e la notte)

    logos 1

    logos 2

    vecchiaia

    sera

    vecchiaia [della vita]

    sera [del giorno]

    sera della vita

    vecchiaia del giorno

    logos 3

    fig. 4

    (Fine di un ciclo)

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    In questa sede sufficiente osservare che il rapporto danalogia non pu che essere un rapporto tra le proposizioni racchiuse nelle parole vecchiaia e sera. Se le parole non fossero proposizioni condensate, la metafora sarebbe o impossibile o incomprensibile. Un designatore rigido (Kripke 1980), ad esempio, non potrebbe mai sviluppare una metafora. La natura proposizionale delle parole spiega perch il processo metaforico ha anche la funzione, secondo Aristotele, di dare un nome alle cose che non lhanno. La Poetica fa lesempio del sole che semina le fiamme:

    Talvolta non c un nome per designare uno dei termini dellanalogia ma sar lo stesso detto per somiglianza. Per esempio, gettare il grano seminare mentre gettare le fiamme da parte del sole non ha nome; tuttavia questa azione si rapporta al sole in modo simile a come il seminare si rapporta al grano. Per questo stato detto {mediante un processo metaforico}: seminando la fiamma divina. (1457b 25-30).

    Parafrasando e riformulando unannotazione teorica gi citata di Wittgenstein (Lect. 1930-1932, B III, 1): dare un nome a una cosa pensare un reticolo proposizionale in cui la cosa nominata ricorre. Molte parole, da questo punto di vista, nascono come metafore. Gli esiti metaforici dei percorsi proposizionali delle parole sono spesso imprevedibili e comunque sempre significativi. il caso dei motti di spirito e delle metafore prodotte in contesti cognitivi patologici. Faccio un esempio. Un medico chiede a un suo paziente uno schizofrenico come mai avesse smesso di suonare il violino. Risposta del paziente: Perch? Si aspetta che mi masturbi in pubblico? (Segal 1980, p. 77). Naturalmente nella mente linguistica dello schizofrenico si era creato un percorso proposizionale che, andando dal violino al pene e viceversa, gli consentiva di trovare unanalogia tra il masturbarsi e il suonare il violino. 3.3 Doppi sensi e motti di spirito. Una parola occorre nella frase con tutta la sua stratificazione proposizionale che quasi sempre plurale e non univoca e ci non un difetto ma una risorsa. Tanti sensi nuovi possibile pensarli e dirli anche grazie alle stratificazioni non lineari delle parole. Si prenda la parola voto. In occasione del giubileo del parlamentare, Giannelli in una vignetta del Corriere della Sera disegn parlamentari di tutti gli schieramenti politici, in piazza San Pietro, di fronte allo stupore di Giovanni Paolo II. Un cardinale dice al papa: Sono venuti in tanti, Santit! E tutti a prendere i voti!. Sarebbe impossibile dire ci che la frase vuole dire se la parola voto non occorresse con tutta la sua complessa stratificazione

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    proposizionale: (a) Il partito comunista prese molti voti; (b) Mario, il sacerdote, prese i voti in tarda et; (c) Ha preso un buon voto agli esami; (d) Leo fece un voto alla Madonna; eccetera. Altro esempio. Si veda loccorrenza della parola generi in questa battuta di Tot: Lei vuole sposare mia figlia? No, non se ne fa niente: a me i generi non interessano, a meno che non siano alimentari. La stratificazione proposizionale della parola generi (plurale tanto di genero che di genere) consente a Tot di dire e non dire di non consentire al matrimonio della figlia: se il futuro genero anche un genere alimentare (metafora di benessere) del matrimonio della figlia se ne pu pure parlare. Per finire, un motto di spirito analizzato da Freud (1905): quasi impossibile portare la fiaccola della verit in mezzo alla folla senza bruciacchiare la barba a qualcuno. Motto linguisticamente interessante e complesso. (1) Una metafora logora (la verit come la luce irradiata da una fiaccola) viene spogliata, nel momento stesso in cui viene usata come metafora, dal suo carattere metaforico e presa alla lettera (il fuoco della fiaccola, oltre che fare luce, brucia). (2) Il nuovo tratto proposizionale (il fuoco che brucia della fiaccola) diventa fonte di nuova metafora e va a ricongiungersi alla prima: la verit, come il fuoco della fiaccola, illumina (amplia la conoscenza) ma anche brucia (pu infastidire qualche autorit identificata metonimicamente con la barba).

    4. Se metafore e doppi sensi non sono eventi linguistici eccezionali ma ordinaria e banale pratica linguistica bisogna concludere che la relazione tra parola e ci di cui la parola parla non mai uno-a-uno ma uno-molti: qualsiasi parola-proposizione si presta a trasformarsi in modo da riferirsi a sensi nuovi, a volte imparentati a volte non imparentati coi vecchi. In altri termini, tutte le parole hanno una tendenza naturale alla polisemia: un termine ha osservato molto bene Antoine Culioli (1990, p. 86) non rinvia a un senso () ma a un dominio nozionale, ossia a tutto un insieme di virtualit. Sviluppando e rileggendo la prima pagina delle Categoriae di Aristotele, ci sembra utile distinguere due tipi di polisemia: omonimica e sinonimica. Polisemia omonimica. la pi semplice da identificare: una parola portatrice di proposizioni tra loro non imparentate. Nella definizione delle Categoriae: Sono detti omonimi ai quali comune solo il nome ma, , invece diversa la proposizione che ne definisce lidentit [lovgo" th`" oujsiva"] (Cat. 1a, 1-3)18. Sono esempi di polisemia omonimica le parole italiane cappuccino (a. bevanda calda a base di caff e latte scaldato a vapore; b. frate di una famiglia dellordine dei Francescani minori), credenza (a. convinzione, opinione su qualcosa; b. mobile

    18 Le definizioni di omonimia e sinonimia che qui riporto sono risultato di una lettura non canonica del testo aristotelico (lavoro in corso di stampa).

  • 33 F. Lo Piparo. Teoria dei linguaggi (corso triennale 2011-12)

    da cucina), riso (a. tipo di pianta e frutto corrispondente; b. configurazione gioiosa del viso). Polisemia sinonimica. una relazione tra dicibili che, pur essendo a volte nominati con parole differenti, possono essere rinominati da un unico termine che ne identifichi un sostrato proposizionale comune. Riporto per intera la definizione aristotelica nella mia traduzione:

    Sono detti sinonimi ai quali non solo comune il nome ma, rispetto al nome , anche identica la proposizione che ne definisce lidentit [lovgo" th`" oujsiva"]. Ad esempio, animale [zw`/on essere vivente] tanto luomo che il bue a ciascuno di essi, infatti, ci si riferisce col nome comune di animale ed per entrambi identica anche la proposizione [lovgo" th`" oujsiva"]: se infatti qualcuno fornisse il senso [lovgo": lidentit definitoria data da una proposizione] in cui ciascuno di essi animale fornirebbe la medesima proposizione [lovgo"]. (Cat. 1a, 6-12).

    Naturalmente la sinonimia che qui viene definita non laccezione post-aristotelica di sinonimia secondo la quale sono sinonimi i termini che, se reciprocamente sostituiti, non alterano il senso della proposizione in cui occorrono. Parole come uomo e bue, che per Aristotele sono sinonimi se rinominati come animali, non possono essere sinonimi nellaccezione post-aristotelica. Per apprezzare la nozione aristotelica di sinonimia rappresentiamo la sua configurazione cognitiva mediante uno schema e mettiamolo a confronto con lo schema di omonimia:

    (parola-proposizione)1 (parola-proposizione)2

    ((parola-proposizione)3

    SINONIMIA

  • 34 F. Lo Piparo. Teoria dei linguaggi (corso triennale 2011-12)

    Esempio di sinonimia:

    uomo bue

    animale

    (parola-proposizione)2 (parola-proposizione)1

    parola1 = parola2

    proposizione1 proposizione2

    OMONIMIA

    X

  • 35 F. Lo Piparo. Teoria dei linguaggi (corso triennale 2011-12)

    Ad esempio, la parola cappuccino: Dove sta la differenza tra la relazione sinonimica e omonimica? Gli esempi e le rappresentazioni grafiche aiutano a rispondere. Mentre tra uomo e bue possibile costruire un ponte cognitivo ricorrendo alla parola-proposizione animale (uomo e bue sono due diversi tipi di animale), da cappuccino-bevanda a cappuccino-monaco la connessione cognitiva resa impossibile o difficile mancando ununit di misura comune: uomo e bue sono confrontabili, cappuccino1 e cappuccino2 non sono confrontabili perch senza comune unit di misura. La sinonimia cos definita loperatore epilinguistico 19 con cui il parlante viaggia da una parola allaltra facendo della lingua una vivente rete cognitiva in cui, in linea di principio, da ciascun nodo possibile raggiungere tutti gli altri. Molte omonimie nascondono sinonimie aristoteliche. Si vedano le occorrenze della parola gabinetto nelle seguenti frasi: Il gabinetto del ristorante pulito Quello di Leo il pi conosciuto gabinetto dentistico della citt Leo stato nominato capo di gabinetto

    19 Uso il termine epilinguistico nel senso di Culioli (1999, p. 19): Le langage est une activit qui suppose, elle-mme, une perptuelle activit pilinguistique (dfinie comme activit mtalinguistique non consciente).

    cappuccino1 cappuccino2

    cappuccino1 = cappuccino2 proposizione1 proposizione2

    X

  • 36 F. Lo Piparo. Teoria dei linguaggi (corso triennale 2011-12)

    Le tre occorrenze della parola gabinetto sono omonimi o sinonimi? Sono aristotelicamente sinonimi se si individua la proposizione che le unifica in un medesimo dominio nozionale senza con ci annullare la loro specificit semantica: ad esempio, intendendo con gabinetto un luogo, fisico o metaforico, appartato e discreto in cui si svolgono attivit riservate e utili per lindividuo e la collettivit. Naturalmente, la parola, riferendosi a un intero dominio pi che a un singolo senso, consente anche malintesi e/o intenzionali doppi sensi come nella frase: Nel gabinetto del ministro sono accadute azioni disdicevoli. 5. Se la parola gi proposizione, possibile dare una definizione di proposizione? La risposta, convincente, di Wittgenstein che se definire x vuol dire spiegare x a partire da nozioni non contenute in x, la proposizione una forma cognitiva non definibile. Se ne pu mostrare (zeigen) il funzionamento mediante unaltra proposizione ma non pu essere definita: la forma della proposizione si auto-esibisce (zeigt sich)20. Lascio la parola a Wittgenstein:

    Si pu definire una forma? Si pu per es. definire la forma soggetto-predicato come la classe di tutte le proposizioni di tipo soggetto-predicato? In questa definizione la forma soggetto-predicato dovrebbe comparire essa stessa, e quindi, per comprendere la definizione, occorrerebbe gi sapere che cos' la forma soggetto-predicato. chiaro che qui non si tratta di proposizioni reali ma di ci che rende possibile formare proposizioni. Se fosse possibile definire una forma, non potremmo comprenderla senza definizione. Ma la possibilit di esprimere un senso poggia proprio sul fatto che comprendiamo una forma senza aver bisogno di una spiegazione. La proposizione mostra la propria forma (Der Satz zeigt seine Form). insensato voler definire ci su cui poggia la possibilit di ogni comunicazione e comprensione. Questa concezione commette l'errore di intendere la forma come una propriet, di pensare che la forma soggetto-predicato sia una propriet generale di tutte le proposizioni soggetto-predicato (Wiener, p. 224; trad it., p. 211).

    20 Non seguo la traduzione italiana che rende: la forma della proposizione visibile (p. 208).

  • 37 F. Lo Piparo. Teoria dei linguaggi (corso triennale 2011-12)

    Un concetto deve essere spiegato, la forma della proposizione si autoesibisce (zeigt sich)21. La forma non descrivibile perch la descrizione rappresenta (stellt dar) la forma. Avere forma vuol dire essere immagine (Bild); pensare e parlare vuol dire formare immagini (Abbilden). Concetti sono espressi mediante segni. La forma, la proposizione-immagine (Satz-bild), mostra se stessa (zeigt sich)22. La forma non una generalizzazione o una classe di proposizioni che hanno in comune una propriet (Wiener, p. 220; trad. it. p. 208).

    Non definibile qui significa non derivabile da altre forme e/o operazioni. Nella terminologia di Saussure, usata in alcuni luoghi anche da Wittgenstein (non sappiamo quanto indipendentemente dal linguista ginevrino): la forma proposizionale arbitraria. Intendendo per arbitrario un sistema o una grammatica il cui funzionamento spiegabile solo a partire da se stessi. In questa accezione23, arbitrariet coincide con naturalit: arbitrarie, ad esempio, sarebbero anche le leggi fondamentali della fisica nella misura in cui non possono essere dedotte da altre leggi. Crediamo vada letta in questo modo lasserzione, altrimenti criptica, del paragrafo 372 delle Philosophische Untersuchungen:

    Nel linguaggio l'unico correlato di una necessit naturale una regola arbitraria. l'u