F.P. Ferreri - Disiecta Membra. Il Riuso Dell'Antico Nel Complesso Di San Gregorio Armeno

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FONDAZIONE VALERIO PER LA STORIA DELLE DONNE SAN GREGORIO ARMENO Fridericiana Editrice Universitaria

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Ancient Roman Spolia in the monastery of S. Gregorio Armeno at Naples

Transcript of F.P. Ferreri - Disiecta Membra. Il Riuso Dell'Antico Nel Complesso Di San Gregorio Armeno

FONDAZIONE VALERIO PER LA STORIA DELLE DONNE

SAN GREGORIO ARMENOFridericiana Editrice Universitaria

Fridericiana Ars

SAN GREGORIO ARMENO Storia, architettura, arte e tradizioni

a cura di

Nicola Spinosa, Aldo Pinto e Adriana Valerio

fotografie di Luciano Pedicini

Fridericiana Editrice Universitaria

FONDAZIONE VALERIO PER LA STORIA DELLE DONNE

Si ringrazia l’Avvocato Mario Porzio

Alcune foto della Chiesa di San Gregorio Armeno sono state realizzate con il contributo dell’Unione Europea. I contenuti di questa pubblicazione sono

Fridericiana Editrice Universitariahttp://www.fridericiana.it/

Tutti i diritti sono riservatiPrima edizione italiana Maggio 2013Stampato in Italia da Liguori Editore - Napoli

Spinosa, Nicola (a cura di):San Gregorio Armeno. Storia, architettura, arte e tradizioni a cura di)

1. Monasteri femminili 2. Napoli 3. Storia religiosa I. Titolo

Ristampe:————————————————————————————————————————————————————————————

ISO

-

Volume pubblicato sotto l’Alto Patrocinio di

Pubblicazione realizzata con il contributo di

PIERO E DANIELA RAIMONDO

V

VII PRESENTAZIONE Ministero dell’Interno

IX PREFAZIONE di Nicola Spinosa

1 ROBERTO PANE E SAN GREGORIO ARMENO

di Giulio Pane

7 SAN GREGORIO ARMENO: LA MEMORIA DELLE DONNE

di Adriana Valerio

13 SAN GREGORIO ARMENO: STORIA RELIGIOSA DI UNO DEI PIÙ ANTICHI MONASTERI NAPOLETANI di Felice Autieri

61 DEMETRA/CERERE: IL CULTO, TRA CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ di Giovanna Greco

75 DISIECTA MEMBRA: IL RIUSO DELL’ANTICO NEL COMPLESSO DI SAN GREGORIO ARMENO

di Francesco Pio Ferreri

87 DALLE INSULAE DI NEAPOLIS ALL’“ISOLA CONVENTUALE”di Daniela Giampaola

103 SAN GREGORIO ARMENO. LA CHIESA E IL MONASTERO

di Leonardo Di Mauro

127 TRASFORMAZIONI URBANE DELL’AREA DEI MONASTERI DI SAN GREGORIO ARMENO E DI SAN PANTALEONE di Aldo Pinto

171 IL PATRIMONIO ARTISTICO: DIPINTI, SCULTURE E RESTAURI

di Gian Giotto Borrelli, Laura Giusti

225 LUSSO E DEVOZIONE. GLI APPARATI DI SETA, ORO E ARGENTO “PER USO DI SANTIFICARE ET ADORNARE” di Nicoletta D’Arbitrio

237 IL TESORO DI SAN GREGORIO ARMENO di Gennaro Luongo

255 SIMBOLI DEL SACRO IN METALLO PREZIOSO di Angela Catello

267 SETTECENTO NAPOLETANO A SAN GREGORIO ARMENO: RICREAZIONI MUSICALI di Annamaria Bonsante

Indice

VI

283 GLI ORGANI DI SAN GREGORIO ARMENO di Vincenzo De Gregorio

287 DOLCI E “DISOBBLIGHI” DELLE MONACHE DI SAN GREGORIO ARMENO di Lucio Fino

295 BADESSE E SUPERIORE

di Aldo Pinto

299 IL PREZIOSO ARCHIVIO DI SAN GREGORIO ARMENO

di Adriana Valerio

300 FONTI

301 BIBLIOGRAFIA

305 LE AUTRICI E GLI AUTORI

San Gregorio Armeno gettato nel pozzo

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Napoli, via S. Gregorio Armeno 14: base marmorea con rilievo di “canefora”

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Disiecta membra: il riuso dell’antico nel complesso

di San Gregorio ArmenoFrancesco Pio Ferreri*

Gli ambienti del chiostro tardo-cinquecentesco di San Gregorio Armeno ospitano alcuni elementi lapidei di età classica, già segnalati in parte da Roberto Pane, Mario Napoli e Arnaldo Venditti,1 ma sfuggiti sinora ad una dettagliata disamina. I materiali in questione si distinguono per la loro eterogeneità, tipologica e cronologica, e per lo stato lacunoso di conservazione, frutto di reiterati interventi di rilavorazione e riuti-lizzo. La natura eterogenea e frammentaria di questi spolia pregiudica un’attribuzione certa ad un contesto antico di provenienza, ma non impedisce di suggerire

-li nella vicenda edilizia del monastero e nel più ampio dibattito sul fenomeno del reimpiego dall’antico.2 Come si è visto, una lunga tradizione che rimonta agli scritti seicenteschi di Giulio Cesare Capaccio riferisce l’esistenza di un tempio destinato al culto della dea Cerere nell’area in seguito occupata dal complesso monastico di San Gregorio, mentre in anni contempo-ranei al monumentale rinnovamento post-tridentino

del complesso conventuale l’antico tempio di Augu-sto.3

precedenti complessi templari, le testimonianze dei due antiquari concordano nel documentare la pre-senza di evidenze materiali di età classica nell’area occupata dal monastero benedettino.

1. La base con “canefora” e altri spolia nell’insula di San Gregorio

Delle antichità menzionate da Capaccio in connessio-ne con il complesso di San Gregorio, è ancora visibile, pur nel suo mediocre stato di conservazione, la base marmorea murata presso l’ingresso di una bottega sotto l’arco del campanile pensile, al civico 14 di via S. Gregorio Armeno. Si tratta quasi certamente di una base iscritta, con i lati anteriore, posteriore e destro integralmente incassati nel muro moderno.4 L’unica

puel-

la Canistrifera”, giovane sacerdotessa legata alla sfera cultuale demetriaca.5 Il personaggio è avvolto da un

coronato da un alto polos

nella mano destra e una cista, o altro analogo conte-nitore, nella sinistra. Dalla testimonianza di Capaccio

alle più recenti menzioni di Bartolommeo Capasso6 e di Roberto Pane,7 concordi nell’interpretazione del

-

costituito a lungo uno dei principali argomenti addot-ti dagli eruditi a favore dell’originaria ubicazione del tempio neapolitano di Cerere nell’area occupata dalla vicina fabbrica di San Gregorio Armeno. Permango-no tuttavia riserve tanto sull’ipotetica attribuzione del marmo al santuario di Cerere,8 quanto sulla lettura

-senza di attributi come il polosinfatti rimandare anche al contesto della dea Ecate o di

-

attualmente obliterata dalle moderne superfetazioni edilizie, con un’iscrizione nota nelle sillogi antiquarie

-numentale Corpus Inscriptionum Latinarum di Theodor Mommsen9 e localizzata dallo stesso Capaccio ai piedi del campanile di San Gregorio («in lapide, qui sacram turrim D. Gregorii sustinet»).10 Il testo dell’epigrafe così recitava:

M(arco) Octavio / M(arci) f(ilio) Agathae.C(aio) Domitio Dextro II L(ucio) Valerio / Messalla Thrasia Prisco co(n)s(ulibus) / VI Idus Ianuar(ii) / in curia basilicae aug(ustae) Annian(ae) // scribun-do adfuerunt A(ulus) Aquili(u)s / Proculus M(arcus) Caecilius Publiolus / Fabianus T(itus) Hordeonius Secund(us) / Valentinus T(itus) Caesius Bassia-nus / quod postulante Cn(aeo) Haio Pudente // o(ptimo) v(iro) de forma inscriptioni dan/da statuae quam dendrophor(i) / Octavio Agathae p(atrono) c(oloniae) n(ostrae) statue/runt Cn(aeus) Papirius Sagitta et P(ublius) / Aelius Eudaemon IIvir(i) ret-

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tu//lerunt q(uid) d(e) e(a) r(e) f(ieri) p(laceret) d(e) e(a) r(e) i(ta) c(ensuerunt) / placere universis hone-stissimo / corpori dendrophorum in/scriptionem quae ad honorem / talis viri p[ertinea]t dare quae // decreto ......... inserta est.11

L’iscrizione, con data consolare del 196 d.C., ripor-tava un decreto dei duoviri Cn. Papirius Sagitta e P. Aelius Eudaemon relativo alla dedica da apporre alla base di una statua onoraria eretta da un collegio di dendrofori al patronus coloniae Octavius Agatha. L’epi-grafe è attribuita da Mommsen, e da altri prima di lui, alla colonia di Puteoli, poiché fa menzione di una basilica Augusti Anniana già documentata in altre tre iscrizioni puteolane12 e annoverata nella letteratura archeologica tra i principali monumenti forensi della Pozzuoli romana.13 -mo con la base di Octavius Agatha è corroborata da un passo del canonico napoletano Giacomo Marto-relli, che intorno alla metà del XVIII secolo, citando l’iscrizione in oggetto, deplora la scellerata incuria dei moderni architetti responsabili di aver occultato l’an-

14 nella quale si canistrifera” di ca-

pacciana memoria. Alla luce di questi dati, la base in esame costituirebbe uno dei numerosi spolia

moderna: la supposta pertinenza al santuario napo-letano di Cerere ne risulta ulteriormente destituita di fondamento.Anche nel caso dell’epigrafe di età medio-imperiale in onore di Cominia Plutogenia, sacerdotessa di De-metra Thesmophoros, oggi visibile in una parete del cortile di via Tribunali 62,15 la vicinanza del luogo di esposizione al monastero di San Gregorio non è ragio-

16 per ipotizzare la preesistenza di un tempio di Cerere nell’area. Né lo è la pertinenza alla collezione rinascimentale di Dio-mede Carafa, un tempo raccolta nel vicino palazzo di via S. Biagio dei Librai, di un rilievo di sarcofago con

Berlino:17 il marmo non solo si inscrive in una gene-rica categoria di prodotti funerari, senza necessaria attinenza con la sfera del culto demetriaco, ma costitu-isce un oggetto decontestualizzato del collezionismo antiquario, per il quale non si può escludere una pro-

del Carafa.18 Questi marmi sono dunque riconducibili ad una più ampia classe di elementi di riuso, provenienti dal cen-tro storico di Napoli o da siti extraurbani, reimpiegati

medievale. Nell’area orbitante intorno al monastero di San Gregorio e alla platea Augustalis si segnalano almeno altre due iscrizioni di età romana riutilizzate nel corpo edilizio della città post-classica. Una base marmorea ricollocata come piedritto angolare nell’ar-co che introduce al vico S. Nicola a Nilo dalla via S.

-ca ad un’imperatrice, di cui non si serba il nome, da parte della fratria degli Euereidaipietosissima Augusta” usato nell’epigrafe ha sugge-rito una datazione entro i limiti del II sec. d.C.19 Un esiguo frammento di base modanata è invece murato nella facciata del palazzo trecentesco di Filippo d’An-giò in via Tribunali, e conserva parte di un’iscrizione con i nomi di due liberti dell’augusta Antonia Minore (metà del I sec. d.C.).20 Cospicui sono anche gli spolia architettonici disseminati nei palazzi e nelle chiese che sorgono intorno all’insula di San Gregorio Armeno. Ol-tre alle due grandiose colonne sormontate da preziosi capitelli corinzi che si ergono ai lati dell’ingresso alla basilica di San Paolo Maggiore – unica testimonian-za superstite del monumentale prospetto esastilo del tempio tiberiano dei Dioscuri rovinato dai disastrosi sismi del 1686-1688 –, frammenti di basi modanate e colonne granitiche si conservano a ridosso delle arcate in piperno che scandiscono la facciata del prospiciente palazzo d’Angiò.21 Sul limite opposto dell’insula, nel palazzo prospettante su via S. Biagio e vico Figurari sono visibili un fusto di colonna in granito sormontato da un capitello corinzio di tarda età augustea, reim-

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piegato come elemento angolare, e all’interno del vico una seconda colonna con base attica e capitello ionico non pertinenti, murata nel poderoso basamento in pi-

soppressa chiesa medievale di Santa Eufrasia, docu-mentata almeno a partire dal XIII secolo.22 Numerosi ed eterogenei i materiali architettonici di età romana riutilizzati nella navata della basilica di San Lorenzo Maggiore e nelle sale dell’annessa fabbrica conventua-le: si tratta in larga parte di colonne e capitelli imperiali di varia datazione e tipologia (corinzi normali, corin-zi asiatici, a calice, compositi), già presenti nella più antica basilica paleocristiana e recuperati all’interno del complesso di età angioina.23 Nulla impedisce di ipotizzare che questi materiali provengano almeno in

di età romana e l’area circostante. Anche la diaconia di San Gennaro all’Olmo, all’incrocio tra la strada di S. Gregorio Armeno e via S. Biagio dei Librai, custodi-va preziosi marmi di spoglio che le invasive rifazioni barocche hanno obliterato: la più antica chiesa, fonda-ta dal vescovo Agnello nel 680, riutilizzava nella sua struttura a pianta longitudinale colonne pertinenti a monumenti classici, di cui si conserva memoria in due fusti di marmo rosso antico, rilavorati e politi, trasfe-riti dopo i restauri seicenteschi nel presbiterio della cattedrale, dove ancora fungono da reggi-candelabro.24

2. Gli spolia del chiostro: i sarcofagi

Quanto ai marmi antichi presenti all’interno del chio-stro di San Gregorio, essi si dividono in due catego-rie di materiali, sarcofagi ed elementi architettonici. Questi oggetti andrebbero ricondotti al novero delle

anticaglie” ricordate dagli eruditi partenopei e rimes-

nuovo complesso monastico. Al gruppo dei sarcofagi appartiene un esemplare frammentario a cassa rettan-golare, oggi addossato al Fondale di S. Benedetto e al complesso delle cisterne seicentesche, decorato con

un rilievo a ghirlande sospese a bucrani angolari, che 25 I bucrani,

-chiaio, presentano orbite sporgenti e forate a trapano. Frequenti fori di trapano si distribuiscono su tutta la

intorno alla fronte di ciascun bucranio, mentre coppie di taeniae, ricadenti in parte dall’infula stessa, in parte avvolte intorno alle corna del teschio bovino per assi-curarvi il festone centrale, si dispiegano al di sopra e al di sotto di quest’ultimo con andamento sinuoso e discreto aggetto plastico. La ghirlanda origina da due ordini di fascette annodate desinenti in larghe foglie di vite che incorniciano pomi tondeggianti, stretti al centro da una benda verticale con brevi nastri rica-denti verso il basso. Il motivo ornamentale, ispirato

in età augustea e giulio-claudia su fregi architettonici e altari, ricorre precocemente in ambito funerario su un’importante serie di sarcofagi e urne di provenienza urbana e italica risalenti alla prima età imperiale.26 Lo stesso registro decorativo è recuperato più tardi in un gruppo di sarcofagi medio-imperiali attribuiti

esemplari analoghi al nostro, con fregi di bucrani ghir-landofori, rosoni o gorgoneia inscritti nelle lunette al di sopra dei festoni, e una tabuladella fronte, talora inquadrata da una coppia di put-ti.27 Alcuni di questi monumenti risultano reimpiegati in età medievale e moderna come sepolcri di nobili ed ecclesiastici: i casi meglio noti sono rappresentati

28 e dal sepolcro di un membro della famiglia Santomango,29 entrambi nella cattedrale di San Matteo a Salerno. Anche il sar-cofago di San Gregorio, databile nella seconda metà del II sec. d.C., può ascriversi alla stessa produzione imperiale di area campana. Nel chiostro, sulla parete di fondo del piccolo disim-

(lenospareti scandite da due serie contrapposte di strigila-ture doppie a dorsi combacianti, convergenti verso

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il centro. Il marmo è stato reimpiegato come grosso puteale, attualmente tompagnato, a partire da due la-stre curvilinee, tagliate e riassemblate.30 Alle estremità superiori della fronte dovevano disporsi due protomi di leone, a fauci aperte o serrate su un anello, scalpel-late ed abrase nella fase di smembramento e rifunzio-nalizzazione del supporto antico. L’origine del tipo, diffuso a partire dalla tarda età antonina e per tutto il III sec. d.C.,31 è in genere individuata nella forma ovale dei tini impiegati per la spremitura dell’uva, dotati di gronde leonine e ampiamente documentati

32 I monu-menti sepolcrali così ispirati si arricchivano di evi-denti richiami alla simbologia dionisiaca, rievocando attraverso il passaggio dall’uva al vino la rigenerazio-ne ultraterrena dell’anima. Diversi esemplari noti di sarcofagi strigilati a lenos ornati con protomi di leone furono riutilizzati in età medievale come sepolcri di

33 Capua 34 e Montevergine di Mercogliano.35 Nell’attuale stato di conservazione, i due sarcofagi di San Gregorio denunciano pesanti interventi di ri-lavorazione che ne hanno notevolmente alterato l’a-spetto originario: se il sarcofago a tinozza risulta ri-

funzionalizzato come puteale, l’altra cassa sepolcrale reca lungo la lastra posteriore tre fori posticci, che ne suggeriscono un riuso come fontana o lavatoio, prima dell’asportazione di due lastre laterali. La pre-senza di due sarcofagi tra i materiali in esame ben si accorda con una fonte documentaria desunta dai Libri d’introjto relativi alle opere edilizie per il nuovo monastero cinquecentesco: una voce, in data 2 ago-sto 1575, registra la spesa necessaria «per cavar dalla cappella de S.to Sabastiano dui sepulchri de marmo ... et per quelli poi condurle al supportico avante lo refettorio novo per farle lavorare per le fontane».36 La cappella di San Sebastiano era uno dei nuclei di cui si componeva il primo impianto ecclesiale, che si sviluppava, come è noto, all’interno dell’odierno perimetro claustrale. Stando alla menzionata fonte, l’ambiente doveva ospitare, prima della demolizione,

cavati” per ricavarne fontane negli spazi del nuovo monastero. È verosimile che i sepolcri in questione siano gli stessi di età romana oggi visibili negli ambienti orbitanti intorno alla cappella dell’Idria e al complesso delle cisterne. In questo modo avremmo testimonianza di un primo riutilizzo dei due sarcofagi imperiali all’in-

Chiostro di San Gregorio Armeno. 1. Sarcofago medio-imperiale con rilievo a ghirlande

e bucrani sul muro esterno delle cisterne; 2. Frammenti di sarcofago strigilato nel disimpegno

antistante il refettorio bambini

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terno della prima chiesa di San Gregorio, in funzione di sepolcri cristiani, secondo una pratica diffusamen-te attestata a Napoli soprattutto in età angioina, ma frequente ancora nei secoli XVI-XVII. Tra i maggiori testimoni di questa pratica si annoverano: i sepolcri dei nobili Piscicelli, nell’omonima cappella di famiglia all’interno della basilica di Santa Restituta al duomo, ricavati da un sarcofago con geni stagionali del tar-do III sec. d.C.37 e da un esemplare tardo-antonino di soggetto dionisiaco;38 la tomba seicentesca di Giovan Battista Sanfelice, duca di Rodi Garganico, nella chie-sa di Santa Chiara, che riutilizza un sarcofago medio-

e Laodamia;39 il monumento funerario della contessa Beatrice del Balzo, un tempo a Santa Chiara ed oggi conservato nel Museo Nazionale di S. Martino,40 da

lenos”, sul cui retro è stato praticato un rilievo trecentesco di scuola senese

lati di una Madonna con bambino; e ancora il sepol-cro medievale di un anonimo membro della famiglia Bozzuto che recupera un sarcofago tardo-severiano con eroti clipeofori.41 Anche nel vicino complesso di San Lorenzo Maggiore, all’interno del cosiddetto

tondi a rilievo recanti un’immagine della Madonna tra S. Antonio Abate e S. Antonio di Padova, opera del XV secolo realizzata riutilizzando un sarcofago tardoan-tico con fronte strigilata, oggi al Museo dell’Opera del convento francescano. È dunque probabile anche per i sarcofagi di San Gregorio Armeno un reimpiego di tipo funerario nel nucleo ecclesiale più antico: del resto, la stessa Fulvia Caracciolo, diligente cronista delle vicende del cenobio nei turbolenti anni della sua

presenza di sepolcri che dovettero essere dismessi per far luogo alla nuova fabbrica di Della Monica.42 Quan-to all’originaria provenienza dei due monumenti se-polcrali, è da escludere che essi siano stati prelevati nell’area della platea Augustalis, interna al perimetro urbano di età classica e distante dai nuclei di necropo-li che si sviluppavano, invece, all’esterno del recinto murario:43 una notevole necropoli di età romana si

estendeva nel settore orientale della città, dall’area a -

no all’odierno corso Arnaldo Lucci, dove scavi urbani

pregevole sarcofago a ghirlande di età antonina oggi conservato nel castello di W. Randolph Hearst a San Simeon.44 D’altra parte, non si può scartare l’ipotesi che i sarcofagi in questione provenissero da altri centri del territorio campano, come è il caso del sarcofago Sanfelice a Santa Chiara, rinvenuto nell’antico com-prensorio di Teanum Sidicinum.

3. Gli elementi architettonici

Per quanto riguarda i frammenti di elementi archi-tettonici sparsi nel chiostro, questi comprendono: quattro capitelli, uno corinzio, uno corinzieggiante,

-mente in un arco compreso tra il I e il IV sec. d.C.; due piccole colonne frammentarie; due basi di colon-na di tipo attico. Quasi tutti i materiali in questione sono raccolti in un piccolo vano aperto addossato al complesso delle cisterne e prospettante sull’ambula-cro meridionale del chiostro, corrispondente al sotto-stante comunichino. Fanno eccezione i due capitelli corinzi asiatici, dei quali uno giace capovolto su una moderna base di piperno presso l’estremità orientale

Camera della Badessa, a sinistra della soglia d’ingres-so; e una delle basi attiche, conservata nell’ambiente al di sotto dell’ambulacro occidentale, dove si attesta il frustulo di mosaico in situ in tessere bianche e nere. Anche questi oggetti hanno subito in alcuni casi radi-cali rilavorazioni: dai capitelli, in particolare, si tese a ricavare acquasantiere o mortai. Il capitello corinzio

base del kalathos, articolate in lobi a fogliette lance-olate, raccolti intorno ad un’agile nervatura media-na, con zone d’ombra intermedie a ovale allungato.45 Assai scarne le tracce dei cauli, svettanti tra le foglie

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del secondo ordine con inclinazione verso l’esterno. Il capitello si può ascrivere ad una produzione cano-nica di età tardo-augustea e giulio-claudia, con ampi confronti sia in contesti laziali46 che campani:47 un esemplare analogo, seppur frammentario e in pessi-mo stato di conservazione, si segnala nelle vicinanze del complesso di San Gregorio, ricollocato sul fusto di colonna granitica riutilizzato come piedritto angolare

vico Figurari.48 Il capitello corinzieggiante, anch’esso molto lacunoso, conserva alte foglie angolari d’acanto, con lobi dalle estremità arrotondate e zone d’ombra a goccia obliqua, che si stendono ai lati di una scana-latura mediana.49 Il centro del kalathos è ornato da un

capitelli:50 esso è formato dall’incontro di due viticci spiraliformi, rivestiti alla base da foglie acantacee con lobi distinti da forellini di trapano. Nel loro sviluppo longitudinale i viticci sono stretti al centro da un col-larino a doppia fascetta, ai lati del quale sbocciano in

i due viticci svetta uno stelo cinto alla base da un calice chiuso e desinente al di sopra del collarino in un secondo calice semidischiuso, dal quale sbocciava

-maria suggerisce un accostamento del capitello ad esemplari ostiensi datati intorno alla metà del II sec. d.C.,51 mentre il trattamento delle foglie angolari trova confronto in un capitello corinzieggiante della prima metà del II sec. d.C. dal vicino complesso basilicale di S. Lorenzo Maggiore.52 Gli altri due capitelli di San Gregorio appartengono alla classe dei corinzi asiatici, di origine orientale e ampiamente diffusi in Occiden-

dalla progressiva riduzione della resa naturalistica dei singoli elementi vegetali in favore di uno sche-matismo decorativo di gusto geometrico.53 Dei nostri esemplari, quello conservato presso l’esedra settecen-tesca risulta rilavorato come mortaio. Solo due facce conservano meglio le tracce della decorazione antica,

-noso”.54 Le foglie della seconda corona, con una forte nervatura centrale marcata da nette incisioni laterali,

erano coronate al centro di ogni faccia da un’ulte-riore foglia acantizzante (o di quercia). Tra le foglie del secondo ordine si originano brevi cauli spigolosi desinenti in calicetti da cui emergono elici nastrifor-mi. Sulla scorta degli elementi leggibili, il capitello si daterebbe non oltre la prima metà del III sec. d.C., con confronti ravvisabili sia in ambito laziale55 che in contesti di reimpiego di area campana: a Napoli, ca-pitelli corinzio-asiatici riconducibili allo stesso alveo cronologico si segnalano nella vicina basilica di San Lorenzo Maggiore ma anche all’interno del duomo cittadino, nel complesso basilicale di Santa Restitu-ta.56 L’altro esemplare di San Gregorio, custodito nel salottino della Badessa, è il più integro tra i capitelli antichi del monastero.57 Si caratterizza per la presenza di una sola corona di foglie d’acanto che riveste la metà inferiore del kalathos. I lobi, serrati intorno alla nervatura centrale e desinenti in fogliette appuntite (quattro nei lobi mediani, tre in quelli inferiori), si toccano con le estremità generando una serie verticale

-bo, un rettangolo, e un secondo rombo. Tra le foglie d’acanto spuntano tozzi caulicoli a sezione angolare, da cui sbocciano calicetti che sorreggono volute ed elici nastriformi. Le elici, avvolgendosi verso il basso, lambiscono le foglie interne dei calici, così disegnando

cui si conservano scarne tracce, si presentavano come kala-

thos. Il capitello, ascrivibile ad un gruppo di esemplari di III-IV sec. d.C. contraddistinti dal ricorrere di una singola corona di foglie,58 in ambito campano presenta

San Felice a Cimitile, genericamente riferito al III sec. d.C.,59 e con un esemplare salernitano, datato all’inol-trato IV sec. d.C.60

Dei rimanenti spolia architettonici presenti nel chiostro di San Gregorio, le due basi attiche, pur condividendo lo stesso schema delle modanature (alto plinto qua-drangolare sormontato da due tori separati da una scozia intermedia), differiscono per misure e crono-logia. Quella che giace negli ambienti sotterranei del chiostro, sotto il braccio occidentale, è di dimensioni

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Chiostro di San Gregorio Armeno1. Capitello corinzio riutilizzato come acquasantiera (I sec. d.C.)

in un piccolo locale adiacente le cisterne;2. Frammento di capitello corinzieggiante (II sec. d.C.)

in un piccolo locale adiacente le cisterne;3. Capitello corinzio-asiatico (IV sec. d.C.) nel salotto della badessa;

4. Capitello corinzio-asiatico rilavorato come mortaio (III sec. d.C.) vicino l’esedra

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maggiori,61 e il toro superiore ha un’altezza pari al doppio del listello che delimita in alto la sottostante scozia: questa caratteristica suggerisce di avvicinare

il I e il II sec. d.C.62 La seconda base, conservata nel vano aperto sul portico meridionale del chiostro, è più piccola63 e l’altezza del toro superiore coincide quasi esattamente con quella del vicino listello della scozia: in tal caso il confronto è con basi puteolane di II sec. d.C.64 -lonna liscia in granito grigio, incassato in una nicchia moderna in pietra lavica,65 e una colonnina tortile in marmo bianco. Quest’ultima appartiene ad una classe di elementi architettonici ampiamente documentata nell’Oriente romano dalla metà circa del II sec. d.C., a scandire prospetti templari, frontescene di teatri e propyla monumentali.66 In Occidente, le prime appli-cazioni in campo architettonico si possono datare al I sec. d.C., con gli esempi paradigmatici della Porta dei Leoni e della Porta Borsari a Verona: è stato tuttavia osservato come in questa fase alto-imperiale le colon-

piuttosto che struttivi.67 Diversi esemplari di ambito occidentale sono noti in contesti di reimpiego medie-vale, come la basilica romana di San Lorenzo fuori le mura.68 In Campania si segnalano, tra le altre, le colon-ne riutilizzate nell’edicola sepolcrale di San Felice a Cimitile.69 Le ridotte dimensioni dell’esemplare di San

Gregorio Armeno ne suggeriscono un’originaria de-stinazione ornamentale, forse all’interno di un mosso prospetto architettonico. Una colonna tipologicamen-

San Lorenzo Maggiore, addossata ad una delle pareti

registrate nei Libri d’introjto del monastero menzionano anticaglie” recupe-

rate «sotto lo terreno del giardino»70 o in altri ambienti del complesso durante i lavori cinquecenteschi: così, nei primi mesi del 1576, «colonne de marmo» furono «cavate» dalla cantina del refettorio delle monache71 e dal demolendo campanile del monastero.72 Ancora una volta è ipotizzabile che i marmi tuttora visibili nel chiostro fossero in origine all’interno della prima chie-

elementi struttivi: l’ipotesi è suffragabile dal confronto con altri contesti ecclesiali della città, come la vicina

-gica e cronologica tra alcuni spolia di San Gregorio e gli altri disiecta membrapuò suggerire, con le dovute riserve, l’originaria per-tinenza ad un comune contesto antico, eventualmente collocabile nello stesso settore urbano dei decumani,

classica sostituiti in seguito dai più rilevanti monumen-ti della Napoli medievale e moderna.

* Ringrazio vivamente le dottoresse Daniela Giampaola e Laura Giusti, la professoressa Giovanna Greco e l’architetto Aldo Pinto per il supporto offertomi nell’accesso e nello studio dei materiali qui presentati.1 Roberto PANE, Il monastero napoletano di S. Gregorio Armeno, Napoli 1957, 14; Mario NAPOLI, Napoli greco-romana, Napoli 1959, 140-141; Arnaldo VENDITTI, Il monastero e la chiesa di S. Gregorio Armeno, in Franco STRAZZULLO (a cura di), L’antica strada di San Gregorio Armeno, Napoli 1995, 47. 2 Sul reimpiego di spolia classici a Napoli, si vedano: Ste-

fania ADAMO MUSCETTOLA, Napoli e lein Fausto ZEVI (a cura di), Neapolis, Napoli 1994, 95-109; EAD., La bella tomba di un oscuro cavaliere bretone. Un episo-dio del reimpiego di marmi antichi a Napoli, in Carlo GASPAR-RI, Giovanna GRECO, Raffaella PIEROBON BENOIT (a cura di), Dall’immagine alla storia. Studi per ricordare Stefania Adamo Muscettola, Pozzuoli 2010, 15-26. 3 Si veda in questo volume l’intervento di Giovanna Greco. 4 Altezza massima 142 cm, larghezza lato visibile 65 cm. Marmo bianco.

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5 Giulio Cesare CAPACCIO, Neapolitanae historiae a Iulio Caesare Capacio eius urbis a secretis et cive conscriptae, I, Napoli 1607, 18, con incisione. 6 Bartolommeo CAPASSO, Napoli greco-romana, esposta nella

, Napoli 1905, 78. 7 PANE, Il monastero cit., 14. 8 -

-

Armeno: NAPOLI, Napoli greco-romana cit., 141. 9 CIL X, 1786. 10 CAPACCIO, Neapolitanae cit., 88. 11 La trascrizione è ripresa da Maarten Jozef VERMASEREN, Corpus Cultus Cybelae Attidisque, IV. Italia. Aliae provinciae, Leiden 1978, 8-9, n° 13. 12 CIL X, 1782-1783; NSc 1884, 357. 13 Claudia VALERI, Marmora Phlegraea. Sculture del Rione Terra di Pozzuoliin nota. 14 Giacomo MARTORELLI, De Regia Theca Calamaria, Napoli 1756, 430-431: «Scio ex Capacio p. 88 saxum adhuc Neapoli exstare ad Divi Gregorii campanariam turrim [...]; verum cum ea turris paucis abhinc annis elegantius restituta sit, scelestissimi structores, et architectus, quae horum illittera-torum hominum est, scriptam marmoris faciem intra murum occuluere, nobisque rude, et cippi tergum, vel latus objecere; in quo icuncula quaedam sat detrita scalpta est: placuit autem infrunito turris fabro ima-gunculam melius ostentare, quam litteras». 15 Elena MIRANDA, Iscrizioni greche d’Italia. Napoli, I, Roma 1990, 52-54, n° 34. 16 Cf. Niccolò CARLETTI, Napoli in Campagna Felice, Napoli 1776, 163-165; Domenico ROMANELLI, Napoli antica e moderna, Napoli 1815, I, 73-74. 17 Berlin, Staatliche Museen, Antikensammlung SK 847: Eloisa DODERO, Prodromi alla storia della collezione, «Napoli Nobilissima» 8

18 Sulle vicende della collezione Carafa, oltre a DODERO, Le cit., si veda anche: Bianca DE DIVITIIS, New evidence

for Diomede Carafa’s collection of antiquities, II, «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes» 73 (2010), 335-353, con

19 MIRANDA, Iscrizioni cit., I, 44-46, n° 29. 20 Ivi, 42-43, n° 28. 21 Enrica POZZI (a cura di), Napoli Antica, catalogo della mo-stra (Napoli, 26 settembre 1985 - 15 aprile 1986), Napoli

1985, 476, tav. 7, n° 83. 22 Italo FERRARO, Bassi e il “Risanamento”, Napoli 2003, 142. 23 Caroline BRUZELIUS, Le pietre di Napoli. L’architettura re-ligiosa nell’Italia angioina, 1266-1343, Roma 2005, 58 e ss.; Elsa NUZZO, in San Lorenzo Maggiore. Guida al Museo e al complesso, Napoli 2005, 17-18. 24 VENDITTI, L’Architettura cit., 832; STRAZZULLO, L’antica cit., 14-15. 25

destro. Il lato posteriore, liscio, presenta in basso tre grossi fori equidistanti. La base modanata del sarcofago è costi-tuita da uno zoccolo liscio, alto 17 cm, su cui si impostano una gola dritta e un breve listello sagomato a scalino.26 Annarena AMBROGI, Sarcofagi e urne con ghirlande della prima

, «Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts. Römische Abteilung» 97 (1990), 163-196. 27 Sulla produzione di sarcofagi campani in età imperiale, si veda di recente: Anna LUCIGNANO, imperiale romana. Importazioni e produzioni locali, «Bollettino

riferimento. 28 Helga HERDEJÜRGEN, Stadtrömische und italische Girlan-densarkophage, 1. Fas. Die Sarkophage des ersten und zweiten Jahrhunderts, Berlin 1996, 173-174, n° 179; Silvia TOMEI in Mario D’ONOFRIO (a cura di), Rilavorazione dell’antico nel Me-dioevo, Roma 2003, 60-63, n° 19. 29 HERDEJÜRGEN, Stadtrömische cit., 172, n° 176. 30 Altezza massima 77 cm; larghezza massima strigilature 2.5-3 cm. Marmo bianco. La cornice superiore si articola dall’alto in un listello, una gola rovescia, un tondino, un breve listello con sguscio inferiore da cui si dipartono le sottostanti strigilature. La porzione inferiore della cassa è obliterata dal moderno piano pavimentale.31 Sulla categoria dei sarcofagi a lenos decorati con leoni, si vedano in particolare: Carlo Roberto CHIARLO, dei sarcofagi a decorati con leoni, «Annali della Scuola normale superiore di Pisa», 3.4, 1974, 1307-1345; Guntram KOCH, Hellmut SICHTERMANN, Römische Sarkophage, München 1982, 80-82; Jutta STROSZECK, Löwen-Sarkophage. Sarkophage mit Löwenköpfen, schreitenden Löwen und Löwen-Kampfgrup-pen, Berlin 1998. 32 STROSZECK, Löwen-Sarkophage cit., 26-36. 33 STROSZECK, Löwen-Sarkophage cit., 103, cat. n° 1. 34 Ivi, 104, cat. n° 10. 35 Ivi, 108, cat. n° 35. 36 ASNa, Monasteri soppressi, 3348bis, 1421.

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37 Tomba di Riccardo Piscicelli (post 1331): ADAMO MUSCET-TOLA, Napoli e le -ziana BARBAVARA DI GRAVELLONA, negata. Sarcofagi romani reimpiegati e obliterati nel Medioevo, in Walter CUPPERI (a cura di), Senso delle rovine e riuso dell’antico,

FURELLI in D’ONOFRIO, Rilavorazione cit., 38 Sepolcro di Ascanio e Giovanni Battista Piscicelli (post 1545): ADAMO MUSCETTOLA, Napoli e lecit., 101, 285; Stefania FURELLI in D’ONOFRIO, Rilavorazione

39 Carl ROBERT, Die antiken Sarkophagreliefs, 3.3. Einzelmy-then. Niobiden-Triptolemos Ungedeutet, Berlin 1919, 496-498, n° 422; ADAMO MUSCETTOLA, La bella tomba cit., 16, nota 12

40 Roberto MIDDIONE (a cura di), Le raccolte di scultura del Museo nazionale di San Martino, Napoli 2001, 38-39, n° 1.7. 41 Napoli, Museo Archeologico Nazionale: ADAMO MUSCET-TOLA, Napoli e le BARBAVARA DI GRAVELLONA, cit., 202; ADAMO MUSCETTOLA, La bella tomba42 Fulvia CARACCIOLO, Breve Compendio della Fondazione del Monistero di S.to Gregorio Armeno detto S.to Ligoro di Napoli, a cura di Raffaele ZITO, Napoli 1851, 64. 43 Sull’estensione delle necropoli urbane di Neapolis, si veda-no: CAPASSO, Napoli greco-romana cit., 111-130; Ettore GABRICI,

-nia, «Memorie dell’Accademia dei Lincei» 41 (1951), 662-668; POZZI, Napoli Antica cit., 228-299; Angela PONTRANDOLFO, Le necropoli urbane di Neapolis, in Attilio STAZIO (a cura di), Neapolis, Atti del venticinquesimo Convegno di studi sul-la Magna Grecia (Taranto, 3-7 ottobre 1985), Taranto 1986, 255-272; Daniela GIAMPAOLA, I monumenti, in ZEVI, Neapolis cit., 78-81.44 Ferdinando COLONNA, 1876 a tutto il 1897, con notizie delle scoperte anteriori e ricordi

, Napoli 1898, 295-302; HERDEJÜR-GEN, Stadtrömische cit., 174, n° 180, tav. 102,2.4.5, 103,2 e

45 Altezza massima 26 cm; larghezza massima 47.4 cm. Mar-mo bianco. Il capitello è privo della parte superiore. Una faccia del supporto originario è stata integralmente tagliata e squadrata, mentre l’interno del marmo è stato incavato per una profondità di 14 cm, per ricavare dal frammen-to antico una vaschetta a sezione semicircolare, dotata di

un’acquasantiera.

46 Cf. Patrizio PENSABENE, Scavi di Ostia VII. I capitelli, Roma 1973, 56-58, cat. nn. 214-220. 47 Cf. Hayo HEINRICH, Subtilitas novarum scalpturarum. Un-tersuchungen zur Ornamentik marmorner Bauglieder der späten Republik und frühen Kaiserzeit in Campanien, München 2002, 68, n° K24 (Pompei, portico di Eumachia). 48 POZZI, Napoli Antica cit., 476, tav. 7, n° 103; HEINRICH, Sub-tilitas cit., 73, n° K64.49 Altezza massima 30 cm; larghezza massima abaco 42 cm; diagonale ricostruibile abaco 64 cm. Marmo bianco. Due delle quattro facce sono totalmente obliterate, una terza è nettamente tagliata in senso obliquo e conserva soltanto la porzione superiore del kalathos. L’unico lato meglio leggi-bile è tagliato alla base, dove il kalathos era rivestito da un ordine di foglie d’acanto di cui si conservano in parte le cime. Sulla faccia superiore dell’abaco si conserva un foro di perno con canaletta laterale. 50 Sulla classe dei capitelli corinzieggianti, si vedano: Kon-stantin RONCZEWSKI, Variantes des chapiteaux romains, «Acta Universitatis Latviensis» 8 (1923), 115-174; ID., Römische Ka-

, «Archäologischer Anzeiger» (1931), 2-102; Ulrich-Walter GANS, Korinthisierende Kapitelle der römischen Kaiserzeit. Schmuckkapitelle in Italien und den nordwestlichen Provinzen, Köln 1992. 51 PENSABENE, Scavi cit., 139, cat. nn. 559, 561. 52 NUZZO in San Lorenzo Maggiore. Guida cit., 18, n° 5. 53 Su questa categoria di capitelli, si vedano in particolare: PENSABENE, Scavi cit., 94-106, 235-238; ID., La decorazione ar-chitettonica, l’impiego del marmo e l’importazione di manufatti orientali a Roma, in Italia e in Africa, in impero tardoantico. III. Le merci, gli insediamenti, Bari 1986, 306-319. 54 Altezza massima 40 cm; larghezza massima abaco 51 cm; larghezza massima inferiore 36 cm. Marmo bianco. Il kala-thos è stato scavato al suo interno per ricavarne un mortaio. All’esterno, le foglie del primo ordine, scalpellate ed abrase,

-rati. Le volute angolari sono state obliterate, alla stregua dell’abaco, i cui vertici risultano rimodellati per ricavarne le anse arrotondante del mortaio.55 Cf. PENSABENE, Scavi cit., 99, n° 354. 56 Patrizio PENSABENE, Nota sul reimpiego e il recupero dell’an-tico in Puglia e Campania tra V e IX secolo, in Marcello ROTILI (a cura di), Incontri di popoli e culture tra V e IX secolo. Atti

(Benevento, 9-11 giugno 1997), Napoli 1998, 199-203. 57 Altezza massima 35.6 cm; larghezza massima abaco 39

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cm; larghezza massima inferiore 28 cm. Marmo bianco a venature grigie (proconnesio?). 58 PENSABENE, La decorazione architettonica cit., pp. 316-318, n°

59 Patrizio PENSABENE, Marmi e reimpiego nel santuario di S. Felice a Cimitile, in Hugo BRANDENBURG, Letizia ERMINI PANI (a cura di), Cimitile e Paolino di Nola. La tomba di S. Felice e il centro di pellegrinaggio. Trent’anni di ricerche, Atti della gior-nata tematica dei Seminari di Archeologia Cristiana (École Française de Rome, 9 marzo 2000), Città del Vaticano 2003, 212, 217, tav. XI.4. 60 Marianna POLLIO, Il reimpiego del materiale architettonico in marmo nella Salerno medievale, «Apollo. Bollettino dei Musei Provinciali del Salernitano» 19 (2003), 44-45, n° 16 (Salerno, chiesa di Santa Maria de Lama). 61 Altezza totale 25 cm; spessore plinto 8.5; larghezza plin-to 64 cm; diametro superiore ricostruibile 51 cm. Marmo bianco. La base è molto frammentaria e coperta da grosse incrostazioni calcaree. 62 Filippo DEMMA, Monumenti pubblici di Puteoli. Per un’archeolo-gia dell’architettura, Roma 2007, 326, cat. nn. 406-408 (Tipo 2). 63 Altezza totale 17 cm; spessore plinto 6.5 cm; larghezza plinto 45 cm; diametro superiore ricostruibile 36 cm. Mar-

mo bianco con venature grigie. Sulla faccia superiore si conserva un ampio foro per perno con canaletta laterale. 64 DEMMA, Monumenti cit., 328, cat. n° 412 (Tipo 4). 65 Altezza massima 99 cm; diametro massimo 33.64 cm.

e tracce di combustione, conserva il sommoscapo. 66 Una sintetica rassegna di casi è in Manuela FANO SANTI,

, «Rivista di Archeologia» 17 (1993), 75-76. 67 Cf. FANO SANTI, La colonna tortile cit., 72-73. 68 Sugli spolia di San Lorenzo fuori le mura, si veda di re-cente: Simonetta CIRANNA, Spolia e caratteristiche del reimpiego nella Basilica di San Lorenzo fuori le mura a Roma, Roma 2000.69 PENSABENE, Marmi e reimpiego cit., 141, nn. E1-E2. 70 ASNa, Monasteri soppressi, 3348bis, 142t (2 agosto 1575). 71 ASNa, Monasteri soppressi, 3348bis, 107r (21 gennaio 1576): «a m.o. Sabatino tagliamonte per tre giornate poste in ta-gliar le muraglie vechie dela cantina sotto refettorio dove se trovorno certe colonne di marmo». 72 ASNa, Monasteri soppressi, 3348bis, 83r (28 febbraio 1576): «per allogatura d’uno insarto per scendere le colonne de marmo dal campanile e un’altra volta con li barricelli e taglie per tirar le colonne dala cantina».

su progetto di Giovan Battista Cavagna

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