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O 2 1-3 Le. immagini di Marco Ferreri di Stefania Parigi Neorealismo e grottesco Marco Ferreri comincia la sua avventura cinematografica a Roma, nel 1950. Il mi- lanese dagli occhi azzurri non cerca di entrare dalla porta degli artisti, ma da quel- la dei mercanti. Le sue idee di produttore si rivelano, tuttavia, idee di artista. Docu- mento mensile, concepito e prodotto insieme a Riccardo Ghione, anticipa nel 1950 la formula dell "rivista cinematografica" che nel 1953 verrà ripresa in compagnia di Zavattini, con L'amore in città. Muovendosi intorno alle problematiche dell'inchie- sta, sulla scia dgmeorealismo più radicale, Documento mensile coinvolge una serie di registi (Antonioni, Visconti, De Sica) insieme a una compagine di pittori e scritto- ri, alla loro prima prova cinematografica (Carlo Levi, Alberto Mbravid, Leonardo Si- nisgalli, Renato Guttuso). La formula è quella, poi riproposta nei successivi esperi- menti zavattiniani, di una moltitudine di occhi lanciati, come in un cinegiornàle, all'"assalto della realtà". Ma quello di Ferreri è anche un assalto al cinema, intra- preso dalle più diverse angolazioni: dopo aver fatto - è il caso di dire - carte false per produrre Cronaca di un amore di Antonioni, un regista a cui egli guarda con particolare ammirazione, passa dai ruoli organizzativi e produttivi a quelli sporadi- ci di sceneggiatore (per Donne e soldati di Antonio Marchi e Luigi Malerba) e di at- tore: nel '53 è il corpo che sale ansimando le scale per seguire una donna ne Gli

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Le. immagini di Marco Ferreri di Stefania Parigi

Neorealismo e grottesco

Marco Ferreri comincia la sua avventura cinematografica a Roma, nel 1950. Il mi-lanese dagli occhi azzurri non cerca di entrare dalla porta degli artisti, ma da quel-la dei mercanti. Le sue idee di produttore si rivelano, tuttavia, idee di artista. Docu-mento mensile, concepito e prodotto insieme a Riccardo Ghione, anticipa nel 1950 la formula dell "rivista cinematografica" che nel 1953 verrà ripresa in compagnia di Zavattini, con L'amore in città. Muovendosi intorno alle problematiche dell'inchie-sta, sulla scia dgmeorealismo più radicale, Documento mensile coinvolge una serie di registi (Antonioni, Visconti, De Sica) insieme a una compagine di pittori e scritto-ri, alla loro prima prova cinematografica (Carlo Levi, Alberto Mbravid, Leonardo Si-nisgalli, Renato Guttuso). La formula è quella, poi riproposta nei successivi esperi-menti zavattiniani, di una moltitudine di occhi lanciati, come in un cinegiornàle, all'"assalto della realtà". Ma quello di Ferreri è anche un assalto al cinema, intra-preso dalle più diverse angolazioni: dopo aver fatto - è il caso di dire - carte false per produrre Cronaca di un amore di Antonioni, un regista a cui egli guarda con particolare ammirazione, passa dai ruoli organizzativi e produttivi a quelli sporadi-ci di sceneggiatore (per Donne e soldati di Antonio Marchi e Luigi Malerba) e di at-tore: nel '53 è il corpo che sale ansimando le scale per seguire una donna ne Gli

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italiani si voltano di Alberto Lattuada, episodio de L'amore in città; nel '54 è il pa-

drone del castello di Torrechiara in Donne e soldati; sempre nel 154 compare nelle

vesti di un fumatore ne La spiaggia di Lattuada. La sua storia di regista è destinata a cominciare, quasi per caso, in terra straniera: pre-cisamente a Madrid, dove si reca nel '56 come rappresentante di obiettivi anamorfici per conto del produttore Alfonso Sansone. È qui che compone il suo trittico spagnolo

(EI pisito/L'appartarrentino, 1958; Los chicos/I ragazzi, 1960; El cocheeito/La car-

rozzella, 1960), con l'aiuto dello scrittore umorista Rafael Azcona, fra le vie di una cit- tà reale e fantasmagorica insieme.

z o La lezione del neorealismo si coniuga con la tradizione grottesca, .profondamente ra-

dicata nella cultura iberica. Secondo la critica spagnola Ferreri si pone sulla strada di Cervantes, Quevedo, Goya, nonché di Valle lnclén, iLqicite nel Novecento rielabora la tradizione grottesca nazionale per delineare «il paradigma dell'umorismo contem-poraneo spagnolo»'. A quest'ultima si deve l'introduzione del termine esperpento nel

lessico-artistico. Sottratto all'ambito della linguaggio ordinario, dove significa "perso- . na o cosa brutta, ridicola, assurda", il vacal,Dolo viene usato per indicare un particola- re atteggiamento estético, un modo di guardare e rappresentare la realtà. Si tratta di

3 una forma particolare di humor negro, legato al motivo della locura e della danza ma-

- cabra, che trapassa-senza soluzioni di continuità &il comico al serio, lasciando sem- .

pre_aperta la frontiera tra il riso e la tragedia. Il mondo che Ferreri rappresenta nei suoi film spagn—oli ha la superficie della quotidia-

nità neorealista, alimentata dai sogni e dai bisqgni di un'umanità marginale. Ma que-

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z 1 Manuel Villegas López, En la alta del humor espafiol, «Temas de Cine», 6, 1960, pp. 7-9.

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sto terreno di apparenze documentarie. risulta subito profondamente minato: il grotte-sco (o l' esperpento, che dir si voglia) dimora negli spazi dimessi della cronaca quoti-diana; la normalità contiene l'abnormità come una possibilità sempre presente. La macchina da presa scende, a guisa di un occhio strcmiato, in strade attraversate da in-dividui con water in testa o quarti di bue suil-e spalle; per poi penetrare in interni di ap-partamenti impregnati da una sorta di horror vacui, dove si manifestano combinazioni inconsuete di oggetti e di corpi. «Il neorealismo - dichiara Ferreri nel '63 - è l'inganno dei miei film. L'aspetto è neo-realistico, non la sostanza»2. L'immagine ferreriana nasce dalla sovrapposizione di più strati di realtà: è insieme veduta e visione, rispecchiamento e sfondamento •delle apparenze. Essa instaura una contiguità, un contatto, tipico della concezio-ne grottesca, tra elementi che solitamente vengono tenuti separati: il sacro e il pro-fano, l'animale e l'uomo, la vita e la morte, la salute e la malattia, le funzioni "al-te" e quelle "basse" dell'organismo. Ferreri non ricorre al trucco, al travestimento, alla manipolazione esplicita. Il surreale coincide, per lui, con il naturale; rappre-senta il rimosso del reale o, meglio, di una configurazione del reale forgiata sui codici e sulle logiche--correnti. Di Conseguenza il grottesco ferreriano non arriva

-mai a sconfihare nel fantastico: i•suoi simboli, le sue metafore e allegorie non di-vengono mai costruzioni completamente astratte e oniriche, ma rimangono radica-te in una dimensione fenomenologica, materica.- È questa, in definitiva, l'eredità più profonda del neorealismo, per troppo tempo considerato alla stregua di una

2 Morando Morandini, Il milanese di Spagna, in Mino Argentieri, Spartaco Cilento, Morando Morandini, Loren- zo Quaglietti (a cura di), Matrimonio in bianco e nero. L'ape regina, collana di «Cinema 60», Carucci, Roma, 1963, p. 14.

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banale estetica del rispecchiamento e dell'evidenza documentaria. Ferreri aderi-sce all'istanza fenomenologica che, dopo aver alimentato le maggiori opere neorealiste, si radica nel cammino delle nouvelles vagues europee. In tale pro-spettiva, gli è estranea anche la matrice politica e l'impegno programmatico at-

tribuiti alla maniera neorealista: il suo discorso non si riduce al rilievo sociologi-co o alla satira politica, ma assume le forme di una indagine antropologica, di

una riflessione più vasta sulle costrizioni che i dispositivi della storia e della so-cietà infliggono all'esistenza.

Nei suoi film il gusto dell'estremo e del paradossale costituisce la copertura grottesca z o - della - tragedia esistenziale: una sorta di schermatura, in direzione antiseptimentale,

del profondo senso di sgomento, dolore e solitudine che avvolge i corpi, gli ambien-ti, i movimenti dei personaggi.

Su queste linee, tracciate nel periodo spagnolo, si snoda tutta la sua attività creativa. , La continua fusione tra il piano della concretezza fenomenólogica e il piano degli sia-

< tamenti simbolici accomuna le iml-nagini di El pisito a quelle di Diario di un vizio

z. (1993), nonostante che tra i due film corrano 35 anni dstoria, di mutazioni antropo- logiche, di sconvolgimenti ambientali, di rivoluzioni stilistiche che vià via,Ferrert regi- stra nel suo cammino. Se il periodo spagnolo si apre all'insegna dell'estetica del pia- • no--sequenza, perseguita con una radicalità che supera persino le sperimentazioni an- tonioniane degli anni '50, via via il progetto formale di Ferreri\si distende in ritmi me-

- - no programmatrici, senza perdere di rigore... La distanza "esperpentica", secondo le _teorie di Ramón del Valle incldn, che fin dagli esordi conduce all'abolizione del

o mo piano (concesso ai personaggi solo quando si ritrovano soli davanti alla morte), progressivamente si riduce e si stempera in una libertà totale dell'occhio, dei suoi ta-gli e delle sue angolazioni.

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Narrazione alla.deriya _

Il cinema di Ferreri può essere analizzato come il catalogo di un pittore: -tria progres-

sione di icone, anziché di racconti, le quali si richiamano a vicenda é contrastano na con l'altra. Già nei film spagnoli le immagini tendono a eccedere l'intrecci-e-che,. co-

• me in tutte le opere successive, è costruito sulla forza di un'idea-limite più che su un

concatenamento-romanzesco di fatti: il matrimonio di un giovane con una ottuagena-,

• ria (El pisito); un vecchietto che desidera spasmodicamente una carrozzella da parali-

tico per sentirsi "normale" tra gli anormali (EI cochecito); una femmina:-ape.regina che

sacrifica un maschio-fuco ai fini della conservazione della. specie (L'ape regina, 1963);

un professore che gode Dell'ascoltare i rumori intestinali delle sue allieve (I/professo-

re, episodio di Controsesso, 1964); una giovane ricoperta di lunghi peli animaleschi

che viene sfruttata come fenomeno da baraccone (La donna ,scimmia, 1964); un indi-

viduo ossessionato dal bisogno di sapere quanta aria può entrare in_uri palloncino pri-ma che' scoppi (Break-up,.1963-1968); una donna moderna che tenta di costruire un

harem all'inverso (L'harem, 1967); un intellettuale che compie un uxoricidio gratuito

(Dillinge.r è morto, 1969); una bella signora elegante che uccide un cane per prender-

ne il posto accanto al padrone (La cagna, 1972); quattro persone che mangiano fino

a morire (La grande abbuffata, 1973); un uomo che si evira (L'ultima donna, 1976);„

un giovane che si innamora di un portachiavi (I Love Yau; 1986). L'elenco potrebbe

continuare. La maggior parte delle trame ferreriane si può riassumere in poche battu-

• te. Dall'inizio alla fine della sua carriera, Ferreri rifiuta le leggi del racconto tradizio-nale, rifugge dalle storie ben costruite sul principio della consequenzialità. Le sue strutture narrative, esili già nel periodo spagnolo, si disintegrano pian piano fino

a scoppiare nella seconda metà degli anni '60. L'harem segna, in questo percorso, un

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punto di non ritorno, rappresentando, per Ferreri, la liberazione definitiva dall'obbligo di narrare secondo schemi collaudati. Tale deflagrazione è tanto più evidente in quan-to si accompagna all'esplosione dell'immaginario ferreriano, così come si è venuto de-finendo fino a questo momento. Se non muta nella sostanza il modo di concepire l'im-magine, mutano certamente le immagini del mondo ripreso dall'autore, che passa dal-le "pieghe" barocche - direbbe Deleuze - di forme e oggetti, cui il bianco e nero asse-gna il sigillo spettrale del passato, a una capillare perlustrazione del vuoto. Rico r_r_IQL__Ido nuovamente da metafora del pittore, si potrebbe dire che Ferreri - complice l'introdu- zione del colore - abbandona uno statuto tradizionalmente figurativo della messa in sce- na per immergersi in un universo sempre più rarefatto e autosufficiente, invaso dagli og- getti della società dei consumi e dai simulacri della pop art. «Voglio arrivare 'ad essere

• sempre più astratto - dichiara nel '67 - anche perché ormai non seguo più la realtà»3. Il tenue filo che lo legava ai codici del verosimile e della rappresentazione naturalisti-.

ca si spezza del tutto. Ne L'harem e in Dillinger è morto i personaggi e gli ambienti di-vengono macchie di colore, sospesi in un vuoto cromatico che esprime una dolorosa perdita di peso dell'esistenza. I corpi assumono la sostanza allucinata delle cose, lo

z splendore estetico dell'inorganico: sono elementi di un design tanto attraente quanto devita[izzante. Lo schermo non vuole più riflettere la realtà, ma metterne in luce la na- 3 tura trasfigurata e simulata. La critica, analizzando queste opere della fine degli anni '60, celebra il passaggio

_

dalla poetica del grottesco a quella dell'assurdo. Al di là delle etichette e delle defini- zioni, che aiutano soltanto a recingére e riconoscere una materia che non si lascia do-.

3 Conversazioni. Marco Ferreri.:. da Roma, intervista a cura di Adriano Aprà, Maurizio Ponzi e Claudio Rispo-li, «Cinema, & Film.»,•4, autunno 1967, p. 476. —

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mare dalle parole ed esaurire—nelle formule, l'approdo al nonsense e all'astrazione co-

stituisce, per. Ferreri, la riscrittura in chiave contemporanea (moderna o postmoderna,

che dir si voglia) del grottesco e del tragico. Alla erosione dei meccanismi del racconto corrisponde la tabula rasa delle ideologie

(siamo negli anni della conTe-stazione sessantottesca) e il reiterato gesto nichilista del-

l'autore. Mentre la narrazione va alla deriva e la realtà viene rifiutata, i problemi for-mali diventano emergenti. La fine degli anni '60 rappresenta un momento di fervidi

sperimentazione, l'avvio di una ricerca stilistica sempre più rigorosa, spinta oltre i con-fini tradizionali della finzione, che il regista continuerò a perseguire fino ella fine del-

la sua carriera. Lungo questa direzione il dispositivo della sceneggiatura perde progressivamente di pe-so. La concatenazione delle inquadrature non risponde ai principi di un ordine logico predeterminato. Ogni immagine tende a essere autonoma dalle altre e contemporanea-mente rimanda alle altre per vie diverse da quelle convenzionali. Tra le inquadrature à istituiscono analogie. materiali, associazioni incorisce, allitterazioni cromatiche, legami d'atmosfera, transfert di senso, fili di sentimento più che nessi strutturali veri e propri. Ciò

accade perché l'immcigin.e ferreriana non nasce secondo i criteri di una progettualità schematica, ma dal rapporto diretto con l'ambiente della ripresa e i corpi degli attori. È costruita sul momento, sempre tendenzialmente aperta agli umori che si diffondono sul set,.il quale díventa un luogo del vissuto prima che della rappresentazione. «lo penso - dichiara Ferreri già nel '65 - che la scena, l'impostazione del movimento dei personag-gi, le battute stesse debbano nascere dalla realtà, finta o vera, in cui si gira4».

4 Intervista con Marco Ferreri, a cura di Maurizio Ponzi e Claudio Rispoli, «Filmcritica», 162, novembre-1965, p. 554. -

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La distruzione del set

Se le immagini tendono a svincolarsi dall'intreccio, i luoghi della rappresentazione non si riducono alla convenzione scenografica: guizzano come sostanze viventi che Ferre-ri trova attorno a sé e assembla in ardite combinazioni, oltrepassando il confine tra il reale e l'onirico, il vero e il falso, la spontaneità e la manipolazione. Gli ambienti non costituiscono mai, nei suoi film, la cornice dell'azione, lo sfondo in_cuLsi_rnuOono i per-sonaggi. Essi si stagliano come vere e proprie campiture di senso, presenze concrete

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che assorbono la figura umana, la riflettono e la incidono. Le strade forrfircultinti delle z o opere spagnole, i paesaggi romani .dominati dalla cupola di San Pietro, gli sventra-

menti di Parigi, le villes nouvelles nate attorno alla capitale francese, .i grandi scenari americani, le architetture fasciste delle città laziali sospese in una luce metafisica, i cen- tri commerciali e le discoteche degli anni '80 sono tutti specchi di una condizione esi-

. stenziale in cui lo spazio e i suoi ornamenti ingoiano le vite degli individui dissolven- done i tratti.

z Da Storia di Piero (1983} in poi, Ferreri comincia a firmare le ambientazioni nei titoli di testa dei suoi film e con Il futiffo è donna (1984) dipinge la sua tela più straniata, concreta e, insieme, fantastica, costruendo una città inesistente attraverso il collage di spazi reali, antichi e modernissimi (Palermo, i templi di Selinunte, le discoteche dell'E-milia, l'Euromercato di Milano, il Palosport di-Ferrara e cosi via), stretti in una morsa di

gr contrasti, disarmonie e proTezioni utopiche. Fin dal periodo spagnolo si rivela anche uno straordinario pittore di interni, rappresen7

o tati, soprattutto, come spazi concentrazionari dove si giocano soventeTe sfide identita-. rie dei suoi personaggi e si consumano i loro destini attraverso atti suicidi e omicidi: Ba-sti pensare all'appartamento di Dillinger è morto, allestito come un quadro pop, o a

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quello de L'ultima donna, senza dimenticare ovviamente la ricercata paccoitiglia del-

l'arredamento nella villa de La grande abbuffata. Al rifiuto delle convenzioni illustrative ed esornative del paesaggio fa riscontro il rove-sciamento dei canoni della recitazione natufalistica, fondata sull'immedesimazione

dell'attore nel personaggio e sul suotour de force psicologico. Invece di chiedere al-

l'attore di calarsi nei panni del personaggio, Ferreri costruisce il personaggio sulla ba-

se della realtà fisica e spirituale dell'attore. Per questo la scelta degli interpreti è più im-portante - lo ha dichiarato tonte volte - della loro direzione durante le riprese, così co-meta selezione dei luoghi è prioritaria rispetto alle modalità stilistiche con cui verran-

no inquadrati. Ferreri tende a privilegiare sempre la materia rispetto alla forma dell'e spressione. L'attore viene scelto per quello che è, non per quello che ha l'abilità di sem-

brare. Non gli si richiede di utilizzare il proprio bagaglio professionale, di eseguire una prestazione, bensì di portare sul set il suo corpo, la forza della sua presenza: la-vorando innanzitutto sulla fisicitò, secondo il più tipico regime performativo, trasgre-dendo l'angusto mimetismo richiesto dai vincoli dell'interpretazione psicologicd. In uno

dei film più estremi e originali di Ferreri, Non toccare la donna bianca (1974), la reci-

tazione diventa esplicitamente un'esperienza ludica e straniata, in cui il rapporto ami-

cale e parentale fra gli interpreti intensifica il clima da commedia dell'arte e da teatro

dei burattini che governa la rappresentazione. • L'abolizione di una separazione netta tra attore e personaggio permette al regista di

utilizzare indifferentemente professionisti e non professionisti, corpi divistici - magari tra-

sfigurati, cambiati di segno - e corpi di sconosciuti reclutati per strada. Questo uso diretto dei materiali (ambienti e attori) trasforma la "messa in scena" clas-sica in una "messa in atto": una sorta di happening costante. Ferreri non esibisce il la-

voro del cinema ma il cinema al lavoro. In Chiedo asilo (1979) ciò è evidente come

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La figura del catalogo

Regista di trame visive e sonore anziché narrative, Ferreri si comporta come un pittore prerinascimentale catapultato in epoca postmoderna: compone figurazioni che si sot-

traggono alle logiche prospettiche e drammaturgiche, ed esibiscono una superficie bi-dimensionale, uno spazio e un tempo che infrangono le leggi del divenire, sia evolu-zionistiche sia dialettiche. La profondità dei suoi quadri va quindi ricercata altrove, dt

di là del sistema classico di rappresentazione: nell'impasto di materie e simboli -che li contraddistingue e nella ossessiva ripetizione degli stessi moduli iconografici. Solo co-sì si può cogliere la loro forza di vibrazione, la loro capacità di risuonare, portando l'eco di altri quadri e di altre vite.

O il cinemb di Ferreri si muove, infatti, su un orizzonte che, pur essendo in continua tra-formazione, mostra una permanente fissità. È come un pianeta che compie due rivo-.

z luzioni: una intorno a se stesso e un'altra attorno al mondo in cui di volta in volta si im-

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non mai: agli interpreti (Roberto Benigni ? i bambini di una scuola materna) viene la-sciata la libertà di recitare se stessi, di inventare dal vivo la scena, vanificando don so-

lo ogni idea precostituita di sceneggiatura, ma distruggendo la stessa nozione di set inteso come luogo della finzione cinematografica separata dalla realtà.

Attraverso questo metodo di lavoro Ferreri imprime alle proprie immagini una singola-

re forza vitale, un'icastica naturalezza che resiste anche alla tessitura simbolica, sem-pre presente nel suo occhio straniato e apparentemente indifferente, pronto a coglie-

re, senza enfasi, tutto ciò che devia dall'osservazione ordinaria e automatica della realtà 'circostante.

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merge. Le sue immagini si cprono costantemente alle dinamiche della realtà che cam-bia, catturano le forme sempre cangianti della contemporaneità, conservando, tutta-

via, quasi come effetto di stratificazioni geologiche, i resti di una vita cuateriore esclusi-

vamente soggettiva e fantastica. Il motivo del ritorno presiede alla concezione ferrenana dell'immagine, oltre che alka sua visione del mondo. In una figurazione si depositano sempre echi di altre figuira-

zioni: gli oggetti trasmigrano, modificandosi, da un film all'altro; i colori si richiama-no al di là delle diverse tele su cui vengono stesi; in ogni corpo si riverbera la luce o l'opacità dei corpi già dipinti; ciascun luogo reca inscritte in sé le tracce di un'esisten-

za passata. Tutto appare singolare in Ferreri, irripetibile nel proprio respiro vitale, e al contempo

cristallizzato in una storia anteriore, catalogato con ansia quasi enciclopedica. La forma del catalogo può funzionare come chiave di lettura del cinema ferreriano a

una molteplicità di livelli diversi: 1) È alla base della ricerca antropologica, che il regista persegue fin dagli esordi, portando avanti da un'opera all'altra un'ininterrotta schedatura delle specie viventi e dei loro habitat: spazi violati o esaltati dal kitsch corrosivo e febbricitante della mo-dernità che si mescola ai resti del mondo antico; corpi dolenti di maschi borghesi che hanno esaurito il proprio mandato storico; carni debordqnti di mitiche donne, animate da una straordinaria energia di ricreazione fantastica del mondo; bambini e vecchi che resistono o si piegano alle regole della civiltà; orde di emarginati e afri-cani che premono ai confini, con la forza e l'ebbra vitalità dei barbari guerrieri "pu-ri" di storia. 2) A livello tematico la forma del catalogo rappresenta un'ossessione che il regista tra-sferisce da se stes.so ai suoi personaggi. Dopo essersi autoraffigurato come collezioni-

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sta di farfalle nel film, d'esordio, tende sovente ad attribuire ai protagonisti delle sue opere manie classificatorie: lo schedario degli antenati morti nel reliquiario de L'ape .regina; il museo dei feticci della civiltà distrutta ne Il seme dell'uomo (1969) e in Ciao maschio (1978); l'inventario degli uomini di Margherita ne L'harem; l'elenco dongio-vannesco delle donne in Storie di ordinaria follia (1981) e Diario di un vizio; la lista

• delle vivande e la rubrica delle funzioni fisiologiche ne La grande abbuffata. L'ultimo film, Nitrato d'argento (1996), altro non è, infine; che un repertorio di vecchie imma-gini del cinema e della storia passata.

3) A livello estetico la forma del catalogo si manifesta essenzialmente in due modi: da o un lato definisce il procedimento antinarrativo del regista, che dispone le inqtiadrature

una accanto all'altra, per contiguità e accumulazione, senza nessi gerarchici; dall'al-tra diventa la modalità compositiva della singola inquadratura, in cui si accumulano oggetti, colori, corpi e gesti destinati a tornare in altre inquadrature secondo costanti figurative.

Non è azzardato, di conseguenza, disporre l'inquadratura ferreriana all'interno di un z catalogo iconologico - o di un "atlante" per adoperare la terminologia di Aby War-

burg - la cui compattezza è garantita dai continui rimandi intertestuali che si stabilisco-no tra i vari film. 3

ta per lui una sorta di soglia trclil mondo della storia e quello della natura. Il mare, di-

o . chiara, «è fatto del liquido sacro della nostra vita, li mare siamo noi. Ogni volta che un essere umano vede la vita, esce clal mare, come ne è uscito prima di essere homo sa-

z piens. lo penso che il mare è una cosa che torna sempre. La visione del mare mi toni-

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. L'icona del mare, per esempio, rimbalza da un film all'altro, suscitando una forte eco _

& simbolica. Ferreri è un pittore ossessivo di marine: non tanto di flutti e dr navigazioni, ,

,. « . quanto di rive. Gli interessa la linea che divide la terra dall'acqua, la quale rappresen-

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fica. I ritmi biologici dl mzire sono i ritmi dell'esistenza dell'uomo»s. Il mare rappresen-ta dunque l'origine rimossa dell'Uomo. A esso il regista affida sovente il ruolo di occu-pare l'ultima inquadra—tura del film, siglandone il senso più profondo. Molte altre immagini potrebbero éssere raccolte in questo catalogo: i simboli religiosi, ad esempio i .procifissi, dre vengono rappresentati spessò attraverso accostamenti bla-sfemi con altri oggetti (il canestro ne L'ape regina, la pistola in Dillinger è morto, il ser-pente in Diario di un vizio); le funzioni fisiologiche (cibo e sesso) ossessiva- mente mite-

,ilate;-le--panceincinte e i seni allattanti; i manichini, le maschere e le bambole visti co-me feticci sostituitivi della carne; le immagini filmiche proiettate sui corpi dei personag-gi; lo schermo televisivo acceso senza tregua in tutti i film; gli animali presenti in una grande varietà di specie tanto da costituire un vero e proprio bestiario, che configura un mondo parallelo a quello dell'uomo e, come nelle favole di Esopp, propone una personificazione della fenomenologia esistenziale.

Oltre a queste immagini oggettuali, Ferreri ha l'abitudine di trasporre da un'opera al-l'altra persino impasti cromatici e vibrazioni luministiche che rappresentano in tutto e per tkittp l'equivalente della maniera di un pittore: si pensi, fra l'altro, ai rossi accesi che guizzano in Dillinger è morto, Storia di Piera, I Love You, La carne (1991) e altrove. Immergersi nell'opera di Ferreri significa anche partecipare a un gioco, a un censimen-to tendenzialmente inesauribile delle figurazioni e dei colori, che vagano senza tregua da un film all'altro e in questa loro labirintica dislocazione delineano percorsi di sen-so,. lasciano impronte che è compito dello spettatore seguire. L'immagine dell'uomo in-sabbiato in Diario di un vizi-o-non rimanda frpfse, rida sua-ascendenzo buriteliana o

5 Marca Ferreri: «Faire sentir le sentiment animar des rappcirts, un sehtiment sacré...», intervista a cura di Chri-

stophe Pellet, «Cinéma», 295-296, luglio-agosto 1983.

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beckettiana, a quella già vista ne L'ape regina? E il naso finto di Benito in Diario di un vizio non rievoca forse quello di Serking in Storia di ordinaria follia, oltre a prefigura-re l'attributo del poeta-buffone rabelaísiano in «Faictz ce que vouldras» (1994)?

Il corpo e la .storia

I temi del cinema ferreriano non sono molti e possono essere ricondotti tutti a uno stes- a z so paradigma: la contrapposizione tra l'ordine normativo costituito e un'insopprimibile o violenza pulsionale.

Fin dai primi film le istituzioni sociali e religiose vengono rappresentate come dispo-sitivi che negano l'istintività biologica. L'uomo ferreriano è.un individuo solo e dispe- rato, sopraffatto dall'edificio della civiltà, che occulta, mistifica e reprime i suoi biso- gni primari.

La storia è percepita come snaturamento: allontana l'uomo dalle sue origini animali; z provoca una perdita progressiva della fisicità, che, per Ferreri, rappresenta la dimen-

sione più autentica del vivere. Alle costruzioni razionali dell'uomo civilizzato egli con- trappone gli istinti dell'uomo primitivo ed esalta l'irrazionalità come forma di ribellio-=

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6 Perché ho fatto un film fisiologico, intervista a cura di Paolo Mereghetti, «Cineforum», 13-2-,-maggio 1974, pp. 323-324.

ne. Il corpo, concepito come «l'unica tragica realtà di questa vita»6, co—stituisce ai suoi occhi il solo strumento di conoscenza de t mondo e di se stessi a disposizione dell'uo-_ mo: conoscenza che si realizza attraverso il contatto e si radica nell'esperienza, sen-za mai trascenderla. Solamente nella propria corporeità l'individuo può ricercare il

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senso tragica.e misterioso dell'esistenza. Anche se martoriato e vilipeso dalla storia, il corpo esprime ancora una grande forza anarchica e incontrollabile, naturalmiénte

eversiva. A ben guardare, tutti i film di Ferreri non rappresentano altro che variazioni su questo. ossimoro martellante: il conflitto insanabile tra il corpo e la storia. I temi del ciba, del-la morte, del sesso, della dialettica tra maschile e femminile, che tanta parte hanno nel • suo cinema, costituiscono i corollari di un medesimo postulato. Il corpo viene messo in scena come una trinità: l'uomo, la donna e l'animale, o\/ero i tre termini della creazione. Fin dalle prime opere l'animale ha la funzione di portare

nel regno della storia i segni rimossi dello stato di natura: non è soltanto un compagno di vita ma un monito all'uomo affinché non perda il rapporto con le proprie origini. Non a caso i gesti di rivolta dei personaggi ferreriani contro la società, i momenti di ri bellione all'ordine della storia, sono sempre sottolineati da esplasioni animalesche. Al-lo stesso modo l'esplicazione delle funzioni fisiologiche legate al cibo e al sesso assu-me spesso un carattere bestiale.

L'animple non ha mangiato il frutto dell'albero della conoscenza, come l'uomo e la donna, e non è dunque costretto all'interno di un codice comportamentale fondato sul-la separazione del bene dal male. I suoi movimenti non sono motivati ma necessari. A partire dalla seconda metà degli anni '70, nei film di Ferreri compare l'immagine del bambino assimilato allo stesso ruolo dell'animale: è l'emblema di un uomo non anco-ra strutturato, non definitivamente omologato ai modelli istituzionali. L'equivalenza tra queste due figure viene apertamente teorizzata in Ciao maschio, dove la scimmia Cor-nelius, presentata grottescamente come il Redentore, diventa il simbolo dell'infanzia dell'umanità, su cui si avventa la furia omicida dei topi usciti dalla fogna della civiltà. Contro il progresso Ferreri invoca il regresso: il desiderio di un ritorno - della cui impos-

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z reriano. I rituali sociali sono, letteralmente e metaforicamente, rituali di eliminazione fisica.

-z Quando Ferreri raffigura i ruoli storici del femminile e del. maschile, uniti nella "cop- pia", la rappresentazione culmina con un sacrificio. La coppia, in quanto cellula del- =

. l'apparato sociale, assente in natura - dove funziona al contrario la promiscuità -, é l'i- stituzione legalizzata di un rapporto di sopraffazione, dall'esito quasi sempre fatale.

. N soggetto e l'ogg.etto di questa violenza sono reversibili, mutano continuamente come il , cd

diritto e il rovescio di una stesa pagina. Se ne L'ape regina, che scatena sull'autore pe- .

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La storia crea dunque un uomo artificiale, separato dal proprio corpo, il cui simbolo più <evidente è il manichino (la maschera, la bambola) che tanto spesso ricorre nel cinema fer-

o santi accuse di misoginia, la violenza è esercitata dalla donna, nel film successivo, La don-

7 Entretien avec Marco Ferrer), a cura di Paolo Mereghetti, «Positif», 207, giugno 1978, p.18.

sibilità ha perfetta coscienza - a uno stadio pre-storico, ore-sociale, addirittura pre-lin-guistico dell'esistenza.

Esiste qualcosa d'altro che la Storia - dichiara nel '78 -. L'uomo è qualcosa di più che la sua storia, che la sua civiltà. Per il semplice fatto che questa civiltà è finita e l'uomo non lo è [...j. lo non voglio credere che il solo mezzo che ha l'uomo di conoscere se stesso sia cercare fuo-ri di sé, altrimenti non potrebbe che tirarne la conclusione che kgià morta, come è morta la civiltà, lo non voglio identificarmi con il riflesso di me stesso, perché lo specchio è rotte.). È più probabile che l'uomo vero, .che è cill'interno di ciascuno di noi, sia quello che incideva ilsonté a otto zampe nelle grotte di Altamira, o la scimmia pelosa che Flaxman in Ciao ma-schio scopre appena prima di 'morire, piuttosto che il taricetto di uomo che ci trasmette la ci-viltà [...]. I cani vivono, le scimmie vivono grazie alla loro. animalità, sicuramente non grazie alla Storia: E non vedo perché, per l'uomo, non dovrebbe essere lo stesso7. •

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no scimmia, i rapporti si ribaltano: è l'uomo che sfrutta la donna attraverso il matrimonio.

Vittima e carnefice si scambiano incessantemente -te parti perché sono pedine di un gio-

co sbagliato. L'errore è a monte, nel modello che li costringe e li sovrasta. Ne L'harem il

persontrggio femminile cerca di sottrarsi a questo schema tradizionale della coppia alle-stendo un harem al contrario. I maschi la uccideranno, attraverso un rituale parodicamen-

te religiosarristabilendo, così, il poterè fallocratico che la donna ha cercato di destituire.

Dall'analisi della coppia inquadrata nell'era del consumismo (Marcia nuziale, 1966)

e soggetta ai meccanismi dell'alienazione (Dillinger è morto) Ferreri passa, a cavallo

degli anni '60-'70, alla rappresentazione di una coppia dai contorni più astratti, che vive in una dimensione esplicitamente metaforico: la coppia post-atomica de Il seme dell'uomo, incapace di rifondarsi su moduli diversi da quelli vigenti nella società da cui proviene come relitto storico; la coppia de La cagna, che ricerca un equilibrio uomo-donna ispirato al rapporto uomo-animale, vagheggiando una irrealizzabile ricomposi-zione di ruoli armonici fuori dalla civiltà. In questi film Ferreri irride apertamente i miti romantici del naufrago e del buon selvaggio - recuperati dalle utopie sessantottesche in formule alla moda - e li rappresenta all'insegna di una fuga dell'uomo da stesso, piutto,sto che come-recupero di un'identità perduta. Il suo sguardo catastrofico nega la possibilità di un'alternativa e di un altrove rispetto alla storia. Nessun regresso, nessun ritorno sono davvero possibili se non attraverso le proiezioni di una coscienza che gio-co con se stessa, con le proprie illusioni. Natura e inconscio sono anch'essi costruzio-ni di una mente plasmata dalla storia. Perciò la natura - che continua a mostrare sol-tanto.la sua sublime e tragica indifferenza - non può diventare oggetto di nostalgia e di rimpianto: sentimenti compensatori e pacificatori che Ferreri .è pronto a irridere e de-mistificare. Non esiste, dunqu.e, altra maniera per liberarsi dalle costrizioni della civil-tà che la soluzione estrema della morte.

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Da Break-up in avanti i personaggi ferreriani muoiono non più soltanto perché sono

schiacciati dalle dinamiche sociali, come avveniva nei film precedenti, ma perché ten-tano di rompere i modelli istituzionali, senza trovare realmente una via di scampo al- • l'infuori dell'autodistruzione. Il suicidio. dei quattro protagonisti de la grande abbuffa-ta è

il più esemplare, nella sua apparente mancanza di senso e di prospettive: il cor:s po non trova altro modo per affermare le proprie ragioni, la propria forza d'urto, che quello di esaltare le sue funzioni vitalistiche fino al punto di rivolgerle contro se stesso. li cibo, il sesso e gli escrementi smettono di essere legati alla soddisfazione dei biSo-

gni naturali e divengono riti di trasformazione del corpo in cadavere. l'unica,libertà

che l'individuo può ancora esercitare è quella di darsi la morte. I personaggi de la grande abbuffata sono avvolti in una spirale di autonegazioni. Il loro suicidio è l'espressione di uno ricerca disperata al di là dei tracciati della storia che altri protagonisti ferreriani continueranno a perseguire, come il Lafayette di

Ciao maschio o il Roberto di Chiedo asilo. In quest'ultimo film l'atto estremo, che in Ciao ma-schio si delinea 'ancora come gesto di rivolta e, insieme, di impotenza, acquista una

più forte connotazione archetipica. Regredendo nel mare, Roberto si avvicina il più _ possibile a un'armonia originaria perduta, forse irraggiungibile. «Sarà vero - dice un attimo prima di immergersi - che il mare è la nostra madra».

L'uomo fisiologico

o Dalla seconda metà degli anni '70 fino agli ultimi film Ferreri insiste ossessivamente sul concetto di «uoroo storico», che rappresenta il prodotto di una civiltà in rovina, e su quello contrapposto di «uomo fisiologico», che vive in sintonia con il Oroprio destino

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naturale, come gli animali. Tra queste due figure inserisce quella dell'«uomo di trans-izione», tipologia che caratterizza la maggior porte dei suoi personaggi maschili, alla deriva tra il passato e il futuro, tra una cultura ormai inutilizzabile e la ricerca doloro-

sa di via nuove. Ne L'ultima donna l'autoca-gfrazione del protagonista manifesta, ana-

logamente al suicidio di tanti personaggi ferreriani, un anelito al cambiamento e alla

libertà. Il maschio di questo film si confronta cori una donna che non corrisponde più al modello tradizionale e, divenuto «un patriarca senza famiglia», spezza il simbolo

del proprio potere decaduto. Rappresentando la coppia come emanazione alienata di una società alienante (le vii-

les nouvelles, i centri commerciali), Ferreri mostra che la caduta dei valori della socie-

tà, coincidendo con quella dei valori maschili, colpisce in primo luogo il suo massimo artefice e destinatario: l'uomo appare il soggetto più fragile, il meno capace di reagi-re allo sgretolamento dei ruoli sociali. Al contraria la donna, essendo rimasta a lungo esclusa dai modelli storici del potere, ha mantenuto un rapporto più diretto con la na-tura e ha sviluppato un mondo fantastico infinitamente più aperto e più libero. Ferreri guarda alla femminilità come a una forza di rigenerazione. Lo fa, naturalmen-te, da un punto di vista maschile: le sue donne non rappresentano soltanto l'alterità bio-

logica, ma costituiscono la parte femminile dell'uomo, -incarnano l'apertura sensoriale

e irrazionale che il_ maschio si è a lungo negata nell'adempimento della propria mis-sione storica. In base a tali considerazioni Ferreri non sembra discostarsi dalla conce-zione corrente, direi quasi dal luogo comune della cultura maschile, che da sempre at-tribuisce alla donna il bagaglio istintuale e all'uomo il corredo razionale. In realtà il suo entusiasmo verso la femminilità va oltre il semplice discorso sulla differenziazione dei sessi ed esprime uno slancio utopico, di ricerca di nuove prospettive antropologi-che: non riguarda il genere, ma la specie, come egli stesso ha sottolineato.

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La donna protagonista di Storia di Piera e de II futuro è donna è il corrispettivo dell'a-nimale e del bambino. Il suo corpo è un autentico mistero religioso, aperto e fluido co-me la natura in cui è immerso. Per la prima volta Ferreri abbandona le difese del grot-tesco e della parodia per calarsi direttamente nel mito. La donna in questi film è proiet-

tata in un !orizzonte che va al di là della storia: vive in una dimensione sospesa, abita lo spazio e il tempo della sacralità.

La fascinazione verso il suo corpo, in qualche modo divino, non viene tuttavia espres-sa qui per la prima volta. Già nei film precedenti Ferreri aveva mostrato un idoleggia-

mento, talvolta velato di paura, davanti alla femrninilità, rappresentandola come cor- o poreità irraggiungibile: l'ape regina è una dea statuaria che fulmina e fugge; íci don-

na scimmia è una sorta di santa mostruosa; la prostituta Cass in Storie di ordinaria fol-lia è un corpo fantastico creato dal desiderio maschile che si ribella chiudendosi la va-gina con uno spillane (gesto analogo alla castrazione del protagonista de L'ultima donna); il pube infiorato di Angelica in Ciao maschio rappresenta la nostalgia di un impossibile rapporto naturale e armonico con il corpo.

z l personaggi maschili di Ferreri hanno spesso atteggiamenti regressivi: sono sedotti dal

seno che allatta e dal ventre gravido. Attraverso questi motivi iconografici ricorrenti il corpo della donna si rivela costantemente come il grembo della natura: un luogo che contiene—gli enigmi e il senso della vita.

Nel momento in cui mette in scena l'attrazione maschile verso la maternità, Ferreri ne rappresenta anche il risvolto tragico: la morte suggella quasi fa' talmente il mistero del-la nascita, ne è il correlato necessario. Ne l'ape regina Alfonso muore mentre Alfon-

o sino viene al mondo; ne La donna scimmia è la madre stessa che perisce partorendo un mostro; ne II futuro è donna il maschio muore per proteggere il feto che sta nella

z pancia della donna; in Ciao maschio il suicidio del protagonista maschile precede di

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poco la nascita del figlio; in Chiedo asilo il padre scompare nel mare con il figlio pu-

tativo, mentre-4 figlio carnale emette il suo primo vagito. È come se, ih fin dei conti, la

nascita esigesse un sacrificio, reale o simbolico. Muore l'uomo vecchio per far posto

all'uomo nuovo. Nascendo, il figlio uccide il padre. Alla fascinazione masChile per la maternità corrisponde la paura della paternità che

anima frequentemente i personaggi ferreriani. In Ciao- maschio Depardieu adotta una

scimmia come sostituto del figlio naturale rifiutato; in Chiedo asilo Benigni si lega a un

bambino altrui mostrando imbarazzo per il figlio carnale; in I Love You Lambert con-

segna alla moglie un bambolotto come simulacro del figlio che non vuole generare. In questo film, d'altra parte, tutti i corpi sono estinti, sostituiti da maschere e feticci. Il pro-tagonista intrattiene un rapporto d'amore con un portachiavi dalle fattezze femminili,

così come, venti anni prima, il Tognazzi dell'ultimo episodio di Marcia nuziale si era

scelto una partner di gomma dal nome significativo di Mia. Tutta l'opera ferreriana è un avvicendarsi continuo di negazioni e concessioni all'im-magine archetipica; un sgguito ininterrotto di atti sconsacranti e di gesti consacranti, d_ij

ridimensionamenti grotteschi e di slanci utopici, metafisici. Il grande corpo della donna, incommensurabile come quello del mare davanti a cui si

pone in Ciao maschio, Storia di Piera e Il futuro è donna, viene nuovamente irriso ne

La carne, dove Ferreri ricorre a tutta la sua attrezzatura allegorica per rappresentare, con fine autodistruttivo, un'immagine della femminilità che è il calco vuoto delle pro-

prie figurazioni precedenti, il loro rovesciamento funebre. Ne La carne i corpi divengo-

no sagome irreali di replicanti, simulacri di simulacri. Attraverso la messa in scena del rito cannibalico quale parodia del mistero cattolico della comunione, l'autore gioca

sull'icona del corpo femminile come carne di consumo sociale. La perdita di spirituali-

tà della donna (che si macchia del peccato di rifiutare la maternità) corrisponde alla

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sua privazione di animalità.autentica. Non c'è più niente di reale nel film: anche il lin-

guaggio è ridotto a un seguito di frasi fatte e di citazioni. Se in Ciao maschio e in Chie-

do asilo il rifiuto della parola implicava una ribellione alla storia, qui la sua forma ma-

scherata costituisce il segno della irrealtà della storia.

La carne è l'ultimo baluardo ferreriano della negatività: dissonante fino all'isteria nel-le sue figurazioni, nelle sue metafore, nei suoi colori; distruttivo e impietoso nel suo

sguardo antropologico sull'uomo contemporaneo. Immediatamente, prima e subito do-po, Ferreri dipinge due ritratti di esseri fisiologici, sottratti sia all'aura assolutizzante del

mito, sia a quella relativizzante della derisione grottesca. Adelina, la protagonista de z o La casa del sorriso (1991), rappresenta, con la sua dentiera da vampiro, la levità ani- &

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I ci storia. Benito, il protagonista di Diario di un vizio, incarna quell'equazione maté-

ria=spiritualità che da sempre Ferreri va inseguendo. In mezzo alle strade e di fronte

al mare, il suo corpo carico di pensieri rivela finalmente il mistero divino inscritto in ogni .

esistenza comune e ordinaria. Benito è un individuo apparentemente "senza qualità", ma finalmente aperto con tutti i suoi sensi al mondo, in dolente armonia con il proprio

destino naturale, fatto insieme di vita e di morte. Liberandosi-da ogni sovrastruttura

ideologica, egli non ha ovviamente risolto il conflitto tra la civiltà, nell'accezione freu-.

diana del termine, e le pulsioni: è un essere radicato nel vuoto —e nella sofferenza, che

semplicemente si abbandona al "rumore della vita", lieto e tragico nello stesso tempo.

o Questa filosofia del corpo alimenta la filosofia del cinema che Ferreri ci propone nel

w suo ultimo film, Nitrato d'argento. Qui l'autore riporta alla luce un'idea di cinema or-

mai superata dalla crescente medializzazione della società, la—quale produce, da una

malesca che la vecchiaia condivide con l'infanzia. Vicina ai corpi primitivi e giocosi

degli immigrati, la sua icona carnevalesca recupera la grazia della creatura che vaga libera per il Mondo, senza più crediti da riscuotere nella società o debiti da pagare al-

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parteja progressiva smaterializzazione del corpo nella rete virtuale e, dall'altra, la perdita di socialità del consumo cinematografico, ridotto a un rito individuale e solita-

rio, vissuto davanti agli schermi televisivi e del computer. Ferreri esalta, al contrario, il cinema come una cerimonia fisiologica officiata nelle grandi.sale del passato: veri e propri templi laici, dove lo spettatore sperimenta il rilavimento e il contatto dionisiaco

con gli altri corpi. Il cinema viene rappresentato come la versione novecentesca degli antichi misteri religiosi: un luogo dove si mescolano le razze e le classi sociali, dove si

intraprende una dialettica cóstante tra le immagini dello schermo luminoso e la comu-nità degli spettatori, intrecciando i loro sogni e i loro impulsi. Ma all'inizio e alla fine

di Nitrato d'argento appare una sala piena di manichini, metafora della odierna frui-

zione cinematografica: i corpi degli spettatori sono definitivamente spariti e il cinema,

nell'era.digitale, è diventato solo un reperto archeologico. Alla constatazione della fine della civiltà occidentale e del suo concetto di storia si ag-giunge ora, per Ferreri, l'idea della morte del cinema. Cosa rimane in questo panora-ma di detriti? Restano gli uomini e i film, uniti dalla precarietà e insondanbilità dei ri-

spettivi destini.