FOTO ZANCHI Ecco l’uomo che fa parlare orli e ricami «E pensare … · i fili verticali...

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12 Economia L’ECO DI BERGAMO MARTEDÌ 19 MAGGIO 2015 DENTRO LA FABBRICA Realtà globale: 8 stabilimenti e 3 uffici commerciali S ono otto gli stabilimen- ti del Cotonificio Albi- ni. Al quartier generale di Albino, si aggiungo- no, in Italia, il polo logi- stico di Gandino, varato nel 2008; il finissaggio di Brebbia (Varese) del 1996; la tessitura di Mottola (Taranto) aperta nel 2003; e la filatura di Ceto (Bre- scia) del 2012. All’estero, Albini è presente dal 2002 con una tes- situra a Letohrad, in Repubblica Ceca; dal 2009 in Egitto con la tessitura Mediterranean Texti- le e dal 2010 con la tintoria Delta Dyeing, entrambe a Borg El Arab. Ci sono poi tre uffici com- merciali: Shanghai (2011), Hong Kong (2013) e New York (2014). Mario Mismetti lavora al Cotonificio Albini da 36 anni. Il primo incarico fu una settimana di pulizie. Oggi è responsabile dell’area produttiva ad Albino FOTO ZANCHI Ecco l’uomo che fa parlare orli e ricami «E pensare che ho iniziato dalle pulizie» La firma di Mario Mismetti dietro il marchio di fabbrica scritto sui bordi dei tessuti più pregiati La sua soddisfazione più grande? L’attenzione dei figli per «le stoffe più belle del mondo» SILVANA GALIZZI Da buon bergamasco, Mario caccia indietro l’emozio- ne. Ma gli occhi non tradiscono: quei due figli che dal mestiere del padre qualcosa hanno assi- milato, uno seguendolo in azienda e l’altro portando un approfondimento sul Cotonifi- cio Albini al suo corso di Econo- mia che sta seguendo con l’Era- smus in Olanda, sono il suo pre- mio più grande. Eh già, perché papà da sem- pre fa «le stoffe più belle del mondo» e lui con orgoglio lo sottolinea: «Facciamo i tessuti per i camiciai di Jermyn Stre- et», quelli per intenderci che vestono anche il principe Carlo. E in perfetto bergamasco evi- denzia: «Lavorano proprio be- ne, camicie fini le loro». Mario Mismetti, 52 anni, di Albino, una vita al Cotonificio, in azienda è detto «l’uomo che fa parlare le cimosse» e a ricor- dare quell’avventura gli viene ancora la pelle d’oca. L’idea era dare un tocco in più ai tessuti con una personalizzazione, una sorta di timbro di fabbrica, scritto sottile sottile sui bordi delle pezze. Si trattava quindi, diretta- mente durante la tessitura, di scrivere, quasi ricamare, il mar- chio David & John Anderson, una delle linee di punta di Albi- ni, sul margine dei tessuti. Ope- razione sartoriale che non am- mette errori, pena rifare tutto. «All’inizio avevamo un po’ pau- ra: era un progetto nuovo per tutti e ce lo siamo dovuto inven- tare da zero. Però ce l’abbiamo fatta e vedere le prime scritte è stata una grande soddisfazio- ne», ricorda, con un briciolo di ironia per i primi tentativi usci- ti magari in un inglese un po’ scivoloso. Da qualche anno Mismetti, sportivo a tempo perso, che si divide in base alle stagioni tra sci e bicicletta con una puntati- na estiva sulle tavole da surf, è responsabile dell’area produt- tiva ovvero incorsatura, tessi- tura e controllo dei tessuti greggi: totale, 175 persone. Ma tutto è cominciato tanti anni fa da una settimana di pulizie. È il 1979. Mario ha 16 anni e sa già cosa vuol dire lavorare. Durante la scuola media, d’estate andava a pitturare le ringhiere. Un giorno gli capita di tinteggiare quelle di un arti- giano tessile, che dopo gli studi lo chiama in azienda. Passano un paio d’anni poi, complice una zia che già ci lavorava, pro- va a bussare da Albini: «Oggi si fanno i colloqui. Allora ti pre- sentavi al cancello e ti diceva- no: vieni tu. Il Cotonificio era un miraggio e una fortuna, co- me oggi». Di prassi, racconta Mario, il primo passo sono le pulizie: «Io però avevo già lavorato due an- ni a caricare telai. Così, dopo una settimana di pulizie, mi hanno spostato subito». Lavoro di fatica, il caricamento delle macchine: il subbio con avvolti i fili verticali dell’ordito è di- scretamente pesante. Dopo sei, sette anni le re- sponsabilità iniziano ad au- mentare: Mario diventa prima vice assistente, poi assistente, poi capo sala ed infine respon- sabile di produzione. Ma lo spi- rito operaio è rimasto: «È bello fare questo lavoro. C’è sempre stata collaborazione, amicizia. Così si vive bene in fabbrica: si lavora e ci si aiuta». E si svilup- pano competenze tecniche che crescono e cambiano nel tem- po: «Oggi facciamo tessuti su- perfini che erano impensabili fino a sette, otto anni fa. Albini ha sempre creduto nell’azienda e ha sempre investito in mac- chinari al top. Ma dietro ogni impianto ci sono le persone che fanno la differenza nella quali- tà e nella resa. Ogni fermata è un potenziale difetto. Negli an- ni siamo passati da tanta mec- canica a tanta elettronica. Il telaio fa quello che gli dici e quando arrivano visitatori esterni, che si stupiscono per i dettagli del nostro lavoro, capi- sci che tutto ciò che facciamo qui non è per niente banale. È un mestiere complesso e vario. Ci vuole una grande professio- nalità nel trattare i filati, nel riconoscerne il titolo e i colori. Ogni anno abbiamo 20 mila nuove varianti di tessuti. Non è poco. E tutti i giorni c’è da imparare». Per questo le doti migliori sono la disponibilità e la voglia di fare, di misurarsi. «Se c’è un consiglio che si può dare ai gio- vani è proprio questo: mettersi sempre in gioco, puntando sul- le proprie capacità e sulle pro- prie forze». Oggi anche il mestiere del- l’operaio viene rivalutato: «Con la crisi che c’è, credo che i giova- ni siano pronti a farlo». Ven- t’anni fa, invece, si faceva fatica a trovare personale: i turni e il lavoro di domenica spaventa- vano. «Ma anche fare la notte alla fine non è così faticoso. Il lavoro è anche più tranquillo. È più una questione fisica di abitudine. Ricordo che a fine anni Novanta gli spazi qui non bastavano più. Si passò allora da due a tre turni, ma c’era chi era contrario. Così io e altri volontari ci siamo messi sulla notte fissi per un anno. Ero gio- vane...». Ride. Partito da una settimana di pulizie, dopo 36 anni di tessuti Albini, Mario mette ancora in ogni cosa lo stesso impegno del primo giorno. Guarda oltre il Cotonificio, a questa Italia così bella e così ferita e pensa alle generazioni che verranno: «Speriamo che la crisi finisca davvero. Nei paesi senti di per- sone in cassa integrazione, con il mutuo da pagare, o addirittu- ra che hanno perso il lavoro. Senti nell’aria che manca la tranquillità. Speriamo che la ripresa arrivi e ne riporti un po’». Speriamo. Per i nostri figli, che ci guardano e qualcosa di buono potranno imparare. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Nella preparazione dei filati destinati alla tessitura c’è ancora molto lavoro manuale di precisione La scheda Nel gruppo quasi 1.400 lavoratori Il Cotonificio Albini ha chiuso il 2014 con il fatturato in crescita a 143 milioni dai 129 milioni dell’an- no precedente. Un trend in costan- te risalita dai 102 milioni che si erano registrati nel 2009, dopo la flessione seguita allo scoppio della crisi internazionale. L’export rappresenta oggi oltre il 70% e raggiunge più di 80 Paesi in tutto il mondo. Il gruppo conta 1.379 persone. Solo in Bergamasca, tra Albino, Gandi- no e la società Albini Energia, sono 676, giusto la metà. Solo ad Albino gli operai sono 393. A Gandino sono 87. Nella distribuzione fra uomini e donne, in provincia prevalgono le seconde: sono 470. A livello di gruppo, invece, è un testa a testa. Se si considerano tutte le realtà Albini, estero com- preso, gli operai sono 1.116. Cotonificio Albini /4

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12 EconomiaL’ECO DI BERGAMO

MARTEDÌ 19 MAGGIO 2015

DENTRO LA FABBRICA

Realtà globale: 8 stabilimentie 3 uffici commerciali

Sono otto gli stabilimen­ti del Cotonificio Albi­ni. Al quartier generaledi Albino, si aggiungo­no, in Italia, il polo logi­

stico di Gandino, varato nel 2008; il finissaggio di Brebbia (Varese) del 1996; la tessitura diMottola (Taranto) aperta nel 2003; e la filatura di Ceto (Bre­

scia) del 2012. All’estero, Albini è presente dal 2002 con una tes­situra a Letohrad, in RepubblicaCeca; dal 2009 in Egitto con la tessitura Mediterranean Texti­le e dal 2010 con la tintoria DeltaDyeing, entrambe a Borg El Arab. Ci sono poi tre uffici com­merciali: Shanghai (2011), HongKong (2013) e New York (2014).

Mario Mismetti lavora al Cotonificio Albini da 36 anni. Il primo incarico fu una settimana di pulizie. Oggi è responsabile dell’area produttiva ad Albino FOTO ZANCHI

Ecco l’uomo che fa parlare orli e ricami«E pensare che ho iniziato dalle pulizie»La firma di Mario Mismetti dietro il marchio di fabbrica scritto sui bordi dei tessuti più pregiatiLa sua soddisfazione più grande? L’attenzione dei figli per «le stoffe più belle del mondo»

SILVANA GALIZZI

Da buon bergamasco,Mario caccia indietro l’emozio­ne. Ma gli occhi non tradiscono:quei due figli che dal mestieredel padre qualcosa hanno assi­milato, uno seguendolo inazienda e l’altro portando unapprofondimento sul Cotonifi­cio Albini al suo corso di Econo­mia che sta seguendo con l’Era­smus in Olanda, sono il suo pre­mio più grande.

Eh già, perché papà da sem­pre fa «le stoffe più belle delmondo» e lui con orgoglio losottolinea: «Facciamo i tessutiper i camiciai di Jermyn Stre­et», quelli per intenderci chevestono anche il principe Carlo.E in perfetto bergamasco evi­denzia: «Lavorano proprio be­ne, camicie fini le loro».

Mario Mismetti, 52 anni, diAlbino, una vita al Cotonificio,in azienda è detto «l’uomo chefa parlare le cimosse» e a ricor­dare quell’avventura gli vieneancora la pelle d’oca. L’idea eradare un tocco in più ai tessuticon una personalizzazione, unasorta di timbro di fabbrica,scritto sottile sottile sui bordidelle pezze.

Si trattava quindi, diretta­mente durante la tessitura, discrivere, quasi ricamare, il mar­chio David & John Anderson,una delle linee di punta di Albi­ni, sul margine dei tessuti. Ope­

razione sartoriale che non am­mette errori, pena rifare tutto.«All’inizio avevamo un po’ pau­ra: era un progetto nuovo pertutti e ce lo siamo dovuto inven­tare da zero. Però ce l’abbiamofatta e vedere le prime scritteè stata una grande soddisfazio­ne», ricorda, con un briciolo diironia per i primi tentativi usci­ti magari in un inglese un po’scivoloso.

Da qualche anno Mismetti,sportivo a tempo perso, che sidivide in base alle stagioni trasci e bicicletta con una puntati­na estiva sulle tavole da surf, èresponsabile dell’area produt­tiva ovvero incorsatura, tessi­tura e controllo dei tessutigreggi: totale, 175 persone. Matutto è cominciato tanti anni fada una settimana di pulizie.

È il 1979. Mario ha 16 anni esa già cosa vuol dire lavorare.Durante la scuola media,d’estate andava a pitturare leringhiere. Un giorno gli capitadi tinteggiare quelle di un arti­giano tessile, che dopo gli studilo chiama in azienda. Passanoun paio d’anni poi, compliceuna zia che già ci lavorava, pro­va a bussare da Albini: «Oggi sifanno i colloqui. Allora ti pre­sentavi al cancello e ti diceva­no: vieni tu. Il Cotonificio eraun miraggio e una fortuna, co­me oggi».

Di prassi, racconta Mario, il

primo passo sono le pulizie: «Ioperò avevo già lavorato due an­ni a caricare telai. Così, dopouna settimana di pulizie, mihanno spostato subito». Lavorodi fatica, il caricamento dellemacchine: il subbio con avvoltii fili verticali dell’ordito è di­scretamente pesante.

Dopo sei, sette anni le re­sponsabilità iniziano ad au­mentare: Mario diventa primavice assistente, poi assistente,

poi capo sala ed infine respon­sabile di produzione. Ma lo spi­rito operaio è rimasto: «È bellofare questo lavoro. C’è semprestata collaborazione, amicizia.Così si vive bene in fabbrica: silavora e ci si aiuta». E si svilup­pano competenze tecniche checrescono e cambiano nel tem­po: «Oggi facciamo tessuti su­perfini che erano impensabilifino a sette, otto anni fa. Albiniha sempre creduto nell’azienda

e ha sempre investito in mac­chinari al top. Ma dietro ogniimpianto ci sono le persone chefanno la differenza nella quali­tà e nella resa. Ogni fermata èun potenziale difetto. Negli an­ni siamo passati da tanta mec­canica a tanta elettronica. Iltelaio fa quello che gli dici equando arrivano visitatoriesterni, che si stupiscono per idettagli del nostro lavoro, capi­sci che tutto ciò che facciamo

qui non è per niente banale. Èun mestiere complesso e vario.Ci vuole una grande professio­nalità nel trattare i filati, nelriconoscerne il titolo e i colori.Ogni anno abbiamo 20 milanuove varianti di tessuti. Nonè poco. E tutti i giorni c’è daimparare».

Per questo le doti migliorisono la disponibilità e la vogliadi fare, di misurarsi. «Se c’è unconsiglio che si può dare ai gio­vani è proprio questo: mettersisempre in gioco, puntando sul­le proprie capacità e sulle pro­prie forze».

Oggi anche il mestiere del­l’operaio viene rivalutato: «Conla crisi che c’è, credo che i giova­ni siano pronti a farlo». Ven­t’anni fa, invece, si faceva faticaa trovare personale: i turni e illavoro di domenica spaventa­vano. «Ma anche fare la nottealla fine non è così faticoso. Illavoro è anche più tranquillo.È più una questione fisica diabitudine. Ricordo che a fineanni Novanta gli spazi qui nonbastavano più. Si passò allorada due a tre turni, ma c’era chiera contrario. Così io e altrivolontari ci siamo messi sullanotte fissi per un anno. Ero gio­vane...». Ride.

Partito da una settimana dipulizie, dopo 36 anni di tessutiAlbini, Mario mette ancora inogni cosa lo stesso impegno delprimo giorno. Guarda oltre ilCotonificio, a questa Italia cosìbella e così ferita e pensa allegenerazioni che verranno:«Speriamo che la crisi finiscadavvero. Nei paesi senti di per­sone in cassa integrazione, conil mutuo da pagare, o addirittu­ra che hanno perso il lavoro.Senti nell’aria che manca latranquillità. Speriamo che laripresa arrivi e ne riporti unpo’». Speriamo. Per i nostri figli,che ci guardano e qualcosa dibuono potranno imparare.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Nella preparazione dei filati destinati alla tessitura c’è ancora molto lavoro manuale di precisione

La scheda

Nel gruppoquasi 1.400lavoratori

Il Cotonificio Albini ha chiuso il

2014 con il fatturato in crescita a

143 milioni dai 129 milioni dell’an­

no precedente. Un trend in costan­

te risalita dai 102 milioni che si

erano registrati nel 2009, dopo la

flessione seguita allo scoppio della

crisi internazionale. L’export

rappresenta oggi oltre il 70% e

raggiunge più di 80 Paesi in tutto il

mondo.

Il gruppo conta 1.379 persone. Solo

in Bergamasca, tra Albino, Gandi­

no e la società Albini Energia, sono

676, giusto la metà. Solo ad Albino

gli operai sono 393. A Gandino

sono 87. Nella distribuzione fra

uomini e donne, in provincia

prevalgono le seconde: sono 470.

A livello di gruppo, invece, è un

testa a testa. Se si considerano

tutte le realtà Albini, estero com­

preso, gli operai sono 1.116.

Cotonificio Albini /4