Fonti Io Pentito Di Ndrangheta e La Mia Nave Dei Veleni

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Fonti Io Pentito Di Ndrangheta e La Mia Nave Dei Veleni

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La mente íntuítíva è un dono sacroe [a mente razíonafe un feleíe sewo.Nol a66tamo crea.to uni socíetàche onora í[ seno e ha límentícato í[ lono.

Ar,nnnr ErNrsrErN

Fo"r" il giorno in cui sono nato era molto freddo, anchese nelle località di mare l'inverno è mite.

Questo pensiero è stato sempre in me, sarà per il mo-tivo che non sono mai riuscito a togliermi di dosso que-sto gelo; questo mio cuore che pulsa a fatica è freddo;non tanto perché insensibile ma per latristezza e la di-sperazione che vorrebbero farmi tornare indietro allamia adolescertza per non commettere gli sbagli che han-no segnato la mia vita.

Il mio nome è Francesco Fonti. Sono nato in un pae-sino della Calabria, Bovalino, dove ho trascorso la miaadolescenza e gioventù; dove ho conseguito la maturitàscientifica con la successiva frequenza universitaria. Lamia è stata una famiglia borghese in una zona dove 1'a-ria è impregnata totalmente dall'odore dei gelsomini edelle arance ma... c'è un altro "odore" che supera gli al-tri: quello della'ndrangheta.

Cos'è la'ndrangheta?Fino a qualche anno fa'non esisteva, almeno così di-

cevano i vari politici locali e nazionali e anche i reporta-ge giornalistici; non esisteva perché così faceva comodo,perché così doveva essere.

Il male da tenere presente e da combattere era lamafia siciliana che con prepotenza era sempre alla ri-balta delle cronache.

La hdrangheta non esisteva, così dicevano.Io sono entrato a far parte di questa organizzazíone

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"irrt'sist,cnte" o più propriamente "invisibile", verso lasccorr(lir metà degli anni Sessanta quando in Italia c'e-r:r il boom economico e i capi della 'ndrangheta eranopersonaggi come Antonio Macrì, Giuseppe Nirta, Giro-lamo Piromalli, Domenico Tbipodo, Giuseppe Pesce,Francesco Mancuso ed altri.

Quando al Liceo si faceva lo sciopero in favore diTbento e Tfieste, al mercato di Locri morivano tre per-sone per uno sgarro di'ndrangheta; quando nel 1969,innocenti cittadini morivano nella strage di piazza Fon-tana a Milano, io ero già stato awicinato da Guido(liannettini, uomo dei servizi segreti italiani, e blanditorrflìnché gli fornissi informazioni sugli uomini di'ndran-glrcl. ir .

Avcvo meno di vent'anni, ma nel sud questa età èrlrrcl lrr l luonu per essere aff i l iato.

St,rrrkrntc liceale, iscritto all'università, buona fami-glirr: I'irlenle per i progetti mafrosi degli uomini invisibi-t i .

( lotrrc prirnrr <:opiata ebbi addirittura il capo dei capi,Arrt,orrio Mrrcrì. (luesta investitura non mi cambiò la vi-ta, anzi nìi v()nno detto: "Continua a studiare e sapremonoi quzrndo sarai pronto, sarai un dormiente frno aquando ti chiameremo>.

"La'ndrangheta anche se non c'è, è come se ci fos-se, come se ci potesse essere>, ripeteva spesso don An-tonio Macrì, uno dei boss più potenti della vecchiaguardia, ucciso in un agguato a Siderno il 20 gennaiodel 1975.

Ai suoi tempi, quattro-cinqne rna.nxmasantissimacontrollavano tutti gli affari illeciti della provincia diReggio Calabria.

Quando sono entrato a far parte della 'ndranghetafi'cquentavo il quinto anno del liceo scientifrco e aspet-

tavo di conseguire la maturità per poi iscrivermi all'u-niversità, come avevano fatto tutti i miei parenti.

Frequentavo il liceo "Zalevco" a Locri e nelle mieamicizie si annoveravano ragazzi più o meno della miaetà, ma anche altre persone più grandi di me, come Giu-seppe Cataldo, Antonio Cordì, Pietro Bartolo, BrunoNirta, Antonio Nirta, Giovanni Bruzzaniti, Rocco Ma-dafferi, Rocco Sergi, Giuseppe DAgostino e altri ancora;tutte avevano la nomea di appartenere alla'ndranghe-ta.

Avevo tutta l'esuberartza tipica dell'età, un certo ca-risma che mi aveva portato ad essere il rappresentantedell'assemblea studentesca all'interno del liceo, ed eroanche rappresentante della "Giovane Italia" diramazio-ne del partito Movimento sociale Italiano.

Al compimento della maggiore età, mio padre mi ave-va regalato la macchina, una 595 habart, e con quellamacchina seorîazzavo per il paese per farmi vedere dal-le mie amiche alle quali facevo la corte.

Trascorrevo diverso tempo con queste persone adascoltare le storie di alcune loro awenture e dei vantag-gi che si avevano a far parte di quella organízzazíane;con me c'era sempre un allro ragazzo del mio paese cheera figlio di un maresciallo dei carabinieri in pensione,anche lui affascinato dall'alone di mistero che circonda-va le awenture che ci venivano raccontate; lui però inseguito riuscì a sottrarsi a questa falsa magia e si iscris-se all'accademia dei carabinieri.

Queste frequentazioni mi influenzavano molto e mispingevano ad ammirare questo tipo di organizzazíorte,infatti mi comportavo in modo rispettoso, immaginandoche così facendo un giorno qualcuno di questi personag-$ mi awebbe finalmente introdotto nelle loro frla.

Mi attirava la segretezza di questa "associazione",

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dal modo di parlare tra il dire e non dire a come i suoi

affrliati erano rispettati nel loro paese e anche al di fuo-

ri di esso: quando entravano nei bar erano riveriti da

tutti i presenti, dall'operaio all'assessore comunale,senza distinzione.

Ero ammaliato dai racconti, certamente romanzati,di come i vecchi capobastone aiutavano chi avesse biso-gno e tenevano alla parola data come il primo punto d'o-

nore; prendevano ai ricchi per dare ai poveri.Mi chiedevo come anche senza tanta cultura riuscis-

sero ad attirare il consenso popolare e mi meravigliavodi come fossero tenuti in considerazione dal politico diturno che faceva campagna elettorale ed a loro si rivol-geva per i voti.

Certo, queste erano le leggende che circolavano e for-

se qualcosa di vero pure c'era, ma già dagli anni settan-ta, con l'awento sul mercato della droga, gli uomini di

'ndrangheta cambiarono in peg$o per I'avidità di gua-

dagno, infatti se negli anni precedenti l'onore era mes-.so in primo piano accadde che questo cedette il posto ai

soldi.

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Fui così attratto dal mistero della 'ndrangheta chequando Giuseppe Giorgi di San Luca mi domandò se vo-lessi entrare in questa organízzaziorte, risposi subito disi.

Giuseppe Giorgi, detto "'u dui" perché quando gioca-va a morra tirava sempre due dita, era organico alla'drina di Nirta. Si spostava al nord per seguire il traffi-co di sigarette e si diceva che facesse anche sequestri dipersona. Non conosco a fondo la famiglia di provenien-za, sí diceva che erano tutti affiliati; verso la frne deglianni settanta ebbi notizia che era stato ucciso a Torino.

Non avevo idea di come si veniva iniziati e quindiGiuseppe incominciò a prepararmi a fauellare, eioè ad'imparare come comportarmi e cosa dire quando sareistato portato alla riunione durante la quale awei dovu-to prestare giuramento.

Questa preparazione durò molti mesi perché per loroera importante che tutto andasse secondo le regole e an-che chi mi preparava doveva svolgere il proprio compi-to con diligenza senza tralasciare niente.

Le "regole" che appresi riguardavano I'afliliazionedellapríma dote, cioè I'ingresso nella'ndrangheta comepicciotto.

Inoltre mi venne narrata I'allegoria antica di comeessa veniva rappresentata.

Ai piedi dellAspromonte c'è il santuario della Ma-donna di Polsi dove ogni anno, i primi tre giorni del me-

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H(, ( l i Hr. l l ,r ,rrr lr lr . , vicrrc ctr lcbrata una festa in onore del-lrr Srrrrln, nrl rlucst,rr l'csta serviva, già dalla fine dell'ot-I,ocr,nl,o, rrrrclur lxlr una grande riunione di tutti gli uo-rrrirri rli 'rrrlrrrrrghcta. Questi personaggi arrivavano daogrri lrrrrl,c rlulla Calabria, da tutta l'Italia e anche dal-I'r'sl,r,rrr, nrir erano tutti calabresi doc emigrati. C'è dagrrr,t:isrrrc che un uomo di'ndrangheta può essere solorr r r cr r I rrbrese. Certamente l'occasione della celebrazione<lclla Santa camuffava I'arrivo di tante persone "fore-stiere" e questo andazzo continuò fino agli anni novan-ta, allorquando le forze di polizia compresero questa si-tuazione e incominciarono a monitorarne iI flusso.

Questa grande riunione annuale serviva a moltepliciscopi: all'incontro tra vari boss emigrati, alla presenta-zione dei nuovi adepti, a determinare strategie crimina-li, a discutere problematiche inerenti dissidi nei locali,a decidere degli aiuti economici per chi era in carcere,compreso il pagamento degli awocati della difesa; que-sta pratica di aiuti veniva chiamata bacinella doveognuno dei capi-bastone versava una cifra di sua volon-tà. Vicino a questo santuario c'è una grande quercia cheviene chiamata "l'albero della scienza"; questa è la rap-presentazione di come venne fondata questa otganizza-zione criminale con riti esoterici e regole quasi irreali.

Osso, Mastrosso e Carcagnosso, sono i tre cavalierispagnoli che partirono dalla Spagna dopo 29 anni, 11-mesi e 29 giorni di catene, e su tre cavalli bianchi grun-sero in ltalia: il primo si fermò alla Favignana e fondòla mafia, il secondo si fermò a Napoli e fondò la camor-ra, infine 1I terzo andò a San Luca e creò Ia 'ndranghe-ta, piantando "l'albero della scien za" ; lL fusto rappresen-La il mammasantissímo, il rifusto i contabili e gli sgar-risti, t rami rappresentano í camorcisúi, i ramoscelli i1ti,t:t:i,otti e i puntaioli, í frorí sono i glou ani rtonore, le fo-

glie rappresentano gli infami che sorro destinati a cade-re e a marcire per terra ai piedi dell'albero.

Per poter fondare un nuovo locale di 'ndrangheta cidevono essere almeno 49 affiliati e si deve sempre chie-dere il permesso aI locale principale di San Luca, cheprowede ad inviare sul posto un incaricato che può ri-lasciare "l'apertura a formare", altrimenti quel localenon potrà essere attivato; viene diretto dalcapobastonee subito dopo dal contabile e dal crimine.Il contabile èresponsabile delle finanze della locale mentre 1l capo-crimine si interessa della pianificazione di azioni crimi-nali. il mastro di giornata controlla il territorio e mettein comunicazione gli affiliati. Durante le riunioni, defr-nite anche società, chi presiede la riunione è il cd.po-so-cietìt. mentre i partecipanti sono il corpo di societù.. Que-sta la formula di battezzo: "Io battezzo questo locale sa-cro santo e inviolabile come I'hanno battezzato i tre vec-chi cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e Carcagnosso,se prima lo conoscevo come un locale di transito e pas-saggio da ora in poi lo riconosco per un locale battesima-le dove sibattezzano picciotti, giovani d'onore e camor-risti".

Riguardo alla struttura della 'ndrangheta bisognaconoscere due parole importanti.

La prima è dote, che sta a indicare il valore di meri-to conferito a un affrliato nel corso della sua carriera eche aumenta nel tempo per gradi di "pesantezza".

La seconda parola è contrasto, con cui s'intende unsoggetto senza alcuna dote.In questo senso è fonda-mentale, per i francheggiatori, potersi fregiare del tito-Io di contrasto onorato, perché ciò significa che pur nonessendo interni all'organizzazione sono considerati per-sonaggi di frducia.

Awiene anche il periodico rinnovo delle cariche,l

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chiamato buono nu.ouoi una procedura, richiesta da tut-ti gli affrliati al cosiddetto maestro di buon ordine, re-sponsabile del comportamento degli affiliati stessi. Inol-tre, un locale è considerato "aperto" quando iIprincipa-Ieha dato il suo assenso, è "attivo" quando si tengono ri-unioni di'ndrangheta almeno una volta al mese.

La triade capo locale, contabile e crimine nella'ndrangheta si chiama copiata, e deve essere nominataogni volta che un affiliato si presenta in un locale diver-so da quello di apparterLenza, oppure davanti alla ri-chiesta di un affiliato con dote maggiore. In questo mo-do nessuno può infrltrarsi dichiarandosi affrliato, anchese conosce ilocali, in quanto non può sapere da chi è co-stituita Ia copiata. [.iaffrliazione viene chiamata battez-zo, oppure rimpiazzo, per indicare che il soggetto sosti-tuisce tn picciotto nell'onorata societù,, oppure tagliodella coda, per specificare il passaggio d,a contrasto, sog-getto che secondo tradizione cammina sollevando polve-re, apicciotto,il quale cammina su un tappeto di erba efiori.

Le 'ndrine non sono i locali bensì le famiglie 'ndran-ghetiste che, per opportunità e tornaconto, decidono dichiedere il loro "distacco" dal locale per poter fare degliaffari senza dividere con gli altri. Solo le più importan-ti famiglie possono chiedere ed ottenere la 'ndrina, laquale può operare sia all'interno del locale versandouna quota oppure può trasferire dei suoi uomini in altrecittà e fare i propri traffrci. Tirtte le più importanti fa-miglie hanno diverse 'ndrine distaccate un po'dapper-tutto.

Le doti di 'ndrangheta vanno dal picciotto aI quinti-no e culminano con L'associazione e iI medaglione.

La minore e Ia maggiore servono a limitare le inge-yenze, mentre la santa è una dote particolare.

La minore parte da picciotto frno alla definitiua, cortin mezzo Ia dote di camorrisúa e di sgarcista; ci sono lesoura-doti che sono: picciotto, picciotto dí giornata, pic-ciotto di fibbia, puntaiolo; camonista, camomista for-mato, camorrista di sangue; sgarcista, sganista di san-gue. La definitiua chiude ii cerchio deIIa minare ed è la'ndrangheta delle origini.

La "maggiore" comptende la santa, iI uangelo, íI tre-quartino, il quartino e il quintino, l'associazione e ll me-daglione.

La rnaggiore incomincia dalla santa perché se non sientra nella santa non si può accedere dal uangelo in su,ma la santa è la porta d'ingresso alla massoneria, anchese quelli della minore la chiamano la dote infame. Lasanta nacque verso la metà degli anni sessanta per vo-lere di Piromalli; Macrì e Tl"ipodo erano d'accordo madissentivano sul fatto che il santista potesse tradire gliuomini delIa minore, ínfatti le parole del santisto dico-no: "Rinnego l'onorata società, rinnego Ia famiglia, ilmio solo credo è per i miei saggr compagni della sacrasanta corona che mi cinge la testa".

Chi fa parte di questa dote viene chiamato santista.I santisti potevano essere massimo 33, ma col tempo nefurono accettati anche di più. Chi appartiene alla san-úo può avere contatti con persone non affrliate e chehanno prestato giuramento ad altri corpi come: carabi-nieri, politici, magistratura e soprattutto con la masso-neria. La santa inoltre possiede regole diverse da quel-le consuete alla'ndrangheta. Per formare un'organiz-zazione di santa o societù. maggiore all'interno di un lo-cale servono almeno 7 persone con la dote di santista.Isantisti delle varie locali si riuniscono annualmente adAfrico.

Pensavo, in quei mesi che precedettero il giuramen-

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to, al luogo dove questo sarebbe a.!'venuto. Forse SanLuca? Locri?

Pensavo che essendo Giuseppe di San Luca, proba-bilmente sarei stato affìliato in quel paese.

Invece no. Un giorno Giuseppe mi presentò un sigîo-re che ilisse di chiamarsi Ciccio Commisso da Siderno.il quale mi comunicò che mi stavano osservando e cheGiuseppe Nirta mi aveva raccomzrndato adAttonio Ma-crì.

Ciccio Commisso era il braccio destro del boss Macrìche si fidava tanto di lui da fargli fare anche l,autistapersonale. Aveva altri fratelli tra cui Cosimo edAntonioche facevano parte della 'ndrina che portava il nome difamiglia Commisso e rappresentavano il braccio arma-to del locale di Siderrro assierne con i Costa.

La famiglia Comrnisso vantava una vasta parentela.alcuni erano emi$ati in Canada, a Tbronto, dove dir i-gevano il traffico di cocaina ed altre attività illecitesempre in collegarnento con Attonio Màcrì finché fu in\,1ta.

Questa laccomarrdazione si basava sul fatto che lafàmiglia di mia madre aveva una parentela con i Nirtae Nirta non voleva che qualcuno potesse dire che mi fa-

Mi disse che io e la mia famiglia non avevamo mac-chie di disonore e quindi potevo essere affiliato.

La mia famiglia. Non credevo che anche la mia fami-glia sarebbe stata coinvolta nella mia scelta, ma in fon-do mi diesi che niente di male sarebbe successo.

Mio padre aveva una piccola fabbrica di mobili concirca trenta operai che stravedevano per lui. Viveva unavita borghese, era molto stimato in paese e ol.unqueaveva avuto modo di consegnare i mobili che produceva.Lui non aveva studiato, aveva conseguito la terza ele-

mentare ed il suo sogno era che noi figli, io e mia sorel-la, potessimo avere un diploma superiore e poi la lau-rea. Mia madre era casalinga attaccata alla famiglia esempre preoccupata per il futuro di noi frgli; unica figliafemmina di Francesco Nicita e Maria Campolo che ave-vano avuto altri sette figli maschi che gestivano i lati-fondi rli famiglia nel paese di Casignana.

Mio padre con la sua fabbrica faceva anche fomitureministeriali di mobili d'ufficio, pefianto aveva molte co-noscenze politiche nel partito leader di allora che era laDemocrazia Cristiana: inoltre, aveva diversi punti ven-dita in tutta la Calabria tra cui uno a Locrì che era ge-stito da un certo sig. Neri, che era il padre del procura-tore Neri.

Pertarto la mia infanzia trascorse lineare e tranquil-la tra la scuola, le feste tra studenti che allora si face-vano in casa e dei piccoli flirt con le coetanee tra le qua-li avevo molto successo. Accadeva che facessi con gliamici del paese interminabili partite di calcio nelìapiazzetta di fronte alla chiesa e poi quando arrivava ìastagione balneare eravamo lutti a dmorchiare le tudsteche a Bovalino arrivavàno nel mese di agosto.. Passava-mo le serate a ballare fino all'alba, sulìe piste dei lidisparse tra Ardore, Locri, Siderno, Gioiosa, Roccella.Quante volte mio padre mi urlava dietro dicendo che lasua casa non era un albergo e che dovevo andare a lavo-rare nella sua fabbrica. Quante volte ha smesso di dar-mi la "paghetta" perché non voleva che frequentassiquei perditempo con i quali ero solito incontrarmi. Poisi stancò anche lui di starmi dietlo. Lo rispettavo e glivolevo bene ma volevo vivere la vita a modo mio: sliavessi dalo retta:

Insomma un'infanzia normale la mia, con una fami-glia normale e tutto mi poltava verso un futuro profes-

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sionale normale. Dopo la maturità avevo deciso di iscd-vermi al la facolta universitaria di economia e commcr-cìo.

Ma queste mie ftequentazioni e I'essere affascinatodal loro potere hanno fatto sì che distruggessi il mio fu-turo púma di concretizzarlo.

Finché arrivò il giorno per cui ero stato preparatoGiuseppe mi chiese di non prendere impegni per

quella sera perché dovevo andare con lui.Era i l mese di marzo del ì 966 e ci dir igemmo in mac-

china con destinazione Siderno, precisamente neìla fra_zione di Mirto.

Entrammo in una casa di campagna dove c'era Cic-cio Commiseo che ci disse di aBpettare perché dopoqualche minuto saremmo stati chiamali nell'altra stan-za.

Ero eccitato, ma nello stesso tempo ero cosciente che,dopo, la mia vita saÌebbe cambiata in meglio, mi ripete-

La stanza era quasi spoglia a parte una credenza edun tavolo addossato al muro. Al centro c'erano ciÌÌquepersone Éedute a mo'di fello di cavallo, due persone dalmio lato destro, due persone dal lato sinistro e una per-sona che faceva da collettore tra le due parti; quella per-sonà era Ciccio Commisso: così mi apparve la scena var-cando la porta.

Come da istruzioni non mi guardai intorno n1a tenniÌo sguardo fermo verso il centro, Giuseppe era un passodietro me.

Tutti avevano le braccia conserte tranne Commisso,che iniziò a parlare: Buon vespero. chiunque sìa jn poÈ-sesso di armi bianche o nere e non li ha depositate conesse stesse saranno prai icate_, Tutli aDnuirono e rispo-sero: uBuon vespero".

Commisso: nSiete conforrni?oT\rtti: nSu che cosa?"Commisso: "Su regole di società,.T\rtti: "Siamo conformi".Commisso: .Nel nome dell'Arcangelo Gabriele, di

Santa Elisabetta. dei nostd antenati Conti di Russia chevissero 29 anlÌi 11 mesi e 29 giorni di ferri e catene e deitre cavalieri spagnoli, Osso, Mastrosso e Carcagnosso,con parole di omeúà circolo di società è formato. Ciò chesi dice in questo circolo a forrna di fer:ro di cavallo, qua sidice e qua rimane, chi paÌla al di fuori di questo luogo èdichiarato tragediatore ed infame a suo caúco e a disca-rico di tutta la società. Siamo riuniti per questo contra-sto onorato con la garalrzia del nostro compare PeppeGiorgi, siamo riuniti per affiliare Ciccio Fonti che ei è di-stinto per virtù ed umiltà, siete d'accordo?,

T\rtti: .Siamo d'accordo".Commisso: "Rivolto a me. cosa cercate?"Io: "Sangue e onore",Conmisso: "Perché non ne avete?"Io: "Ho onore per la società e sangue per gli infami".Commisso: oTenete presente che da questo momento

la vosìra famiglia siamo noi, prima di vostro padre, pri-ma di vostra madre, pdma di vostra sorella, c'è l'onora-ta società, giuratelo col sangue,.

Peppe Giorgi si ar.vicinò a me, mi diede un santinoraffiglrante I'Arcangelo Gabriele, mi prese la mano edopo avermi punto il dito indice con un ago fece 6gorga-re alcune gocce di sangue sopra il sùrtino; dopo preseuna candela accesa che si trovava sul tavolo e diede fuo-co alla frgura che tenevo nel palmo della maùo sinistra.

Io: "Giuro su questo santino che brucia nelle mie ma-ni di essere per sempre fedele all'oDorata società, di rin-negare padre, madre e sorella, di dare il mio sangue se

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necessita ed ogni tragedia ed infamità saÌà a mio cari-co e a discaúco di tutta la società".

Commisso si aìzò dalla sedia, si avvicinò a me pren-dendo iÌ mio dito indice che sanguinava e tenendolo sulfuoco del santino che bmciàva. Disse ncome il fuocobnria questa sacra immagine, così brucet'ete voi qualcra vi macchiate di infamità".

Continuò dicendo: uSe prima vi conoscevo come uncontrasto onorato da oggi in poi vi riconosco come unpicciott d onore, se commetterete infanità sarete puni-to con la morte. come voi sarete fedele alla società cosìessa sarà fedele con voí e vi aiutera e vi assisterà, que-sto giuramento potrà essere sciolto solo con la morte,.

Queste parole furono ripetute tre voìte dagli altripartecipanti.

Commisso: "Questa società ha formato e con paroledi umiltà questo circolo e Ia società sono sciolti, buon ve-apero,.

I\rfti: "Buon vesp€ro".Mi a!'vicinai ad ognuno dei partecipanti dandogli un

bacio sulìa guancia, mentre a Cornmisso ne diedi due euna stretta di nano. Dopo uscimmo da quella stanzaper entrare in un'altra arredata dove Cerano dei pastic-cini e dei liquori per festeggiare l'evento.

Peppe Giorgi mi disse quasi bisbigliando che nellarr'là copiatd c'erano Antonio Macrì, Ciccio Cornmisso ePeppe Nirta e che ero stato affiliato con la sociefà noncor. ll locale. Significava che non ero organico del /ocaledi SideÍro, bensì di tutta Ia socíetìt e che successiva-mente dovevo presentarmi aI locttle di San Luca e aPeppe Nirta per ottenere i succesEivi passagg\ di d.ote.La copiaúo di Antonio Macd mi era stata data perché luie'a i7 capo societè|, ed era ulì onore che mi era Étato ac-cordato.

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In quegli anni sessanta-settaìta, in Calabria eranocaw società Antaîio Macrì, Giuseppe Nfta, DomenicoTfipodo, Girolamo Piromalli, Franceeco Mancuso Giu-seppe Pesce e Joe Martino.

A Siderno c'erano le ldrine della famielia CurciaÌel-lo. Commisso, Costa, Muià. Diana e Scirlo, ma eranotutte unite ad Antonio Macd. Ciccio Commisso era l,e-r€de designato di Macd, Dopo la sua morte, invece, ilcohando passò al nipote Vincenzo MacÌì detto ,'u baru-ni" e successivamente a Cosimo Commisso detto fuquagghia".

Ho a\,.uto occasione di incontrare diverse volte "zi'Ntoni", così veniva chiamato da tutti e devo díre che ilsuo carisma e la calma con cui affrontava ogni aweÌli-mento mi aflascinava moltissimo. Quando Io incontra-vo, la prima cosa che mi chiedeva era dei miei studi. semi comportavo bene a ecuola, esortandomi a fare pro-gressi in quel campo perché le persone come lui aveva-no bisogno di buoni professionisti in quanto quelli chesparavano erano già tanti. Mi dicevat "Il domani sarà diper8one come te, i ternpi dí cannavuci i lignu sono frni-ti, usa sempre la testa non la forza,.

Era ul uomo che non alzava mai il tono della voce,era sempre pacato ma iùrperioso, non ammetteva con_testazioni. Generoso con Ia povera gente, non lesinavamai un aiuto economico a chi sapeva ne avesSe biso_glÀo.

La sua era una figura che incuteva rispetto e parùaanche agli eventuali awersari. Ebbe il pregio di jensa-re di espandere la sua potenza all,egtero, specialmentein Canada. negli StaLi Unit i e in Ausrral ia, jove creò deilocali mettendo a capo alcuni suoi fedelissimi. Ma oro-prio a Toronto e ad Hamilton in Canada aveva creal,o lesue più impoftanti roccaforti con Michele Racco e altri

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sidernesi come i Commisso, i Triumbaú, i Vendemini, iGelsomino e i Figliomeni che lì erano emig"ati. Avevacreato delle alleanze con Tbny Papalia e suo figlio John,con Albert Anaslasia e Franì( CosteìÌo, con esponenti dicosa nostra americana tra cui la famiglia Magaddino diBuffalo. Era alla pari dell'alìora capo dei corleonesi Mi-chele Navarra e amico di Luciano Liggio, Salvatore LaBarbera, dei Greco di Ciaculli e di Stefano Bontade.

Secondo il mio umile parere, così come Bontade ful'ultimo padrino di cosa nostra, Antonio Macrì è statol'ultimo padrino della 'ndrangheta. Incarnava tutte leantiche regoìe dellbzorato, società, ll suo r:.ome era unagaranzia in tutta la Calabria tra 'ndranghetisti e non.La mafia e la camorra lo rispettavano perchè non eramai venuto meno alÌa sua parola. Oltre oceano era ga-ranzia di serietà.

Era contrario ai sequestri di persona, ma sapeva chenon poteva imporre questo veto, perciò lasciava fare.

Otliava la droga e si oppose in ogni modo aììa dilrrl-gazione in Calabria, ma le nuove leve incalzavano perenhaÌe in quel lucroso business gestilo dai sicilialri.

Si racconta tra gli adepti della 'ndrangheta che in oc-casione di un ricevimento nuziale, in un paese della pia-na rli Gioia Tauro, tra i paftecipanti c'erano ArtonioMacrì, Dornenico Tlipodo e Paolo De Stefano; quest ul-timo ambiva a scalzare Domenico tipodo per inlra-prendere il traffrco di droga e gli si rivolse in manieraarrogante, ricevendo uno schiaffo da Tlipodo. AltonioMacrì in quell'occasione apostroíò De Slefano dicendo-gli: "T\r parla sulu quando piscia a gaglina". Da questoepisodio, sommalo alla tracotanza dei De Stefano, sca-tud nel 1974 la prima guena di 'ndrangheta. AntonioMacrì, fiaterno amico di tipodo, cadde ucciso in questaguerra, si dice a causa del tradimento di suo nipote che,

infatti, assunse il potere e sÌ dedicò al traffico di droga.Ttipodo fu ucciso a distanza di un anno, nel 19?6, nelcarcere di Poggioreale a Napoli da aìcuni kilìer agli or-dini di Cutolo con iÌ quale De Stefano era in affari.

La mattina che fu ucciso Antonio Macrì mi trovavo aCosenza e appresi la notizia ascoltando il giornale ra-dio. Ebbi degli attimi di sgomento perché mai awei im-maginato che un uomo come lur potesse essere ucciso,Mi ero abituato alle nobili azioni che i capi della 'ndran-gheta erano soliti fare e sentire che un capo del livellodi Macrì potesse cadere sotto il fuoco di altri uomini di'nilrangheta mi sconvolse.

Dov'era la fratellanza che mi raccontavano? Dov'erail dspetto per i capi? Dov'era I'unità di questa societàsegreta?

Queste domande si scontravano nella mia mentesenza riuscire a trovare una risposta.

Nei giorni seguenti incontrai Gius€ppe Ciorgi e mivenne sponl,aneo chiedergli: Perche?".

Mi rispose dicendomi che erano fatti che non mi d-guardavano e di non fare più questo tipo di dornande anessuno. Quando qualcuno viene ucciso c'è sempre unmotivo, ma che a me non era dato sapefe,

Questo era il vero volto della 'ndrangheta. Spietata.Fatta di uomini crudeli che uccidono per un loro torna-conto. Uccidono per apúrsi un vatco verso nuovi lucro-si traffici. Per dimostrare alla loro stessa consortedache nessuno può ostacolarli, fosse anche don ArtonioMacrì.

Da questo awenimento incominciai ad avere deipensie critici verso questa organizzazione che cosìtanto mi aveva affascinato. Fino all'uccisione di Anto-nio Macrì avevo sempre nutrito dei pensieri positivinei confionti di questi "uomini d'onore", ma adesso li

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yedevo sotto una luce diversa. Non li ammiravo e nonli giustificavo, ma ero cosciente che il giuramento fat-to si poteva sciogliere solo con la morte. Non volevomorire, quindi dovevo continuale ad essete uno di lo-ro, un "uomo invisibile" come mi aveva ingegîato lostesso Macrì.

Erano gli anni del dilagare ilei sequestri di persona ascopo di estorsione ed io che ritenevo giustificabile an-che questo reato, cambiai idea.

Così, quel giono che Giuseppe Giorgi mi chiese seme la sentivo di portare dei viveri in ùlla cavema del-lAspromonte, dove c'era un sequestrato con alcuni car-cerieri, risposi immediatament-e di no, non me la senti_vo perché stavo preparando un esame all'università edovevo recarmi a Messina per seguire delle lezioni.

Aggiunsi anche che Macrì mi aveva tanto raccoman-dato di non trascì[are lo studio e anche se ormai era de-funto non volevo venire meno a una sua raccomandazio-ne,

Questo awenimento 1o colloco nel 1976: erano tra_scorsi dieci anni dalla mia affiliazione

Provo a raccontare le vicenale vissute, senza orgo-glio, ma con molta trí1tezza ed arîaîezza, perché la míanon è mai stata una mentalità criminale, perché ho vis-suto una vita che non mi apparteneva, una vita chenon ho mai accettato anche se ìa stavo 'xvendo propdoio.

Propúo per questa mia tristezza visibile mi vennedato il soprannome di "due novembre" come il giorno deimofti; non rrdevo mai. La mia natura è allegra ma quel-la scelta aveva mutato il mio modo di essere.

Dopo un paio d'annj dalla mia iniziazione mi vennedato I'incarico di controllare gli incassi del pizzo, notai,svolgendo questa funzione che tutti i commercianti che

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pagavano, ed erano taìti, erano quasi contenti di paga-re, come se ciò fosse una tassa dovuta e non se ne la-mentavano. Era un compito facile senza nessuna pro-blematica, e lo assolsi con diligenza e puntuahtà.

Devo precisare che, grazie a mio padre, avevo cono-sciuto díversi uomini politici di quei t€mpi perché face-va le forniture per mobili d'ufrcio ai diversi ministeri diRoma. Inoltre, ero anche iscritto al F.U.A,N., movimen-to universitario di destra che operava nelle università.Feci anche ul corso di soprawivenza nella MaremrnaTbscana con altii iscritti.

Era il 1969, quando incontrai Guido Giannettini. Co-nobbi questo personaggio caÌismatico nelle mie fre-quentazioni romane. In realtà fu lui che ml venne a cer-care in un albergo dove soggiornavo. Sapeva tutto di mee delle mie conoscenze con fambiente della 'ndranghe-ta, mi disse che era un agente segTeto e che il suo nomein codice era "Zeta". \loleva delle informazioni cheaqebbero portato dei benefici alla 'ndrangheta.

Lui aveva amicízie potenti in ltalia e all'estero e perqueste piccole informazioni mi awebbe dato dei soldi,quinili non solo benefici per i miei "compari", ma ancheuna gratificazione personale duratura nel tempo, pet-ché mi "arruolava" nei servizi segreti. Mi disse che ci sa-rebbero stati dei úsvolti politici púma della frne dell'an-no, buona parte degli alti ufficiali dell'esercito eranopronti alla svolta ma seFiva anche l'appoggio della'ndrangheta per portare a termine questa missione (co-sì Ia chiamava, mentre non era altro che un colpo di sta-to).

Per questo notivo, per rnio tramit€, doveva parlarecon qualcuno dei capi.

Gli feci incontrare Giuseppe Nirta dell'omonima co-sca di San Luca. Seppi che all'incontro Cera anche Gior-

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gio De Stefano di Reggio Calabria, e conclusero che aì-meno miÌlecinquecento'ndranghetisti awebbero appog-giato questa "missione".

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Nei primi anni settanta fui mandato a Torino per far-mi le ossa. Ero in affari con Giuseppe Cataldo, RaffaeleLa Scala, Natale Bruzzaniti, gmppi di San Luca e gl.up-pi di Pìatì, cioè i massimi esponenti della 'ndrangheta.

Mi spostavo tra Tbrino, Milano, Corsico, Buccinascoe Bettola (PC), dove úsiedeva Cataldo che in quel perio-do era in faida con la famigÌia Cordì.

Conobbi tanti altri 'ndranghetisti che agivano inquesti luoghi svolgendo varie attività illecite che anda-vano daÌl'usura, all'estorsione, alle truffe, ai sequestddi persona, al tlalfico di stupefacenti, aÌ úciclaggio, alcontrollo di qualche casinò, alla corruzione, al traffico disol<li falsi.

Era un sistema che impegnava centinaia ili personee portava un enorrne flusso di soldi. Ho visto delle falsi-tà inaudite. Ho partecipato, ignaro, a delle cene dove uninvitato doveva poi morire e che venivano chiamate"l'ultima cena". Una volta venni fer:rnato da una pattu-glia della questura di Torino, assieme a Rocco Sergi, Do-menico Barbaro e Giuseppe DAgostino. Avevo due pi-stole, una sotto il sedile della macchina, un'altra legataalla caviglia. Sono entrato in questura con un'arma ad-dosso senza che mi venisse trovata nella perquisizione,era il 1971, poco dopo I'uccisione del commissario Cala-bresi a Milano. ln quegli anni era molto attivo il trafn-co di sigarette e noi ne gestivamo l'arrivo e la distribu-zione a Torino. C'erano industÍie molto note che ci com-

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missionavano fino a due-trecento €t€cche al mese, sivendeva all'iDgmsso e poi c'era anche la distribuzionenelle straale che era realditizia. Nel torinese c'ela ancheDomeúico lYipodo che risiedeva ad Orbassaùo (10).

Ho avuto le macchine più betle dell'epoca, una FulviaIIF, una Lancia 2000, una Maserati Mexim, una Mon-treal AIfa Romeo, una Ferrari. Ricordo il modo in cuì ac-quistai la Montreal. Avevo conosciuto una ragazza dinome Barbara, figlia di uno dei più farnosi notai rli To-rino, uscivamo spesso asBieme ma lei continuava a ripe-termi che ero un "poveto terrone' anche se viaggiavocon ula Maserati ed avevo studiato. Mi dava alquantofastidio questo suo alleggiamento. Un giorno passandocasualmente davanti un conceggionario Alfa, vedemmoin esposizione ìD macchinone di color verde che facevabella mostra in vetrina. Barbara disse: "Compra quel-l'auto ed io farò coppià frssa con te". Lei creileva che nonavessi la ilisponibilità economica per farlo. tr giorno ilo-po mi recai in mncessionaúa e chiesi di acquistare quel-I'auto. Non fui prcso sul serio neaDche quando faeeúmoiI contratto e staccai un assegno di seimilioniquattro-centocinquanta mila lire. Forse erano convinti che l'as-segîo era scoperto. Dopo due giorni ricevetti la telefo-nata del titolarc della conc€Esionaria che mi diceva cheda lì a due giorni potevo ritirare I'auto. Così fu. Entraiin eoncessionaÌra e vidi tutto la staff schieraìo che miapplaudiva e vidi alcune bottiglie di spumante corne per

festeggiarmi e per inaugurare il "varo" della macchinaAndai a cercare Barbara che restò sbalordita vedendo-mi con quella macchiaa e 8ubito mi propose di fare unagita a Parigi. Bene, al ritorno le dissi che non volevo più

uscire con lei.Mi facevo confezionare su misura non solo gli abiti

ma anche le camicie; le donne che rni giravano intorno

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erano sempre bellissime e disponibili tartto che fui ri-chiamato per essere un donnaiolo, cosa non consona conle regole della socreúù. Ho avuto itcontú politici a R.maper alcule campagne elettorali a favore della Denocra-zia Cristiana. PaÉecipai a riunioni per stabilbe accorilisu di ulro o I'altm candidato. Sono stato a Campione dT-talia per controllare i prostasoldi del casinò che eranolegati a noi. Sono stato a Londra per perfezionare un in-gente quantitativo di armi.

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Quando la 'ndrangheta si dedicò al trafEco di sigaret-te, iniziò a rifor"rÌirsi dai palermitani e precisamente daMasino Spadaro, detto il 'Re della Kalza", quarìiere diPalermo. Era lui assieme ai camorristi Lorenzo Nuvo-Ietta, Aatonio Bardellino e Michele Zaza ad avere il mo-nopolio del contrabbando. Spataro era un crrpo manda-mezúo, uomo di Michele Greco e curava gli affari con la"nuova famiglia" napoletana. Era molto amico di Dome-nico llipodo, Afionio Macì e Giuseppe Nirta e frequen-tava il prete di Africo don Stilo.

Per molti anni i calabresi subirono queste sudalitsù-za fino a quaado Masino Spada$ 8i dedicò al haffico alieroina, aìlora le famiglie di 'ndrangheta incominciaronoad ayere contatti diretti con i contrabbandieri maltesi eciprioti per il dfomimentó delle sigarette.

Qualche famiglia invece fece societa con i camorristi.Quando c'era da fare il rifornimento le farniglie inte-

ressate mettevano una quota uguale di capitale e alloscarico partecipavano con i propri uomini per poi fare ladistribuzione o$runo tramite i propri canali.

I pdmi contatti per il traffico di Bigarette incorninciòad averli Mario Ursini, nativo di Gioioga Jonica, il qua-le essendosi traeferito a Tbríno conobb€ tra la fine deglianni sessanta e l'inizio degli anli settaDta Albert Ber-gamelli, fondatore <lella "banda dei Malsigliesi" attivi aTorino e in Francia nelle rapile, n€l trafrco di sigarcLte, nelle bische clandestine, nei sequestri e maggior-

i,litr,l

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.Tmente nello sfruttamento della prostituzione. Con que-sta conoscenza Mario Ursini entrò nell'enorme trafficodi sigarette, ma subito dopo si rivolse ai catanesi cheavevano scalzato i marsigliesi nel monopolio torinese.

In Calabria i vari copi bastone a parbire da AntonioMacrì, Giuseppe Nirta, Naiale lamonte, SalvatoreAquino, Mommo Piromalli, Domenico Tlipodo, NicolaScali, Giuseppe Morabito e altri ancora erano legali aipalermitani di Masino Spadaro e successivamente aicamorrísti Bardellino e Nuvoletta; si può affermare cheil traffico di sigarette è stato il primo grande businessr"he mise in contano le tre grandi organizzazioni crimi-nali, 'ndrangheta, camorra e maf1a.

La 'ndrangheta reggina si è sempre considerata féli-te degli uomini dbnore e non dconosceva come tali gliafliliati del catanzarese in quanto "zingari" e del cosen-tino in quanto più napoletaui che calabresi, aÌche se liha usati in tante azioni delittuose. San Luca rilasciavail consenso per I'apertura di nuovi locoli in queste pro-vincie, molto raramente e solo se erano famiglie reggi-ne a richiederlo. Inoltre nel tùreno cosentino e catanza-rese era la famigta Piromalli che comandava. Mentrenello Jonio c'era una forte influenza dei Di Stefano e deiRomeo di San Luca.

Alcuni esempi sono Marcedusa e Sibari. Entrambisono stati attivati per volere di Paolo De Stefano o delsuo braccio destro Giovami Tegano.

Marcedusa fu attivato poiché Carmine De Stefanosposò la fìglia di Franco Coco lYovato che di Marcedusaera nativo e che in seguilo si era trasferito a Lecco.

Coco era uÌ camorrista che voleva emergere e giun-to in Lombardia si alleò con un clan di Salerno capeg-giato da Salvatore Batti e coD un altro personaggo ca-

labrese di nome Pepè Flachi- Per questa parentela glivenne data la dole della sorrra da Giovanni Teeano.

Sibari fu attivato per richiesta dj Frarcesco' Canale,socio con i De Stefano, per collocare Giuseppe Cirillo co-me cdpo bastone .

Giuseppe Cirillo era un camorrista della Drovincia diSalemo legato a Rafì"aele Cutolo, si considerava un im-prenditore e quando verso la fine degli anni sessantatransitò da Sibari fu talmente affascinato da quella co-sta che pensò subito di trasferirsi per creare degli stabi_limeuti balneari- Aveva l'appoggio di Cutolo nonché unaglande amicizia con Francesco Canale e con FrancescoSpina, detto "l'awocato", uomo d'onore cosen[lno.

Pertanto questo sodalizio portò all'attivazione del lo,cole di Sibari. Cirillo poftò con 6è anche il coEnato Ma-rio Mirabile e arrivò ad avere sol,o il suo contiollo il ter-ritorio che si estedde da Cirò a Rocca Imperiale. Mal-grado le opposizioni che incontrò riuscì con abilità e conforza a dettare legge per circa venti anni. A Ciro si ap-poggiò con Nick Aloe c}l'e eîa gièL capo loccrle, con Vincen-zo Pidlìo e con la famiglia di Farao Giuseppe; a Cassa-no si appoggiò con Alfredo Elia e Leonardo Fotastefano:a Vìl lapiana con Aldo Marirato; a Codgliano con SanloCareili: a Rossano con Pasquate flipodom; a Castrovil-lari con Giuseppe Impierí; a Cariati con Antonio Cicciù;a Cosenza con Gildo Peryi.

Si sentiva rm padretemo tanto che volle eliminare isuoi Boci che l'avevano garaltito con la ,ndrangheta reg-gina. Cosi fece uccidere Ciccio Spina e suo fratello Giu-seppe e successivamente anche Ciccio Canale. Avevacreato un impero economico dal niente; il suo a.rrestopose fÌne alla sua egemonia verso la fine degli aìni no-vanta, dopo una cruenla guema che sj era sc;tenata coni vecchi alleati dei tenitori di sua i luenza.

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Ho conosciuto Peppino Cirillo perché ho sogglorna-to per affari a Rossano círca due anni tra il 1983 e il1985.

Io mi sono sposalo nel 19?4 e dopo il matrimonio av-venuto a Torino mi sono nuovamente trasfeito a Bova-lino dove ho preso a fare il rappresentante di commer-cio nel settore anedamento. Anedavo in proprio ancheresidence e villaggi turistici nelle zlne di mare in tuttala Calabria. Ho arredato a Scalea, Cetraro, Tlopea, Ni-cotera. Falema. Rossano e Schiavonea, Nel 1982 otten-ni di alredare un complesso di trenta úini appartamen-ti aÌ mare tra Rossano e CorigÌiano, pertanto quandoI'anno successivo la costruzione fu ultimata soggiomaia Corigliarro per sovraintendere aì ìavori. Devo precisa-re che tutti questi lavori di arredaúento avevano il be-neplacito, che valeva come lasciapassare, della famigliadi 'ndrangheta cui appartenevo, cioè i Rorneo. Per que-sto motivo di solito non iDcontravo ostacoli. Quando noDconoscevo di persona il referente mi è capitato di dover-mi confiontare con 1a malavita del luogo, tuttavia l'in-tervento di San Luca pianificava ogai cosa.

Anche a Corigliano sono stato affrontato da uomini diPeppino Cirillo e di Pasquale Tlipodoro. Per prina cosaEìi fecero trovare una corona mortuaria davanti al por-tone della villetta che avevo preso in afntto a RossanoScalo, con la dicitura "alla memoria rli Francesco Fonti",Andai a San Luca dove feci presente l'accaduto e al ritor-no poltai con me tre persone che dovevano prot€ggermie inoltre mi era stato gaÌantito che avrebbero preso con-tatto cîn ìe persone responsabili di quelle zone.

La notte dopo il mio ritorno è stata data alle fiammela mia auto, una Mercedes 220.

Nella ste8sa giornata ardvarono sul posto due mac-chine con otto persoùe comandate da Giuseppe Barbaro

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e tutti assieme ci recammo negli uffici di Sibari in cuisapevamo di trovare Ciriìlo, di îlipodoro nemmeno cioccupanno in quanlo non lo tenevamo in coneiderazio-ne. Fu un incontro molto brusco, i guardaspalle di Ciril-Ìo furono chiusi in una stanza sotto la mila delÌe pisto-le e io personalmente obbligai Cirillo al risarcimentodella macchina bruciata e ad assumersi l'impegno chenon mi awebbero piìr rotto le scatole. Ciillo awisò Pao-lo De Stefano. Gli rispose che non doveva lamentarsiperche gli era andata bene se era ancora vivo,

È stato lo stesso Cirillo che successivamente mi fecearredare ul altro compÌesso di quaranta appaftamentia Villapiala Scalo, dove avevo conosciuto anni primaAldo MaÌitato proprietario del ristorarte "La Pineta".

Dopo questi lavori mi fermai per qualch€ tempo aRossano dove nel frattempo avevo acquistato una villet-ta, cinque mini appaÌtamenti e un magazzino di cinque-cento m€tri quadrati con l'intenzione di fame uno show-Ìoom di arredamenti. Avevo pure una relazione con unaragazza dell'alta borghesia rossanese ed ero bene inse-rito presso tutti í notabili del posto, ma fui arrestato peruna Btoria di 500 milioni di c.c.t. falsificaìi che avevo ge-stito un paio di anni prirna. Fui condotto al carceremandamentale di Corigliano in attesa di essere trasfe-rito al carcere di Vibo Valentia.

In quei giorni ricevetti sempre il pranzo da un risto-rante incaricato da Cirillo.

Dopo quattro giorni fui trasferito a Vibo dove incon-hai Fraaco Pino. Era il mese di apriÌe del 1985.

In quel periodo nel carcer€ di Vìbo si trovava il Go-tha della 'ndrargheta del vibonese, da Francesco Man-cuso al fratello Giuseppe, da Francesco Pesce a Carme-lo Lo Bianco, inoltre c'eralo Franco Pino, DomenicoBruzzaniti e tanti altri.

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Mi accolsero tutti con rispetto ed amicizia in quantoero già conosciuto da alcuni di loro e fu allora che mipresentarono, tra gli altri, Franco Pino.

Ciò che mi colpì di Pino fu il suo sguardo e la compo-stezza nel parlare, era alto, magro e molto elegante. Cìtrovammo a parlare di abbigliamento e di moda inquanto io usavo delle camicie di seta fatte su misura evestiti a doppio petto. Ci unì la passione per il bel vesti-re. Mi ricordo che ebbi a ùitica o per tutti gli oggettid'oro che portava indosso, dicendogli che non era conso-na per un uomo d onoÌe quella ostenrazionc, mi rrsposeche era un'abitudine trasmessagli dal suo compareFranco Muto da Cetraro con il quale si hequentavaspesso. Facevamo delle lulghe passeggiate nel cortilepromettendoci di incontrarci quando al/Temmo riacqui-stato la libedà. Questa nostra frequentazione diede fa-stidio a Ciccio Pesce che un giorno mi disse tra il serioe il faceto che era opportuno che frequentassi di pirì ireggini che i cosentini in quanto ìa mia "famiglia" eraalleata con loro e non con Franco Pino. Risposi moltofreddamente che awei fiequentato sempre chi ritenevodegno ed onesto senza distinzione tra reggini e cosentini. Così come fitenevo degno Ciccio Pesce, altrettànto loera Franco Pino, senza togliere o agglungere niente al-I'uno o alì'altro.

Franco Pino era diventato il boss di Cosenza dopoche nel dicembre del 1977 fece uccidere Luigi Palermosoprannominato "u Zorru". Questo omicidio scisse la co-sca in due gruppi, uno faceva capo a Perna-Pranno-\t-telli, l'altio gluppo faceva capo a Pino-Sena.

Il sodalizio Sena-Pino si legava aÌle cosche di FrancoMuto di Cetraro (CS), Basile-Calvano di San Lucido eCirillo operante nella sibadte, spalleggiati anche da fa-miglie della piana di Gioia Tauro (RC) e dalla nuova ca-

morra organizzata di Raffaele Cutolo. Con la compagi-ne dei Perna-Pranno-Vitel l i si

"chieravano invece i so.dalizi Africano di Amantea e Serpa di Paola (CS).

Da questo momento storico la malavita cosentina haaccesso alle regole della 'ndrangheta. Questi gruppipossono avere le dori e fare affiliati.

Ma da subito questi gluppi si misero in contrapposi-zione tra loro scatenando la guerra di 'ndrangheta neÌcosentino. Dopo tanti morti in entrambi i gÌuppi si arri-vò ad una tregua verso la fine degli anni ottanta dove siconclusero degli accordi di spartizione del tenitorio perfàÌe ognuno le proprie attività. Puì.troppo non bastòquesta pnma grerra a mettere a posto le cose, in quan-to il gruppo Bartolomeo-Notatgiacomo, nel fiattempovolle distaccarci dal comando di Franchino Pema percreare un gÌuppo autonomo. Ciò portò alla secondaguerra cosentina, proprio allìnterno della cosca Perna.ln questa seconda fase si deve collocare l'omicidio deldirettore del carceÌe di Coseùza Sergio Cosmai, awenu-to nel marzo 1985, ad opera appunto dei ftatelti Dario eNicola Notargiacomo, collaboratori rei confessi. affiliatie agli ordini di Franchìno Perna ìl quale neì suo disegDodi mettere le mani sul carcere trovò l'ostacolo del diret-tore che riuscì ad impedirlo pagando con la vita la suaonestà allo Stato.

Rimasi in quel carcere fino al trenta ottobrc del1985, poi fui trasferito in quello di Cosenza, a via Popi-tia.

In quei mesi coltivai anche buoni rapporti di amici-zia con Fràncesco Mancùso, boss iconosciuto da tutti eche godeva del dspetto indiscusso degli uomíni di'ndrangheta. Quando il venticinque ottobre di quell'an-no fu ucciso Paolo De Stefano facemmo una veslia fune-bre nel carcere.

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Quindi, arrivando nel carcere di Cosenza pochi mesidopo I'uccisione del direttore, trovai una situazione ditensione molto forte.

Incontrai per primo Filippo Romeo che era Btato av-vertito del mio ardvo tramite colloqui, lui mi pÌesentò aGiuseppe De Rose e Mario Musacco affiIiati a MarioPranno, facente parte del sodalizio di Franco Pema. No-tai, parl,ando con queste persone, che malgrado la re-cente uccisione del direttore del carcere, si comportava-no come se effettivamente fossero loro a comandare. Inefretti mi dissero che di qualùÌque cosa avessi aqrto bi-sogno, specie in ambito carcerario, loro erano in conali-zione di soddisfare qualunque richiesta. ln poche paro-le mi dissero che iì carcere dipendeva da loro, malgradola stretta dopo i noti fatti.

Nello stesso istituto si trovava anche Domenico Mae-sano, capo dell'omonima fàmiglia in faida con la fami-glia Arena di Isola Capo Rizzuto, Domenico Martino diSarnbatello, Carmelo Pesce di Rosarno, Antonio Drago-ne di Cutro e altri.

Quasi tutti i giorni c'erano dei rimpiazzi, cioè nuoveaff iazioni effettuate sia dai cosentini sia dai catanza-lesie e ogni volta passavano paÌola a noi del reggito co-sì avevano un punto in più a favore, nel senso che ave-vano I'avallo degli 'ndtanghetisti eggini presenti.

Io sapevo già, per vari discorsi fatti in passato conGiuseppe Cataldo, Tbtò Scali, 'Ntoni Macrì ed altri cheloro usavano i gruppi malavitosi cosentini e catanzare-si per investimenti nell'edilizia oppure per maoovalan-za per etti cdminosi, ma senza considerarli dei veri ap-partenenti alla 'ndrangheta. In effetti, quando venne ri-lasciata la dore risultò essere diversa da quella origina-le in yigore nel reggino.

Posso allermare che Eros6i investimenti fumno fatti

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a Camigliatello Silano per la costruzione di viliaggi edalberghi ad opera della famiglia Musitano.

Per quanto riguarda Luigi Vrenna, non era conside-rato un uomo d'onore ilr quanto I'onore l'aveva perso conle donne. Aveva circa ventiquattro figli con madri diver-se. Con il traffico della droga però anche queste macchievennero lavate dai soldi che le famiglie guadagDavÉrno-

In queglì anni ottanta Cera già un notevole flusso didmga e i nuovi boss, rna anche i nomi storici, ce(avanonuovi affi.liati per la distribuzione di questo veleno.

Pertanto, a part€ le faide e le guerre in atto, nellecarceri si af ava chiuDque. Giovani arrestati per fur-to e per piccole rapine venivano battezzati appena en-travano in cafcete.

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l\el 1974 deciei di spoaar-rni con uÌa ragazza conoeciu-la a lbrino. Quando comunicai questa decisioue ai "ca-pi" non ne furono molto contenti perché qualcuno di lo-ro aveva prospettato che io portassi all'altare una giova-ne pareDte del capo-coeco ili Platì che a quei tempi eraPasquale Agresta.

La famiglia dí questa ragazza era ernig"ata in Fran-cia ma tutti gli anni tornava a Platì, paese dorigine, perritrovare i parenti, così mi è stata presentata con I'in-tento di fidanzarmi e guccessivamente sposarla.

Era una belligsima r agazza ma r$r\ eta utia intenzio-ne legarEi; tuttavia stetti al gioco, stando b€lle attentoche fogge solo una flequentazione platonica onde nonmancare di rigpetto alla famiglia. Dopo qualche mesedecisi di troncare questa stoúa adilucendo scur€ suimiei continui spostamenti per conlo deìla "societA", An-che se contradati accettarono questa scusa senza conse-grreDze per rne,

Ma quando comunicai che mi sarei sposato a Tbrinosubii diversi atti intirnidaíori, quale l'incendio dell'auto-vettura, telefonate anonime ai genitori della mia futuranoglie che rni descrivevano come ùno che viveva sfrut-tando le donne. Ho avuto il mio da fare per dimostrareche erano calunnie, ho dor-uto farmi fare un certificatodi buona condotta dal presidente ilella Regione e un al-tro dal prete e una lettera che attestava la mia morali-tà dal sindaco.

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Allora mi rivolsi ai "capi" facendo finta di ignorareche questi atti intimidatori provenivano proprio per illoro volere e dimostrandomi indignato chiesi di aiutar-mi a scoprire chi mi aveva preso di mira, rinnovando lamia fedeÌtà alla societìi aache se mi fossi sposato conú]Aa ragazza che non aveva mai Sentito parlare della'ndrangheta. Questa mia mossa ebbe il suo elTetto inquanto útornai ad eosere considerato affidabile e per-tanto ebbi la "loro benedizione" alle nozze.

Dopo il matrimonío ritornai in Calabria dove rimaBifisoo per qualche anno. Per poter dimostrare che avevoun lavoro ricominciai a fale il rappresentante di arreda-nenti, lavoro che avevo già fatto seppure irì altro cam-po con la ditta Gillette dove mi elo meritato iÌ premio"gillette d'oro" come miglior venditore della Calabria.

Girando in Calabria come rappresentante riuscivosia a produrre nel lavoro che a fare nuove conoecenzecon altri capi e afnliati. Nello st€s6o tempo curavo gliincassi del pizzo e i buoni rapporti con i capi dei paesiinlluenti come Africo, San Luca, Locri, Platì, Siderno,Gioiosa ecc.

Ho aiutato tante bmve persone che vivevano del Ia-voro nei campi, quando la banca rifrutava loro un pre-stito glielo davo io a fondo perduto, chiedendo loro solol'amicizia-

Avevo anche ricevuto la dote dello s8.oro sebbenenon avessi mar ucciso nessuno: mi venne riconosciutaper meriti politici e orgar\izzatii,

Un giorno, mentre entravo nella locale banca per unversamento sul mio conto, valcala la soglia mi trovai inpiena rapina. C'eÌano trequattro persoDe i-ocappuccia-te che rapinavano la banca e vedendomi entÌane mi in-tirnarono di non muovermi e di tenere alzate le mani,con cui tenevo delle mazzette di soldi da versare.

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Non le toccamno, anzi mi chiesero ae avevo visto i ca-rabinieri. Mentre stavo per rispondere vedemrno delledivise che si appostavano dietro delle macchine. Propo-si ai rapinatori di uscire facendosi scudo di me e diprendere la mia hacchina che era proprio davanti al-l'ingresso con le chiavi attaccaté. Così fecero e paÉiro-no sgommando. Intanto i caÌabinieri si organizzavanoper inseguirli. Dopo pochi minuti mi incamminai a pie-di verso casa ma, percorsi circa sette-ottocento metri, inuna strada laterale, vidi la mia macchina ferma. Mi av.vicinai e notai che c'erano le chiavi e sul sedile davantiuna pistola abbandonata.

Con normalità salii in macchina e mi dbessi a casaoccultando I'arma. Quindi mi misi in contatto con gli"amici" e la sera stessa qualcuno venne a casa mia siaper recuperare la pistola sia per ringraziarmi per la col-laborazione. Ero stato riconosciuto e per questo nonpreEero i soldi che tenevo in Írano.

Sembrava un vivere la Dormalità. Invece, cosi non era.Mia moglie rimase incinta, ma quella bambina non

nacque mai. Purtroppo morì nel grembo della madre equegto awenimento ci sconvolse. Avrebbe dovuto chia-marsi Federica ma mai potemmo pronunciare questonome. Questa disgrazia ci mandò in crisi e rnia moglietraecorse molti mesi da sùa madre in Piemonte, mentreio continua\.o a vivere in Calabria, ten a stupenda mache aveva tradito le mie aspettative di vita. Al.lei volu-to nascere in qualsiasi altra località ma non in Cala-bria, avrei fatto volentied a meno di respirare il profu-mo dei gelsomini così non aÉei neanche respirato lapuzza della 'nùangheta. Gente generosa ed ospitalequella di Calabria ma con questo cancro che la divora enessun governo ha mai yoluto andare alle radici di que-sta halattia. In questa mia solitudine matrimoniale eb-

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bi molte awentute e a volté ho fatto del úale a oualchedonìa che si era veramente ionaaoral,a di me.-Dicevoche tutto aDdava bene, ma mentivo agli altri eal aÌrche ame stesso. Nel lg77 mia moglie, della quale ero moltoinnamorato malgtado le awentùlre che avevo, era nuo_vamente incinta. Grande trepidazione e paura, visto ilprecedente. Così tragcorse quasi tutta la gravidanza dasua madre per essere più tranquilla. Ed io? A me chi ladava la tranquillità?

Nacque il mio primogenito, Antonio il suo nome.Quando sono 6tato awertito che mia moglie aveva le

doglie era una fredda serata dj genn€io, il riereo del co-lonnello Bernacca diceval oNeve e gelo al nqrd,.

La mattina all'alba ero in ospedale dove di lì a pocoal'rei visto mio frglio. Avevo paura ancbe di prenderlotra le braccia tanto era piccolo e íìagile, così stetti aguardarlo come stupito di quel momento ma con dentrotanta gioia. Dopo ulr paio di mesi ci sarebbe stato il se-questro Moro.

Ilascorsi giornate frastornato dalta nascita di mio fi_glio, I'awenimento più importante del mio vissuto e chean€bbe dovuto rimettere ordine in me. eueste riflessio-ni ebbero una brusca frenata.

Nel mese di febbraio ritornai in Calabria con l,idea divoler uscire da questa organizzazione per dedicarmi al-la mia famiglia trovando un impegto lavorativo onesto.

Chiesi ula riunione dove esposi queste mie idee, matrovai un muro invalicabile e temetti seriamente oer larìr ia vita.

Seguirono tanti seghali inequivocabili per farmi ca-pire che non polevo comportarmj da ingralo e che nonmi a\,Tebbero lasciato andare: un caricatote di pistolaìasciato sul davanzale di una fineslra di casa rnià. tele-l'onate mute. gomme della macchina taglia[e ed altro.

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16 -*ro

1978, giomo del sequestro dell'onorevoìeMoro. Nei giorni a seguire vengo convocato a San Lucae mi viene detto fi andare a Roma per il sequestro Mo_ro. Dalla Democrazia Cristiana calabrese, infatti, eranogiunte pressanti richieste affinché ci attivassimo per laIiberazione dell alto esponente politico

Pressioni erano venute anche dalla segletéria nazio-nale e dal segretario Beoigllo Zaccagnini.

Sembrava. intanto, che il dissidio sorto con me si fos-

se placato. Mi venne defio che dovevo capire: il girÌra-

mento fatto non poteva essere scrollo e che era nel miointeresse continuare a servirc la socierò.

Andai a Roma dove alloggiai aU'hotel Palace di viaNazionale- Incontrai vari agenti dei servizi segeti tra iquali uno di nome "Pino", che avevo conoaciuto in prece_

denza trarnite Giannettini. Incontrai anche un non me-glio identificato "cinese" che risultava es8ere un uomodella banda della Magliana, divèr8i calabresi che abita-vano a Roma e il segretario Zaccagnini al "Café de Pa-ris" di via Veneto. Fu un incontro da cospiratori anchese il dialogo era soltanto imperniato sulla possibilità discopdre in tempo dove le B.R tenevano imprigionatol'onorevole Moro. Venne da me l'agente "Pino" e mi dis-se di andare in via Veneto presso quel íCafè de Paris"conosciuto da tutti, di sedermi ad un tavolo tenendo be-ne in vista il giornale che lui stesso mi aveva portaLo, l8Gazzetta d.el Sud. Dopo poco aúivò il 8egÌetario, si se-

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dette di ftonte a me e disse: "È urr brutto momento perla coscienza di tutto il mondo politico. Non avrei maipensato di potermi trovare seduto davanti a lei in qua-lità di petulante, ma è così! Non sono maÌ sceso a com-promessi, ma se sono venuto ad incontlarla signifrcache il sistema sta cambiando. Faccia in modo che quel-la di oggi non sia stata una perdita di tempo, ma piut-tosto una svolta decisiva, ci dia urra mano e la D.C. dicui mi faccio garante saprà sdebitarsi,. Be\rye ul1 sotEod'acqua dal bicchiere che il cameriere aveva portato, sialzò per andarsene, non pdma di aver detto: nNon cisiarno mai incontrati. se ci saranno notizie che vorràdarmi di persona 1o dica all'agente "Pino"o. Da partemia dissi: nDottore, ci siamo già attivati per reperire in-for'rnazioni che possano servire a porre fine a questabrutta storia, sicuramente le nostre ricerche sarannofrul, luose e Ie saranno comunicate da me in pefsona-.Fu funica volta che lo vidi. Incontrai il deputato demo-cristiano Benito Cazora, incontrai il malavitoso romanoDomenico Balducci, incontrai l'ufficiale Giuseppe San-tovito capo del Sismi dal 1978 al 1981, iscritto alla log-gia P2. Aveva ulr ruolo di primo piano nelle indagini sulsequestro Moro. Fu inquisito dal giudice Carlo Palemoper tralfico di armi e anestato ne1 1983 per violazionedi segreti di Stato.

Inconlrai anche Natale Rirni, mafroso palermitaao.Incontrai anche l'appìmtato dei carabinieri Darniano

Balestra, già addetto alÌ'A.rnbasciata italiana di Beirut,il quale mi <lisse che il colonnello del Sismi Stefano Gio-vannone, sigla in co<lice G216, gli aveva raccomandatovivamente di salvare Moro a tutti i costi.

Il colonnello Stefano Giovannone, iscritto ai Cavalie-ri di Malta, aveva ricoperto l'incarico di capocentro delSismi a Beirut dal 1972 al 1981. Aldo Moro, in ben due

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lettere scritte durante la sua prigionia, aveva auspicatol'inlervento del colonnello Giovannone per risolvere la"delicata faccenda" del suo rapimento. Nel 1985 il giu-dice istruttore veneziano CarÌo Mastelloni emise unmandato di cattura a carico del colonnello Stefano Gio-vannone con l'accusa di aver favorito il traffico d'armifra l'Olp e le Brigate rosse. Il colonnello Giovannonemorì poco dopo agli arresti domiciliari. I documenti uf-ficiali parlano ali morte naturale ma non è dato saperequale sarebbe stata questa morte naturale. In altre pa-role: nell'arco di un anno muoiono sia Santovito cheGiovannone entrambi improwisamente e per "mortenaturale". Una bella coincidenza, no? Linchiesta delgiudice Mastelloni viene fermata dal Govemo che sullavicenda pone il segreto di Stato.

Ferraro era stato subalterno di Giovannone. ed erastato in Somalia; l'avevo conosciuto nel 1986, tramit€lagente "Pino", come avevo conosciuto anche il colon-nello Giuseppe Belmonte. Cinque processi, dal 1987 al1995, e relative sentenze hanno identificato esecutori edepistaiori della strage di Bologna de1 2 agosto 1980.

Nella definitiva sentenza del 23 novembre 1995, laCorte Supreara di Cassazione ha condannato all'erga-stolo come esecutori della strage Valerio Giuseppe Fio-ravanti e Francesca Mambro; per il delitto di calulnia,Licio Gelli, Pietro Musumeci e GiuÈeppe Belmonte; perbanda armata, Valerio Giuseppe Fioravanti, FrancescaMambro, Gilberto Cavallini, Egidio Giuliani. Ed i man-danti? Chi ha voluto e commissionato la strage alla sta-zione di Bologna? Le stragi sono awenute in ltalia conterrificante continuità. Una strage può essere l'opera diun folle o di un fanatico, una strategia basata sulle stra-gi, no. Altra considerazione fondamentale è che ullastrage non ha senso se non c'è chi può raccogÌierne i

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fiirtti awelenati: in campo politico, istituzionale o disemplice riassetto degli equilibri di potere, È probabileche chi uccide 85 persone, ne ferisce 200 e gode di pro-tezioni da parte di apparati i8tituzionali è comuaque(consapevollente o meno) inserito in un disegno di arn-pio rcspùo. Non si può escludere che il complottismo delpotere dispone di eervizi che, con il pretesto della effi-cienza, vengono chiamati e 6ono segreti; i quali proprioper easere segreti, cioe impurriti, cadono a loro volta nel-la perenne tentaziode di ricattare i mandanti, in un in-treccio che tutti possono sospettare ma che negsuno puòscoprire perché le complicità con il potere Bono tamifi-cate e quasi sempre al riparo da ogni indagine.

La mia impressione è stata che, a part€ le scontatedichiarazioni di tristezza e di indignazione per il gravefatto accaduto, l'unico che agiva veramente per la sal-vezza di Moro era il deputato Benito Cazora.

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Negh aani settanta pr.oliferava il trafÍico di stupefa-centi, i siciliani avevano preso il posto dei marsigliesi inquesta attività e impiantato raffinerie in varie localitàdell'isola, avendo in più il canale púvilegiato con gliStati Uniti dove si erano trasfedti tanti boBs.

Ricordo che tra il 1976 e il 1977 mi era 6tato affidatoun sacco, tipo quello in cui si mettevano le patate, daportare dalla Calabria a Milano: era pieno di eroina. Ac-cadde che in un'area di servizio, mentre facevo dforni-mento, fui controllato da una pattuglia della stradale,Mi fecero aprire il baule della macchina e vedendo quelsacco lni chiesero cosa ci fosse dentro, risposi: <Del con-cime calabrese per le piante,. Uno della pattuglia rispo-se che a lui tutte Ie piante di casa morivano 6empre. Miresi disponibile a dargliene urr po'e nel dire questo apriiil sacco per fargli vederc il contenuto.

Uinvito fu declidato e potei continuare il viaggio perla consegna, che andò a buon frne.

Nel 1979, alle elezioni politiche ci fu un forte impe-gno della 'ndrangheta a favore della Democrazia Cri-stiana e, anche se minoritario, per il PSI. Personalmen-te feci la mia parte e mi occupai di far distúbuire buonidi benzina e derrate alimentari che arrivavano da Ro-ma per finanziare la campagna elettorale; arrivaronoanche tanti soldi, ma quelìi non si distribuivano.

Nel 1980 trascorsi un periodo di diversi mesi in Ba-silicata, assieme a mia moglie e mio figlio. Il cornpito

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era quello di sondare la possibilità di aprire dei locali irtquella regione. P"rtroppo il 23 novembre ilello st€ssoanno ci fu un tremendo tenemoto che fece distrúzioni emortr.

Avevo organizzato un deposito di mobili come coper-tura e allorquando ci fu il sisma offrii al comune tutti imaterassi che avevo in deposito, circa duecento. NelfratterDpo feci partire mia moglie, che era nuovamenteincinta, v€rso il Piemont€ per stare con sua madre. Iodmasi sul posto frno al 10 dicembre. In quella data fuiawertito che slava per nascere la bambina, prematuta-mente per lo spavento alrrto dalla madre durante il ter-remoto. Sono partito e ho assistito alla nascita di Lau-ra, che però stette piìr di un mese in incubatrice per leprecarie condizioni di salute. Quando fu dimessa, io tor-nai in Calabria e loro rimasero in Piemonte.

Non c'era g:rande armonia nella mia famigÌia e sicontinuava a stare divisi per dei lunghi periodi; questasiluazione non sfirggì ai "capi". che una aera mi convo-carono per gapere da me cosa stava succedendo. Fu unariunione molto burrascosa durante la quale qualcunoinsinuò che probabilmente mia moglie €ra distratta daqualcun altro e che quindi avrei dovuto prendere delledrastiche decisioni. Non fu escluso neanche lestremogesto di sopprimerla.

C'è da dire che non godevo della stima e della simpa-tia di tutti. C'era chi era invidioso della mia "carriera"in seno all'organizzazione e per la frducia che godevo trai mammasantissima. Per questo volevano delegittimar-mi con una storia ali clrna,

La mia reazione è stata forte così come lo era stataI'accusa. Dissi: "Se risulterà vero che mía moglie mi tra-disce. la ucciderò come mi avete detto, ma successiva-mente ucciderò anche le vostre rnogli,, rivolto a quei

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due o tre che propugnavano i1 tradihento. I "capi' cer-calono di mettere pace visto che gli arúmi erano tantoaccesi che poleva fìnire in una sparatoria.

Si decise che io stesso a\,.rei controllato mia moglie,ar,'valendomi di persone a me fidate, così se ci fosBe sta-ta una qualulque mancanza di questo genere sarebbevenuta fuori. Furono attuati pedinamenti, appost€men-ti e quant'altro ma tutto era chiarc e pulito, c'era solouna crisi coniugale o nessuna telazione extra da partedi mia moglie. Mi vennero fatte delle scuse, ma I'attdtorimase anche se in apparenza sembrava che tutto fossefinito.

A quel punto mi venne proposto di entrarc nella san-tQ,.

Con l'ingresso nella sazta si abbandona la societù. mi-r?orp e si accede alla s ocield maggiore. È, :uso comune d i-re che la soaro è una dore infame sia perché nél giura-mento si dice che nell'interesse dei "saggi compagni" èlecito anche il tradimento verso la socieúà &inot"ef siaperché si può avere libera frequentazione con per€onag-gi che indossano una divisa oppute una toga; sia perchéi referenti Btorici collegati a questa dote sono due gene-rali e un politico, Garibakli, La Marmora e Mazzini.Questi referenti sono gli iniziatici della massoneria, aI-la quale si può accedere dalla scnro.

Nondimeno questa doúe è ambita da ìutti gli affiliatie quando si è in condizioni di poterla avere è un grandeonore che viene comunicato a tutta l'assemblea del loca-le. Co6ì ero un sazrisra. Per questa dore sono stato av-versato da molti e sono stato anche oggetto di ul! attén-tato dal quale sono uscito illeso.

Una gera trovai una corona di fiori (queÌle che si fan-no per i funerali) davanti la porta di casa, mentre rien-travo con mia moglie, la quale si impressionò molto non

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avendo cogîizione di quanto stava accadendo. La tran-quillizzai dicendo che Bi trattava di ulìo scherzo di cat-tivo gusto, na solo uno scherzo.

Dentro di me, invece. si faceva strada un senso dipaura; paura per lei, non per me. Barbara era una ra-gazza semplice che non sapeva né immaginava il fangoin cui mi stavo rotolando.

lnoltre dovevo proteggere anche i miei frgli.Ho pensato che la soluzione migliote fosse la separa-

zione, ma dovevo fare in modo che fosse Barbara a fareil primo passo.

Un gior"no, di ritorno da uno dei miei soliìi giri nellefunzioni di rappresentante, misi nel boNone una rice-l'uta di albergo con il nome mio e queìlo di una donna:sapevo che mia moglie aveva I'abitudine di disfarmi ilborsone. Così vide.quella dcet"uta e prese la decisione disepararsi da me. E seguita la trafila legale e dopo qual-che settimana il tribunale civile sancì la separazionedel nostro matrimonio. Ripeto sinceramente che erotanto imamorato di Barbara, ma non potevo fàre paga-re a Ìei ed ai miei figli le scelte sbagliate della mia vita,non avrei do\.'uto sposarrni sapendo di aver accettato, inprecedenza, di entrare in una spiraìe malefica che mia\.'rebbe consumato. Nei confronti della mia famigliaquella è stata una scelta d'amore, anche se ml sono ma-ledetto tutti i giorni a seguire.

Rimasi solo. veramente solo. con una ltistezza cherendeva il mio cuore gelido e questo freddo si espande-va in tutto il corpo.

Finché tutto dentrò nella norma gtazie ai buoni uf6-ci di altri sanflsfi che rni volevano con loro a tutti i co-str.

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Avevo visto altri affrliati che quanrlo ricevevano la son -ta sembrava che fossero aruivati al traguardo più im-portante della loro vita, per me non è stato così, l'ho ac-cettata come il minore dei mali che potesse colpirmi.

Dopo aver fal lo i l giuramento al la massoneria. capiiLimportanza della s@|rtar ma non ne fui attratto e conti-nuai ad essere alquanto distaccato, avendo capito che 1amassoneria era pifr potente delle istituzrom.

Un giorno venni chiamato perché vollero danni l'in-carico di organizzare la rete della distribuzione di stu-pefacenti in Emilia Romagna.

Come ho già detto erano molte le famiglie che traffl-cavano in droga anche se io non volevo farni coiùvolge-re, ma l'offerta di organizzare una rete di distribuzionetra la Lombardia e I'Emilia la ritenni rnreressarue.

Sapevo che entrando in quel trafhco prima o poi sa-rei frnito in manette e che l'eventuale condanna sareb-be stata pesante, tuttavia accettai questo compito.

Lincontro a\,.venne a San Luca, la famiglia Romeo-Pelle-Giorgi mi fece le raccomandazioni del caso e mipreparai per questo compito.

Devo precisare che ero molto legato da rappoúi di ri-spetto e amicizia anche con la farniglia Musitano che inquel pedodo aveva subito dalla magistratura uÌa seriedi prowedimenti giudiziad, tra i quali il sequestro deibeni posseduti e la misura dell'allontanamento dallaCalabria del capo-famiglia Domenico, che si stabilì in

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Basilicata; inoltre i Musitano erano in fàida con la fani-glia Marando.

Per gestire ed organizzare il traffrco degli stupefa-centi ho creato una base operativa a Reggio Emilia.

Come prima cosa ho cercato di conoscere il tenitoriodove mi sarei mosso, pedanto ho trascorso ul meseospite di ùna donna del posto per farmi podare in giroe imparare le strade secondarie che si intérsecavano nelreggiano, dopo rli che acquistai una villa e rilevai un ri-stonante per avere una copertura logica al mio insedia-mento sul posto. Feci venire quattro giovani da San Lu-ca, che assunsi nel ristoratte, ma nel frattempo avevofatto conoscenza con la delinquenza locale che altro nonfaceva che spacciare per chi gli dava il materiale.

Sul posto esisteva già una dishibwione gestita dacalabresi e napoletani ma avevano sempre problemi dirifomimento. Peraonalmente non dovevo dare conto anessuno della mia attività anche se c'erano altre fami-glie di'ndrangheta che si erano trasferite prima, inquanto rappresentavo l'élite della 'ndrangheta e quindii piÌr foúi.

C'era un napoletaìoo che si faceva chianrare 'il padri-no" che a detta degli spacciatori del posto era il numerouno. Terrorizzava tutti con minacce e si approfittava apiacimento. Mi feci indicare dove abitava e una mattinaverso le cinque andai a fargli visita. Per lui flr un bmt-to risveglio: non si accorse neanche di cosa gLi stessesuccedendo. Prese un sacco di botte. ma non eta ulr "du-m" era soltanto un presuntuoso che si atteggiava. Daquel mohento non diede più faetidio a nessuno, anzi di-venne un mio cliente. Portai in Emilia una grandequantità di stupefacenti, dall'eroina alla cocaina e diqualità ottima, cosa che nessuno aveva lnai visto.

Il primo rifornìmento di diverse decine di chilogram-

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mi è stato distribùito in due seiìimane, ma io prima neavevo regalato più di un chilo per far vedere la qualità,cosicchè dopo la richiesta aveva superato le aspettative.Venivano anche da Parma e Boìogna per fifbrnirsi, aparte tutto il reggiano e il úodenese. Ad o8rììro davo dacinquecento gÍammi ad un chilogrammo in conto vendi-ta, cioè enho quindici giorni dovevano tornare a pagaree a prendere Ìa nuova fornitura.

Una sera al mio ristorante c'era una tavolata di cir-ca venti giovani che dopo aver cenato si erato measr adare fastidio sia ai cameúeri che agli altri clienti. Arui-vai che avevano appena iniziato e capii dal parlarc cheerano calabresi, Mi al'vicùrai e con cortesia li invitai avenire coD me nel giardido del ristorante. Dovevo parla-re con loro. Spavaldamente sccettarono forti anche delfatto di essere in tanti. Appena fuori impugîai Ia pisto-la e cominciai a sparare per terra verso di loro, facendoattenzione a non colpirli. Volevo solo spaventa i perfargli capire che erano a casa mia. Nel frattempo eranoaccorsi i miei uomini. Dissi: nPagate il conto, andateve-ne e fate venire da me chi vi ha mandatoo.

Il giorno dopo si presentarono due calabresi sui cin-quant'anni per parlare con me. Fui di poche parole, glidissi chi ero e che da quel rioÉento aEei faito affari iAqueÌ ter"ritorio. Se avevano qualcosa in contraÌio erameglio per loro sceùdere ad accordi. Mi dissero che nonsapevano chi fossi in quanto non mi ero presentato almomento del mio arrivo, ma che non volevano storie esi offrirono di diventare anche loro miei clienti. Pertan-to anche con questi 'ndranghetisti fuoriusciti si fecesentire la voce del padrone. E risaputo che quando in unter"dtorio ci sono cose nuove anche i carabinied e la po-lizia lo capiscono. sia per il loro investigare sia per I con-frdenti che girano intomo. Così i carabinieri e Ia polizia

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incominciarono ad occuparsi di me. Venlre da me il co-mandaate della stazione dei carabinieri del paese doveavevo il ristorante e mi pregò, qualùnque cosa io faces-si, di farla fuori dal territorio comunale di sua perlinen-za in quanto non voleva trovarsi nei casini. Tlovai an-che una gola profonda in questuÌa che dietro compensomi awertiva se c'erano controlli sulla mia persona.

Avevo dato delle regoìe precise a coloro che erano aimiei ordini. La prima era quella di non fare mai uso didroga, quello era solo u:n lavoro, la seconda che in qua-lunque difflcoltà dovevano parlare con me ed io alteidecigo cosa fare, la terza di non far u€o delle armi in ca-so di arresto, è meglio perdere un po' di merce che fareun conflitto a fuoco: nel priho caso un buon awocato sisarebbe potuto muovere senza prcbÌemi ma nel secondocaso garebbe stata dura.

Avevo anche delle storie sentimentali, alcune passeg-gere, altre piiì o meno durature. Ero molto richiesto peril mio alone misterioso e per la mia disponibilità econo-mica. Avevo ril€vato altri due ristoranti in zona, avevoacquistato un cottage soÌl'Appeùrino modenese, posse-devo cinque macchine di grossa cilindrata e mi sposta-vo tra iÌ modenese, Milano, Bologna e Roma.

Edy era la figlia maggiore della ex proprietaria delprimo ristoraute che avevo rilevato, Ùna donna bellissi-ma e senBlrale che faceva l'indossatrice di intimo per va-rie aziende del settore: siamo stati assieme fino al lugliodel 1987.

Aldegonda era la figlia sofìsticata di un noto costrut-tore, aveva guBti raffrnati eal era alla ricerca di nuoveespetíenze,

Cristina era la figlia ali un awocato reggiano.Sandra era di Reggio ma si era trasferita a Roma do-

ve aveva un negozio di intimo.

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Mabe era la sorella di Edy. Di tant€ attre ho solo unvago ricordo.

I carabiraieri ni Btavano addosso, la polizia pute, maio facevo i miei traffici con relativa facihtA.

La macchina civetta più veloce che avevano eraun'Alfa sud; quando mi spostavo per andare a fare rifor-nimento a Milano úi orgaaizzavo con quattro macchineche mi aspettavano dutante il percorso e da ruta passa-vo all'altra seminando sempre chi mi seguiva. Un gior-no feceto un posto di blocco sull'autostrada, ma ero sta-to a\.vertito e 6ono passato senza niente in compagniadella Aldegonda. Un'all,ra volta fecero irmzione io unacaga ali campagîa che avevo in uso e che mi serviva perdelle riurrioni: aache questa volta non tlovamno niente-Avevo capito che c'ora del movimento e feci arrivare Al-degonda a piedi su per la stradina sterràta che poúavadalla strada alla casa. C'era molta neve e lei era con lapelliccia di visone e i tacchi a spilÌo. Appena i carabinie-li Ia videro la férmarono, come avevano fatto con gli al-tri occupanti della casa. Il tenente che cornandava dis-se subito: "E la donna del capo, adesso arriva ancheluir. Certo aryivai ma non mi fermai, continuai a saliresu per la stmda con la Volvo 760 e rni portai fuori dallaloro vista.

PortaroEo tutti in caaeEna ma dovettero úlasciarliin quanto niente li collegava a fatti illeciti.

Aldegonda era eccitata da queste cose e mi chieilevaperché le forze di polizia mi seguivano, rna non ncevevamai spiegazioni in merito alle sue domande. Uu'altravolta la polizia irruppe nel ristorante, mentre ero a Mi-laao. Fecero una perquisizione dall'esito negativo, maurr poliziotto diede uno spintone alla mia ragazza Edy,che si trovava lÌ per caso. Fui ar,'visato prima di rientra-re e mi dissero che mi cercavano. Rimasi fuori sede e

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handai il mio awocato a chiedere che accuse ci fosserocontro di me. Sospelti di traffico di droga lna senza nes-sulla prova. Ma io decisi di individuaÌe il potiziotto cheaveva spintonato la mia ragazza. lYovai l'indirizzo e du-rante la notte entrai in casa sua e gli misi la pistola inbocca: "Se cerchi di incastrare me fai il tuo ìavoro, maquesto non ti dà il permesso di spintonare una donnache non c'entra niente mn le mie cose". Il poveretto nonsapeva cosa dire se non scusarsi e dpetere di non farglidel male che non sarebbe successo mai piìr. La rnia vitaprosegurva cosl.

Quando andavo a Roma per ttascorrere qualche fr-ne settimana con Sandra, incontravo anche qualcunodei capi di San Luca e sempre mi ritrovavo con quel"Pino" dei servizi segreti il quale rni chiedeva semprenotizie sulla 'ndrangheta per iiaggiornamento dei suoiarchivi.

Conobbi anche un grosso personaggio siciliano, diTbrrasini, un certo Roberto Mto Palazzolo che priha eralegato a Stefano Bontade e a Gaetano Badalamenli, masi uìì ai Corleonesi di Salvatore Riina quando preseroil comando.

Lo conobbi a Milano e successivament€ ci incoDttam-mo a Lugano per definir.e un affarc legato al riciclaggiodi una forte somma di denaro (circa cinque miliardi dilire) proveniente dal traffrco di droga, che ìui riputì nel-le banche svizzere e poi mi fece accreditare in Liechten-stein sotlo il nome dí Michele SitÀ.. Palazzolo stesso mifece delle confidenze e mi parlò dei suoi contatti conMarcello Dell'Utri.

Sono stato io a procutargli il passaporto intestato aStelio Domenico Frapolli. tramite le mie conoscenze mi-lanesi. Attraverso lui ho conosciuto il direttore genera-le deìla BaÌca UBS, dove sono poi transitati miliardi

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Drovenienti dai l,ralfici di droga e armi.Allora la cocaina la pagavo ventiquattro milioni al

chilogramlîo. pu-ra al novantotlo per cento. e la riven_

devo a centottanta milioni al chiloglammo.Ueroina la pagavo ventitrè milioni al chilogaammo,

anch'essa pura- e la rivendevo a centosessalrta úilioni

al chilogrammo, in una settimana smistavo circa trenta

chilogrÀmmi con uì utile di tre úiliardi di Ìire che veni-

vano divisi con la /omiglid, ma una buona fetta úmane-

va nelle mie tascheAl nord gli incontri coù la /dmiglia awenivano a Mi-

lano dove avevamo un appartamento in cui soggiornava

sempre qualcuno a turno per ogrri eventuale bisoglo In

alternativa c'eraÌo anche dei ristoranti dove ci si incon-

uava per parlare degli affari. wa que"Li ricordo ii risro-

rante:Al àuoco di bordo" in via GluÌ e la locanda "Re-

sentin" in via Melcato nel cuore di Breda; c'era anche il

dstorante "Al piccolo padre" vicino piàzza Cinque gior-

nale, dove ci si inconirava voleoÙeri. come anche

all'"Ibiza" di via GaribaldiDalla frequentazione con uomini dei servizi segteti,

deviati o meno, ho appreso che ci sono moìte tecniche

atte a depistare le indagini. A seconda della situazione

si utilizza quella che si ritiene pirì idonea' Una t€cnica

ottima, usata spesso, consiste nel "bruciare" in anticipo

urra pista inve;tigativa che, se seguita, pobebbe risul-

tare pericolosa. Questa tecnica consiste nel rivolgersi

ad u; soggetto "amico", owero un depistatore, e chie-

dergli (o ordinargli se fa parte di urra organizzazíoue ge'

rar;hica) di affermare come vere cose assolutam€nte

false. Tta le varie co'e che il soggetto allerma una sola

è vera, proprio quella che si vuole non sia oggetto di in-

dagine. Poiché il soggetto ha affermato, per la maggior

oarte. delle cose false, anche la notizia vera è così aaso-

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lutarnente screditaìa e, nella sostanza, "bruciata".Prima, quando parlavo delle mie donne in Emilia, ho

tralasciato Giovanna e Virna che erano le donne cheÎendevano" per lne oltre ad avere un interesse senti-mentale. La Giovanna lavorava in una bisca e per que-sto aveva una vasta rete di conoscenze e quindi un buongiro di vendite. \lrna non le era da meno e tra iutte edue davano via chca quattro chiìogrammi di stupefa-centi ogni mese.

Per la fine dell'anno 1986 organizzai un gîande ceno-ne al mio ristorante "La perla" ed ebbi il tutto esaurito:circa duecentottanta persone a ottantamila lire a t€sta.Llncasso è stato di circa ventidue milioni. C'etano variindustriali del tessite e deÌl'abbigliamento, perché la co-caina la vendevo maggiomente a questo ceto gociale equindi ero conosciuto e rispettato anche da questi per-sonaggi delllndustda locale. Poco prima della mezza-notte passai tra i tavoli assieme alla Edy e regalai a cia-scuna donna rrll foulard di seta; ad ogni tavolo offrii unabottiglia di spumante e altri vari doni ai bambini. Dopola mezzanotte chiamai quelli che erano miei clienti sin-golaÌment€ nel mio ùfhcio e regalai a ognuno una busti-na con cinque gaammi di cocaina.

Ad un certo punto della notte, mentre ero quasi pron-to per andare a casa dove mi aÈpettava Edy, che era giàandata via, a.rrivò l'Aldegonda, abbastanza alticcia chevoleva venire a casa mia. Ero lusingaìo ma c'era giàEdy, così cercai di convincerla che ero stanco e che ci sa-remmo visti la sera dopo; lei non voleva sentire ragionie insistette in modo anche plaleale. Per non fare scena-Le le dissi c}e I'awei accompagtìata a casa sua ma io erostahchissimo e sarei andato a dormire. Mentre viaggia-vamo verao Modeua con Ia Range Rover, ci fermò unapattuglia dei carabinieri per un controllo. Aveva nevica-

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to tutto il pomedggio e la notte quindi c'era neve alta.l,ei scese dalla macchina mentre io cercavo i documentie awícinandosi ai carabinieri aprì la pelliccia e si videche non indossava niente altro. Ci fu imbaÍazzo da paÈte mia e anche dei carabinieri che frettolosamente con-trollarono i documenti e mi dissero di portare a casa lasignora. Ritourai al dstorante e l'accompagnai all'ulti-Ìno piano dove c'erano delle camere ed una em usata dame. La mi8i a letto e quando dopo un po' si addorrnentò,fipartii per andare a casa.

I primi giomi del 1987 portarono un boom di richie-ste. In venti giorni furono venduti circa cinquanta chi-logrammi di droga. ed io andai in crisi.

Andai in crisi perché incominciai a rifleltere sui dan-ni che ìa droga procrù.ava a coloro che I'asgumevano. Avolle vedevo le pereone drogate e lni facevano pena. midicevo:n Se non ci fossi io, ci sarebbe qualcun altro>, maquesto pensiero non mi dava la tranquíllità che cercavoed avevo sempre piìr freddo.

Dissi a tutti che mi prendevo qualche giorno di dpo-so e me ne andai nello chalet che avevo acquistato perstarmene da solo. Andai anche a tr:ovare i miei figli, mala mia ex moglie non volle vedermi, era aÌcora rr\cazza-ta con me per. il tr.adimeDto che lei pensava di aver sco-perto; quindi stetti un giorno coi bambini e poi ritornaiallo chalet.

Volevo smettere, ma sapevo che era impossibile. An-dai a Roma con la scusa di vedere Sandra ma in realtàper incontrare Ìrn mio amico d'infanzia che si era sposa-to ed abitava nella capitale.

Lui mi ascoltò con preoccupazione e dopo, senza dir-mi niente, mi accompagrò al 'Divino amore" e lIú pre-sentò un frate con il quale parlai per piÌr di un'ora: misentivo sereno e con la r€ale prospettiva di cambiare vi-

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ta andando all'estero. Ma quando il frate mi chiese del-la mia vita sentimentale e gli dissi che ero separato econyivevo con un'altra donna, cambiò atteggiamento earrivò a dirmi che non poteva parlare con me perché vi-vevo nel peccato.

Così le attività illecite non erano peccato, lo era ben-sì convivere da separ.ato. Che tristezza e che rabbia den-tro di me. Era assurdo che un uomo di chiesa sentissedire da me tanti peccati ma che non accettasse la miacondizione ili separato. Andai via. Al mio ritorno mi re-cai in villa dove, di solito, i miei uomini portavano gli in-cassi delle forniture e trovai tutti i miei doposci pieni disolali; avevo circa dieci paia di doposci ed erano tuttistracolmi di carte da centomila lire.

La realtà era quella, i soldi.Preparai le divisioni e pì.esi contatti per un incontro.

La mia parte la portai a Vaduz e la depositai in bancaBotto il mio nome di copertura che era Michele Sità.

Proprio i primi giorni ili febbraio del 1987, mi è sta-to rifedto che agenti della questura di Reggio Emilia fa-cevano un appoBtamento fisso nei pressi della mia villaai piedi dellîppennino modenese, iD attesa del mio ar-rivo. Pr€ciso che alle spalle di questa villa c'era ÌiÌ bo-sco molto estéso ed io avevo fatto scavare delle buche enelle brrche avevo sistemato delle giare. IÌr ogîuna diqueÈte giare avevo nagcosto afmi e stupefacenti cheprendevo all'occorrenza. A questa notizia il priÌno pen-siero è stato quello di andarmene all'estero, poiché nonc'era niente che potesge accugarmi e quindi un mio al-lontaÌamento daì luogo poteva portare nell'oblio le miepresunte attività. lnoltre potevo contare sulla rete diprotezioni intesgute in precedenza. Chiesi alla mia ra-gazza Edy se aveva voglia di una vacanza e lei mi disseche avrcbbe voluto andare in Kenia. Drecisamente a

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Maìindi. l,e dissi di aldare i! agenzia e prenotare unavacanza per due, ma che lei sarebbe partita da sola per-chè io, dovendo sbrigare alcune cose, I'avrei raggiuntadopo tre-quattro giorni.

Ijaccompagnai all'aeroporto di Milano e ritoÌnai inEmilia. Sistemai tutto per la mia assenza, feci ritorna-re in Calabria i miei uomini lasciandone sul posto unoeolo per curare gli uÌtimi incassi. Ero pronto per parti-re anch'io, ma non volevo scappale e mi dicevo che sefossi rimasto sarei duscito a cavarmela senza frnirc inmanette. Con questi pensieri e con un borsone mi misiin viaggio velso Milano per andare ad imbarcarmi sul-I'aereo dove ero plenotato. Giunto a Milano lasciai lamacchina presso un nio amico che aveva un garage di-cendogli che quell'auto doveva sempre stare nascosta econ un taxi andai a Linate. Alrivai al check-in ma nonconsegnai il bagaglio, anzi iornai indietro: avevo decisodi non scappare. Strappai il biglietto, ripresi la macchi-na e tornai al mio ústorante.

Grande fu la sorpresa della madre di Edy vedendohie quando mi chiese perché uon fossi partito, Ie risposiche era sorto un problema improwiso per cui avevo do-l'ulo rinunciare al viaggío.

Volevo andare a casa, così chiamai una delle mie tan-te amiche per chiedere se rni facesse compagnia. l-:an-dai a prendere a caÈa e mi alùessi verso la villa. A.nriva.re, aprire il cancello e trovaimi cinondato dalla poliziaè stato un tutt'uno. Perquisizione in casa, nel parco,nella macchina. Sembrava che non ci fosse niente di il-lecito, fino a quando ur poliziotto noD mise la mano nel-la canna fumaria del barbecue e la ritirò con un pac-chetto. Mi chiesero cos'era. Boh! La mia risposta. Eranotrequattro etti di cocaina pura in pietra, ma quei poli-ziotti non eraÌo a!'vezzi a vedere la cocaina in pietra e

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addirittura qualcuno disse: .Sembra del formagg.io', maper scrupoìo deciseto di portarla da un farmacista perfare un controllo sommario. Nel frattempo ni dissero diandare in questuta coú loro. Guidai io stesso la miamacchina con uD isllettore al fianco, ma non elo in sta-to di arresto. Era sceaa uDa fitta nebbia e le strailineche perconevamo si vedevano a malapena.

Dissi alÌlspettore: "AdesBo faccio finta di non vedereIa strada e finisco in un buúone e ci anmazztamo en-trambio. l-iispettore: "Perché? Lei non è stato arrestatoe inoltre io ho rnoglie e figli. Non faccia cazzafe che sta-sera stessa dormirà nel suo letto,. Risposi: olspettore,quella è cocaina pura". Lui prese la pistola e mi disse:nSe vai fuori strada prima ti sparo, ed io: nPuoi farlo matu morirai con me". Non succ€Bse niente e arrivati inquestura suggerii all'ispettore di dire che io avevo con-fessato che in quel pa€chetto c'era della cocaina. Così fe-

Il dùigente dell.a questura mi interrogò, voleva sape-le la provenienza ed io dissi che l'avevo acquistata a Mi-lano da una persona che non conoscevo e che mi servi-va per uso peÉonale. Fui portato in carcere. Anchequella sfortunata deÌla mia amica fu portata in caÌceremalgrado avessi detto che lei non sapeva assolutamen-te niente di quello stupefacente.

Vengo portato nel carcere di Modena. Isolamento fi-no al momento dell'interrogatorio del Giudice Istrutto-te.

Dentro la struttuta carceraria c'erano tanti calabre-si che, saputo della mia presenza, harrno fatto a garaper mandaÌmi generi di conforto, sigarette, roba damangiarc. Dopo due tre giomi veDgo inteirogato dalmagislrato e úbadisco quanto già dichianto malgmdoùna voluminosa iDformativa della poìizia che mi defini-

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va un boss della 'ndrangheta. Mi viene revocato l'isola-menlo così posso vedere il mio awocato e stare anche incella mn altri detenuti. Sono andato a stare con dei ra-gazzi calabrcsi che avevano sentito già il mio nome e sa-pevano che ero oquaìcuno". L'awocato mi ilisse che lemie dichiarazioni andavano bene e che avrebbe fatto ditutto per farmi uscire al più presto anche perché ero in-censurato, nel frattempo mi alTebbe fatto autorizzare icolÌoqui con Edy che era subito rientrata appena la ma-dre le aveva detto del mio affesto.

Dissi all'av"vocato di darsi da fare e di farmi uscireprima possibiÌe. Le giornate in carcere sono intermìna-bili per tutti coloro che hanno la sventura di finirci, maquei primi giorni per me trascorsero in fretta perché eroal centro dell'attenzione, tutti volevano parÌare con me,ognuno voleva raccontarmi come era Stato arrestato: vo-levano ilei consigli e dei suggerimenti, avevano bisognoanche ili aiuti economici.

Arivò anche iÌ giorno del mio incontm con Edy. Emntt IrD' ùervoso perché non sapevo come lei aveva reagi-to alla notizia <ìel mio arresto, ma appena la vi<li capiisubito che non le importava granché della motivazione.Era solo preoccupata per il tempo che avrei dovuto tla-scorrere in carcere. La rassicurai su questo punto dicen-dole anche che non si doveva sentire obbligata ad aspet-tarmi e pertanto la lasciavo libera di decidere in meri-to. Mi rispose che voleva aspettarmi, aÌzi quando usci-vo voleva che ci mettessimo a convivere.

Venne ad interrogarmi anche il pubblico minist€ro, ilquale era molto seccato per il fatto che tante doùle era-no andale da lui per poter ottenere il permeaso di veni-re a trovarmi, il aletenuto poteva, infatti, avere incontisolo con la donna che risultava essere ùfrciaìmente laconvivente e con neseun'altra. Dertanto che lo dicessi a

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queste donne di non andare da lui a fargli perdere tem-po.

Disse, inoltre, che non potevo sentirmi il principeCarlo d'Inghilterra. Questo procuratore era stato elettoin Modena come Ì'uomo più elegante della città.

Llawocato nelle settimane seguenti il mio arresto fe-ce in modo che la competenza passasse al tdbunale diMilano, in modo che, essendo una grande città, non fa.cesse tanto scalpore il ritrovamento di quella cocainapura.

Devo anche dire che nel breve tempo che soggiornainel carcere di Modena ebbi modo di corrompere qualcheappa*enente alla polizia peniténziaria per avere dei fa-vori o qualmsa che era vietato ayere; ero ri8pettato datutti, addirittura c'era un siciìiano della famiglia oafro-sa dei Vitqle di Paftirrico che ricevette una cartolina incui si diceva "Stai sempre vicino alla fonte". la "Íontp"ero io, la cartolina l'aveva mandata Totò Riina. Altrimessaggi arrivamno da varie localia calabresi ùellequali ero sempre raccomandato. Per stare bene in qua-lu[que carcere basta ilispone di danaro e di un buoonome: i soldi p€r comprare tutto ciò che vuoi, senza li-miti, il buon nome per avere rispetto. Ed io ci 6ono sta-to abbastanza bene, nel senso che la libertà mi manca-va. La mia sfortunata amica era stata scarîerata e perquelÌ arresto inopportuÌo Ia ricompensai con dieci mi-lioni di lire. Dopo circa tre mesi beneficiai della libertàprowisoria ed andai a convivere con Edy in un paesinotra Reggio e Parma. Ma durante quella detenzione, unglolao venne a trovarmi un rnaggiore dei carabinieri diBologna (della squadra dei ROS) il quale mi disse che lapolizia con il mio auesto aveva rotto le uova nel panie-re a loro che stavano facendo un'indagine accurata perpoter arrivare a catturare tutti i miei referenti, mi dis-

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se che avevano un voluminoÉo fascicolo su di me e suimiei contatti e se anche ero duscito ad abbindolare lapolizia, loro avevano delle carte in mano per farmi sta-re parecchi anni dieìro le sbarre nonostante potessi ave-re delle coperture con Via Lanza a Roma, (sede del Si-sde) a meno che... non avessi collaborato con loro. Que-6te parole non mi fecero una grande impressione macalcolai che se stavo al loro gioco forse avrei potuto si-Etemare delÌe cose che mi facevano comodo. Risposi chevolevo avere del tempo per pensar€i e che sicuramenteal Eromento deìla mia uscita dal carcere ci sarenrmo in-contrati per definirc meglio la msa.

La prima cosa che ho fatto appena scarcerat è stataquella di andarc a Roma per incontrare "Pino". Ci iu-contrammo a 1Yastevele al ristorante "Dar Poeta": glispiegai gli avvenimenti che si erano succeduti e del mioarresto. Mi chiese del trafrco di stupefaceùti che facevoe quando gli dissi che quantità gestivo, si fece buio in vi-so e mi disse aempÌicemente: "Stronzo". "Hai raBione,ma se non l'avessi fatto io, I'avrebbe fatto ur altro" d-sposi. "Certo, ma almeno non tu'. Con oPinoo eravanoentmti in confdenza, c'era un reciproco rispetto; ia pre-cedenza gli avevo fatto dei favori per coprire dei politiciche lui doveva proteggere e che senza il mio interventosarebbero stati bruciati a vita, anche se alopo ci pensò"maní pulite" a farlo, almeno in parte.

Mi consigliò di collaborare, ma di stare attento aquello che awei detto in quaÌto le "storie" politiche nonint€resEavano a nesauno. Dovevo attenermi esclusiva-mente alla mia attività di 'ndranghetista e chiedere del-le adeguate garanzie. Comunque in ogni rnodo lui miavrebbe aiutato a vènime fuori. Non ero convinto, anzial contrario. Il úio ritomo in Emilia fu con più pensiedi prima, nra trovai i miei uomini (nel frattempo erano

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rrtornati) che mi dissero che c,era molta richiesta di stu_q"f1Tofi | che cera bisogno che facessi rifornimento.Andat.a Milano con il contante per pagarie ta fornil,urapÌecedente e prendere altro "mal,eriale". Usai nroltaprudenza. Partii con Aldegonda dicenilole che andava-mo_a Milano per fare dello shopping. Giunti a Milatoandammo in via Torino, dove ci sono tanti negozi di ab_bigliamento e facemmo spese, ma al momento di rjtor-nare Ie dissi di andare da eola con la mia macchina cheavevo degli affari da sbrigare e mi sarei fatto accompa_gnare dopo da un mio amico. presi un taxl e mi recai inpiazza Cinque giomate, entrai neÌla Coin, feci un gironei piani, poi presi un altro taxi e mi feci portu".

^ff:'.p_partameùto dove avevamo la base. Consegnai il danaioe mi feci dare cinquanta chili di stupel"ac;nti. Lrenra dierorna e venlt di cocaina. ma dissj che avevo bisogno diulla, macchina pulita per ritornare a Reggio E_iÉ. Mioreoeno una Kange llover berlina e con que a e il miocarico ripartii. llelefonai al iistorante per chieilere mmeandava il lavoro: quello era il segnale per I miei uominiche dovevano-attÍvarsi per [armi l,rovare Lbero il casel_ro.aurcstradate da dove dovevo usclre. In caso di pattu_gliamento dovevano procurare un incialent" p""

"órr""rr-tirmi di transitaÌe. T\rtto andò liscio.. Dopo

_qualche giorno mi misi in contatto con il mag_gìore-di Bologna e ci incontrammo in un rrstorante sul_le colline-bologneei, Gli dissi chiaramente che non sape-vo cosa_ fa!e, che mi allettava il fatto che sarei pot;touscire da quella spilale criminaÌe in cui mi ero cacciatoda_solo, ma igroravo cosa a\,?ebbe comportato la miacollabotazione in pena carceraria da espiar:e. Mi risposeche aveva già parlato coll il procu.ral ore Mancuso echequestr gtl avTebbe detto che se avesai collaborato toral_mente la condama non sarebbe stata pesa[te e alopo tre

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ar4i sarei stato libero, e che non li avrei trascorsi incaricere bensì agli anesti domiciliari. <Cetto così sa_pranno dove venire ad anmazzarmi,, risposi. "No, ilisseil maggiore, sarei stato sistemato in uniabitazionc -co_perta" con dei documenti con altre generalità. Nel ftat_tempo ar,tebbe detto al maresciallo Mariano Ferrante.responsabile del nucleo antidroga di Reggio Emilia, dicontattarmi per qualunque eventuaÌità e che sarebbestaLo oppor-tuno che gli facesei operare qualche arreslodr.persone dt poco conto per dimostrate la mia disponi,bilità. Dovevo pensarci ancora e maturare questa scel_ta. GÙ dissi che qucsta era una svolta dccisiva e non vo-levo avere dubbi al momento di attuarla.

Conobbi il maresciallo Ferrante. Una bravissimapersona con molla umanità ed un attento conoscitoredella selva delinquenziale della zona. Ebbi con lui desliincoutri costruttivi improntati sul rispetto personalJaprescindere dal rapporto ha "guardie e lailri.. Conobbeaache la mia ragazza Edy e insieme la portanmo a co_noscenza di quahto úi si prospettava difare. l,ei rispo-se che non mi awebbe lasciato. ma che nel futùro a\,,reido!'uto essere più sincero con lei e mi a!,rebbe seguitoo\,unque sarei aÌrdato.

Tn segujto. al marerciallo feci operare cinque_sei ar_resti di piccoli spacciatori della zona con de[è modestequantità di droga nell,ordine di circa dieci Erammiognulo. cosi essendo anche congumalo se la s-arebbe_ro cavata con al massimo un anno tra comunità e carce_reJ e nello stesso tempo awebbero a\,,uto la possibilità didisintossicarsi da quella porcheria.

Ma la questura di Reggio Emilia continuava ad inda_gare su di me.

In quelle settinane andai varie volte in piemonteper vedere i miei figli e cercare di incontrat€ la mia ex

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moglie, la quale si rifiutava sempre d.incontrarhi, fìn-chè un grorno riuscii a parlare con ler.

Le dissi che mi sarei trasferito all,estero e che volevotrasferire a suo nome le mie attività e gli immobili cheavevo. in modo che avrebbe potuto gestire tutto lei. Ri_spose cne Don aveva nessuna intenzione di trasferirsi,che non voleva allontanarsi dai suoi genitori e che nonvoleva lasciare il suo lavoro. In ultima analisi oÍnai inostri figli avevano Ia scuola e loro amicizie e non vole-va che risentissero psicologicamente di questo eventua-lespo6tamento. Era deciaa e a niente valsero le mie pa-role per convincerla.

A questo punto decisi di vendere tutto. con moltacautela. perche non volevo che i miei uomini pensasse_ro a qualcosa dt strano e lo comunicassero in òalabria-

Stavo cercando di organizzare quegte cose. quandoun pomenggro ricevetti la visita di due calabresi. origi-naú di Crotone, Vincenzo Guhari e Domenico lyusii-glio che vivevano uno a R€ggio Emilia e I'altro a Bolo-gna, i quali mi portarono i saluti del loro boss di Cutro,Antonio Dragone che era in carcere e mi chiesero unacerta quantihà di eroina in quanto erano rimasti senzae dovevano soddisfare i loro clienti. Dissi loro che nonpotevo procurargli quanto richie8to ma solo qualche chi-lo. In ogni modo il pagamento doveva essertalla conse-gna. Per loro andava bene, così prendernmo un appun-tamento a distanza di due giorni per concludere la irat_tativa. .Fin qua nient€ di strano, faceva parte del lnio'lavoro", ma t'indornani veturi a sapere che TlusciElioera stato trovato cadavere in un bosco del reggiano eGumari nel bolognese. Era un awenihento allarmante,in quanto non conoscevo queste p€rsone se non perla lo-ro appartenenza alla 'ndrangheta del crotonese. Dissi aimiei uomini di andare a Bologna per informarsi di

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quanto successo tramite nostri amici che opemvano incittà.

î\rtto precipitò. La mattina successiva alle quattroun folto gruppo di poliztotti fece irruzione nell'a;paÉa-mento che condividevo con Edy. Sfondarono la porta emi sventolarono un doppio mandato, uno di perquisizio-ne e l'altro di arresto, Le imputazioni erano di associa-zione di stampo mafioso, capo promotore di un trafficointernazionale di stupefacenti e mandante dellbmicidiodi Cumari e lYusciglio.

Smont€rono tutto I'appaúamento, persino asporta-rono la moquette della camera da letto, divelsero i sani-tari e le piastrelle del bagno, buttarono tutto per aria,senza però trovare niente, infine mi fecero salire in u.naloro macchina e a sirene spiegate mi portarono in que-stum; in un'altra macchila portarono via anche Edy.

Non sono 6tato Deanche interrogato. Dopo diverseore mi hanno portato nel carcere di Reggio Emilia, inisolahento assoluto fino all'interogatorio da part€ delmagrstrato.

Dopo lre giorni il giudice istruttore assiehe con ilpubblico ministero mi contestarono, davanti al mio av-vocato, i reati e seppi pure che avevano arrestato altrequindici per6oDe, delle quali ne conoscevo soltanto sei,ma p€r questi hagistrati erano tutte persone che agiva-no per mio conto. Questa sicurezza veniva dal fatto chedue miei uomini stavano ra@ontando tutti sli aweni.mentr di cui erano a conoscenza, quindi per rie era inu,tile negare perché le loro dichiarazioni mi avrebbero in-chiodato e non mi sarebbe servita la protezione dei ca-rabinieri. Per fortuna Edy non era stata arrestata. Ual-tra fortuna era che i due dichiaranti non erano miei uo-mini, uno lo conoscevo di vista, I'altro aveva fatto il ca-meriere in uno dei miei ristoranti solo per qualche me-

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se, quindi non potevano in alcun modo essere a cono_scenza dei hiei affari. Pertanto non risposí alle loro do_mande e chiesi di porer avere un colloq;io con il mio av-vocato e guccessivamente con la mia ragazza Edy. Mi èstato concesso quanto mi spettava per legge.

All'awocato spiegai che una decina delle oersone ar-resLate non le conoscevo Deùrmeno, che dellà morte deidue calabresi non sapevo niente, che sì, erato venuti atrovarmi, ma che poi se ne erano andati tranquillamen_le dopo avermi dato i salutj di un mio amico ihe si rro-vava in carcere ed infine che i due dichiaranti non era_no assolutamente a conoscenza delle mie cose. L,a\.,voca_to prese nota dicendomi che, anche se con molto affan-no, alla fine potevo essere assolto, Ma ci garebbe volutodel tempo,

Ero incazzato con me stesso e vi agsicuro che quandouna peraonA reclusa ha questo stato d,animo se la oren_de con tutti. Nel carcere di Reggio Emilia c,eraoó sologovani c9l problemi di tossicodipendenza e gli agentiaddetti alla sorveglianza si scocciavano facilmeule deiloro lanenti. Spesso li piechiavano pensando che in quelmodo avrebbero risolto i lori problemi. Ma poveri ragaz_zi! La tossicodipendenza è una brutta malaftia che vacurata, le botte non servono. Finché ulta notte decisi cheera ora di fìnùla con quelle violenze. Un raEazzo si la_mentava e chiedeva delle gocce per dormiie, l agenLeentrò in cella e lo picchiò brulalmente ed io fui sveelia-to dalle urla di dolore.

Mi alwicinai alle sbarre della cella e chianai l,asen-l,e dice[dogli di aprirmi che sarei aDdato a parla]€-conquel ragazzo per calmarlo. Lui rispose che se continua-va gli avrebbe dato ancora delle botte. Insistetti e sicco-me tutte le guatdie in generale non volevano avere sto_rie con me perché temevano dtorsioni, acconsentì ad

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aprirmi il cancollo. Appena il cancello era ancora semia-perto lo afferrai e lo spinsi dentro e con uno sSabello locolpii sulla testa, Era semi-intontito ma riuscì lo stessoa sentire quanto gli dicevo: "Questi ragazzi non devonoessere piÌr picchiati, la prossima volta che succederàuDa cosa del genere manderò qualcuno à casa tua a 8i-stemarti, hai capito?o. Era il modo violento di úsponde-re alla violenza gratuita. Non successe più, anzi ricevet-ti lante scuse da lui e dai suoi colleghi e ringraziamen-ti da parte dei ragazzi.

Arrivò anche il giorno del primo colloquio con Edy.Fu un incontrc triBte e doloroso ma dovevo di e che sefossi stato condannato non potevamo più stareinsieme;io non volevo avere in calcere il pengiero delladonna che mi aspettava, preferivo perderla subito piut-tosto che logorarmi la mente pensando a lei. Lei pian-gendo mi rispoee che per adesso, prima del processo,non dovevamo parlale ili queste cose, dopo ne aiteúlnopalÌato: .Voglio continrìale a stale con te)-

Sono lu.nghe, inffnite le giornate in cacere. Non sen-ti altro che parlare di processi, senti i tliscorsi che sonosempre gli stessi, gli stessi progetti: cone far soldi. Hoaiutato molti di quei disgraziati sia pagandogli I'awoca-to sia elargendo consigli per indurìi a cambiar vita, masapevo che era tempo perso, infatti appena uno di que-sti usciva, dopo pochissimo tempo ritornava di nuovodentro con un altro reato: la storia infinita

Intanto le indagini contro ili me continuavalo. LeDersone che non c'entravaìo niente con me vennefoscarcerate ed io fui chiamato a fare Ùn confronto mnuna parenle di uJra delle persone uccise. In quei duemesi mi €rc fatto crescere la barba perché non avevo vo-glia di radermi così mi presentar davanti al pubblico rni-nistero con la barba che mi ricopriva il volto. Appena il

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magiEtrato mi vide si mise a urlare con me e con il mioawocato dicendo che I'avevo fatto apposta per non esse_re riconosciuto, quindi ordinò di far venire un barbiereper rasarrni. Fatto questo mi trovai davanti una Eiovane donna vestita di nero che alla domanda del pubblicoministero se mi conoecesse, rispose: (NoD. Chiesi al mioawocato chi fogge quella donna e seppi che era la vedo-va Tfusciglio. Per educazione mi alzai e diedi Ìe oppor_tuùe condoglianze alla signora- Non I'avessi mai fatto, ilp-m. udò: "Ecco, queste @ndogìiaÌrze sono patole inti-midatorie, nel gergo mafioso. Intervenne. allora. I'av-vocato per protestare con il p.m. ma la sigîora chiad di_cendo: nSignor Giudice non posso dire di conoscere unapersona che non hO mai visto,. Un punto a mio favore.ma con la verità dei fatti.

Quel carcere di Reggio Enilia era piccolo e devo am_mettere che non stavo male, nel sengo che avendo lapossibilità di spendere potevo avere quasi tutto quelloche era voluttuario, potevo anche farmi portare dài pa-sti dal ristorante. Ma immaginavo che il ministero nonmi awebbe lasciato in quel posto per molto, infatti unanattina fui traBferito, destinazione Volterra. IJn carce_re che aveva una fama sinistra; si diceva che le zuardiemasùacravano di botte i derenuti che er&no ritenuri ma-fiosi. Purtroppo, però, quando ar-riva un trasferimentonon c'è modo cli gottratsi. Sono partito sorvegliato da ot_to guaÌdie e con doppie matette.

Il carcere di Voltena è ùn'antica fortezza medicea co_struita intorno al 1400 nel punto più alto deÌla città equanto sono giunto davanti al portone d,ingresso, ve_dendo quella tetra ihponenza, ho ar,rrto un brivido dipaura, poi quando attraversavo i lunghi corridoi sotter-ranei e vedevo sui muri antiche e nuove chiazze di san_

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gue, pensai che forse quel posto sarebbe stato la mia

tomba. 1,€ porte delle celle erano con doppia blindatura'così pesanti che si faceva fatica ad apfirle; le guardie

erano con Ie tute mimetiche e s€mbrava fossero in guer-

ra.ln altesa di essere ponato in sezione sono sl,ato col-

locato in una cella spoglia e taìmente maleodotante che

vomitai a più riprese. Mentre ero in queste condizionisentii una voce: "Compare Ciccio", chi poteva ehiamar_mi? Era un detenuto ali Platì che mi conosc€va e che es-

sendo in quel posto ila iliversi armi, si era creato le ami_cizie giuste per potersi muovere liberahente alllnternodel carcere,

Ebbi da queeta persona la prima r:accomandazioneper non subire dei malhattamenti e pel accedere subi-

to alla gezione carceraria dove c'erano gli aÌtri detenuti.Sono stato accolto con cordialità prima e con rispeltosuccessivamente in quanto CeraDo altri calabresi che

mi presentarono a tutti. C'era anche Gerlando Alberti'il boss di Palermo, che avevo conosciuto ai tempi di Sle-fano Bontade. Ci abbracciammo e questo fu il segnaleche anch'io €ro un "uomo d'onore". Erano gli anni in cuiil mafioso eSercitava il suo poiere anche dentro il caÌce_re e Volterra benché fosse rinomato per essere un carcé-re duro Don eta immune: anche in quel pdsto il mafiosopoteva contare eul privilegi che il proprio nome compor-tava. Parlo di conniveúzé tra il pot€te direttivo e i più

noti boss mafiosi.Atrivava nelle nostre ceÌle dello champagne, deìÌe

ostriche, dolci e torte, pranzi dai pir) noti ristoranti del-

la zona, di tutto e di più. Essendo entrata in vigore dapoco la legge Gozzini (che dava dei benefrci al detenutoche teneva un buon comportam€nto carcerado), si ri

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usciva ad ottenere dei permessi ad ore, opprùe giorna-lieú, con una buona relazione rlel dircttore e con l,ap-poggio ilel parroco del carcere. Tlrtto queato aveva uncosto, ma si sa che il mafoso che riesce a gestire i pro-pri traffici anche dal carcere, non ha problemi di soldi.Da dentro si davano or<lini per lo smistamento di g"os-s€ quantità di stupefacenti, si facevano affari milionari.

Ai colloqui venivano persone che non avevalo nes-sun diritto giuridico per poter entrare. Lì aweniva an-che questo. Si stringevano nuove alleanze, si allargavail cerchio delle amicizie, si prenalevaro accordi con cor-rieri e trafrcanti turchi e colombiani per nuove fornitu-re, Il carcere era il veicolo di affari importanti che in li-bertà si srenlava a fare.

Per l"ar capire gli affari che si lacevano spiego u n epi-sodio in cui sono stato coinvolto. Gerlando Alberti ave-va fatto dare ad un calabrese, che abitava a Milano, cin-quanta chili di eroina e questi ritardava nel pagamen-t!. Uù giono mi chiama e mi mcconta questo fatto,chiedendmi di mandare rm messaggio a questo cala-brese in modo che effettuasse il pagamento altdmentiavrebbe dato ordine di ucciderlo. Gli risposit nconparemio. quando avete fatto quest'alfate non mi avete lenu-to al corrente, perché adesso dovr.ei intercedere per ilpagamento? Riguardo a.l fatto che potete dare otdine diucciderlo, potrà anche darsi che sia lui ad uccidere i vo-stri uomini, in ogni modo è ulîa cosa che non Di rigÌrar-da".

Venne a trovarDi anche il maggiore di Bologna. Nonera solo. Con lui c'erano altre tre persone, due uominipolitici e un industriale del parmense, così ho saputo alhomento delle presentazioni. Il maggiore mi disse cheera molto rammaricato del rnio arresto ad opera dellapolizia che, come al Bolito, aveva rovinato il loro lavoro.

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ma che a breve sarebbe staio nominato daÌ govemo un

alto coúmissario per la lotta alla crininalità e qùindi si

poteva riaprire iì discolìso interrotto con coDcrete Poasr'LiLiu dl

"iu,r""" la libertà. Continuò dicendofr)i che gli

uomini Dolitici cbe erano con lui potevano garantlnn

eftro Ia f1n€ dell'anno in corso, 1988. la liberta a patto

che dessi loro subito una mano per nuscire a liberare

una signora ch€ ela stata sequegtrata a Parma Se io mi

interes-savo a questo l1on ci sarebbelo stati ploblemi per

fami ottenere la libertà'Inoltre il marito della signora, la quaÌta persona pte-

sente, era disponibile a verssmi la somma '[i

seicento

milioni di lire su una qualunque banca est'era che gli

avessi indicato. Non sapevo veramente niente di quel

sequeslro di persona. arìche 8e avevo sentilo dire che

erano stati tlei sardi. Risposi in tal senso aggjungendo

che se anche fossi liuscito a creale un contatto con I se-

questratori, questi avrebbero voluto dei soldi per iI rila-

scio. Insistettero perché alneno provassi e ci lasciammo

in ouesto modo-Dopo una settimana ricevetti la visita di '?ino"' Al-

che lui si moetrò dispiaciuto per il mio arresto, mi disse

che saDeva della mia innocenza riguardo gli omicidi, ma

sapevi anche che per droga a Reggio Emilia avrei potu-

to prenalere una batosta. Lui avrebbe cercato di fare

ooàì"o"". a"tt"u impegno, ma se io lo avessi messo in

mntatto con un persoDa di mia fiilucia per svoÌgere uu

lavoretto, ciò àvr€bbe facilitato il suo impegno poiché

poteva faÌ intervenire un uorio politico a mio favore'

Mi disee che un uomo politico del pentapartito al go-

verno stava per essere coinvolto, ingìustamente' in un

traffico di armi con un paese africano' ma purtroppo c'e-

ra alella documentazione compromettente nelle mani di

Robeno Palazzolo, cbe in quel periodo era detenuto in

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Svizzera, ma che tra poco a\.'rebbe riacquistato la liber"tà. "Pino" mi chiedeva di fargli avere un conlawo, saDe-va che eravamo amici. per fare una trattat iva. Gli dissidi andare al rnio ristorante in Emilia, chiedere di Mari-sa, era la madre <li Edy, e lei gli avrebbe preso un ap-prùrtamento con una persona di mia fiducia che Elia!.rebbe [atto incontrare Palazzolo. Cli dissi di asoerta-re una settimana prima dì andare aJ ristorante, in mo-do da darmi il tempo di a.!'vertire le persone. Gli racco-mandai di darmi una mano e lui promise di farlo.

Edy veniva a trovarmi ogni quindici giorni ed en-l,rambi aspettavamo questa scadenza con ansia per po-ter parlare di noi nelle due ore che erano cous€ntite. Midiceva che l'al.vocato stava preparando il processo e leinon vedeva l'ora che io uscissi. ltascorse un anno ed ar-rivò la data deìla prima udieDza, pertanto veDni ripor-tato al caÌcere di Reggio. Girmto in quella destinazione,aono stato portaio nell'uffcio del comandante delleguardie iÌ quale mi disse: "Ascolti, qui ci sono Mariggioe Colucci, i quali hanno paura di lei, mi deve garantireche non saranno toccati, altrimenti la metto in isola-mento fiino alla frre del processo".

Questi due erano i miei accusatori ed erano anche lo-ro detenuti, malgrado mi avessero fatto arrestale. Di-vers€ volte erano atati picchiati da altd detenuti che miconoscevaro e pertanto, sapendo che ero arrivato nelloatesso carcere, erano tenorizzati. Promisi al comandan-te che nessuno li awebbe toccati frno alla frne del pro-cesso, perché anche 6e loro mi accusavano ro ero tnno-cente. Il giorno dopo c'era la prima udienza. euesto pro-cesso per la procura di Reggio Emilia era un aweni-mento molto importante e anche la stampa era mobili-tata. Sapevo questo e mi preparai con cura sia nell'ab-bigliamento che nel comportamento. Indossai un gessa-

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to doppio petto blu, con camicia di seta bianca, foulard

blu, calze bianche e scarpe "Pollini" nere. Nel ìrasferi-

mento dal carcere al palazzo di giustizia ero circondato

dalle guardie e con le manette ai polsi, nei corridoi del

tribunaÌe c'erano nugoli di fotogaafr e giorÌÉlisti mentre

io andavo ad affiontare il mio destino. Il mio awocato

Roberto De Simone sembrava "il principe" del foro, in-

dubbiamente questo processo gli dava notorietà; diedi

un'occhiata nell'aula stipata di persone pel incontrare

eli occhi di Edy e quando la vidi mi sedetti sulla panca

nella gabbia degli imputati e aspettai sereno che la cor-

te incominciasse il dibattimento.C'erano presenti il maggiore di Bologna, i vertici del-

la questura, il malesciallo Ferrante, mio padle, amici

ano;imi mandati dalla "famiglia", tutte le donne con le

quali mi ero fiequentato nel soggiono reggiano: San-

dra, Aldegonda, Virna, Marisa e anche tante altre ra-

gazze che non conos@vo, ma che mi salÙtavano' Una di

queste si awicinò, per quel che poteva, alla gabbia e mi

diede un mazzo di dicia tove rose rosse' che non poter

Drendere ma che amdai all'awocato. Lei disse che era

una awocatessa pràticante e che faceva palte del clìrb

"fan di Francesco". Il presidente àlzò la voce ilicendo:

"Thtti zitti o faccio sgoúberare I'aula". Edy mi osserva-

va con uno sguardo mislo di irritazjone e compiaclmen-

to, pensai che volesse fallni capire che ela lei la donÌa

impoÌtante non le altre.La deposizione di Alfredo Mariggio, rmo degli accusa-

tori, iniziò così: "Vostro onore, intendo...", ma fu subito

inte otto dal presidente: .Mariggio, ha visto troppi

film americani, io sono semplicemente i1 sig presiden-

te, continuio. "Signor presidente, voglio dire che ho ac-

cusato il signor Fonti, perché Ia polizia mi ha picchiato

e mi ha minacciato che se non avessi fatto quelle accu-

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se mi avrebbero fatto condannare a vent'ami per dellepresunte rapine, ho a.v-uto paura e ho confermato le ac-cuse che mi hanno suggerito di dire". Vocio nell'aula trail pubblico presente e nuovo richiamo all'ordine del pre-sidente- Imbarazzo del pubblico ministero Tarquini esoddisfazione del mio awocato. c'era stata una svoltapositiva. Edy aveva gli occhi che brillavano ed io brilla-vo nei suoi occhi.

Il processo durò un mese, nelle udienze successiveavevo cura di carnbiarp abito oglrri giorno. e ognj giornoaumentavano le mie fan- Iialtro accusatore seguì la Ii"nea del precedente: -Sono st,ato pjcchialo Ln qLéstura eminacciato, non è vero niente di quello che rni hannofatto direo. Sfilata di testimoni, persino un ahmiraglioin pensione, era la persona che mi aveva venduto lo cha-let, venne chiamato a testimoniare, ma parlò solo benedi me. Qualcuno disse che aveva sentito dire irl giro chevendevo della droga all'ingtosso, ma che non sapeva al-tro e non mi aveva visto farlo, Gli altri imputati eraÌostati anestati solo petché la questrùa diceva che eranoi miei uomini. I giornali, dal Resro del Carlírc (Regero)alla Gazzetta di Mod,end. frno aTla Gazzetta di Reggio ti-tolavano "Processo alla 'ndrangheta"; "La 'ndranghetatra Modena e R€ggio"; "Il boss alla sbarra',. Foìo in pri-ma pagina, foto degli awocati, degÌi accusatori e deipresunti miei uomini. In quei giorrri il procuratore capofece una conferenza gtampa afTermando che in quel pro-cesso aleggiavano le anime delle due persone uccise, chesi augurava che la giustizia potesse dihostrare la miacolpevolezza in quel dibattimento dalfesito incerto.

Una mossa che si rivelò un boomerang per la procu-ra, in quanto era inarnmissibile fare quel genere di con-ferenza durante lo svolgimento del processo. Per il mioawocato e gli altri difensori è stata una manna venuta

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dal cielo, attaccarono con codice alla mano la procurache dovette intascare la sconfitta.

Arrivò il giomo della sentenza, la tensione era palpa-bils incrociando ancora una volta gli occhi di Edy, miaccorsi che èrano lucidi e il viso pallido malgrado il fardcercasse di ricoprire questo pallore. Pensai'?overa Edy,spero che i tuoi desideri possano realizzarsi".

.In nome del popolo italiano, questa corte visti gli ar-ticoli... assolve Fonti Francesco per il reato previstodallarticolo 575 del codice penale (reato di omicidio),Assolve Fonti Francesco per il reato previsto dall'artico-lo 75 legge stlrpefacenti e dal reato dj associazione ma-fiosa previsto daìl'articolo 416bis e lo condanna alla pe-na di aruri otto per il reato previsto dall'articolo 71, leg-ge stupefacenti,,. T\rtti gli altri furono assolti con la con-danaa degli accusatori a due aDni per calunnia. Ottoanni. Incassai il colpo, rimasi impederrito ma guardan-do le lacrime di Edy, quasi mi scoppiava il cuore. Si av-vicinò l'awocato dicendomi che in appello le cose si sa-lebbero sistemate in quanto noll poteva reggere unacondanna del genere. Il mio fan club? Erano tutti in la-crime. Dissi all'awocato di fare istanza per la libeúàprowisoria e di dire a Edy di venire a hovarmi llndo-mani.

Ci trovammo alle nove di mattina nella sala colloquidel caÌcere, stranamente la vidi sorridente. L abbracciaie stavo incominciando a dirle che dovevamo lasciarci,ma lei precedeìte il mio paÌlare dicendomi che il rnag-giore e il maresciallo Ferralte le avevano promesso chemi avrebbero fatto ottenere la libertà. pro\,.visoria in at-tesa delfappello e che in quella seduta che si sarebbe te-nuta a Bologîa, la sedtenza sarebbe stata ribaltata.Era felice per questa notizia e si strinse forte a me pertÌ'asmettermi la sua speranza di avermi a casa. La sua

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gioia mi contagiò e siamo stati due ore a parlare del do-po e lei faceva delle baitute pungenti sul mio fan club.Notavo, però, che ogni tanto c'era come un'ombra chetransitava sùÌ suo viso e non riuscivo a spiegarmi quel,Ia trisìezza latente. Le chiesi se c'erano dei problemi elei nri rispose: nAspetto solo che tornr a casa".

Dopo circa una settimana venni chiarnato per il ìra-sferimento al carcere <li Volterra. Appena giunto, l'uffi-cio matricola mi comunicò che mi era stata concessa lalibertà pro,v.visoria e che quindi ero libero di andarme-ne. Unico vincolo non potevo soggiornare nella provin-cia di Reggio Emilia e di Modena. Non mi importavaniente, tanto a\,Tei preso casa a Bologna assieme allamia donna. Non entrai nemmeno in sezione e corsi fuo-ri per organizzare il mio entro. Tlovai ad atlendermiil rnaresciallo Ferrante con uno dei suoi rlomini che giàconoscevo. Mi disse che era venuto a prendermi a Reg-gio, ma quando dal catcere gli avevano detto che ero inviaggio per Voìrerra aveva deciso di proseguire per ri-portarmi indietro. "Hai visto che sei fuori? Dai ti accom-

'paglo da Edy". Già, come mai non era venuta anche lei?Ferrante disse: "Adesso ti spiego: Edy è in ospedale aBologìa, non sta bene". Mi turbai: "Come non sta bene?Quando ci siamo visti a Reggio stava bene, cosa è suc-cesso?' e lui: "Dai ti spiego tutto strada facendoo. Laspiegazione era che Edy stava morendo, ormai non lerestavano che poche settimane di vir,a, àrveva un rumo-re. che le cra staro diagnost icato circa sei mesi p ma,ma aveva voluto che io non sapessi niente per non tot-mentarmi mentre ero in carcete, ma purtroppo adessoeÍa allo stremo. Lui 1o sapeva ma era stato pressato daEdy affinché non mi dicesÉe niente, questa era stata lasua volontà. nAdesso che andrai a trovarla cerca di es-sere sereno, lei sa che sta morendo e lo \.-uole fare tra le

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tue braccla, devi essere forte come lo è lei'. "Noooooooo"il mio urlo scaturì dal profondo del petto, dùò più di

cinque minuti e si spense. cosi come si spense in me la

voslia di 1'lvere.-Giunti all'ospedale Malpighi di Bologna, chiesi di

parlare con il primado di oncologia. Mi disse che non

Cera niente da fare, le metastasi si elano diffuse in tut-

to il corpo e non c'era nessun tipo di chemioterapia o di

medicine che potessero salvarla. Dissi che volevo dei

consulLi con aLtri professori e volevo anche sapere se neì

monalo c'era un centro oncologlco che poteva fare qual-

cosa, che qualunque somma c'era da spendere Ì'a\-rei

spesa. nFa.remo dei consulti e veilremo se esiste un cen-

tio che abbia qualche terapia d'avang:uardia, non lasce-

remo niente di intentato, ma le dico filr da adesso di non

farsi illusioni, sono state le palole del primario Andai

nel reDarto dove era ricoverata Edy. Come mi vide Ma-

risa, là nadre, mi abbracclò con il corpo scoeso dalle la-

crime. Io non riuscivo a parlare Entrai nel1a stanza,lei

fece per alzarsi dal letto con il viso illuminato, la lermai

e l'abbracciai con urra disperazione infrnita. Rimanem-

mo cosi per tanto lempo. non so quanto. ma non riusci_

vo a staccarmi, poi le dissi: uAmore mio, cosa mi combi-

ni? Non credere che ti lascerò andare. Facciamo un pat-

to, tu mani con me e facciamo il giro del mondo, va be_

ne?', nSì, va bene, facciarno così, non voglio stare in

ospedsle'. Aveva solo trentadue anni

O natura, o natrua,perché non rendi Poi

quel che prometti alÌor? perché di tantoinganni i figli tuoi?

TU pda che ferbe inanalisse il verno,

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da chiuso morbo combattuta e vinta,perivij o tenerella. E non vdevi

il fior degli anni tuoi,non ti molceva il core

la dolce lode or delle negre chiome,or degli sguardi innamorati e schivi;

né teco le compagrre ai dì festivirag:ionavan d'amore.

Anche peria fra pocola speranza mia dolce: agli anni miei

qn.hé nódqr^ i fqfi

la giovanezza. Ahi come,come passata sei,

cara compagna dell'età mia nova,mia lacrimata spemer

Questo è quel mondo? questii diletti, l'amor, lbpre, gli eventi

onde cotanto ragionarmo insieme?questa la sorte dell'unane genti?

All'apparir del verolu, misera, cadesti: e con la mano

Ia Íìedda morte ed una mmba iFnDdtmostravi di lontano.

Giacomo Leopardi: "a SiÌvia". Questa parte finaledella poesia si fonde ai sentimenti che si accavallavanoin me, in quei momenti dispenti. Perché? Perché lei do-veva morile?

Il primario ci diede l'autorizzazione per portarla acasa, prescrivendo delle medicine per quando aveva deidoloú. Avevo preso una villetta in collina a Bologna conl'aiuto. del maggiore e 1ì portai Edy negli ultimi giomi divita. E doloroso e straziante ricordare quei giorni. ma

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faùlo parte del mio tragico vissuto. Lei visse aùcoratrentadue giorni. Volle viaggiare, volle anilare a Vene-zia, Roma, Parigi. lYamite l'ospedale assunsi unìnfer-miera professionale per stare sempre con noi fino al tra-gico evento, era con noi anche nei viaggi che abbiamofatto. Edy non pensava alla morte) si divertiva in quelghovagare, solo una sera mentre eravamo a Parigi vol-le parlare di quando non ci sarebbe piÌr stata. "Voglioche non rilnani solo, dopo dr me, devi ancora amare e ri-cevere amore, non pensare di vivere i tuoi giomi nel ri-mrdo di me; certo non devi dimenticarmi ma ti augumdi incontrare una donna che sappia amalti come ti amoio". Parole che mi fanno riempire gli occhi di bruciantilacrime anche adesso a piìr di vent'anni da quaÌto Edyle ha pronunciate. "Adesso portami a casa".

Rientrammo a Boìogna e dopo tre giomi morì. La ee-ra prima si era addormentata, come al solito, con il ca-po suì mio petto, quando intorno aìle quattro del matti-no io mi svegliai e cercai ali spostarla per fada úposaremeglio, era già morta. Andai nel soggiomo, presi la pi-stola per poÌle fine anche alla mia vita, ma non lo feci,Tblefonai alla madre e le dissi: nEdy è morta".

Facemmo ulra cerimonia funebre riservata, i paren-ti. le amiche di lei e qualcuno dei mieì uornini; venneanche qualcuno dalla Calabria assieme a mio padre,Dopo stetti due seltimane chiuso in casa senza vederenessuno, non feci eùtrar€ ùeanche la donna delle puli-zie.

Venne a trovarmi il maggiore e mi disse che la liber-tà prowigoria mi era stata concessa perché era interve-nuto il prefetto Sica, nominato commissario alla lottaalle rnafie, sia per la situazione in cui si trovava Edy, siaper indurmi a collaborare dopo quei segnali che c'eranostati. Se adesso non prendevo una decisione in merito

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a\,Tei do\,r.rto tomare in carcere. La mia riflessione duròquindici secondi, dis6i: nRiportalemi in carcere".

Arrivai per la terza volta a Voltena, dove fui accoltocon molto affetto da tutti quelli che mi conoscevano,avendo saputo da "radio carcere" della morte delÌa miacompagna. Ma non rimasi a lungo, dissi al mio awoca-to di creare un contatto che gli indicai presso il ministe-ro, all'ufficio 'V trasferiúenti', per farmi trasfedre all'i-sola della Gorgona (Li), dove sapevo che avrei potutotrascorrere meglio il tempo in quanto c'era da lavoraree in quel periodo avevaùo bisogno di un ragioniere nel-Iufficio ragioneria. Nel breve tempo di ulra ventina digiorni approdai sull'isola. Questo carcere esula dai tra-dizionali penitenziari che ci sono in giro in quanto tuttii presenti hanno lbbbligo di lavorare.

Certo ci eono l€ celle, ma si lasciano alle sette e tren-ta del mattino e vi si ritoma alle venti e henta. C'è unaspecie di pullman che raccoglie i detenuti nei vari tron-coni e li porta a lavoro. Molti fanno i muratori, altri icontadini, altri ancora i pastod, poi vi sono idraulici,panettieri, addetìi alla mensa e altri mestieri ancora, ti-po quello che andavo a farc io. Consisteva nell'elabora-re le buste paga di tutti, comprese anche le guardie.Eravamo in cinque detenuti e il ragioniere responsab!le che era un civile; si lavorava dalle sette e trenta finoalle dodici, poi pausa pranzo in mensa e presa alle tre-dici e t renta fino alle diciaseette. poi cena e ficreazionefino alle venti e trenta- Era urta giornata vivibile per es-s€re in aarcere, il tehpo passava senza la noia tipica diquei posti dove il lavoro è solo quello delle puÌizie, e an-che per pochi.

Arivai con un traghetto da Livorno e quando misbarcalono al molo non c'era nessulla guardia a pren-dermi in consegna, mi guardai intorno e vedendo delle

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persone in abiti civili che sistemavano delle reti da pe-sca chieEi loro se sapevano dove dovevo andare, tra I'al-tro avevo Ùn bagaglio abbastanza pesante. Queste per-sone non erano altro che dei detenuti addetti alla pescae mi indicarono una strada sterrala da percorrere finoa quando avrei trovato una palazzina. Dovevo entral€ eawei trovato l'uflieio del comandante e del direttore. Miawiai con tutti i borsoni, ma fatti pochi passi incrceiaiun trattore con alìa guida un tipo tanto abbronzato chesembrava un afÌicano. Si fermò e úi domandò con ac-cento calabrese: (Da quale calcere venite". Rispogi: uDaVolterra", e dopo gìi di6si il mio nome

Mi conosceva, pertanto calicò le borse sul trattore,mi iDvitò a prendere posto al suo fianco. mi accompagnoin direzione e mi disse: "Per qualunque cosa avete brso-gno, sono a vostra disposizione). Entrai, c'erano delleguardie e chiesi cosa dovevo fare.

Mi indicarono una porta dicendomi di entrare per es-sere rcgistrato in matricola e di andarc dopo dal diret-tore e dal comandante. In seguito alla registrazione en-trai nell'uffrcio dove avrei dowto incontraÌe il direttore,ma pensai di aver sbagliato vedendo una pe$tona conabiti consunti e sporchi che Btava con le scarpe piene difango appoggiaté sopra uIIa specie di scrivania. (Mi scu-si, dove posso trovar.e il direttore Bonucci" chiesi. *E tuchi sei?" -Sono il detenulo Fon!i". -Bonucci sono io, sie-diti,'. Continuò: nT\r sei iI mafroso laureato che mi han-no mandato per la ragioneúa, Ea stai attento che sevuoi fare il boss ti spedisco a calci da dove sei venuto>..Direttore, io non sono né malioso né boss, ma leí a cal-ci non mi prende", si mise a údere e mi disse: "Prima diincominciare in ufficio, domani vieni al porto che c'è unlavoro da fareo.

Il colloquio con il comaÌdante durò pochi secondi, úí

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dis6e solo dove ero assegnato. Fuori dalla palazzina tro-vai quattro giovani che si presentamno e mi dissero cheerano venuti a prendere i rniei bagagli per portarmeli incella, in quanto sapevano chi ero € anche loro si miseroa disposizione. Non conoscevo negguno ma loro sapeva-no la mia posizione. Arrivato nell'edificio dove c,era lacella che mi era stata aseegnata, trovai decine di per€o-ne ad aspettaìmi e tutti mi abbracciarono con deferen-za.

C'erano calabresi, siciliani e campani, che in qualchemodo avevano sentito il mio nome e mi consideravanoun personaggio da rispettare. Ltndomani mi preeentaial porto con addoggo uno dei ve8titi che mi ero pottatodietro. Bonucci appena mj vide sbottò: -Fonti no; sei uninvitato devi aiutare a scaricare gli animali che ci sononel traghettoo. Guardai, c'erano buoi, maiali e pecore.

"Se li scarichi lei direttore, io sono venuto qui per fareil ragioniere", detto questo mi incamhin'i verso l,rtffi-cio, Bonucci rni urlò dietro di andare in celìa che dopoawebbe parlato con me. Restai in cella chiuso. quasiisolato per quindici giorni, poi si presenÌb Bonuccii midisse che potevo incominciare a lavorare in ragioneria.là mia pùrizione era finita.

La pafticolarità di quellìsola penale consisteva an-che nel fatto che il detenuto che rimaneva lì Der Diù diquattro-cinque anni, otteneva dal direttore di coetruirsiuna casetta e di abítarci invece che state in cella. Sichiamavano "sconsegnati" il che voleva dire che eranodiventati affdabili pet iÌ giudizio dell,a direzione, Ric.e-vevo inviti a tumo per cenate e quando invece si rima-neva in mensa avevamo ulì tavolo dove prendevamo Do-sto in dieci. noi che eravamo i più aff iàrati . Seppi cosìche c'erano dei dissidi tra alcuni di loro, ma cercai dimediare e cercai di tenerù unili. Venni messo a cono-

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scenza delle armi clandestine che c'erano nascoste, per-sino due pistole di piccolo calibro e decine di colteli divarie misure. C'era molta Ìibertà perché dall'isola eraquasi impossibile evadere ed inoltre il dhettore avevauna rete di spie che gli riferivano ciò che avveniva gior-nalmente. Si faceveno partite di calcio in notturna as-siene con le guardie. Bonuccí girava lìsola con uaa jeepscassata, ma non era cattrvo al contrado sembrava piùun capo repatro che un alirettore. Devo anche dire che leguardie sposate avevano la famiglia nell'isola e a voltesuccedeva che qualche detenuto "sconsegnato" potesseavere una storia di sesso €ou qualche moglie insoddi-sfatta. Succedeva anche $resto. Io ero enbato Delle gra-zie della donna che era addetta allo spaccio delle glrar-die, procurava sempre quaìcosa di buono per me. ma ionon volevo badare alle sue attenzioni, era troppo cocen-te ancora il dolore per la morte di Edy

I mesi passavano, De erano già tras€orsi sei, in que-sto periodo rnio padre venne a trovaruri tre volte poÌ-tandomi notizie dei miei figli, e mi diceva ogni volta diriprendere a vivere che presto sarei uscito. Non c'eraquesto nei miei pensieú. non mi interessava vivere enon pensavo alla libertà. I nuovi amici del carcere pre-paravano dei pranzetti speciali quando dicevo che aa-rebbe venuto mio padre e lo aspettavano per salutarlo eanche perché lui portava sempre tanti dolci per tutti.Marisa mi scriveva che voleva vedermi, io le rispondevosempre di aspettare; anche le mie amiche mi scriveva-no ma io rispondevo mn una cartolina, "Sto bene, graziedi tutto".

Finché una mattina verso le cinque sentii apiire lamía cella e sei, sette guardie mi dissero che €ro trasfe-rito, di vestirmi che c'era il motoscafo pronto per Livor-no, non dovevo prendere niente con me perché mi

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avrebboro fatto recapitate lutto loro nel calcere dovesarei andato. Mi portarono al carcere di Livorno dove ri-nasi dieci giorni, senza potermi cambiare, dopo mi por-tarono a San Gir:rigaoÌo, un carcere duro con Ìrna strut-túÌa fatiscente. A.rrivato sono stato allocato in uno stan-zone dove c'erano altre cinque persone che aspettavanodi essere smistate nelle sezioni.

C'€ra una pwza di utina spaventoga e quelle perso-ne che a occhio sembravano avere un'età superiore allalnia, subito mi dissero di non parlare altrimenti le guar-die ci awebbero picchiati. Uno di loro era calabrese.Man mano che ognuno veniva portato in matricola sisentiva del trambusto e delle grida. Quando toccò a memi chiesero: "Sei mafioso?" ncerto ch€ noo risposi subi-to ed evitai un pugno in pieno viso, ma non uno spinto-ne che mi sbatté al muro. Non ci fu altro e mi assegna-roùo in una cella con aÌtri due detenuti. ln precedenzaero sempre stato da solo in cella. Aìche in questo carce-re c erano dei calabresi che rìi conoscevano. ma ci si ve-deva poco in quanto eravamo sempne chiusi, a parte dueore di aria giornaliera.

A San Gimignano Ia detenzione si sentiva molto, leSuardie erano sehpre agitate e facevano provocazioniper poter picchiare chi gli capitava a tiro. Io non gli da-vo nessuna importanza, facevo il det€nuto e avevo det-to a diverse guardie: "Non toccatemi perché io mi faccioi fatti ùúei, ma se volete fare la guerra mi trovate sem-pr€ pronto". Loro non mi diedero fastidi e neanche io aloro. Rimasi in quellìstituto quatho mesi, dopo mi por-taroAo al carcer.e di Bologna perché c'era lJudienza delprocesso d'appello. Ma in quei mesi avevo saputo il mo-tivo del mio impro\,-yiso basferimento dalla Gorgona.

Uno dei calabresi che avevo conosciuto in quel posto,si era hssato che io volessi farlo uccidere, così aveva ri-

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ferito di questa sua paura al comandante che aYeva di_sposto irùnediatament€ il mio trasferimento- Non c'etaniente di verc, ma aúche queste sono le tragedie chesuccedono nelle carceri, uno 8i flssa Bu qualcosa e pro-

voca dei danni ad un allro genza alcun motivo. AncheBologîa era un carcere duÌo ma in quel periodo c'era unpo'di libertà in più. nuovo direttore voleva fare fespe-rimeuto di dare qualcosa in più per tenere i detenuti piì1tranquilli, quindi durante il giorno per sei ore le c€lleerano aperte e si poteva stare tutti assieme Anche aBologna ctrano caìabresi che dicevaÌo di cotroscermi eche mi haÌro accolto con úspetto e disponibilità

giorno delfappello incontrai I'av'vocato, Mari6a,mio padre e vidi tra i presenti in aula anche qualcunodei miei uotnini. Non mi avevano dimentrcato. Ludien-za si consììmò i-ù poche ore. Visto il precedente anegto,vista la sentenza di Reggio Emilia, venni condannalo aduna pena unica di cinque annj. Due anni e mezzo eranotrascolBi, ayrei domto scontarne altrettanti, ma si voci_ferava di un indÙlto.

Chiesi di patÌare con il direttore e di poter ess€le tla-Bferito al carcere di Opera (Milalo), la mia richiesta èstata esaudita,

A-rrivai ad Opera, dove sapevo che c'eralo dei mieiamici detenuti e dove, avevo notizie, c'era una certa \,1_vibilità. Mi fu assegnata una cella da solo e mi incontraicon gli amici che trovai in quel posto Frequentaí uncorso di infomatica, uno di fotogafia e nello stessotempo lavoravo come "spesino", cioè colui che orgarízzala spesa che i detenuti possono fare in carcere (sigalet-

te, carta da soiv€re, francobolli, buste da lettera e altrecose da mangiare).

Aì corso di computer conobbi Mario Moretti, che erastato condannato per l'uccisione dell'onorevole Moro.

:' Í-ir . '1.

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Notai subito che aveva un trattamento speciale e cheera libero nei movimenti, lui stesso mi disse che ognimese riceveva un assegno dal ministero e che gli erastata garaltita a brcve la semilibeta. Alla mia iloman-da del perché di queslo trattamento, in fonalo era statocondannalo a parecchi ergastoli. lui rispose somiooe:nSe non mi fanno uscire svelo tutti gli altadni, convie-ne a tutti i politici che io resti muto". Non chiesi piùnulla, perché in carcere ci sono delle regole non scrittetra i detenuti, la piÌr importante è quella di non chiede-re degli affari altrui, esulare da queste regole significa-va prendersi delle coltellate.

In questo istituto di magsima Èicurezza c'erano bossdi mafia, camona e 'ndrangheta, noti alle cronache gru-diziarie ed io ero un loro pari, ci trattavamo con dspet_to reciproco e stavamo attenti che non ci fossero trage-die che avrebbero potuto inficiare la libertà che ci eracon@ssa. Devo ilire che sono etati fatti tanti affari alismistamento di dmga tra le diverse famigÌie, che si so-no fatte delle alleanze con turchi e con qualche colom-biano ct.e abbiamo conosciuto nel carcere. Parlo di traf-fici per centinaia di chili che transitavano nel milaìese.Anche a Opera c'erano delle guardie che si lasciavanocomprare e noi li usavamo come postini.

Nell'ottobre del 1990 ric€vetti la notizia che era mor-ta mia madre. Feci istanza per essere accompagnato alfirrìerale ed essere presente alla sepoltura, ma mi è sta-to risposto che per la mia pericolosità ed essendo un ele-mento di spicco della 'ndrangheta, I'istanza era da re-spingere. Non avevo ancora aB8orbito la scompalsa diEdy, che il destino mí affrontava nuovamente con lamorte di mia madre. Ma questa inseDsibilità <Ii rifiutar-mi l'ultirúo saluto a mia hadre, mi scatenò una fi.Èiosaira dentro. Mentre un búgadiere mi iliceva che faceva

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bene la magistratura ad essere dura coi mafiosi, affer-rai uno sgabello e colpii con violenza la testa di queìl'uo-mo, che cadde a terra in una pozza ali sangue. Per que-sto atto fui conilaDnato ancora a tre aDti per il teato dilesioni. Gli altri detenuti volevaùo fate una ribellione,ma io imposi la calma addossandomi la responsabilitàdel fatto. Mi convocò il direttore con il comandante cheseppur deploraldo la lnia reazione ammisero la provo-cazione del brigadiere e mi lodarono per aver tenuto fer-mi i detenuti che volevano fare una sommossa. A dicem-bre dello stesso anno, fu applicato Lindulto e mi venne-ro condonati tre and: se non avessi avuto quella reazio-ne sarei potuto uscire libero, invece dovevo aspettareaÌcora due anni.

IÌascorsero lenti questi due ami con tanti a.!'veni-menti che Bi succedettero nel bene e nel maÌe, con nuo-ve conoscenze. nuovi intrecci. con notti trascorse adascoltare i nìmori amplificati che il carcete ti trasmefte, per far prentlere più coscienza, se mai fosse possibi-le, alel posta in cui ìi hovi. Si yivono delle realtà perso-naìi che ti coinvolgoùo anche se cerchi in ogni modo ditenerle a ilistanza. Ti rendi codto del tempo che passa,ma non 1o percepisci consap€volmente

Ci sono stati e ci sono tuttora degli illustri sociologied eminenti politici che nelle loro interviste affermaùo,senza cognizione, che le carceri italiane sono degli hotela cinque stelle; mi viene da pensare che questi perso-naggi non abbiano mai soggiomato in tali hotel, perparagonarli alle carceri. Sì, è urr paradosso usato per di-re che il circuito carcerario è confortevole, ma questoparadosso è dilfrcilmente applicabile quando si vive insei úetri quadràti di cella, compreso il bagno.

Il personale addetto alle carceri, che oggi si chianapolizia penitenziaria, non può sopperire alle carenze

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strutturali innate nel sistema; la maggior parte sonobrave persone che agiscono con uúanità, ma trovi an-che Ùna buona percentuale di esaltati, di provocatori, dicarrieristi che irsano il detenuto come sfogo alle loro re-pressloru.

Non a caso gli uomini della penitenziaúa che sonostati scelti prer il G7 di C'enova erano i più violenti. Il de-tenuto è una persona che ha commesso un reato penal€ed è stato privato della libertà per conseguenza, ma ciònon vuol dire che deve anche spoglia$i della dignitàpersonale e diveùtare uno straccio nelle mani di certepersone che 8oÌo perché indossano una divisa si anoga-no il didtto di usare questo straccio a loro piacimento.Quando il nuovo arrestato atriva nell'ufficio matricolagià dal incominciano a sbeffeggiaÌlo e in caso anche amenano.

Certo ci sono delle regole dentro un carcere, ma il piùdelle volte queste regole sono calpestate da chi deve far-le riepettare. Io ho visto agenti della polizia penitenzia-ria offrirsi a noi boss, in cambio di pochi soldi. Tìrttaviaposso afferhare che pef questi pochi elementi non si de-ve sminuire il lavoro coúetto di tutti gli altri, come nonsi deve fare di tutta l'erba un fascio anche rispetto allanassa dei detenuti.

La persona comune oppure il giovane ch€ finisce incarcere per i casi della vita, deve avere la possibilità dimatrÙfare il proprio errore, ma in un canaio tale, quan-do dopo aver sconlato la sua pena esce dal carcere. è giàdiventato un delinquente perché i compagni di deten-zi,o\e, giè\ awezzi atale espedenza, lllanno iryetito sul-la via del non ritorno. Se si è stati dentro per furto, siesce con la convinzione di fare ìo epacciatore; Ee si entraper spaccio, si esce con nuovi contatti per proseguire inmeglio su quèlla strada.

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Mai che ci siano delle figure positive neÌl'esperienzadel carcere. I-o scopo del malavitoso in carcere è quellodi fare nuovi proseliti, di star bene corrompendo il cor-ruttibile, di apparire persona ligia alle regole e prodigodi buoni consigli. Nel nostro ambiente questa si chiama"falsa politica" in quanto il vero int€nto è un altro.Quando il malavitoeo nota dei giovani, che a Buo pare-re, sono promettenti, li attira dando loro in concreto unaiuto economico e con la promessa ali lauti guadagni do-po, Ii prepara ad essere dei nuovi venditori di mort€.

Nel 1992 awenne aìche I'uccísione del giudice Fal-cone prima e successivarnente quella del gíuilice Borsel-lino. Due delitti perpetrati dalla mafra siciliana che havoluto colp e i simboli della magistratura antimafia-Nel carcere di Otrcra queste notizie non furono accoltecon gioia anzi si condannavano questi delitti in quantosi prospettava una reazione dello Stato molto fofie cheawebbe disturbato immancabilnente i trafici illegalidi tutt€ le o4anizzazioni criminali; iDfatti si aspettavada ùr momento all'altro qualche legge speciale. Imman-cabilmente anivò il 41bis, cioè il carcere duro per i ma-lìosi e traflìcanti e la legge sui penlil"i.

Anch io mi tmvai in una sezione di massima sicurez-za. Successe tutto in una notte, verso le ventitrè arîivòuna squadra composta da diversi agenti con il coman-darte e si diressero davanti alle celle dove c'erano dete-nuti condannati per mafia. Vennero anche da me inquanto nella mia cartella c'era segnalata la mia appar-tenenza alla'ndrangheta.

La sezione ili massima sicurezza consisteva nell'iao-lamento seÌrza coDtatti con altri alet€nuti, unbra d'ariaal giorno da soli, un solo colloquio al mese, la cenau.ragulla poBta in arrivo e in uscita, non poter parteciparealle attività comuni e sorveglianza continua. TYascorsi

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circa due mesi in queBta conalizione prima deÌl'anivodel fine pena.

Il quattro ottobre del 1992, ho finito di scontaÌe lacondenne. Pioveva a dirotto, avevo con me solo Ùlla pic-cola borsa con pochi effetti personaìi; tutte le altre cosele avevo regalate in carcere. Venne il comandante e ilsuo vice a prendermi nel padiglione per accompagîarmiall'uscita, con ul ombrello- Fui soddisfatto del loro rin-gTaziamento per aver tenuto la sezione traaquilla e ilcomùrdante disse: "Dove lo trovia$o un alho Fonti co-sì giudizioso", risi dentro di me e li salutai dicendo: nAd-dio,.

Fuori dai cancelli c'erano tre macchine di grossa ci-lindrata con tre uomini a vettura che mi attendevano.Erano una parte dei miei uomini con Giovanni, il miobraccio destro, e altri nuovi amici conogciuti in caÌcerecon i quali ero masto in contatto. Mi accompagîaronoin un locale di proprietà di uno di questi e, per dimo-strami la loro gioia per la mia libertà, stappar,.ono di-verse bottiglie di champagne Crystal.

Devo dire che mentre ero detenuto avevo mandato adire ai miei uomini di prepararmi un appartamento aMilano. Dopo aver brindato espressi il desidedo di an-dare a casa perché dopo taÌìto tempo volevo farmi un belbagao non la solita docfia, ma primÀ dissi di accompa-gtrallni a mmprare degli abiti per cambiarmi. Feci iì gi-ro per i negozi che úi interessavano, comprando di iut-to e di piì1 e mi portarono nella mia nuova casa. Era ac-coglíente e arredata con gusto e ne fui soddisfatto. Ci la-sciammo con Laccordo che la sera ci saremmo trovati alriBtorante "Ibiza" per cenare. Ero in un appartamento,non più in ùìa cella.

Non Cera più Edy; nearche mia madre awei úvisto;erano hascórsi cinque anni e tante cose erano cambia-

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te, ma il freddo non mi aveva mai lasciato. Chiamai Ma-riBa e dopo aÌche mio padre per dirgli che a giorni saÌeisceso in Calabria, e rnia cugina che abitava a Milano.Informai, inoltre, la EIia ex moglie che sarei anilato atrovare i ragazzi. Dopo mi sdraiai nella vasca da bagnocon l'idea di levarmi di dosso la puzza del carcere. La se-ra venne una macchina a prendermi. Gli altri mi aspet-tavano al dstorante. Conoscevo il posto, c'ero già statotante volte in passato. Enlrai e hovai la sala gremita dipersone: saranno state una treùtina.

I1 mio sguardo ecorse volti conosciuti e anche scono-sciuti, Cerano deUe donne bellissine ed eleganti, coneeleganti erano tutti; Gioyanni, il mio braccio destro, fe-ce le presentazioni e ci sedemmo tutti a tavola. Mi ac-corsi che alla mia ginígtra era seduta una ragazza llr'ol-to belÌa che nelle presentazioni aveva detto di chiamar-si Margheret: bionda, alta quasi come me, con u]l abitoda sera che le faeciava il m4ro nelle eue splendide for-me e con un sorriso sfacciato mi osserîava mentre veùi-vo riverito da tutti, *1\r sei il capo?' mi chiese. oll capodi cosa?" risposi.

Il suo soniso si fece ancora più sfacciato e awicinan-dosi mi sussurrò all'orecchio: "Sei mio, ti voglio,. .Non8ono di nessuno, neanche tu mi a\îai" e ci siamo mesEia ridere. E stata una serata allegra, allietata anche daun gruppo canoro chiamato apposta per quellia cena,che si pmlungò fino alle tre del mattino. Dopo dissi aGiovanni di portarmi a casa perchè l'indomani volevoandare a trovare i miei figli e di lasciarmi una macchi-na per viaggiare. Margheret mi disse che voleva rima-nere a dormire da me, dopo avermi stuzzicato tutta laaera.

Le fisposi che mi sarci alzato pregto per andarc a tro-vare i miei figli, ma lei poteva domire fino a quaoto

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aveva voglia e se voìeva aspettare il mio ritorno bene,altrimenti poteva prendere un taxi e tomare a casa sua.Mi avrebbe fatto piacere, però, se mi avesse lasciato ilsuo nurnero di telefono. Acconsentì con un cenno del ca-po e ci awiammo verso casa in zona cittÀ studi, con unaMercedes 300 che mi aveva dato Giovanni. Varcato I'u-scio di caea Margheret si awinghiò a me e dopo la mor-te di Edy quella era la prima volta che baciavo le labbraili ÙÌa donna: d'altronde ero stato in carcere per tuttoquel tempo.

Giovanni mi aveva anche dato un cellulare, una cosanuova per me, ma apprezzai questa tecnologia che per-rnetteva di essere in qualuDque momento in contattocon altri utenti.

Non ho dormito per niente quella prima notte da uo-mo Ìibero, Alle sette mi vestii, diedi un'oechiata a Ma.r-gheret che dormiva nel letto in tutta la sua bellezza e ri-vi<Ii la mia Edy, fu un attimo e subito dopo eto già allaguida verso i miei figli che credevano fosei alLestero perlavom. Andai a casa e trovai la mia ex cognata in lorocompagnia, Me li affidò per andaÌe in gùo, volevo pren-dergìi dei regali. Passammo ìa giomata aSSieme: eranofelici sia per i tanti regali, sia perché con la mia visitanon erano andati a scuola.

Mi fecero un sacco di domande su cosa facevo, dovevivevo: cercai di essere evasivo per evitare di racconta-re ftottole e per loro andava bene cosl, Li riportai a ca-sa dove trovai sempre la mia ex cognata, alla quaìe con-segÉi dei soldi ala darc a sua sorella, quindi un ultimoabbraccio ai ragazzi con la promessa che ci saremmo ri-visti presto e mi rirnisi in macchina trrr ritornare a Mi-lano.

Per strada ricevetti la telefonata di Giovanni che michiese se avevo bisogno di quaÌcosa e se al lnio ritorno

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ci saremmo visti. Risposi che non avevo dormito e chequindi era meglio vederci l'indomani a pranzo al risto-rante "Il cuoco di bordo". Restarnmo d'accordo così.Giunto a casa ritrovai Margheret, aÌ contrario di quan-to pensassi; aveva addosso il mio accappatoio e stavaguardando la televisione, mi abbracciò con veemenzailicendomi che aveva una gran fame, che aveva dormitotutto il giorno e aspettava il mio rientrc- Si informò an-che dei miei figli e mi chiese dove saremmo andati a ce-na. Lasciai a lei la scelta e mi portò sulla via Gallarate-se alla "Pobbia", un bellissimo posto, molto elegante.

Dopo cena decidemmo di ritornare a casa anche perla mia stanchezza, Le dissi che l'indomani avevo unpranzo di lavoro e che il giorno successivo sarei andatoin Calab a; lei rispose che ìlndomani sarebbe andata acasa sua e che ci saremmo rivisti al mio ritorno. Se vo-levo lasciarle le chiavi di casa raia auebbe sistemato ilrlisordine che c'era. Accettai e limanemmo d'accordo co-si-

IÌ gio.no dopo a pranzo Giovanni mi spiegò che Cera-no de1le farniglie emergenti, mi parlò della pace fatta aReggio Calabria tra i Condello-Imerti e Tbgano-De Ste-fano, della nuova faida di San Luca e delle nuove stra-de di rifornimento per gli stupefacenti; rni diese che ilcontatto colombiano che gli avevo fatto avere io era ot-timo ma per l'eroina i turchi erano molto diffidenti per-ché qualche famiglia calabrese non si era comportatabene. Presi atto di queste notizie e gli dissi che l'indo-nani sarei sceso in Calabria. Lui ùel frattéhpo dovevapartire per Istanbul, prenotare una camera all?rotel"Divan" dove sarebbe stato contattato da amici cono-sciuti in carcere con la frase di riconoscimento "Cicciosta bene", la cui riepogta dovevà essere "Si è Bistematoa Milano". Avrebbe dovuto trattare il Drezzo Der delle

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forniture mensili di cento chili, pagando metà subito eil saldo a trenta giorni. Prendemrno le nostre 6trade.

Presi l'aereo da Linate per R€ggio Calabria la seraBtessa e alÌ'arrivo c'erano due miei amici ad attendermi.Mi feci accompagaare a caga dicendo di portarc i mieisaluti agli altri e di venire a prendermi l,indomaoi mat-tina presto perché prima di incontrare i "capi" volevoàndate al cimitero per portare dei fioú sulla tomba d.imia madre.

A mio padre non sehbrava vero di vedermi, era feli-ce; trascorîemmo palte della notte a parÌare e l,indoma-ni ci rccaÌnmo al cimitero. Mi disse che al fi.urerale c'e_ra tutto il paese e che l,ultimo pensiero l,ìra ar,rrto perme. Ero commosso e stetti più di mezz,ora inginocchia-to nella cappella di farniglia dove feci portarc tanti fiorie delle pianre, Poi dissi a mio padre che avevo da fare eche sarei ritorhato la 6era a casa per oera.

, Ero luovamente_ davanti ai ,,capi". Mi accolsero conoenevorenza. ma gr lamenfavano che i canali di aoDrov_vigiorraDteoto erano lenti e che bisognava svelUrli, àlr ri-menti i "nuovi arrivati" ci avrebbero fatto le scarpe. Ri_sposi che Giovadd aveva far,to l,impossibile per iar an_daÌe avanti il "lavoro'e che più rli qùanto già era slatoIatto non poteva. Adesso io stavo attivando altre cono-acenze che sarebbero state più proficue. Spiegai loro chenon dovevano lamentarsi perchè i loro guadagni eranosempre arrivati puntuali, ma probabilmente avrei atu-to bisogno di altri uomini poichè la piazza di Milano erahoìto importante.

Quello che chiedevo mi sarebbe stato dato, risposero.Mi dissero che avevano investito forti capitali. Dii, diduecento mi.liardi per enrrare nel business Dulito del-I'industria alibnentare. trahite un finanziere di Romache aveva interes6i in tutta ltalia, in BrasiÌe e altrove

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con ùna aua banca dlnvestimenti. Siccome si doveva ac-quisire il controllo di un,azienda milanese ed io operavoa Milano rÈi anebbero dato I'incarico di seguire anchequesta situazjone per loro moito importaDte e che pote-va{lventa,re.tmporlante anche per llle. AvevaDo ottenu_Lo r avalo pohtrco. aDzi eraho stati proprio dei politici aîare rt nome di quesfo finanziere. Mi portarono a cono_scenza dell'acquisto di quattro ùìotonavi che a loro ilireavevano pagato molto poco e che rendevano molto. Misuggerbono di stare attento a non frequentare personecoi[volte nelle faidq dovevo essere anico con tutti, madi passaggio. Evitai di entrare nel discorso sulla percen_tuale che mi speltava per alcuai lavori che gli a.,evo fat-to fare n€l mio periodo di detenzione. Andaia bene così,non volevo entmre in attrito.

Ilascorsi buona parte della giornata insiame a loro edopo mi congedai per ritornarc da mio padre. A casa c,e-rano altri patenti che erano venuti a salutami e ocnu-no mi parlò dei propri problemi economici. lo cercài didare ùna mano a tuaú seoza sLrafafe, ma ebbem un aiu_to.l4io p-adre mi disse: .Sei troppo buono e l"esso, ee eritu in difficoltà i Eostri parenti. stai certo che ti au.ebbe-ro voltato le spaìÌeo. Sagge parole che si rivelarono vereaì momento del bisogîo. Cèrano i vicini di casa che miavevarli \,'rsto crescere, contenti di vedermi sistémato,che lni auguratono ogni bene: patole sincere dette dap_ersone semplici. Risasi tre giorni, per iDcontr€ùe ao-che i vecchi ahici d'bfanzia con i quali avevo latto Ieprime 'cazzate' infa[tili. Ciorni ormai lontani che lamemona stenta a ricordare.

Rientrei a Milano e siccohe era già sera andai diret_tamenÌe a ca.sa. Con sorpresa trovai Margheret in vestédi donna delle pulizie che stava finendó di riordinarel'appaúamento, "Sei già di ritomo, che bellol" esclamò

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e mi lanciò le braccia al collo. Si informò se tutto fosseandato secondo le previsioni e Eli chiese se per cena ave_vo voglia di una pizza pojche non le andava di uscire. Adnn isolato di distanza c'era tlla pizzeria, così uscì acompfafle.

Mentre era fuori io cercai di mettermi desli abiti co_modi e mi accorsi che in giro e nell armadioì.erano di_versi indumenti femminili. Compresi che si era trasfe_rita da me; da una paúe ero contento, daÌl,altra contra_riato perchè non volevo avere un rapporto impegnativocon nessuna donna e Margheret si era imposta con pre_potenza. Mangiammo la pizza chiacchierando del oirì edel meno e ad uD certo puAto af&onlai il discorso dellanostra convivenza; le disei che lei era una donna bellis_sima, elegant€ e colta, che rni piaceva moltissimo manon ero pronto per una convivenza, anche perché dopoessere stato in carcere per qualche anno, dovevo imoe_gnarmi molto nei miei aflari e non avrei poîuto dedic;r_le il tempo che meritava.

Lei rispose seria dicendo che sicuramerue avevofiainteso poichè aveva traslocato una parte del suo ab_bigliamento da me solo temporaneaD;nle. Le stavanofacendo dei lavori di tinteggiatur.a eil altro nel suo ap_partamenl,o: lei desiderava oenamente continuare il nà_stro rapporto ma voleva prima di tutto che mettessi or-dine nella l|ria vita perché non aveva intenzione di vive_re con Ì'a.nsia che qualche giomo mi avrebbero Dotutoarrestare di nuovo. Lei si era in\,€ghita di me dal primomomento ma sapeva che gestivo affari illeciti, senza co-noscere quali, ma per una eventuale convivenza a\,îeido\,.uto cambiare assolutamente vita-

Le risposi che eto in un meccanismo troppo granile eche non potevo uscirne. "Capisco, allora viviamo allagiornata, dísse laconicamente. Margheret di professio_

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ne faceva l'interprete, aveva lavorato per qualche annocom€ hostess nell€ linee internazionaii, aveva lasciatoquel lavoro che la costringeva ad essere sempre in giro,poichè aveva ricevuto delle offert€ allettanti dalla Fieradi Milano e adesso lavorava stabilmente per quell,Ente.Era nata a Milano, da madre ita.liana e padre tedesco,adesso i suoi si erano trasferiti a Dùsseldorf, ma lei ave-va voluto continuare a vivere a Milano. Aveva trenta_quattro anni, ma sembtava ne avesse venticinoue.

Le promisi che pi ir avanri a\,Ì .ei fatto in moào di ve_nire fuori dalle mie storie, ma qualora ciò foase a!.venu_to sarebbe stato necessario espatdare. Mi rispose cheun poslo da interpreLe lo awebbe trovato in qualunqueparte del mondo e così ci abbracciamrlo.

LìndomaDi incontrai Ciovanni che era nentrato daI-stanbul, mi disse che aveva trattato e concluso l,affaredell'eroina e tra due settimane ci sarebbe stato il primocarico, coD una variante sulla consegia: non Mjlanobensr in un vivaio nei pressi di Brihdtsr.

, Queslo perscelta dei turchi poichè lì si sentivano piiraI sicuro che in Lolnbardja. per noi era invece piu rj_schioso. percbe si doveva fal.e il trasportn fino a MiJanocon r nscht connessi; quindi dovevo organjzzare le coseaffinché non succedesse niente. Feci salire quattro per_sone dalla Calabria: due Ii feci venire da Relgio E-iliu,gli aÌtri, me comprcso, partirono da Milano. dgoorro

"oíuna$acchina div_ersa, alcure delle quali preù a noleg_gro da persone pulite. Eravamo dodici persone con dodi_ci macchine diverse e ci trovammo scaglionati

" groppi

di quattro al vivaio di Francavilla Fìotana. A1r"h,ioavrei fatto da corriere.

Ogruno a\,'rebbe trasportato dieci chilograÍuni e duernacchine awebbero fatto da staffetta. Condividevo i ri_schi dei miei uomini e per questo ero benvoluto e risDet_

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tato. Non li mandavo allo sbaraglio, ponderavo ogrìi co-sa ùelllnteresse comune. In meDo di un'ora emvamogià in autostrada verso Milano. Avevo pagato come pat-tuito e ci tenevamo in contatto con dei wolki tolki. Il tra-sporto non ebbe intoppi e nei tre giorni seguenti avevogià fatto le consegne ai elienti. Dopo aver fatto un po'dimnti, constatai che il prezzo che ero riuscito ad ott€ne-re iLai turchi era ili venti milioDi al chilo: io la riyende-vo senza toccarla a sessanta milioni, con un utile diquaranta milioni aì chilo, un buon guadagfìo al meee.Inoltre c'era anche la vendita di qualche decina di chi-logramrni di cocaina, e qualche lavoro extra.

A Milano cercavo di vivere senza apparìscelze. Cer-to avevo un paio di macchine di grossa cilindrata, anda-vo a cena nei piìr bei dstoranti, ma evitavo nei limiti delpossibile di frequentare altri personaggi che come meerano appaúenenti alla 'ndrangheta. Ci incontravaho,ma usavo tanti accorgimenti, immaginando che loro po-tessero esaere pedinati e controllati dalla polizia. Sonoaúiveto a camuffarmi con parrrrcche e baffi finti e an-davo agli appuntarnenti con dei taxi.

Non sono mai andato in un night, luoghi ftequentatida malavitosi; sono stato in qualche discoteca ad alto livello, solo per accontentare Margheret; di solito dopo ce-na si andava in qualche piano bar e si ascoltava dellamusica. I cootatti con i miei uomini Ii avevo nei giorniin cui c'era la consegna mensile dello stupefacente. PoiÌoro euravano gli incaegi e 1i portavano in un apparta-meato in via Popoli Uniti: quando si era raccolta unagrande quantità di mntanti li facevo trasportare dagli"spaÌloni" di frducia in Svizzera e poi in banca. Giovan-ni aveva un autosalone ed era un tranquillo commer-cDnte.

Io úi appoggiavo preseo una fabbrica di mobili della

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Brianza, dove c'era sempre un ufncio per me e risulta-vo come procacciatore d'aflad. A.ltú mntatti per even-tuali circostanze giornaliere li avevamo tramite il pro-prietaúo di ì]n Bar in via Fabio Filzi, vicino alla regio-ne Lombardia, dove chi aveva bisogno lasciava un bi-glietto e poi ci si incontrava.

Avevo escogitato questo metodo di prudenza per sal-vaguardaÌe me e gli altri dalla massa di caìabresi pre-senti a Milano e più corposamente nell?Ìinterland. Ri-cordo un awenimento in cui alcuni affiliati vennero acercarmi, perchè una persona del mio paese aveva fre-gato loro la somma di cinquanta rnilioni di Ìùet mi dis-sero che avevano I'autorizzazione per ucciderlo da pa:r-te dei "capi" ma prima di farlo avevano voluto passarmiparola dato che em un mio paesano. Risposi dic€ndo chevolevo andare con loro all'appuntamento, ma nel mo-mento in cui stavano pet sparare, mi intromisi e dissiloro che per i soldi non c'era problema perchè li a!.r.ei ri-sarciti io.

A\rrei pensato io stesso ad una pÙnizione che testas-se in mente al poveretto. Dopo un vivase conciliabolo liconvinsi a prendere i soldi e di riferire che s€ avease fat-to ancora qualche cattiva azione allota avrebbero potu-to prowedere senza awisarmi. Mi aveva fatto una pe-na enorme vederlo piangere e disperarsi con una pisto-la puntata alla testa.

Ho agito d'impulso perché non gono un criminale an-che se ho vissuto come tale. Gli diedi quattro echiaffi egli dissi di badare a dove metteva i piedi perché se sta-volta aveva tmvato me la prossima rrolta non awebbetrovato nessuno. Quando non dovevo 'lavorare,, il finesettimana si andava fuori cittÀ oppure a Roha, comeuna normale coppia.

Con Margheret non si parlava mai di traffici o di al-

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tre cose legatr alla mia attivilà, si ragionava di attuaìi-tà, di storia, facevamo lunghe disse*azioni frlosofiche edi politica. Proprio in quei mesi si parlava dell'ingressoin politica de1 patron di alcÌrne televisioni private chetrasmettevano in tutta la nazione nonché presidentedel Milan calcio.

Un giorno incontrai casualmente un ragazzo libalìe-se che avevo conosciuto nel carcere di Opera. Mi disseche era in difficoltà economiche e che non aveva nean-che un posto dove dormire; gli diedi dei soldi e gli ilissiche lo ar'rei messo in contatto con amici miei di ReggioEmilia per fargli fare qualcosa, in quanto io non tratta-vo più stupefacenti e mi ero trovalo un lavoro.

Lui mi ringraziò e mi sollecitò a metterlo subito incontatto con i miei amici, perché voleva guadagnate deisoldi e poi andarsene dall'Italia; gli diedi un appunta-mento a tre giorni di distanza dicendo che lo avrei ac-compagnato in macchina e raccomandato a queste per-sone. Il giomo seguente telefonai a Reggio preaùìùrl-ciando il mio anivo. Presi una macchina a noleggio e ilgiorno frssato passai a prenderlo e ci mettemmo in viag-

910.Pioveva, così penBai che ci fossero meno controlli.

Uscii al caseÌlo di Reggio Emilia e notai qualcosa di in-solito, come se fossi seguito. Era una sensazione, nùllapiù. Sulla siataÌe questa sensazione si fece pir) forte; gi-rai con la macchina in una strada di campagna per con-trollare le macchine dieiro di me. Improwisamente fu-rono esplosi dei colpi di pistola in direzione della miamacchina e almeno altre tre auto imboccarono quellastrailina per bloccarmi.

Sparavano ipetutahenle urlando: "Fermi, Polizia,buttate le armi,. Pensai: nMa cosa vogliono, non honiente,. Scesi dalla macchina con 1e pallottole che fi-

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schiavano vrcino a me, eil alzai le mani, diceudo: "Cosafate, non sono né armato, né ho niente altro". Scese an-che il libanese e nella sommaria perquisizione vidi cheveniva lecuperato un pacchetto sul sedile dove era se-duto. Immaginai che dentro c'era della droga e lo fissaicon ira. Non ne sapevo niente, ma lui si era portato die-tro della droga.

Eravamo insiene e quindi io ero corresponsabile.Maledettó. Ma come era potuto succedere? In questuraseppi che avevano anestato anche quei due anici chemi stavano aspettando. L operazione si era wiluppataperchè il lelefono delle persone di Reggio Emilia era sot-to controllo ed avevano intercettato la mia telefonata. Ipoliziotti sono xiusciti a collegare la mia persona alla te-lefonata e quindi hanno ar,rrto la convinzione che stavofacendo una consegta. Convinzioùe errata, ma avevanorinvenuto lo stegso quasi cinquecento gramrni di eroinanella mia macchina.

Fottuto senza rendermene conto. Era il venticinqueaprile, giorno della Liberazione, ma io fui arrestato. Emfurioso con me gtesso e con il libanese. Per questa caz-zata avevo bnrciato tutto.

TYascorsi i giorni prima delf interrogatorio in firiosaattesa, volevo far capire al pubblico ministero che eroalLoscuro della presenza rli quella droga. Stavo accom-pagnando quel ragazzo pet: lasciarlo a Reggio e doponorl l'awei piÌr rivisto; I'avevo conosciuto in caricere tnanon sapevo niente di lui. Gli stavo facendo solo un favo-re di spostamento da Miìano fino a Reggio. L'avrei ucci-so; mi venne questo impulso omicida.

CoÌ cavolo che il magistrato ha creduto alle mie pa-role, disse che in base alla mia personalità, in base aiprecedenti e al rapporto di polizia che affermava la miaappartenenza alla crimina.lità otganizzate. era verosi-

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mile che stessi facendo una consegna e il libanese mi fa-ceva da spalla, quindi convalidava il mio arresto. Il li-banese non disse niente p€r addosgarsi la colpa e sca-gionare me. Mi trovai cli nuovo in una cella.

Ebbi un incontro con il mio awocato e mi disse che,purtrcppo la situa"ione in cui mi ero trovato mi avreb-be portato ancora an]li di catcere. Continuavo aal ess€-re furioso, dissi all'awocato di fare i documenti per po-ter avere un colloquio con Mar.gheret.

Ci incontrammo una settimana dopo il mio aÌresto.Lei mi atlaccò subito dicendomi che avevo asito comeun coglione, che era inconcepibile e8sere ar;stato inquel modo. Non avevo pensato a lei e adesso cosa sareb-be successo? Le risposi che sicuramente sarei úmasto incarcere per anni e che non sapevo coga dirle se non didimenticarmi. (Ceúo che devo dimenticarti, come sefosse facile", "Devi fado, Ìron ti permetterò di seguirmi,.Uscì piangendo e non la rividi mai più. Seppi daÌ mioawocato che si era tmsfeúts in Germania. che avevaconsegnato €. lui cilca cento milioni e ayeva detto di li-ferirmi di perdollarla.

Non dissi niente, sapevo che il giorno che mi aveva-no arrestato, in casa dove abitavamo insieme avevo la-sciato un fÈiliardo e seicento milioni, quindi lei era an-data via portando con sè i miei soldi. Bene, era anchegiusto così, ero stato un gran coglione; mentalmente leaugurai buona fortuna.

Ebbi anche ìm messaggio dai'capi" i quali eranomolto adirati dal modo in cui úi ero fattó arrestare e midicevano che me Lero cercata. Ricominciava il tlan trarocarcerario. Dal carcerc di Reggio fui trasferito a quellodi Bologna; vi rimasi pochi nesi e mi trasferir.ono a Pa-dova, nella sezione speciale. Dopo fui portato a Milanonel carcere di San \tittore ed inflne a Piacenza. In oue-

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sto carcere ricevetti la viBita del sostituto procuratole

\tncenzo Macrì, consigliere nazionale antimafia a Ro-

ma, ma applicato pro!'visoriamente alla procura di-

strettuale tli Reggio Calabria. Era il mese di gennaio

1994.Ero impacciato, non sapèvo cosa dirc' Il consigUere

soodò la mia intenzione di colìaborare e si rese conto

ilella mia iúdecisione, cosi cominciò a prospettarmi qua-

li erano i benefici di legge che mi sarebbero stati appli'

cati. Non lo ascoltavo, il mío pensiero era rivolto altro-

ve. In ì]n attimo mi paBsò davanti la vita che avevo vi8-

suto, certo non la vita che era nei sogli di quando ero

Ì]lì diciotterure che sperava in grandi cose; avevo a!'uto

l,an!o, e vero, ma a che prezzo? Un prezzo enorme che

mi opprirneva. lnoltre in quei grorni avevo avuto notizia

che mia cugina si drogava' e questo aveva aumentato il

fumre contro me atesao. nDottore se in Yentiquattlo ore

lei riesce a tirarmi fuori daì carcere, collaboro, altri-

menti Èon ci vedlemo mai più" dissi. In foùdo speravo

che ùon accettasse la mia proposta. Volevo espiare i

miei sbagli rimanendo in carcere; ma alcora di più spe_

ravo e volevo uscire dal carcere.Pensai ai miei figli, alla mia ex moglie, a Edy, a Mar-

ghereì: pensai aache al giuramento assuldo che avevo

iatto pei essere un affiliato, alle regole che avevo giura'

to di rispettare. Mille pensied, mille dubbi. Pensai a co-

me avevo fatto scempio della mia vita e che non avevo

nessun diritto di chiedere niente, neanche perdono po-

tevo chiedere a quelle migliaia di vittiúe che hanno

consumato la mia dloga' Liavevo fatto pel soldi e per po'

tere, Èon potevo portare avaati nieùte a úia diEcolpa'

Mi pentivo? Chi 8i pente 8i rifirgia in utt convento per

mo&t".e. Arr..'o schifo di me st€sso. AÌîei voluto dire al

consigùere di scu8armi, non volevo collaborare Ma non

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dissi queste parole. Passivamente lasciai che il destinodisegnasse il corso che voleva.

La Btessa notte verso le ventitrè, fui chiamato dallamia cella per prepararmi ad un trasferimento. La Daro_la trasferimento scatenò le urla degli alrri delenuti chein quelle settimane mi avevano conosciuto e si erano af_fezionati a me, Mi misi dlmpegìo per calmarli, spiegan_do che Ia vita di un detenuto era quella di u""""u

"po"tu-to da un carcere all'altro, a piacere del ministero. Salu_tai tutti e augurai buona fortuna. presi i miei vestiti ele altre cose, sistemai tutto nei borsoni e andai con Eliagenti in matricola per la partenza. J}ovai serte-ottopersone in abiti civili che mi salutarono cordialmentedicendomi che li mandava iÌ consìgliere per porrarml aRoma. Se ero d'accordo si partiva subito. Erano tutti de_gli ispettori d€lla cúminalpol diretti da un commrssano.Ero fragtornato e riuscii a rispondere soltaÌto: "Sonopronto". Mi lasciai alle spalle la t€tra struttula carcera_ria e salii in una delle macchine che aspettavano.

Nessuno chiese o disse niente. Solo durante il percor-so autostradale ci si fermò due-tre volte per consumareun caffè. Il buio cominciava lentamente a schiarirsiquando arrivammo a Roma. per tutto il viaggio avevopensato a questa situazione, malgtado tutti i raeiona_menti che provavo a fare non riuscivo a lrovurD" r-oo

"o_efente.Arrivammo a destinazione. Era la sede del servizio

centrale operativo. Fui accompagnato jn un apparla_menlo decoroso e rni djssero che potcvo riposare tran_quillamente, di fare un elenco di ciò di cui avevo biso_gno, di comunicare quando volevo mangiare e che miavrebbero awisalo loro all'arrivo del coniigliere. Decisiche dovevo dorhire per poter meglio ponde-rare cosa fa_re.

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Mi svegliai quando era di nuovo buio, andai nel sog-giorno e viili tre persone in abiti civili che guardavanola televisione. Vedendomi si alzarono e si presentaronocome degli agenti incaricati alla mia tutela, mi disseroche facevano dei turni di servizio con altri loro colleghiper coprire l'arco delle ventiquattro ore, ch€ potevo con-tare su di loro per le mie necessità. Ringraziai per la di-sponibilità e ordinai la cena. Nei giorni a seguire conti-nuai a pensare, ma come prima non avevo rispos!€ sod-disfacenti.

Passarono îre giorni. poi un pomeriggio mi cohuni-carono l'arrivo del consigliere. Assieme a lui c'era il di-rigente della criminalpol di Reggio Calabda, il dirigen-te della criminalpol di Bologna e quello di Milano. L'in-contro fu molto coraliale, mi chiesero se avevo delle do-mande, dei dubbi, delle necessità. Il consigliere mi par-lò con molta umaÌi|à, mi disse che capiva quello che erail mio stato rlanimo, ma anche che quella era la cosagiusta rla fare. Non si trattava di far arreslare questooppure quello, si trattava in realtà di un risarcihentoche dovevo aììa sociel.a e alìa giusl,izia.

Certo ìe mie dichiarazioni non mi arebbero scagio-nato, ma sicuramente sarebbero servite a pulire inqualche modo la mia coscienza dando la possibilità ditogliere dalla circolazione personaggi dediti al malaffa-re e all assassinio. Proferì queste parole con una convin-zione tanto profonda che entlarono nella mia testa co-me una fi"ustata. Lo osservai con ammirazione e dissi:oci fossero altri come lei',, nce ne sono più di quantí neimmagina" dspose. Continuò dicendomi che lui nonaveva nessuna fretta, mi concedeva di pensarci con cal-ma e di chiamarlo solo nel momento in cui fossí statocon!.lnto.

In quei giorrri ci fu un avvenimento glave che riguar-

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dò la salut€ di hia cugina. Andò in coma perché cotpitadallo stafrlococco della meningite. Si trovava da alcuniparenti ad Ancona quando incomftrciò a star male. I lne-dici le davano poche speraDze di vita a meno che non sifosse ve.ificato un miracolo. Chiesi al consigliere di po-ter esaere accompagnato in ospedale per rendermi con-to delle condizioni di mia cugina e poter parlare con iúedici. Mi accompagrxaroùo coù due macchine blindatee sei poliziotti, Pioveva e durante il tragitto una dellemacchine forò una gomma; sceaero per íl cambio dellaruota ed io rímasi in ùracchiùa.

Accanto a me era drnasta una mitraglietta con il ca-ricatore innescato, guatdai l'arma, guardai i poliziottiintenti a sostituire la ruota e altri a deviare Ìe macchi-ne in arrivo. Pensai di scappare, valutai la cosa e dopoqualche minuto chiamai un agente e dissi che ullo di lo-ro aveva alimenticato quell'atma accanto a me.

Ci fu u1 attimo di panico tra loÌo, ma cercai di stem-perare il momento dicendo che non era successo niente,.il capo scorta rni diede la mano per ringraziarmi ed ilviaggio continuò. Giunti in ospedale ta scorta si predi-spose tenendo me al ceDho e loro con giubbotti anti-proiettile ai lati. mitraglierre in mano.

Ci a\'.viammo verso lingtesso del reparto sotto glisguardi curiosi e impaùdti delle persone, I1 primarioappena ci vide alà le mani in segno di resa, ma I'ispettore quaìificandosi e dicendo che ero ulr "personaggio"con necessità di scorta, lo pregò di accompagnatci al re-parto dove c'era mia cugina. Parlaado mi diede pochesperanze e disse di alfidarci al Signore. Era distesa so-pra un letto in una stanza asettica, sembrava molta. Lamadre seduta su r]na sedia piangeva. Mi suggerirono diparlare a mia cugina, anche se lei era in coma, potevasentirmi. Mi fecero registrare una cassetta per fargliela

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riascoìtare di talto in tanto, Dopo, provato e triste mirimisi in macchina per ritomare a Roma.

Tfe giorni dopo feci awieare il consigliere che eropronto a fare le deposizioni. Mi acciagevo a saltare ilfosso, con tante incogîite e nessuna certezza.

Incominciai a descrivere la 'ndrangheta con i suoi ri-ti e con i Buoi componenti, padai dei traffici che avevofatto, descrissi circostaoze e situazioni. Era la primavolta che venivano svelate le gerarchie 'ndraaghetiste.Scrissero più di trecentocinquanta pagine di verbali,condite a più riprese dalle mie lacrime. Lacrime di di-sperazione per aver buttato via e sbeffeggiato la vitache mi era stata data. Quelle pagine erano sofferte per-ché rispecchiavano una parte ìmportante del mio vissu-to. n consigtiere fu con me di ùn'umanità eccezionaìe, inquei momenti quando ti Senti solo e 'r'uoto cerchi unapersona a cui aggTapparti, per avere un punto di riferi-mento: lui 10 fu per úe.

Fortunatamente mia cugina si svegliò dal coma, Ce'ra stalo quel miracolo che i medici e noi parenti auspi-cavamo; nel fiattempo favevo fatta trasferire da Anco_na in un ospedale di Milano ed è stata lì che apd gli oc-chi. Certo la convalescenza e le cure sarebbero statelunghe, ma era salva.

La mia collaborazione era tenuta molto riservata,ma cè sempre qualcosa che in qualche modo può trape_lare; quindi era nece8sario a!'visale i miei genitori, pa-renti, la mia ex moglie e i miei figli. 11 consigliere si pre-se questo onere e awrsò della rnia decisione di coÌlabo-rare le persone che dovevano essere messe al corrente,con awertenza di non fame assolutamente parola connessuno.

A Roma soggiomai circa quattro mesi, poi per contra-eli intemi al luogo dove allogiavo, fui hasfeúto a Mila-

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no rn rùì appartamento della polizia.Mi trovai meglio a Milano per tanti motivi. potevo

vedere mia cugina, tutti i giorni veilevo iÌ dirigente del-la crimilalpol, che conduceva le indagini sulle mie di-chiarazioni; siccome questo appartamento si trovavadentro la scuola di polizia, potevo muovermi dentro Iastruttura facendo lunghe passeggiate. Ma tutte le gior-nate erano affollate dai fantasmi del mio passato. Miopadre sapeva che mi trovavo ancom in calcere a piacen-za e un giorno si presentò per fare un colloquio con me.Il direttore awisò subito la criminalpol di Milano e par-tì una macchina per prenderlo, così gli awei dato lespiegazioni necessaÌie.

Ci incontrammo in url uffrcio e cominciai a spiegargliquanto avevo BoffeÌto nel prendere questa decisione. Mirispose con la Baggezza della sua età: "Hai fatto la scel"ta giusta". Lui era venuto a trovarmi anche perchéspinro dai -capi" che volevano farmi avere un mesiaggiodi prima mano. Questo messaggio coDsisteva nel farmisapere che poiché avevo scelto di tradire che almenonon facessi i loro nomi.

Potevo accusare chi volevo ma loro no, in quanto po-tevano sempre aiutarmi. lnfatti il mesgaggio contem-plava anche la possibilità che un cornmando lni Dotesseliberare da dove mj l,enevano, e farmi espar riare in unposto di mia scelta dove neasuno poteva trovarmi. Mi of-frirono ancho tanti soldi per accettare la loro proposta.Dissi a mio padre di riferire che ormai la frittata erafatta, na che lui come padre mi alr.ebbe dovuto disco-noscere, così non avrebbe subito ritorsioni e ar,.rebbe oo-tuto condufie la sua vita senza problemi. C e una vec-chia regola della 'ndrangheta che vieta di colpire i con-sanguinei per un torto fatto, ma questa regola dice chechi è stato colpito da "infamità" ha tempo venúuno annt

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per lavare questo disonore. Cioè in questo lasso di tem-po deve uccidere "l'infame".

Aì momento di salutarci mio padre con gli occhi pie-ni di lacrime disse: "Figlio mio, avevi tutte le qualitàper primeggiare nella vita, lhai fatto neì modo piì1 sba-gliato, che il Signore ti assista assieme alla mia benedi-zioneo. Mi inginocchiai davanti a lui e gli baciai la ma-no, chiedendo perdono.

Nei giorni seguenti incontrar ancora il consigliere alquale dissi che la mia collaborazione era ormai palesein quanto mi er& gtato inviato, tramite mio padre, unmessaggio e che quindi non avevano saPuto tenere lacoga riselvata così come mi em stato garantito. Iì consi-gliere prese atto, ci rammaricò ali questo e aftettò itempi per eseguire gli ordini di cattura, anche se ormaigli uomini più importanti si erano dati latitanti per nonfarsi arrestare. Da parte mia non avevo ancora dettotutto il mio vissuto e vedendo le falle che c'erano stat€mi dissi che era meglio aspettare e riflettere prima disvelare altre cose, Nel frattempo venni a sapere chel'applicazione alla d.d.a. di Reggio Calabria del consi-gliere non era stata prorogata e che io sarei stato gesti-to per Ie successive alichiarazioni da un altro magistra-t,o, il sostituto procutatore Nicola Gratteri.

Il consigliere spese parole di apprezzamento per ilsuo collega, lodandolo per Ìa tenacia delle indagini e ag-giunse che avrei potuto chiamarlo per le varie proble-matiche che si fossero presentate nella mia vita; era di-sponibile a rimanere il mio punto di riferimento. Venniinvitato a scegliere uÌra regione dove avrei potuto dfaÌ-mi una vita ed ebbi anche la promessa che non al?ei su-bito una condanna pesante in quanto la legge sulla col-laborazione garantisce un consistente sconto di pena; lastessa legge garantiva aÌche un aiuto economlco merì-

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sile, un cambiamento di identità e un congruo aruto perun'attività commerciaÌe oppure un posto di lavoro. Lostesso aiuto economico salebbe andato anche ai fanilia_ri che avessi proposto. Ricordo che a quel tempo, ilei col-laboratori della Campania, fecero mettere sotLo tutelaquasi ottanta persone con gradi di parentela alquantoelaborati. Sfruttavano la situazione.

Io proposi la mia ex moglie, i miei figli, rnia cugina esua madre; nio padre, mia sorella e i miei parenti cheabitavano in Calabria rimasero nelle loro case perchéavevano preso Ie distanze dalla mia persona e quindi sierano tutelati da soli. Mi veniva corrispogto un assegDomensile di un rnilione di lire, certo non era una glossacifra, ma avevo recuperato qualche somma che teaevoper le emergenze e così potevo permetterhi qualchespesa in più. Non potevo uscire dall'ltalia quindi i soldimessi alfestero eralìo quasr persi-

Scelsi ali abitare in un paese del Trentino, fuori dalletradizionali frequentazioni di personaggi che avrebberopotuto conoscermi. Mi era stata data la possibilità discegliere iI tipo di abitazione e scelsi una villetta con lestanze necessarie per poter ospitare i miei figli, quandovolevalo venire a trovarmi; mia cugina andava e veni_va fiequentemente, accompagnata dalla madre, anchese doveva continuare le lelapie di riabilitazione post'meningite.

Le collaborazioni si moltiplicarono specíaÌmente lrale famiglie maffose siciliane, e quelle camor:ristrche inCarrpania, ma la ldrangheta calabrese non aveva pen_titi. Per questo le rrrie dichiarazioni erano tenute in con-siderazione dalla magisl ratura. ma mi cteala un murodi ostilità la claBse politica, che aveva la possibilità diostacolarmi con armi istituzionali.

La mia destinazione in Tlentino aloveva essere te u-

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ta segleta dalle strutture dello Stato che ne erarro a co-nogcenza e alche io non dovevo confidare a nessuno do-ve abitavo. Io per ovyi motivi mant€nni questo segrcto,ma qualcuno delle stnrtturc statali lo paseò ad altrestrutture, che non dovevano e8serne a conoacenza, cogìricevetti visite inaspettate di funzionari di polizia enon.

Gli agenti che mi scortavano ùegli spostamenti nonrivelavano iì mio nome neanche ai loro colleghi di gradosuperiore, erano molto professiodali e attenti; quaìdo sidoveva sostare per lrascorrer€ la notte. non comunica-vano a nessuno l'albergo dove eravarllro; io usavo dei do-cumenti di copertura e passavo ancllio per poliziotto.Era negù imponenti palazzi romaoi e nei loro oscuri u{-fici che le notizie circolavano.

Era stato creato per la tutela e assistenza dei colla-boratori un ufficio a Roma dal nome altisonante quantoinutile di Servizio Centrale di Protezione- Era un ufficiocon personale interforz€, cioè personale dei corpi rli po-lizia, carabinieri e frnanza. Presto quest'indirizzo diven-ne meta di collaboratori e loro familiari petulanli, chechiedevano soldi in continuazione. Certo qualcuno sten.tava a yivere con quella miseria mensile, ma la maggiorparte aveva fatto della collaborazione ul business pervivere alìe spalle dello Stato. I più ciarlieú venivaro ac-contentati con elargizioni extta; altri, quelli che si cre-devano i più furbi, si facevano pagaÌe ogrli volta che do-vevano testimoniare, altrimehti minacciavano la ritrat-tazione; altri ancora venivano usati per inquinare alcu-ni processi e per questo lo Stato pagava, anche cifre su-periori ai cento milioni di lire per volta; gli "onesti" cheavevano collaborato con coscienza rimanevano con il so-lito milione mensile.

Devo dire che gli arrni dal 1992 fino al 1998, firrono

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carattedzzati da centinaia di collaborazioni inutili e fa-ziose. C'era la corsa alla collaborazione, così si vivevacon lo stipendio dello Stato. Piccoli delinquenti che nonerano niente e nessuno, si spacciavano "bosa", per pten-dete il contributo mensile. C'era anche qualche magi-strato in cerca di collaboratori condannati per reati checon la vera criminalità organizzata non avevano nulla ache fare, soìo per riempire il curriculum professionale.C'è stata una forzatuta e Ùna stortura della collabora-zione che ha stravolto quello che era l'intento delìa leg-ge. Sicuramente si sono raggiunti tanti successi investi-gativi grazie a deteminate ilichiarazioni. Di tutti queicollaboratori solo il venti-venticinque per cenro era real-mente serio nelle deposizioni, ma tutto il resto è stataspazzatura, a volte è stata raccontata una realtà chenon esisteva, facendosi beffa della storia. Come Dotevomischianni a quel mondo di ladrj, io che non ho mai ru-bato?

Arrivamno gìi scandali; interpellanze parlamentari,titoli sui giornali 'Pentití pagatí a peso d'oro", "Perché loStato paga í peùtiti?" "Mille e cinquecena m inni alpentito Alfa" .

Un sottosegtetatio all'Ìnteroo con delega sui pentiti,rihutava ali ascoltare i rnagistrati in prima linea, quan-do volevano parlare di pentiti. Quando uno di questi èstato ucciso ebbe a alire con fare distaccato: .Mandere-mo un teleglamma di condoglianze alla famiglia". T[t-te queste cose le ho sentite da indiscrezioni d.i alcunimagistrati, da alcuni uomini deí "seryízi" e anche per-ché nel 1996, per un motivo banale (l'aver insultato ungiovane vice commissario di polìzia) mi portarono incarcere per trenta giomi. Brescia, reparto collaboratori.Ho incontrato decine di collaboratori tutti "mafiosf',tutti "grandi trafficanti", tutti "boss" di primo livello.

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ma dei quali io non avevo mai sentito neanche il nome.TÌascortevano le giornate riuaendosi per inventarenuovi reati e nuove accuse per qúesto o quello; scriveva-no leit€re interminabili e incomprensibili ai magistratie al servizio centrale di proteziore. Restai esterefattoda quella feccia che girava nel cùcuito couaboratori. Eb-bi vergogna di rne. Cercai di trascorrere quei giorni tral'infermeria e la mia cella: a tutti coloro che venivanoper presentar€i inventavo la scusa che stavo male, cosìevitavo di parlare. C'era qualcuno più insistente, aÌloragli dicevo tli andar via in modo brusm. Dovevo difende-re la mia privacy. tascorsi i trenta giomi ritornai a ca-sa.

Dalla mia abitazione "segleta" in lYentino passaronotanti uomini delle istitìrzioni.

Un generale dei carabilieri che voleva iìcastrare unsuo omologo, perché indegîo di portare Ìa divisa. Unprimo dirigente di polizia che voleva sapere se dov€voancora fare dichiarazioni, ammonendomi che non miconveniva andare oltre, di restale nell'ambito del traffi-co di stupefacenti e non fare nomi scomodi (per me) diservitori dello Stato, perché ci avrei rimesso parecchio.

Qualche politico accompagnato dal proprio awocato checon moÌto garbo mi spiegava perché dovevo smetterla.

A questo punto mi rivolgo con tutta umiltà aÌ conei-gliere Macrì che piìt volte mi ha chiesto di chiarirc ilperché nei verbali fatti con lui non ho mai parlato di d-fiuti nocivi, ecco la risposta. Aggiungo che fintervista alsettimanale l?opresso nel 2005 I'ho fatta, perché ormaile mie glavi condizioni di salute úon mi lasciavano taD-to tempo di vita, tanto valeva rompere il vaso di Pando-ra, Non aono morto nel frattempo, ma ci manca poco.

Nel 1996, ebbi un primo infarto. Conseguenza dellostress e della rabbia contro me stesso. Volevo ricoverar-

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mi a Milano in una clinica che conoscevo, ma le istitu-zioni posero il veto dicendo che a Milano ero troppo co-nosciuto, Quindi dovetti dcoverarmi in un ospedale delTYentino dove feci una coronorogtafia. Fui infettato insala operatoria da uno stafilococco aureo. Priha di arri-vale a queata diagnosr passarono dei mesi in cui ri-schiai di morite. Tle mesi fi ricovero e dieci mesi di an-tibiotici per via venosa, un calvario che mi ha portatoun grave handicap frsico; ma lo Stato dov'era? Le pro-messe e l'aiuto, specialmente sanitario, che mi era sta-to garantito che frne avevano fatto? Solo parole ed ipo-cnsle.

Incohinciarono i processi. La mia teetímonianza por-tò le condanne di tutti quelli che erano stati chiamati inconeilà e portò condanne anche a me. Le miti pene chemi erano Etate garantite si quartificarono in circa tren-t anIi, ma non sarei andato in carcere. Lhwocato chemi era stato aBsegnato, perìsava solo ai propú intcressieconomici, infatti allora il servizio centrale, pagava lau-tamente i legali dei pentiti, che facevano aolo atto ilipresenza nelle varie udienze. Io mi sono frdato incauta-mente sia delle prornesse fattemi, sia dell'a!.vocato.

Ttrtta la classe politica tuonava contro questi pentitie i media uscivano con scoop sulle testate pirl importan-ti. Si rendeva necessaria ula riforma della legge, vara-ta nel '92 sull'onda dell'emergenza, dopo I'uccisione deimagistrati Falcone e Borsellino. Era giusto hettere or-dine.

Ma chi corne he sperava in questo ordine, rimase de-luso. La politica va$ solo una legge opportunistica.

Neì frattempo molti di questi pentiti a convenienza,ricominciarono la loro attività delinquenziale con l'ideache tanto se li avessero arestati avrebbero collaboratonuovamente. Venllero catalogati i pentiti di serie A e

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pentiti di serie B. Vennero qeati circuiti carcerati perpentiti assistiti e pentiti non assistiti. Si perché alla fi-ne il famigerato uprog"amma di protezione" si riducevasolo nel beneficiare oppure del contributo mensile. Que-sta era la sola protezione che dava lo Stato: l'iscrizionenell'elenco dei poveri con susseguente assegno sociale.Ero disgustato, ma d'altronde anche questa è una "que-stione all'italiana".

Le giorDate, le seitimane, i mesi erano interminabilisenza ul inr,eresse lavorativo. Mi annoiavo e cominciaiad avere molte awenture con ragazze del luogo; eranoamori passeggeri che mi lasciavano molta delusione,ma era un modo per distraruri.

Pensai di trasferirmi dal Tlentino per poter rilevareun ristorante ed avere una mia attività da gestire, an-che perché la mia ex moglie pressava affinché i noBtri fi-gli venissero a vivere con me.

Mi misi in contatto con iì consigliere per chiedere co-me aEei dovuto fare per avere il hasferimento e acqui-sire rm'attività commetciale, ilato che mi era stato det-to che avrei potuto avere un contributo per tale acqui-sto.

Mi rispose ch€ dovevo presentare una richiesta conun preventivo e dopo avrei usufruito del contributo.

Passarono altri mesi e il consigliere disso che i tem-pi erano cambiati e non avaei al.uto nessun aiuto econo-úico, ma potevo uscire dal programma di protezione ot-tenendo una tantum per una eventuale sistemazione.

Accettai, ma chieei almeno il cambio d'identità perme e i miei figli. La úsposta fu che se i ragazzi avesse-ro cambiato idenùtà non avrebbero più potuto incontra-re la loro madre.

Li mandai al diavolo e non ottenni nearche per me inuovi documenti.

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Mi aepettavo uìa cifia concreta che potesse esseresufflciente a fare qualcosa, invece mi diedero la strato-sfèrica Eomma di venti milioni di lire, nessuno grddò al_lo scandalo.

Misi assieme i soldi che mi erano rihasti e mi trasfe-di nelle Marche.

Vennero anche i miei figli. Rilevai una pizzeria a Ri_mini e un ristorante a Riccione, dando fonào a tutto ciò

Quirrdi mi ero staccato anche da questo scrvizio cen_trale. Sono cosciente ed i fatti l,hanno dimoslrato che hodato un contributo notevole alla lotta alla criminalità emi aspettavo un po' di riconoscenza e almeno quellaparvenza di protezione che lo Stato ha il dovere dj dare.Ma il risultato è stato che da me hanno preso a larghemani e non ho a\,.uto nulla, anzi sono gtato anche avrier_sato da qualche frangia della magistratura e dallo stes_so seryizio di pmtezione.

Non avevo mai fatto il padre con i miei figli e mi tro_vai in enorhe difficoltà. Decisi di comporúarmi da ami-co senza proibire o permettere niente; cercatralo di paÌ_lare e di consigliarìi. Non ebbi molto successo. Loro ;ve_\,ano le loro vedute e io Don potevo cahbiare niente.

Affidai ai ragazzi la pizzeria di Rimini ed io mi dedi_cai al ristorante di Riccione. euesto riÉ[oranle aveva ullpotenziale.di lavoro straordinario. sia per Ia posizione.sÌ trovava,ln \,1.ale Ceccarini, sia per la struttura. avevaa orspogtzlone I unjca l,enazza del giale.

.l,a clieltela era rnedio alta, molti nomi dello spetta_colo e dirigenti d azienda che venivano da Bologoà, Mi_lano, Pesaro, Roma ecc. Io ero ùD atténto padroue di ca_sa, lacevo amicizia coD tutti, ricevevo coniidenze e mal-dicenze- A-trnotavo le conosceDze importanti e mi propo_nevo atla loro attenzrone

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Spesso veniva a trovarmi uno staff di dirigenti di po-lizia da Milano p€r trascorrere una giornata con me egustare la buona cucina a base di pesce che il mio chefpreparava magîiflcamente, e si faceva festa.

Entrai in confìdenza con il direltore generale di unabanca di Salr Marino; tramite lui conobbi tutti i ministridel governo di questo piccolo Steto e divenrìero mieiclienti ed amici.

Diventai molto arnico di un altro persoraggio, anchequesto direttore generale di una banca, ItJBS Svizzera.

Entrai nelle g?azie di una principessa russa, discen-dente dei Romanov. Vivevo una vita brilÌante e lavora-vo moìto.

Seguivo con attenzione le esigenze del ristorante eapportavo delle ínnovazioni giuste ed apprezzate dallaclientela.

Organizzavo varie sfilate di moda e mncorsi di bel-lezza, coadiuvato da due stilisti del luogo. Le awenturesi sprecavano, úa avevo artche uùa ragazza fissa dallaquale ero molto attratto.

Nel dstorante c'eraùo diversi dipendenti: lo chef, uncuoco, un griglista, un aiuto cuoco e un lavapiatti. Nel-la sala c era una direttrice. una barista e sei camerieri.Inoltre, io mi occupavo delÌa cassa e dei rifornimentigiornalieri necessari, a volte 1a mia ragazza mi davauna mano. La capienza, compresa la terrazza età di cit-ca trecento posti, proprio un bellissimo ristorante. Al ce-none per il nuovo millennio avevo in cantina mille bot-tiglie di champagae tra Crystal, Don Perignon e Krug etrecentottanta prenotazioni a seicentomila lire a testa.

Le ragazze immagine delle più famose discoteche diRiccione, Byblos, Peter Pan, Pascià, Pdnce, Cocofcò, eVilla delle Rose, venivauo a cerìa nel mio ristorante"Terrazza Ceccarini".

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Con le conoscenze dei direttori generali ho visto sacchidí soldi transitare da Sarr Marino verso gli altri paradi-si fiscali senza lasciar:e nessuaa traccia. Mi sembrava dirivedermi quando trafficavo in stupefacenti, ma que8taera "solo" un'evasione fiscale. 1lansitava uì fiul1le didanaro da quelle banche. Una g€ra, mentre ero a cenauella villa di quel ilircttorc di banca di San Marino, ar-rivò un furgone. Lui si allontanò per un po', al ritorno lovidi moìto soddisfatto,

Seguendo le mie regole non domandai niente, ma fului a portarmi in rma stanza blindata facendoni vedereche quel firrgone aveva portato taotissimi soldi da man-dare all'estero per farli sparire.

Chiesi se poteva farmi recuperare i soldi che avevoall'estero, se ciò si foSse potuto rcalizzare avrei acqui-Btato un albergo a quattro stelle a Eiccione e gli awei ri-Selvato una quota.

Infatti, a circa cento metri dal mio ristorante c'eraquesto fantastico albergo ili creazione socialista, lTlotelde la Vìlle, che in quel perioilo si era indebitato con al-cune banche ed era stato mesBo in vendita al costo dicirca trenta miliardi di lire.

Mi rispose che Ìa mia proposta era molto interessan-te e che si sarebbe adoperato per capire come recupera"re questi soldi. Mi disse, inoltre, che conoscendo i diret-tori delle banche creditrici nei confronti dell'albetgo, nel

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fiattempo Ie awebbe contattate per sondare le possibi-lità di trattare sul prezzo.

Il risultato <li quest'ultimo sondaggio chiarì che conmeno di quindici miliardi di lire ei poteva avere la pro-príetà dell'albergo: ìrn ottimo affare. Riguardo i mieisoldi, iavece, la situazioùe era ingarbugliata e si dovevaagire con diplomazia, con calna. Il mio ahico ilirettoregenerale della banca a San Marino parlò di queste cosecon l'altro suo omologo della UBS, e mi dissero che era-no disposti a farmi il prestito di quella cifra in cambiodel ventí per cento della proprieta.

Accettai. Quindi incaricammo un commercialista dipreparare i documenti per il prestíto e per la îormazi.o-ne della società che avrebbe rilevato I'albergo. Questasocietà sarebbe stata creata a Londra per godere di al-cune agevoÌazioDi fi scali.

Il commercialista e rln awocato si recarono a I-ondraper cercare un ùfficio ali rappresentanza, forrnare la m-cietà e avere i iferimerìti barrcari che erano già staticontattati. Insomma, si mise in moto tutto il mecca]ni-smo per grungere alÌa conclusione del progetto. Ero vici-no alla eoglia dei cinquant'anni e queBta era l'ullima oc-casione per creare qualcosa di duratuo e pulito per imiei figli. Con le conoscenze che mi ero fatto chiesi ed ot-tenni dei fr<Ii bancari con la garanzia della ristorazione,in modo da poter affrontare, anche con queÌÌo che avevo,le forti spese inizia.li che comportava tutta Ia preparazio-ne cartacea e logistica. Ci furono varie riulioni con lebanche cr€ditrici, con gli istituti previdenziali, con il sin-daco e con la proprietà dell'albergo, A.ltre riunioni tra mee i due direttori generali. Alla fine di queste tappe tuttoera pronto per fissare l'appuitamento con il notaio.

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I utl,o era pronto per il decollo. Ma la sera del ventunosettembre vennero da me otto carabinieri in botgheseper dirmi che dovevano portarmi in carcere poiché,avendo lasciato il programma di protezione non potevopiù godere delle agevolazioni previste dallo stesso pro-gramma. Pensavo fogge uno scherzo organizzato daimiei amici della criminalpol di MilaÌo, invece era larealtà del momento. Caddi a terra svenuto colpito da uninfarto. Mi svegliai dopo tre giotni, mi dissero che mitrovavo nel reparto ospedaliero detenuti di Ascoli Pice-no, htubato e in t€rapia intensiva. Non iuscivo a diree pensare niente tanto era la disperazione che avevodentro. Dopo um settimaÌra venneto a trovarmi i mieifigli e la mia ragazza, Mi dissero che sul giornale erastata dportata Ia notizia del mio arresto e tutti aveva-no saputo del mio passato ed erano rimasti sbalorditiper questo, così avevano deciso di ptendere le dovute di-stanze dalla mia persona.

I ristoranti erano chiusi perché loro, i miei figli, ave-vano pauta e avevano pensato di tornare dalla madre,sia per evitare brutti incontri sia per evitare di dov€rdare spiegazioni a tutti i miei nuovi amici, specialmeo-te quelli che erano quasi i miei soci. Gli dissi di prende-re le loro alecisioni in liberlà assolute.

I medici volevano operanni, ma io rrfiutai e anzi dig-si di farmi portare in carcere.

L'istituto di Ascoli Piceto era noto Der esaere un car-

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cere di massima sicurezza, alquanto duro. Mi portaronoin isolamento togliendomi anche le scarpe, perché il mo-dello che calzavo non era consentito.

lYascorsero ancora tre giorni e vennero a trovarmi ilconsigliere, il mio avvocato e il dirigente delÌa criminal-pol di Reggio Calabria. Erano tutti meravigliati diquanto mi era Successo. npanche loro avevaro una spie-gazione se non quella che forse dalfalto avevano volutocosì. Avevo addosso un'ira tale che, malgrado fossi anco-ra convalescente per l'infarto, mi misi ad uLlare tutta ladisperazione che provavo prendendomela con tutti ipre6entí e anche gli assenti.

II consigliere ascoÌtò il mio sfogo e disse all'avvocatodi vedere il da farsi per farmi uscùe e di tenerlo infor-mato. Intanto mi avrebbe fatto hasferhe nel carcete diMilano.

I giorni a venite non li contai nemrneno; ero cadutoin una abulia profonda che non mi faceva oeanche capi-re cosa mi accadeva intorDo.

Nel carcere tli Opera (Milalo) mi allocarono in ulasezioEe con poco spazio ed una puzza spaventosa, dovec'erano altre quattro persone, anche queste collaborato_ri. Dentro di me soprannominai quel posto "gallinaio".

Gli agenti che prestavano servizio in quella sezioneeÌano tutti contro i collaboraìori e ci insultavano spes-so. Un giorno, quando uno rli questi si rivolse a me condisprezzo, afferrai uno sgabello e lo colpii in faccia vio-Ientemente. Fui denuÌciato per quella reazione ma al-mono l'atteggiahento dei 'custodl' cambiò.

Venne a trovalmi anche il dottor Nicola Gratteri, manon per solidarietà, bensì per chiedermi di testimonia-re in un processo che lui stava conducendo come pubbli-co mínistero.

Sinceramente lo mandai al diavolo.

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Le mie condizioni di salut€ peggioravano, i mediciche mi visitavano erano tutti concordi sul fatto che do-vevo operarmi altdmenti sarei morto da un giorno al-Laltro.

Rifiutai perché non mi fidavo a farmi operare da de-tenuto. Quando uÌa persona detenuta necessita di uninteÌwento chirugico, viene ricoverato presso l'ospedalepiìì vicino e sistemato in un reparto adibito apposta perospitare i det€nuti e in sala operatoria deve entrare con"l'angeÌo cuslode", un agente che deve contxollare tutto,per la sicurezza dei chirurghi e degli infermíeri; nessunfamiliare è ammesso.

Dopo llntervento, trasporto in reparto con ufagsi-stenza più che precaria, e quando passa il medico devo-no essere presenti gli agenti e non esiste nessun tipo diprivacy personale; anche quando l'infermiera deve cam-biarc le fasciaturc devono essere pres€nti loro. Se percaso stsi male, plima che anrivi qualche dottore o un'in-fermiera, si fa in tempo a morire prima di poter úceve-rc assistenza; sì, perché pr:ima viene l'agent€ a chiede-re: "Cosa si sente?", poi se dliene necessario chiama isoccorsi, ma devono arrivare da aÌtri reparti, se sono di-sponibili.

Altra pÍecisazione: il detenuto collaboratore che godedel programma di protezione, dipende dal magietrato disorveglianza di Roma, che conosce le varie problemati-che del soggetto ed è sensibile verso queste, sempre nel-Iapplicazione della legge; quando invece Bi è collabora-tore non sottoposto a quel programma di protezione, sidipende dal magistrato di sorveglianza della corte d'ap-pello delÌa provincia dov'è situato il carcere.

In questi casi si dà poca importanza alla collabora-zione e applicano la legge senza dare priorità allo statusdi coìlaboralore.

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La sorveglialza di Milano in quel periodo non conce-deva niente, quindi cercai di farmi trasferire altrove.

Proprio mentre facevo questi pensieÌi venne a tro-varmi un sostituto procuratore della direzione distret-luale di Torino, il dottor Tampone. Mi chiese di testimo-niare in un suo procedimento e la richiesta mi vennefatta con modi garbati, senza arroganza, Risposi che l'a-r,'rei fatto purché rni facesse trasferire nel carcere di Tb-rino. Era dispiaciuto sia per le mie condizioDi di salute,sia per la mia situazione e promise che a!'rebbe studia-to attenlamente il mio caso.

NeÌ giro di una settimana fui a Torino.La sezione collaboratori era vivibile e gli àgenti moÌ-

to propositivi. Il comandante della sezione era I'ispetto-re Piras, un uomo con molta umanità che si prendevacadco, forse troppo, dei probìemi di ognuno dei venti de-tenuti collaboratori presenti: io ero iì veniunesimo.Grande uomo I'ispettore Piras, ma purtroppo aveva ache fare con persone grette, egoiste, false, opportuniste

_e spioni. Lui si prodigava per dare una mano a tutti, maquesta mano tesa a dare un qualcosa di costnrttivo,quasi sempre veniva divorata con ingordigia senza unminimo di riconoscenza anzi, al contrario, cercavano dimetterlo nei guai. Personalmente con lui ho a'!'uto unrapporto ili stima e rispetto reciproco anche se a volte lania ir-menza era ecceÈsiva, ma lui aveva una gtandeforza di sopportazione. Quando guardavo quei collabo-ratori, mi vergognavo di appartenere alla loro catego-ria: una massa infor-rne senza un briciolo di dignità. Cheio avessi il loro rispetto era una cosa secondaria, tantosapevo che se si fosse presentata l'occasioDe di farmi delmale I'avrebbero fatto senza alcun ritegro.

La mia salute peggiorava, anche perché il carcerenon è il luogo rnigÌiore per un cardiopalico come me.

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Ebbi un altro infàrto: il cumulo di stress e I'ira pro-fonda che era repressa dentro di me avevano quasi di-strutto le mie coronarie.

Questa volta i medici ilissero che mi era andata beneper miracolo, ma che i miracoli sono tali perché non sirrpetono.

Rifrutavo sempre di subie f inteNento chirurgico dadetenuto,

Devo ringraziare la ahrezione del carcere, l'ispeìtorePiras e aache i miei awocati Guglielmo Busatto del Fo-ro di Tbrino e Maria Claudia Conidi del Foro di Catan-zaro, che in concerto tra loro e con le relative relazionisanitarie, fecero capire al magistrato di sorveglianzache ero incompatibile con il regime detenlivo ii1 carcere.

Era trascorso un altro anno e ritor-nai libero. Doveltiprendere casa a Torino, perché lutto ciò che avevo a Ric-cione era andalo perso, grazie alle istituzioni. Oltretut-to non potevo ritomare lì, essendo stato sputtaìato nel-la mia veste di collaboratore.

Grattai il fondo del badle per prendere caaa e poterandare avanli. Con i miei figli non c'era un gran rappor-to ed è inutile tentare di fare lo psicologo per capir-ne imotivi: era così.

Vivevo dignitosamente perché riuscivo a fare delleconsu.lenze e quindi ad avere un certo reddito. Conti-nuavo ad avere un forte ralrcore verso le istituzioni chesi erano prese gioco di me, che avevano scello di colpir-mi proprio quando si stava realizzando la svolta defini-tiva dell'ultima parte di vita che mi rimaneva. Avevo de-ciso di non curarmi e di lasciarmi morire. Mi trasferii inuì paese delltrinterland torinese, perché mal sopporta-vo ìa città ed inoltre a Tbrino CeÌano tanti caÌabresi checonoscevo e non sarebbe stato oppottuno incontradi.Avevo iniziato una relazione con la figlia di rm notaio,

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ancliessa notaio, che lavorava neìlo stualio paterno.Mi trovavo bene con lei anche se non c,era l,amore,

ma mi consentiva di fare delle lunghe dissertazioni cul-turali e politiche con una persona coka.

Cercai di mettermi in contatto con le conoacenze aliRiccione, ma mi dissero chiaramente che ùon volevanoavere rapporti con me, dopo aver saputo che ero ul col-laboratore; i due direttori generali non Íìùono schivi,anzi Bi dimostratono molto comprenBivi, ma alla rnia ri-chiesta di poter avere indietro paúe dei soldi che eranostati depositati per la società che dovevamo fare mi ri-sposero che quei soldi erano stati tutti spesi per siste-mare la hancata acquisizione.

Quando gli chiesi se i soldi che erano all'estero si Do-tevano prendere. lni dissero che non potevano farcinrente.

La mia situazione clinica si era ulteriormente com-plicata; mi era stato dscontrato anche un tumore. per iforti dolori che mi prendevano dovetti sottoporuri a di-versi interventi chirurgici che, anche se non hanno po-tuto eliminare del tutto il tumore, almeno sono riuscitiad alleviare i forti dolori.

Ricevetti Ia visita di '?ino". MÍ disse che c,erano tut-tora dei politici che mi auguravano ili morire; che nonsarebbero Btati tÌanquilli fino a quando fossi rimasto invita. Continuò dicendomi che avevo fatto male a fare ilnome di alcuni magistrati, avrei dovuto iDmasinareche il tutlo si sarebbe vollato contro di me poichè;nche6e su qualflrl1o l"ossero pesati forti indizi, questo sareb-be stato comunque copetto ed io, invece, ne avfei subitole conseguenze, coúe in effetti è stato. Mi consiEliò difaÌe un'inlervista per portare allo gcopert4 il traffico deirifiuti, non perché mi sarebbe servito per uso personali-stico, piuttosto per diradare un po'la nebbia che tutti gli

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Stati, Italia compresa, volevano restasse fittaCosì è mafiùata l'intervista con il settimanale ,?-

spresso. In ogni motlo cercai di fare le mse con correttez-za, spedendo al consigliere il "memoriale" prima che ilsettimanale 1o pubblicasse. Si è detto il contrario, ma ioho la ricevuta con la data esatta della spedizione.

Questa intervista sulla questione dei rifiuti e sullenavi afrondate scatenò ur'attenzione mediatica che nonmi aspettavo; internet mise nel web centinaia di paginecon stode sulla mia vita, anche falsandole. La commis-sione d'inchiesta parlamentare sulla morte di llaria Al-pi mi convocò per uÌ'audizio4o solo perché avevoespresso un mio pensierc su quella vicenda.

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Le Navi dei Veleni

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Ll primo capo deìla 'ndrangheta a capire I'iù,poÉanzadel business dei rifiuti tossici e radioattivi è Ètato Giu-seppe Nirta. Nel 1982 era il responsabile del territoriodi, SanL].JcE e mammdsolrúissima, os8ia il vertice supre-mo dell'organizzazioae. Per questo aveva contatti a Ro-ma con porsonaggi dei servizi segeti, della Íìassoneriae della politica. Allora non avevo rapporti diretli con imassimi vertici della famiglia di San Luca a cui ero af-filiato e gestivo solo estorsioni. Nida però era un lonta-no cugino di mia madre e per quesl,o a',revo u-oa coraiapreferenziale con lui, il quale pirì volt€ mi assicurò cheil businese dei rifiuti pericolosi ci al'r'ebbe portato tantisoldi nelle casse,

In particolarc Nilta mi spiegò che gli era stato propo-sto dal ministro della difesa l,elio Lagorio, col quale aveva rapporii tramite l'ex sottosegretario ai lbaspoÉi Nel-Io Vincelli e l'onorevole \tto Napoli, di stoccare bidoni dirifiuti tossici e occultarli in zone della Calabria da indi-viduare. IJipotesi ventilata a Roma era quella di sotter-rarli in alcuni punti dell'Aspromonte e nelle fosse natu-rali marine che c'erano davanti alle coste ioniche dellaCalabria. Nirta però mi disse che non voleva prendersida solo questa responsabilità e avÌebbe quinali convoca-to i principali capi della 'ndrangheta nella prcvincia diReggio Calabria per decidere cosa fare. Mi informò an-che che sia la camona napoletana che la mafia sicilianaerano già stat€ interpeìlate sullo smaltimento dei rifiutie che avevano dato iì loro benestare. La cosa comu.nquenon si sviluppò subito. Cí furono ura Berie di riunioninei mesi successivi che si svolsero all'aperto presso ilsantuario di Polsi, sui monti alle spalle di Son Luca.

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Agli incontri parieciparono le famigÌie di Melito Por-to Salvo nella persona di Natale lamonte, di AÍìico nel-la persona di Giuseppe Morabito "'u tiraddttu", di Pla-tì nella persona di Giuseppino Barbaro, di Sinopoli nel-la persona di Domenico Alvaro, di Gioiosa Marina nellapersona di SalvatoreAquino e naturalmente di SaÌ Lu-ca nella persona di Giuseppe Nirta. Fu lo stesso Nirta,assiemo a Sebastiano Romeo, a dferirni i particolad,perché avevano decieo che avrei dovuto occuparmi del-I'aspetto organizzativo della famiglia di San Luca, edunque dovevo conoscerne la struttura e gli affari piìrimportanti.

Da queste riunioni non uscì però un fionte comure.C'erano divergenze di opinione, perché non si voleva chesostanze pericolose fossero sepolte inAspromonte, terri-torio amato dai capi e allo stesso tempo area dove abi-tualment€ venivano nascosti i sequestrati. AlIa fine fudeciso di entrare nel granile affare dei rifiuti pericolosi,con l'accordo che ogni famiglia avrebbe gestito le attivi-tà nel rispetto reciproco, ma ognuÍa per i fatti propri. Sicercò così di trovare 6iti che fossem fuori dalla Calabria,oppure all'estero, e alla fine la scelta cadile per quantoriguarda ì'Italia sulla Basilicata, perché terra di nessu-no dal punto di vista della malavita. Quaìto alLestero,si prcsero contatti con la mafra turca, referente della'ndrangheta per l'acquisto dell'eroina, e la persona a cuifacemmo riferimento era Mehmet Serdar Alpan, il qua-le è slato anche finanziatore dei Lupi Grigi. Da questomomento i miei capi iniziarono a tenermi costantemen-te inforhato sull'evolversi della situazione, e il mio pri-mo impegno nel campo dei rifiuti pericolosi è stato allafine del 1986, anche se l'operazione ebbe un prologo nel-la primavera del 1983.

Fu allora che venni inviato a Roma da Sebastiano

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Roneo, il quale nei mesi precedenti era Bucceduto aNirta come capo della famiglia di San Luca. Voleva cheincontrassi l'awocato Giorgio De Stefano, cugíno delbos. Paolo Dp Stefano della famiglìa reggina e uomo conpotenti agganci politici. Romeo mi di6se che dovevo far"mi indicare da lui in quali nazioni estere ci foseero en-trature per smalt e i rifluti tossici e radioattivi. De Ste-fano mi ihsse che il posto ideale era la Somalia, preci-sando che per questo sarebbe stato utile prendere con-tatti con i vertici del partito socialista. Dopodiché, sem-pre tramite Ì'awocato De Stefano, ebbi un appunta-mento a Roma con Pietro Bearzi, allora s€gletario gene-rale della camera di commercio per la Somalia. Ci ve-demmo in un albergo dietro via Cristoforo Colombo, do-ve gli dissi esplicitamente che avevamo individuato laSomalia per smaltirc i rifiuti tosBici e radioattivi, equintli gli chiesi se fosse in grado di aiutarci. Un distur-bo, gli dissi genericamente, che gli sarebbe stato retri-buito con genemsità. Lui mi dieile la sua disponibilita,chiedendomi a che livello ci muovessimo, e io rispo6i va-go che avevamo i necessari referenti politici.

Ci lasciammo ilicendoci che ci saremmo rivisti con unpiano dettagìiato. Quindi riferii tutti i paúicolari a Se-bastiano Romeo, il quale mi disse soltanto: "Va tutto be-ne, ma non facciamo le cose di ftetta", aggiungendo, co-me amava fare lui, un ptoverbio: "La gatta che ha frettapartorisce figli ciechi". In effetti di quelle questioni nonci occupammo fmo alfottobre del 1986, quando vivevo aReggio Emilia per gestire il haffrco dí droga della fami-glia di San Luca in Emilia Romagna e Lombardia lnquesto contesto facevo affal{ con la famiglia Musitano diPlatì, il cui capo era Dornenico, detto "'u fasciEta" per ilsuo piglio da dittatore, il quale era libero in attesa diprocesso ma che per un'orilinanza non poteva risiedere

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in Calabria, ragione per cui si era trasferito a Nova Siri,in provincia di Matera. Mi chiese un incontro.

Mi disse che c'erano da far sparire 600 bidoni conte-nenti rifiuti tossici e radioattivi, chiedendo se io e lamia famiglia potessimo interessarci per le varie fasi ditrasporto e collocazione. Prima di tutto gli domandaiquanto ci ar,'remmo guadagnato, e chi gli aveva prospet-tato questo lavoro. Mi spiegò che era stato awicinatodal dottor Tommaso Candelieri dell'Enea di Rotondella,il quale stoccava in quel periodo rifruti provenienti daItalia, Svizzera, Francia, G€rmania e Stati Uniti, e chein quel preciso momento aveva l'esigenza di far sparirequesti fusti che erano stati depositati in due capannonidell'Enea stessa. Quanto ai soldi, a\rei intascato 660milioni per tutte le fasi dell'operazione. Per questo in-contrai a Milano, ín piazzale Loretn, Giuseppe Romeo,Íìatello di Sebastiano, il quale scese poi in Calabria perdferhe. Dopo una settimana, ritornò a Milano e mi die-de il via libera.

Come appoggio Musitano mi diede la disponibilità- del geoero, Giuseppe Arcadi, il quale mi aiutò a trovare

i camion e gli autisti per il trasporto dei rifìuti. Calco-lammo che per 600 fusti ci sarebbero voluti circa 40mezzi, i quali dovevano prelevare i bidoni dai capanno-ni a Rotondella, trasportarli neì porto di Livorno e cari-carli su una nave che sarebbe partita per la Sornalia.Sembrava tutto pronto ma Musitano fu ucciso daÌla'ndrangheta davanti al tribullale di Reggio Calabria,dove era stato convocato per un'udienza. Questo fermòmomentaneamente il nostro lavoro, che però riplese agennaio del 1987, perché lo stesso Musitano poco primadi morire mi aveva presentato Candelieri, col quale ave-vo stretto i primi accordi nel corso di un incontro a casadel Musitano stesso.

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A gennaio del 1987 elo pronto per il trasporto dei ri-

fruti dell'Enea.La nave che uaammo per l'operazione si chiamava

L)-nx, di proprietà della società Fyord Tanker Shippingdi Malta e il broker era ta Fin-Chafi, la quale aveva se-

tle a Roma ed era legata alla società svizzera Achair &

Partners. Entrambe facevano capo alla società Zuana

Achire, che aveva sede a Singapore e il cui amministra-tore era il cittadino indonesiano Gurda Ceso. La nave

Ll'nx era stata noleggiata daÌla società, con sede a Ope-

ra, Jelly Wai, di Renato Pent, aÌ quale avevo chiesto

una copertura dopo che mi era Ètato segnalalo dal se-gretado generale della camera di commercio italo-so-

maÌa Pietro Bearzi. Il fatto è che, secondo i miei calcoli,

nella siiva ci sarebbero stati solo 500 bidoni, e dunque

si poneva il problema di dove smaltire gli altri 100 Fu

così che decisi di procedere con un doppio piano: 500 fir-

sti sarebbero partiti per la Somalia, mentre i rimanen-

ti 100 sarebbero stati sotterrati in Basilicata. Per I'esat-

lgzza, diedl otdine che fosselo trasportati e seppellitinel comune di Pisticci, in localilà Coste della Cretagna

lungo largine del frume Vella.Fartecipai direttamente alloperazione, che si svolse

tra i giorni 10 e 11 gennaio 1987 Partimmo con i 40 ca-

mion caricati a Rotondella verso le due di notte e un'o-

ra ilopo allivamlno con sette o otto di essi al fiume Vel-

la, dove era stata predisposta la buca che fu dempita

con i bidoni e poi ricoperta. A preparare la fossa elano

stati i macchinari messi a disposizione da Agostino Fer-

raÌa, uomo ah Musitano che abitava a Nova Siri, il qua-

le procuù anche i fari per illuminare l'area Nelle stes-

seìre, gli altri camion proseguivano per il porto di Li-

vorno, dove Ii aspettava la Lynx e dove, fiìito il lavolo

in Basilicata, sopraggiunsi anchîo a bordo della mia

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Lancia Thema con Giuseppe Arcadi. Le fatture con de-scrizioni false per imbarcare le scorie tossiche e radioat-tive erano state preparate da un commercialista di Mi-lano, che mi era stato preÈentato da tale Vito RobertoPalazzolo di Tbrrasini (oggi latitante), ed erano intesta-te alla lnternational consulting office di Gibuti. La na-ve infatti partì da Livorno diretta a Gibuti, ma invece diattraccare raggiunse Mogadiscio. A quel punto, entrò inazione lappoggio che avevo chiesto al segretario gene-rale della camera di commercio italo-somala, il qualeaveva organizzato camion e manodopera per lo scaricodalla nave e il carico su camion. I rifiuti sono stati por-tati alla foce morta del frume Uebi Scebeli, dove sonostati seppelliti alla bene e meglio con gli escavatori re-peribili sul posto, in accordo con il capo tribù della zonaMusasadi Yalaitow.

Thtto il lavoro costò 260 milioni, che furono aggiuntial compenso di 660 milioni di lire. La púma settimanadi febbraio incassai la somma, previo appuntamento, aLugaro e in contanti.

I rapporti tra i sewizi segreti e la mia famiglia di'odrangheta sono continuati, come d'altronde Eono sem-pre stati costanti quelli con la politica. Cito per esempiol'incontro che ebbí nel dicembre 1992 al ristorante VillaLuppis a Pasiano di Pordenone con l'on. De Michelis,che come ho spiegato alla direzione distrettuale antima-fia di Reggio Calabria già conoscevo trene. Io partii inauto ala Milano con Consolato Ferraro, rappresentantedella 'ndnngheta reggina per la Lombardia, e quaadoarrivammo ci sedemmo a tavola coD De Michelis e conun imprenditore del luogo che avevo già conoBciuto inprecedenza, molto amico del ministro. De Michelis face-va lo spiritoso, diceva che senza i politici noi della na-lavita non saremmo esistiti, e che se la politica avesse

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volulo spazzarci via lo avrebbe faito senza pmblemi- Di-ceva così perché quell'amo c'erano stati gli omicidi diFalcone e Borsellino, ed era stata modifrcata la cosid-detta ìegge sui pentiti. Lui diceva che se anche questipentiti avessero Bvelato fatti legati alla politica, sareb-be stato un boomerang, in quanto i politici si sarebberocomunque tirati fuori e si sarebbero vendicati. Inoltrenarlai con lui della Somalia. delle arrni e dei rifiuti. Luisosteneva che i politici awebbero potuto trasportarequalunque cosa anche senza la collaborazione deÌla

'ndrangheta, e che ci usavano per comodità. Io gli rispo-si che era vero quello che diceva, ma era vero anche chei politici si potevado sedere in parlamento gîazie ai no-stri voti.

In quelf incontro si è poi parÌato di investimenti chela famiglia di San Luca voleva fare a l\4ilano. Il minisiromi disse che se avevamo bisogno ili coúprare locali, po-

tevalllo rivolgerci a Paolo Pilitteri, e così facemmo- Fudeciso nel corso di ula riuìione tra vaú boss che awen-ne subito dopo a Milano nel ristorante Pienot in zonaRipamonli, alla quale partecipai anch'io. In quellbcca-sione Altonio Papalia, rappresentante della 'ndrarghe-ta aspromontana in Lombardia, si offrì di presentarciPiÌlitted, con cui aveva già concluso affari La presenta-zione awenne nel suo uflìcio di piazza Duomo e oltre aPapalia c'eravaho io, Stefano Romeo e Giuseppe Gior-gi. Grazie ai buoni uffici di Pilitteri, Ia famiglia di SanLuca ha perfezionato Ìacquisto di un bar in GalleriaVìttorio Emanuele, che poi è stato sequestrato propnoperché mmprato con soldi sporchi, quello di un altro barin via Fabio Filzi e di altri locali dei quaÌi ho sentitoparÌare ma che non ho seguito dtuettamente.

Verso la fìne di ottobre 1992 mi era arrivato un mes_saggio dalla famiglia in CaÌabria in cui mi dicevano di

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recarmi alla Tfisaia dí Rotondella perché c'era un lavo-ro. Andai sul posto nel novembre 1992 e chiesi alla per-sona incaÌicata co6a c'era da fare. Specificò che c'eraDofanghi e rifiuti ospedalieri e che si trattava di ossido diuranio, cesio e stronzio, il iutto contenuto in fusti che aloro volta erano stati sistemati in 20 container lunghi25 metri e alti 6 rli proprietà della società Merzario Ma-rittima, che tra l'altro controllava per conto delle auto-rità somale I'ingresso delle navi nel porto nuovo di Mo-gadiscio. Per organizzare il tuìto contattai un faccendie-re, Mirko Martini, che avevo conosciuto da poco. lÌ suonome úi era stato fatto da uno dei capi della famigliache lo aveva conosciuto personalmente e mi aveva ga-rantito essere la peraona giusta per i nostri affari. Du-rante una cena all'l, otel Hilton di Milano ho spiegatoche dovevo trasportare rifiuti pericolosi in Somalia eavevo bisogno di appoggi uel porto di Livorno. Lui rni harisposto dicendomi letteralmente di essere intimo delpresidente ail interim della Somalia, AIi Mahdi, nonchéuomo dei servizi s€gteti italiani e collegato a buon livel-lo con la Cia amedcana. Aggiunse che per quanto ri-guardava la Sornalia non c'era alcun problema per fareentrare qualsiasi cosa. Inolhe mi spiegò che aveva giàin ballo ull trafrco di arni che doveva fare arrivare aMogadiscio per conto di Ali Mahdi, e mi chiese di procu-rargli quelle armi per realizzare un'unica spedizionecon due navi che avrebbe recuperato lui stesso,

I pescherecci in questione erano il Mohamuud Harbie fosman Raghe, entrambi di proprietà della Shifco,che a sua volta faceva capo alla Al Mahdi Group Com-pany. Le armi erano 75 casse <li kalashnikon 25 casse dimunizioni e 30 di mitragliette Uzi, che furono caricatein Ucraina dalla fabbrica Ukrespets Export a bordo del-la nave Jadran Exprees con bandiera maltese, afÉttsta

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per mio conto da un &wocato di Ostuni e da un suo ami-co, i quali avevano società a Gibilterra, Cipro e in Croa-zia. La JadraÌ fece scalo a îrieste, dove le armi furonocancate su due camion e trasferite nel porto di La Spe-zia, luogo i[ cui fulono trasbordate dentro ul cap€urno-ne portuale in attesa di essere reimbarcate sulla Moha-muud Harbi. Nel frattempo, si versavano alla Ukrc-spets Export 3?5 milioni di lire facendo una traÌIsazio-ne tramite la Kleditna Banka di îlieste. Mi sono inparaLlelo preoccupato di organizzare l[ traffico dei rihu-ti tossici e radioardvi. La Àlerzario Marittima ha fomi-to, oltre ai container, anche 20 camion, che hanno cari-cato i rifiuti presso la centrale Enea del Gardgliano. Do-Dodiché i rifiuti sono arrivati al porto di Livorno e sono;tati caricati sulla Osrnan Raghe. Le navi MohamuudHarbi e Osman Raghe partirono dall'Italia in contempo-ranea e arrivarono nei primi giomi del febbraio 1993nel porto nuovo di Mogadiscio Lì aspettavano uomini emezzi messi a alisposizioùe per il ttasporto e venneroutilizzati autocarri tenuti in un deposito al quarto chi-lometro deÌla strada dell'aeroporto. Le almi furono aquel punto portate al quartier generale di AIi Mahdi,menlie i rifmti vennero hasfedti in diversi punti. Unquarto è stato seppellito al chiìometro 150 della stradatra Berbera e Sillil, nella zona costiera alel Bosaso' Unaltro quarto è stato portato alla foce del fiume WebiJubba, vicino al confine col Kenia. Un altro quado an-cora è etato seppellito nel bleve tratto di strada traDhurbo e Ceel Gaal, nel Bosaso, e l'ultimo quaúo è sta-to seppellito sotto la strada Garce-Bosaso, al chilometro37,700.

Loperazione si è Evoìta ancora una volta senza pro-blemi e ha previsto vari pagamenti. Il contaìto Abdoul-lalri Yussuf per la di sponibilità del territorio ha voluto

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t miliardo 200 mitioni di lire. che gli l"urono pagati insvizzera presso il Credit Sùsse di Lugano. [o ho presoI miliardi 800 milioni in coùtanti, che ho ritirato aÌaHellenic Bank di Sarajevo. Di questi, 350 milioni anda-rono al faccendiere. 300 li ho spesi in orga nizzazjoni \a_rie, 200 servirono per pagare il trasporto delle navi,mentre al contatto in Somalia ne feci avere 400. Aìla fi-ne, festeggiai il buon esito con divèrsi membri della fa-miglia affittando Ìlntero ristorante .piccolo padre', aMilano.

In quel periodo il tralfico dei rifiuti tossici e radioat-tivi era molto praticato. Diversi erano i faccendieri checon copelture varie svolgevano questo genere di attivi-tà per conto dei governi internazionali, i quali già neglianni Ottanta non sapevano dove piazzaÌe queate enor_mi quantità di materiali pericolosi. Uno dei personaggipiù ihpoúanti che mi è capitato di conoscere à statoI'ingegner Ciorgio Comerio. il quale gesliva il progetoOdfn {Oceanic disposal managementt, messo a puntodalla Orga-nizzazione per la cooperazionp e lo evijuppoeconomico rOcserc poi da lui gcsti to in autonomia petsparare pattumiera radioattiva dentro missili sotto ifondali madni. Comerio si muoveva a livelli governati-vi intehìazionali. e Ie persone che contattav; nei vaÌistati, europei e non, sapevano che aveva gli appoggi permettere ill pratica il suo studio sottomarino. Lui stessomi raccontò che i fondali della Sierra Leone erano i mi_gliori per la sua altività in quanto, non so perché, acco_glievano al meglio i suoi siluri con i rifiuti radioattivi.

Ho conosciuto Comedo i primi d,apriÌe 1998 a Cetin_je, ex capitale del MoDtenegro, una cittadina tra le mon_tagîe jugoslave, M ero andato per incoftrarrnl con unlatitante che faceva parte della famiglia di San Luca.Nell'occasione andammo a cena in un ristorante del Do-

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sto, dove per combinazioùe trovammo Coherio, il qualeera a tavola mD una ragazza. Io noù l'avevo mai visto,fu llaltro a indicarmelo e a dire che in zona Comerioaveva vari movimentí di armi, e che era in glado di re_perire qualunque arma, sia leggera che pesante. Poi mipresentò a lui e ci sedemmo al suo tavolo, mentre la ra-gazza veîíva allontanata da Comerio. Fu un incontroprudente e positivo allo stesso tempo nel senso che fa-cemmo tanti discorsi iuteressanti ma generici. Ci siamopoi rivisti alla metà di aprile in un ristorante di San Bo-vio di Garlasco, in provincia di Pavia, dove Comedo abi-tava in una villa che mi mostrò dall'esterno. Nel frat-tempo mi era giunta richiesta da paÌte di un membrodella milizia ustascia di ìrn certo qualtitativo di armi,per cui chiesi a Comerio se avesse entrature in qualchefabbrica. Lui rni rispose che aveva ottimi rapporti con latedesca Thyssen, e che mi dava volentieri quel contattoin quanto aveva una percentuale sulle vendite procu.ra_te. Ma la stessa sera Comerio mi fece a sua volta unbf-fefta, proponendomi I'acquisto di 50 aerei Antonov mo-dello 12 e 22 e altri lljusin 76. Una proposta che nonraccolsi p€lché non sapevo in quel momento dove piaz-zarli. liceversa ho saputo che è 6tata accettata da Vic-tor Butt, un ucraino laureato presso l'accademia milita-re russa, il quale nel '95 avrebbe fondato una compa-gnia aerea a Ost€nda e succegsivamente l'awebbe regi-strata a Moorlovra, capitale della Liberia, Poi trasferì gliaerei negli scàli di Sharjah e Ajman, Emirati Arabi, e livendette al governo della Liberia.

In questo periodo che ho prima d€scritto ho avutocontatti con Giancarlo Marocchino e coD Mirko Martini;il pdmo un piemontese trasferitosi a Mogadiscio intor-no al 1984 che le cronache dicono in contatto con i "ser-vizi" Italiani e non, addùitiura in u]r procedimento p€-

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nal€ a Buo carico fu posto il "segeto di Stato", ma che difatto ha avuto un r-uoÌo nello smaltimento dei rifiuti tos-sico-nocivi in Somalia, assieme al console onorario del-la Somalia Enzo Scaglione. Il secondo, Martini, legato avari uaenizi" e eon entrature sia nel traffico di rifruti siain quello delle armi; entÉmbi mi hanno fatto querelaper calunnia, quando nel duemilacinque sono statochiamat4 a deporre dalla mmúissione parlamentaredlnchiesta suìla morte di Ilaria A.lpi.

La missione Unosor:r lbis inizia il 13 dicembre 1992e t€rmína il 2I marzo 1994, l'Italia per la prima voltadalla fine della seconda guerra si trovò coinvolta in pri-ma fila in una operazione di peace ke€ping, hola con ilnome enfatico di "Restore Hope" creata per riportareappunto speranza alla popolazione somala, letteral-mente strangolata da un conflitto sanguinoso. Questaopelazione suscitò speranze in iutto il mondo, grandialmeno quanto lo sdegno che segrù il suo clamoroso fal-limento, Come si può aiuta.e un pae6e dopo che per aÌ-ni lo si è úempito tli armi e rifiuti tossicí eotto la ban-diera santa degli aiuti aÌlo sviluppo? Chiedendo in alrti-cipo scusa per ìa retorica, giurerei che la storia sa dareragione ma anche torto. Al nostro paege ha dato torto.A.nche la nosha intelligenza è Btata sconfiúta.

Io st€sso mi sono occupato di affondare navi carichedi rifìuti toesici e radioattivi. Nel settore avevo stretìorapporti nei primi anni Ottanta con la grande società dinavigazione privata Ignazio Messina, di cui avevo in-contrato un emissario con il boss Paolo De Stefano diReggio Calabria. Ci siamo visti in una pasticceÌia delviale San Martino a Messina, dove abbiamo parlato ilel-la disponibilità di fonire alla famiglia di San Luca na-vi per eventuali traffici illeciti. Per la precisione nel1992, quando nell'arco rli un paio di settimane abbiamo

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affondato tle navi indicate dalla società Messina: nel-I'oriline la Yvonne A, la Culski e la Voriais Sporadaie.La lgnazio Messina contaltò la famigÌia di San Luca esi accordò con Giuseppe Giorgi a.lla metà di ottobre.Giorgi yenne a trovarmi a Milaìo, dove abitavo in quelperiodo, e ci vedemmo al bar New Mexim tli corso Bue-nos Aires per organizzore 7'operaziorlre per tutt€ le navi.La Yvonne A, ci disse la lgnazio Messina, trasportava150 bidoni di fanghi, la Culrski 120 bidoni di scoúe ra-dioattive e la Vodais Sporadais 75 bidoni di varie Bo-sìanze tossico-nocive. Ci informò anche che le imbarca-zioni erano tutte al largo deÌla costa calabrese in corri-spondenza di Cetraro, provincia di Cosenza. Io e Giorgíandammo a Cetraro e prendemmo accordi con un notoesponente di una famiglia di 'ndrangheta del posto, alquale chiedemmo manodopera. Ci úettemmo in contat-to con i capitani delle navi tramite baracchino e deÌnmodisposizione a ciaBcuno di essi di muoversi nell'arco diuna quindicina di giorni. La Yvoúne A anilò per prima allargo di Maratea, la Cunski si spostò poi in acque inter-nazionaÌi in corrispondenza di Cetraro e la Voriais Spo-radais la inviammo per ultima al largo di Genzano. Masubito dopo alnuìlai questa destinazione per la più co-moda destinazione di Melito Porto Salvo, in provincia diReggio Calabria.

Poi facemmo partire tre pescherecci forniti gempredalla stessa famiglia di 'ndranghela deì posto e ognunodi questi raggiunse le tre navi per piazzare candelotti didinanite e farle affondare, caricando gli equipaggl perpoúadi a va. Gli uomini recuperati mno stati messisu treni in dirczione nord ltalia. Finito tútto, io tornai aMilano, mentre Giuseppe Giorgi alrdò a prendere dallaIgnazio Messina i 160 milíoni di lire per nave che eranostati concordati.

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So per certo che molti aÌt affondamenti awenneroin quel periodo, almeno una trentina, organizzati d,a al-tre famiglie, ma non me ne occupai in p ma persona.Posso affermare che tre navi sono state affondate al lar-go delle coste liguri tra La Spezia e Genova. Altre dueal confine delle acque territoriali tra Viareggio e Livor-no.

Inoltre al largo di Cirò (Crotone) al confine del Meta-pontino, nella zona di Saline e Pellaro nonché al largodi Spar"tivento dove era già stata rihovata la Righel.

So anche che nel 1994 la famiglia di San Luca ha ac-quistato tre navi. Una in Norvegia che si chiamava Ao-xum, presa tramite Valentino Foti, italiano residente aBruxelles e inserito nel consiglio di amministrazionedella banca svizzera Fimo 4.G., un'altra che si chiama-va Marylijoan acquistata in Francia a Marsiglia dal fac-cendiere siciliano Cipriano Micciché e uìa terza che sichiamava Monika acquistata in Germania a Baden Ba-den trarnite il faccendiere di Lubiana Dusan Luin. T\rt-ti e tle gli acquùenti erano vicini alla 'ndrangheta emembri della loggia massonica Montecarlo, con iÌ nu-mero cli inserimento 33. Detto questo non mi ha stupitosapere che tali traffìci al.venissero con simile frequen-za, perché le coperture necessarie per non avere fastialierano in atto da tempo. In particolare, io e la famiglia diSan Luca avevamo rapporti diretti con alcuni esponen-ti in vista dei servizi segreti.

Avevo rapporti personaÌi con lbno Hartomo, alto fun-zionario dei servizi seg"eti indonesiani, il quale contat-tava me e la 'ndralgheta per smaltire tonnellate di ri-huti tossici prodotti dall'industriale dell'a.lluminio, ilrrrsso Oleg Kovalyov.

Si caricavano le navi nel porto di Kiev con rolta ver-so la Somalia dove veniva riversato il carico.

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A Mogadiscio e Bosaso era facile non avere controlliin quanto i militari della missione Unosom Ibis sapeva-no quando girarsi dall'altra parte per obbedire agli or-dini ricevuti.

Inoltre, anche quando dovevo recuperare i contantidei pagamenti che venivano effettuati nelle banchestraniere della Svizzera, Banca UBS di Lugano, a Ci-pro, Cyprus Popular Bank, Malta, Vaduz, Limaco .A..G.,Singapore, The Bank ofEaÈtAsia HK, ecc., usavo mac-chine dei servizi italiani prestatemi dall'agente "Pino".

Ricordo una fiat croma blindata con matricola \aL7214A. CD-11-011una Mercedes con matricola BG 454-602; urra Audi BG 146-791.

Ebbi dei contatti visivi con l'on. De Mita e con I'on.Misasi, i quaìi erano aÌ corrente di questo smaltimentoillecito. In più occasioni trattai il prezzo dello srnaÌti-mento che andava da un minimo di quattro miliardi dilire ad un massimo ili lrenta. Conobbi anche AlexanderKuzin colonnello deÌ Kgb che dopo la caduta del rnuro siera mesao a vendere plutonio, aprendo degÌi ulfici di co-pertura in Europa. A lYieste e a Valence col nome di Ku-zin lnternational, dove aveva messo come referenteMarco Affaticato, uomo dell'eversione nera legato a va-ri sefvizi segreti. Posso anche dire che i nomi delle na-vi erano molto effrmeri in quaato venivano cambiati fa-cilmente basti I'esempio della Jolly Rosso che prima sichiamava radlost allorquando traspoftò dei rifiuti inVenezuela: al ritorno si chiarnava Jolly Rosso.

A Pisa c'è un canale che collega questa piccoÌa darse-na al porto di Livorno dove esiste una base super segre-ta della marina miìitare ltaliana dove possono attracca-re solo navi con carichi risewati e i rifiuti nucìeari era-no tra i riseraati.

Anche Ìa Jolìy Rubino era nave usata per tlasporto

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di rifiuti, ma aveva cominciato con il trasportare nel1_987 armi dall'ltalia all'Iraq. C,è anche la Jo y Bi"ocoche nel 1991 aveva urr carico per I'Iraq, via Amman eche è stato sequestrato dalle aútorità portuali.

La'ndrangheta ha fatto colare a picco navi a perdereaDche davanti alle coste del Kenia e dello Zaire nonchéanche in Mgeria e nel Lagos.

.. -Nell'inchiesta condotta dal p.m. Baggio delJa procura

dr Monza uno gpaccato della criminalita organ)zzala ca_labrese nel tessuto economico lombardo. Tla gli espo-nenti di vertice della ,ndrangheta: Fortunato Stellitanoe lvan Tenca. queslultimo aveva sparalo al boss cala_brese Domenico Quartuccio mentr; Sbllitano era ciàslato arrestato, I fratelli Stellitano sono considerati-vi_cini alla 'ndrina degli laÌnonte di Melito porto Salvo ilcui boss Natale lamonte, arrestato nel 1998. è stato Dro-tagonista rregli anni '20 di uno degli sprechi piir spre_giudicati di denaro pubblico perché mise le mani suli.af_fare del conplesso industúale Liquichimica a Saline io.niche, invest€ndo 300 miliardi di lire su una s!rullurache non entrò mai in funzione.

I due, fiutato l'affare dei rifiuti, avevano messo rnpiedi grazie all'appoggio degli altrí, Ciccio Vasile e Ful_vio Colombini, un'attività remunerativa di comoraven-dita di terreni che poi rivendevano alte imprese edili eprowedevatro allo sEaltimento dei rifiuti in losse pro_fonde anche g metri e lunghe 50,

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IVlercoledr 28 maggi o 2008,la Gazz?tta deL Mezzogior.no, in quarta pagina nella cronaca di Matera, pubblicache il p.m. che conduce le indagini era pronto a fecarsiin Somalia pe. un sopraluogo, ma improwisamente ilSisde sconsiglia questa trasferta per motivi di sicurez-za, in Somalia cè la guerriglia.

Il Bottoscritto viene egcusso in diver8i procedimentidi 'ndrangheta, come "enciclopedia". Se ciò è awenuto,come è awenuto, vuol alire che allo Stato ho ilato molto,ma lo Stato co6a ha dato a me? Umiliazioni. Le istitu-zioni hanno sempre agito com€ vessatori, creando falsipretesti per farmi del male. E un dato di fatto che hovissuto sulla mia pelle.

Spiego. La mia storia con Ia notaia era frnita, avevoiniziato una relazione sentimentale con una donna cheabitava in Emilia Romagna e che avevo conosciutoquando abitavo a Modena, ma allora avevo ulla vita tu-multuosa.

Una bella e forte storia d'amore come qualunque es-sere umano Bogna di poter vivere, tanto che lei si trasfe-rì da me per starmi vicino e per occuparsi del mio Btatodi Balute.

Le dissi da subito che avevo un passato che era statoun furioso tomado e che preferivo Don raccontarÌe nien-te. Mirispose che si era innamorala di me per come miaveva conosciuto e che il passato era passato; ci erava-mo innamorati come due liceali, io sessant'anni e leicinquanta. Lei una persona rispettosa della legge e dicerti saDi valori, io uÌ ex boss pentito con um strasctcogiudiziario che non finiva mai. Le dissi che avevo avutodei problemi frscali e per questo ero agli arresti domici,

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liari, ma che presto sarebbe fìnita. La mia bugia è sta-ta questa, in effetti non sapevo quando sarebbe finita.Non era tanto soddisfatta di ciò, ma le mie parole cheprospettavano uÌra soluzione a breve tempo la convinse-ro a starmi vicino. Con lei úpresi a curarmi e infatti miricoverai sottoponendomi a ben tre interventi chiflrrgi-ci. Mi era stata diagnosticata un'altra grave patologia,la sirdrome di Leriche, I'occlusione delle arterie femo-rali ed iliache. Lei mi stava vicino e palpitava per la miasalute, anche se qualche volta andava in crisi sia per ilmio fermo domiciliare sia per il fatto che non avevo unIavoro e quindi un reddito, ma l'afnore superava anchequesti problemi. Ci confrohtavamo cuÌturalmente e leirimaneva affascinata dal rnio sapere. Nutrivano stimae úspetto reciproci, cosa che ci univa molto. Per la pri-ma volta mi comportavo con naturalezza e a volte appa-rivo anche buffo nelle mie nper:formance" scherzose.

Lei badava alle spese quotidiane e alle spese per lemie cure con spontsneità ed altruismo, anche s€ a mepesava da morire dipendere economicamente da altri.

Ma avevo la certezza che almeno una parte dei mieisoldi potevano essere recuperati. Mi ero messo in con-tatto con un professionista dell'Umbria, il quale avevauno stualio finanziario. Dopo aver studiato quanto dame esposto, mi disse che era in gTado di recuperare par-te di quei soldi. Questa notizia mi diede una grande se-renità. Potevo organizzare la mia vita futura con Sara,dare un aiuto economico ai miei figli e badare alle curedi cui avevo bisogno. Forse avrei potuto vivere gli ulti-mi anni della mia vita con Sata, come entrambi spera-vamo coù uììa certa serenita. Intanto il sentimento checi univa si consolidava.

Ma all'improwiso una mattina vennero alcuti cara-binieri in borghese peÌ una frerquisizione e coù un'ipo

tesi di reato non suffragata da nessun riscontro: tluffa.

Tlattarono Sara con molta sufficienza, facendo delle

allusioni velate su mme una persona senza precedentipotesse accoúpagnalsi a me. Complesi subito che era

un'azione voìta a farmi del male per I'eDnesima volta'

Non c'erano i pt'esupposti per anestarmi Íìa avevano

otlenuto lo scopo di mettermi in discussione con Sara,

la quale rimase scioccata da quell'fruzione. Ma non fi-

nì con quella perquisizione. Questi calabinieú, per es-

sere piÌr ligi, mandarono un rapporto al magistrato di

sorrcglianza proponendo Ia mia traduzione in carcerepoiché, secondo la loro ottica, avevo violato gli obblighia cui dovevo attenermi. Non avevo violato nessun obbli-go, ma le falsiìà non hanno confini. Così, il dieiassettenovembre del 2007, fui portato nuovamente ln carcere.

Sara, inorridita, sconcefata e distrutta nel morale e nel

frsico, se ne andò da casa mia decisa a lasciarmi defini-

tivamente. Io cominciai una nuova battaglia per dimo-strare la mia innocenza.

Ricoldo che durante il primo inìerrogatorio awenu_

to il sei di dicembre, chiesto espressameot€ da me alpubblico ministero, questi mi disse: "Fonti, cosa ha fat-

to mai a questi Carabinieri che hanno voluto a tulli i co-

sti che lei finisse in carcere? Lei ha una posizione da col-

laboratore che ha dato un apporto notevole a varie Pro-

cure, compresa questa, cosa ha combinato?o. Prima che

io potessi rispondere con tutto I'astio che covavo dentro,il p.m. proseguì: (Non c'è ne8Èuna ipotesi ili reato, ab-

biamo fatto delle jndagini e non è emerso nienF. quin'

di io sto archiviando questo procedimento perché il faì-

to non sussiste, queste riSorse spese pet niente si pote-

vano risparmiare". Quegte parole attraversalono il mio

cervello come un soffro d'aria inftrocata, incominciai a

sudare e temetti un nuovo infarto. F,cco, era stata un'al_

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tra treppola per togliermi la libertà.In questo periodo di detenzione scrivevo tutti i gior-

ni a Sara, cercando di spiegare tutto quanto era gpiega-bile; lei dapprima era restia a rispondermí, ma dopo in-cominciò a farlo. Erano lettere disperate da entrambe lepaúi, ma giorno dopo giorno I'amore che lei voleva sof-focare prese il soprawento. Non volevo che veÌrigse atxovaÌmi in catcere, perché dopo tutto quello che avevavissuto a causa mia, farla entrare in quel posto ar.rebbesignifìcato farle subire un altro trauma. Non potevamoneanche sentirci telefonicamente perchè le regole im-pongono un talefono fisso e non mobile. L'unim nezzo anostra disposizione era la scrittura ma dovevamo aotto-stare ai tempi delle poste italiane; a volte ci volevanoaDche quindici giorni per úcevere uDa lettera.

La vita giornaliera in questo istituto non era diversada altri posti dove sono passato, il problema che cè nel-le sezioni collaboratori sono gli stessi collaboratori. Mami sono espresso in precedenza sui personaggi incoloreche vi transitano; sempre gli stessi e sempre con piùmerda addosso. Lo stato ha creato dei mostri di infimaúomlità, ma probabiùnente questi personaggi hannoapprofittato della legge per svelare la propria natura.Qualche letterato ha detto in passato che l'Italia è unpopolo_ di poeti, navigatori e spioni. Non bisogna aggiun-gere arúro.

Mi preme spendere due parole di lode per gli agentidella polizia peniLenziaria che presrano servizio in que-ste eezione perchè ùon golo sono pmfessioDali, sono an-che dotati di molta capacità di comprensione ed umani-tà verso lutti i detenuti presenti, anche Be la maggiorparte di questi meriterebbe di essere buttata nel cessoper poi tirare lo sciacquone. CeÌto questi agenti fanno illoro lavoro, ma in giro nelÌe carceri cè una percentuale

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dei loro colleghi che si porta dietro i problemi repressi ese la prende con il detenuto. Non dico questo perché ildetenuto in genere sia un argioletto, anzi è il contrario,ma l'agente non dovrebbe mai abusare delL autoritàconferitagli dalla divisa.

Un omaggio alla vice direttrice dott.ssa Sidoni, alf i-spel,l,ore Pjras e aj soprainlendente Pani.

Come dicevo, ero stato scagionato, ma non baatavaquesto per essele scar.cerato; bisognava che il magistra-to di sorveglianza fissasee un'udienza per decretare lasentenza. Questo awenne il ventiquattro aprile 2008 eil giorno successivo, venni rimesso in liberta.

A volte le date girano e poi ritornano; il venticinqueaprile del 1993 venni arrestato; 1o stesso giorno e losl,esso mese, a distaÌza di quindici arui, vengo scarce-rato.

Sala aveva preso un appartamento in Lombardia ela trovai ad aspettarmi fuori dal carcere. Non riesco aspiegane con le parole le sensazioni che entrambi pro-vammo quando finalmente potemmo abbracciaÌci; i no-stri occhi parlavano, i nostd corpi erano scossi dall'elno-zione, lna le parole restavano in gola- Solo dopo diversotempo entrambi riuscirnmo a dire "ti arno".

Il viaggio in macchina velso la nuova caga ci permi-se di raccontarci le mse vissut€ separatamente in quelperiodo di distacco e permise a me di spiegarle la trap'poÌa che mi era stata tesa. Parlammo anche dei nogtriprogetti per il futuro.

Quei cinque mesi trascorsi con lanima lacerata daquel bnrcco distacco avevano messo alla prova i nostrisentimenti, specialmente quelli di lei, ma questa provnSara I'aveva sup€rata scoprendosi pirì innamoratn diprima. Faceva la grafica pubblicitaria e durante il gior-no, appena aveva un po' di tempo libero, correvo o clurl

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per etare con me e ad oglli ritrovarci era urla festa. Fan-tastica creatura Sara.

Io tenevo i contatti con il consulente dell'Umbria pergeguire l'andamento del recupero dei miei soldi, ma nonera facile, non potendo muovermi di persona. Intanlo imesi passavano.

Inizia Ìa cdsi economica mondiale che coinvolge an-che l'Italiar Sara perde il lavoro.

La mia salute, malgrado le cure. peggìoral olmai ri-egco a stento a percorrere cinque metri. Avrei dovutosottopormi ad un intervento chir-urgico per non perderele garnbe. Ma non potevo operar-mi con la precarietà fi-nanziaria che c'era, così rinviai il ricovero.

Il consulente mi aveva illuso dicendo che il recuperodei soldi era imminente invece, ad oggi che scrivo, anco-ra niente.

Sara mi ha lasciato. La precaúetà del momento I'haienorizzata, ha soffocato anche il Iìostro amole.

Non la biasimo, anche se...ma meglio lasciar perde-re. Sono tre mesi che vivo da solo. Anzi no. non da solo,bensì con il mio gatto Rocki. Lei non vuole sentiì-lni percercarc di dimenticarmi e soffrire di meno. Denlro dime, invece, tutto il mio essere urla il suo nome: Saraaa.I medici dicono che se non mi opeto mi restano non piììdi tre anni di vita. Sono consapevole e cosciente ma nondesidero operarmi. Per chi dowei farlo poi? Lei non c'èpiù. I miei frgli pensano soltanto a giudicarrni e mal-trattarmi moralmente. Per Rocki? Lui può fare a menodi me: 1o ospiterà mia cugina a Milano. Non ho mezzi diBoBtentamento se non ulla pensione rlinvalidità; nonesco fnai ali casa e quando lo faccio devo usare Ìa cattoz-zina. Una volta alla settimana viene una donna pagatadal comune per fare le pulizie in casa. Aspetto di mori-

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Ho vissuto una vita spericolata, una vrta estremapiena di errori e di scelte discutibili; ho sernpre abiura-to questa vita vissuta in sospeso, una vita che non homai sentito mia; una vita che mi ha dato molto, ma mihs tolto lutto. Cli amori vissuti con passjone e con unsentimento non degno di quella che era la mia attivita.La famiglia che ho voluto fortemente, ma che ho dovutolasciare per il loro quieto vivere. Ho fatto anche del be-ne, della beneficenza a famiglie che non avevano damangiare, ho dato <li che vivere senza mai chiedereniente ir cambio. Sicuramente non basta a mitigare lernie colpe ma ho pagato con più di trent'aúri di carceree con tutti i mali fisici che mi ritrovo. Con la tristezzainfinita di non poter mai gioire della vita e con la conaa-pevolezza che chi più di me ha fatto azioni criminali,parlo della politica nella sua interessenza, non ha maipagato per i propri rcati. Porterò nella tomba i se$etidi questi politici, aìche perché se ne parlassi, sarei ad-ditato come pazzo. Spem che la giustizia divina, comeha fatto con me, faccia pagare iÌ mnto anche a loro. For-se con i vari Pilato, se esiste un'altra vita, ci incontrcre-mo e saremo alla Dari.