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FOGLI D’INFORMAZIONE A CURA DELLA FEDIC (FEDERAZIONE ITALIANA DEI CINECLUB) ANNO IV – n° 33 PRIMA PARTE GIUGNO – LUGLIO - AGOSTO 2016 DICEMBRE 2012 SOMMARIO SOMMARIO SOMMARIO SOMMARIO Dimissioni R. M erlino pag. 2 Nuovo Presidente Giorgio Ricci – La Redazione 2 MISFF67 Attività Internazionale 2016 3 L’Airone del MISFF67 vola verso cieli internazionali – M . Zeppi 8 Le Giornate degli Autori al MISFF67 12 Biografilm Festival 2016 P. M icalizzi 14 Steve McCurry – Realtà e poesia dell’immagine – G. Sabbatini 18 Musica e Cinema – Breve storia della Colonna sonora – A. Bassi 25 Riscoperta del Super 8 e valorizzazione del Cinema sperimentale alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro – P. M icalizzi 30 Addio a due pionieri della Fedic – P. M icalizzi 34 Come uomo di spettacolo non voglio diventare un politico, ma vedo molti politici che vogliono diventare uomini di spettacolo! M i sembra che nel mondo ci sia una sorta di epidemia: tutti vogliono comunicare per immagini. Robert Altman

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FOGLI D’INFORMAZIONE A CURA DELLA FEDIC (FEDERAZIONE ITALIANA DEI CINECLUB) ANNO IV – n° 33 PRIMA PARTE GIUGNO – LUGLIO - AGOSTO 2016 DICEMBRE 2012

SOMMARIOSOMMARIOSOMMARIOSOMMARIO Dimissioni – R. M erlino pag. 2

Nuovo Presidente Giorgio Ricci – La Redazione “ 2

MISFF67 Attività Internazionale 2016 “ 3

L’Airone del MISFF67 vola verso cieli internazionali – M . Zeppi “ 8

Le Giornate degli Autori al MISFF67 “ 12

Biografilm Festival 2016 – P. M icalizzi “ 14

Steve McCurry – Realtà e poesia dell’immagine – G. Sabbatini “ 18

Musica e Cinema – Breve storia della Colonna sonora – A. Bassi “ 25

Riscoperta del Super 8 e valorizzazione del Cinema sperimentale

alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro – P. M icalizzi “ 30

Addio a due pionieri della Fedic – P. M icalizzi “ 34

Come uomo di spettacolo non voglio diventare un politico, ma vedo molti politici che vogliono diventare uomini di spettacolo! M i sembra che nel mondo ci sia una sorta di epidemia: tutti vogliono comunicare per immagini.

Robert Altman

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Pisa, 24 luglio 2016

Carissimi, il 25 luglio del 1949 nasceva la FEDIC! Purtroppo, alla vigilia di questa bella ricorrenza, ho il dovere di comunicarvi che stamani ho dato le dimissioni dal ruolo di Presidente FEDIC, per motivi personali. Vi ringrazio per le dimostrazioni di affetto e stima che mi avete tributato a più riprese e vi esorto a continuare con passione e gioia le attività intraprese. Credo di poter dire che nei tre anni e mezzo di mia presidenza in FEDIC si

siano fatti molti passi avanti. Sono sicuro che, con il vostro aiuto, il nuovo Presidente, Giorgio Ricci, saprà proseguire il ciclo virtuoso. Vi prego di allargare il mio più cordiale saluto a tutti i Soci e relative famiglie.

Roberto Merlino

In seguito alle “dimissioni” pervenute da Roberto Merlino, il Consiglio Nazionale Fedic nomina Giorgio Ricci Presidente Fedic.

La Redazione

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Articolo già pubblicato sul n. 9 della

rivista on line “Carte di Cinema”. *

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BIOGRAFIE ITALIANE ED INTERNAZIONALI AL “BIOGRAFILM FESTIVAL” 2016

ED UN PROGETTO PER UN FILM SU MARIO FANTIN CHE HA ESORDITO NEL CINEMA COME AUTORE FEDIC

di Paolo Micalizzi

Nell’ambito del Bio To B Doc&Biopic Busi- ness Meeting, inserito nelle iniziative del Bio- grafilm Festival 2016, è stato presentato un Progetto relativo alla realizzazione di un documentario sull’alpi nista e regista Mario Fantin. S’intitola “Il m ondo in cam era” e

sarà diretto da Mauro Bartoli per le produzioni Apapaja e LabFilm che faranno partire dal 12 settembre una campagna crowdfunding sulla piattaforma “Produzioni Dal Basso”. Un autore cinematografico, Mario Fantin, che ha esordito come cineamatore del Cineclub Bologna con la realizzazione di opere in 8 e 16 millimetri.

Il suo esordio avvenne nel 1951 con “Su- sanna” per proseguire poi con documentari in cui rivelava il suo interesse verso l’escur- sionismo e verso l’alpinismo. Significativi sono in tal senso “Nel gruppo del Bernina”, “All’ombra del Cervino”, ”Sulla vetta del Monte Bianco”, ”Sui ghiacciai dell’Ortles”: tutti in 8 millimetri e realizzati nel 1951. Fra le opere successive, in cui si rileva il suo interesse verso la natura, figurano anche “Con ramponi e piccozze” (1953) e “Figure e pietre del Pakistan” (1955). Mario Fantin nel 1954 partecipa poi come fotografo-cineoperatore alla spedizione italiana alla conquista del K2, guidata da Ardito Desio, e dalla sua documen- tazione raccolta insieme a quella di Achille Compagnoni nacque il film “Italia K2” di Marcello Baldi. Entra cosi nel mondo del cinema professio- nale nel quale realiz- za una cinquantina di film-documentari, frut- to delle sue spedizioni in montagna, etnogra- fiche e alpinistiche. Da sottolineare che tra i progetti presen- tati ben sette erano di produzione emiliano-romagnola, segno che questo territorio offre una produzione indubbiamente valida e interessante. Anche quest’anno il Biografilm-Festival, di-

Paolo Micalizzi

Mario Fantin

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retto da Andrea Romeo, che sempre più si conferma un autorevole organizzatore di Festival, ha dimostrato di essere una mani- festazione ricca di proposte che, a nostro avviso, merita sempre più maggiore atten- zione da parte dei cinefili e della Stampa. Spazio al cinema digitale con opere di grandi Autori, come il film di Werner Herzog “Lo and Behold, Reveries of the Connected world” in cui il Maestro indaga la relazione tra l’uomo e le nuove tecnologie, oppure “Zero Days” di Alex Gibney che racconta per la prima volta che uno Stato sovrano crea un virus informatico con l’esplicito scopo di usarlo come arma contro una nazione ostile. Rivelando cosi l’ora zero di un nuovo modo di fare guerra. Interessante anche “A good American” del- l’austriaco Friedrich Moser, incentrato sul matematico Bill Binney, la “gola profonda” in grado di svelare le malefatte dei potenti dell’informazione ai danni della nostra privacy. E spazio alle Storie Italiane con il ritratto di alcuni protagonisti del cinema e della cul- tura italiana: lo scrittore e regista Luciano De Crescenzo, l’attore Remo Remotti, l’anti fascista Leone Ginzburg, il fumettista e pit- tore Andrea Pazienza, il pittore e illustra- tore Riccardo Mannelli e lo scultore Germa- no Sartelli. Omaggio con il “Celebration of lives Award” ad alcuni personaggi importanti del mondo del cinema, il regista Jaco Van Darmel che di recente ha avuto grande successo con “Dio esiste e vive a Bruxelles”; l’attore Gael Garcia Bernal che ricordiamo nel ruo-

lo di “Che” Guevara in “I diari della motoci- cletta” (2004) di Walter Salles e come pro- tagonista di “La mala educaciòn” (2004) di Pedro Almodovar, ideatore oggi di uno dei Festival più importanti del mondo dedicati al cinema documentario: “Ambulante”, Festi val messicano itinerante del documentario inteso come forza artistica ma anche come motore di cambiamento sociale, che è diretto da Elena Fortes. Omaggio anche al distributore italiano Valerio De Paolis che con la BIM ha diffuso da anni il Cinema Indipendente e d’Autore. Nell’ambito del Con- corso Internazionale la Giuria ha attribuito i seguenti riconosci- menti: Best film Uni- pol Award a “A Fami- ly Affair” di Tom Fas- saert “per il suo sguar do pungente nelle tra- me di una famiglia a pezzi. Uno sguardo che si sforza di comprendere senza pregiudizi le radici del problema, la- sciando più domande che risposte riguardo a una realtà che pare non avere facili soluzioni”; Life Tales Award a “Presenting Princess Shaw” di Ido Haar perché, si leg- ge tra l’altro nella motivazione, ”siamo stati molto toccati dalla sua storia e dalla sua forte volontà, capace di trasmettere un’in- credibile positività a chiunque lei incontri”. Il film è imperniato sulle vicende umane, rese difficili dalle nuove e artistiche tecnologie, della cantautrice americana Samantha Montgomery. La Giuria “Opera Prima” ha dato il Premio

Un frame del film “Lo and Behold, Reveries of the Connected world” di Werner Herzog.

Tom Fassaert

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Hera “Nuovi Talenti” al film “Sonita” di Roklashsareh Ghaem Maghami perché “oltre alle straripanti emozioni che è stato in grado di darci, porta anche con sé una im- placabile testimonianza, dando una possi- bilità in più di lottare contro l’oscurantismo”. Una motivazione che auspica anche che il film “possa contribuire all’emancipazione di tutte le donne oppresse nel mondo”.

Il film, infatti, è incen- trato su una giovane, che dall’Afghanistan approda alle periferie di Teheran, il cui so- gno è di diventare una rapper di successo ma trova sulla sua strada ostacoli da par te della sua famiglia e delle leggi dello Stato

in cui è andata a vivere. “Goodbye Darling, I’m off to Fight/ Ciao Amore, vado a combattere” di Simone Manetti è l’opera vincitrice, con il Best Film Yoga Award, del “Biografilm Italia”. La Giuria lo ha premiato “ Per la coerenza espressiva ed estetica con cui racconta il superamento di una sfida non solo sportiva ma anche umana, viaggiando al confine tra realtà e messa in scena di una donna attrice di se stessa”.

La Giuria ha anche assegnato il Life Tales Award a “Ninna nanna prigioniera” di Ros- sella Schillaci “ per aver saputo fotografare con onestà e attenzione civile la condizione dei bambini forzati al carcere, aiutando a far crescere l’urgenza di un cambiamento non più rinviabile”. Ancora premi con il Guerrilla Staff e Biografilm School che hanno dato ricono- scimenti all’opera di Antonio Martino “The Black Sheep”, all’attore Luca Marinelli (David di Donatello 2016), e al produtto- re Daniel Marquet, Presidente della Giuria “Opera Prima”.

Simone Manetti

Rossella Schillaci

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Un Premio speciale, per l’opera di pace e cultura, alla “Silk Road Ensamble”, prota- gonista anche di un film diretto da Morgan Neville che sottolinea come questo collet- tivo (del quale fanno parte Cristina Pato, artista della cornamusa detta la “Jimi Hendrix” della Galizia e la cinese Wu man che suona un bizzarro strumento chiamato “pipa”) porti avanti un Progetto che consi- dera il potere universale della musica capace di unire i popoli oltre i limiti geo- grafici: il film, dal titolo “The music of strangers: Yo-Yo ma and the silk road ensemble” è stato anche premiato con l’”Audience Award/Biografilm music”. I Premi del pubblico hanno visto vincitore come miglior film del Concorso Internazio- nale “Il fiume ha sempre ragione” di Silvio Soldini, opera di sentimenti sugli artisti del confine italo-svizzero Albert Casiraghy e Josef Weiss che con mani esperte stampa- no piccoli e preziosi libri di poesie e afori- smi. Si tratta di un ritratto poetico di un’an- tica tradizione artigianale che sopravvive al tempo e alla modernità dell’era digitale.

Nello stesso Concorso la Giuria ha attri- buito poi l’”Audience Award/Biografilm Con- temporary Lives a “Snow monkey” di George Gittoes, sui bambini che vendono gelati per le strade dell’Afghanistan; il “Biografilm Europa Audience Award in collaborazione con Lufthansa” a “The stu- dent” di kirill Serebrennikov, film su un gio- vane che in piena crisi mistica vuole im- porre ai compagni di scuola le sue convin- zioni sull’educazione sessuale a scuola; l’”Audience Award/Biografilm Italia” a “See you in Texas” di Vito Palmieri, incentrato su una coppia che gestisce una fattoria a Ron cone, in provincia di Trento, colta tra ambi- zioni, compromessi e punti di rottura; l’”Audience Award/Biografilm Arte” a “Se- gantini ritorno alla natura” di Francesco Fei che ricostruisce la vita del pittore (inter- pretato da Filippo Timi) nei luoghi che le fecero da sfondo e ispirazione: borghi, valli e paesaggi alpini. A conclusione del Festival, dopo l’asse- gnazione dei Premi del pubblico, vi è stata l’anteprima italiana del film “The space in between: Marina Abramovic and Brazil”, opera su quest’eccentrica artistica seguita dal regista Marco Del Fiol in un suo viaggio nelle vibranti comunità religiose del Brasile per fare esperienza dei rituali sacri e svelare il suo processo.

The Silk Road Ensemble with Yo-Yo Ma.

Silvio Soldini

George Gittoes

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STEVE McCURRY

REALTÀ E POESIA DELL’IMMAGINE di Giorgio Sabbatini

È difficile restare indif- ferenti di fronte alle im m agin i create da Steve McCurry poiché in ognuna possiamo scoprire una parte del m ondo ci rcos tante che, quasi sempre, sfugge al nostro sguar do privandoci di emo- zioni e sentimenti che

dovremmo apprezzare e vivere nella nostra quotidianità. Ma prima di addentrarci nel “mondo” di Steve è bene chiarire due punti fondamen- tali: perché visitare una Mostra Fotografica e chi è Steve McCurry? Per un filmmaker che ama raccontare e tenta di esprimere le proprie idee attraverso le immagini video di fiction, documentari e di ricerca sperimentale, penso che sia indi- spensabile frequentare ambienti dove l’im- magine, oltre a rappresentare un modo efficace di comunicazione, sia anche l’espressione costante della formazione del pensiero.

Di conseguenza, ogni possibilità di intercet- tare Mostre d’Arte o Fotografiche è sicu- ramente un’occasione da non perdere e da promuovere per una maggiore crescita culturale. Qui a Torino, e più precisamente, nella Reg gia di Venaria Reale, una delle Residenze Sabaude che fanno parte del Patrimonio UNESCO dal 1997, è stata allestita una Mostra Fotografica, particolarmente interes sante, dedicata allo statunitense Steve McCurry, fotografo di fama mondiale che in oltre trent’anni di attività ha documentato, attraverso l’immagine fotografica, momenti storici appartenenti ai sei continenti. In una Mostra come questa c’è da imparare tantissimo, basta lasciarsi guidare dalle oltre 250 immagini, di grande formato, e immergersi nei contenuti che ogni fotogra- fia esprime con tanto rigore. Quando si parla di “fotografia” la prima cosa che viene in mente è la “staticità” dell’immagine, l’as- senza del movimento, la rappresentazione di un istante irripetibile da osservare e da interpretare, senza considerare che in base all’estetica adottata, alla disposizione delle masse e alla luce che, con le ombre, dipinge il contenuto, l’immagine stessa può diventare altamente “dinamica”, obbligando lo sguardo ad un continuo movimento all’in-

Giorgio Sabbatini

Steve McCurry

Uno scorcio della Reggia di Venaria Reale.

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terno del quadro proposto. Se in una fotografia gli “elementi di interes- se” sono vari noteremo che i nostri occhi tendono a spostarsi in continuazione per osservare meglio il contenuto dell’immagi- ne e per potere trarre il giusto significato che possa farci emozionare e riflettere. È come se quella fotografia fosse costituita da più immagini, quasi come in una breve “sequenza filmica”, che possano raccontare un fatto, un’azione. Cerco di spiegarmi me- glio con un esempio. Prendiamo in esame la fotografia delle “Donne con la piccozza” esposta nella Mostra. Se analizziamo la struttura dell’immagine, vediamo che appare composta da differenti piani che comprendono il PP (Primo Piano) della mano con la piccozza, la FI (Figura Intera) della donna con la piccozza solle- vata, il CM (Campo Medio) delle due don- ne, al centro dell’immagine con la padella, e delle altre due donne, alla sinistra dell’im- magine, intente a lavorare. Inoltre, in CL (Campo Lungo), si notano altre donne in- tente a trasportare delle padelle sulla testa.

Ora, se azzardiamo ad un ipotetico “mon- taggio” che il nostro sguardo può compiere visualizzando, in profondità, l’immagine pro posta e suddividendola in “punti di interes- se”, potremo creare la “sequenza fotogra- fica” che appare, quasi come uno story- board, nella Fig.1. Quando guardiamo un’immagine i nostri oc chi, quasi inconsciamente, seguono un per- corso suggerito soltanto da un “interesse soggettivo” che cerca di analizzare, non sempre con una reale logica, il contenuto. Questa “indagine conoscitiva” può ripetersi più volte per approfondire la tematica pro- posta e cercare di comprendere ciò che l’autore ha voluto trasmettere con la sua opera. Steve McCurry, nato a Philadelphia, in Pensylvania, il 24 febbraio 1950, è, certa- mente, uno dei fotografi più conosciuti al mondo che ha saputo, con il proprio lavoro, trasmettere i momenti più autentici e reali che si affacciano, inaspettatamente, sui volti delle persone colte dallo stupore, dalla

PP

FI

CM

CM CL

Fig. 1

Un’immagine della Mostra dedicata al fotografo Steve McCurry.

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tragedia, dalla sofferenza o da un’istante di assoluta tranquillità dove si rivela l’anima del soggetto fotografato. Studiare certi “ritratti” realizzati dal grande fotografo, permette, da un punto di vista tecnico, di comprendere l’importanza dell’ot tica usata e la particolare luce scelta per quel volto che può esprimere grande fie- rezza e dignità oppure la fatica di una vita trascorsa tra innumerevoli difficoltà. Ma anche il “taglio” dell’immagine, che mette in risalto l’espressione del personag- gio che volutamente si distacca da un ambiente che assume il ruolo di un convin- cente background, imprime forza e capa- cità di trasmettere emozioni e sentimenti attraverso la visualizzazione di una realtà che, in certe particolari situazioni, diventa pittorica e unica.

Se l’esperienza è “maestra di vita”, gli studi sono la base sulla quale potere affinare e costruire la propria capacità di cogliere l’i- stante più significativo in una situazione de- stinata alla documentazione con l’immagine fotografica. La “cultura dell’immagine”, Steve McCurry, l’ha potuta apprendere attraverso un percor so di studio completo frequentando la High School Marple Newtown per poi iscriversi alla Penn State University per studiare Fotografia e Cinema ed ottenere, inoltre, nel 1974 una laurea in Teatro. Steve sviluppa il proprio interesse per la fotografia quando inizia a lavorare per il quotidiano della Penn State: The Daily Collegian. La passione per l’immagine fotografica si consolida durante due anni di intenso lavoro al Today's Post presso il King of Prussia. Ma soltanto durante il suo primo viaggio in India, come fotografo freelance, ha potuto sperimentare la vera libertà creativa imparando una regola fon- damentale: guardare e sapere aspettare, trovare sempre la pazienza per cogliere l’attimo di vita reale da fissare nell’imma- gine. Osservando attentamente le fotografie scelte per la Mostra “Il mondo di Steve McCurry”, è interessante notare come tre “elementi essenziali” costituiscano, quasi sempre, la base sulla quale è costruita l’immagine. Questi tre “elementi essenziali” sono: la luce, il colore e l’ottica utilizzata.

Donna Tuareg.

I volti fotografati da Steve McCurry hanno la capacità di trasmettere sofferenze ed emo- zioni di una vita vissuta.

Catturare le immagini di Steve McCurry per studiare l’estetica applicata.

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affaccia l'anima più genuina, in cui l'espe rienza s'imprime sul volto di una persona”. La carriera di Steve ha avuto una sorpren- dente svolta quando ha attraversato il con- fine tra il Pakistan e l‘Afghanistan, con- trollato dai ribelli, prima dell’invasione rus- sa, vestendosi con indumenti indigeni per documentare la vita e la guerra che coin- volgeva parte della popolazione. Immagini in bianco e nero che sorpren- dono per la loro forza espressiva dove le tonalità di grigio assumono l’importanza del le sfumature e dei mezzi toni come nelle fotografie a colori. I volti catturati dalle otti- che del grande fotografo esprimono tensio- ne e attesa per una guerra lunga e sangui- nosa. Ma l’uso della fotografia e il desiderio di documentare la vita che si svolge tra impervie montagne e mezzi di sussistenza limitati, impone a McCurry di fissare anche i momenti di “svago”, di “riposo” e di “preghie ra” come rappresentati nelle immagini della Fig. 2.

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Nella fotografia della “Piccola nomade” la luce, proveniente dalla destra dell’immagi- ne, che illumina parte del volto e del corpo della bambina è determinante per fare risal- tare il suo sguardo curioso e attento e, nel- lo stesso tempo, creare nell’ambiente una certa penombra che, tuttavia, permette d’in- travedere l’ombra che la piccola origina, sul fondo della stanza, alla sinistra dell’immagi- ne. L’azzurro della camicetta indossata dal- la bambina, ravviva la cromaticità, piuttosto omogenea, dell’ambiente. L’ottica utilizzata permette di sfocare l’ambiente dando mag- giore risalto al soggetto ripreso. La sapiente gestione tecnica di una foto- grafia dà la possibilità all’artista di espri- mere al massimo le sensazioni ricevute dall’atmosfera dell’ambiente e le emozioni suggerite dalla presenza della persona foto grafata. Si tratta, sempre, di lasciarsi coin- volgere da un istante irripetibile che non sempre è ricercato con estrema pazienza poiché, talvolta, l‘istinto del fotografo riesce a cogliere, involontariamente, ciò che Steve McCurry definisce “… il momento in cui si

La “Piccola nomade”.

Ritratto d’ambiente.

Fig. 2

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Ma Steve rendendosi conto dell’importanza che abbiano tutti quei documenti fotografici, realizzati in momenti difficili e anche perico- losi, riesce a portarli con sé cucendo i diver si rotoli di pellicola tra i suoi vestiti e pas- sando le frontiere senza che qualcuno si accorga di quel prezioso materiale, attra- verso il quale il mondo potrà conoscere una realtà da non dimenticare. Le guerre sono sempre state per McCurry un motivo determinante per presentare non soltanto l’ambiente devastato nel suo aspet to naturale ma per documentare la tragedia e la sofferenza che la violenza armata impri me sul volto umano.

La sensibilità dell’artista traspare in modo concreto dalle sue fotografie mostrando un modo del tutto personale nel raccontare il mondo che ci circonda. Dagli “scatti” di una realtà triste e povera dove il colore e la luce mettono in risalto un ambiente degradato alla visione fantastica di immagini liriche e intense che sanno tra- smettere l’emozione provata dall’Autore. Nella intensa vita di Steve c’è una foto- grafia che, nel tempo, è diventata una vera e propria icona conosciuta in tutto il mondo. È il famoso ritratto della “Ragazza afgana”, un’immagine ripresa a Peshawar in Paki- stan nel 1984, in un campo di rifugiati afgani. Una fotografia scattata per caso, in una tenda adibita a scuola dove l’insegnan- te ha permesso di fotografare alcune bam- bine tra le quali, Steve, ha subito notato lo sguardo incuriosito, triste e incredibilmente profondo di una bambina rimasta in dispar- te. Pochi secondi per poche fotografie e poi la piccola scappa e sparisce. La fotografia della “Ragazza afgana” diventa la copertina del National Geogra-

Nel 1991 Steve McCurry documenta, per il National Geographic, gli effetti catastrofici della Guerra del Golfo sull’ambiente.

Bambino soldato, 1992, Kabul.

“Il mondo” di Steve McCurry si esprime anche attraverso fotografie di forte con- trasto emotivo.

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phic di giugno 1985 riscuotendo un interes- se immenso in tutto il mondo. Ma l’incredibile storia della “Ragazza afga- na” prosegue finché McCurry ed un team della National Geographic decidono nel 2002, dopo oltre 17 anni dal primo incontro, di rintracciare la ragazza, ormai diventata donna adulta, con l’intenzione di aiutare economicamente la sua famiglia dandole una casa e dando un’adeguata istruzione ai figli. La ricerca non è semplice ma riesce a rintracciare Sharbat Gula, questo è il nome della donna il cui volto ora appare segnato dal tempo, dalle rughe ma con lo sguardo sempre intenso e profondo. Questa è una delle innumerevoli storie vis- sute da Steve McCurry come fotoreporter, vincitore di innumerevoli e prestigiosi premi

che attraverso l’uso della sua macchina fotografica riesce continuamente a cogliere quegli aspetti della vita che i nostri occhi perdono per mancanza di sensibilità, o per congenita distrazione dovuta ad una assen- za di tempo da dedicare alla riflessione. In alcune opere di Steve è interessante notare come l’elaborazione dell’immagine riesca a trasformare la realtà catturata in un mixage di immagini e colori rendendo la fotografia paragonabile ad un dipinto. In questo caso, l’intervento dell’Artista è essenziale poiché, in base alla propria cul- tura e conoscenza del mezzo fotografico, ha la possibilità di personalizzare la propria visione del mondo. In questo modo l’imma- gine trattata diventa unica, proprio come un dipinto realizzato da un pittore. A questo punto è interessante aprire un breve discorso sulla possibilità di “manipo- lare” le immagini per interpretare con la propria sensibilità, senza dimenticare i senti menti che ci hanno convolto negli “scatti” realizzati, una realtà alla quale vogliamo dare un aspetto più vicino al nostro modo di concepire l’arte fotografica. Forse, è una mia opinione, ma per ottenere una fotografia che appaghi interamente l‘Au tore della stessa, non basta scattarla e accontentarsi di ciò che la macchina foto- grafica ha registrato. È necessario un intervento più accurato dell’Autore per decidere, ad esempio, quale “taglio” dare all’immagine eliminando ogget ti o eventuali persone per dare un maggiore

La “Ragazza afgana”.

Sharbat Gula

L’elaborazione fotografica personalizza l’im- magine rendendola simile ad un dipinto.

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equilibrio visivo a ciò che rappresenterà la “fotografia finale”. Ciò vuole dire prendere in considerazione alcuni elementi di “esteti- ca” che non possono essere dimenticati. La “sezione aurea”, ovvero, la “regola dei terzi” è un modo pratico per ottenere un certo equilibrio nelle immagini. Questo vale non solo nella fotografia ma anche nella cinematografia anche se in questo caso è più difficile da applicare poiché l’immagine è in movimento. Naturalmente, come tutte le “regole”, in alcuni casi, può non essere rispettata e dare, ugualmente, risultati apprezzabili. Analizzando alcune immagini di Steve McCurry si nota chiaramente che la regola dei terzi è rispettata, dando alle differenti fotografie una particolare dinamica. La divi- sione in 9 rettangoli dell’immagine mette subito in evidenza la disposizione delle “masse”, rappresentate da persone, oggetti o porzioni di paesaggi, come in parte evi- denziato nelle Fig. 3 e 4. Anche un intervento diretto sul colore, o sul bianco e nero, può personalizzare l’immagi- ne, attraverso una maggiore o minore enfa-

tizzazione delle tonalità o, ancora, modifi- candone il contrasto. La vera “fotografia d’Autore” subisce, quasi sempre, una pic- cola “metamorfosi” dopo l’iniziale “scatto”. La Mostra “Il mondo di Steve McCurry”, un “Progetto” di fotografie di grande formato curato da Biba Giacchetti e allestito da Peter Bottazzi, visitabile nella Citroniera delle Scuderie Juvarriane nella Reggia di Venaria Reale, è un’occasione da non perdere, per chi ama la Fotografia e il Cinema, poiché di fronte ai nostri occhi si aprono spazi da visitare ed interpretare con la curiosità del fanciullo che vuole appren- dere, per meglio esprimere i propri senti- menti e le proprie sensazioni in un continuo percorso di crescita culturale.

Le fotografie di questo articolo, e le relative elaborazioni, sono state realizzate da Giorgio

Sabbatini in occasione della visita effettuata alla Mostra “Il mondo di Steve McCurry”.

Fig. 3

Fig. 4

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MUSICA E CINEMA Breve storia della Colonna sonora

di Adriano Bassi

Risulta arduo dare delle precise risposte ad una problematica che da anni crea delle discussioni all’interno delle strutture dei cir- cuiti internazionali; in- fatti il binomio Musi- ca e Cinema ritrova le sue notizie storiche di vise sempre da una difficile gestazione di queste due realtà.

La musica è parte integrante dell’immagine, o è l’immagine che deve completare la fun- zione precipua della musica? Questa dupli- ce veste del tema in oggetto ci riporta alla funzione della parola riguardo alla musica stessa, risoltasi poi felicemente nella stesu- ra creata dagli Enciclopedisti nella prima edizione della Enciclopedia, dove per la prima volta appare la voce Musica. Il vero e intenso legame tra Musica e Cinema nacque all’epoca del film muto. Il pianoforte e più tardi l’orchestrina, serviva- no a bilanciare il ritmo frenetico dell’azione che si svolgeva sullo schermo e contempo- raneamente a coprire il fastidioso ronzio del proiettore.

La prima proiezione avvenne a Parigi il 28 dicembre 1895 nel “Salon Indien”, per meri- to dei fratelli Lumière. In seguito, dopo l’invenzione del fonografo da parte di Thomas Edison, l’accompagna- mento musicale di alcuni film fu realizzato con l’uso dei dischi. Uno degli esempi antesignani di questa nuova realtà, prepa- rato con estrema cura, fu legato al film The Bird of a Nation (“La nascita di una nazione”) di D.W. Griffith (1915). Si trattava di un insieme di brani scritti appositamente per il prodotto, con l’aggiun- ta d i composizioni d i celebri autori qual i

Adriano Bassi

Il pianoforte è il primo strumento a dare una “voce musicale” alle immagini.

Parigi: Boulevard des Capucines, “Salon Indien” del Grand Café.

Louis e Auguste Lumière.

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Grieg, Wagner, Rossini, Ciaikovsky e di arie popolari americane. Insomma, una no- tevole miscellanea di grande impatto emo- zionale, poiché la sincronizzazione fu artico latamente elaborata e in alcune scene si riuscì a cogliere ciò che, in un prossimo fu- turo, sarebbe diventata la moderna colonna sonora. Partendo da una panoramica più ampia, possiamo riscontrare che la musica da film ha attraversato momenti di confusione stili- stica e di gusto, confluiti nel film Jeanne d’Arc curato da Lo Duca, il quale inserì (senza alcuna giustificazione) musiche di Al binoni e Vivaldi, in anni nei quali si stavano tracciando delle linee comuni nel modo di gestire e valorizzare la musica come com- mento sonoro dell’immagine. Perciò, da un eccessivo rigore si giunge ad una libertà soggettiva che non tende asso- lutamente a mantenere una coerenza con la trama del film stesso.

Soltanto con la proiezione di The jazz Singer (“Il cantante di Jazz”), la cui prima fu data il 6 ottobre 1927, si verificò il miracolo della famosa sincronizzazione del suono: infatti in alcune immagini il cantante Al Jolson, muoveva esattamente le labbra nel- lo stesso istante che si ascoltava il sonoro, coincidendo le parole con la musica. In tutto questo rincorrersi di innovazioni, non possiamo dimenticare il primo film parlato e veramente sincronizzato, dal titolo The Lights of New York (“Le luci di New York”) del 1929. Il vero momento magico doveva però ancora arrivare con il film Fantasia, pro- dotto da Walt Disney nel 1940. Nella pelli- cola la sincronizzazione diventò pressoché perfetta, creando il primo e vero esempio di fusione fra la musica e l’immagine. Anche il grande Charlie Chaplin fu un prota gonista della metamorfosi del Cinema, partita dal muto ed arrivata all’avvento del sonoro. Egli inaugurò una nuova figura nel mondo della celluloide, poiché fu anche autore delle musiche dei suoi film, rice- vendo anche delle critiche da parte di molti compositori del tempo. Esiste un aneddoto raccontato dallo stesso Chaplin e presente in un articolo a firma di Franco Mannino: "Nella sua autobiografia Chaplin scrisse: Hanns Eisler mi portò nello studio Schoenberg, un ometto franco e brusco che ammiravo moltissimo e che avevo visto regolarmente ai tornei di tennis di Los Angeles, seduto per conto suo nei "popolari" con un berretto b ianco e una maglietta dalle mezze maniche. Dopo aver assistito al mio film "Tempi moderni" osser-

Thomas Edison con il suo fonografo.

Al Jolson

Walt Disney

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vò che la storia gli era piaciuta, ma che la musica era pessima: e dovetti riconoscere che in parte aveva ragione". (1) Bis ogna capi re anche la cri tica d i Schoenberg, in quanto dall’alto del suo ruo- lo di padre della Scuola di Vienna, trovava la musica scritta da Chaplin semplice e quanto mai scontata. Comunque, il Cinema attirò schiere di musi cisti di prestigio, anche lo stesso Stravin- sky chiese a Chaplin se desiderava col- laborare con lui nella creazione di un film, ma ormai Chaplin aveva deciso di rimanere autonomo. Restringendo il campo d’azione all’Italia, la sola prospettiva di un interesse culturale programmato era legato al Movimento Futurista (Pratella-Marinetti) del 1933, che usciva dagli schemi tradizionali e convo- gliava il pubblico verso aspetti inconsueti della musica. Nell’aspetto tecnologico il cinema ha percor so molta strada e i Cinemascope, Cinera- ma, Vistavision, sono tutti termini entrati nel linguaggio comune. Dal formato iniziale di 35 mm. si è giunti ai 70 mm. e lo schermo si è ingrandito incurvandosi per ricercare un’immagine più vicina all’originale, crean- do così un effetto sempre più spettacolare. Contemporaneamente, la qualità del sonoro si è perfezionata con l’avvento della stereofonia, della quadrifonia e di altre con- quiste di alta professionalità, creando un aumento di interesse da parte dei musicisti anche classici.

Il film Rapsodia satanica di Nino Oxilia, il medesimo autore di Addio Giovinezza, de- cretò l’incontro di Pietro Mascagni con il Cinema. Il Compositore utilizzò per il film uno stile musicale wagneriano, che in quegli anni conosceva un totale successo di pubblico e di critica. Altro nome di rilievo fu G.F. Malipiero, che nel 1933 scrisse le musiche del film Acciaio di Ruttmann. A Firenze il 1° Congresso Internazionale di Musica (1933) porta un fondamentale ordi- ne al fenomeno della Musica nel Cinema e l’uso del nuovo mezzo attira adepti che ampliano lo studio e l’analisi del nuovo corso con scritti articolati e ampi. Più tardi (nel dopoguerra) il Cinema, legato ad un neorealismo imperante, portò alla definitiva ripresa della scuola compositiva italiana, creando un enorme interesse in uomini di cultura antecedentemente non coi nvolti in questo determinato settore. Compo sitori quali Riccardo Zandonai, Roman Vlad, Francesco Lavagnino ed altri, compo- sero per il Cinema colto e contempora- neamente la musica per film ebbe un’impen nata qualitativa, dove la dimensione del suono acquistava una coerenza stilistica che ben figurava nel contesto del filmato stesso.

Arnold Schoenberg

Pietro Mascagni

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Un altro artefice di questo settore fu Guido M. Gatti (dirigente della Lux Film), il quale fu uno dei pochi ad allinearsi al genere filmico, creando dei precedenti importante e validi. In Italia gli echi della vivacità crea- tiva che si viveva all’estero giunse smor- zata e in ritardo ed il senso scientifico del film affiancato alla musica, scritto in un trattato da Adorno-Eisler dal titolo “La musica per film” venne tradotto con un abissale ritardo, perdendo gran parte della sua efficacia. Analizzando il processo evolutivo di quest’arte, si può affermare che gli anni Sessanta furono principalmente caratteriz- zati dal cinema francese, affiancato dal mercato americano. Aaron Copland fondò una scuola con il suo stile e con le proprie innovazioni, vincendo sulle tradizioni e concedendo nel film una buona parte dedicata solo alla musica. Sarebbe interessante rileggere gli scritti di I. Stravinsky e di A. Schoenberg per capire l’esatta collocazione della musica da film nella storia.

Anche A. Berg ed E. Satie furono composi- tori sfiorati dal cinema, ma non comple- tamente contaminati, si veda per l’appunto Satie nel Film Entr’acte (1924) di R. Clair, nel quale il senso della satira risulta pro- posto come comun denominatore, sia dal l’immagine che dalla musica, in un soggetto di puro spirito dadaista.

Luciano Berio, compo- sitore illuminato e di grande cultura, com- pose una breve colon- na sonora per un film sperimentale di Bruno Munari mantenendosi, comunque, in un alto livello qualitativo. Con i l trascorrere del

tempo il binomio suono – immagine ha co- nosciuto momenti poco edificanti, sconvol- gendone il contesto con musiche di scarsa qualità. Uno spiraglio a tanta mediocrità ci è stato dato dal buongusto e dalla qualità di C. Savina, N. Rota, E. Morricone, i quali han- no trovato il giusto equilibrio fra l’immagine e la musica, creando in contemporanea e in perfetto accordo con il regista, momenti nei quali la musica diventava protagonista, si veda il binomio Morricone - Leone. A dimostrazione dell’importanza di una per- fetta fusione d’intenti fra regista e compo- sitore, si può citare un aneddoto ricordato da Mannino nel suo citato libro: "Tempo fa Federico Fellini mi fece l’onore di venire ap- posta a Milano, dove in quel momento mi

Theodor Adorno e Hanns Eisler.

Igor Stravinsky e Arnold Schoenberg.

Luciano Berio

Ennio Morricone e Sergio Leone.

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trovavo per dirigere alcuni concerti e, in una riunione avvenuta all’albergo Principe di Piemonte, mi chiese, dato che l’indimen- ticabile Nino Rota era morto, di occuparmi della musica per La Nave. Commosso per la stima dimostratami ringraziai ma rifiutai e gli suggerii un altro compositore: Nino Rota. Si, gli dissi: Tu hai b isogno di un buon musicista che sia un tecnico spe- cializzato a maneggiare le colonne musi- cali; Da oltre trent’anni Nino ha scritto fiumi di musica per te… Continua a utilizzarla. E poi aggiunsi: Eravate una solo entità, inscin dib ile. Oggi non ti funzionerebbe neppure Giuseppe Verdi”. (2) Frase lapidaria e altamente significativa a dimostrazione del fatto che la musica deve diventare un tutt’uno con l’immagine e con la storia narrata. Attualmente il Cinema è diventato una vera magia e dalla saga di Guerre stellari in poi, l’unica preoccupa- zione dei produttori è stata quella di creare soltanto effetti sonori, trascurando a volte, la melodia per il motivo musicale facilmente memorizzabile. L’estrema varietà degli argo menti sviluppati e la veloce evoluzione del linguaggio cinematografico, hanno creato dei profondi cambiamenti nella tecnica della composizione della musica da film, allargando il settore a tutti i generi musicali. Esiste, infine, un altro aspetto dove la musica è protagonista già dall’inizio e si tratta delle opere liriche trasportate nel mon do del cinema. Il discorso in questo caso diventa molto più complicato e delicato. Le riprese e le rielaborazioni di opere quali Don Giovanni ed il Flauto magico di W.A. Mozart, offrono un tipico esempio del trac-

ciato culturale che il mondo dell’arte ha im- boccato nella seconda metà del XX° seco- lo. La ripresa di capolavori del melodram- ma, traslati in immagini filmiche, ampliano il campo ai mass-media, contattando quelle fasce di fruitori che in altri circuiti venivano trascurate. La lettura della partitura effettuata da parte del regista deve saper comunicare alla scena quell’impulso ritmico che il brano ha nel suo intimo. Losey, nel suo Don Giovanni, ha in alcuni istanti trovato quel senso del ritmo nelle scene che vive in simbiosi con la musica stessa; anche se a tratti l’immagine si è risolta in campi troppo lunghi riguardo al ritmo musicale impresso da Mozart. Si può concludere questa breve storia della colonna sonora da film con una frase di Adorno il quale scrisse che: "La casualità della musica da film è paragonabile a quella del Cinema e della radio. È essenzialmente di tipo personale”. Allora, per lasciare piena libertà alle nostre interpretazioni non ci rimane altro che chiudere gli occhi lasciando ampio spazio alla fantasia.

1) F. Mannino: Charlie Chaplin articolo apparso su

Mensile Musicali Maggio/Giugno 1998 pag. 35.

2) F.Mannino: op. cit. pag. 35.

Federico Fellini e Nino Rota.

Wolfgang Amadeus Mozart

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Riscoperta del Super 8

e valorizzazione del Cinema sperimentale alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro

di Paolo Micalizzi

Riscoperta del Super8 alla Mostra Internazio- nale del Nuovo Cine- ma di Pesaro. Già l’anno scorso, curato da Karianne Fiorini e Gianmarco Torri, sono state pre- sentate le opere di Livio Colombo e Giu- lia Vallicelli, animatori di laboratori artigianali

di ripresa e sviluppo in Super8 grazie ai quali la pellicola in formato ridotto torna ad essere uno strumento di espressione indi- pendente e a basso costo. Ma anche i Super8 del francese Philippe Cote incentrati “sui temi del corpo, della ma teria, della luce e del colore con tecniche che vanno dal cinema senza cinepresa alla pittura su pellicola”; quelli della tedesca Helga Fander, regista che posa il suo sguardo poetico, curioso e intenso sulla realtà, trasfigurandola. Ed anche i Super8 dell’olandese Jaap Pieters, artista noto come “L’occhio di Amsterdam” che filma spesso dalla finestra del suo appartamento.

Quest’anno vi è stata la proposta di Giu- seppe Baresi e del canadese John Porter. Il primo è un autore che da trent’anni trova nel Super8 la possibilità di un esercizio ine- dito dello sguardo, di una pratica di concen- trazione e di meditazione sullo spazio e sul tempo filmico. Che esprime in un taccuino-diario: appunti di viaggio e taccuini visivi gi- rati dal 1984 al 2015. Alla Mostra di Pesaro sono state proiettate opere che riguardano gli anni 1983-1984 quando il regista affron- tò con un’auto R4 il deserto algerino. Sull’uso del Super8, che è il suo vero amo- re, ha dichiarato: “Il Super8 è una forma di cinema libero, il fatto che una bobina duri 3 minuti ti invita a una maggiore concen- trazione di sguardo. Il Super8 si avvicina alla poesia, a un sogno in diretta, nascono delle cartoline”. Nell’operato del canadese Porter vi è da una parte una scelta/ricerca di un Cinema personale e dall’altra una scelta politica e premeditata in opposizione all’industria cine matografica e a favore di quello che ancora

Paolo Micalizzi

Jaap Pieters

Un’immagine tratta da un film Super 8 di Giuseppe Barresi.

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oggi si chiama “$50 budget film”: l’obiettivo è di essere autore a tutto campo, indipen- dente per tutto il processo creativo onde potere avere la possibilità di una rappre- sentazione completa della propria visione artistica del mondo. Produzione audiovisiva italiana a bassissi- mo budget, extra-industriale, opere prime e inedite, nella nuova Sezione “Visioni per il cinema futuro”, curata da Anthony Ettorre, Anna Maria Licciardello, Mauro Santini e Gianmarco Torri. Sono opere che spesso non vengono mostrate perché non rien- trano nelle categorie imposte da un Concor so, da un formato, da una durata, da una modalità produttiva. Sono stati presentati un documentario a sfondo naturalistico come “Parco Lambro” di Federico Gariboldi, Francesco Martinaz- zo, Giulio Savorani e Martina Taccani, lavori sperimentali come “The Eternal Melancholy of the Same” di Teresa Masini o l’opera collettiva “Adagio Jean Jaurès”, realizzata esclusivamente con fotografie, che riprende le ultime parole di Cristo.

Ma anche “Guida al (lento/violento) lavoro” di Matteo Arcamona, ritratto di una genera- zione senza lavoro, correlato da una pro- fonda riflessione sulla noia e la pigrizia, e “Le 5 Avril Je me tue” di Sergio Canneto che prende spunto dall’ultima frase scritta da Cesare Pavese. Uno sguardo al passato con “Critofilm. Cine ma che pensa il cinema” con la retro- spettiva, a cura di Adriano Aprà, sui film sul Cinema. Un “genere” che esiste fin dal Ci- nema muto e che ha ripreso vita dagli anni Sessanta, a partire dalla famosa serie fran- cese “Cinéastes de notre temps” (1964), curata da Janine Bazin e André S. Labarthe. Ad accompagnare la proiezione dei film un e-book, il primo pubblicato dalla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, ed una tavola rotonda in cui è stato sottolinea- to come il critofilm non sia la storia della lavorazione di un processo creativo, ma la descrizione di un modo di vedere. Molte le opere proiettate, tra cui “Il cinema di Pasolini (appunti per un critofilm)” realiz- zato nel 1966 da Maurizio Ponzi che nel presentarlo alla Mostra di Pesaro ha sottolineato come si sia trattato di un’avven tura produttiva rocambolesca. Il suo, che può essere considerato il primo critofilm italiano, è un vero e proprio saggio di cri- tica cinematografica, realizzato con gli stes- si stilemi pasoliniani. Sullo scrittore-regista e poeta, “Le ceneri di Pasolini” (1993), di Pasquale Misuraca, un efficace autoritratto di Pier Paolo Pasolini

John Porter e un frame tratto da un suo film Super 8.

Una fotografia tratta dall’opera collettiva “Adagio Jean Jaurès”.

Sergio Canneto

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fortemente caratterizzato da un andamento e una strutturazione soggettiva, poetica. Ma sono state proiettate anche opere su Michelangelo Antonioni, Marco Ferreri, Lu- chino Visconti, Jean-Luc Godard, Carl Th. Dreyer, Orson Welles, Roberto Rossellini, Glauber Rocha, Jean Epstein e sul cinema sperimentale dell’inglese Stephen Dwoskin. Interessante per la conoscenza del Cinema corto, la rassegna non competitiva, curata da Pierpaolo Loffreda, dedicata ai cortome- traggi italiani di Cinema d’animazione: ha consentito di conoscere nuovi talenti del settore. Ed omaggio della Mostra a Virgilio Villoresi (molto attivo nel campo della pubblicità e realizzatore della sigla e manifesto della Mostra di Pesaro), che s’ispira al Cinema sperimentale dei grandi Maestri.

Omaggio della Mostra al regista algerino Tariq Teguia: dai primi cortometraggi degli anni ’90 ai quattro lungometraggi realizzati a partire dal 2006. Si è cosi avuto modo di approfondire un Autore che realizza un Ci- nema conflittuale e politico in rivolta perma- nente tra Cinema di ricerca e ricerca di Cinema che trova riferimento in Jean-Luc Godard. Ma anche al Cinema russo attra- verso “Sguardi femminili”, a cura di Giulia Marcucci, che continua a far conoscere e capire i fermenti culturali delle ultime gene- razioni. Un evento speciale ha riguardato la pro- iezione del cortometraggio “Queen Kong” di Monica Stambrini, facente parte del pro- getto “Le ragazze del porno”, che segna, secondo i promotori, l’ingresso della creati- vità femminile nel cinema porno, finora dominato dalla presenza maschile; un’ope- razione, secondo la Stambrini che può dare vita a nuove forme di narrazione. Sarà tutto da verificare.

Un’inquadratura tratta dal film “Le ceneri di Pasolini”, di Pasquale Misuraca.

Virgilio Villoresi impegnato nella ripresa di un oggetto da animare.

Tariq Teguia

Jean-Luc Godard

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Ben più interessante invece l’Evento “Ro- manzo popolare. Nar- razione, pubblico e storie del cinema italia no degli anni Duemi- la”, accompagnato da un volume delle edi- zioni Marsilio, a cura di Pedro Armocida e Laura Buffoni, che comprende numerosi saggi di esperti e stu-

diosi: un libro da leggere. Per “Romanzo popolare” vi è stata la riproposta di alcune opere, con lo scopo di mettere a confronto alcuni film relativi ad alcuni “generi” del Cinema italiano. Un’operazione, quella della Sezione e del volume, secondo il Direttore Artistico della Mostra, che intende approfondire il cam- biamento dello storytelling nel Cinema italiano. Punto di forza della Mostra, il Concorso “Pesaro Nuovo Cinema - Premio Lino Mic- cichè”, i cui premi vengono attribuiti da una Giuria composta da studenti prove- nienti dalle università e dalle principali scuole di Cinema. Quest’anno erano sedici ed erano coor- dinati dal regista Roberto Andò. Ad essere premiato come miglior film “Les Ogres” della francese Léa Fehner con la seguente motivazione: “Per raccontare con efficacia le molteplici sfumature della vita, che pren- dono forma nella rappresentazione di un variopinto microcosmo; per la sua narrazio- ne acrobatica e d inamica che avvolge lo

spettatore in un girotondo di note, colori ed emozioni; per l’incisività dei dialoghi che restituiscono la malinconia dell’esistenza; per farsi specchio sognante dell’essenza artistica della natura umana”. Il film, che ha ricevuto anche il Premio del Pubblico, deliberato dagli spettatori del “Cinema in Piazza”, ha per protagonista la vivace compagnia del Davai Théatre, che viaggia di città in città, evidenziando legami famigliari, amori e amicizia in una situazio- ne tra la finzione del palcoscenico e la vita reale. La Giuria ha anche assegnato due men- zioni speciali: a “Per un figlio” di Suranga Deshapriya Katugampala, film, di produ- zione italiana, sul rapporto tra una madre e un figlio, di origini cingalese, che vivono in Italia, e a “David” del cecoslovacco Jan Tesitel incentrato su un giovane affetto da disturbo mentale che a seguito di una vita famigliare insostenibile fugge in una grande città con pochi soldi in tasca, ma fuori dal protettivo ambiente domestico si troverà a sperimentare una solitudine ancora più profonda. Anche quest’anno, nella nuova Direzione Artistica assunta l’anno scorso da Pedro Armocida, la Mostra ha mostrato vitalità ed interesse verso un Cinema legato alle for- me più innovative e di ricerca del lin- guaggio cinematografico contemporaneo.

Un frame tratto dal film “Les Ogres” della francese Léa Fehner.

Léa Fehner

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ADDIO A DUE PIONIERI DELLA FEDIC

di Paolo Micalizzi

La FEDIC ha perso due Autori importanti che danno prestigio al la sua Storia. Ad una quindicina di giorni di distanza sono scom- parsi, infatti, Giusep- pe Ferrara e Corrado Farina che nella FE- DIC avevano mosso i loro primi passi, inse-

rendosi poi autorevolmente nella Storia del Cinema Italiano. Beppe Ferrara con i suoi film d’impegno so- ciale e politico, Corrado Farina con i suoi film di genere. Il toscano Beppe Ferrara (come da tutti era amichevolmente chia- mato), esordì nel 1955 come autore del Cineclub Siena. Realizzò il documentario “Mercato”. Ebbe poi successo con la fiction “L’amata alla finestra”, tratta da Corrado Alvaro, che fu subito premiata ai Festival di Montecatini, Olbia, Salerno.

Nel frattempo, Beppe Ferrara si distingue nell’ambito della critica con la collaborazio- ne ad alcune riviste cinematografiche (ne fonda anche una, “Filmselezione”, insieme a Carlo Di Carlo), e con la pubblicazione di alcuni volumi, che nel tempo si sono rivelati dei veri punti di riferimento: “Il nuovo cinema italiano” (1957), “Luchino Visconti” (1961), “Francesco Rosi” (1970), che con- servo con interesse insieme all’ultimo dedi- cato alla regia cinematografica che, per le sue qualità, ha avuto diverse edizioni: s’intitola “Manuale di regia”. Nel 1970, il suo esordio nel lungometrag- gio con “Il sasso in bocca”, dopo la realiz- zazione di alcuni documentari (in com- plesso, nella sua carriera ne ha realizzati un centinaio e costituiscono uno sguardo approfondito sulla realtà italiana in cui sot- tolinea problematiche sociali e politiche, soprattutto del Sud), e la collaborazione, nel 1963, a “I misteri di Roma” realizzato da 15 giovani registi coordinati da Cesare

Paolo Micalizzi

Giuseppe Ferrara

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Zavattini, ognuno dei quali ha realizzato un’opera di 7 minuti per comporre un ritrat- to-inchiesta su una giornata a Roma. “Il sasso in bocca” ancora oggi è uno dei film più importanti sulla mafia siciliana che qui viene denunciata chiaramente nelle sue connivenze con il potere politico. Un’o- pera tra il documentario e la fiction, uno stile che caratterizzerà altre sue opere come “Faccia di spia” (1975), sull’intervento della CIA in alcuni avvenimenti storici impor tanti e “Panagulis zei” (“Panagulis vive”, 1977), che ricostruisce le vicende politiche e umane del poeta greco. Con “Cento giorni a Palermo” del 1984, Beppe Ferrara riprende il suo discorso sul- la mafia, occupandosi in particolare dell’as- sassinio del Generale Della Chiesa e con- tinuando a parlare di lati oscuri della Storia, soprattutto italiana; cosa che prosegue, in modo particolare, con “Il caso Moro” (1986), “Giovanni Falcone” (1993), ”Segre- to di Stato” (1995), “I banchieri di Dio-Il caso Calvi” (2002), “Guido che sfidò le Bri- gate Rosse” (2005). Beppe Ferrara ha partecipato più volte alle iniziative FEDIC sia presentando suoi film, relazionando a Convegni o facendo parte

della Giuria, soprattutto a “FilmVideo” o a ”Valdarno Cinema Fedic”. La sua presenza al festival di San Giovanni Valdarno la ricorda lui stesso in una Testimonianza che gli avevo chiesto per il volume “Venti anni di Festival”, curato dal compianto Marino Borgogni. Quell’anno, era il 1998, lo avevo invitato come Presidente di Giuria e in suo omaggio proiettammo “Il caso Moro”. ”Era un momento, sottolinea, in cui ‘Il caso Moro” era nel pieno di una bufera di polemiche e di attacchi (anche da sinistra), e tuttavia ricordo l’incontro con il pubblico del Festival (e con i giornalisti, in una apposita conferenza stampa alla quale partecipò anche una delle interpreti del film) come evento vivace e reattivo, tutt’altro che di routine. Credo che questa sia una delle caratteristiche più evidenti della manifestazione, confermatami negli anni che seguirono, dalla mia partecipazione in Giuria o in un convegno sulle scuole di cinema: essere un Festival di movimento, di confronto culturale, di apertura”. E ricorda anche “con grande piacere” gli in- contri che aveva potuto avere con Giu- seppe De Santis (proprio poco tempo prima che ci lasciasse) e con Gillo Pontecorvo, del quale aveva potuto rivedere “Quei- mada” che in passato aveva sottovalutato.

Giuseppe Ferrara

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Con Beppe Ferrara avevo un rapporto per- sonale che mi ha portato a frequentarlo in tante occasioni, iniziative da me organiz- zate o alle quali partecipavo come giorna- lista. L’ultima è stata nel 2013 al “Vasto- FilmFestival” dove presentò il suo documen tario “L’aeroporto fantasma” (2009). E già allora aveva problemi di salute e di soprav- vivenza, tanto che nel 2013 dovette chiede- re la “Legge Bacchelli” che ottenne l’anno successivo grazie ad una giusta mobilita- zione di tante Associazioni cinematogra- fiche e culturali che lo stimavano, tra cui, con un’adesione rilevante, quella dei Soci della FEDIC. Corrado Farina, esordisce anche lui nel cinema come autore FEDIC, dopo essersi dedicato insieme al compianto Gianni Rondolino alla gestione del CUC (Centro Universitario Cinematografico), e alla nasci ta della collana “Centrofilm” per la quale scrive due monografie dedicate rispettiva- mente a Ingmar Bergman e Frank Capra. Dal 1959 al 1968 realizza numerosi film in 8 millimetri esordendo con “Tra un bacio e una pistola” e partecipando per la prima volta al Concorso di Montecatini con “Camera ammobiliata” (1962), sotto l’egida del Cineclub Regina Margherita di Torino, che ottenne il 1° Premio FEDIC nella categoria “Soggetto”. Tante altre le sue opere in 8 millimetri che successivamente hanno partecipato al massimo Concorso Nazionale FEDIC, oltre a quelle realizzate nell’ambito del Passo Ridotto.

Tra esse, è da ricordare “Si chiamava terra” (1964), che ha avuto tanti premi ed in parti- colare si affermò al Festival International du film amateur di Cannes 1965. Di tutte que- ste opere ne parla lui stesso nel libro pubblicato recentemente dal titolo “Attra- verso lo schermo” (edizioni “Il foglio lette- rario”, 2016), di cui consiglio la lettura per poter conoscere una persona, come scri- ve Davide Pulici nella Rivista “Nocturno” di cui Corrado Farina era collaboratore con la Rubrica “Sfarinature”, in cui “Le immagini in movimento e la riflessione, il processo creativo che le ha come oggetto, è stato un filo rosso per tutta la vita di Farina, che ha pensato e continua a pensare, immaginare, elaborare, strutturare, ordinare, scrivere come se si trattasse, sempre, di girare un film”. Mentre realizzava quei film Corrado Farina scrive e dirige, dal 1963 al 1968, quasi 500 fra Caroselli e altri spot pubblicitari. Trasferitosi da Torino a Roma, a partire dagli anni settanta scrive e dirige molti documentari (una ventina per il circuito cinematografico, altri di carattere

Corrado Farina

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industriale o istituzionale per il LUCE, per la C.E.I. e per la Presidenza del Consiglio dei Ministri). Dopo due esperienze di aiuto–regia (con Dacia Maraini per “Amore coniugale” (1970), e con Gian Vittorio Baldi per “La notte dei fiori” (1971), scrive e dirige due lungometraggi: “Hanno cambiato faccia” (1971), che vince il Pardo d’Oro al Festival Internazionale di Locarno e “Baba Yaga” (1973), tratto da una storia a fumetti di Guido Crepax.

Voleva realizzare “Un posto al buio”, variazione moderna in chiave noir del celebre “Il fantasma dell’Opera”, scritto da Gaston Leroux, ma il progetto non andò a termine: diventerà invece un romanzo. Come altri, di cui parla nella sua autobio- grafia “Attraverso lo schermo” (dove dà conto anche dei servizi televisivi realizzati, dei suoi romanzi e dell’amore per i fumetti), la cui lettura rivela un uomo per il quale il Cinema aveva una grande importanza. E tutto era partito da un’esperienza cineama- toriale FEDIC, una Federazione dove in molti lo ricordano per il suo carattere affabile e ironico e la sua grande qualità di Autore.

Ely Galleani in una inquadratura tratta dal film “Baba Yaga”.

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