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ISTITUTO DI STUDI E ANALISI ECONOMICA Rapporto ISAE Finanza pubblica e Istituzioni Giugno 2009

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ISTITUTO DI STUDI EANALISI ECONOMICA

Rapporto ISAE

Finanza pubblicae Istituzioni

Giugno 2009

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“ RAPPORTO ISAE ” - Registrazione del Tribunale di Roma n° 136/2005 dell’11 aprile 2005Direttore Responsabile: prof. Alberto MajocchiISTITUTO DI STUDI E ANALISI ECONOMICA

ISAE - Roma - Piazza dell’Indipendenza, 4 - 00185

STAMPATO PRESSO LA SEDE DELL’ISTITUTO - giugno 2009

Il Rapporto è frutto del lavoro collettivo di un gruppo di ricercatori dell’ISAE coordinati daMaria Cristina Mercuri. In particolare, i testi sono stati redatti da:

Capitolo 1 - Maria Gabriella Briotti, Maria Cristina Mercuri;

Capitolo 2 - Federico Biagi (Università di Padova), Alessandro Fontana (Confindustria);

Capitolo 3 - Francesco Longo (CERGAS; Dipartimento di analisi istituzionale emanagement pubblico, Università Bocconi), Fabrizio Tediosi (CERGAS;Dipartimento di analisi istituzionale e management pubblico, UniversitàBocconi);

Capitolo 4 - Amedeo Argentiero, Marco Felici, Maria Cristina Mercuri, Daniela Monacelli(Banca d'Italia, Ministero dell'Economia e delle Finanze);

Capitolo 5 - Aldo Gandiglio;

Capitolo 6 - Luisa Sciandra;

Capitolo 7 - Emanuela Tassa.

Le opinioni espresse nei contributi degli autori esterni all'ISAE non sono ascrivibili airispettivi enti di appartenenza.

Si ringrazia Roberto Rucci per l’assistenza nell’elaborazione dei dati estratti dai Certificatidel conto di bilancio dei Comuni, utilizzati per le analisi svolte nei capitoli 4 e 6.

Si ringrazia inoltre Giuseppina Marasca per l’assistenza prestata.

La composizione editoriale è stata curata da Maurizio Brioni e Loredana Tesei dell’Area“Servizi editoriali e grafici” dell’Istituto, diretta da Silvia Fanfoni.

Il Rapporto è stato chiuso con le informazioni disponibili al 9 giugno 2009.

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INDICE

Introduzione e sintesi .................................................................................................. vii

1 Principali elementi della legge delega sul federalismo fiscale1.1 Introduzione ..........................................................................................................11.2 Principi e criteri direttivi dei decreti legislativi ....................................................31.3 Classificazione delle spese ...................................................................................41.4 Finanziamento della spesa e criteri della perequazione ........................................61.5 Sistema di coordinamento della finanza pubblica ..............................................111.6 Elementi critici di discussione e opportunità ......................................................161.7 Ricognizione delle fonti informative ..................................................................251.8 Conclusioni .........................................................................................................28Riferimenti bibliografici ............................................................................................29

2 Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime2.1 La legislazione in materia di attuazione del federalismo fiscale

per l’istruzione ....................................................................................................31Riquadro: La bozza di intesa Stato-Regioni .......................................................38

2.2 La funzione di costo standard e il fabbisogno standard ......................................412.3 Le problematiche connesse alla quantificazione dei fabbisogni standard ..........442.4 La metodologia ...................................................................................................462.5 Risultati ...............................................................................................................562.6 Conclusioni .........................................................................................................59 Appendice ..................................................................................................................61Riferimenti bibliografici ............................................................................................76

3 Servizi per la non autosufficienza: un quadro regionale frammentato3.1 Introduzione ........................................................................................................773.2 La frammentazione istituzionale e la spesa per la LTC in Italia ........................793.3 Lombardia, Emilia-Romagna e Sicilia a confronto ............................................843.4 Conclusioni .........................................................................................................94Riferimenti bibliografici ............................................................................................97

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4 Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima dellaspesa standard4.1 Introduzione ....................................................................................................... 994.2 Il cammino del federalismo amministrativo .................................................... 1004.3 Le funzioni amministrative dei Comuni .......................................................... 1014.4 La individuazione delle funzioni fondamentali secondo il nuovo schema

di disegno di legge governativo ....................................................................... 105Riquadro: Lo Schema di disegno di legge proposto dal Governo e trasmesso alla Conferenza Unificata il 20 febbraio 2009 ................................ 106

4.5 Le funzioni fondamentali nella legge delega sul federalismo fiscale .............. 1134.6 L’introduzione del concetto di fabbisogno standard nella normativa italiana in materia di finanza locale ................................................................ 1164.7 La metodologia di calcolo della spesa standard ............................................... 1184.8 La disomogeneità della spesa comunale .......................................................... 1234.9 La stima della spesa standard ........................................................................... 131

Riquadro: Alcuni problemi di dati per la stima della spesa standard dei Comuni ........................................................................................ 134

4.10 La considerazione esplicita della dimensione demografica ............................ 1414.11 Un esempio di stima su base regionale ........................................................... 1494.12 Conclusioni ..................................................................................................... 152Riferimenti bibliografici ......................................................................................... 157

5 Società partecipate dagli Enti pubblici territoriali: una ricognizione economico-finanziaria5.1 Introduzione ..................................................................................................... 1595.2 Problemi definitori, prime quantificazioni e analisi del fenomeno .................. 1625.3 Ulteriori quantificazioni e analisi economico-finanziarie ................................ 1655.4 L’attività di controllo della Corte dei Conti ..................................................... 1795.5 Alcune considerazioni conclusive .................................................................... 184Riferimenti bibliografici ......................................................................................... 186

6 Esternalizzazioni e capitalismo municipale: una analisi sui certificati di conto consuntivo6.1 Introduzione ..................................................................................................... 1876.2 Le “tracce” del capitalismo municipale nei bilanci dei Comuni ...................... 1896.3 L’analisi dei certificati di conto consuntivo ..................................................... 1966.4 Conclusioni ...................................................................................................... 210

Riquadro: Le partecipazioni degli Enti Locali: la normativa di riferimento ... 213Riferimenti bibliografici ......................................................................................... 219

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7 Le modalità di finanziamento degli Enti pubblici territoriali nell'Unione Europea7.1 Introduzione ......................................................................................................2217.2 Il panorama della configurazione amministrativo-territoriale

nell’Unione Europa ...........................................................................................2227.3 Le modalità di finanziamento degli Enti territoriali - cenni alla casistica

della letteratura .................................................................................................2287.4 La perequazione ................................................................................................2487.5 La perequazione nella pratica dei Paesi UE27 .................................................2657.6 Conclusioni .......................................................................................................272Riferimenti bibliografici ..........................................................................................273

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Introduzione e sintesi

Dopo circa otto anni dalla definizione della riforma del Titolo V della Costituzione nelmaggio del 2009 è stata approvata la legge delega sul federalismo fiscale (L .42/2009). Ciò èavvenuto in attesa della definizione del cosiddetto "Codice delle autonomie" e in concomitanzacon la discussione in Commissione Bilancio al Senato del disegno di legge 1397 di riforma dellacontabilità pubblica nonché con l'impostazione della riforma della Pubblica Amministrazione.

Sebbene l'effettiva applicazione dei principi e dei criteri direttivi per l'attuazione dell'articolo119 della Costituzione verrà concretamente formulata nei decreti legislativi a cui rimanda ladelega, si può ritenere un traguardo molto importante il provvedimento appena approvato. Si è,infatti, finalmente concluso un lungo e complesso periodo in cui, nelle diverse legislature che sisono susseguite, i vari tentativi effettuati non sono riusciti a dare una configurazione definitiva aun provvedimento che, giunto ora ad approvazione, avvia una fase in cui sarà gradualmentesuperato il ruolo sostitutivo nella interpretazione delle norme svolto dalla Corte Costituzionalenegli ultimi anni.

Il nuovo assetto dei rapporti tra centro e periferia che la riforma costituzionale ha delineato,grazie alla appropriata assegnazione di competenze e risorse che si attende dal combinato delladelega sul 119 con un nuovo "Codice delle Autonomie", dovrebbe consentire miglioramenti diefficienza del settore pubblico.

Oltre che sul necessario abbandono del sistema di finanza derivata e sull'attuazione dimargini adeguati di autonomia di entrata e di spesa agli Enti decentrati, le norme recentementeapprovate focalizzano l'attenzione sul punto fondamentale costituito dal superamento del criteriodella spesa storica in favore di quello dei fabbisogni standard.

Assai rilevanti appaiono, quindi, la determinazione di costi, spesa e servizi standard el'individuazione di percorsi dinamici di convergenza da stabilire nei Patti annuali, checostituiscono gli elementi di maggiore portata innovativa ma anche di più complessarealizzazione. Alcune norme possono anzi ritenersi difficilmente attuabili senza un grande saltodi qualità nella disponibilità di informazioni, finalizzate anche alla costruzione di indicatori diefficienza e di adeguatezza.

La standardizzazione dei fabbisogni, se da un lato potrà indurre una maggiore efficienza nelprocesso produttivo della pubblica amministrazione, dall'altro molto probabilmente implicherà -se non un incremento delle spese - una riallocazione riequilibratrice di risorse dal Nord al Sud del

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Paese dovuta alla implementazione di una progressiva omogeneizzazione nei livelli di servizioofferti.

In tale quadro, viene architettato un sistema di nuovi organi (Commissioni, Conferenze eComitati) con compiti rilevanti - dal punto di vista tecnico nonché da quello politico - sia per ladefinizione dei decreti legislativi che per lo svolgimento della fase transitoria di attuazione deglistessi.

Nel sistema di governance che si va prospettando sarà soprattutto necessaria la lealecollaborazione tra i livelli di governo, principali attori del decentramento, che dovrebbe consentireil passaggio da una situazione di condizionamento reciproco a una di stretto coordinamento tracentro e periferia, con il superamento dello schema che ha spesso combinato norme rigideimposte dall'alto con mancanza di trasparenza e vincoli di bilancio non rigidi per il sistema delleAutonomie.

Alla condivisione degli obiettivi dovranno ora essere associati con maggiore intensitàinformazione, benchmarking, responsabilizzazione.

In tale contesto, il presente Rapporto indaga su temi di rilevanza e particolare attualità,connessi alle problematiche dell'attuazione della legge delega sul federalismo fiscale.

Il lavoro si articola in sette capitoli.

Il primo capitolo apre il Rapporto illustrando i principi generali di delega e gli elementicostitutivi della legge n. 42/2009 approvata lo scorso 5 maggio. Dopo un lungo periodo diapprofondimento dei temi del federalismo fiscale negli ambienti istituzionali e accademici, si ègiunti a dare una definizione operativa ai principi generali espressi e condivisi con tutti i livelli digoverno che i decreti legislativi, da adottare nei ventiquattro mesi previsti per l'esercizio delladelega, provvederanno ad attuare con l'emergere di possibili nuovi contrasti.

I criteri generali di delega prevedono - come ricordato - il graduale superamento del criteriodella spesa storica in favore del criterio del fabbisogno standard (con riferimento ai livelliessenziali delle prestazioni - LEP - e alle funzioni fondamentali) a cui ancorare il finanziamento.Garantendo i principi di solidarietà e di coesione sociale, è prevista una perequazione dellerisorse di tipo verticale per la copertura integrale di voci di spesa particolarmente tutelate e percompensare le minori capacità di finanziamento sul territorio. L'andata a regime delladevoluzione richiederà un periodo di tempo quantificato in cinque anni. In particolare,definizione, quantificazione ed attuazione effettiva dei LEP richiederanno un processo lungo ecomplesso, da svolgere con gradualità (anche se differenziata a seconda delle materie) e in unquadro di cooperazione tra livelli di governo.

Alle Regioni - in relazione anche all'ampliamento dei loro bilanci in conseguenzadell'attuazione del federalismo - dovrà essere richiesto uno sforzo reale di armonizzazione neiprincipi contabili, anche ai fini della indispensabile e non più rinviabile costruzione del complessosistema informativo da condividere tra livelli di governo, verso il quale dovranno

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Introduzione e sintesi

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necessariamente essere indirizzate risorse aggiuntive. Allo stesso tempo, andranno definite lemodalità di decisione nelle sedi di coordinamento della finanza pubblica individuate e dovràessere specificato dettagliatamente il ruolo delle Regioni nell'ambito della finanza comunale.

L'obiettivo del processo è di accrescere l'autonomia finanziaria degli Enti territoriali, incollegamento a corrispondenti ampliamenti della responsabilizzazione decentrata e con laprosecuzione del risanamento delle finanze pubbliche, in un contesto di incremento di efficienza.A tal fine gli Enti decentrati dovrebbero poter disporre di una significativa possibilità di manovrasulle entrate per finanziare prestazioni addizionali rispetto a quelle standard o disavanzi nonprevisti. Come del resto mostra l'esperienza internazionale in cui, come è emerso anche darecenti analisi - sia di natura descrittiva sia di tipo econometrico - effettuate dall'ISAE, è evidenteche si sono verificati migliori rendimenti fiscali, nel senso di migliori rapporti deficit/PIL, per ipaesi che hanno decentralizzato la spesa in concomitanza di una devoluzione di capacitàimpositiva. Tuttavia, data l'entità della spesa da decentrare è prevedibile un ampio ricorso allecompartecipazioni al gettito dei tributi erariali, che però non implicano autonomia impositiva, inquanto gli incassi introitabili a livello regionale dipendono dalle scelte del governo centrale sualiquote e base imponibile. In tal caso, si disporrebbe, dunque, a livello territoriale della solaautonomia finanziaria sul come spendere un dato ammontare di risorse. Tra i principali tributi chedovranno assicurare la copertura dei servizi relativi alle funzioni.

Fondamentali dei Comuni, la delega elenca esplicitamente l'imposizione immobiliare conesclusione della tassazione patrimoniale sull'unità immobiliare adibita ad abitazione principaledel soggetto passivo. La detassazione della prima casa - prima disposta parzialmente dallenorme della legge finanziaria per il 2008 e poi totalmente da quelle del decreto legge 93 del 2008- costituisce una anomalia nel sistema del finanziamento comunale dei paesi europei. Conriferimento a quanto enunciato nella delega in via generale, quando si prevede l'attribuzione aiComuni di tributi o parti di tributi già erariali o la trasformazione di tributi comunali già esistenti, sideve escludere l'ipotesi della istituzione di un tributo unico sugli immobili. Risulterebbe assaicomplesso riunire in unica imposta fonti di entrata molto differenti.

Le imposte sui trasferimenti immobiliari (registro, successioni e donazioni, ipotecarie ecatastali, IVA), la TARSU (o TIA) e l'imposizione sui redditi fondiari sono infatti caratterizzate daimponibili, soggetti passivi, metodi di calcolo e di funzionamento nonché finalità assai diversi.

L'aumentato ruolo delle Regioni che la delega prospetta, oltre a essere in linea con la teoriadel federalismo fiscale, è giustificato dalle maggiori conoscenze del territorio e dei fenomenilocali delle stesse Regioni e, per certi aspetti, dalle notevoli e ricorrenti difficoltà che da semprelo Stato ha incontrato nel definire schemi di perequazione comunale. Il maggior coinvolgimentodelle Regioni deve tuttavia esplicarsi nel rispetto dell'autonomia dei Comuni e delle Province,garantendo un loro forte coinvolgimento, con esclusione di rapporti gerarchici e grazie ad accordiinterni e meccanismi partecipativi.

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Nella gestione del decentramento di funzioni e risorse non si potrà prescindere dal farriferimento agli obiettivi complessivi di bilancio prospettati in sede europea e ai vincoli sui saldi,centrali e territoriali, e sulla pressione fiscale, centrale e locale, connessi a tali obiettivi ed indicatinei documenti programmatici del Paese. I comportamenti delle Autonomie locali non devonocontrastare infatti con le direttive generali in termini di andamento della spesa dell'intera PA o diobiettivi circa la pressione fiscale. Si dovrebbe arrivare a prospettare, all'interno del DPEF, nonsolo un conto consolidato delle Amministrazioni locali ma anche delle Regioni, delle Province edei Comuni, rispettivamente nel loro complesso. Da qui anche si alimenta la necessità di un fortecoordinamento. In tale ambito, la regionalizzazione del Patto di stabilità interno (PSI) potrebbepermettere di superare alcuni aspetti critici e la eccessiva rigidità mostrata dal Patto stesso neisuoi ormai dieci anni di applicazione. L'adattamento regionale del PSI potrebbe aumentare laflessibilità del sistema consentendo di limitare la restrittività di un vincolo uguale per enti diversi epotrebbe crearsi lo spazio per un ruolo regionale di coordinamento per la programmazione degliinvestimenti sul territorio, con possibile reintroduzione della golden rule, in linea con i dettami delTitolo V della Costituzione all'articolo 119, tramite la fissazione di un livello di deficit in contocapitale concordato tra centro e periferia. Il maggior ruolo della Regione potrebbe forse fornirel'opportunità per includere nel Patto gli enti con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, la cuispesa è comunque di un certo ammontare e che hanno mostrato spesso comportamenti nonrigorosi.

Il secondo capitolo fornisce una interpretazione della normativa sull'attuazione delfederalismo fiscale in materia di istruzione e delinea una metodologia per giungere alladeterminazione dei fabbisogni standard regionali di cui si forniscono alcune stime preliminari.

In particolare, la legge delega appena approvata garantisce la copertura del fabbisognorelativo a due tipologie di spese: quelle per lo svolgimento delle funzioni amministrative giàesercitate dalle Regioni e quelle che derivano dalle nuove funzioni attribuite alle Regioni sullabase di un intesa Stato-Regioni. Le prime si riferiscono a: assistenza scolastica,programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale,programmazione della rete scolastica, determinazione del calendario scolastico, contributi allescuole non statali, oltre alle funzioni amministrative derivanti dall'esercizio della competenzalegislativa integrativa o di attuazione di leggi statali. Le seconde, le nuove funzioni attribuite alleRegioni, si riferiscono alla competenza in materia di attribuzione del personale e delle "risorseeconomiche e strumentali" alle istituzioni scolastiche sulla base dei principi generali fissati dalloStato. A questo fine dovrebbe essere trasferito dallo Stato il personale degli Uffici scolasticiregionali. L'attuazione della legge 42/2009, quindi, richiede la determinazione dell'ammontare dirisorse finanziarie standard da assegnare alle Regioni (partendo da quelle sinora a carico delleRegioni e da quelle sinora assegnate dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricercaalle singole istituzioni scolastiche) ma soprattutto la determinazione della dotazione di personale

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Introduzione e sintesi

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da attribuire alle Regioni (sia il personale scolastico, docente e non docente, sia il personaledegli uffici scolastici regionali). La determinazione del personale, soprattutto docente, daassegnare alle Regioni appare la questione più rilevante, in termini di risorse coinvolte ed è suquesta che si concentra l'analisi contenuta nel capitolo.

La dotazione di risorse dovrebbe essere determinata in modo da garantire ilsoddisfacimento dei livelli essenziali delle prestazioni. Questi possono essere misurati in terminidi output, e cioè di apprendimento, oppure in termini di input, cioè sulla base delle principalivariabili in grado di influenzare l'apprendimento. Nel primo caso, il soddisfacimento dei livelliessenziali implica che alle diverse Regioni debbano essere attribuite risorse in modo tale che illoro utilizzo efficiente garantisca a qualunque cittadino di ottenere un livello standard diapprendimento definito a livello centrale. Nel secondo caso, invece, lo Stato si limita a garantirel'equalizzazione degli input del processo. Il legislatore italiano sembra aver optato per la secondadefinizione e questa scelta sembra giustificabile alla luce del fatto che, in Italia, non esiste unsistema di valutazione degli apprendimenti (a parte gli esami) anche se sono evidenti i limiti ditale approccio. D'altra parte, se l'apprendimento rientra tra i diritti civili e sociali di cui all'art 117comma 2 lettera m) Cost., su cui lo Stato ha competenza esclusiva, è evidente che l'intervento diquest'ultimo non si può limitare a definire semplicemente gli input del processo, ma devedirettamente o indirettamente, intervenire anche sugli altri fattori che determinano l'efficaciadell'apprendimento.

Per la determinazione del fabbisogno standard di personale docente è stato utilizzato ilmetodo econometrico a partire dai dati storici che è stato preferito al metodo "ingegneristico",poiché quest'ultimo non consente di tenere conto di una serie di aspetti tra cui le caratteristiche ela distribuzione territoriale delle strutture scolastiche, come queste si combinano con ladistribuzione degli alunni e la normativa sulla mobilità del personale. La soluzione miglioresarebbe comunque quella di utilizzare l'intero patrimonio informativo disponibile presso ilMinistero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca che garantirebbe la costruzione distandard svincolati dal dato storico. Al momento però, la metodologia con cui si determinanoannualmente le dotazioni regionali di personale utilizzata dal Ministero replica quasiintegralmente i valori storici. Nel lavoro è presentata una metodologia che si articola in diversefasi. Prima si stima il numero di alunni per classe sulla base dei dati disponibili, riferiti all'annoscolastico 2007/2008, in funzione delle variabili esplicative che tengono conto sia dellacaratteristiche orografiche e socio economiche dei territori sia delle peculiarità relative allaformazione delle classi (ad. es. la presenza di alunni disabili) prescritte dalla normativa sui criteridi formazione delle classi come in grado di giustificare differenze nel numero di alunni perclasse. Successivamente, si utilizza il valore atteso stimato del rapporto alunni/classi, comestandard. Sulla base della consistenza degli alunni si costruisce il numero di classi che sisarebbero avute qualora il rapporto alunni/classe fosse stato pari a quello standard. Poiché lalegislazione pone dei vincoli piuttosto rigidi rispetto al rapporto che deve intercorrere tra classi e

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docenti (anche se diversi fattori rendono variabile a livello territoriale questo rapporto), èpossibile generare una stima del numero di docenti necessaria a garantire la copertura delservizio alla popolazione scolastica in ogni regione. Nel lavoro sono evidenziati risultati diversi aseconda del metodo utilizzato per stimare il rapporto alunni/classi (frontiere stocastiche, OLSbasata sulla regione più virtuosa e OLS basata sulla regione mediana) e dei parametri utilizzatiper determinare il numero dei docenti partendo dalle classi. In termini di risorse da attribuire alleregioni, le tre stime forniscono un risultato molto simile. L'ordine (il rango) delle regioni cheguadagnano e perdono, aggregando il personale dei diversi ordini di scuola, è molto simile tra lediverse stime: le prime tre regioni che perdono sono sempre Calabria, Basilicata e Sardegna;Friuli e Piemonte vengono subito dopo anche se non hanno le stesso ordine nelle tre stime. Leregioni che guadagnano, o perdono meno, sono Marche ed Emilia Romagna, seguite da Liguria,Abruzzo e Umbria, anche se l'ordine non è sempre lo stesso.

Per quanto riguarda il fabbisogno di docenti di sostegno, Abruzzo, Lazio, Umbria,Lombardia, Molise, Veneto e Friuli sono le regioni che vedrebbero aumentare l'assegnazione dipersonale con il criterio di un docente ogni due alunni disabili. A perdere sarebbero Basilicata,Sicilia, Puglia, Liguria, Calabria, Campania e Toscana.

Il terzo capitolo si occupa di un altro settore che dovrebbe veder determinare i fabbisognistandard. Si tratta in particolare dei servizi riconducibili a quella che viene generalmente definita,con la terminologia anglosassone, Long Term Care (LTC). La LTC comprende tutti gli interventidi natura sanitaria o assistenziale a favore delle persone anziane e/o disabili non autosufficienti,cioè non in grado di compiere, con continuità, gli atti quotidiani della vita senza un aiuto esterno.L'area socio-sanitaria e assistenziale del sistema di welfare italiano sta assumendo unarilevanza crescente per via dell'aumento della domanda di prestazioni per le persone nonautosufficienti e per gli anziani in generale, dovuto sia alle dinamiche demografiche in atto(l'invecchiamento della popolazione e il cambiamento della struttura delle famiglie) sia aicambiamenti socio-economici (l'incremento della partecipazione femminile al lavoro) e culturali.

L'Italia è uno dei paesi europei in cui la popolazione sta invecchiando maggiormente, pervia del rallentamento nei tassi di fertilità e dell'aumento dell'aspettativa di vita. Nel 2007, quasi il20% della popolazione italiana aveva 65 o più anni mentre gli ultraottantenni erano il 5,3%(l'indice di vecchiaia in Italia nel 2007 era pari a 1,41). Le stime dell'ISTAT indicano che nel 2050gli ultra sessantacinquenni arriveranno ad essere il 33% della popolazione e gli ultraottantenni il13,5 per cento.

Mentre si discute molto sulla sostenibilità economica del Servizio Sanitario Nazionale(SSN) e della spesa sanitaria in generale, vi è poca attenzione sull'evoluzione e sull'impattoeconomico dei servizi socio-sanitari e assistenziali che sono, invece, quelli sui qualil'invecchiamento della popolazione ha un impatto maggiore. Infatti, è ormai assodato che i fattorideterminanti della crescita della spesa sanitaria sono principalmente riconducibili all'aumento del

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Introduzione e sintesi

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benessere economico e all'impatto dell'innovazione tecnologica piuttosto che all'invecchiamentodella popolazione, mentre tale fenomeno ha un impatto maggiore sulla domanda e,conseguentemente, sulla spesa, per servizi socio assistenziali. Il settore del welfare è illaboratorio più avanzato del processo di decentramento in corso, sia sul versante sanitario esocio-sanitario (afferente al SSN), sia sul versante socio-assistenziale (afferente ai Comuni). Leeterogeneità riguardano sia la rete dei servizi, sia i modelli istituzionali, sia la natura deiproduttori e i paradigmi di welfare adottati.

La LTC si caratterizza in Italia (ma anche negli altri paesi europei) per l'elevataframmentazione istituzionale, a causa della quale la titolarità e le fonti di finanziamento sonodistribuite fra gli Enti Locali e le Regioni, con modalità differenti in relazione ai modelli istituzionaliadottati dalle singole Regioni. Infatti, gli attori direttamente impiegati nell'erogazione dei servizisociali sono i Comuni, le ASL, le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) e l'INPS, ma nellaprogrammazione e nel finanziamento dei servizi sociali sono coinvolti anche lo Stato, le Regionie le Province. Inoltre, in Italia una quota rilevante della spesa per la LTC è finanziata dallefamiglie in via formale o informale.

Il capitolo si sofferma in particolare su tre Regioni che possono ritenersi paradigmatiche,rilevanti per dimensioni e completamente diverse sia dal punto di vista del mix d'offerta, che deimodelli istituzionali e di welfare sottostanti. Lombardia ed Emilia-Romagna sono due regionisocioeconomicamente avanzate, con una popolazione anziana oltre la media italiana e sistemi diwelfare ricchi. La Lombardia ha privilegiato le strutture protette, mentre l'Emilia-Romagna ladomiciliarità; la prima ha privilegiato la libera scelta del cittadino e la competizione tra i produttori,la seconda la valutazione dei pazienti da parte delle Aziende Sanitarie Locali e il loro inserimentoguidato nella rete dei servizi; la Lombardia ha creato un fondo socio-sanitario ad hoc (finanziatodal SSN), ma separato dal resto della spesa sanitaria e sociale, dedicando un assessorato allepolitiche sociali e familiari; l'Emilia-Romagna cerca di integrare fondi socio-sanitari e socio-assistenziali, anche sfruttando la regia di un unico assessorato. La Regione Sicilia è più debolesia sul versante socio-economico che del welfare. In particolare le strutture socio-sanitarieintermedie (strutture protette, centri diurni, ecc.) sono particolarmente carenti, determinando uneccesso di consumi ospedalieri per i pazienti cronici, con una spesa quindi meno costo-efficace.

L'elemento che caratterizza più profondamente il finanziamento e l'erogazione dei serviziper la LTC in Italia è la mancanza di un disegno organico ed unitario; vi è evidenza di unastratificazione di politiche ancorate ai diversi livelli di governo, senza che vi sia un disegno o unaregia complessiva, né sul fronte del finanziamento, né su quello della pianificazione dei servizi,né su quello del coordinamento delle prestazioni.

In qualche modo stupisce come la LTC rimanga fuori dal dibattito sul federalismo cheattraversa le politiche del Paese. In base alla Costituzione vigente la funzione sociale è giàcompetenza esclusiva delle Regioni e la competenza sanitaria è terreno concomitante tra Stato eregioni, ma la spesa più rilevante per la LTC (l'assistenza INPS) è gestita centralmente dall'INPS,

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senza alcun intervento regionale o di coordinamento con le politiche locali. Questo tema non èmai realmente entrato nell'agenda del dibattito.

Significative sono le differenze inter-regionali che, se possono essere considerate un valoresul piano delle eterogeneità dei modelli istituzionali, necessitano invece di riflessioni rispetto aidifferenziali dei tassi di copertura dei bisogni e degli standard di servizio. Si tratta di decisioni chenon potranno essere adottate indipendentemente dal processo avviato con l'approvazione dellalegge delega sul federalismo fiscale, che si svilupperà nei prossimi mesi.

Sul piano normativo occorre discutere quali debbano essere i diritti individuali esigibili per lacronicità (come sono, ad esempio, oggi i servizi della scuola dell'obbligo) e quali invece siano iservizi da erogare in base alla intensità dei bisogni rispetto a vincoli di bilancio dati (come è oggiconsiderato l'asilo nido: chi esprime un bisogno più intenso ottiene un posto pubblico, gli altrisono esclusi dal servizio). Occorre decidere un livello di copertura del bisogno che i singoliterritori devono offrire, o come quota di spesa pro capite o come percentuale di nonautosufficienti serviti. Inoltre, per ogni categoria di utente, sembra improcrastinabile stabilire deglistandard di servizio di riferimento, rispetto ai quali ogni regione potrebbe offrire poi ulteriori livellidifferenziati.

Il quarto capitolo affronta la questione dell'individuazione delle funzioni fondamentali deiComuni e della stima della spesa standard ad esse connessa. Il processo di individuazione dellecompetenze funzionali degli Enti Locali è stato lungo e non è ancora approdato a unaconclusione. La "Legge La Loggia" del 2003 individuava le funzioni fondamentali nelle funzionistoricamente svolte, connaturate alle caratteristiche proprie di ciascun tipo di Ente. Il progetto di"Codice delle Autonomie" proposto nella passata legislatura faceva specifico riferimento alleattività relative ai servizi pubblici locali di rilevanza economica necessari al soddisfacimento deibisogni primari della Comunità locale. Né la "Legge La Loggia" né il "Codice delle Autonomie"hanno trovato attuazione. In attesa della nuova definizione di quest'ultimo, è intervenuta la leggedelega sul federalismo fiscale, che individua tali funzioni in via provvisoria.

Il concetto di fabbisogno di spesa standard entra nella nuova normativa in una dupliceveste: come criterio di riferimento per il finanziamento delle spese per le funzioni fondamentali;come criterio di comparazione e valutazione dell'azione pubblica finalizzato a tenere contodell'efficienza e dell'efficacia. La risoluzione delle questioni tecniche relative al computo delfabbisogno di spesa standard ha pertanto implicazioni assai rilevanti e si rende quindi necessariauna condivisione fra gli attori coinvolti delle metodologie da utilizzare, dei dati su cui il computodovrà avvenire, delle modalità di aggiornamento della procedura nel corso del tempo. La stimadella spesa standard è stata effettuata in base alle indicazioni della legge delega, utilizzando datidi spesa storica primaria corrente pro capite dell'anno 2006 dei Comuni delle Regioni a statutoordinario, desunti dai certificati del conto di bilancio dei Comuni di fonte del Ministero dell'Interno,riferiti alle funzioni fondamentali e corretti per accrescere l'omogeneità della variabile oggetto distima.

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Introduzione e sintesi

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Le stime ottenute - seppure come prime indicazioni di larga massima - confermano che latransizione verso il nuovo regime di finanziamento, ossia la convergenza al livello di spesastandard nell'arco di cinque anni come previsto dalla legge delega, non sarà facile.

Il 41% dei Comuni presenta, infatti, una spesa effettiva maggiore di quella standard; laconcentrazione è maggiore in Basilicata (63,57%), Campania (55,71%), Emilia Romagna(55,12%), Toscana (51,93%), Lombardia (51,56%). Sul fronte opposto, cioè nell'ambito delrestante 59% dei Comuni che mostra una spesa effettiva inferiore a quella standard, il fenomenosi concentra negli Enti situati in Liguria (78,21%), Veneto (77,76%), Puglia (76,64%), Piemonte(70,35%), Umbria (64,13%), Abruzzo (61,31%), Lazio (60,92%), Calabria (59,75%), Molise(59,06%) e Marche (54,47%).

Dalle stime si evince inoltre che più del 12% dei Comuni con spesa effettiva maggiore diquella standard presenta un'eccedenza compresa tra il 10 e il 20% e che oltre l'8% sperimentaeccedenze superiori al 20%. Tra le Regioni i cui Comuni in media dovranno effettuare unariduzione significativa della spesa pro capite, si colloca la Campania (con una riduzionenecessaria stimata nel 13,4% della spesa storica). Tra quelle i cui Enti, all'opposto, potrebberoaumentare le spese per le funzioni fondamentali risalta invece il Veneto (con un incrementoprevisto pari al 10,8%).

Altra indicazione segnalata dalla stima è che, nell'ordine, i Comuni delle RegioniLombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Toscana dovrebbero ridurre la propria spesa storica.Tuttavia la stima non è in grado di indicare se ciò dipenda da fattori di inefficienza nellaproduzione di servizi pubblici o, piuttosto, da livello, qualità o ampiezza superiori dei servizierogati (fattori che sono legati ovviamente anche a decisioni politiche degli amministratori locali).

Appare dunque quale problema, che sembra richiedere i maggiori sforzi applicativi, lamancanza di informazioni rilevate sistematicamente e con criteri omogenei che permettano didiscriminare adeguatamente gli Enti in base alle prestazioni effettivamente offerte a parità dispesa effettuata.

A tale proposito è da sottolineare che i Comuni "virtuosi" dovrebbero essere interessati ache sia possibile identificare correttamente i fattori di qualità-ampiezza dei servizi offerti, al fine dinon vedersi sottrarre quote importanti di trasferimenti perequativi, dal momento in cui la lorospesa storica - in mancanza di informazioni che giustifichino i loro esborsi "eccessivi" - puòrisultare notevolmente più elevata di quella standard. Potrebbero quindi essere interessati adavviare tempestivamente una rilevazione affidabile di questa tipologia di dati.

La stima effettuata sul complesso dei Comuni mette a confronto Enti di ampiezzademografica estremamente diversa (da poche decine di abitanti sino alla Capitale). Per megliotenere in considerazione l'eterogeneità demografica, sono state effettuate stime separate perclassi di abitanti, raggruppando i Comuni in tre diverse fasce demografiche, rispettivamente conpopolazione inferiore a 2.000 abitanti, compresa tra 2.000 e 60.000, oltre i 60.000 abitanti.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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La scelta di queste tre classi - che ha richiesto anche stime aggiuntive rispetto a quelleriportate nel capitolo - risponde alla logica di fare riferimento a tipologie di Enti maggiormentesimili tra loro.

In particolare, sulla base di quanto esplicitamente riconosciuto dalla stessa delega, si èvoluto evitare di elaborare dei benchmark che, includendo anche i comportamenti degli Enti chesi trovano a produrre i servizi in una situazione di dimensione ottimale (il punto di minimo dellacurva ad U), costringesse gli Enti di più piccola dimensione ad effettuare correzioni di spesaeccessive. Parte delle diseconomie deriva, infatti, dalla presenza di elevati costi fissi, superabilesolo con un aumento della dimensione degli Enti e difficilmente correggibile nel medio periodo.Nello spirito della delega il processo di convergenza dovrebbe avvenire con gradualità, puntandosolo in parte sul taglio delle risorse attribuite e più realisticamente su incentivi a forme di"associazionismo" comunale. Sull'altro fronte, quello del tratto ascendente della curva ad U, ildiscorso è analogo, e lo strumento previsto dalla delega per incoraggiare recuperi di efficienza èdato dalla riorganizzazione in funzione della definizione delle Città metropolitane.

Nelle tre stime per classi, la percentuale di Comuni con spesa storica superiore a quellastandard resta vicina a quella rilevata a livello nazionale (41%), collocandosi al 41,6%, nellaprima fascia di popolazione, sale al 43,2% nella seconda e ancora, al 45%, nella terza. Tuttavia,la maggiore aderenza del benchmark alle caratteristiche dei Comuni ne altera le posizionirelative: da un lato, porta a una diminuzione, in media per la seconda e terza fascia, della quotadi Enti che presentano scostamenti dalla spesa standard di entità superiore al 10%; dall'altro,implica un aumento, in media per ognuna delle tre le fasce, della quota di Comuni coneccedenze di spesa contenute all'interno del 2,5 per cento.

Poiché la legge delega, inoltre, prevede che le singole Regioni possano effettuare proprievalutazioni della spesa corrente standardizzata, a titolo esemplificativo, sono state effettuatestime a livello regionale per le due Regioni che dalla stima nazionale risultano caratterizzate dauna spesa storica - aggregata per regione - che andrebbe maggiormente ridotta (Campania) oviceversa aumentata (Veneto). Questi risultati, dettati da una standardizzazione della spesa cheutilizza stime più omogenee in un ambito giurisdizionale, sollevano problemi di gestione"politica": ogni Comune che in base al criterio regionale si trovi a sperimentare un trasferimentodi risorse inferiore a quello che percepirebbe in base allo schema statale ha interesse ad opporsiall'applicazione della formula regionale. Si potrebbe immaginare in questi casi l'applicazione dischemi che si sovrappongono, in cui le Regioni attivino compensazioni con risorse proprie; ilrisultato allocativo sarebbe a questo punto diverso da entrambi gli schemi puri, regionale estatale. Tuttavia, ammesso che tra i Comuni della Regione si raggiunga un consenso sulladiversa ripartizione delle risorse, questa soluzione appare appannaggio soprattutto delle Regionipiù ricche; le stesse, probabilmente, che sarebbero comunque in grado di gestire effettivamentesistemi di trasferimenti regionali diversi da quello statale.

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Introduzione e sintesi

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Nel quinto capitolo si offre un quadro conoscitivo delle Società partecipate dagli Entipubblici territoriali, un insieme di enti e società che non fanno parte del settore AmministrazionePubbliche, sono fuori dal sistema di contrattazione del pubblico impiego, e che per missione,comportamenti, finanziamenti potrebbero (con livelli di maggiore o minore gradualità) essereassimilati alla Pubblica Amministrazione, ma che ne vengono esclusi in quanto "produttori di benie servizi destinabili alla vendita".

Il Ministero dello Sviluppo Economico ne mette in evidenza la rilevanza per l'interventopubblico, comprendendo tali enti e società nel "Settore Pubblico Allargato" (SPA), formato dallaPubblica Amministrazione e dall'Extra PA, in cui sono incluse le entità sotto il controllo pubblico(Imprese Pubbliche), impegnate nella produzione di servizi destinabili alla vendita, a cui laPubblica Amministrazione ha affidato la mission di fornire agli utenti alcuni servizi di naturapubblica, come le telecomunicazioni, l'energia, ecc…

Ma oltre alle incertezze informative legate a criteri di classificazione che non riescono acogliere le novità legate alle modificazioni di natura giuridica, alla natura del finanziamento, allasovrapposizione e compresenza di personale con provenienze contrattuali diversificate, non siriesce a valutare appieno la rilevanza della presenza pubblica nel determinare la ricchezza ed ilbenessere di un territorio. Nel contempo, aumenta l'autonomia gestionale delle società edimprese a controllo o partecipazione pubblica con il depotenziamento delle politiche di indirizzo econtrollo, ivi compreso il controllo della spesa di personale che, pur con diverse modalità, operain realtà organizzative che ricevono finanziamenti pubblici.

Nel capitolo, si riportano le risultanze dei più recenti studi ed approfondimenti analiticieffettuati dall'ISTAT, dal Ministero dello Sviluppo Economico, che cura i Conti Pubblici Territoriali,dalla banca dati Consoc del Dipartimento della Funzione Pubblica, dall' Unioncamere, per lesocietà di capitale partecipate dagli Enti Locali, dalla Confservizi, per le imprese di serviziopubblico locale associate, da Mediobanca che, per conto della Fondazione Civicum, analizza lesocietà controllate dai maggiori Comuni italiani, unitamente ad altri contributi di istituzioni esingoli studiosi che hanno approfondito insiemi meno estesi di imprese (tra questi, Nomisma,Lega delle Cooperative, Banca d'Italia). Rilevano inoltre alcuni dei risultati dell'attività condottadalla Corte dei Conti, con numerose indagini e referti relativi a Province e Comuni in riferimentoal fenomeno delle partecipazioni societarie da parte degli Enti Locali.

A seconda di come si restringa o si ampli il perimetro di riferimento, è un insieme di enti,consorzi, aziende in continua ascesa che una recente (aprile 2009) quantificazione relativa allabanca dati Consoc, gestita dal Ministero della Funzione Pubblica, fa giungere a 6.752 unità, dicui 2.991 consorzi e 4.461 società partecipate da Amministrazioni Pubbliche nel 2008, per untotale di 23.400 componenti di consigli di amministrazione.

La spesa complessiva delle imprese pubbliche locali (ricomprese nel Settore PubblicoAllargato, nella definizione dei Conti Pubblici Territoriali, indagine curata dal Ministero delloSviluppo Economico) è pari a 60,4 miliardi di euro nel 2007, e di essa 51,5 miliardi sono

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localizzati nel Centro-Nord e 8,8 miliardi di euro nel Mezzogiorno. Tale spesa rappresentarispettivamente il 7,4% e il 3,2% delle uscite dell'intero SPA delle due circoscrizioni territoriali, edil 37% e 12% della spesa del SPA a livello decentrato (amministrazioni, enti, imprese, consorziregionali, provinciali, comunali). Il rapporto di tale spesa sul PIL ha raggiunto circa il 4,4% delleregioni del Centro-Nord, mentre è solamente il 2,4% del PIL del Mezzogiorno. E' da osservareche nel Centro-Nord si concentrano le imprese pubbliche locali nel settore energetico, chedanno il più alto valore aggiunto per addetto (e utili), ed anche sono coinvolte in processi dievoluzione societaria, come l'aggregazione in multi-utilities, di cui molte quotate in borsa.

Nel capitolo, oltre ad offrire una dimensione del fenomeno, si dà conto della riflessione sunatura ed esiti dell'intervento pubblico nell'economia dei territori, sulle esigenza di dotarsi diapparati conoscitivi attendibili e di possibilità di controlli al fine di aumentarne l'efficienzagestionale e l'efficacia a beneficio dei territori di riferimento.

La realtà delle imprese pubbliche locali appare molto diversificata, con settori connotati daelevato valore aggiunto per addetto e da profitti (energia e gas), le cui società sono coinvolte inforti processi di trasformazione societaria (aggregazioni in imprese multi-utilities, quotazioni inborsa) e che possono rappresentare per l'ente locale una fonte di entrate di bilancio grazie aidividenti societari. Accanto convivono imprese piccole ed anche molto grandi, alcune con fortipassivi di bilancio (trasporti, servizi ambientali, acqua) che necessitano di continui trasferimentiche appesantiscono le finanze locali, anche per le ridotte possibilità di agire sulle leve tariffarie, acausa della forte rilevanza sociale in termini di politiche redistributive delle tipologie di servizioerogate.

Non di minor importanza è la identificazione dei confini entro cui si sostanza il controllopubblico che può assumere diverse configurazioni, dalla partecipazione al controllo diretto edindiretto. Ciò a fini non solo di rilevanza statistica, ma ancor più di efficacia della governance e dispinta al miglioramento dei risultati economici.

Il settore dei servizi pubblici è interessato da una complessità di implicazioni nei confrontidell'apertura del mercato alla concorrenza e dell'impatto sul debito pubblico e sul Patto distabilità interno, che ha dato luogo a numerosi interventi legislativi che, avviati negli anninovanta, si sono susseguiti con particolare frequenza a partire dal 2001. A tal riguardo, è ancorada misurare appieno la portata della recente riforma (agosto 2008) dei servizi pubblici localiprevista dall'articolo 23-bis del D.L. 112/2008, convertito con la legge n. 133/2008 e dei relativiregolamenti attuativi, sia nei confronti degli affidamenti diretti a società in house, sia perl'apertura del mercato alla concorrenza, sia per impatto con i diversi mercati delle utility, inparticolare per il settore energetico.

Analogamente, la recente approvazione della legge delega n. 42 del 5 maggio 2009 perl'attuazione del federalismo fiscale apre anche per le imprese pubbliche locali scenari dirazionalizzazione e di integrazione del settore nei confronti delle Amministrazioni Pubblichecontrollanti, con la conseguente necessità di procedere in direzione di rendere disponibili bilanciconsolidati degli Enti locali e delle loro società ed aziende partecipate.

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Introduzione e sintesi

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Infine, le numerose indagini della Corte dei Conti, e le numerose notizie - anche in questigiorni - offerte dalla stampa relativamente alle nomine di alcune grandi utilities in Lombardia, aidisservizi e ai deficit accumulati in alcune imprese pubbliche per la raccolta dei rifiuti e per laerogazione delle acque nel Mezzogiorno, pongono al centro del dibattito come incidere nellaresponsabilità dell'amministrazione pubblica al fine di garantire la produzione di servizi inquantità e qualità corrispondenti alle attese dei cittadini, delle famiglie, delle imprese. Ciò va benoltre la pubblicità sui siti web dei nominativi e compensi degli amministratori delle società eimprese partecipate, né è sembrato ancora sufficiente l'operare della Corte dei Conti attraversol'esercizio del controllo "collaborativo" esterno sulla gestione, improntato alla verifica del buonandamento economico e finanziario degli enti, finalizzato a darne "consapevolezza" ai relativilivelli di governo territoriale e locale ed ai cittadini.

Le esternalizzazioni delle funzioni e dei servizi un tempo svolti direttamente dagli Enti Localihanno assunto dimensioni rilevanti generando un processo articolato che ha dato vita ad "nuovocapitalismo municipale" che, contrariamente agli obiettivi attesi dalle riforme intraprese a partiredai primi anni novanta, ha indotto un ampliamento, non sempre esplicito, del perimetrodell'intervento pubblico. Il sesto capitolo del Rapporto affronta questi aspetti incentrandosi, inparticolare, sulla ricostruzione dei nessi finanziari tra Comune e partecipate e i conseguentieffetti - diretti o indiretti - sulle finanze comunali. Indicazioni sulle criticità e sui rischi che gli esitigestionali delle società partecipate possono generare sugli equilibri di bilancio dell'Enteprovengono da alcuni recenti contributi sul tema. Tuttavia, l'approfondimento di tali aspetti siscontra con ostacoli conoscitivi che derivano da una contabilità pubblica locale che non consentedi rendere immediatamente percepibili, e quindi trasparenti, i nessi con le gestioni esternalizzatee le partecipazioni in società di capitali. Questa circostanza si connette sia alla scarsa analiticitàdei bilanci comunali, sia al processo stesso di esternalizzazione. Il trasferimento all'esterno difunzioni e attività proprie del Comune, mediante la partecipazione o la costituzione di nuoviorganismi societari ha, infatti, estremamente ridimensionato la capacità informativa dei bilancicomunali. Tuttavia, questi processi lasciano certamente tracce nei documenti contabili degli Entilocali e la loro ricostruzione risulta di estrema rilevanza per la corretta valutazione degli effetti,attuali e prospettici, non solo sulle finanze comunali, ma anche sulla qualità stessa dei servizi edelle funzioni.

Il capitolo approfondisce questi aspetti sia analizzando le criticità della contabilità locale(come emerge dalle difficoltà interpretative delle singole voci di bilancio) sia elaborando leinformazioni desunte dai Certificati di Conto Consuntivo dei Comuni rilevati dal Ministero degliInterni, per gli anni 2001 e 2006. Pur nella scarsa analiticità dei documenti contabili analizzati,sono comunque ravvisabili tendenze di fondo (sintetizzate in sei principali rilevanze empiriche)che permettono di formulare non solo alcune preliminari considerazioni sull'impatto che ilcomplesso delle esternalizzazioni esercita sulle finanze comunali, ma anche evidenziare alcunisnodi critici.

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Dalla prima evidenza emerge con chiarezza l'inadeguatezza della strumentazionecontabile. Tale aspetto riguarda sia la definizione delle voci di bilancio (che si presentano ampie,con zone di sovrapposizione, spesso aperte a scelte discrezionali, con possibilità di "scambiare"classificazione corrente con classificazione di conto capitale) sia la completezza e accuratezzadelle compilazione delle varie poste. Ne deriva che, senza una corretta raffigurazione dellasituazione economico-patrimoniale di ogni unità comunale, i vincoli posti dal Patto di stabilitàinterno per il coordinamento della finanza pubblica rischiano di essere svuotati di senso edefficacia.

La seconda evidenza rileva che, nonostante significativi incrementi in termini di risorsecapitali destinate all'acquisizione di partecipazioni e a conferimenti di capitale, i Comuni nonsembrano aver ridotto in modo significativo i costi di produzione, in termini di spesa per ilpersonale e anche di oneri straordinari (in cui, generalmente, sono contabilizzate i ripiani diperdite di gestione). Il problema riguarda soprattutto le aree meridionali del Paese e le Isole.Questo è indicazione del possibile rischio - e questa è la terza evidenza che si intendesottolineare - che le esternalizzazioni non siano accompagnate da una riorganizzazione dellefunzioni e delle risorse, ma tendano a rientrare in un complesso e contraddittorio processo dimoltiplicazione degli operatori, con una generale tendenza alla levitazione dei costi.

La quarta evidenza si incentra su alcune particolarità riscontrate nei grandi Comuni conpopolazione superiore ai 60mila abitanti. Le indicazioni che emergono non consentono, tuttavia,una lettura univoca. Da una parte, infatti, sono soprattutto i Comuni più grandi, collocati nel Norddel Paese, che registrano contrazioni della spesa corrente nelle voci che individuano i legami traEnte e partecipate (oneri straordinari e trasferimenti ad aziende). Queste tendenze, combinatecon l'andamento crescente del flusso di utili e dividendi che i Comuni del Nord percepiscono,parrebbero essere un segnale positivo connesso al processo delle esternalizzazioni. Tuttavia, indirezione contraria, muovono gli andamenti della spesa del personale che, nell'arco di tempoconsiderato, non presentano alcun segnale di contenimento. Ciò suggerisce, la necessità diinvestigare ulteriormente non solo le ricadute in termini di efficienza delle esternalizzazioni, maancor di più quelle sulle relazioni tra politica ed economia.

Preoccupazione, quest'ultima, confermata dalla quinta evidenza, che mostra comel'attivismo dei grandi Comuni nell'acquisire partecipazioni e nell'incamerare consistenti flussi diutili e di dividendi stia allargando i confini del capitalismo pubblico che la stagione delle riformedegli anni Novanta intendeva superare. Se non devono esserci preconcetti verso l'impegno deiComuni nell'organizzazione tramite soggetti esterni delle prestazioni per i loro cittadini, si deveperò richiedere che questo avvenga all'interno di un contesto di piena trasparenza e valutabilitàdell'operato, e di altrettanto piena responsabilizzazione dei decisori.

Ma le criticità non si riscontrano soltanto nei grandi Comuni. La sesta ed ultima evidenzasegnala che anche presso alcuni Comuni di più piccole dimensioni potrebbero starsi affermandoprassi poco trasparenti nella gestione, nei rapporti tra sfera pubblica e sfera privata, e nella

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Introduzione e sintesi

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tenuta dei conti. I Comuni più piccoli presentano, infatti, una varianza maggiore, rispetto alle altreclassi dimensionali, nelle scelte che riguardano le relazioni economico-patrimoniali con soggettiesterni, facendo registrare, per esempio, incidenze sulla spesa in conto capitale nettamente al disopra della media per l'acquisizione di partecipazioni azionarie e per conferimenti di capitale. Ciòsuggerisce che, preso singolarmente il piccolo Comune "conta" poco, ma la galassia ènumerosa, e c'è il rischio che si avvii un processo di accumulazione di tensioni e di problemiprospettici.

L'analisi può essere approfondita in molteplici direzioni, ma sul piano di policy emergonogià indicazioni chiare. È necessario compiere progressi rapidi su più fronti ma strettamenteconnessi. In primo luogo, appare fondamentale procedere verso la razionalizzazione el'omogeneizzazione delle regole contabili, con l'obbligo per i Comuni di predisporre bilanciconsolidati coprenti tutte le relazioni economico-finanziarie con soggetti esterni; la legge delegasul federalismo fiscale si muove già in questa direzione così come la fissazione dei nuovi principicontabili definiti dall'Osservatorio sulla finanza locale del Ministero dell'Interno. In secondo luogo,emerge l'importanza che la sistemazione definitiva della normativa riguardante l'assegnazionedella gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica riveste per diffondere e consolidare ilprincipio generale dell'asta ad evidenza pubblica. In terzo luogo, si suggerisce l'inclusioneall'interno della programmazione annuale del Patto Interno dei Comuni più piccoli, cercando lasoluzione più adatta a superare le difficoltà logistiche ed organizzative che sicuramente esistononel rapportarsi ad un universo così numeroso. Infine, appare opportuno valutare forme diresponsabilizzazione delle Regioni rispetto alle scelte di bilancio e agli obblighi contabili deiComuni della loro area, che potrebbero rappresentare una possibile soluzione al problema dellainclusione dei piccoli Comuni all'interno della programmazione annuale del Patto Interno.

Il settimo capitolo offre una panoramica sui sistemi di finanziamento territoriali adottatinell'Unione Europea. Pur con le necessarie cautele legate alla disponibilità e comparabilità deidati, il quadro che ne emerge è estremamente variegato. La configurazione amministrativaterritoriale presenta peculiarità specifiche nei diversi paesi che rendono poco agevole ilconfronto. Tuttavia si intravede un percorso comune verso un rafforzamento del ruolo delleregioni (in particolare nei paesi scandinavi e segnatamente in Danimarca), e la riduzione dellaparcellizzazione a livello comunale, sia pure, anche in questo caso, con eccezioni (Slovenia,Lituania). Dal lato dei finanziamenti ciò è coinciso con un aumento delle disponibilità finanziariedegli enti territoriali. Tuttavia, questo non è sempre avvenuto seguendo le linee teorichesuggerite dalla letteratura (Musgrave, 1983; Oates, 1993; McLure, 1994; Bird, 2008).

In alcuni paesi, e segnatamente in quelli anglosassoni e in Francia, è prevalsotradizionalmente un modello centralista, che privilegia le imposte locali sulla proprietà (in RegnoUnito e Irlanda le sole esistenti) e i trasferimenti verticali. Altrove (Belgio, paesi scandinavi) haavuto maggiore sviluppo l'autonomia fiscale locale ed è stata privilegiata, oltre alle imposta sulla

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proprietà, l'addizionale locale sul reddito. Altri ancora (ad esempio Austria, Germania e Polonia)hanno sviluppato un sistema specifico che poggia su imposte condivise e imposte proprie o sibasano di più sui trasferimenti.

Tra le diverse modalità di finanziamento, il capitolo si sofferma in particolare suitrasferimenti a scopo perequativo avvalendosi delle informazioni di recente rese disponibili dalNetwork on fiscal relations across levels of government coordinato dall'OCSE (2008). Questotipo di trasferimenti in media impegna il 2,3% del PIL e rappresenta quindi un contributo nontrascurabile al finanziamento degli enti territoriali. Alcuni paesi applicano schemi moltocomplessi, in particolare per la valutazione dei bisogni (Regno Unito, paesi scandinavi), altriseguono schemi meno complicati (Paesi Bassi, Belgio) e altri ancora utilizzano pochegrandezze, e segnatamente la popolazione, come riferimento principale (Spagna, Germania).

Il capitolo presenta più nel dettaglio tre esempi: Paesi Bassi, Regno Unito e Repubblicafederale tedesca. Il primo paese appare interessante in quanto ha di recente modificato latecnica di valutazione dei bisogni locali di spesa, passando dalla stima econometrica all'analisidelle differenze. Il sistema adottato nel Regno Unito è più sofisticato e anch'esso imperniato sullavalutazione dei bisogni di spesa locali a fronte di uno schema molto semplice dal lato delleentrate, nel caso di tale Paese ridotto in pratica ad un'unica imposta. L'ultimo caso presentato,quello della Germania, fornisce un classico esempio di perequazione orizzontale (coadiuvata datrasferimenti verticali). L'approccio costituzionale è alla perequazione delle condizioni di vitadegli abitanti su tutto il territorio ed il sistema si concentra, a differenza degli altri due paesiesaminati, sulla perequazione della capacità fiscale prendendo in considerazione i bisogni, siapure con riferimento in pratica alla sola popolazione residente, per la ripartizione dai Land aicomuni.

L'analisi effettuata suggerisce che la decisione politica sia l'elemento determinante nellaconfigurazione finale del sistema di finanziamento. Essa infatti sottende praticamente tutti gliaspetti. In primo luogo, riguardo al pool da trasferire e allo standard minimo di servizi, e,soprattutto, nella selezione dei fattori di costo caratteristici per ciascuna funzione di spesa e deipesi relativi dei fattori di bisogno.

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1 Principali elementi della legge delega sul federalismo fiscale

1.1 INTRODUZIONE

A otto anni dalla definizione della riforma del Titolo V della Costituzione e dopo un lungoperiodo di approfondimento del tema del federalismo fiscale – nei lavori dell’Alta commissione distudio per la definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale, nelle sentenze dellaCorte Costituzionale, negli studi dell’ISAE, negli specifici Gruppi di lavoro nonché nei Documentidella Conferenza Unificata sino al dibattito evidenziato dalle numerose pubblicazioni in materia ealle varie proposte di legge – si è giunti all’approvazione della legge delega (Legge n. 42/09 del 5maggio 2009, Gazzetta Ufficiale n. 103, 6 maggio 2009), il cui contenuto rappresenta il risultatodi un processo complesso di condivisione dei principi con tutti i livelli di governo.

I principi generali espressi sintetizzano molta dell’esperienza di studio degli ultimi anni.L’attuazione pratica dei punti fondamentali del federalismo fiscale esposti nella legge delegarichiede ancora una definizione operativa, a cui si provvederà tramite l’emanazione dei decretilegislativi di attuazione, con l’emergere possibile di nuovi contrasti, nei ventiquattro mesi previstiper l’esercizio della delega. I decreti legislativi di attuazione dovranno, infatti, individuaredettagliatamente le competenze da trasferire agli Enti decentrati - in base all’articolo 117 dellaCostituzione - indicando il livello di spesa storica da cui partire, quale punto iniziale per lacostruzione del sistema di finanziamento.

La legge delega in materia di federalismo fiscale si articola su tre temi centrali ai finidell’attuazione di un modello di finanza pubblica decentrato. Innanzitutto stabilisce la strutturadelle entrate fiscali di Regioni, Province e Comuni. In secondo luogo fissa i principi cheregoleranno l’assegnazione di risorse perequative, sia per la copertura integrale di voci di spesaparticolarmente tutelate, sia per ridurre le minori capacità di finanziamento. Infine delinea glistrumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento tra i diversi livelli di governo in materia difinanza pubblica. Sottostante a tutto, si trova il criterio fondamentale e innovativo delsuperamento della spesa storica.

E' stabilito che tutti i livelli di governo debbano avere autonomia e responsabilizzazionefinanziaria e che l'attribuzione di risorse autonome alle Regioni e agli Enti locali debba essereposta in relazione alle rispettive competenze. Garantendo i principi di solidarietà e di coesionesociale, la legge impone la fissazione di livelli uniformi di prestazioni essenziali su scala

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nazionale, prevedendo una perequazione di risorse di tipo verticale e l’utilizzo di risorse volte allariduzione degli squilibri di tipo strutturale tra i territori e al superamento del dualismo economicodel Paese. L’obiettivo del processo intrapreso è di conseguire incrementi nella potestàlegislativa e nell’autonomia finanziaria degli enti territoriali, in collegamento a corrispondentiampliamenti della responsabilizzazione decentrata e con la prosecuzione del risanamento dellefinanze pubbliche. Si tratta pertanto di definire l’abbinamento autonomia/perequazione davalutare in un contesto di incremento di efficienza, combinando scelte politiche, comportamentidegli amministratori nonché necessità e preferenze dei cittadini.

I principi e i criteri direttivi generali sul federalismo fiscale vengono esposti in 29 articoliraccolti in dieci distinti capi. Il primo capo tratta dei contenuti e delle regole del coordinamentofinanziario. I successivi tre riguardano, rispettivamente, i rapporti finanziari tra lo Stato e leRegioni (capo II), la finanza degli Enti locali (capo III) e il finanziamento delle Città metropolitane(capo IV). Seguono i principi sugli interventi speciali di cui al quinto comma dell’articolo 119 dellaCostituzione (capo V), sul coordinamento dei diversi livelli di governo (capo VI) e sul patrimoniodegli Enti territoriali (capo VII). L’ottavo capo riguarda le norme transitorie e finali per gli Entiterritoriali, per le Città metropolitane, per l’ordinamento provvisorio di Roma capitale e per ilcontrasto all’evasione fiscale. Segue il capo IX relativo agli obiettivi di perequazione e solidarietàper le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome di Trento e Bolzano. Chiude lalegge il decimo capo di salvaguardia finanziaria e abrogazioni.

Lo scopo del capitolo è di illustrare i principi generali di delega e gli elementi costitutivi dellalegge, evidenziandone gli aspetti di maggiore criticità e complessità ai fini della sua attuazione.Facendo seguito all’introduzione, il secondo paragrafo espone i criteri direttivi dei decretilegislativi. La classificazione delle spese per scopo e funzione e per i diversi livelli di governo ècontenuta nel terzo paragrafo, mentre il finanziamento della spesa e i criteri della perequazionesono esposti nel quarto. Il quinto paragrafo affronta il tema del sistema di coordinamento dellafinanza pubblica. Il sesto discute i principali elementi critici della legge, con particolareriferimento alle questioni dell’autonomia impositiva e delle compartecipazioni, delladeterminazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e del coordinamento tra livelli digoverno. Individua inoltre alcune opportunità. Il paragrafo sette presenta un’approfonditaricognizione delle fonti informative mentre alcuni brevi cenni conclusivi sono contenutenell’ottavo paragrafo.

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Principali elementi della legge delega sul federalismo fiscale

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1.2 PRINCIPI E CRITERI DIRETTIVI DEI DECRETI LEGISLATIVI

I principi esposti nella legge sono generali e per essere tradotti in pratica richiedono unapiena e chiara definizione applicativa. Ciò avverrà tramite l’emanazione di più decreti legislativi diattuazione nei 24 mesi previsti per l’esercizio della delega ad eccezione del decreto legislativocontenente i principi di armonizzazione dei bilanci pubblici che dovrà essere adottato entro 12mesi dall’entrata in vigore della legge delega.

I decreti legislativi di attuazione dovranno, infatti, individuare dettagliatamente:

- le competenze da trasferire agli Enti decentrati, indicando il livello di spesa storica da cuipartire, quale punto iniziale per la costruzione del sistema di finanziamento;

- i servizi, per tipologia e quantità, da dovere/volere offrire in modo uniforme – e tutelato – sututto il territorio nazionale;

- il costo e il fabbisogno standard quale indicatore rispetto al quale valutare l’azione pubblica;

- i tributi specifici che forniranno o contribuiranno all’autonomia;

- la portata, i criteri di assegnazione e gli strumenti di finanziamento della perequazione.

Allo stesso tempo, andranno definite le modalità di decisione nelle sedi di coordinamentodella finanza pubblica individuate e dovrà essere specificato dettagliatamente il ruolo delleRegioni nell’ambito della finanza comunale. Alle Regioni – in relazione anche all’ampliamentodei loro bilanci in conseguenza dell’attuazione del federalismo - dovrà essere richiesto unosforzo reale di armonizzazione nei principi contabili, anche ai fini della indispensabile e non piùrinviabile costruzione del complesso sistema informativo da condividere tra livelli di governo,verso il quale dovranno necessariamente essere indirizzate risorse aggiuntive. La definizioneoperativa delle competenze dovrà basarsi sulla specializzazione e semplificazione per evitaresprechi e duplicazioni, cercando di ridurre i costi e di assicurare efficienza e quindi sostenibilitàfinanziaria. Verrà attuato non solo il principio della sussidiarietà verticale ma anche orizzontale,con il passaggio al mercato di una serie di funzioni, allo scopo di accentuare il ruolo regolatoriodelle Amministrazioni Pubbliche. L’andata a regime della devoluzione richiederà un periodo ditempo quantificato in cinque anni sia per il passaggio dalla spesa storica al fabbisogno standardper i livelli essenziali delle prestazioni e per le funzioni fondamentali, sia per il passaggio dallaspesa storica al criterio basato sulle capacità fiscali per le materie diverse da quelle cheimplicano la determinazione dei LEP e delle funzioni fondamentali.

I decreti legislativi che dovranno dare concreta attuazione all’articolo 119 della Costituzionedevono rispettare e implementare i numerosi principi e criteri direttivi generali indicati nell’articolo2 della legge delega. Tra questi, alcuni spiccano per importanza: principio di autonomia eresponsabilizzazione finanziaria, principio di territorialità, principio di correlazione e principio dicontinenza. Il primo si esplicita nella possibilità di istituire tributi regionali e locali e di determinarevariazioni delle aliquote, detrazioni, deduzioni e agevolazioni. Tale flessibilità fiscale dovrebbe,

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tuttavia, poter essere estesa al maggior numero di enti, una volta garantito un certo livello diperequazione. Dopo aver attribuito risorse sufficienti a finanziare i fabbisogni standard di spesa –individuati in maniera condivisa dai vari livelli di governo – gli Enti decentrati dovrebbero poterdisporre di entrate manovrabili per finanziare eventuali eccedenze di spesa, per finanziareprestazioni addizionali rispetto a quelle standard o disavanzi non previsti. L’autonomia deigoverni subnazionali deve essere tale da poter permettere il finanziamento della spesa almargine, cioè da consentire la copertura di fabbisogni non previsti, rendendo non necessario ilripiano dei disavanzi locali da parte del governo centrale. I tributi locali dovrebbero essere dotatidi una significativa possibilità di manovra delle aliquote e di discrezionalità sugli altri elementidell’imposizione, al fine di comportare responsabilità e rigore nelle scelte fiscali periferiche.

Nel testo della legge delega, tuttavia, all’articolo 28 relativo alla “salvaguardia finanziaria”viene garantita la determinazione periodica del limite massimo di pressione fiscale nonché delsuo riparto tra i diversi livelli di governo e si salvaguardia l’obiettivo di non produrre aumenti dellapressione fiscale complessiva anche nel corso della fase transitoria. Si tratta di unaimpostazione che in qualche modo sembra limitare il principio di autonomia e responsabilitàlegato alla facoltà di manovra delle aliquote. Si deve tuttavia sottolineare, in proposito, chel’articolo 4 della legge prevede l’istituzione di una Conferenza permanente per il coordinamentodella finanza pubblica, di cui fanno parte i rappresentanti dei diversi livelli istituzionali, e che deve- in primo luogo - concorrere alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica, non solo in terminidi indebitamento ma anche di livelli di pressione fiscale, i quali devono dunque risultare condivisitra centro e periferia.

Quanto al principio di territorialità, si intende una limitazione del potere impositivo locale alterritorio di pertinenza, non potendosi porre ostacoli alla libera circolazione di persone, beni,servizi e capitali nel territorio dello Stato. Un altro rilevante principio implica la correlazione tra ilprelievo fiscale e il beneficio derivante dalle funzioni esercitate dall’ente che percepisce il gettito,garantendo così una corrispondenza tra responsabilità amministrativa e responsabilitàfinanziaria e rendendo trasparente per i contribuenti il legame tra prelievo e spesa grazie a unaspecifica “tracciabilità” dei tributi. Il principio di continenza, infine, assegna alle Regioni la potestàdi tassare soltanto quelle materie imponibili rientranti nella sfera delle proprie competenzelegislative di spesa.

1.3 CLASSIFICAZIONE DELLE SPESE

Seguendo l’impostazione dell’articolo 117 della Costituzione, si prospetta unaclassificazione delle spese in base alle funzioni di diversa natura, distinguendo tra livelloregionale e locale. Per le Regioni (art. 8, comma 1, lettere a) e b)), si distingue tra 1) le spesericonducibili al vincolo della lettera m) del secondo comma dell’articolo 117, concernente i diritticivili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, e relative ai livelli

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essenziali delle prestazioni (LEP) di sanità, assistenza e, relativamente all’istruzione, spese perlo svolgimento delle funzioni amministrative; 2) le altre spese non riconducibili a tale vincolo, 3) lespese per il trasporto locale e 4) le spese finanziate con contributi speciali ( Tabb. 1 e 2 ). Per gliEnti locali (art. 11, comma 1, lettere a) e b)), la ripartizione prevede: 1) spese riconducibili allefunzioni fondamentali, come da lettera p) dell’articolo 117; 2) le spese relative alle altre funzioni e3) le spese finanziate con contributi speciali (Tabb. 3 e 4 ).

La determinazione dei LEP assegnati alle Regioni e l’individuazione e l’allocazione dellefunzioni fondamentali agli Enti locali sono materie su cui lo Stato ha legislazione esclusiva, comerecita il secondo comma dell’articolo 117. Invece, la determinazione della spesa per il trasportopubblico locale tiene conto della fornitura di un livello adeguato del servizio su tutto il territorionazionale nonché dei costi standard (art. 8, comma 1, lettera c)). Le quote del fondo perequativosono assegnate, in relazione alle spese correnti, in maniera da ridurre adeguatamente le diffe-renze tra territori con diverse capacità fiscali, e alle spese in conto capitale in base al fabbisognostandard di cui è assicurata l’integrale copertura (art. 9, c. 1, lett. f)).

Per quanto riguarda, infine, le spese finanziate con contributi speciali, il riferimento è alcomma quinto dell’articolo 119, secondo cui lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettuainterventi speciali in favore di determinati Enti regionali e locali sostanzialmente al fine di ridurredivari strutturali tra i territori.

Con riferimento alla categoria dei LEP, che concernono i servizi per cui le Regioni devonogarantire livelli essenziali di prestazioni, l’articolo 117, comma 2, lettera m) della Costituzioneriserva alla potestà esclusiva dello Stato la loro determinazione. In base a quanto riportato nellaParte I della nostra Carta Costituzionale - in cui sono appunto trattati i diritti civili e sociali - e aquanto diffusamente ritenuto, le materie su cui concentrare l’attenzione per la fissazione dei LEPnella fornitura del servizio riguardano le spese per lo svolgimento delle funzioni amministrativerelative all’istruzione, la sanità (già di competenza regionale), l’assistenza (in parte giàdecentrata ai Comuni). Per legge dello Stato tali prestazioni devono essere rese secondo livelliessenziali in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. E' pertanto garantito il finanziamentointegrale del fabbisogno determinato nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenzialidelle prestazioni, fissati per legge ed erogati in condizioni di efficienza. Nella legge delega,all’articolo 2, comma 5, è espressamente riportato che il Governo dovrà assicurare pienacollaborazione tra gli Enti decentrati. Inoltre, all’art. 2 comma 6, la legge delega stabilisce che ladeterminazione dei costi e dei fabbisogni standard sulla base dei livelli essenziali di prestazionidi cui al comma 2 dell’articolo 20 sarà fissata per decreto legislativo da adottare entro il terminedi 24 mesi dall’entrata in vigore della legge stessa.

Quanto alle funzioni fondamentali degli Enti locali, la legge non fornisce indicazioni definite,ma transitorie e provvisorie. La categoria è introdotta dalla Costituzione che ne rimette ladefinizione alla legge dello Stato come competenza legislativa esclusiva. In via transitoria lalegge delega determina nell’ottanta percento della spesa di ciascun Comune o Provincia il valoreda ascrivere alle funzioni fondamentali e individua provvisoriamente come tali le funzioni generali

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di amministrazione (al 70%), l’istruzione, i trasporti, la gestione del territorio e dell'ambiente, ilsettore sociale, la polizia locale (solo i Comuni) e i servizi del mercato del lavoro (solo leProvince). Tali funzioni connotano i Comuni quali enti di governo di prossimità e le Provincecome enti di governo di area vasta. La categoria delle funzioni non fondamentali comprendeinvece tutte le altre funzioni svolte a livello locale con l’eccezione di alcuni interventi destinati afinalità specifiche (spese speciali).

La distinzione della spesa per i servizi pubblici degli Enti territoriali in due categorie èrilevante ai fini della dell’assegnazione di risorse perequative. La necessità di evitarediscriminazioni è dominante per la prima categoria e in questo caso la perequazione garantisce ilfinanziamento integrale del fabbisogno determinato, per la spesa corrente, sulla base dei costistandard per le Regioni e della spesa standard (valore standardizzato della spesa al netto degliinteressi) per gli Enti Locali. Per le spese in conto capitale, si considerano indicatori difabbisogno di infrastrutture, secondo la programmazione regionale di settore.

La seconda categoria si compone invece di funzioni residuali, non definite come essenzialio fondamentali dalla legge dello Stato, per cui non è garantito l'integrale finanziamento. In talcaso, la perequazione mira a ridurre “adeguatamente” le disparità fiscale tra enti, misurata sualiquote uniformi e senza penalizzare lo sforzo degli enti nel recupero di base imponibile. Ciònon impedisce a ciascun ente di introdurre soluzioni gestionali meno costose ed eventualirisparmi che consentano riduzioni delle aliquote di prelievo o di disporre di maggiori risorse peraltri servizi.

1.4 FINANZIAMENTO DELLA SPESA E CRITERI DELLA PEREQUAZIONE

Nel nuovo sistema di finanziamento gli enti decentrati saranno principalmente finanziati datre grandi categorie di entrate: i tributi propri (tra cui le addizionali sulle basi imponibili di tributierariali o regionali), le compartecipazioni al gettito di tributi erariali e le quote del fondoperequativo. Sono invece soppressi i trasferimenti ordinari, con la permanenza dei soli contributispecifici, a destinazione vincolata, dell’Unione Europea e dello Stato rivolti alle spese finalizzatesostanzialmente allo sviluppo economico e sociale.

Nella prima categoria sono compresi i tributi propri derivati (istituiti e regolati da leggi statali,di cui gli Enti territoriali potranno modificare le aliquote nei limiti massimi stabiliti dallalegislazione statale) e i tributi propri introdotti autonomamente dagli enti (istituiti con leggiregionali e riguardanti basi imponibili non assoggettate ad imposizione erariale). Gliamministratori locali possono variare, sia pure entro margini prefissati, le aliquote dei tributipropri derivati, introducendo altresì esenzioni, detrazioni, deduzioni. Tali tributi comprendono tuttii tributi propri attualmente esistenti. L’introduzione autonoma di nuovi tributi da parte degli entidecentrati non deve invece utilizzare presupposti di imposta già gravati da forme di prelievoerariale. Le Regioni potranno istituire tributi anche per i livelli inferiori di governo mentre gli Enti

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locali potranno applicare tributi di scopo rivolti alle finalità menzionate nella legge, tra cui per iComuni la realizzazione di infrastrutture, di investimenti pluriennali nei servizi sociali o ilfinanziamento di oneri dovuti a flussi turistici e per la mobilità urbana (art. 12, c.1, lett. d)), e perle Province in riferimento a particolari scopi istituzionali (art. 12, c. 1, lett. e)).

Relativamente alle addizionali su basi imponibili dei tributi erariali e regionali(principalmente addizionale IRPEF), la manovrabilità delle aliquote è stabilita per legge delloStato o della Regione. La categoria delle compartecipazioni ai tributi erariali prevede per leRegioni una compartecipazione all’IVA per il finanziamento delle funzioni essenziali e per gli Entilocali una compartecipazione all’IRPEF, in via provvisoria. Il gettito relativo ai tributi propri derivatie la compartecipazione al gettito erariale saranno assegnati alle Regioni sulla base del principiodi territorialità laddove applicabile (consumo, patrimonio, imposte sulle attività produttive) oppureresidenza del percettore (o luogo di produzione del reddito) per le imposte sui redditi.

Il sistema di finanziamento delle spese, come precedentemente classificate, prevede inoltreuna tutela statale di integrità - grazie anche a trasferimenti perequativi completi - di determinatefunzioni connotate da particolare impatto redistributivo, e valutate con metodi standard (costistandard per i LEP e spesa standard per le funzioni fondamentali degli Enti locali) chedovrebbero consentire il progressivo abbandono del criterio della spesa storica, al fine di ungenerale contenimento delle uscite pubbliche (Tab. 5 ).

Relativamente al finanziamento delle competenze (esclusive e concorrenti) delle Regioni, sidistingue tra la copertura prevista per i LEP e per le altre spese. Nel primo caso, l’ente regione -per il finanziamento integrale delle funzioni - dispone di (art. 8, c. 1, lett. d)): tributi propri derivati(che devono seguire il principio di correlazione), addizionale regionale all’IRPEF,compartecipazione regionale all’IVA, tributi propri autonomi e quote specifiche del fondoperequativo. Da notare che la lettura della legge alla Camera ha comportato l’eliminazione dellealiquote riservate alle Regioni a valere su tributi erariali (ex art. 7 c. 1, lett. b)). Il fondoperequativo deve finanziare la differenza tra il fabbisogno finanziario delle spese, determinatenel rispetto dei costi standard, e il gettito regionale dei tributi ad esse dedicati, valutato a livellistandard, determinato con l’esclusione delle variazioni di gettito prodotte dall’eserciziodell’autonomia tributaria e dell’emersione della base imponibile riferibile al concorso regionaleall’attività di recupero fiscale (art. 9, c. 1, lett. c)) . Le aliquote dei tributi e delle compartecipazionidestinati ai LEP sono determinate al livello minimo sufficiente per il finanziamento integrale deiLEP in una sola Regione (art. 8, comma 1, lettera g)).

Le altre spese delle Regioni sono finanziate con il gettito dei tributi delle Regioni stesse econ quote del fondo perequativo, alimentato da una speciale aliquota di addizionale regionaleall’IRPEF. La perequazione relativa a queste ultime deve avvenire in modo da ridurreadeguatamente (ma non completamente) le differenze nelle diverse capacità fiscali dei territori,senza tuttavia alterarne l’ordine (art. 9, c. 1, lett. b)).

Partecipano alla ripartizione del fondo perequativo le regioni con minore capacità fiscale,ossia quelle in cui il gettito per abitante dell’addizionale regionale all’IRPEF è inferiore al gettito

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medio nazionale per abitante. La ripartizione del fondo tiene conto della dimensione geografica,per le regioni con popolazione al di sotto di una certa soglia, da individuare (art. 9, c. 1, lett. g)).

Il criterio della perequazione incompleta della capacità fiscale intende ancheresponsabilizzare le regioni, almeno al margine, rispetto all’”utilizzo” delle proprie basi imponibili,per cercare di evitare i comportamenti opportunistici connessi ad una perequazione completadelle risorse e di incentivare sforzi fiscali per ottenere maggiori disponibilità o per intensificarel’attività di accertamento dei tributi, con miglioramenti in termini di emersione e di evasionefiscale. Per le materie “meno tutelate” dunque, sono accettabili divari tra fabbisogni standard erisorse a disposizione, a vantaggio di una maggiore responsabilizzazione finanziaria locale e delsistema nazionale della finanza pubblica.

Il fondo perequativo statale viene alimentato dalla compartecipazione al gettito dell’IVA per iLEP e con quote dell’addizionale regionale all’IRPEF per le altre spese (art. 10).

Anche per gli Enti locali si distingue il finanziamento delle funzioni fondamentali e delle altrespese. Le prime sono coperte integralmente solo per i fabbisogni standard da (art. 11, c. 1, lett.b)): tributi propri, compartecipazioni a tributi erariali e regionali, da addizionali a tali tributi e dalfondo perequativo (con copertura della differenza tra fabbisogno standard e dotazione fiscale).Per i Comuni (art. 12, c. 1, lett. b)) sono previste prioritariamente compartecipazioni all’IVA eall’IRPEF, quest’ultima manovrabile tenendo conto della dimensione geografica dei comuni perfasce, e l’imposizione immobiliare (ad esclusione di quella sull’abitazione principale). LeProvince (art. 12, c. 1, lett. c)) sono prioritariamente finanziate dal gettito derivante da tributi il cuipresupposto è connesso al trasporto su gomma e dalla compartecipazione a un tributo erariale.Le altre spese sono finanziate con tributi propri e quote del fondo perequativo basato sullacapacità fiscale.

I fondi perequativi per i Comuni e per le Province sono istituiti nel bilancio delle Regioni esono alimentati da un fondo dello Stato a carico della fiscalità generale che dispone glistanziamenti per le diverse tipologie di enti. La dimensione del fondo è determinata, per ciascunlivello di governo e con riguardo alle funzioni fondamentali, in misura uguale alla differenza tra iltotale dei fabbisogni standard e il totale delle entrate standardizzate spettanti a ciascun livello(tributi propri, compartecipazioni, tariffe per prestazioni o servizi offerti anche su richiesta disingoli cittadini). I fondi vengono ripartiti in base a un indicatore di fabbisogno finanziario(differenza tra valore standardizzato della spesa corrente al netto degli interessi e valorestandardizzato del gettito dei tributi ed entrate proprie di applicazione generale) e a un parametrodi fabbisogno di infrastrutture (art. 13, c. 1, lett. c)). La spesa corrente standardizzata è calcolatain base a una quota uniforme per abitante corretta per tener conto dell’ampiezza e dellecaratteristiche demografiche, sociali, territoriali e produttive dell’ente.

Per le spese diverse da quelle fondamentali, il fondo perequativo per gli Enti Locali è direttoa ridurre le differenze tra le capacità fiscali, tenendo conto della dimensione demografica e dellapartecipazione a forme associative (art. 13, c. 1, lett. f)).

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Tab. 1 PRINCIPI E CRITERI DI DELEGA PER LE REGIONI: LE FUNZIONI ESSENZIALI

Fonte: Camera dei deputati e Senato della Repubblica (2009); Camera dei deputati (2009a e 2009b).(1) Le Regioni possono modificare aliquote e disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei limiti fissati dalla legge statale.

Tab. 2 PRINCIPI E CRITERI DI DELEGA PER LE REGIONI: LE FUNZIONI NON ESSENZIALI,TRASPORTO PUBBLICO LOCALE E SPESE SPECIALI

Fonte: Camera dei deputati e Senato della Repubblica (2009); Camera dei deputati (2009a e 2009b).(1) Le Regioni possono modificare aliquote e disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei limiti fissati dalla legge statale.

Spesa La legge dello Stato determina le prestazioni che devono essere rese secondo livelli essenziali in modo uniforme su tutto ilterritorio nazionale. Il criterio diretttivo della legge delega stabilisce che tra queste sono comprese la sanità, l’assistenza e,relativamente all’istruzione, le spese per lo svolgimento delle funzioni amministrative attribuite alle Regioni. E' garantito ilfinanziamento integrale del fabbisogno determinato nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle presta-zioni, fissati per legge ed erogati in condizioni di efficienza.

Entrate Tributi regionali Compartecipazione a tributi erariali

Fondo perequativo

Tributi propri derivati de-finiti con legge statale(1)

Il gettito valutato ai finidella perequazione èdeterminato ad aliquotae base imponibile uni-forme. IRAP: per il periodotransitorio, fino alla so-stituzione con altri tribu-ti.

Addizionali su basi impo-nibili dei tributi erariali(1)

Addizionale regionaleIRPEF: Il gettito valutatoai fini della perequazioneè determinato ad aliquotae base imponibile unifor-me. La misura dell'addi-zionale sarà incre-mentata in corrisponden-za della riduzione deitributi erariali.

Tributi propriautonomi

Istituiti e disci-plinati con leg-ge regionale.

CompartecipazioneIVA

La compartecipazio-ne IVA sarà incre-mentata per finan-ziare la riduzionedei tributi erariali.

Il fondo perequativo, a ca-rattere verticale, finanzia inciascuna Regione la diffe-renza tra il fabbisogno fi-nanziario calcolato sulcosto standard e il gettitodei tributi propri derivati,delle addizionali regionali,dell'IRAP e dellacompartecipazione IVA. Lealiquote sono fissate al li-vello minimo da assicurarepieno finanziamento in unasola Regione.

Funzioni non essenziali

Spesa Definite residualmente, sono tutte le spese non ascritte dalla legge dello Stato come essenziali, ad eccezione del trasportopubblico locale e delle spese speciali. La perequazione opera in base alla capacità fiscale e non ne garantisce l'integralefinanziamento.

Entrate Tributi regionali Addizionale IRPEF ad aliquota media

Fondo perequativo

Tributi propri de-rivati definiti conlegge statale(1)

Addizionali subasi imponibilidei tributi era-riali(1) Il gettito valutatoai fini della pere-quazione è de-terminato adaliquota e baseimponibile uni-forme.

Tributi propriautonomi istitu-iti e disciplinaticon legge regio-nale.

Il gettito nazionaledovrà essere pariall'ammontare deitrasferimenti erarialisoppressi e sarà distri-buito tra le Regioni infunzione della capacitàfiscale. La misuradell'aliquota sarà incre-mentata in corrispon-denza della riduzionedei tributi erariali.

Alimentato da una quota del gettitodella speciale aliquota di addizionaleregionale all’IRPEF dedicata alle spesenon essenziali. E' finalizzato a ridurre ledifferenze interregionali di gettito perabitante rispetto al reddito medio nazio-nale per abitante, riducendo adeguata-mente le differenze di gettito tra iterritori con diverse capacità fiscali,senza alterarne l’ordine né sue futuremodifiche. Prodotto nelle Regioni il cui ilgettito procapite supera il valore mediodel gettito nelle Regioni a statuto ordi-nario.

Trasporto pubblico locale

Spesa La definizione fa riferimento alle leggi vigenti che definiscono le funzioni amministrative trasferite ed assegnate a Regioni edEnti locali. La determinazione dell’ammontare di finanziamento del trasporto pubblico locale è diretto a garantire la fornituradi un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale sulla base dei costi standard.

Entrate Le quote del fondo perequativo sono assegnate alle spese correnti in maniera da ridurre adeguatamente le differenze tra ter-ritori con diverse capacità fiscali e alle spese in conto capitale in base al fabbisogno standard di cui è assicurata l’integralecopertura. I criteri direttivi non indicano uno speciale finanziamento per la perequazione delle spese per il trasporto pubblicolocale.

Spese speciali

Spesa Interventi speciali finanziati con risorse pluriennali e vincolate nella destinazione e diretti a promuovere lo sviluppo e a rimuo-vere gli squilibri economici e sociali nelle aree sottoutilizzate del Paese.

Entrate Contributi speciali, finanziamenti dell'UE e dello Stato, cofinanziamenti regionali.

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Tab.3 PRINCIPI E CRITERI DI DELEGA PER GLI ENTI LOCALI: LE FUNZIONI FONDAMENTALI

Fonte: Camera dei deputati e Senato della Repubblica (2009); Camera dei deputati (2009a e 2009b).(1) I Comuni possono modificare le aliquote e introdurre agevolazioni nei limiti fissati dalla legge statale.

Tab. 4 PRINCIPI E CRITERI DI DELEGA PER GLI ENTI LOCALI: LE FUNZIONI NON FONDAMENTALI E LE SPESE SPECIALI

Fonte: Camera dei deputati e Senato della Repubblica (2009); Camera dei deputati (2009a e 2009b).

Spesa La categoria è introdotta dalla Costituzione che ne rimette la definizione alla legge dello Stato come competenza legislativaesclusiva. In via transitoria la legge delega individua come tali le funzioni generali di amministrazione, istruzione, trasporti,gestione del territorio e dell'ambiente, settore sociale, polizia locale (solo i Comuni) e servizi del mercato del lavoro (solo leProvince) e determina nell’ottanta percento della spesa di ciascun Comune o Provincia il valore da ascrivere alle funzioni fon-damentali. E' garantito il finanziamento integrale del fabbisogno determinato, per la spesa corrente, sulla base del valorestandardizzato della spesa al netto degli interessi e, per le spese in conto capitale, sulla base di indicatori di fabbisogno diinfrastrutture, secondo la programmazione regionale di settore.

Entrate Tributi degli Enti locali Compartecipazione a tributi erariali e regio-nali

Fondo perequativo

Tributi propri derivatidefiniti con legge sta-tale o regionale (1)

Comuni:imposizione immobi-liare (è esclusa latassazione dell'abita-zione principale);Province: tributi connessi al tra-sporto su gomma.

Addizionali su basiimponibili dei tribu-ti erariali e regionali

La manovrabilitàdelle addizionali di-pende dalla dimen-sione demograficadei Comuni per fa-sce, ed è stabilitaper legge dello Sta-to o della Regione.

Tributi propriautonomi e ta-riffe

Tributi propricomunali eprovinciali ri-feriti a specifi-ci scopi.Autonomiadei Comuninella fissa-zione delle ta-riffe per pre-stazioni o ser-vizi offerti.

Comuni:compartecipazioneall'IVA e all'IRPEF.Province:compartecipazionead un tributo erariale.

Il gettito è senza vin-colo di destinazione.

Nel bilancio della Regione sono isti-tuiti due fondi, uno a favore deiComuni e l’altro delle Provincie edelle città metropolitane, alimentatia carico della fiscalità generale. Il Fondo è determinato, per ciascunlivello di governo, in misura ugualealla differenza tra il totale dei fabbi-sogni standard e il totale delleentrate standardizzate spettanti aciascun livello. La spesa correntestandardizzata è calcolata in base auna quota uniforme per abitantecorretta per le caratteristiche demo-grafiche sociali territoriali e produt-tive dell’ente. Il contributoperequativo integra il gettito dei tri-buti assegnati alle funzioni fonda-mentali, ad esclusione del gettitodei tributi propri autonomi, fino aconcorrenza delle spese stabilitecome fabbisogno standard.La ripartizione del fondo tra enti èeffettuata in base a un parametro difabbisogno finanziario (differenzaentrate e spese correnti) e a unparametro di fabbisogno di infra-strutture.

Funzioni non fondamentali

Spesa E’ una categoria di funzioni residuale, non definite come fondamentali dalla legge dello Stato. Non è garantito l'integrale finanziamento.

Entrate Tributi propri derivati e tributi propriautonomi degli Enti locali

Compartecipazione a tributierariali e regionali

Fondo perequativo

La legge delega non indica specificame-nente i tributi destinati al finanziamentodelle funzioni fondamentali

Il gettito è senza vincolo didestinazione

È finalizzato a ridurre le differenze tra le capa-cità fiscali, tenendo conto, per gli enti conpopolazione al disotto di una soglia da indivi-duare, del fattore demografico e della parte-cipazione a forme associative.

Spese speciali

Spesa Interventi speciali finanziati con risorse pluriennali e vincolate nella destinazione e diretti a promuovere lo sviluppo e arimuovere gli squilibri economici e sociali nelle aree sottoutilizzate del Paese.

Entrate Contributi speciali, finanziamenti dell'UE e dello Stato, cofinanziamenti regionali.

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Principali elementi della legge delega sul federalismo fiscale

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Tab. 5 I FONDI PEREQUATIVI PER LE REGIONI E GLI ENTI LOCALI

Fonte: tratto da Camera dei deputati e Senato della Repubblica (2009).(1) Nel bilancio delle Regioni sono istituiti due fondi perequativi, di cui uno a favore dei Comuni e l'altro a favore delle Province e Città met-ropolitane.

1.5 SISTEMA DI COORDINAMENTO DELLA FINANZA PUBBLICA

L’attuazione del federalismo fiscale implica necessariamente cambiamenti negli assettiistituzionali che, anche in applicazione del principio di leale collaborazione, devono rispecchiareil realizzarsi di scelte sempre più concertate tra tutti i livelli di governo che, nello schema diequiordinazione stabilito dall’articolo 114 della Costituzione, costituiscono la Repubblica. E’inoltre ribadito il concorso di tutte le Amministrazioni pubbliche al conseguimento degli obiettivi difinanza pubblica nazionale in coerenza con i vincoli posti dai Trattati dell’Unione Europea. In talsenso, assumono notevole importanza i luoghi di confronto istituzionale.

Oltre alla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale (art. 3), e alComitato delle autonomie territoriali (art. 3, c. 4), la legge prevede l’istituzione di unaCommissione paritetica (art. 4) per l’attuazione del federalismo - tramite un D.P.C.M. entro 30giorni dalla data di entrata in vigore della legge - presso il Ministero dell’Economia e delleFinanze (Tabb. 6, 7 e 8). La Commissione acquisisce ed elabora elementi conoscitivi per lapredisposizione, da parte del Governo, degli schemi dei decreti legislativi di attuazione. Essaopera inoltre quale sede di condivisione delle basi informative finanziarie, economiche e

Regioni Enti locali(1)

Fonti di finanziamento Utilizzo Fonti di finanziamento Utilizzo

Compartecipazione gettitoIVA (da determinare nelrispetto dell'integrale finan-ziamento delle spese essen-ziali).

Spese essenziali (differenza tra fabbi-sogno - determinato a costi standard diuna sola Regione -e gettito regionaledei tributi derivati e delle addizionali -determinato ad aliquota e base imponi-bile uniforme).

Fondo perequativo delloStato (alimentato dallafiscalità generale) dadeterminare sulla basedel totale dei fabbisognistandard di ciascun livellodi governo.

Spese fondamentali (determi-nate sulla base del fabbisognofinanziario - corrispondente alladifferenza tra entrate proprie espesa corrente calcolata a valorestandard - e fabbisogno di infra-strutture per il finanziamentodella spesa in conto capitale).

Quota dell'addizionaleIRPEF ad aliquota media (dadeterminare con riferimentoalle spese non essenziali).Partecipano al finanzia-mento le Regioni con mag-giore capacità fiscale.

Spese non essenziali, per le soleRegioni con minore capacità fiscale(ossia quelle nelle quali il gettito regio-nale per abitante dell'addizionaleIRPEF ad aliquota media è inferiore algettito medio del medesimo tributo subase nazionale). La perequazione èfinalizzata a ridurre le capacità fiscalianche tenendo conto del fattore demo-grafico; in ogni caso non dovrà alterarel'ordine di graduatoria delle capacitàfiscali.

Spese non fondamentali (quotafinalizzata a ridurre le differenzetra le capacità fiscali anchetenendo conto del fattore demo-grafico e della partecipazione aforme associative; la perequa-zione non dovrà alterare l'ordinedi graduatoria delle capacitàfiscali).

I decreti di attuazionedovranno prevedere unincremento dell'aliquota dicompartecipazione IVA eIRPEF per il finanziamentodel fondo perequativo regio-nale.

La perequazione relativa alle speseper il trasporto pubblico locale riguardaanche le spese in conto capitale per lequali è garantito il finanziamento inte-grale del fabbisogno standard.

Le Regioni possono procedere aproprie valutazioni in materia dispesa corrente standardizzata edi entrate standardizzate nonchédi fabbisogni di infrastrutture aifini del riparto del fondo.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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tributarie, formate avvalendosi degli elementi forniti dalle amministrazioni statali, regionali elocali, e promuove la realizzazione delle rilevazioni e delle attività necessarie per soddisfare glieventuali ulteriori fabbisogni informativi. Indagini conoscitive sulla gestione dei servizi diaccertamento e riscossione dei tributi locali saranno affidati alla Commissione parlamentare divigilanza (Tab. 9).

La legge delega sull’attuazione del federalismo fiscale introduce, nell’ambito dellaConferenza Unificata, una Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica(art. 5) con compiti molto rilevanti: concorso alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica percomparto e alla definizione delle procedure di accertamento di eventuali scostamenti da taliobiettivi, promozione e verifica di attuazione degli interventi correttivi, vigilanza sull’applicazionee sul funzionamento dei meccanismi premiali e sanzionatori, proposte sui criteri circa il correttoutilizzo e l’applicazione del fondo perequativo (secondo principi di efficacia, efficienza etrasparenza), verifica del funzionamento del nuovo ordinamento finanziario dei vari livelli digoverno, promozione di eventuali modifiche o adeguamenti del sistema di relazioni finanziarie,verifica della congruità dei dati, finanziari e tributari, forniti dalle amministrazioni territoriali(Tab. 10).

La Commissione paritetica per l’attuazione del federalismo e la Conferenza permanentesono le sedi di condivisione delle basi informative necessarie per l’attuazione del decentramento,quali le informazioni sulle capacità fiscale degli enti e sul grado di redistribuzione realizzatomediante i meccanismi perequativi.

Inoltre la legge prevede un sistema premiale e sanzionatorio per gli enti. Nell’ultimaversione della legge meccanismi di carattere premiale riguardano anche lo svolgimentodell’attività di contrasto all'evasione ed elusione fiscale. A fronte di risultati migliori degli obiettiviassegnati, l’aliquota di un tributo erariale sembra possa essere proporzionalmente ridotta per icontribuenti residenti nel territorio dell’ente virtuoso. Riguardo alle sanzioni sono previsti limitialle assunzioni e alle spese discrezionali degli enti che non conseguono gli obiettivi e nonadottano le misure correttive necessarie incluso l’utilizzo dei margini disponibili di aumento delprelievo. Sono previsti provvedimenti nei confronti dei loro amministratori inclusa l’ineleggibilitànel caso di dissesto.

Le nuove scelte istituzionali devono allargarsi anche agli aspetti relativi alla riforma delprocesso di bilancio, che riguardi non solo la revisione della struttura del bilancio dello Stato maimplichi anche interventi atti ad adeguare la legge di contabilità pubblica (468/1978) al nuovocontesto federale, come peraltro si sta proponendo tramite l’atto parlamentare 1397 approvatodalla Commissione Bilancio del Senato il 27 maggio scorso. Occorrerà quindi affrontare iproblemi di armonizzazione dei vari bilanci pubblici (art. 2, comma 2, lettera h)), con la necessitàdi uno sforzo condiviso tra i rappresentanti dei vari livelli di governo che, dopo un lungo periododi legificazione in tal senso e di successive approssimazioni, porti ad un reale adeguamento deisistemi contabili. I governi decentrati dovrebbero contribuire – con piena assunzione di

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Principali elementi della legge delega sul federalismo fiscale

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responsabilità - alla formazione del “bilancio nazionale”, anche in considerazione dell’entità edella rilevanza della spesa indirizzata a fornire prestazione essenziali da parte delle Regioni eservizi fondamentali da parte degli Enti locali.

Vanno inoltre individuati i principi fondamentali per la redazione dei bilanci consolidati inmodo da dare conto dei servizi esternalizzati. A tal proposito occorre notare che anche il disegnodi legge 1397 fa riferimento all’armonizzazione dei vari bilanci pubblici. La priorità assegnata atale tema è evidente nelle ultime modifiche apportate dalla Camera alla legge delega e relativealla tempestiva comunicazione al Governo dei bilanci preventivi e consuntivi di Regioni ed Entilocali, alla pubblicazione degli stessi bilanci su siti internet e alla già citata adozione per decretolegislativo dei principi di armonizzazione contabile contabili degli stessi bilanci, entro dodici mesidall’entrata in vigore della legge delega.

Come importante aspetto del contesto federale, emerge anche nella legge il ruolo rilevantedi coordinamento assegnato alle Regioni. Per l’organizzazione delle finanza di Province eComuni, infatti, un ruolo di coordinamento è affidato dalla Costituzione (e ribadito nella delegaall’art. 2, c. 2, lett. m)) allo Stato e alle Regioni, trattandosi di una competenza concorrente. Inprimo luogo, per quanto concerne il coordinamento del sistema tributario, le Regioni, comeindicato all’articolo 2, comma 2, lettera q), possono istituire tributi locali con riguardo aipresupposti non assoggettati a imposizione da parte dello Stato. In secondo luogo, come èesplicitamente indicato nell’articolo 13, lettera g), le Regioni possono effettuare - sulla base dicriteri stabiliti con accordi sanciti in Conferenza Unificata e previa concertazione con gli Entilocali, e avendo come riferimento il complesso delle risorse assegnate dallo Stato a titolo difondo perequativo ai Comuni e alle Province inclusi nel territorio regionale - propriequantificazioni delle entrate standardizzate e della spesa corrente standardizzata, in base acriteri espressamente indicati nella legge delega (quote uniformi per abitante, corrette in baseall’ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali, demografiche, sociali e produttive deidiversi enti, tenendo conto anche della spesa per servizi esternalizzati o svolti in formaassociata). Possono inoltre procedere a valutazioni autonome dei fabbisogni di infrastrutture. Ciòpuò ovviamente implicare sistemi di ripartizione delle risorse del fondo perequativo differenziatitra Regioni, ma i principi generali stabiliti dalle leggi dello Stato dovrebbero concorrere a evitareeccessive discrezionalità.

La legge delega, inoltre, conferma la possibilità di “regionalizzazione” del Patto di stabilitàinterno (PSI), precedentemente indicata nel disegno di legge 3100 presentato nella scorsalegislatura e mai approvato e anche ribadita nel decreto legge 112 del 2008 (poi legge 133/2008), riferito alla manovra triennale. L’articolo 17 (c. 1, lett. c)) della delega, infatti, disponeesplicitamente che al fine di assicurare gli obiettivi sui saldi di finanza pubblica le Regionipossano adattare, previa concertazione con gli enti locali ricadenti nel territorio regionale, leregole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussifinanziari dei singoli enti in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti nellediverse Regioni.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Tab. 6 COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L’ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE (ART. 3)

Fonte: tratto da Camera dei deputati e Senato della Repubblica (2009).

Tab. 7 COMITATO DI RAPPRESENTANTI DELLE AUTONOMIE TERRITORIALI (ART. 3, CO. 4)

Fonte: tratto da Camera dei deputati e Senato della Repubblica (2009).

Tab. 8 COMMISSIONE TECNICA PARITETICA PER L’ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE (ART. 4)

Fonte: tratto da Camera dei deputati e Senato della Repubblica (2009).

Composizione Funzioni Raccordo con altri organi

15 senatori e 15 deputati, nominatirispettivamente dal Presidente delSenato e dal Presidente dellaCamera in modo da rispecchiare laproporzione dei gruppi parlamentari.Il presidente viene nominato dai pre-sidenti di Camera e Senato.La Commissione è sciolta in coinci-denza con la conclusione della fasetransitoria.

• verifica l'attuazione del federalismofiscale fino alla conclusione dellafase transitoria, riferendo, ogni seimesi, alle Camere;

• formula osservazioni e fornisce alGoverno elementi di valutazioneutili alla predisposizione dei decretilegislativi attuativi della riforma;

• esprime pareri sugli schemi dei de-creti legislativi attuativi della rifor-ma.

La Commissione parlamentare per l’attuazione delfederalismo fiscale si raccorda con:

• le Regioni, le Città metropolitane, le Province e iComuni attraverso la consultazione di un organismotecnico esterno, il Comitato di rappresentanti delle au-tonomie territoriali, procedendo, ogniqualvolta lo riten-ga necessario, allo svolgimento di audizioni delComitato e acquisendone il parere;

• la Commissione tecnica paritetica per l’attuazione delfederalismo fiscale, a cui la Commissione parlamen-tare può rivolgersi per ottenere tutte le informazioninecessarie per verificare lo stato di attuazione della ri-forma;

• la Conferenza permanente per il coordinamento dellafinanza pubblica, a cui la Commissione parlamentarepuò rivolgersi per ottenere tutte le informazioni neces-sarie per verificare lo stato di attuazione della riforma.

Composizione Funzioni Raccordo con altri organi

Dodici componenti: sei in rappresentanzadelle Regioni, due delle Province, quattrodei Comuni, nominati dalla “componenterappresentativa delle Regioni e degli Entilocali” nell’ ambito. della Conferenzaunificata.

Svolge funzioni di raccordo con gli Entiterritoriali.

Il Comitato di rappresentanti delle autono-mie territoriali si raccorda con la Commis-sione parlamentare per l’attuazione delfederalismo fiscale.

Composizione Funzioni Raccordo con altri organi

30 componenti:• 15 rappresentanti tecnici dello Stato;• 15 rappresentanti tecnici degli Enti ter-

ritoriali (Comuni, Province, Città metro-politane e Regioni).

Partecipano alle riunioni un rappresen-tante tecnico della Camera dei deputati euno del Senato, nominati dai rispettiviPresidenti, e un rappresentante tecnicodelle Assemblee legislative regionali edelle Province autonome.È istituita con D.P.C.M. entro 30 giornidalla data di entrata in vigore della legge(entro il 19 giugno 2009), presso il Mini-stero dell’economia e delle finanze, puroperando nell’ambito della Conferenzaunificata.Nello svolgimento dell’attività ricognitivarelativa alle Regioni a statuto speciale ealle province autonome, è integrata daun rappresentante tecnico della singolaregione o provincia interessata.

• acquisisce ed elabora elementi conosci-tivi per la predisposizione, da parte delGoverno, degli schemi dei decreti legi-slativi di attuazione;

• opera quale sede di condivisione dellebasi informative finanziarie, economichee tributarie, formate avvalendosi deglielementi informativi forniti dalle ammini-strazioni statali, regionali e locali;

• promuove la realizzazione delle rileva-zioni e delle attività necessarie per sod-disfare gli eventuali ulteriori fabbisogniinformativi;

• svolge attività consultiva per il riordinodell’ordinamento finanziario di Comuni,Province, Città metropolitane e Regionie delle relazioni finanziarie intergover-native.

• svolge attività meramente ricognitivadelle disposizioni vigenti concernentil’ordinamento finanziario delle Regioni astatuto speciale e delle province autono-me di Trento e di Bolzano e della relati-va applicazione

La Commissione tecnica paritetica perl’attuazione del federalismo fiscale si rac-corda con:• la Conferenza unificata, nel cui ambito

opera;• la Conferenza permanente per il coordi-

namento della finanza pubblica, di cui co-stituisce la segreteria tecnica;

• le Camere, i Consigli regionali e le Pro-vince autonome, a cui, su richiesta, tra-smette dati ed informazioni.

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Principali elementi della legge delega sul federalismo fiscale

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Tab. 9 COMMISSIONE PARLAMENTARE DI VIGILANZA SULL’ANAGRAFE TRIBUTARIA (ART. 6)

Fonte: tratto da Camera dei deputati e Senato della Repubblica (2009).

Tab. 10 CONFERENZA PERMANENTE PER IL COORDINAMENTO DELLA FINANZA PUBBLICA (ART. 5)

Fonte: tratto da Camera dei deputati e Senato della Repubblica (2009).

L’articolo 18 della legge delega, inoltre, prevede un Patto di convergenza che proponenorme di coordinamento dinamico da inserire nel disegno di legge finanziaria, coerenti con ilDPEF e valutate congiuntamente in sede di Conferenza Unificata. Tale Patto, oltre a stabilire -per ciascuna sfera di governo territoriale - il livello programmato dei saldi, le modalità di ricorso aldebito e l’obiettivo della pressione fiscale complessiva, dispone norme per la realizzazione dellaconvergenza di costi e fabbisogni standard e definisce un percorso di convergenza degli obiettividei servizi verso i LEP e le funzioni fondamentali. La Conferenza permanente effettua ilmonitoraggio e, nel caso di maggiori scostamenti rilevati nei costi per abitante, lo Stato attiva un“Piano di convergenza” per gli enti con costi eccessivi, che identifica cause e azioni correttive,nonché fornisce assistenza tecnica agli enti stessi a diffusione delle migliori pratiche.

Rilevante è, infine, la previsione di un sistema premiante o sanzionatorio rispetto alraggiungimento delle obiettivi di finanza pubblica con meccanismi di carattere premiale nellalotta all'evasione e all'elusione (art. 2, lettere d) e z)) e di premialità dei comportamenti virtuosi(art. 16, lettera e) della legge delega. L’applicazione di sanzioni deve essere infatti contemplataall’interno dell’attività di coordinamento e di disciplina intergovernativa, attribuendo un realepotere di enforcement al governo centrale, come non avvenuto nelle versioni del PSI sinora

Composizione Funzioni

11 componenti designati dai Presidenti delle due Camere. È chiamata ad effettuare indagini conoscitive e ricerche sullagestione dei servizi di accertamento e riscossione dei tributi localie sui sistemi informativi riferibili a tali servizi.

Composizione Funzioni Raccordo con altri organi

La Conferenza permanente,istituita nell’ambito della Con-ferenza unificata Stato-Regioni-città e autonomielocali, è composta dai rappre-sentanti dei diversi livelli isti-tuzionali di governo.L’istituzione: è demandata ai

decreti legislativi di cui all’art.2 della legge.

• concorso alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica percomparto, con compiti di proposta, di monitoraggio e di verifica;

• verifica periodica del funzionamento del nuovo ordinamentofinanziario degli Enti territoriali, compresa la verifica sulla congruitàdei tributi di riferimento per la copertura del fabbisogno standardrelativo alle “spese essenziali” delle Regioni;

• proposta dei criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi -secondo princìpi di efficienza, efficacia e trasparenza - e verifica dellaloro applicazione;

• verifica del corretto utilizzo dei fondi per gli interventi speciali di cuiall’art. 117, quinto comma, Cost.;

• verifica delle relazioni finanziarie tra i diversi livelli di governo edell'adeguatezza delle risorse di ciascun livello rispetto alle funzionisvolte, proponendo eventuali modifiche;

• verifica della congruità dei dati e delle basi informative finanziarie etributarie, fornite dalle amministrazioni territoriali;

• raccolta di tutti gli elementi informativi, che sono messi a disposizionedelle Camere, e dei Consigli regionali;

• quantificazione degli interventi statali sulle basi imponibili e sullealiquote riguardanti i tributi degli Enti locali, degli interventi riguardantii tributi propri derivati delle Regioni e delle aliquote riservate alleRegioni a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali.

La Conferenza si pone qualeorgano di supporto alla Con-ferenza unificata e allostesso Governo nell’eserciziodelle funzioni indicate dall’art.18 della legge, essendolespecificamente attribuita lacompetenza alla verificaperiodica della realizzazionedel percorso di convergenzadei costi, dei fabbisogni stan-dard dei vari livelli istituzionalie degli obiettivi di servizio.La Conferenza permanentesi avvale come segreteriatecnica della Commissionetecnica paritetica per l’attua-zione del federalismo fiscaleai fini dello svolgimento delleoperazioni istruttorie e di sup-porto necessarie alla sua atti-vità.

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adottate. Tra le sanzioni previste nella legge rientrano il divieto di procedere alla copertura diposti di ruolo vacanti nelle piante organiche degli enti e il divieto di iscrivere in bilancio spese perattività discrezionali.

Viene inoltre individuata la possibilità di meccanismi automatici sanzionatori degli organi digoverno e amministrativi degli enti, sino anche alla possibilità di ineleggibilità nei confronti degliamministratori responsabili dello stato di dissesto finanziario.

1.6 ELEMENTI CRITICI DI DISCUSSIONE E OPPORTUNITÀ

1.6.1 Autonomia impositiva e compartecipazioni

Data l’entità della spesa da decentrare e la disponibilità di tributi propri, autonomi e derivati,è prevedibile un ampio ricorso alle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali, peraltro riferibileal territorio delle autonomie locali. Presumibilmente, infatti, le fonti di entrate proprie autonomesaranno limitate mentre più ampio spazio nell’elenco delle risorse sarà colmato dai tributi propriderivati (come IRAP, ICI e addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali) e dallecompartecipazioni (all’IVA e all’IRPEF per gli Enti Locali), anche come fonti di alimentazione deifondi perequativi.

La scelta delle compartecipazioni, al posto dei trasferimenti esistenti nella struttura difinanziamento precedente alla riforma del Titolo V della Costituzione, dovrebbe soddisfarel’esigenza di fornire certezza e stabilità di risorse agli Enti decentrati, sostituendo l’operareautomatico del regime delle compartecipazioni al sistema di regole discrezionali che è statosinora alla base della definizione annuale dei trasferimenti dal centro. Le compartecipazioni,tuttavia, non implicano autonomia impositiva in quanto gli incassi introitabili a livello regionaledipendono dalle scelte del governo centrale su aliquote e base imponibile. A livello territoriale,quindi, è garantita la sola autonomia su come spendere un dato ammontare di risorse. Dovrebbeesserci, invece, una maggiore consapevolezza che decisioni sulle entrate e sulle spese debbanoessere coordinate e procedere insieme per centrare il binomio autonomia/responsabilizzazionepiù “favorevole”. Come del resto mostra l’esperienza internazionale in cui, come è emerso ancheda recenti analisi - sia di natura descrittiva sia di tipo econometrico - effettuate dall’ISAE, èevidente che si sono verificati migliori rendimenti fiscali, nel senso di migliori rapporti deficit/PIL,per i paesi che hanno decentralizzato la spesa in concomitanza di una devoluzione di capacitàimpositiva.

Date le difficoltà insite nella realizzazione di un sistema di finanziamento decentrato (cherichiede - oltre a dettagliate informazioni e a un organo tecnico di gestione – la predisposizione direalistiche e condivise previsioni dei fabbisogni da coprire, pur nell’intento di un contenimentodella spesa, ancorata ai costi standard), risulta molto importante scegliere un mix ottimale dirisorse che cerchi di minimizzare il rischio molto preoccupante che revisioni basate su valutazioni

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discrezionali, con modifiche di anno in anno, mettano in discussione un principio fondamentaleper una buona gestione, quello della certezza delle risorse, alimentando conflittualità eirresponsabilità tra le Regioni.

I tributi da utilizzare per il finanziamento delle funzioni dovrebbero essere scelti, come piùvolte argomentato dall’ISAE, in base a determinati criteri fondamentali: indicazioni di caratterequalitativo (principio del beneficio, mobilità delle basi imponibili), parametri di natura quantitativa(coefficiente di variazione, circa la più o meno uniformità della distribuzione regionale dei tributi;coefficiente di sincronia delle dinamiche, che indica il grado di omogeneità tra le Regioni dei tassidi variazione annui dei gettiti, al fine di preservare la struttura iniziale del sistema difinanziamento; coefficiente di stabilità, da valutare al fine di evitare una eccessiva dipendenzadalle fluttuazioni cicliche), comparazione con le spese e con la loro dinamica (adeguatezza). Mapossono sorgere problemi anche riguardo alla insufficienza del tasso medio di crescitadell’aggregato di entrate complessivo. Infatti, le forme di imposizione disponibili per accrescerel’autonomia tributaria locale potrebbero risultare non sufficientemente dinamiche per coprirespese che, a decentramento avvenuto, le Amministrazioni locali saranno chiamate adamministrare. Ciò implica un ruolo potenzialmente crescente delle compartecipazioni IRPEF eIVA come importanti fonti di finanziamento, anche tramite il fondo perequativo.

Tra i principali tributi che dovranno assicurare la copertura dei servizi relativi alle funzionifondamentali, la delega elenca esplicitamente l’imposizione immobiliare con esclusione dellatassazione patrimoniale sull’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggettopassivo (art. 12, c. 1, lett. b)). La detassazione della prima casa - prima disposta parzialmentedalle norme della legge finanziaria per il 2008 e poi totalmente da quelle del decreto legge 93 del2008 – costituisce una anomalia rispetto al sistema del finanziamento comunale dei paesieuropei. Con riferimento a quanto enunciato nella delega in via generale (all’art. 12, c. 1, lett. a)),quando si prevede l’attribuzione ai Comuni di tributi o parti di tributi già erariali o latrasformazione di tributi comunali già esistenti, si deve escludere l’ipotesi della istituzione di untributo unico sugli immobili. Risulterebbe assai complesso riunire in unica imposta fonti di entratamolto differenti. Le imposte sui trasferimenti immobiliari (registro, successioni e donazioni,ipotecarie e catastali, IVA), la TARSU (o TIA) e l’imposizione sui redditi fondiari sono infatticaratterizzate da imponibili, soggetti passivi, metodi di calcolo e di funzionamento nonché finalitàassai diversi.

1.6.2 Determinazione dei LEP e riequilibrio finanziario

Per quanto riguarda il decentramento delle funzioni, sarà necessario definire le prestazioniai livelli essenziali, analizzare il bilancio dello Stato dettagliatamente (così come è stato fatto,esaminando capitolo per capitolo, in occasione del decentramento amministrativo), creare deitavoli di riparto concreto cui far partecipare rappresentanti dello Stato e degli Enti Territoriali.Appare inoltre indispensabile una approfondita analisi delle varie leggi di autorizzazione, con una

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rivisitazione del complesso della legislazione di spesa che, necessita di un intervento politico. Èinfatti ancora diffusamente riconosciuta la necessità di ricondurre nell’ambito delle competenzeesclusive statali talune funzioni che risentirebbero negativamente di una segmentazionenormativa tra vari livelli di governo (come nel caso delle materie produzione, trasporto,distribuzione nazionale dell’energia, grandi reti di trasporto e navigazione, etc.).

Definizione, quantificazione ed attuazione effettiva dei LEP richiederanno un processolungo e complesso, da svolgere con gradualità (anche se differenziata a seconda delle materie)e in un quadro di cooperazione tra livelli di governo, anche in considerazione del fatto che lamateria dell’assistenza sociale rientra tra le competenze esclusive attribuite alle Regioni in viaresiduale, e che sanità e istruzione sono invece competenze concorrenti. Sarà necessariodefinire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali assegnate alleRegioni nonché le funzioni fondamentali degli Enti locali. I LEP potrebbero essere concepiticome standard di qualità (essenziali, minimi, …) per alcune tipologie di servizi ritenute meritevolidi tutela costituzionale e per le quali possa configurarsi l’insorgere di un diritto soggettivo, la cuiesigibilità debba essere garantita sull’intero territorio nazionale.

Considerando, inoltre, la quantificazione delle risorse finanziarie necessarie a garantire iLEP con criteri uniformi in tutte le Regioni, potrebbero sorgere problemi di riequilibrio. Secondostime effettuate in passato dall’ISAE - non basate sui costi standard ma facendo riferimento allaspesa storica e considerando la spesa standardizzata ( come generata da fattori di naturastrutturale che - in via primaria - determinano i “legittimi” differenziali regionali per le diversetipologie di prestazioni) - potrebbero doversi attuare flussi di riequilibrio interregionale. Comeappare anche in alcune stime di questo Rapporto, con riferimento alle funzioni fondamentali deiComuni. Infatti, a fronte di una sostanziale uniformità territoriale per quanto riguarda la sanità,risulterebbe esistere uno sbilanciamento della spesa effettiva (rispetto a quella standard), sia perl’istruzione che per l’assistenza, a favore delle Regioni del Centro-Nord, con conseguentenecessità di riallocazione delle risorse verso il Sud (in cui invece la spesa effettiva appareinferiore a quella standard). Si tratta, comunque, di indicazioni a livello macro che dannoindicazioni di larga massima circa i flussi di riequilibrio. Inoltre le previsioni demograficheindicano per i prossimi quaranta anni un atteso squilibrio per le Regioni del Sud con uninvecchiamento della popolazione maggiore nel Meridione nonché un calo assoluto dellapopolazione con il duplice effetto di maggiori necessità assistenziali e sanitarie e più contenutacrescita delle basi imponibili.

Con riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni, il secondo comma dell’articolo 20 dellalegge delega, inserito dalla Camera dei Deputati, ribadisce che la determinazione dei LEP deveessere disciplinata da legge statale, riallacciandosi evidentemente all’articolo 117, secondocomma, lettera m) della Costituzione, che attribuisce allo Stato (legislazione esclusiva) la“determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali chedevono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

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Il secondo periodo del comma 2 dell’articolo 20 stabilisce inoltre che “Fino a loro nuovadeterminazione in virtù della legge statale si considerano i livelli essenziali di assistenza i livelliessenziali delle prestazioni già fissati in base alla legislazione statale”. Non appare scontato checosa questo possa implicare. Infatti, oggi i livelli essenziali delle prestazioni non rappresentanoancora una realtà del tutto consolidata. A prima vista, sembra dunque che l’avvio del federalismofiscale potrebbe essere svincolato dalla previa determinazione dei LEP in tutti i settori indicatidalla legge delega. Conviene ricordare che nel settore sanitario sono stati definiti i LEA (livelliessenziali di assistenza) - con DPCM del 29 novembre 2001 - che oggi sono in fase di revisione.Si tratta sostanzialmente di un elenco di servizi/prestazioni da garantire attraverso il SSN(Servizio Sanitario Nazionale), mentre non è noto il numero dei diversi tipi di trattamenti forniti intutte le Regioni né i loro costi unitari. Ciò è evidentemente molto complesso e per questo sidevono utilizzare metodi alternativi, come definire un finanziamento procapite per livelloassistenziale (ad esempio, assistenza ospedaliera, territoriale etc.). Nell’istruzione si èintervenuti con i decreti attuativi della legge delega 53/2003 (cosiddetta “riforma Moratti”).

Nel caso dell’assistenza, tuttavia, che è erogata in larga misura dai Comuni, il processo èmolto meno avanzato. Manca infatti una definizione di diritti sociali esigibili, o comunque di livelliessenziali delle prestazioni, malgrado alcuni tentativi, rimasti in larga misura incompiuti, inparticolare con riguardo ai servizi per l’infanzia e la non autosufficienza. Con riferimento aquest’ultima, era stato delineato dal precedente esecutivo un disegno di legge delega, chetuttavia non ha prodotto sviluppi per la conclusione anticipata della legislatura. Per quantoconcerne i servizi socio-educativi per l’infanzia, per l’avvio delle definizione dei LEP, con la leggefinanziaria per il 2007 e l’intesa in sede di Conferenza Unificata del 26 settembre 2007 si èarrivati ad indicare un obiettivo di copertura della platea dei bambini entro i tre anni - daraggiungere alla fine del triennio di attuazione del cosiddetto Piano nidi (2007-2009) e darivedere in seguito nell’ambito di un processo graduale - pari al 13% come media nazionale, al6,5% come minimo da assicurare in tutte le Regioni.

Attualmente, gli squilibri tra i livelli e la qualità dei servizi forniti nelle diverse aree del Paesesono profondi. La perequazione in base al fabbisogno, che dovrebbe assicurare appunto il pienofinanziamento del fabbisogno corrispondente ai LEP, è stata proposta come condizione per unfederalismo “solidale”, che dovrebbe coniugare il decentramento con il superamento di queglielementi di arretratezza che hanno sinora caratterizzato alcune aree del Paese. Ma laddove iLEP restassero vuoti, almeno nella fase di avvio del federalismo fiscale (come sembra potrebbeavvenire nel campo dell’assistenza), una volta soppressi i trasferimenti statali, rimane aperta laquestione di come potrebbe essere attivato il fondo perequativo. Il grafico 1 e le tabelle 11 e 12illustrano le procedure di adozione, le deleghe al governo e i provvedimenti di attuazione delfederalismo fiscale.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Graf.1 - LA PROCEDURA DI ADOZIONE DEI DECRETI LEGISLATIVI DELL'ART. 2

Fonte: tratto da Camera dei deputati e Senato della Repubblica (2009).

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Principali elementi della legge delega sul federalismo fiscale

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Tab. 11 DELEGA AL GOVERNO IN MATERIA DI FEDERALISMO FISCALE, IN ATTUAZIONE DELL’ARTICOLO 119 DELLA COSTITUZIONE - LEGGE 5 MAGGIO 2009, N. 42

Fonte: tratto da Camera dei deputati e Senato della Repubblica (2009).

Disposizioni della legge Deleghe

art. 2, co. 6il Governo è delegato ad adottare entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21maggio 2010) un decreto legislativo sui principi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilancipubblici

art. 2, co. 6il Governo è delegato ad adottare entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21maggio 2011) un decreto legislativo contenente la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard sullabase dei livelli essenziali delle prestazioni

art. 2, co. 7 il Governo è delegato ad adottare entro due anni dalla data di entrata in vigore dei D.Lgs. di cui alcomma 1 decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive

art. 5 i decreti legislativi di cui all’art. 2 prevedono l’istituzione della Conferenza permanente per il coordinamentodella finanza pubblica; entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21 maggio 2011)

art. 7, 8, 9 e 10

i decreti legislativi di cui all’art. 2 disciplinano i tributi delle Regioni, le compartecipazioni al gettito dei tributierariali, le modalità di esercizio delle competenze legislative e sui mezzi di finanziamento, ladeterminazione dell’entità e del riparto del fondo perequativo statale, il finanziamento delle funzionitrasferite alle Regioni; entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21 maggio 2011)

artt. 11, 12 e 13

i decreti legislativi di cui all’art. 2 disciplinano il finanziamento delle funzioni di comuni, province e cittàmetropolitane, il coordinamento e l’autonomia di entrata e di spesa degli Enti locali, l’entità e il riparto deifondi perequativi per gli Enti locali; entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21maggio 2011)

art. 15 uno specifico decreto legislativi adottato in base all’art. 2 disciplina il finanziamento delle funzioni delle cittàmetropolitane; entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21 maggio 2011)

art. 16i decreti legislativi di cui all’art. 2 disciplinano l’attuazione dell’art. 119, quinto comma, Cost. (risorseaggiuntive ed interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e Regioni);entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21 maggio 2011)

art. 17 i decreti legislativi di cui all’art. 2 disciplinano il coordinamento e la disciplina fiscale dei diversi livelli digoverno; entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21 maggio 2011)

art. 19i decreti legislativi di cui all’art. 2 disciplinano i princìpi generali per l’attribuzione a comuni, province, cittàmetropolitane e Regioni di un proprio patrimonio; entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore dellalegge (entro il 21 maggio 2011)

art. 23, co. 6 il Governo è delegato ad adottare entro 36 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21maggio 2012) un decreto legislativo per l’istituzione della città metropolitana di Torino

art. 23, co. 6 il Governo è delegato ad adottare entro 36 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21maggio 2012) un decreto legislativo per l’istituzione della città metropolitana di Milano

art. 23, co. 6 il Governo è delegato ad adottare entro 36 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21maggio 2012) un decreto legislativo per l’istituzione della città metropolitana di Venezia

art. 23, co. 6 il Governo è delegato ad adottare entro 36 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21maggio 2012) un decreto legislativo per l’istituzione della città metropolitana di Genova

art. 23, co. 6 il Governo è delegato ad adottare entro 36 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21maggio 2012) un decreto legislativo per l’istituzione della città metropolitana di Bologna

art. 23, co. 6 il Governo è delegato ad adottare entro 36 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21maggio 2012) un decreto legislativo per l’istituzione della città metropolitana di Firenze

art. 23, co. 6 il Governo è delegato ad adottare entro 36 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21maggio 2012) un decreto legislativo per l’istituzione della città metropolitana di Bari

art. 23, co. 6 il Governo è delegato ad adottare entro 36 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21maggio 2012) un decreto legislativo per l’istituzione della città metropolitana di Napoli

art. 23, co. 6 il Governo è delegato ad adottare entro 36 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21maggio 2012) un decreto legislativo per l’istituzione della città metropolitana di Reggio Calabria

art. 24, co. 5uno specifico decreto legislativo adottato ai sensi dell’art. 2 disciplina l’ordinamento transitorio, anchefinanziario, di Roma capitale; entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21 maggio2011)

art. 25 e 26 i decreti legislativi di cui all’art. 2 disciplinano la gestione dei tributi e delle compartecipazioni e il contrastoall’evasione fiscale; entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 21 maggio 2011)

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Tab. 12 PROVVEDIMENTI DI ATTUAZIONE

Fonte: tratto da Camera dei deputati e Senato della Repubblica (2009). * Prorogato di 20 giorni in caso proroga del termine per il parere della Commissione bicamerale per il federalismo fiscale - prorogato di 90giorni qualora il termine per il parere parlamentare scada nei 30 giorni precedenti il termine finale di delega.

Provvedimento attuativo

Termine Oggetto Riferimenti normativi

Decreti legislativi 24 mesi* - istituzione della Conferenza, della Conferenza permanente peril coordinamento della finanza pubblica (art. 5)

- disciplina dei tributi delle Regioni (art. 7)

- classificazione finanziaria (art. 8)

- fondo perequativo a favore delle Regioni (art. 9)

- finanziamento funzioni delle Regioni (art. 10)

- finanziamento funzioni di comuni, province e città metropolitane (art. 11)- autonomia finanziaria degli Enti locali (art. 12)

- fondi perequativi per gli Enti locali (art. 13)

- interventi speciali (art. 16)

- coordinamento e disciplina fiscale dei diversi livelli di governo (art. 17)

- patrimonio degli Enti territoriali (art. 19)

- disciplina transitoria per le Regioni e gli Enti locali (artt. 20 e 21)

- gestione dei tributi e compartecipazioni (artt. 25 e 26)

Art. 2, commi 1-5,art. 3, comma 6,articoli 5, 7, 8, 9,10, 11, 12, 13, 16,17, 19, 20, 21, 22,25, 26, 28 e 29

Decreto legislativo

12 mesi* Princìpi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici Art. 2, comma 6, primo periodo

Decreto legislativo

24 mesi* Determinazione dei costi e dei fabbisogni standard sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni

Art. 2, comma 6, secondo periodo

Decreti legislativi correttivi ed integrativi

2 anni dall’entrata in vigore dei decreti legislativi

Disposizioni correttive e integrative Art. 2, comma 7

Relazione alle Camere

Contestualmente all’adozione del primo schema di decreto legislativo

Quadro generale di finanziamento degli Enti territoriali ed ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra Stato, Regioni ed Enti locali, con indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse

Art. 2, comma 6

Istituzione Commissione Bicamerale

- Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale Art. 3

Nomina da parte degli Enti territoriali

- Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali Art. 3, comma 4

DPCM 30 giorni Istituzione Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale

Art. 4

Decreto legislativo

24 mesi* Finanziamento delle città metropolitane Art. 15

Disegno di legge finanziaria

Entro il 30 settembre di ogni anno

Norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica per l’obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard e degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali e per stabilire, per ciascun livello di governo, il livello programmato dei saldi del debito e della pressione fiscale

Art. 19

Atto ministeriale Nella fase transitoria Ricognizione degli interventi infrastrutturali Art. 22, comma 1- Nella fase transitoria Individuazione degli interventi speciali ai sensi dell’art. 119, quinto comma,

Cost.Art. 22, comma 2 primo periodo

DPEF Nella fase transitoria Individuazione degli interventi speciali nelle aree sottoutilizzate Art. 22, comma 2 secondo periodo

DPR 90 giorni Disciplina dei referendum sulle proposte di istituzione delle città metropolitane

Art. 23, comma 5

Decreto legislativo

36 mesi Istituzione e disciplina delle città metropolitane approvate con referendum Art. 23, comma 6

Decreto legislativo

24 mesi* Ordinamento transitorio di Roma capitale Art. 24, commi 5-7

Norme di attuazione degli statuti speciali

24 mesi Coordinamento della finanza delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome

Art. 27

DPCM 30 giorni Organizzazione dei tavoli di confronto tra il Governo, le Regioni a statuto speciale e le province autonome

Art. 27, comma 7

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Principali elementi della legge delega sul federalismo fiscale

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1.6.3 Coordinamento tra livelli di governo

La rilevanza del ruolo delle Regioni, oltre a essere in linea con la teoria del federalismofiscale, è giustificata dalle maggiori conoscenze del territorio e dei fenomeni locali delle stesseRegioni e dalle notevoli e ricorrenti difficoltà che da sempre lo Stato ha incontrato nel definireschemi di perequazione comunale. Il maggior ruolo delle Regioni deve tuttavia esplicarsi nelrispetto dell’autonomia dei Comuni e delle Province, garantendone un loro forte coinvolgimento,con esclusione di rapporti gerarchici e grazie ad accordi interni e meccanismi partecipativi, nelrispetto del principio – già ricordato – di equiordinazione stabilito all’articolo 114 dellaCostituzione. Alla ben nota opposizione dei Comuni verso un potenziamento dei ruoli regionali,potrebbero di fatto affiancarsi difficoltà per alcune regioni di un efficace coordinamento, ed ancheper ciò che riguarda il monitoraggio dei possibili modelli di ripartizione dei fondi perequativicomunali e provinciali differenziati per Regione.

Un adeguato sistema di coordinamento della finanza pubblica consentirebbe di attenuare lefrizioni tipiche di un sistema federale e maggiormente presenti in un contesto di dualismoeconomico come quello che caratterizza il nostro Paese. Si devono infatti cercare difficilisoluzioni concordate dei possibili “conflitti” tra Nord e Sud, tra Stato e Regioni, tra Regioni astatuto ordinario e non, tra Regioni ed Enti Locali.

La gestione del decentramento di funzioni e risorse dovrà comunque essere ancorata agliobiettivi complessivi di bilancio prospettati in sede europea e ai vincoli sui saldi, centrali eterritoriali, e sulla pressione fiscale, centrale e locale, connessi a tali obiettivi ed indicati neidocumenti programmatici del Paese. I comportamenti delle Autonomie locali non devonocontrastare infatti con le direttive generali in termini di andamento della spesa dell’intera Pubblicaamministrazione o di obiettivi circa la pressione fiscale. Con riferimento in particolare alla politicatributaria locale e ai margini di gettito disponibili, la definizione degli spazi di manovra assegnabilialle Regioni sui tributi decentrati dovrebbe essere coerente con il modello nazionale, per ciò cheriguarda in particolare il livello complessivo della pressione fiscale, gli obiettivi redistributivi fissatia livello centrale, la compatibilità con lo schema di incentivi generale. Gli Enti locali dovrebberoessere coinvolti sin dalla fase iniziale di formazione dei tendenziali dei quadri macroeconomici efinanziari e di quelli, soprattutto, programmatici. Si dovrebbe arrivare a prospettare, all’interno delDPEF, non solo un conto consolidato delle Amministrazioni locali ma anche delle Regioni, delleProvince e dei Comuni, rispettivamente nel loro complesso. Da qui anche si alimenta lanecessità di un forte coordinamento.

In tale ambito, la regionalizzazione del Patto di stabilità interno potrebbe permettere disuperare alcuni aspetti critici e la eccessiva rigidità mostrata dal Patto stesso nei suoi ormai diecianni di applicazione. Le norme pattizie, infatti, nel tempo non hanno garantito un miglioramentocerto del disavanzo complessivo della PA, hanno mostrato problemi nell’allocazione delle risorseper distorsioni negative sulla realizzazione degli investimenti pubblici, tramite il ricorso ai tetti dispesa hanno proiettato in avanti situazioni di inefficienza essendo basate sulla spesa storica di

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ogni singolo ente, sono state in contraddizione con i principi del federalismo fiscale quandohanno riguardato il blocco delle imposte locali. La rigidità del PSI, inoltre, non ha consentitomargini di compensazione tra il miglioramento del saldo di alcuni comuni e il peggioramento dialtri, pur nel rispetto del vincolo a livello aggregato, non vi è stata possibilità di compensazioni traavanzi e disavanzi nel medio periodo, né quella di adattamenti alle fluttuazioni ciclichedell’economia o alla eccezionalità di alcune spese, né attenuazioni per far fronte a investimenti diparticolare rilevanza ed entità.

La regionalizzazione del PSI potrebbe aumentare la flessibilità del sistema consentendo dilimitare la restrittività di un vincolo uguale per enti diversi e potrebbe esserci quindi lo spazio perun ruolo regionale di coordinamento per la programmazione degli investimenti sul territorio, conpossibile reintroduzione della golden rule in linea con i dettami del Titolo V della Costituzione,all’articolo 119, tramite la fissazione di un livello di deficit in conto capitale concordato tra centro eperiferia. Il maggior ruolo dela Regione potrebbe fornire l’opportunità per includere nel Patto glienti con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, la cui spesa è comunque di un certo ammontaree che hanno mostrato spesso comportamenti non rigorosi.

Con riferimento al metodo di implementazione della disciplina fiscale a livello locale tramiteil PSI, è stato sottolineato in passato l’uso improprio del termine “patto” per un insieme di regoleche si ritiene sostanzialmente imposto dal Governo centrale e non stabilito in condizioni di paritàtra i vari enti, né di consenso reciproco. I Governi locali propendono per un approcciomaggiormente cooperativo, in genere utilizzato nei paesi a più avanzato stadio didecentramento, e che ora dovrebbe essere necessariamente adottato. Da alcune analisieffettuate dall’ISAE su un insieme di paesi europei emerge che regole di bilancio basate su unacooperazione formalizzata tra centro e periferia mostrano un miglior rendimento fiscale. Unadefinizione concertata del PSI, basata su procedure più consensuali con discussioni inConferenza Unificata, dovrebbe responsabilizzare maggiormente i livelli decentrati di governo eaiuterebbe a definire criteri di disciplina fiscale più stabili nel tempo. Ne beneficerebbero lasolidità e la credibilità delle manovre di risanamento dell’esecutivo.

La previsione, inoltre, di un Patto di convergenza (con eventuali Piani di convergenza)dovrebbe consentire l’opportunità di un superamento dell’ottica di breve periodo che ha sinoracaratterizzatoi le relazioni intergovernative. Permangono, tuttavia, le difficoltà di gestione degfliaspetti più innovativi - e necessariamente più complessi - della legge delega: la convergenza acosti, fabbisogni e servizi standard.

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Principali elementi della legge delega sul federalismo fiscale

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1.7 RICOGNIZIONE DELLE FONTI INFORMATIVE

In tale contesto appare evidente la necessità di una maggiore qualità nell’informazione sulleoperazioni degli enti pubblici, che richiede la creazione di una banca dati pubblica e accessibile,che dovrà essere curata da un organo tecnico appositamente preposto, come riconosciutoall’interno della legge stessa. Ciò sarà rilevante per diversi aspetti: la possibilità di monitoraggioe di costruzione di costi e spesa standard dal lato delle funzioni, quantificazioni circa le entratestandardizzate e la possibile flessibilità fiscale dal lato del finanziamento.

La costruzione di un buon sistema informativo, inoltre, è molto importante per una reale (enon formale) partecipazione degli Enti territoriali alla determinazione dei macro-indirizzi delDPEF, alla definizione puntuale degli interventi specifici previsti dalla legge finanziaria, allacostruzione delle regole del PSI. Esso appare quindi indispensabile come strumento per lamisurazione di tutti i meccanismi che presiedono al federalismo fiscale. La mancanza o lo scarsolivello dell’informazione inficiano i poteri di controllo, anche da parte dei cittadini, e quindiindeboliscono uno dei presupposti da cui deriverebbero maggiore responsabilizzazione eguadagni di efficienza.

Si tratta di poter costruire determinanti indicazioni su servizi standard, su costi standard efabbisogni standard, individuando priorità a livello locale ma non solo. Anche al centro bisognainfatti razionalizzare i processi e, in particolare, analizzare la spesa pubblica. Tutto ciò richiedeche siano rafforzati i complessi sistemi di monitoraggio previsti dalla normativa, grazie anche allapredisposizione di schemi contabili che consentano l’acquisizione di informazioni esaustive,comparabili e tempestive. Un sistema dei conti integrato e non frammentato costituisce, infatti, laprima garanzia per una corretta rappresentazione della situazione finanziaria dei vari enti. In talsenso è auspicabile l’utilizzo condiviso e il potenziamento (con riferimento anche ad indicazionicirca le funzioni di spesa) del sistema informativo riguardante le operazioni degli enti pubblici(SIOPE), quale utile strumento per una adeguata conoscenza dei fenomeni e, quindi, per ilconfronto tra gli enti stessi e la valutazione dei diversi gradi di efficienza dell’azione pubblica.

Circa le fonti informative si possono, inoltre, sottolineare alcuni specifici punti rilevanti. Conriferimento alla natura contabile dei dati, si ricorda la diversità dei criteri contabili adottati,distinguendo, come è noto, tra: competenza giuridica (strumento amministrativo di controllosull’attività operativa delle varie amministrazioni); cassa (atta a valutare le conseguenzefinanziarie dell’azione pubblica, sino al ricorso al mercato del credito); competenza economica(atta a individuare gli effetti dell’azione pubblica sul settore privato dell’economia eindispensabile per i confronti aggregati a livello internazionale). Tutto ciò denota in realtà unaricchezza e varietà di informazione. Tuttavia, l’insieme dei diversi strumenti delinea un sistema dicontabilità complesso, con problemi di trasparenza dovuti anche alle difficoltà di raccordo tra idiversi conti.

Un sistema informativo adeguato alla complessità delle questioni in essere dovrebbe,inoltre, possedere importanti caratteristiche, di: omogeneità e comparabilità, tempestività (con

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problemi in relazione a ritardi temporali non omogenei, dati non definitivi, consuntivi e stime emeccanismi di compensazione), esaustività, attendibilità, sistematicità ed organicità,imparzialità, condivisione, internalizzazione o pubblicità.

Sono, inoltre, da ricordare alcuni punti critici del sistema delle informazioni della finanzapubblica. Per quanto riguarda le Regioni, con riferimento ai loro bilanci si può evidenziare che,contrariamente a quanto avviene per Comuni e Province, le Regioni non utilizzano modellicontabili standardizzati e, quindi, i bilanci non sono omogenei. Differenti sono infatti i criteriutilizzati dalle varie regioni per classificare entrate e spese, sia in relazione alla naturaeconomica che a quella funzionale.

La legge nazionale, infatti, rimanda per taluni aspetti a specifiche leggi regionali dicontabilità. Nel recepire le disposizioni del D. Lgs. 76/2000, le Regioni hanno disciplinato, quindi,con leggi e regolamenti propri i loro ordinamenti contabili, con criteri metodologici diversi,ponendo l’attenzione maggiormente o sulle funzioni-obiettivo (bilancio più attento alle politicheregionali) o sui centri di responsabilità (bilancio di tipo amministrativo, gestionale). Si riscontrainoltre per talune Regioni una non corrispondenza rispetto alla classificazione funzionaleCOFOG adottata a livello internazionale. E’ quindi necessaria una complessa riclassificazione daparte dell’ISTAT che richiede tempo e risorse, con conseguenti notevoli ritardi nella disponibilitàdi dati utilizzabili. Come più volte sottolineato dall’ISAE, trasparenza, completezza e omogeneitàdella rendicontazione non sono in contrasto con l’esplicarsi della completa autonomia nellacondotta finanziaria dei vari Enti. L’autonomia contabile implica, infatti, il potere di convogliare inspecifici settori le risorse di bilancio, senza prevedere la necessità di utilizzare schermiclassificatori individualistici e, quindi, spesso incomparabili.

Per quanto riguarda Comuni e Province, e con riferimento ai Certificati di conto consuntivorilevati dal Ministero dell’Interno, si può evidenziare che il livello di esaustività dei dati (comunquemolto elevato) varia di anno in anno e per Regione. Nonostante, infatti, sia esplicitamenteprevista dalla legge una penalizzazione per il mancato invio dei certificati (la sospensionedell'ultima rata del contributo ordinario), ogni anno si verificano inadempienze in tal senso; comedel resto si sperimentano certificati incompleti. Diviene quindi necessario ricostruire, tramiteriporto all’universo con indicazioni per regione e ampiezza demografica, i dati relativi a comuniinadempienti. La contabilizzazione di alcune poste rilevanti è spesso guidata da errateinterpretazioni dei singoli enti. E’ necessaria, quindi, una verifica della corretta appostazionedelle principali voci di entrata, grazie anche all’integrazione con fonti esterne. Non esiste unobbligo di quadratura del bilancio, o di sue parti specifiche. Per l’utilizzo dei dati è, quindi,necessaria una verifica delle quadrature. Esiste un problema relativo all’individuazione dei datidei comuni che rientrano nelle Unioni dei comuni.

Pur in presenza di miglioramenti, sembrano non utilizzabili i quadri dal 13 al 19 deiCertificati di conto consuntivo (quadri che riportano variabili extracontabili, relative a parametri diefficacia e di efficienza delle varie tipologie di servizi offerte dagli enti), per la scarsa attendibilità

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Principali elementi della legge delega sul federalismo fiscale

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dei dati riportati. Nei quadri appena citati vengono evidenziati in maniera distinta i serviziindispensabili (ad esempio, per i Comuni, anagrafe, protezione civile, istruzione, nettezzaurbana, viabilità) e i servizi a domanda individuale (sempre in ambito comunale, asili nido,mense scolastiche, impianti sportivi, teatri, musei). Per ciò che riguarda i servizi sarebbe utileinserire qualche indicatore in grado di segnalare l’incongruenza dei dati (ad esempio, intervalli diriferimento relativi a enti simili, a enti “virtuosi” nella compilazione dei Certificati). Le informazionirelative alle esternalizzazioni dei servizi (gestiti non in economia ma tramite aziendemunicipalizzate, aziende consortili, in concessione ad imprese private, ad imprese ed entipubblici, con enti consortili) potrebbero essere collegate con quanto rilevato tramite le indaginidella Corte dei Conti.

Oltre a una banca dati sulle grandezze degli Enti territoriali, è indispensabile acquisire esistematizzare, ai fini dell’attuazione del federalismo, informazioni sulla spesa stataleregionalizzata e sulle imposte statali regionalizzate. Infatti, sussistono limiti conoscitivi circa lasuddivisione territoriale delle imposte erariali, che devono essere colmati anche ai finidell’attuazione del principio di territorialità esplicitamente richiamato nella Costituzione. Taleimplementazione delle conoscenze richiede un notevole sforzo di reperimento dei dati da diversee variegate fonti (RGS, CPT, DPF) nonché una attività di coordinamento e raccordo al fine diottenere una condivisione dei criteri da utilizzare per la suddivisione regionale dei dati. Allostesso modo è necessario convogliare in una unica banca dati le informazioni relative al livellodelle aliquote dei vari tributi e agli importi e distribuzione sul territorio delle varie basi imponibili,facendo in particolare riferimento ai dati dell’Agenzia delle entrate. Sono infatti indicazionirilevanti sia per la standardizzazione delle entrate sia ai fini della costruzione dei meccanismi diflessibilità e di manovrabilità da attribuire all’autonomia finanziaria (al margine) dei vari enti.

Come, ai fini della quantificazione della spesa standard locale, è necessaria inoltre lacostruzione di un data set adeguato, con numerose variabili, non solo di tipo finanziario, maanche relative alle caratteristiche strutturali che possono influire sui comportamenti di spesadegli enti, facendo ricorso in particolare a dati prodotti dall’ISTAT. E’ quindi indispensabileacquisire, ad esempio, variabili territoriali (superficie, densità abitativa, altimetria, sismicità,abitazioni ...), demografiche (popolazione, composizione per classi di età, percentuale di giovanie di anziani, nuclei familiari, percentuale di stranieri...), economiche (struttura produttiva,occupati per settore, tasso di occupazione, capacità ricettiva ...).

In un contesto federale il bilancio dello Stato e quello delle Amministrazioni locali sono daconsiderare sullo stesso piano, sia in termini di gestione che di garanzia della coperturafinanziaria delle decisioni di spesa. E una completa visione istituzionale dovrebbe implicareanche la possibilità di valutare gli effetti sugli aggregati di finanza pubblica anche deicomportamenti – che sfuggono al controllo dal centro – delle società partecipate degli EntiTerritoriali, per il ruolo ormai assai rilevante assunto dal fenomeno delle esternalizzazioni nellafornitura di servizi pubblici. Si rende, quindi, necessaria la costruzione di bilanci consolidati.

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1.8 CONCLUSIONI

Il capitolo ha illustrato i principi generali di delega e gli elementi costitutivi della legge 42/09,evidenziandone gli aspetti di maggiore criticità e complessità ai fini dell’attuazione della leggestessa. Il contenuto della legge delega rappresenta il risultato di un processo complesso dicondivisione dei principi con tutti i livelli di governo e i principi generali espressi sintetizzanomolta dell’esperienza di studio degli ultimi anni.

L’obiettivo del processo di devoluzione intrapreso è di conseguire incrementi nell’autonomialegislativa e finanziaria degli Enti territoriali, in collegamento a corrispondenti ampliamenti dellaresponsabilizzazione decentrata e con la prosecuzione del risanamento delle finanze pubbliche.E' stabilito che tutti i livelli di governo debbano avere autonomia e responsabilizzazionefinanziaria e che l'attribuzione di risorse autonome alle Regioni e agli Enti locali debba essereposta in relazione alle rispettive competenze. Sono inoltre garantiti i principi di solidarietà e dicoesione sociale e viene perseguito lo sviluppo delle aree sottoutilizzate del Paese nellaprospettiva di superamento del dualismo economico.

Si tratta pertanto di definire l’abbinamento autonomia/perequazione da valutare in uncontesto di incremento di efficienza, combinando scelte politiche, comportamenti degliamministratori nonché necessità e preferenze dei cittadini. Tuttavia, l’attuazione pratica dei puntifondamentali del federalismo fiscale esposti nella legge delega ne richiede ancora unadefinizione operativa, a cui si provvederà tramite l’emanazione dei decreti legislativi diattuazione, con l’emergere possibile di nuovi contrasti, nei ventiquattro mesi previsti perl’esercizio della delega.

Tra i principali elementi critici evidenziati nel capitolo emergono: la questione dell’autonomiaimpositiva in un contesto di ampio utilizzo delle compartecipazioni; gli aspetti relativi alladeterminazione e quantificazione dei LEP; e il tema delle relazioni tra livelli di governo, che offrel’opportunità di un maggiore coordinamento. Si sottolinea inoltre la necessità di realizzareun’armonizzazione dei principi contabili delle Pubbliche amministrazioni e di procedere a unrafforzamento delle fonti informative.

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Principali elementi della legge delega sul federalismo fiscale

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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2 Fabbisogni standard per l’istruzione: problematiche e stime

2.1 LA LEGISLAZIONE IN MATERIA DI ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE PER L’ISTRUZIONE

La legge n. 42 approvata definitivamente il 29 aprile 2009 contiene pochi e scarni riferimential tema dell’istruzione. L’art. 8, comma 2 prevede infatti che: “nelle forme in cui le singole Regionidaranno seguito all’intesa Stato-Regioni sull’istruzione, al relativo finanziamento si provvedesecondo quanto previsto dal presente articolo per le spese riconducibili al comma 1, lettera a),numero 1)”. Il comma 3 stabilisce poi che: “nelle spese di cui al comma 1, lettera a), numero 1),sono comprese quelle per la sanità, l’assistenza e, per quanto riguarda l’istruzione, le spese perlo svolgimento delle funzioni amministrative attribuite alle Regioni dalle norme vigenti”.

Il testo fornisce quindi una garanzia di copertura secondo il fabbisogno a due tipologie dispese:

- quelle per lo svolgimento delle funzioni amministrative già esercitate dalle Regioni;

- quelle che derivano dalle nuove funzioni attribuite alle Regioni sulla base di un’intesa Stato-Regioni. In questo ambito, la copertura delle spese derivanti dalle nuove funzioni è“condizionata” alle “forme in cui le singole Regioni daranno seguito all’intesa Stato-Regioni”.

Le funzioni amministrative già attribuite alle Regioni sono diverse. Innanzi tutto quelleindividuate dal D.P.R. 616/77 (di attuazione dell’originario testo costituzionale) che riguardano

principalmente l’assistenza scolastica1. A questa se ne sono andate aggiungendo altre trasferitedallo Stato con legge ordinaria:

- il decreto legislativo del 31 marzo 1998 n. 112, in attuazione della delega contenuta nellalegge 15 marzo 1997 n. 59 (cosiddetta “legge Bassanini”) attribuisce alle Regioni le funzionirelative a:

1) programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione e formazioneprofessionale;

1 L’assistenza scolastica riguarda tutte le strutture, i servizi e le attività destinate a facilitare l'assolvimento dell'obbligoscolastico nonché, per gli studenti capaci e meritevoli ancorché privi di mezzi, la prosecuzione degli studi.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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2) programmazione della rete scolastica;

3) determinazione del calendario scolastico;

4) contributi alle scuole non statali.

- la legge 23 dicembre 1998, n. 448 attribuisce ai comuni il compito di provvedere a garantirela gratuità, totale o parziale, dei libri di testo in favore degli alunni che adempiono l’obbligoscolastico in possesso di determinati requisiti per l’anno scolastico 1999/2000, stanziandouna somma di 200 miliardi di lire. Le Regioni sono chiamate a ripartire tra i comuni ilfinanziamento erogato dal Ministero dell’interno;

- la legge 10 marzo 2000, n. 62 ha destinato 250 e 300 miliardi di lire, rispettivamente per il1999 e per il 2000, all’assegnazione di borse di studio finalizzate a sostenere la spesa dellefamiglie per l'istruzione, attribuendo alle Regioni e alle Province Autonome di Trento e diBolzano il compito di ripartirla tra gli aventi diritto.

Oltre a queste, ulteriori funzioni amministrative già esercitate dalle Regioni sono quellederivanti dall’esercizio della competenza legislativa integrativa o di attuazione di leggi statali(potere di emanazione di norme secondarie). In questa categoria rientrano diverse tipologie diinterventi, integrativi dell’intervento statale, provinciale o comunale, adottati autonomamentedalle Regioni per fronteggiare esigenze particolari avvertite a livello territoriale. Ci si riferisce ainumerosi provvedimenti adottati da alcune Regioni per l’integrazione degli alunni portatori dihandicap, per il miglioramento delle strutture scolastiche, ecc..

Più complesso è definire le nuove funzioni attribuite alle Regioni sulla base di un’intesaStato-Regioni. Per cercare di capire meglio quali esse siano è opportuno fare un passo indietro econsiderare la sentenza della Corte Costituzionale n.13 del 2004. Questa sentenza, emessa inriferimento ad un rilievo di costituzionalità della legge finanziaria 2002 sollevato dalla RegioneEmilia-Romagna, fornisce alcuni chiarimenti sui relativi ambiti di competenza di Stato e Regioniin tema di istruzione, alla luce delle modifiche del Titolo V della Costituzione intervenute nel2001. In particolare, la sentenza precisa che, relativamente alla distribuzione del personale tra leistituzioni scolastiche, lo Stato debba limitarsi a determinare i principi organizzativi generali chespetta alle Regioni attuare con propria disciplina. Tale compito sino ad ora è stato svolto dalMinistero dell’istruzione attraverso le sue articolazioni territoriali - gli Uffici scolastici regionali –senza alcun coinvolgimento delle Regioni. La sentenza però non attribuisce con efficaciaimmediata tale funzione ulteriore alle Regioni ma ne condiziona l’esercizio da parte delle Regionialla definizione di una apposita disciplina e alla istituzione di apparati idonei a svolgere talefunzione.

Anche a seguito della sentenza costituzionale ora richiamata, Stato e Regioni hannoapprovato (nell’ottobre 2008) una Bozza di intesa (vedi riquadro) in cui si chiariscono quali sonoi nuovi compiti istituzionali dei diversi livelli di governo coinvolti (Stato, Regioni, Province, Comunie istituti scolastici). L’intesa prevede che vi sia un passaggio di funzioni amministrative e

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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organizzative dallo Stato alle Regioni che si aggiungono alle funzioni già precedentementeattribuite alle Regioni. Tra queste la più rilevante sembra essere quella che attribuisce alleRegioni il compito di assegnare il personale e le “risorse economiche e strumentali” alleistituzioni scolastiche sulla base dei principi generali fissati dallo Stato. A tale proposito si faesplicito riferimento alla possibilità che per l’esercizio di queste funzioni sia trasferito dallo Stato ilpersonale degli Uffici scolastici regionali. La Bozza prevede esplicitamente che il personaledirigente, quello docente e quello amministrativo tecnico ed ausiliario (ATA) restino alledipendenze dello Stato, con un trattamento economico fissato dei contratti nazionali edeventualmente dalla contrattazione integrativa, anche di livello regionale.

Se queste sono le funzioni attribuite alle Regioni, quali risorse sono coinvoltenell’attuazione della legge 42/2009?

In primo luogo, rientrano nell’attuazionedella legge 42, le spese relative alle funzioniattribuite alle Regioni prima della modificacostituzionale. Si tratta delle spese peristruzione già sostenute dalle Regioni. Lespese in questione costituiscono una parteminoritaria della spesa complessiva perl’istruzione scolastica. Come si vede dallatabella 1, nel 2005, a livello nazionale, laspesa sostenuta dalle Regioni rappresentavasolo il 3,9% circa della spesa pubblica peristruzione.

In secondo luogo, rientranonell’attuazione della legge 42 le spese degliuffici amministrativi (tra cui quella per ilpersonale) che saranno trasferiti alle Regionia seguito dell’intesa Stato-Regioni (Ufficiscolastici regionali ora articolazione territorialedel MIUR) e che saranno chiamati a svolgereper conto delle Regioni i compiti previstidall’intesa. La tabella 2 mostra che la spesacomplessiva nel 2007 per gli Uffici scolasticiregionali è poca cosa rispetto alla spesacomplessiva per l’istruzione.

Infine, rientra nell’attuazione della legge42 anche la dotazione di personale docente, dirigente e ATA che verrà assegnata dallo Stato aciascuna Regione e che queste ripartiranno tra le istituzioni scolastiche. L’assegnazione diquesta dotazione di risorse umane rappresenta l’aspetto più rilevante dell’attuazione del

Tab. 1 SPESA PUBBLICA PER ISTRUZIONESCOLASTICA DISTINTA PER ENTE EROGATORE

(milioni di euro)

Fonte: elaborazioni MIUR su dati di fonte contabile.

Tab. 2 SPESE DEGLI UFFICI SCOLASTICIREGIONALI NEL 2007

(impegni)

Fonte: rendiconto generale dello Stato per il 2007.

1995 2000 2004 2005

Stato 29.611 31.908 41.082 40.477

di cui: MIUR 23.709 31.834 41.032 40.189

Regioni 387 928 1.559 1.959

Enti Locali 6.830 6.851 8.068 7.656

Totale 36.828 39.687 50.709 50.092

USR Milioni di euro

Abruzzo 10,2Basilicata 5,0Calabria 16,8Campania 37,5Emilia Romagna 15,4Friuli VG 6,4Lazio 24,6Liguria 8,1Lombardia 30,4Marche 7,4Molise 4,1Piemonte 16,2Puglia 21,5Sardegna 10,2Sicilia 30,7Toscana 14,4Umbria 5,4Veneto 15,9Totale 280,1

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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federalismo fiscale in ambito scolastico. La tabella 3 mostra, infatti, che una quota molto ampiadella spesa pubblica è destinata al personale scolastico – docente, dirigente e ATA – (redditi dalavoro). La tabella 4 mostra che, nell’ambito del personale scolastico, i docenti hanno un peso, intermini finanziari, ben superiore alle altre categorie di lavoratori.

Tab. 3 SPESA DEL MIUR PER CATEGORIA ECONOMICA IN PERCENTUALE DEL TOTALE

Fonte: elaborazioni MIUR su dati di fonte contabile.

Non sono irrilevanti neanche le “risorseeconomiche e strumentali” che le Regioniripartiranno tra le istituzioni scolastiche. Sitratta delle risorse finanziarie per:

a) le supplenze brevi e saltuarie;

b) i compensi e le indennità pagate alpersonale per il miglioramento dell’offertaformativa (quelle legate allo sviluppodell'autonomia scolastica e pagatedirettamente dalle scuole);

c) le scuole sedi di esami di Stato conclusivi dei corsi di istruzione secondaria superiore e degliesami di idoneità per l’abilitazione all’esercizio della libera professione;

d) la fruizione della mensa da parte del personale docente nelle scuole dell’infanzia, primarie esecondarie di I grado.

Queste spese sono state sinora assegnate alle scuole da parte del Ministero. La letteradell’intesa Stato-Regioni sembrerebbe prefigurare che sia trasferita alle Regioni la competenzacirca l’assegnazione delle risorse alle scuole. L’attuazione della legge 42/2009, imporrà ladeterminazione delle risorse da assegnare alle singole Regioni affinché queste le ripartiscano trale istituzioni scolastiche.

Le risorse stanziate a questi fini, nel 2008, sono state inserite in due capitoli: il fondo per lecompetenze dovute al personale delle istituzioni scolastiche, con esclusione delle spese perstipendi, e il fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche. Come mostra la tabella 5,l’ammontare stanziato per questi capitoli, nel 2008, è stato di poco inferiore ai 2,5 miliardi di euro.

Anni Milioni di euro Spese Correnti Spese c/capitaleSpese Correnti

Totale Redditi da lavoro Consumi intermedi

Altre spese correnti

2000 31.885 99,9 0,1 100 90,3 3,5 6,22001 38.223 99,4 0,6 100 89,5 2,9 7,62002 37.616 98,9 1,1 100 91,0 1,6 7,42003 41.334 99,2 0,8 100 89,6 2,8 7,62004 41.033 99,9 0,1 100 88,4 3,2 8,42005 40.480 99,9 0,1 100 89,8 3,0 7,22006 46.680 99,9 0,1 100 90,4 2,3 7,3

Tab. 4 RETRIBUZIONI LORDE DEL PERSONALE*(anno 2005, milioni di euro)

Fonte: elaborazioni MIUR su dati di fonte contabile.* Sono esclusi i compensi pagati direttamente dalle scuole.

Dirigenti scolastici 568

Docenti 27.795

ATA 5.863

Personale educativo 65

Totale 34.290

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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In sintesi, l’attuazione della legge 42/2009 e dell’intesa Stato-Regioni riguarda unaparte delle risorse finanziarie (quelle sinora acarico delle Regioni e quelle sinora assegnatedal MIUR alle istituzioni scolastiche chedovranno essere assegnate alle Regioni peressere da queste ripartite alle istituzioniscolastiche) ma soprattutto la determinazionedella dotazione di personale da attribuire alleRegioni (sia il personale scolastico, docente enon docente, sia il personale degli ufficiscolastici regionali). La determinazione del personale, soprattutto docente, da assegnare alleRegioni appare la questione più rilevante, in termini di risorse coinvolte.

Il quadro complessivo che sembra emergere è dunque il seguente: lo Stato definisce icontenuti di ciò che costituisce livello essenziale della prestazione (sia in termini contenutisticiche - in parte - organizzativi, ad es. ore di didattica frontale, numero minimo e massimo di alunniper classe ecc.), e le Regioni provvedono poi ad organizzare il servizio a livello territoriale (nelrispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche) secondo i principi e le norme generali definitedallo Stato. Nel far ciò esse hanno una determinata assegnazione di personale (in primisdocente), il cui costo è a carico dello Stato. Se questa interpretazione è corretta, la necessità didefinire fabbisogni standard sorge anche in assenza di un trasferimento del personale dirigente,docente e ATA dallo Stato alle Regioni. Infatti, anche se dipendente dello Stato, il personale verrà“gestito” dalle Regioni e la standardizzazione è quindi fondamentale, da un lato, per consentire ilsoddisfacimento dei livelli essenziali delle prestazioni e, dall’altro, per evitare il sorgere dicomportamenti di free-riding legati alla percezione di un vincolo di “gestione” morbido.

Ciò che differenzia l’assegnazione delle risorse nell’istruzione dalla sanità è il fatto che inquest’ultima si provvede a definire il fabbisogno regionale solo in termini finanziari, mentre nelcaso dell’istruzione si provvederà a definire il fabbisogno prevalentemente in termini di personalee solo in parte (minore) finanziari. In altre parole, lo Stato dovrà definire la dotazione (minima) dipersonale che garantisce il soddisfacimento dei livelli essenziali, personale che, tuttavia, restadipendente statale pur essendo “assegnato” ai competenti uffici regionali (che prendono il postodegli uffici regionali del Ministero), i quali avranno poi il compito di distribuirlo tra i diversi istitutiche fanno parte della stessa regione. Il fatto che il fabbisogno sia definito in termini capitarievidentemente non fa venir meno il fatto che - sottostanti - vi siano anche dei trasferimentifinanziari impliciti. Poiché, tuttavia, il costo del personale dipende in gran parte dall’anzianità diservizio di quest’ultimo, non ci si deve attendere che ad una distribuzione egualitaria di risorsecapitarie faccia seguito anche una distribuzione egualitaria di risorse finanziarie. In altre parole,una regione in cui il personale docente è mediamente più anziano avrà anche costi di istruzione

Tab. 5 SPESE STANZIATE PER LE ISTITUZIONI SCOLASTICHE NEL 2008

(milioni)

Fonte: bilancio di previsione per il 2008.

Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche

Fondo per le competenze dovute al personale delle istituzioni scolastiche, con

esclusione delle spese per stipendi

Infanzia 60 246

Primaria 115 575

Sec I grado 28 373

Sec II grado 108 931

Totale 310 2.126

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più elevati, a parità di numero di docenti “assegnati”. Per queste ragioni e per quelle esposte inprecedenza nel nostro lavoro ci concentriamo principalmente sulla determinazione delladotazione di docenti da assegnare alle Regioni.

Posto che l’obbiettivo è quello di determinare le risorse (docenti) standardizzate checonsentono il soddisfacimento dei livelli essenziali delle prestazioni, occorre anzitutto chiarireche cosa si intende con quest’ultima espressione quando essa è utilizzata in riferimentoall’istruzione. Una prima lettura potrebbe essere quella - che potremmo definire di egualitarismoin uscita - secondo la quale i livelli essenziali debbono essere misurati in termini di output, e cioèdi apprendimento. In quest’ottica gli obbiettivi (e quindi i procedimenti di valutazione efinanziamento) sono da definire in termini di skills acquisiti dai partecipanti al sistemadell’istruzione e il soddisfacimento dei livelli essenziali in tutte le regioni implica che alle diverseRegioni debbano essere attribuite risorse tali da garantire a qualunque cittadino di ottenere unlivello standard di apprendimento definito a livello centrale. Ciò implica che, se in alcune regionisono presenti particolari difficoltà di apprendimento (ad esempio legate al contesto locale),ebbene in queste regioni sarà necessario assegnare risorse maggiori. E’ questa una letturaestrema di una prospettiva egualitaria applicata all’istruzione, in cui ciò che conta è che tutti icittadini siano messi in grado di competere in modo paritario sul mercato del lavoro. Poiché ilpossesso di adeguati skills è uno degli elementi che contribuisce al soddisfacimento di talecondizione, ne deriva una giustificazione dell’intervento equalizzatore dello Stato in meritoall’istruzione. A questa visione se ne contrappone un’altra - che potremmo definire diegualitarismo in entrata - secondo la quale è compito dello Stato garantire che a tutti i cittadini siaassicurato un uguale insieme di servizi di istruzione. In altre parole, invece di richiederel’equalizzazione dei livelli di apprendimento (medio) ci si limita a chiedere l’equalizzazione delleprincipali variabili in grado di influenzare l’apprendimento. Gli elementi che immediatamentevengono alla mente sono: la dotazione di personale docente e non docente in misura e conqualità appropriate, la dotazione di infrastrutture appropriate, la dotazione di risorse finanziariedestinate alle famiglie meno abbienti e funzionali alla copertura di una parte dei costidell’istruzione ecc.. In questa prospettiva l’accento viene posto non sul risultato del processo masul processo medesimo.

Un approccio di questo tipo sembra essere quello scelto dal legislatore italiano. La legge n.53 del 28 marzo 2003 che delega il Governo ad emanare i decreti legislativi per la definizione deilivelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e i decreti legislativi di attuazione (ildecreto legislativo n. 59 del 19 febbraio 2004, per la definizione delle norme generali relative allascuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione; il decreto legislativo 17 ottobre 2005 per ladefinizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni sul secondo ciclo delsistema educativo di istruzione e formazione; il decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 76 per ladefinizione delle norme generali sul diritto-dovere all’istruzione e alla formazione; il decretolegislativo 15 aprile 2005, n.77 che definisce le norme generali relative all’alternanza scuola-

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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lavoro) individuano i livelli essenziali quasi esclusivamente facendo riferimento allecaratteristiche che il servizio deve possedere (orari, percorsi, insegnamenti, ore di lezionefrontale, ecc.) più che al livello di apprendimento. Ciò è d’altra parte forse comprensibile alla lucedel fatto che, in Italia, non esiste un sistema di valutazione degli apprendimenti (a parte gliesami). L’attuazione della legge 42 sembra implicare quindi la definizione del vettore di input(principalmente, ma non soltanto, docenti) standard da mettere a disposizione di tutte le Regioni.Questa interpretazione sembra, al momento, la più logica, dal momento che, se il personaledeve essere amministrato dalle Regioni (a cui spetta il compito di definire i criteri per la suaassegnazione e, in prospettiva, anche la concreta gestione, attraverso gli ex-Uffici scolasticiregionali del Ministero), appare naturale pensare ad una assegnazione del personale non basatasul criterio storico ma del fabbisogno standard.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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La bozza di intesa Stato-Regioni

Lo Stato, a fronte del suo potere di programmazione generale finanziaria, di indirizzogenerale e di controllo avrà il diritto-dovere di dettare le norme generali, i principi fondamentali ei livelli essenziali e di controllarne l’attuazione; le Regioni avranno il diritto di dettare lalegislazione concorrente; le Regioni e gli EELL, nel rispetto dei principi di adeguatezza edifferenziazione, assolveranno alla funzione organizzativa; le scuole, nella loro autonomia,provvederanno a fornire il servizio.”

A) ripartizione della funzione normativaPosto che l’elemento di differenziazione tra principi fondamentali e norme generali risiede

nel fatto che queste ultime, a differenza dei primi, esauriscono in se stesse la propria operatività,ovvero possiedono carattere precettivo diretto; che pertanto la loro adozione è giustificabile solo inpresenza di esigenze di carattere unitario non perseguibili utilmente a livello locale, neppureall’interno di un quadro di principi fondamentali della materia:

a) le norme generali sull’istruzione regolano in particolare i seguenti ambiti:

1. definizione, limiti, contenuti ed organi dell’autonomia delle istituzioni scolastiche;2. ordinamenti scolastici (tipologia e durata dei corsi di istruzione primaria, secondaria e post-

secondaria; monte ore annuo; modalità di passaggio tra i diversi ordini di scuola e trasistema di istruzione e sistema di istruzione e formazione professionale);

3. carriera degli studenti;4. obbligo di istruzione;esami di Stato e condizioni, regole e procedure per il rilascio dei titoli;5. criteri per l’organizzazione generale dell’istruzione scolastica;6. valutazione del sistema di istruzione;7. regole di reciproco riconoscimento dei titoli di studio all’interno della UE e con i paesi

extra UE;8. individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni;9. modalità di esercizio delle funzioni di verifica e controllo sul raggiungimento dei livelli

individuati;10. criteri di selezione e di reclutamento del personale dirigente, docente e ATA;11. criteri di massima di distribuzione del personale e delle risorse tra le scuole;12. modalità di esercizio del potere sostitutivo;13. diritti ed obblighi delle scuole non statali e paritarie ai sensi della Legge 62/2000

b) i principi fondamentali comprendono i seguenti ambiti:

1. libertà dell’insegnamento;2. sviluppo dell’autonomia scolastica;3. libertà di accesso all’istruzione e alla formazione su tutto il territorio nazionale;4. pari opportunità tra i generi;5. azioni positive per compensare gli svantaggi derivanti da handicap e da diverse origini

etniche e culturali;6. diritto all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita.7. requisiti minimi per il funzionamento degli istituti scolastici;

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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c) i livelli essenziali delle prestazioni devono essere individuati:

1. a partire dalla definizione delle prestazioni;2. secondo il criterio della sostenibilità e della esigibilità, che deve essere progressivamente

garantita su tutto il territorio nazionale fino al raggiungimento di livelli ottimali;3. con modalità che coinvolgano tutti gli attori della scuola.

Nella loro azione regolatrice tanto lo Stato quanto le Regioni dovranno impegnarsi a

semplificare la rispettiva normazione, a chiarire i livelli di responsabilità, ad evitare duplicazioni,ad attribuire le funzioni gestionali ed amministrative ed il servizio pubblico agli Enti locali,riservandosi esclusivamente quelle che concernono l’indirizzo, la programmazione generale ed ilcontrollo, prevedendo comunque anche in tal caso il coinvolgimento degli enti locali.

Ciò premesso e ferma restando l’autonomia del legislatore, le Parti concordano sullaopportunità che le norme statali (norme generali, principi fondamentali e criteri per la definizionedei livelli essenziali) sull’istruzione vengano raccolte in un unico testo per renderne più agevole lacomprensione e l’applicazione e per evitare inutili contenziosi.

B) allocazione delle funzioni amministrative e dei servizi pubblici dell’istruzione e dell’istruzione e formazione professionale

a) lo Stato si impegna ad adottare i D.P.C.M. previsti dal D.Lgs. n. 112 del 1998; per la parte noncoperta dalle previsioni del D.Lgs. n. 112 del 1998 il Governo si farà promotore di un disegnodi legge per l’approvazione del quale chiederà al Parlamento un esame quanto più acceleratopossibile;

b) le Regioni si impegnano per la produzione di una propria normazione organica nell’ambito eda completamento delle disposizioni dello Stato, specificamente in materia di:

1. forma, livelli e organismi di governo territoriale;2. programmazione dell’offerta di istruzione e formazione sul territorio regionale, ivi compresa

la funzione di organizzazione della rete scolastica;3. interrelazioni e collaborazione tra istruzione e istruzione e formazione professionale;4. forme di rappresentanza e partecipazione dei diversi soggetti dell’istruzione e formazione

professionale e della formazione professionale a livello locale e regionale;5. interventi di supporto all’autonomia delle istituzioni scolastiche;6. criteri di assegnazione del personale alle scuole;7. rapporti tra le istituzioni scolastiche e i soggetti del territorio che hanno interesse ad operare

nel campo dell’istruzione e della formazione;8. servizi a domanda individuale;9. interventi per il diritto allo studio;

10. orientamento, continuità didattica, attuazione dell’obbligo di istruzione e formazione, azioniper contrastare dispersione e abbandono;

11. eventuali uffici e servizi regionali sul territorio;12. anagrafe degli studenti;13. norme di attuazione dei principi fondamentali.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Le parti, peraltro, concordano che condizione prioritaria, determinata dalla sentenza n.13/04della Corte Costituzionale, è la definizione – per le Regioni che non hanno ancora proceduto in talsenso – di “una disciplina e di un apparato istituzionale idoneo a svolgere” le funzioniamministrative ed il servizio pubblico in materia di istruzione e di istruzione e formazioneprofessionale, “secondo i tempi ed i modi necessari ad evitare soluzioni di continuità del servizio,disagi agli alunni e al personale e carenze nel funzionamento delle istituzioni scolastiche”.

Per poter ottenere il trasferimento dallo Stato delle funzioni e delle risorse in materia diistruzione (non anche di istruzione e formazione professionale, perché già spettanti alle Regioni) èpertanto necessario e sufficiente che le Regioni individuino modalità e strutture idonee adesercitare le funzioni in materia di istruzione, mentre non è affatto necessario che dettino “unquadro normativo che unifichi in modo organico le disposizioni in materia di istruzione e diformazione professionale a livello regionale”, cioè che dettino una nuova e completa disciplina ditutta la materia.

c) si concorda in tal senso sulla possibilità di avvalersi del personale degli ufficidell’amministrazione scolastica periferica che saranno trasferiti nella misura necessaria alraggiungimento dell’idoneità operativa e gestionale relativa all’esercizio delle funzioni oggettodi trasferimento, fatto salvo il mantenimento di un presidio per funzioni proprie dello Stato.

C) allocazione delle risorse umane, strumentali ed economiche

a) la assegnazione delle risorse umane, strumentali ed economiche è contestuale alla data di iniziodell’esercizio delle funzioni trasferite;

b) il personale dirigente, docente e ATA della scuola resta alle dipendenze dello Stato, contrattamento giuridico ed economico fissato dalla contrattazione nazionale di comparto e - sullabase di questa - dalla contrattazione integrativa, ma funzionalmente dipendente dalle istituzioniscolastiche autonome e, per quanto riguarda la programmazione e la distribuzione territoriale,dalle Regioni o dagli Enti Locali;

c) si proporrà una modifica dell’art. 41, 2° comma, D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, prevedendo cheil comitato di settore per la contrattazione collettiva nazionale del comparto scuola siaintegrato da due rappresentanti designati dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delleProvince Autonome;

d) il Comitato di settore rinnovato avrà il compito di avanzare proposte – da immettere nel primoatto di indirizzo successivo alla sua costituzione – di adeguamento della contrattazione delcomparto al nuovo assetto istituzionale, in ordine all’introduzione di un livello regionale dicontrattazione integrativa alle materie di competenza di questo livello e all'inclusione nelladelegazione trattante per la parte pubblica del dirigente regionale competente nonché in ordineal procedimento disciplinare.

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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2.2 LA FUNZIONE DI COSTO STANDARD E IL FABBISOGNO STANDARD

Se l’interpretazione del dato normativo è corretta, la nostra analisi ha anzitutto il compito diquantificare il fabbisogno di personale docente nelle diverse regioni, tenendo conto dei parametrilegislativi e amministrativi che disciplinano la materia. Ciò, tuttavia, non corrisponde al concettodi funzione di costo dell’istruzione. Quest’ultimo, assai diffuso nella letteratura internazionale, fariferimento alla stima del costo minimo necessario per ottenere un determinato livello diapprendimento (si tratta semplicemente dell’applicazione del concetto di funzione di costoall’oggetto in esame).

Il concetto di funzione di costo applicato all’istruzione richiama direttamente quello dellaEducation production function, che, a sua volta, ipotizza una relazione funzionale tra variabili dioutput (l’apprendimento o il successo sul mercato del lavoro) e variabili di input (abilitàindividuali, background familiare, caratteristiche della scuola, caratteristiche del territorio).Quindi, nella logica della funzione di produzione dell’istruzione, l’obbiettivo del ricercatore èquello di identificare l’impatto delle diverse variabili esogene su quelle endogene (in primisl’apprendimento), mentre nel caso della funzione di costo - che non è altro se non il duale delproblema precedente - si cerca di stimare quale sia il costo dell’apprendimento (per singolostudente) in funzione dei prezzi degli input e della “quantità” di apprendimento desiderata.Ragionando in termini aggregati, stimare la funzione di costo significa anche definire le risorsenecessarie per garantire, in relazione ad un dato aggregato sociale (la scuola, il comune, laprovincia, la regione, lo Stato), un determinato apprendimento medio. Interpretando quest’ultimocome “qualità” della scuola, ne risulta che tale approccio consente di definire il costo del servizioscolastico data la qualità desiderata, i prezzi dei fattori (il personale docente e non, il numero distudenti, il costo dei servizi offerti dagli immobili ecc.) e gli altri fattori che possono influenzare ilprocesso di apprendimento e quindi il costo della prestazione (il numero di docenti per classe, ilnumero di studenti per classe, il numero di studenti disabili, la qualità media degli studenti –i cd.peer effects-, la qualità delle strutture scolastiche, gli investimenti in materiale e laboratori, ilbackground familiare, il capitale sociale a livello locale ecc.). Da un punto di vista di policy, lafunzione di costo è molto interessante perché, nell’ipotesi in cui le singole strutture competentifacciano buon uso delle risorse, consente di identificare l’ammontare di risorse necessarie perraggiungere la qualità desiderata, dati i prezzi dei fattori produttivi e dati gli altri fattori già citati. .

La tipica funzione di costo dell’istruzione ipotizza una relazione di questo tipo (a livello discuola o più spesso di school district):

dove Q rappresenta una qualche misura della qualità dell’apprendimento, p sono i prezzi dei

fattori (tra cui i salari dei docenti), N è il numero di studenti (serve anche per tenere conto di

),,,( DNpQfC =

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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potenziali economie o diseconomie legate al numero di studenti) e D è una misura della quota di

studenti con necessità particolari (disabilità ed altro). Naturalmente, a livello di stima, è possibileosservare solo la spesa - non la spesa minima - e quindi si può ipotizzare che la relazione traspesa (S) e Costo (C) sia la seguente:

dove e è un indice di efficienza della singola scuola o distretto scolastico. Facendo le opportune

ipotesi sulla distribuzione di e, è possibile stimare la funzione di costo C(Q,p,N,D) partendo dai

dati sulla spesa (ciò che si fa è selezionare come costo minimo la spesa più bassa tra quelladelle scuole/distretti che hanno pari valore per le variabili esplicative). Si può notare, quindi, chela funzione di costo dell’istruzione richiede la definizione e la misurabilità dell’apprendimento (o,più in generale, della qualità dell’istruzione). In assenza di tale informazione non è possibileidentificare una vera e propria funzione di costo standard.

Se volessimo applicare all’Italia l’approccio metodologico ora delineato, noteremmo cheesiste un serio problema di accesso ai dati (o disponibilità dei dati). L’approccio della funzione dicosto, applicato all’istruzione, richiede che siano disponibili ai ricercatori le informazioni circa isalari lordi del personale docente e amministrativo nonché le informazioni precise circa la loronumerosità ed effettiva operatività in servizio (tali informazioni dovrebbero essere disponibili perogni scuola). Sono inoltre rilevanti le informazioni circa gli altri costi (ad esempio legati allagestione dei laboratori o del patrimonio immobiliare), nonché informazioni circa la qualità dellestrutture (immobiliari e non). Infine è necessario avere informazioni circa la qualità del servizioofferto (in primis il grado di apprendimento). Tali informazioni dovrebbero essere disponibili perogni singola scuola e tali da consentire di conoscere il valore aggiunto (in termini diapprendimento) di ciascuna scuola. D’altra parte, la stima della funzione di costo dell’istruzione èfondamentale laddove si voglia valutare l’efficacia delle risorse spese per finanziare l’istruzionestessa, dal momento che consente di stimare il costo minimo legato a diversi livelli diapprendimento (dati i costi dei fattori produttivi), costo che può poi essere confrontato con lespese effettivamente erogate a favore dei diversi istituti. Essa è invece meno utile nel caso in cuisi vogliano definire i livelli standard delle prestazioni in termini puramente quantitativi, perché inquesto caso il focus principale è quello della determinazione di un vettore standard di inputproduttivi, a prescindere dalla loro produttività (in termini di apprendimento).

In parte per la complessità della funzione di produzione sottostante e in parte a causa dellascarsa disponibilità di dati sui costi del personale, gli studiosi si sono concentrati maggiormentesulla stima delle funzioni di produzione dell’istruzione, mettendo in relazione diretta i risultatidell’apprendimento con le variabili esplicative tipiche (si vedano Hanushek, 2002a e Duncombee Yinger, 2007). Per l’Italia, da un lavoro di Bratti et al. (2007) emerge piuttosto chiaramentecome il contesto socio-economico di riferimento sia essenziale nel determinare l’apprendimento.In questo lavoro vengono analizzati i risultati dei test PISA (particolarmente focalizzati sullecapacità matematiche) in riferimento agli studenti delle scuole superiori per l’anno 2003. Come è

eSC =

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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noto, da questi dati emerge una distribuzione dell’apprendimento secondo la quale ad un Nordche è sostanzialmente in linea con la media europea si affianca un Sud che presenta invece unpesante deficit d’apprendimento (nonostante le risorse spese non siano inferiori). I risultatidell’analisi di Bratti e coautori, oltre a confermare il gender gap che già altra letteratura avevatrovato in altri paesi, evidenziano anche come la ricchezza familiare e la posizione lavorativa deigenitori siano forti indicatori dei risultati individuali. Tuttavia, accanto ad essi emerge la granderilevanza dei fattori locali. A tale proposito, lo studio citato segnala come alcune variabiliinfrastrutturali di tipo locale, quali la quota di edifici non adatti all’utilizzo per attività didattiche e laquota di edifici che sono locati (entrambi calcolati a livello provinciale e presi come indicatoridell’insufficienza infrastrutturale) siano negativamente e fortemente correlati con i risultatiindividuali. D’altra parte, emerge anche che la spesa per studente (calcolata sempre a livelloprovinciale) non è significativamente correlata con i risultati individuali, mentre si registra unacorrelazione positiva tra questi ultimi e la spesa in conto capitale e per consumi intermedi. Ciòsembra confermare, da un lato, che le scarse perfomances sono in parte dovute a scarseinfrastrutture e, dall’altro, che la spesa per il personale docente non influenza i processi di

apprendimento2 (ciò non stupisce più di tanto, dal momento che la spesa per il personaledocente dipende sia dal numero dei docenti che dalla loro anzianità di servizio).

Si noti che lo studio di Bratti et al. studia l’apprendimento di studenti delle scuole superiori equindi non è in grado di valutare il valore aggiunto di ciascun livello di scuola (nemmenodell’istruzione superiore). Per questo sarebbe necessario avere test standardizzati che misurinol’incremento delle competenze tra il momento in cui ha inizio un determinato percorso scolasticoe la sua fine. Nel caso in questione, ad esempio, non è possibile capire se la performanceinsoddisfacente del Sud per le scuole superiori dipende da una poca efficacia di queste ultime odal fatto che i livelli di scuola precedenti non hanno conseguito risultati soddisfacenti.

A nostro avviso, un’analisi costi-efficacia seria dell’istruzione in Italia non può prescinderedalla considerazione dei risultati ottenuti in termini di apprendimento, e ciò anche in riferimentoalla relazione tra istruzione e federalismo fiscale. Tuttavia, in questa sede, alla luce del testolegislativo precedentemente descritto (che fa riferimento alla determinazione dei livelli essenzialidelle prestazioni in termini di input) e in ragione dell’assenza di dati che consentono la stima diuna vera e propria funzione di costo dell’istruzione, ci limitiamo ad un processo distandardizzazione degli input, principalmente personale docente, soprattutto alla luce del fattoche non esistono informazioni disponibili relativamente alle infrastrutture (le informazionicontenute nella cd. anagrafe edilizia delle infrastrutture scolastiche non sono ancora disponibili)né alla capacità didattica dei docenti o all’apprendimento, che siano rappresentative delle realtàlocali osservate. In quest’ottica, volendo riprendere il linguaggio del legislatore costituzionale, la

2 Questi risultati sono in linea con quelli che trova anche la migliore letteratura internazionale (si veda Hanushek, 2002b),che evidenzia la fondamentale importanza dei fenomeni di selezione (e quindi dei c.d. peer effects) e degli schemiincentivanti legati alla performance.

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definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, in tema di istruzione, finisce per coincidere conla determinazione di un dato rapporto tra alunni e personale (docente e non) tale da garantire uncerto percorso scolastico, determinate materie di insegnamento, un certo numero di ore frontalidi lezione, ecc..

Tuttavia, siamo ben consci dei limiti di tale approccio, che si concentra sulla quantità diinput e non sulla qualità (di output e input). In particolare, poiché elementi fondamentali nelladeterminazione dell’apprendimento sembrano essere i cd. peer effects e le capacità dei docenti,è indispensabile avere un forte controllo in primo luogo sulla qualità e sulle capacità dei docenti,essendo i peer effects in gran parte frutto di autoselezione e quindi al di fuori del controllo direttodell’autorità scolastica. Qualità e capacità dei docenti che dovrebbero essere vagliate in modo

obbiettivo (verifica delle capacità didattiche attraverso test di apprendimento degli studenti).3

2.3 LE PROBLEMATICHE CONNESSE ALLA QUANTIFICAZIONE DEI FABBISOGNI STANDARD

Chiariti quali sono i limiti dell’esercizio svolto, in questo paragrafo, si individuano le modalitàcon cui giungere alla quantificazione del personale docente da garantire alle Regioni.

Questo può essere ottenuto semplicemente cercando di definire un rapporto di tipofunzionale tra la variabile di interesse (il numero di docenti) e un insieme di altre variabili che, alivello territoriale, in modo più o meno diretto, influenzano la prima, tra cui rientra certamente ladistribuzione territoriale della popolazione potenzialmente interessata al servizio. Avendo adisposizione il numero di alunni iscritti sembrerebbe agevole determinare la dotazione regionaledi docenti, per ogni dato tipo e ordine di istruzione. Si può immaginare di applicare i criterinormativi che sottendono la formazione delle classi, in modo da definire il numero (o un intervallodi riferimento) di docenti (in media) necessari per coprire le esigenze didattiche “normali” dellapopolazione di riferimento. In questo modo si potrebbe definire un numero “standard” di docenti,laddove la standardizzazione deriverebbe sia dal fatto di avere usato le stesse variabili (lapopolazione) sia dal fatto di avere applicato gli stessi criteri normativi (in questa determinazionesi potrebbe tenere conto del numero di studenti disabili così come della qualifica del comunecome montano o come piccola isola). Un approccio di questo tipo rischia però di ottenere valoriche sono assai lontani da quelli storicamente determinati. La consistenza (storica) del personaleriflette, infatti, una serie di fattori - non tutti meritevoli di uguale considerazione - che però sonofrutto di vincoli di cui in larga parte occorre tenere conto. Tra questi sono da segnalare, in primo

3 In questo modo, però, il problema dell’efficacia nell’apprendimento riemerge a livello di offerta (i docenti), mentrenell’approccio che è stato definito di egualitarismo in uscita, la valutazione è concentrata sul lato della domanda cioèdello studente.

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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luogo, i vincoli connessi alle differenze esistenti a livello territoriale nelle caratteristiche dellestrutture disponibili. E’ chiaro che il fabbisogno di docenti muta se una popolazione di 1000studenti viene raggruppata in un'unica struttura scolastica piuttosto che in 10 piccole strutture ose le aule presentano limiti fisici alla capacità di accogliere gli alunni nella misura stabilita dallanormativa. In secondo luogo, la distribuzione delle strutture scolastiche sul territorio e comequesta si combina con gli alunni incide in modo rilevante sul fabbisogno di docenti. Aree divenutepoco urbanizzate possono disporre di strutture ampie e viceversa e quindi la costituzione delleclassi e il fabbisogno di docenti può mutare in relazione a questi aspetti. Altrettanto rilevante è lanormativa che regola la mobilità del personale sul territorio, che non consente di costituirecattedre su due scuole che si trovino ad una distanza superiore ad una certa soglia e che nonconsente l’utilizzazione in una provincia di personale in esubero in un’altra provincia (per ilmedesimo insegnamento).

Per questo, ad un approccio di tipo “ingegneristico” è –a nostro avviso- preferibile uno in cuisi fa ricorso a strumenti inferenziali, in cui il dato di partenza è quello storico. In questo modo siriesce a tenere conto della concreta articolazione territoriale del nostro sistema dell’istruzione. E’chiaro che un procedimento basato sul dato storico consente di individuare un fabbisogno diriferimento che è solo un’approssimazione del fabbisogno di first best, che, tuttavia, sarebbeottenibile solo con un completo ridisegno del nostro sistema di istruzione (soprattutto perl’edilizia) ipotizzabile solo in un’ottica di lungo periodo.

D’altra parte, questi problemi potrebbero essere in parte superati (almeno nella fase distudio) se si utilizzassero tutte le informazioni a disposizione. In particolare, il MIUR dispone diun capitale informativo che potrebbe consentire la determinazione delle dotazioni standard dipersonale da assegnare alle Regioni, che però, sino ad oggi, è stato sfruttato solo parzialmente.

Il rapporto intermedio della Commissione tecnica per la finanza pubblica precisa chel’elaborazione di un modello per la programmazione del personale che fornisca nell’annoscolastico t-1, stime della pianta organica e del personale per l’anno scolastico t sarebbepossibile incrociando le seguenti informazioni:

1. localizzazione di tutti i plessi (e indicazione della scuola di appartenenza) per ordine, gradoe tipologia di istruzione delle scuole;

2. disponibilità di aule, capienza massima delle stesse e disponibilità delle altre strutture perplesso;

3. stato delle stesse;

4. distribuzione degli studenti normodotati, degli studenti diversamente abili e degli esitiscolastici per punto di erogazione e per anno di corso;

5. iscrizioni alle prime classi per scuola e anno di corso;

6. le matrici di transizione degli studenti da un anno all’altro per scuola, anno di corso e classedi appartenenza;

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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7. iscrizioni ritardate per scuola e anno di corso;

8. le attività sperimentali oltre a quelle previste dal curriculum standard per classe, anno dicorso e plesso e le classi che svolgono il tempo pieno per plesso;

9. la distinzione tra gli ambiti disciplinari di appartenenza degli insegnanti;

Le informazioni di cui al punto 1. sono presenti nell’anagrafe delle istituzioni scolastiche;quelle ai punti 2. e 3. sono disponibili nell’anagrafe dell’edilizia scolastica; le informazioni ai punti4. e 6. sono disponibili, presso il MIUR, in modo disaggregato; le iscrizioni alle prime classi, di cuial punto 5., sono comunicate dalle scuole al Ministero nel mese di gennaio per lapredisposizione degli organici di diritto. Le iscrizioni ritardate possono essere stimate senza cheil modello perda di efficacia. Le informazioni di cui al punto 8. e 9. sono a disposizione del MIUR,e in particolare le informazioni sub 8. sono già state utilizzate nel modello prototipo sviluppato nelQuaderno Bianco.

La questione della stima dei fabbisogni standard di personale docente a livello regionalenon è propriamente una novità per il MIUR. Nell’ambito dell’amministrazione centralistica ilproblema è molto simile a quello della corretta programmazione del personale. Infatti, inentrambi i casi occorre individuare l’allocazione ottimale del personale scolastico sul territorio. Inquesti anni il Ministero ha elaborato stime relative alla dotazione di personale da assegnare agliUffici scolastici regionali che potevano in qualche modo fornire una soluzione al problemaattuale. Purtroppo la metodologia adottata, come evidenziato nel rapporto finale della

Commissione tecnica per la finanza pubblica4, presenta diversi punti critici, tra i quali il piùimportante si riferisce al fatto che le dotazioni sono state determinate replicando integralmente idati storici, cristallizzando, in questo modo, l’allocazione delle risorse sul territorio. Gli unicielementi di novità introdotti annualmente sono frutto della contrattazione tra direzioni regionali edipartimenti centrali del Ministero e legati principalmente a esigenze contingenti cui si fornisceuna soluzione ad hoc.

2.4 LA METODOLOGIA

La metodologia proposta in questo lavoro si articola in diverse fasi. In primo luogo vienestimato il numero di alunni per classe sulla base dei dati disponibili, riferiti all’anno scolastico2007/2008 distintamente per ciascun ordine di istruzione (si veda anche Fontana, 2008). Nel farequesto si fa riferimento ai comuni per la scuola primaria e secondaria di I grado e alle provincieper la scuola secondaria di II grado. La procedura di stima consente di definire un valore attesodel rapporto alunni/classi, in funzione delle variabili esplicative che tengono conto sia delle

4 Anche nel Quaderno Bianco è stata elaborata una metodologia per la programmazione del fabbisogno di docenti (ealcune simulazioni) ma queste sono orientate a risolvere il problema in un ottica di lungo periodo.

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caratteristiche orografiche e socio-economiche dei territori sia delle peculiarità relative allaformazione delle classi (ad. es. la presenza di alunni disabili). Queste ultime sono quelle indicatedalla normativa sui criteri di formazione delle classi come in grado di giustificare differenze nelnumero di alunni per classe. Il valore atteso viene poi utilizzato per calcolare il rapporto alunni/classi standard. Si tratta, evidentemente, di una semplificazione, che risulta però necessariaperché in quest’ambito non si ha alcuna possibilità di conoscere lo stato delle infrastrutture.D’altra parte, questa procedura ha il pregio di standardizzare il numero di alunni per classetenendo conto delle altre caratteristiche (oltre alle strutture scolastiche) proprie del contesto incui le scuole operano.

Una volta determinato il valore standard del rapporto alunni/classi si procede con unesercizio controfattuale di questo tipo: quante classi si otterrebbero se si applicasse il rapportoalunni/classi stimato dal modello di regressione? In altre parole, prendendo come data ladistribuzione degli alunni e dei plessi esistenti (immodificabile, nel breve periodo), si ipotizza chegli alunni vengano distribuiti tra i plessi in modo da soddisfare il rapporto alunni/classi standard(cioè quello stimato). Così facendo si genera un numero alternativo di classi. Poiché lalegislazione pone dei vincoli piuttosto rigidi rispetto al rapporto che deve intercorrere tra classi edocenti (anche se diversi fattori rendono variabile a livello territoriale questo rapporto), è quindipossibile generare una stima del numero di docenti necessari a coprire la popolazione scolasticain ogni regione.

La soluzione al problema di definire dotazioni territoriali standard di docenti emerge“naturalmente” se si considera il meccanismo attraverso cui, nell’attuale sistema di istruzionescolastica, si viene a determinare il fabbisogno di personale docente.

Formalmente, indicato con Ait il totale degli alunni che devono iscriversi alla classe i

nell’anno t, con Hit il totale degli alunni disabili che devono iscriversi alla classe i nell’anno t, con

di la dimensione media delle classi (compresa tra 10 e 25 se in assenza di alunni disabili, a

seconda dell’ordine di scuola5, tra 10 e 20 in presenza di almeno un alunno disabile per classe),

con il numero degli insegnanti ordinari e con il numero degli insegnanti di sostegno per la

classe i nell’anno t, si ha che:

dove yi è il numero di posti/cattedre necessarie per coprire una classe, ηi è il numero di docenti

5 Il range (min-max) è 15-25 per la scuola materna, 10-25 per la scuola primaria (6-12 per le pluriclassi), 15-25 per lascuola secondaria del primo ciclo, 25-28 per la scuola secondaria nelle prime classi, ma con un minimo di 20 per quellesuccessive, nella scuola secondaria del secondo ciclo. Le scuole hanno altresì la possibilità di superare la sogliamassima fino ad un massimo del 10% in più.

oitT s

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[ ]itii

itit

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oitit H

dATTT ⋅+⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⋅=+= ηγβ

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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di sostegno assegnati mediamente ad ogni alunno e βt è un fattore che consente di trasformare

il fabbisogno di posti/cattedre in fabbisogno di personale nell’anno t.Questa formulazione potrebbe valere per un generico comune, provincia o regione qualora

si operi su valori medi.

Il numero di alunni, Ait, in generale dipende dall’evoluzione demografica e dalle scelte degli

alunni in tema di istruzione. In questo lavoro, abbiamo fatto riferimento alla popolazionescolastica iscritta nell’anno scolastico 2007/2008 perché questo ci consente meglio dievidenziare gli effetti della standardizzazione in termini di variazione delle dotazioni di personalea livello regionale rispetto alla situazione di fatto verificatasi. Per ottenere le dotazioni future dipersonale docente occorrerà applicare questo schema al numero di alunni previsti.

Ciascuno dei parametri della formula precedente è influenzato dalle condizioni locali e dallepolitiche scolastiche.

- yi dipende primariamente dall’ordine e tipologia di scuola. Per ciascuna di esse è definito

un numero diverso di insegnamenti cui corrisponde un diverso numero di posti/cattedre.Oltre che al percorso scolastico, questo parametro è legato al modo in cui, nellasecondaria, l’orario-cattedra si combina con le ore di insegnamento frontale, alla

distribuzione delle scuole sul territorio (che influenza il numero di cattedre esterne6

costituito), alle eventuali sperimentazioni che possono richiedere un numero diverso diposti/cattedra per classe, alle scelte delle famiglie per il tempo pieno e al modo in cui, nella

scuola primaria, sono gestite le compresenze7;

- il fattore di, dimensione media delle classi, dipende da numerosi fattori. Il decreto

ministeriale 331/98 precisa i vincoli imposti dalla legislazione che si atteggiano come valoriminimi e massimi del numero di alunni per classe. D’altra parte, la normativa suggerisceanche gli “unici” fattori che giustificano una dimensione differenziata delle classi:

• l’anno di corso;

6 Le cattedre esterne sono quelle costituite tra più scuole. Il docente che copre queste cattedre svolge parte dell’orario dilavoro in una scuola e parte in altre scuole.7 Per esempio, se si tratta della scuola primaria ed esiste il tempo pieno yp = 2; se il tempo di mensa è coperto da

personale esterno (per esempio comunale) e/o esistono sperimentazioni esso può scendere a yp = 15; se non esiste

alcuna forma di copertura pomeridiana, ci aspetteremmo yp = 1. Nella scuola secondaria di I grado, poiché gli alunni

stanno in classe 30 ore (dalla riforma Moratti i pomeriggi sono facoltativi), abbiamo . Poiché però

possono darsi spezzoni di cattedra (specialmente nella materie ancillari), se si tratta di posti scoperti possono esserecoperti con contratti a tempo parziale, alternativamente si avranno degli insegnanti a disposizione, con la conseguenzache ym tenderà a salire. A livello di scuola secondaria del secondo ciclo, il fattore ys dipende dal tipo di scuola (i licei

fanno meno ore degli istituti tecnici) e dalla presenza o meno di indirizzi, che possono far crescere il fabbisogno diinsegnanti per ogni sezione.

γm3018------ 1 6,= =

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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• l’ordine di istruzione;

• le sperimentazioni in atto;

• l’area in cui la scuola opera. In questo senso, assume rilievo la connotazione di “piccolaisola”, “comune montano”, di zona abitata da “minoranze linguistiche”, di “area a rischiodi devianza minorile o caratterizzate dalla rilevante presenza di alunni con particolaridifficoltà di apprendimento e di scolarizzazione”. In questi contesti, infatti, è possibilederogare ai vincoli generali fissati dal decreto costituendo classi di dimensioni più ridotte;

• alla presenza di alunni portatori di handicap che comporta una riduzione del numeromassimo di alunni per classe.

Oltre a questi fattori istituzionali, la dimensione delle classi è legata alla diversadistribuzione della popolazione scolastica sul territorio, alla consistenza di questa,

all’articolazione della rete scolastica e alla capacità recettiva delle strutture scolastiche8.

- il fattore ηi varia a seconda della gravità dell’handicap di cui è portatore il disabile, oltre che

dalle politiche scolastiche adottate in questi casi. Purtroppo non esistono informazionidettagliate sulle caratteristiche dei portatori di handicap e, come evidenziato nel rapportofinale della Commissione tecnica per la finanza pubblica, il riconoscimento dell’handicap ela tipologia di sostegno (quindi il numero di ore di lavoro di un docente di sostegno checiascun disabile richiede) sono definiti a livello locale, in assenza di protocolli standard,sulla base di un’analisi caso per caso. Questo ha finito per lasciare ampi spazi di variabilitàterritoriale sia nel numero dei disabili sia nel trattamento di casi che in qualche modopossono essere considerati equivalenti. La Finanziaria 2007, per razionalizzare il ricorso aidocenti di sostegno, puntava all’obiettivo di assegnare un docente ogni 2 disabili (checorrisponderebbe alla assegnazione media di 9 ore di insegnamento per ogni disabile).

- infine, βt è un parametro che indica quanto personale docente serve a coprire un posto in

organico. Se tutti i docenti fossero presenti nella classe assegnata avremmo . Tuttavia, così

non è e quindi βt è sempre maggiore di 1. Ciò dipende da tre fattori:

a) personale in malattia;b) personale a tempo indeterminato esonerato dalla funzione docente. Le ragioni possono

essere le seguenti:

• aspettative per infermità o per motivi di famiglia;

• congedi per maternità;

• utilizzazioni in compiti diversi ma connessi con la scuola (ad esempio distacchi pressoassociazioni professionali, Presidenza del Consiglio, Corte Costituzionale, istituti

8 Per maggiori dettagli si veda Fontana (2008).

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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regionali di ricerca, sperimentazione ed aggiornamento educativo, Centro europeodell’educazione, Biblioteca di documentazione Pedagogica, ISEF o organismiinternazionali);

• assegnazione a compiti diversi da quelli di istituto (ad esempio per lo svolgimento diattività parascolastiche di assistenza e vigilanza sanitaria, di attività di servizio socialescolastico o di attività connesse alla rieducazione dei minorenni, corsi di istruzioneper adulti, etc.);

• svolgimento di funzioni vicarie;

• distacchi sindacali per cariche in seno ad organismi direttivi delle confederazioni edorganizzazioni sindacali;

• docenti in aspettativa sindacale non retribuita, in aspettativa per mandatoparlamentare, collocati fuori ruolo per motivi di salute o perché insegnano in scuoleitaliane all’estero, partecipano ad attività di studio, ricerca e consulenza tecnicapresso altre amministrazioni statali, enti pubblici o enti stranieri, sono assegnatari diborse di studio, insegnanti di educazione fisica che siano atleti e preparatori facentiparte di rappresentative nazionali;

c) personale a tempo indeterminato che per talune classi di concorso e in determinatearee territoriali è in esubero.

In questo contesto, il problema della standardizzazione del fabbisogno regionale dipersonale docente consiste nell’individuazione di valori standard dei parametri suddetti.

La stima dei parametri è stata effettuata utilizzando i dati su alunni, classi, posti/cattedre epersonale rilevati “di fatto” per l’anno scolastico 2007/2008 dal MIUR e pubblicati nel volume la“Sintesi dei dati” (2008). Sono state utilizzate altre variabili demografiche pubblicate dall’Istat.

2.4.1 La stima del fattore di

Il modo più semplice di stimare la dimensione delle classi è quello di fare riferimento a valorimedi possibilmente distinti per ordine di istruzione. Questi possono essere calcolati conriferimento all’intero territorio nazionale oppure soltanto ad alcune regioni. Ad esempio, sipotrebbe calcolare la dimensione media delle classi nelle regioni più “virtuose” ed applicarequesto valore a tutte le altre regioni per standardizzare la dotazione di personale. Questi metodi,a fronte della grande semplicità di calcolo, presentano lo svantaggio di non riuscire a tenereconto delle situazioni particolari che caratterizzano i diversi contesti. Come si è accennato, ladimensione delle classi è influenzata da fattori di tipo legislativo e territoriale di cui occorre tenereconto nella stima della dotazione di personale da assegnare. Per queste ragioni si è scelto diutilizzare un approccio econometrico. Questo ha il pregio di determinare valori standard in gradodi tenere conto, potenzialmente, di tutti i fattori che incidono sulla dimensione delle classi a livello

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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territoriale. Si precisa, potenzialmente, poiché la possibilità o meno di includere tutti i fattoririlevanti è legata alla disponibilità di informazioni. Nell’esercizio qui svolto, come già accennato,non si è potuto tenere conto della disponibilità di aule (e più in generale, di strutture) adeguatepoiché non sono disponibili informazioni di questo tipo. Il modello generale utilizzato è ilseguente:

dove la variabile dipendente yit è il logaritmo del rapporto alunni/classi, mentre il vettore delle xjiinclude tutti i fattori potenzialmente in grado (per i quali vi siano dati disponibili) di condizionare ilnumero di alunni per classe. Tali fattori sono: il logaritmo naturale della densità demografica,quello del rapporto tra superficie (in Km quadrati) e numero di plessi, il logaritmo naturale dellapopolazione in età scolastica (laddove quest’ultima è definita in relazione al tipo di scuola), unadummy per i comuni montani, una per le piccole isole e il logaritmo della quota di alunni disabilisul totale degli alunni iscritti. Queste dummies sono state incluse dal momento che è lo stessolegislatore a prevedere un loro effetto sulla formazione delle classi.

Il logaritmo del rapporto tra popolazione in età scolastica (che cambia a seconda del livelloscolastico) e della superficie geografica del comune (o della provincia) ha la funzione di coglieregli effetti della densità demografica (consideriamo i termini di primo e secondo grado). Ci si

attende che, a parità di tutto il resto, una maggiore densità demografica9 agevoli la costituzionedi classi con un numero maggiore di alunni. La variabile costituita dal logaritmo del rapporto trasuperficie geografica e il numero di plessi è un indicatore della distribuzione della rete scolasticasul territorio (anche in questo caso si considerano i termini di primo e secondo grado). E’probabile che un aumento di tale rapporto (cioè il fatto che aumenti l’area servita da un soloplesso) tenda ad avere un effetto positivo sulla quota di alunni per classe. Infine, un aumentodella popolazione (a parità di densità e di rete scolastica) potrebbe indurre un aumento del

numero di alunni per classe10. Accanto a queste variabili, in una specificazione sono stateinserite anche delle dummies regionali che hanno la funzione di catturare eventuali differenzesistematiche tra regioni. Tali differenze potrebbero essere dovute a diverse direttive, e quindipreferenze, degli uffici regionali nella costituzione delle classi oppure all’effetto sistematico dialtre variabili non osservabili e comunque non incluse nell’analisi. Di questi fattori occorre tenereconto nella fase di stima per specificare correttamente il modello (anche se, come si vedrà,questo dipende dal modello utilizzato) - che corrisponde alla fase di analisi positiva - ma nonnella costruzione dello standard - cioè nella fase normativa - (a meno che non si ritenga utile

9 La densità demografica è un misura dell’estensione verticale o orizzontale del Comune o della Provincia.10 La variabile “popolazione in età scolastica” cattura l’eventuale presenza di economie di scala, dal momento cherappresenta la dimensione demografica del Comune o della Provincia.

ij

jiji xy εβα ++= ∑

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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costruire degli standard regionali, rispetto ai quali valutare l’efficienza o la inefficienza dei singoliistituti), perché altrimenti si finirebbe per accettare l’ipotesi che, in certe regioni e a parità di tuttele altre variabili esplicative, il numero di alunni per classe possa essere maggiore che in altre.Come si vedrà, l’inserimento di queste variabili ha effetti molto forti sulle nostre stime.

Nella scelta del metodo di stima del modello sopra delineato hanno un ruolo decisivo le

ipotesi sulla distribuzione degli errori (gli εi). Se si ipotizza che il valore atteso di εi, condizionato

alle variabili esplicative, sia pari a zero e che gli errori siano distribuiti secondo una normale,

allora si può utilizzare una stima OLS. I parametri stimati ( e ) consentono di costruire il

valore atteso della variabile dipendente , condizionato ai valori delle esplicative. Tale valore

dovrebbe essere inteso come il logaritmo del rapporto alunni/classe che ci si attende, in assenzadi shock idiosocratici e identicamente distribuiti. In altre parole, le differenze che esistono tra ilvalore osservato del rapporto in questione e il valore stimato sono da attribuirsi a shocktotalmente slegati dal valore delle esplicative e da possibili perdite di efficienza. Se invece siritiene che possano esistere inefficienze nella formazione delle classi, in aggiunta agli shockidiosincratici, allora è conveniente utilizzare una metodologia nota come stochastic frontieranalysis (o analisi di frontiera stocastica). In questo caso si ipotizza che la componente di errore

εi sia composta di due parti (non correlate tra loro). Una è il classico errore distribuito

normalmente, mentre la seconda è costruita come una componente di inefficienza ed ècompresa nell’intervallo (0,1). In altre parole, con questa metodologia, è possibile che un datocomune o una data provincia abbiamo un numero di alunni per classe inferiore a quello che ci siattenderebbe non solo a causa di shock idiosincratici (rispetto ai quali per definizione non èpossibile intervenire) ma anche per una strutturale inefficienza, cioè un qualche fattore che portaqueste unità a scegliere un numero di alunni per classe inferiore a quello che ci si potrebbeaspettare date le variabili osservabili. Si noti che non siamo in grado di osservare l’inefficienza,che infatti entra a fare parte del termine di errore. Tuttavia, separando in due parti tale termine,sono i dati a dire se effettivamente tali inefficienze esistono o no. L’utilizzo della metodologiadella frontiera stocastica è prassi consolidata nello studio dell’efficienza produttiva e richiede laspecificazione di una concreta funzione di produzione, cioè una relazione funzionale tra inputsda un lato e outputs dall’altro, in un contesto in cui l’obbiettivo delle diverse unità analizzate èquello di massimizzare l’output dati gli inputs disponibili (e data la forma funzionale ipotizzata).Nel nostro caso, in ragione delle limitate informazioni a disposizione, non siamo in grado distimare una vera a propria funzione di produzione e quindi l’utilizzo della tecnica della frontierastocastica potrebbe apparire come una forzatura. In ultima analisi, è abbastanza difficilesostenere che l’obbiettivo del sistema dell’istruzione sia quello di massimizzare il numero dialunni per classi. D’altra parte, l’alternativa disponibile, cioè OLS, parte dall’ipotesi cheinefficienze non ce ne siano, tranne quelle eventualmente espresse dai coefficienti sulledummies regionali. Come si può notare non esiste quindi un metodo che, sotto tutti gli aspetti,

α β

y

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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sia migliore dell’altro. Per questa ragione, nel lavoro si presentano entrambi i risultati: sia quelli

ottenuti con la frontiera stocastica sia quelli ottenuti con la classica stima OLS11. I modelli stimati sono i seguenti:

- nel caso della frontiera stocastica dell’efficienza:

(2)

- nel caso OLS:

(3)

dove ln aci è il logaritmo del rapporto alunni/classi, ln densi è il logaritmo naturale della densità

demografica, ln sup/plessii è il logaritmo naturale del rapporto tra superficie (in Km quadrati) e

numero di plessi, ln popi è il logaritmo naturale della popolazione in età scolastica (definita in

relazione al tipo di scuola), ln disi è il logaritmo della quota di alunni disabili sul totale degli alunni

iscritti, pisolai è una dummy per le piccole isole, cmi è la dummy per i comuni montani, regji

sono le J dummies regionali e ui sono errori distribuiti indipendentemente tra loro e secondo una

distribuzione normale12, mentre vi sono i termini che misurano l’efficienza e sono distribuiti

indipendentemente secondo una distribuzione semi-normale.I due modelli sono stati stimati distintamente per ciascun ordine di scuola (primaria,

secondaria I grado e secondaria II grado). Da questo esercizio, descritto nei dettaglinell’Appendice, si ottiene una stima del rapporto standard alunni/classi. Sulla base diquest’ultimo e del numero di alunni effettivamente iscritti, si è così in grado di determinare ilnumero standard di classi. Per passare da quest’ultimo al numero standard di docenti sono perònecessari ulteriori passi descritti nel dettaglio nel prossimo paragrafo.

2.4.2 La stima del fattore yi

Il fattore yi individua il numero di posti/cattedre necessari per coprire gli insegnamenti

prescritti per una classe. Le norme in materia di ordinamenti scolastici consentono di individuare automaticamente il

11 Si noti che nel caso della stima di modelli con frontiera dell’efficienza stocastica viene meno la ragione di controllareper le differenze tra regioni. Se tali differenze esistono, esse emergono dal confronto dei parametri che catturanol’efficienza media per regione.12 Nel caso di OLS la stima è robusta alla presenza di errori la cui matrice di varianze e covarianze è sconosciuta.

iiiiiiii vucmpisoladisdispoppop −+++++++ 1092

872

65 )(lnln)(lnln ββββββ+++++= 2

432

21 )sup/(lnsup/ln)(lnlnln iiiii plessiplessidensdensac ββββα

+++++= 243

221 )sup/(lnsup/ln)(lnlnln iiiii plessiplessidensdensac ββββα

ij

jijregiiiiii uregcmpisoladisdispoppop ++++++++ ∑βββββββ 1092

872

65 )(lnln)(lnln

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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fabbisogno di ore di insegnamento frontale da coprire per i diversi insegnamenti partendo dalleclassi. Questo fabbisogno di ore è poi aggregato in modo da determinare il numero di cattedre.In questo si tiene conto di alcuni aspetti particolari quali:

• il ricorso al tempo pieno, che è distribuito in modo non omogeneo sul territorio nazionaleimplicando un diverso fabbisogno di docenti a parità di classi;

• l’attivazione delle sperimentazioni (che spesso richiedono l’attivazione di cattedreaggiuntive);

• le compresenze nella scuola primaria.

Poiché non abbiamo accesso a informazioni che ci consentano di conoscere ladistribuzione territoriale di tali variabili, abbiamo scelto di procedere con un metodo di tipoinferenziale e quindi abbiamo calcolato la media nazionale - distinta per ordine e tipologia diistruzione - del rapporto storicamente determinatosi (nell’anno scolastico 2007/2008) tra i posti/cattedre e le classi. In questo modo, se da un lato si guadagna in semplicità, dall’altro non sitiene conto degli elementi sopra menzionati i quali, tuttavia, costituiscono “servizi” che

dovrebbero essere offerti in misura standard in tutte le regioni.13.

2.4.3 La stima del fattore βt

Questo fattore consente di individuare il personale, in termini fisici, richiesto per coprire unacattedra (con l’esclusione dei docenti di sostegno, di cui trattiamo nel paragrafo che segue). Si èaccennato in precedenza alle ragioni dello scostamento tra il personale e i posti/cattedre. Qui cisi limita ad aggiungere che questo parametro è stato stimato come valore medio regionale delrapporto tra docenti e cattedre distinto per ordine di istruzione. In questo modo si riesce a tenereconto degli eventuali esuberi di personale, degli esoneri dall’insegnamento e anche dellafecondità (che, vista la massiccia presenza femminile tra i docenti, può rappresentare unelemento di differenziazione non trascurabile in termini di assenze per maternità), fattori questiche possono assumere valori anche molto diversi a livello territoriale

13 Lo svantaggio di operare in questo modo è che non si tiene conto degli elementi che possono indurre un maggiorfabbisogno di cattedre in alcune aree e minore in altre. Ad esempio, come già segnalato, i curricula scolastici consentonodi determinare automaticamente il fabbisogno di ore dei diversi insegnamenti per ciascuna classe. Tuttavia, le cattedresono costituite sommando le ore di insegnamento in diverse classi sino a raggiungere il numero di ore contrattualmentefissato (22 alla primaria e 18 alla secondaria). Nella scuola secondaria, poiché gli insegnamenti in ciascuna classe sonomolteplici, in relazione al modo in cui l’orario-cattedra si combina con le ore di insegnamento, può essere necessariocostituire un numero maggiore o minore di cattedre per coprire tutte le ore di insegnamento. Questo problema è legatoalla distribuzione delle scuole sul territorio e alla possibilità/impossibilità di costituire cattedre su più scuole in modocompatibile con l’attività di insegnamento. Per queste ragioni è possibile che scuole secondarie in aree poco urbanizzaterichiedano, a parità di classi e tipologia di insegnamenti, un numero di cattedre maggiore. Poiché ciò che qui interessa èdeterminare la dotazione di personale docente a livello regionale è ragionevole ipotizzare che questi aspetti in qualchemodo tendano a compensarsi in un’area sufficientemente ampia come la regione. D’altra parte solo avendo datidettagliati sul tempo pieno, le compresenze e le sperimentazioni sarebbe possibile utilizzare una metodologia diversa.

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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Va aggiunto che in questo modo non si incorpora nello standard il diverso livello diassenteismo che si rileva a livello territoriale in quanto questo si riferisce ad assenze brevi permalattia che non richiedono una ulteriore assegnazione di personale docente. Peraltro, leassenze nel personale docente della scuola –nell’ambito del pubblico impiego- sono tra le menosignificative.

2.4.4 La stima del fattore ηi

Vista la scarsità di informazioni sulle tipologie di handicap e il fatto che non esistonoprotocolli standard per trattare casi simili (in termini di numero di ore di lavoro di un docente disostegno che ciascun disabile richiede), non si hanno elementi per stimare in modo appropriatoquesto fattore. Andrebbe fatto un grande sforzo per una migliore classificazione degli handicap eper una definizione (standardizzazione) del sostegno necessario nei casi in cui è previsto ilriconoscimento della disabilità (oltre al fatto che occorrerebbe anche rilevare questeinformazioni). L’attuale disciplina si presta ad un uso distorto del sostegno da parte dellecomunità locali (famiglie, autorità scolastiche e sanitarie) soprattutto in una fase didecentramento della gestione del personale. Il punto fondamentale è che l’assolutadiscrezionalità cui è lasciata la materia rischia di ridurre le probabilità che un sistema di questotipo sia mantenuto.

Per la stima del coefficiente ηi, in mancanza delle informazioni suddette, si possono

seguire due strade: fare riferimento ad un unico valore medio nazionale oppure utilizzare valorimedi regionali. Come media nazionale del numero di ore di sostegno per alunno disabile puòessere assunto il valore obiettivo indicato dalla legge finanziaria 2007, che consiste nelprevedere un docente di sostegno ogni due alunni portatori di handicap (tale valore èsostanzialmente pari al rapporto tra docenti di sostegno e alunni portatori di handicap qualedeterminatosi mediamente a livello nazionale nell’anno scolastico 2007/2008). Questo metodoriduce gli effetti della discrezionalità delle autorità locali senza però riuscire ad eliminarla. Infatti,si “impone” un sostegno identico a tutti gli alunni disabili, in termini di ore di sostegno deldocente, mentre le procedure di riconoscimento dell’handicap rimangono lasciate alladiscrezionalità (e quindi alla variabilità) delle commissioni locali. D’altra parte, tale metodo nonconsente di tenere conto delle eventuali differenze nella gravità delle disabilità (mediamenteregistrate) tra regioni.

In alternativa, si può fare riferimento a valori medi regionali. Questo metodo consente ditenere conto delle maggiori esigenze che possono emergere in alcune aree, ma, ovviamentenon limita i problemi che emergono dalla scarsa trasparenza delle procedure di riconoscimento edefinizione del sostegno.

Poiché nessuno dei due metodi appare a priori preferibile, si è fatto riferimento sia allamedia nazionale sia alle medie regionali.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Si noti che la dotazione standard di docenti di sostegno è calcolata direttamente sulla basedel numero di alunni di sostegno, senza la preventiva determinazione delle cattedre. Infatti, per ilpersonale di sostegno, il MIUR ha adottato una procedura di copertura delle cattedre diversa daquella riservata al personale docente normale. Il rapporto nazionale docenti/cattedre è pari ad 1ma, in diverse regioni, il valore del rapporto tra docenti di sostegno e cattedre è, seppur di poco,inferiore all’unità. Evidentemente questo è legato all’esigenza di contenere la spesa per ilsostegno, in un periodo in cui la consistenza di questa tipologia di docenti è andata fortementecrescendo. A conferma di ciò, nelle regioni in cui il numero dei disabili è più elevato e le cattedresono in numero superiore, si registra una minore copertura di queste. In qualche modo, il MIURsembra aver tentato di fornire una parziale compensazione alle forti differenze territoriali nelladomanda di sostegno, agendo sulla copertura delle cattedre. Per questa ragione, si è preferitooperare direttamente sul rapporto tra docenti e alunni senza passare per le cattedre. Va ricordatoche in quasi tutti gli altri settori della pubblica amministrazione, gli organici sono generalmentemolto più ampi del personale.

2.5 RISULTATI

Qui di seguito sono riportati i risultati principali del lavoro. In particolare, in questa parte sifornisce solo un quadro delle dotazioni standard di docenti determinate nei diversi scenariproposti. Nell’appendice sono riportate le stime dei diversi fattori e la ricostruzione delle classistandard e delle cattedre standard.

La tabella 7 riporta il fabbisogno standard di docenti non di sostegno in valore assoluto,mentre la tabella 6 riporta il fabbisogno in percentuale del numero di docenti che si èeffettivamente registrato nell’anno scolastico 2007/2008.

La stima del fabbisogno standard ottenuto utilizzando la frontiera stocastica suggerisce, pertutti gli ordini di istruzione e per tutte le regioni (si veda Tab. 6), una riduzione complessiva delladotazione di personale (unica eccezione, la dotazione di personale per la scuola secondaria di IIgrado in Emilia Romagna). D’altra parte, questa tecnica fa riferimento alla frontiera efficiente,cioè al numero minimo di classi necessarie, dato il numero di alunni e date le variabili di contestoterritoriale incluse nell’analisi. In aggregato, la tecnica della frontiera stocastica impone unariduzione complessiva del personale di circa il 29% rispetto a quanto utilizzato nel 2007/2008mentre se lo standard è stimato con OLS prendendo la regione più virtuosa come riferimento, lariduzione richiesta scende a circa il 19%. Nella stima OLS basata sulla regione mediana, ilfabbisogno complessivo è sostanzialmente pari a quello del 2007/2008 (-0,41%): in questo casociò che rileva è l’effetto di redistribuzione delle risorse complessive tra le diverse regioni.

In termini di risorse da attribuire alle regioni, le tre stime forniscono un risultato molto simile.L’ordine (il rango) delle regioni che guadagnano e perdono, aggregando il personale dei diversiordini di scuola, è molto simile tra le diverse stime: le tre regioni che più perdono sono sempre

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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Tab. 6 CONFRONTO TRA FABBISOGNO STANDARD E FABBISOGNO EFFETTIVO DI DOCENTINON DI SOSTEGNO PER L'A.S. 2007/2008

Tab. 7 FABBISOGNO STANDARD DI DOCENTI NON DI SOSTEGNO PER L’A.S. 2007/2008

Docenti NON DI SOSTEGNO A.S. 2007/2008

Fabbisogno docenti standard(stimato con frontiera stocastica)

in % di quello effettivo

Fabbisogno docenti standard(stimato con OLS su regione più virtuosa)

in % di quello effettivo

Fabbisogno docenti standard(stimato con OLS su regione mediana)

in % di quello effettivo

Primaria SecI grado

SecII grado Totale Primaria Sec

I gradoSec

II grado Totale Primaria SecI grado

SecII grado Totale

Abruzzo 97 88 96 94 100 92 99 98 109 102 102 105

Basilicata 86 66 97 85 89 69 99 87 95 74 104 93

Calabria 90 68 90 84 93 71 91 86 100 77 95 92

Campania 89 86 97 91 92 90 97 93 99 98 101 99

Emilia Romagna 90 97 101 96 93 102 103 99 100 110 107 105

Friuli VG 87 89 89 88 90 94 90 91 96 102 94 97

Lazio 84 94 94 91 88 102 95 94 96 112 100 102

Liguria 88 93 98 93 92 101 105 99 99 107 105 103

Lombardia 85 89 97 90 88 97 100 95 95 103 100 99

Marche 98 93 97 96 101 98 99 99 109 106 103 106

Molise 96 76 96 90 99 81 99 94 107 88 99 99

Piemonte 87 88 90 88 90 94 91 91 97 102 95 97

Puglia 88 86 94 90 91 89 95 92 98 98 100 99

Sardegna 89 73 91 86 92 76 93 88 102 83 97 95

Sicilia 93 82 94 90 96 85 95 93 103 92 99 99

Toscana 90 93 98 94 93 97 101 97 100 103 104 102

Umbria 98 88 98 95 100 90 100 98 108 98 103 104

Veneto 94 93 94 94 97 98 95 97 103 106 101 103

Totale 89 87 95 91 92 92 97 94 99 100 100 100

Docenti NON DI SOSTEGNO A.S. 2007/2008

Fabbisogno docenti standard (stimato con frontiera stocastica)

Fabbisogno docenti standard (stimato con OLS su regione più virtuosa)

Fabbisogno docenti standard (stimato con OLS su regione mediana)

Primaria SecI grado

SecII grado Totale Primaria Sec

I gradoSec

II grado Totale Primaria SecI grado

SecII grado Totale

Abruzzo 4.938 3.351 5.880 14.169 5.110 3.527 6.074 14.711 5.601 3.880 6.267 15.748

Basilicata 2.463 1.541 3.510 7.514 2.534 1.605 3.561 7.700 2.731 1.738 3.737 8.206

Calabria 8.815 5.759 10.930 25.504 9.101 6.051 11.071 26.223 9.810 6.554 11.548 27.912

Campania 23.241 18.698 30.008 71.947 24.100 19.554 30.013 73.667 25.975 21.180 31.306 78.461

Emilia Romagna 14.343 9.498 16.094 39.935 14.778 9.916 16.531 41.225 15.927 10.741 17.137 43.805

Friuli VG 4.345 2.764 4.582 11.691 4.504 2.937 4.653 12.094 4.807 3.182 4.854 12.843

Lazio 18.485 14.148 22.990 55.623 19.385 15.295 23.190 57.870 21.146 16.769 24.436 62.351

Liguria 4.843 3.419 5.531 13.793 5.032 3.728 5.944 14.704 5.423 3.922 5.944 15.289

Lombardia 33.499 22.211 33.002 88.712 34.946 23.982 34.012 92.940 37.665 25.645 34.012 97.322

Marche 5.839 3.839 7.002 16.680 6.036 4.037 7.126 17.199 6.505 4.373 7.433 18.311

Molise 1.326 871 1.718 3.915 1.380 925 1.783 4.088 1.487 1.013 1.783 4.283

Piemonte 15.517 9.958 14.796 40.271 16.186 10.636 14.954 41.776 17.445 11.521 15.600 44.566

Puglia 14.890 10.976 20.547 46.413 15.340 11.326 20.783 47.449 16.534 12.596 21.793 50.923

Sardegna 6.161 4.140 8.238 18.539 6.352 4.333 8.371 19.056 7.014 4.693 8.733 20.440

Sicilia 20.956 15.849 24.688 61.493 21.584 16.505 25.061 63.150 23.264 17.877 26.102 67.243

Toscana 12.240 8.074 14.421 34.735 12.580 8.379 14.870 35.829 13.559 8.943 15.319 37.821

Umbria 3.327 2.059 3.917 9.303 3.400 2.122 3.990 9.512 3.665 2.298 4.147 10.110

Veneto 18.886 12.236 18.079 49.201 19.530 12.907 18.343 50.780 20.797 13.981 19.403 54.181

Totale 214.114 149.391 245.933 609.438 221.878 157.765 250.330 629.973 239.355 170.906 259.554 669.815

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Calabria, Basilicata e Sardegna; Friuli e Piemonte vengono subito dopo anche se non hanno lestesso ordine nelle tre stime. Le regioni che guadagnano, o perdono meno, sono Marche edEmilia Romagna, seguite da Liguria, Abruzzo e Umbria, anche se l’ordine non è sempre lostesso. La correlazione lineare tra le tre serie è nell’ordine dello 0,98. Questo può essereconsiderato un buon risultato poiché mostra che, indipendentemente dalla tecnica utilizzata, leregioni che dovrebbero vedersi assegnate meno/più risorse, in termini di docenti, sonosostanzialmente le medesime.

Per quanto riguarda il fabbisogno di docenti di sostegno, la Tabella 9 riporta i livelli deidocenti standard mentre la Tabella 8 contiene il confronto tra il fabbisogno standard calcolatosecondo le modalità descritte in precedenza e il numero di docenti effettivamente presenti nel2007/2008. La ripartizione di docenti di sostegno sulla base del rapporto “un docente ogni duealunni” ha un impatto redistributivo piuttosto significativo (il numero complessivo di docenti è ilmedesimo previsto nel 2007/2008). Abruzzo, Lazio, Umbria, Lombardia, Molise, Veneto e Friulisono le regioni che vedrebbero aumentare l’assegnazione di personale con il criterio di undocente ogni due alunni disabili. A perdere sarebbero Basilicata, Sicilia, Puglia, Liguria, Calabria,Campania e Toscana. D’altra parte, le regioni che risulterebbero favorite con questo metodosono anche quelle nelle quali è maggiore il numero di alunni riconosciuti disabili (5 su 9) eviceversa. In altre parole, il criterio di un docente ogni due alunni andrebbe a favorire le regionicon il maggior numero di alunni riconosciuti (dalle regioni stesse) come disabili.

Tab. 8 CONFRONTO TRA FABBISOGNO STANDARD E FABBISOGNO EFFETTIVO DI DOCENTI DI SOSTEGNO PER L'A.S. 2007/2008

DOCENTI DI SOSTEGNOA.S. 2007/2008

Fabbisogno docenti standard(1 docente per due alunni)

in % di quello effettivo

Fabbisogno docenti standard(rapporto docenti/alunni medio regionale a.s. 2007/8)

in % di quello effettivo

Primaria Sec I grado Sec II grado Totale Primaria Sec I grado Sec II grado Totale

Abruzzo 128 119 145 130 98 92 111 100

Basilicata 70 68 71 70 101 98 101 100

Calabria 97 90 96 94 103 96 101 100

Campania 90 92 101 93 97 99 108 100

Emilia Romagna 96 100 110 101 95 99 109 100

Friuli VG 105 106 98 104 102 103 95 100

Lazio 116 124 127 121 96 102 105 100

Liguria 88 91 98 91 97 99 107 100

Lombardia 108 120 116 114 95 106 102 100

Marche 102 95 105 101 101 95 104 100

Molise 89 134 121 113 79 119 108 100

Piemonte 94 105 101 99 95 106 102 100

Puglia 82 90 92 87 93 103 106 100

Sardegna 85 95 94 91 94 105 103 100

Sicilia 84 85 85 85 99 100 101 100

Toscana 92 94 103 96 95 98 107 100

Umbria 106 111 133 115 92 96 115 100

Veneto 106 111 104 107 98 103 97 100

Totale 97 101 103 100 97 101 104 100

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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Tab. 9 FABBISOGNO STANDARD DI DOCENTI DI SOSTEGNO PER L’A.S. 2007/2008

Infine, nel caso in cui si applicasse come standard a tutti i comuni o le provincie di una dataregione il rapporto medio regionale tra docenti di sostegno e alunni disabili, si finirebbe perpenalizzare quei comuni e quelle provincie che- rispetto alle media regionale- hanno un numeroeccessivo di docenti di sostegno rispetto al numero di alunni disabili. A livello regionale,sarebbero quindi particolarmente penalizzate quelle regioni in cui sono numerosi i comuni o leprovincie con valori significativamente superiori alla media. E’ evidente che in questo casotrovano riconoscimento le specificità regionali, e ciò non è necessariamente un risultatodesiderabile, ma è anche vero che questo criterio è anche il solo che possa tenere conto di unaeventuale diversa incidenza della disabilità (non rilevabile in assenza di dati).

2.6 CONCLUSIONI

La spesa per istruzione dello Stato è, in larghissima parte costituita da retribuzioni per ilpersonale docente e per quello amministrativo. Il primo incide più del secondo. Se consideriamola spesa per l’istruzione di tutta la pubblica amministrazione, una quota non irrilevante èriconducibile alla spesa per le strutture scolastiche. Allo stato attuale questa competenza è giàdecentrata (enti locali) e quindi è stata esclusa dall’analisi. La questione più rilevante daaffrontare nella quantificazione dei fabbisogni standard regionali, quindi, è quella relativa allerisorse da assegnare alle Regioni per il finanziamento del personale scolastico. Al momento,l’attuazione della legge 42/2009, sulla base della Bozza di Intesa Stato-Regioni dell’ottobre 2008,

DOCENTI DI SOSTEGNOA.S. 2007/2008

Fabbisogno docenti standard (1 docente per due alunni)

Fabbisogno docenti standard (rapporto docenti/alunni medio regionale a.s. 2007/8)

Primaria Sec I grado Sec II grado Totale Primaria Sec I grado Sec II grado TotaleAbruzzo 732 618 714 2.064 563 475 549 1.587Basilicata 236 196 243 675 339 280 348 967Calabria 1.039 985 935 2.959 1.104 1.047 993 3.144Campania 3.960 3.484 2.612 10.056 4.244 3.734 2.800 10.778Emilia Romagna 2.096 1.631 1.576 5.303 2.073 1.613 1.559 5.245Friuli VG 471 430 307 1.208 455 415 296 1.166Lazio 4.053 3.025 2.199 9.277 3.342 2.494 1.813 7.649Liguria 721 614 437 1.772 789 672 478 1.939Lombardia 5.248 4.292 2.186 11.726 4.606 3.767 1.918 10.291Marche 801 573 586 1.960 795 569 581 1.945Molise 145 163 178 486 129 145 159 433Piemonte 2.180 1.766 1.393 5.339 2.201 1.783 1.407 5.391Puglia 2.149 1.774 1.955 5.878 2.457 2.028 2.235 6.720Sardegna 742 722 593 2.057 817 795 653 2.265Sicilia 3.642 3.168 2.631 9.441 4.303 3.743 3.108 11.154Toscana 1.426 1.213 1.318 3.957 1.485 1.264 1.372 4.121Umbria 358 301 322 981 310 261 279 850Veneto 2.571 2.066 1.028 5.665 2.396 1.926 958 5.280Totale 32.570 27.021 21.213 80.804 32.408 27.011 21.506 80.925

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dovrebbe portare alla definizione di una dotazione standard di personale, il cui finanziamentorimane a carico dello Stato. Il concetto di standard, in questo ambito, significa garantire unadotazione di risorse tali da assicurare, a livello territoriale, il soddisfacimento dei livelli essenzialidelle prestazioni. Per l’istruzione, la normativa ha definito questi in termini di caratteristiche delpercorso seguito, che poco hanno a che vedere con la garanzia di livelli di apprendimentouniformi. Questi ultimi dipendono da fattori esogeni al sistema dell’istruzione (caratteristichesocio-economiche dei territori e degli studenti) e da fattori endogeni, legati alla qualità eall’efficacia delle strutture e del corpo docente. In questo lavoro si è fornita una metodologia distandardizzazione della dotazione di personale docente, il quale costituisce il fattore produttivopiù rilevante nell’istruzione. Se l’apprendimento (e non il sistema dell’istruzione) rientra tra i diritticivili e sociali di cui all’art 117 comma 2 lettera m) Cost., su cui lo Stato ha competenza esclusiva,allora risulta evidente che l’intervento di quest’ultimo non si può limitare a definire semplicementegli input del processo, ma deve, direttamente o indirettamente, intervenire anche sugli altri fattoriche determinano l’efficacia dell’apprendimento. Ad esempio, se esiste, come segnalato dallaletteratura, una forte correlazione tra elevata età del corpo docente e scarso apprendimento daparte degli allievi, è evidente che, nel definire i criteri di finanziamento, occorrerà in modo direttoo indiretto intervenire anche rispetto allo svecchiamento del corpo docente. Ciò può essere fattodirettamente facilitando l’uscita dei docenti più anziani e potenziando le assunzioni di personalepiù giovane, oppure indirettamente (qualora la competenza sulle assunzioni passasse alleRegioni) attraverso la fissazione di parametri di finanziamento legati al costo del docente medio.Dal momento che i costi del personale docente aumentano con l’età, un finanziamento legato alcosto medio (e quindi all’età media) indurrebbe le Regioni a sostituire i docenti più anziani emeno motivati con docenti più giovani. D’altra parte, il criterio dell’età della docenza è solo unindicatore piuttosto impreciso della capacità didattica dei docenti e nulla garantisce che i docentipiù giovani siano meglio preparati o più motivati. Altri elementi fondamentali di una riforma delsistema dell’istruzione sono:

1) è necessario che la selezione del personale docente avvenga in modo da individuaredocenti preparati, motivati, efficaci e abili all’insegnamento. Ciò richiede seri processi diformazione e severi processi di selezione (l’esperienza della Francia a tale riguardo è moltosignificativa);

2) è fondamentale che esistano dei processi seri di valutazione dell’efficacia della docenza,basati su una qualche valutazione comparabile dell’apprendimento (si vedano ancora unavolta i suggerimenti contenuti nel Quaderno Bianco e nel rapporto della CommissioneTecnica per la Finanza Pubblica);

3) è essenziale che esistano forme di autonomia nella selezione del personale docente (alivello di istituto scolastico o di ente territoriale);

4) è essenziale che esistano incentivi significativi per i docenti più meritevoli, sia a livellomonetario sia a livello di ruolo (e quindi relativi compiti).

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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In assenza di questi quattro elementi, qualsiasi azione diretta sul finanziamento potrebbeavere l’effetto di rimodulare la spesa complessiva (o diminuendola complessivamente oripartendola in modo diverso sul territorio) ma difficilmente potrebbe avere un effetto significativosui livelli di apprendimento. Occorre quindi porre la qualità del sistema dell’istruzione tra lepriorità del nostro paese.

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APPENDICE

A.1 La stima del fattore di

Scuola primaria

Nella tabella A.1 sono riportati i valori dei parametri stimati nei due casi ora descritti(frontiera stocastica e OLS).

Tab. A.1 STIMA DELLA FRONTIERA STOCASTICA PER LA SCUOLA PRIMARIA

La prima cosa che si nota nella stima della frontiera stocastica dell’efficienza (Tab. A1) èche tutte le variabili considerate, tranne la variabile che rappresenta la popolazione in etàscolastica (6-10 anni per la scuola primaria), sono significative. Per quanto concerne la densitàdella popolazione, vediamo che essa ha un effetto positivo sulla variabile dipendente, chetuttavia tende a diminuire all’aumentare della densità stessa (esiste in altre parole una relazioneconcava tra il numero di alunni per classe e la densità demografica). Per la variabile superficie/

Variable Coef. logaritmico Std. Err. z P>z

ldd6 0,272 0,007 37,490 0,000ldd6sq -0,007 0,001 -6,410 0,000lsuperplessi 0,187 0,012 15,960 0,000lsuperplessisq 0,008 0,002 4,200 0,000lpopsco 0,013 0,015 0,890 0,373lpopscosq -0,001 0,001 -0,530 0,594ldis 0,114 0,011 10,880 0,000ldissq -0,061 0,005 -11,670 0,000lai -0,012 0,006 -2,120 0,034cm -0,027 0,005 -5,930 0,000constant 1,737 0,038 46,190 0,000/lnsig2v -4,241 0,046 -91,880 0,000/lnsig2u -3,790 0,085 -44,850 0,000sigma_v 0,120 0,003sigma_u 0,150 0,006sigma2 0,037 0,001lambda 1,253 0,009Num. Osserv. 6.768lac log. di alunni iscritti alla primaria/ n. classi primaria (dipendente)ldd6 log. di popolazione 6-10 anni/superficieldd6sq quadrato del log. di popolazione 6-10 anni/superficieldis log. di alunni primaria portatori di handicap/alunni primaria totalildissq quadrato del log. di alunni primaria portatori di handicap/alunni primaria totalilai log. di alunni iscritti alla primaria in piccole isole/alunni primaria totalilaisq quadrato del log. di alunni iscritti alla primaria in piccole isole/alunni primaria totalilpopsco log. di popolazione 6-10 annilpopscosq quadrato del log. di popolazione 6-10 annilsuperplessi log. di superficie/plessilsuperplessisq quadrato del log. di superficie/plessicm Dummy per appartenenza comunità montana

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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numero di plessi esiste una relazione positiva e crescente con la dipendente (in altre parole larelazione tra le variabili è convessa). Ciò indica che il rapporto alunni/classi tende a crescere piùche proporzionalmente al crescere della variabile che cattura la densità delle strutturescolastiche. Il logaritmo della quota di alunni disabili entra con un termine di primo grado positivoed un termine di secondo grado negativo, segnalando quindi una relazione concava. La quota dialunni residenti in piccole isole e la dummies per i comuni montani hanno un chiaro effettonegativo sulla variabile dipendente, come d’altra parte era da attendersi. E’ poi stato stimato ilparametro di efficienza economica, cioè quel numero compreso tra 0 e 1 che indica quanto lesingole unità si avvicinano all’efficienza, cioè quanto, in termini percentuali, le diverseosservazioni sono lontane dal numero massimo di alunni per classe che potrebbero raggiungeredati i valori della variabili esplicative. Ad esempio, se per una data unità il valore del parametrodell’efficienza è pari a 0,8 ciò significa che tale unità ha un rapporto alunni/classe che è pariall’80% di quello che potrebbe raggiungere se fosse pienamente efficiente (nell’ipotesi che sitenda a massimizzare il rapporto stesso). Quindi, quanto più tale numero è vicino ad 1 e tanto piùl’unità osservata è efficiente (simmetricamente, quanto più è lontano da 1, tanto più èinefficiente). Il grafico A.1 riporta la media per regione del parametro relativo all’efficienza. Si notiche abbiamo riportato sia i dati relativi alla media regionale non pesata sia quelli relativi allamedia pesata, dove il peso è dato dalla quota di alunni che - per ogni tipologia di scuola erispetto al totale regionale - appartengono ad un dato comune (o ad una data provincia nel casodella secondaria di II grado).

84% 85% 86% 87% 88% 89% 90% 91% 92%

Calabria

Campania

M olise

Basilicata

Abruzzo

Sardegna

Sicilia

Puglia

Lazio

Friuli

Umbria

P iemonte

Veneto

Lombardia

Liguria

Emilia Romagna

Toscana

M arche

Efficienza media regionale non pesata Efficienza media regionale pesata per il numero di alunni

Graf. A.1 - STIMA DELLA MEDIA REGIONALE DELL’EFFICIENZA NELLA SCUOLA PRIMARIA (frontiera stocastica)

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Dal grafico emerge il seguente ordine per la media non pesata: Calabria, Campania,Molise, Basilicata, Abruzzo, Sardegna, Sicilia e Puglia sono le regioni in cui, in media e in ordinedecrescente, l’inefficienza è più alta, mentre l’efficienza è maggiore (in ordine decrescente) inMarche, Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Veneto, Piemonte, Umbria, Friuli eLazio. D’altra parte, è anche interessante verificare se e come cambi la graduatoria delle regioniquando si guarda alla media pesata, dove i pesi sono dati - per ciascun comune- dallapercentuale di alunni che - nella regione - sono iscritti ad una scuola primaria del comune stesso.Le regioni in cui l’inefficienza media pesata è maggiore sono (in ordine decrescente): Campania,Puglia, Calabria, Basilicata, Sardegna, Lazio, Molise, Sicilia e Friuli-Venezia Giulia. Mentrequelle in cui l’efficienza è maggiore sono (in ordine decrescente): Marche, Toscana, EmiliaRomagna, Umbria, Piemonte, Veneto, Abruzzo, Liguria e Lombardia. Complessivamente, ilmessaggio che le due medie ci consegnano è abbastanza simile, anche se, dal loro confronto,possiamo notare come in alcune regioni le differenze tra la media pesata e quella non pesatasiano maggiori che in altre. Ciò dipende dal fatto che la distribuzione delle inefficienze all’internodelle singole regioni non è uniforme. In altre parole, a parità di popolazione, una regione in cuisono relativamente numerosi i comuni inefficienti di piccole dimensioni tende ad avereun’efficienza media non pesata più bassa dell’efficienza media pesata, perché nel primo casoogni comune ha lo stesso peso, mentre, nel secondo, i comuni hanno il peso dato dalla quotarelativa di alunni (sul totale regionale) che vi risiedono.

Nella stima OLS è assunta come regione di riferimento quella più virtuosa (cioè quella che-in un modello senza costante- ha un valore del coefficiente della dummy stimato più elevato) e icoefficienti sulle dummies possono essere letti come variazioni (necessariamente in negativo)

rispetto alla regione più virtuosa14, che cambia a seconda del tipo o ordine di scuola. Per la scuola primaria, la colonna 2 della tabella A.2 mostra come i segni dei coefficienti

delle variabili esplicative siano invariati rispetto alla stima della frontiera stocastica (i valori deicoefficienti divergono anche perché i due modelli sono diversi: solo nel secondo sono stateintrodotte le dummies regionali). Le Marche sono la regione con il coefficiente della dummy piùelevato e viene quindi assunta come riferimento. I coefficienti negativi di valore assoluto piùelevato si trovano per Calabria, Campania, Basilicata, Molise, Puglia, Sicilia, Sardegna, Abruzzoe Lazio (in ordine decrescente in valore assoluto). Confrontando questi risultati con quelli ottenutiaggregando (senza pesi) le stime dell’efficienza, si nota che il pattern è sostanzialmente ilmedesimo: tutte le regioni del Sud e le isole (con l’aggiunta del Lazio nel caso della stima OLS)hanno valori del rapporto alunni/classi che si distanziano significativamente da quelli dellaregione più virtuosa, mentre tutte le regioni in cui tale rapporto è più vicino a quello della regionepiù virtuosa si trovano al Centro-Nord. I valori dell’efficienza media stimata (non pesata)

14 La qualifica di più virtuosa è del tutto arbitraria nel modello OLS, anche se essa è appropriata se si ritiene chedifferenze strutturali regionali non possano trovare riconoscimento una volta controllato per i fattori esplicativi evidenziatinel modello.

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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forniscono indicazioni molto simili a quelle offerte dai coefficienti sulle dummies nella stima OLSè ciò fa sospettare che le due metodologie stiano catturando il medesimo fenomeno.

Tab. A.2 STIMA OLS PER LA SCUOLA PRIMARIA

Variable Coef. logaritmico Robust std. err. t P>t ldd6 0,258 0,008 30,500 0,000ldd6sq -0,007 0,002 -4,040 0,000lsuperplessi 0,173 0,015 11,240 0,000lsuperplessisq 0,009 0,003 3,640 0,000lpopsco 0,072 0,019 3,760 0,000lpopscosq -0,004 0,001 -2,800 0,005ldis 0,102 0,013 7,720 0,000ldissq -0,055 0,007 -8,270 0,000lai -0,014 0,015 -0,900 0,370cm -0,024 0,005 -4,760 0,000d_abru -0,092 0,014 -6,440 0,000d_basi -0,116 0,016 -7,130 0,000d_calab -0,151 0,012 -12,380 0,000d_camp -0,146 0,012 -12,610 0,000d_erom -0,046 0,012 -3,740 0,000d_friu -0,065 0,015 -4,280 0,000d_laz -0,087 0,013 -6,950 0,000d_lig -0,016 0,016 -1,000 0,316d_lomb -0,036 0,011 -3,370 0,001d_mol -0,115 0,018 -6,350 0,000d_piem -0,036 0,011 -3,150 0,002d_pug -0,114 0,014 -7,930 0,000d_sard -0,099 0,013 -7,780 0,000d_sic -0,109 0,012 -9,210 0,000d_tosc -0,032 0,012 -2,580 0,010d_umb -0,075 0,017 -4,440 0,000d_ven -0,063 0,011 -5,900 0,000constant 1,549 0,055 28,130 0,000lac log. di alunni iscritti alla primaria/ n. classi primaria (dipendente)d_abru Dummy per i comuni dell'Abruzzod_basi Dummy per i comuni della Basilicatad_calab Dummy per i comuni della Calabriad_camp Dummy per i comuni della Campaniad_erom Dummy per i comuni dell'Emilia Romagnad_friu Dummy per i comuni del Friuli VGd_laz Dummy per i comuni del Laziod_lig Dummy per i comuni della Liguriad_lomb Dummy per i comuni della Lombardiad_mol Dummy per i comuni del Molised_piem Dummy per i comuni del Piemonted_pug Dummy per i comuni della Pugliad_sard Dummy per i comuni della Sardegnad_sic Dummy per i comuni della Siciliad_tosc Dummy per i comuni della Toscanad_umb Dummy per i comuni dell'Umbriad_ven Dummy per i comuni del VenetoR-squared = 0,7562Num. Osservaz. 6768

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

- 66 -

Scuola secondaria di I grado

Il modello (2) stimato con la tecnica della frontiera stocastica conferma molti dei risultatiottenuti per la primaria. Il logaritmo della densità entra con un coefficiente positivo che tuttaviadiminuisce al crescere della densità stessa, così come avviene per la popolazione. Per quantoriguarda invece il rapporto tra superficie e plessi, la relazione è di segno negativo e tende adiminuire meno e poi ad aumentare al crescere del valore del rapporto tra superficie e numero diplessi disponibili. La variabile che rappresenta la quota di alunni disabili entra con un coefficientenegativo sia al primo che al secondo grado. Ciò significa che esistono forti non linearità perquesta variabile (che infatti è non significativa quando inserita solo con il termine di primo grado).Anche i coefficienti sulla quota di alunni in piccole isole e sulla dummy “comune montano” hannoi segni attesi (solo quello per i comuni montani è significativo). La distribuzione regionaledell’efficienza media (non pesata), indica ancora una volta Calabria, Campania, Basilicata,Sardegna, Sicilia, Molise, Abruzzo, Lazio e Puglia, come le regioni in cui l’inefficienza mediastimata è maggiore. Si noti anche che nel grafico A.2 non rilevano solo i rapporti relativi maanche e soprattutto il valore assoluto dell’inefficienza media (non pesata): essa è particolarmentealta nelle cinque regioni meno efficienti (Calabria, Campania, Basilicata, Sardegna e Sicilia).Anche per la scuola secondaria di I grado notiamo che per alcune regioni la differenza traefficienza media pesata ed efficienza media non pesata è piuttosto rilevante (Campania, Lazio,Sicilia). Tuttavia, l’ordinamento delle regioni in termini di efficienza è abbastanza simile anche nelcaso in cui si guardi alla media pesata. Le regioni più inefficienti sono (in ordine decrescente):Basilicata, Calabria, Molise, Sardegna, Abruzzo, Campania, Friuli, Sicilia e Umbria. Quelle piùefficienti sono (in ordine decrescente): Lazio, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Veneto,Piemonte, Toscana, Puglia, Marche.

Tab. A.3 STIMA DELLA FRONTIERA STOCASTICA PER LA SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO

Variable Coef. logaritmico Std. Err. z P>z ldd13 0,160 0,011 14,020 0,000ldd13sq -0,017 0,001 -13,590 0,000lsuperplessi -0,017 0,016 -1,090 0,278lsuperplessisq 0,015 0,002 7,440 0,000lpopsco 0,070 0,025 2,750 0,006lpopscosq -0,005 0,002 -2,940 0,003ldis -0,245 0,029 -8,400 0,000ldissq -0,026 0,004 -6,390 0,000lai -0,070 0,040 -1,740 0,082cm -0,029 0,005 -5,710 0,000constant 2,039 0,072 28,270 0,000/lnsig2v -4,897 0,060 -81,940 0,000/lnsig2u -3,243 0,045 -71,730 0,000sigma_v 0,086 0,003sigma_u 0,198 0,004sigma2 0,047 0,002lambda 2,287 0,006Num. Osservaz. 4.680lac log. di alunni iscritti alla secondaria di I grado/ n. classi secondaria I grado (dipendente)ldd13 log. di popolazione 11-13 anni/superficieldd13sq quadrato del log. di popolazione 11-13 anni/superficie

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

- 67 -

La stima del modello OLS confermaquesti risultati per quanto concerne larelazione tra il logaritmo del rapportoalunni/classi e le variabili esplicative (laregione più virtuosa è il Piemonte). Perquanto concerne le dummies regionali,si ritrovano valori significativi e negativi(in ordine decrescente in valoreassoluto) per Calabria, Campania,Basilicata, Sicilia, Sardegna, Puglia,Abruzzo, Lazio e Molise. Anche inquesto caso il quadro di fondo che escedai due procedimenti di stima èsostanzialmente analogo (anche se gliordini tra regioni non sono identici).

Tab. A.4 STIMA OLS PER LA SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO

Variable Coef. logaritmico Robust std. err. t P>t ldd13 0,134 0,014 9,520 0,000ldd13sq -0,014 0,002 -7,790 0,000lsuperplessi -0,025 0,017 -1,500 0,133lsuperplessisq 0,015 0,003 6,040 0,000lpopsco 0,211 0,039 5,430 0,000lpopscosq -0,014 0,003 -4,930 0,000ldis -0,239 0,035 -6,930 0,000ldissq -0,025 0,005 -5,230 0,000lai -0,016 0,048 -0,330 0,743cm -0,020 0,006 -3,610 0,000d_abru -0,095 0,015 -6,540 0,000d_basi -0,152 0,019 -8,110 0,000d_calab -0,182 0,013 -14,200 0,000d_camp -0,168 0,010 -16,250 0,000d_erom -0,039 0,010 -3,890 0,000d_friu -0,036 0,014 -2,670 0,008d_laz -0,092 0,012 -7,910 0,000d_lig -0,029 0,018 -1,620 0,106d_lomb -0,013 0,008 -1,550 0,121d_marc -0,033 0,014 -2,370 0,018d_mol -0,091 0,027 -3,350 0,001d_pug -0,106 0,009 -11,470 0,000d_sard -0,131 0,013 -9,800 0,000d_sic -0,149 0,010 -14,400 0,000d_tosc -0,065 0,010 -6,370 0,000d_umb -0,080 0,019 -4,310 0,000d_ven -0,029 0,009 -3,380 0,001constant 1,542 0,107 14,420 0,000lac log. di alunni iscritti alla secondaria di I grado/ n. classi secondaria I grado (dipendente)R-squared = 0,6222Num. Osservaz. 4.680

70% 75% 80% 85% 90% 95%

Calabria

Campania

B asilicata

Sardegna

Sic ilia

M o lise

A bruzzo

Lazio

P uglia

Umbria

Liguria

M arche

To scana

Friuli

Emilia Ro magna

Veneto

P iemo nte

Lo mbardia

Eff ic ienza media regio nale pesata per il numero di alunniEff ic ienza media regio nale no n pesata

Graf. A.2 - STIMA DELLA MEDIA REGIONALE DELL’EFFICIENZANELLA SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO

(frontiera stocastica)

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

- 68 -

Scuola secondaria di II grado

Nel caso della scuola secondaria di II grado si è operato su valori medi provinciali, al fine ditenere conto del fatto che, per tale ordine di scuola, questo è il bacino potenziale servito piuttostoche il comune. Ciò è testimoniato dal fatto che le strutture sono distribuite sul territorio comunalein modo meno uniforme di quanto non siano quelle relative alla scuola primaria e secondaria di Igrado. La scuola secondaria di II grado non è una categoria uniforme: esistono tipologie assaidiverse di scuole, dal liceo classico, allo scientifico, agli istituti tecnici e professionali. Per tenerneconto sono state introdotte dummies per tipo di scuola. Infine, dai dati emerge chiaramente che ilnumero di alunni per classe si riduce nel passaggio da un anno all’altro, a causa del fenomenodegli abbandoni. Questo è particolarmente evidente nel passaggio dal primo al secondo anno.Per questa ragione, nel modello base è stata introdotta una variabile di controllo data dallogaritmo del rapporto tra gli alunni della prima classe e il totale degli alunni delle classi diversedalla prima (sono stati inclusi i termini di primo e secondo grado).

Tab. A.5 STIMA DELLA FRONTIERA STOCASTICA PER LA SCUOLA SECONDARIA DI II GRADO

Variable Coef. logaritmico Std. Err. z P>z

ldd18 0,025 0,012 2,110 0,035ldd18sq 0,000 0,001 -0,190 0,847lsuperplessi -0,071 0,031 -2,300 0,021lsuperplessisq 0,010 0,003 3,010 0,003lpopsco 0,279 0,057 4,880 0,000lpopscosq -0,013 0,003 -4,800 0,000ldis -0,965 0,491 -1,970 0,049ldissq -8,517 4,516 -1,890 0,059lprimratio -0,367 0,077 -4,790 0,000lprimratiosq -0,162 0,032 -5,100 0,000lai 0,036 0,112 0,320 0,748lcm -0,070 0,013 -5,410 0,000tipo2 0,018 0,016 1,090 0,276tipo3 -0,012 0,015 -0,760 0,446tipo4 -0,085 0,013 -6,410 0,000tipo5 -0,063 0,011 -5,690 0,000tipo6 0,016 0,010 1,630 0,103tipo7 0,049 0,011 4,280 0,000constant 1,525 0,294 5,190 0,000/lnsig2v -6,285 0,161 -38,960 0,000/lnsig2u -5,107 0,166 -30,720 0,000sigma_v 0,043 0,003sigma_u 0,078 0,006sigma2 0,008 0,001lambda 1,802 0,009Num. Osservaz. 651lac log. di alunni iscritti alla secondaria II grado/ n. classi secondaria II grado (dipendente)ldd18 log. di popolazione 14-18 anni/superficieldd18sq quadrato del log. di popolazione 14-18 anni/superficielprimratio log. di alunni iscritti alla prima classe/alunni iscritti alle altre classilprimratiosq quadrato del log. di alunni iscritti alla prima classe/alunni iscritti alle altre classitipo2 Dummy per istituti professionalitipo3 Dummy per istituti tecnicitipo4 Dummy per istituti d'artetipo5 Dummy per licei artisticitipo6 Dummy per licei classicitipo7 Dummy per licei scientifici

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

- 69 -

La stima del modello dellafrontiera stocastica, arricchito come siè detto, mostra ancora una volta che lavariabile “densità” entra con uncoefficiente positivo e significativo(mentre non è significativo il termine disecondo grado). Il rapporto superficie/plessi entra invece con un coefficientenegativo al primo grado, mentre iltermine di secondo grado è positivo,indicando che l’aumento dellasuperficie, in rapporto al numero diplessi, tende ad essere associato aduna riduzione del numero di alunni, cheperò a sua volta si riduce al cresceredel rapporto stesso. Inoltre, anche inquesto caso per la variabile cherappresenta la popolazionecomplessiva in età scolastica rilevante

(14-18 anni in questo caso), troviamo evidenza di una relazione concava. Per quanto concernela quota di disabili, essa entra con un coefficiente negativo sia per il termine di primo che perquello di secondo grado. Infine, la quota di alunni in comuni montani (questa variabile sostituiscela dummy per il comune montano poiché qui si è operato su dati provinciali) presenta uncoefficiente negativo e significativo. La quota di alunni in piccole isole non risulta invecesignificativa. E’ interessante notare che esistono differenze significative tra le tipologie di scuola.Rispetto agli istituti magistrali (che costituiscono il termine di paragone), gli istituti d’arte hannomeno alunni per classe, ancor meno i licei artistici, mentre i licei scientifici ne hanno di più. Infine,la variabile che cattura il rapporto tra alunni della prima classe e il resto degli alunni presenta uncoefficiente negativo sia per il primo grado che per il secondo, indicando che al crescere del

fenomeno dell’abbandono15 si riduce anche il numero di alunni per classe. Le medie regionali del parametro dell’efficienza evidenziano una situazione molto diversa

da quella mostrata per gli altri ordini di scuola. Non esiste più una chiara dicotomia Nord-Sud(anche se è vero che la maggior parte delle regioni meridionali sono lontane dai valori altidell’efficienza): Piemonte e Veneto si trovano nel gruppo di regioni lontane dall’efficienza.

La stima del modello OLS conferma i risultati ottenuti con la tecnica della frontieradell’efficienza.

15 Se il rapporto cresce è perché nel passaggio dalla prima alle altre classi si ha una caduta del numero di iscritti.

88% 90% 92% 94% 96% 98%

F riuli

C alabria

Sardegna

P iem o nte

Veneto

Liguria

Lazio

P uglia

B as ilicata

Sic ilia

C am pania

M o lise

Um bria

Lo m bardia

A bruzzo

T o scana

Em ilia R o m agna

M arche

Eff ic ienza m edia regio nale pesata per il num ero di alunniEff ic ienza m edia regio nale no n pesata

Graf. A.3 - STIMA DELLA MEDIA REGIONALE DELL’EFFICIENZANELLA SCUOLA SECONDARIA DI II GRADO

(frontiera stocastica)

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Tab. A.6 STIMA OLS PER LA SCUOLA SECONDARIA DI II GRADO

A.2 La costruzione del numero classi standard

Stimati i modelli (2) e (3), è possibile calcolare il valore standard del rapporto alunni/classiper ciascun ordine e tipologia di istruzione.

Nel caso della stima con modelli di frontiera dell’efficienza, questo si ottiene semplicementecalcolando, per ciascun comune (o provincia, nel caso della secondaria di II grado), il valorestimato dalla dipendente (si tratta cioè di applicare i coefficienti stimati alle variabili esplicative edi calcolare il risultante valore per il rapporto in questione). Nei modelli di frontiera stocasticaquesti valori sono - per definizione - al netto delle inefficienze produttive e quindi il rapportoalunni/classi stimato tende ad essere inferiore a quello osservato, anche se teoricamente èpossibile osservare valori maggiori di quelli osservati a causa della componente idiosincraticadell’errore.

Variable Coef. logaritmico Robust std. err. t P>t ldd18 0,026 0,011 2,300 0,022ldd18sq -0,001 0,001 -1,020 0,309lsuperplessi -0,067 0,046 -1,450 0,149lsuperplessisq 0,009 0,004 1,940 0,053lpopsco 0,202 0,060 3,390 0,001lpopscosq -0,009 0,003 -3,240 0,001ldis -1,290 0,615 -2,100 0,036ldissq -8,121 5,458 -1,490 0,137lprimratio -0,294 0,084 -3,490 0,001lprimratiosq -0,129 0,034 -3,830 0,000lai 0,025 0,091 0,280 0,782lcm -0,066 0,018 -3,640 0,000tipo2 0,014 0,018 0,750 0,453tipo3 -0,022 0,017 -1,330 0,183tipo4 -0,088 0,017 -5,180 0,000tipo5 -0,066 0,012 -5,480 0,000tipo6 0,009 0,010 0,840 0,402tipo7 0,043 0,012 3,530 0,000d_abru -0,005 0,012 -0,390 0,700d_basi -0,042 0,016 -2,660 0,008d_calab -0,085 0,015 -5,570 0,000d_camp -0,036 0,016 -2,300 0,022d_friu -0,085 0,022 -3,880 0,000d_laz -0,046 0,013 -3,460 0,001d_lig -0,048 0,013 -3,630 0,000d_lomb -0,016 0,015 -1,110 0,267d_marc 0,006 0,016 0,380 0,706d_mol -0,016 0,025 -0,640 0,520d_piem -0,061 0,012 -4,930 0,000d_pug -0,041 0,013 -3,190 0,002d_sard -0,066 0,012 -5,310 0,000d_sic -0,035 0,011 -3,060 0,002d_tosc -0,006 0,010 -0,640 0,521d_umb -0,032 0,011 -2,990 0,003d_ven -0,050 0,012 -4,180 0,000constant 1,926 0,329 5,850 0,000lac log. di alunni iscritti alla secondaria II grado/ n. classi secondaria II grado (dipendente)R-squared = 0,6768Num. Osservaz. 651

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

- 71 -

Nei modelli (3) si pone il problema di come trattare le dummies ai fini della costruzione dellostandard. Le differenze regionali non dovrebbero trovare riconoscimento nella fase dicostruzione dello standard poiché queste incorporano, come si è detto, differenze sistematiche

attribuibili alle diverse politiche regionali16. Per questa ragione il valore stimato del rapportoalunni/classi dovrebbe essere calcolato al netto dei coefficienti sulla dummies regionali. Nellavoro - dato l’obbiettivo del fabbisogno standard - si è scelto di prendere come riferimento laregione più virtuosa (che varia a seconda del tipo di scuola). Di conseguenza, nel calcolo delrapporto standard alunni/classe con OLS, è stato imputato a tutti i comuni (e le province) il valore

della costante più il valore del coefficiente della regione più virtuosa17. Quindi, nel caso della

stima OLS, il rapporto alunni/classe standard è calcolato come , dove è il

valore del coefficiente stimato sulla dummy regionale regji. In questo modo, nella fase di

costruzione dello standard si eliminano i fattori strutturali di differenziazione regionale18.A questo punto, sulla base del rapporto alunni/classi standard generato come sopra

descritto è stato calcolato il numero di classi standard che si sarebbero dovute costituire in

ciascuna regione, sulla base degli alunni effettivamente iscritti19 e sulla base del rapporto alunni/classe stimato.

Per ogni tipologia di scuola è riportato nella tabella A.7 il confronto tra il numero di classieffettivamente costituite nell’anno scolastico 2007/2008 e il numero di classi standard calcolatosulla base dei due modelli. Nel confronto tra le classi esistenti e quelle stimate con il metododella frontiera dell’efficienza, in tutte le regioni, la differenza tra le classi standard e quelleeffettive è, com’era da attendersi, negativa. Lo stesso avviene nel caso in cui lo standard sia

basato sulla stima OLS prendendo come riferimento la regione più virtuosa20. Poiché, nel caso della stima con OLS, la scelta di riferire lo standard alla regione più

virtuosa può sembrare eccessivamente penalizzante, è stato calcolato anche il numero di classistandard che risulterebbe prendendo come riferimento (nella stima OLS) la regione che occupa

la posizione mediana nella distribuzione dei coefficienti stimati sulle dummies regionali21.

16 In realtà, le dummies regionali potrebbero anche cogliere differenze sistematiche nelle strutture scolastiche. Nonavendo alcuna informazione al riguardo, si suppone che queste colgano soltanto diverse politiche regionali dicostituzione delle classi. D’altra parte, la metodologia proposta potrebbe essere facilmente estesa nel caso in cui sidisponesse di informazioni sulle strutture: le variabili infrastrutturali potrebbe entrare nel modello tra le esplicative (nelcaso in cui queste variabili fossero adeguate a cogliere il fenomeno, il significato dei coefficienti delle dummies sarebbeinequivocabilmente quello proposto qui).17 In un modello senza costante, le dummies regionali incorporano tutti i fattori per cui non stiamo controllando (checadrebbero nella costante) a cui si aggiungono quelli specifici di ciascuna regione.18 Tale procedura si applica solo ai coefficienti che risultano significativamente diversi da quello preso come riferimento.19 E’ evidente che l’accesso all’anagrafe edilizia rafforzerebbe assai la nostra analisi.20 L’eccezione è costituita dal caso della scuola secondaria di II grado.21 Il riferimento alla mediana potrebbe essere sostituito anche dalla media dei coefficienti.

jijregi regy βˆ − jregβ

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Tab. A.7 CONFRONTO TRA NUMERO DI CLASSI STANDARD E CLASSI EFFETTIVE(A.S. 2007/2008)

La scuola primaria

Nel caso della frontiera dell’efficienza, Campania, Lombardia, Puglia, Sicilia, Lazio e Venetosono le regioni che perderebbero il maggior numero di classi. Nel caso dello standard costruitocon la stima OLS e avendo come riferimento la regione più virtuosa, l’ordinamento delle regioni(in termini di numero di classi perse) è il seguente: Campania, Puglia, Lombardia, Sicilia, Lazio eVeneto. In questo caso, tuttavia, la riduzione è per tutte minore e ciò dipende dal fatto cheabbiamo ipotizzato che non vi siano comuni inefficienti (nel senso proprio). Nel caso in cui invecesi prenda come riferimento la regione che ha la posizione mediana nelle dummies regionali (chenel caso della scuola primaria è l’Umbria), possiamo notare come solo le regioni particolarmentepoco virtuose (rispetto all’Umbria) perdono classi: si tratta di Campania, Puglia, Calabria eSicilia.

La scuola secondaria di I grado

Anche in questo caso gli standard costruiti con la metodologia della frontiera dell’efficienzae quelli ottenuti con la stima OLS avendo come riferimento la regione più virtuosa comportanouna riduzione del numero di classi, rispetto alla situazione esistente. In particolare, nel caso dellastima con frontiera stocastica, tale riduzione è concentrata in Campania, Sicilia, Lombardia,Puglia, Calabria, Lazio e Veneto, mentre nel caso della stima OLS con riferimento alle regionepiù virtuosa, le regioni che maggiormente vedrebbero ridurre il numero di classi sono Campania,

Regione

Variazione numero classi stimate con frontiera stocastica in % classi

effettive A.S. 2007/8

Variazione numero classi stimate con OLS su regione più virtuosa in % classi

effettive A.S. 2007/8

Variazione numero classi stimate con OLS su regione mediana in % classi

effettive A.S. 2007/8

Primaria Sec I grado Sec II grado Primaria Sec I grado Sec II grado Primaria Sec I grado Sec II grado

Abruzzo -9,6 -16,7 -3,7 -6,5 -12,3 -0,5 2,5 -3,6 2,6Basilicata -12,5 -25,8 -5,6 -10,0 -22,8 -4,3 -3,0 -16,4 0,5Calabria -14,1 -23,4 -10,0 -11,3 -19,5 -8,8 -4,4 -12,8 -4,9Campania -16,8 -15,1 -2,9 -13,7 -11,2 -2,9 -7,0 -3,8 1,3Emilia Romagna -6,8 -9,7 -1,7 -4,0 -5,7 1,0 3,5 2,1 4,7Friuli -10,4 -13,7 -10,7 -7,1 -8,3 -9,3 -0,8 -0,7 -5,4Lazio -11,8 -8,9 -5,4 -7,5 -1,5 -4,6 0,9 8,0 0,5Liguria -8,9 -9,7 -7,0 -5,4 -1,5 0,0 2,0 3,6 0,0Lombardia -10,0 -9,5 -3,8 -6,1 -2,3 -0,9 1,2 4,5 -0,9Marche -5,3 -12,7 -2,0 -2,1 -8,2 -0,3 5,5 -0,6 4,0Molise -12,2 -22,2 -3,6 -8,6 -17,4 0,0 -1,5 -9,5 0,0Piemonte -8,0 -10,1 -7,2 -4,0 -4,0 -6,2 3,4 4,0 -2,1Puglia -15,4 -13,8 -4,6 -12,8 -11,0 -3,5 -6,1 -1,0 1,2Sardegna -11,7 -20,8 -7,6 -9,0 -17,1 -6,1 0,5 -10,2 -2,1Sicilia -11,5 -14,5 -4,7 -8,9 -11,0 -3,3 -1,8 -3,5 0,7Toscana -5,7 -11,4 -3,5 -3,1 -8,1 -0,5 4,4 -1,9 2,5Umbria -7,9 -14,2 -5,2 -5,8 -11,6 -3,4 1,5 -4,2 0,4Veneto -9,4 -10,4 -6,6 -6,3 -5,5 -5,2 -0,3 2,4 0,3ITALIA -11,0 -12,9 -4,9 -7,8 -8,1 -3,2 -0,5 -0,4 0,4

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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Sicilia, Puglia, Calabria, Sardegna, Toscana e Veneto. Nel caso invece in cui il riferimento sia laregione mediana, sarebbero Calabria, Campania, Sicilia, Sardegna e Basilicata ad essereparticolarmente svantaggiate, mentre Lazio, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Liguriavedrebbero aumentare le classi.

La scuola secondaria di II grado

Anche per la secondaria di II grado le stime ottenute con la metodologia della frontierastocastica prevedono una riduzione del numero di classi per tutte le regioni. Tale riduzione èparticolarmente significativa per Lazio, Lombardia, Sicilia, Calabria, Veneto, Piemonte, Puglia eCampania. Con la stima OLS basata sulla regione più virtuosa, tutte le regioni tranne l’EmiliaRomagna (e il Molise) vedono ridurre il numero di classi rispetto alle classi effettive. Il fatto chel’Emilia Romagna veda addirittura aumentare il numero di classi (mentre le Marche perdonoclassi) dipende da due ragioni: 1) il coefficiente della dummy sull’Emilia Romagna non èstatisticamente diverso da zero e quindi - indirettamente - l’Emilia Romagna è virtuosa come leMarche; 2) esiste una differenza (che può essere positiva o negativa) tra il valore delle classiosservato e quello stimato con OLS (ciò è proprio dell’esercizio di stima) e tale differenza puòvariare da comune a comune (e quindi da regione a regione). Infine, quando il riferimento è lamediana (in questo caso la Campania), Calabria, Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia eSardegna sono le regioni che (in ordine decrescente) perdono classi rispetto a quelle costituitenel 2007/2008, mentre Emilia Romagna, Campania, Toscana, Marche e Puglia sono le regioniche più guadagnano in termini di classi.

La tabella A.7 riporta in termini percentuali il confronto con le classi effettivamentecostituite. Come si nota, alcune regioni perderebbero classi e altre ne guadagnerebbero, aseconda di dove esse si pongono rispetto alla regione presa come riferimento.

A.3 La stima dei fattori yi, βt, e del fabbisogno di cattedre per i docenti non disostegno

Una volta ottenuto il numero di classi standard per tipologia e ordine di istruzione, il fattore

yi consente di ottenere le cattedre mediamente necessarie per garantire gli insegnamenti previsti

dai diversi percorsi scolastici. Il fattore yi è stato stimato per ciascun ordine e tipologia di

istruzione proprio per tenere conto delle specificità dei diversi percorsi. Esso è pari al rapportomedio tra il numero di cattedre complessivamente attivate in Italia nell’anno scolastico 2007/2008 e il numero delle classi. Come si è detto nel paragrafo 2.4.2, stimare il fabbisogno dicattedre mediante l’utilizzo di un parametro medio nazionale implica che si stannostandardizzando anche una serie di altri servizi la cui distribuzione territoriale non è uniforme. Cisi riferisce alle compresenze nella scuola primaria (che il MIUR ha abolito per l’anno scolastico2009/2010), al tempo pieno e alle sperimentazioni. E’ evidente che utilizzando questo metodo

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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perdono cattedre le aree territoriali che hanno fatto maggior ricorso a questi “servizi”, rispetto allamedia nazionale.

Per ricostruire il fabbisogno di docenti,partendo dalle cattedre, si è stimato il

fattore βt come rapporto tra i docenti (non

di sostegno) e le cattedre attivate. Questoè stato calcolato distintamente per regionee per ordine e tipologia di istruzione. Difatto, questo significa che, per ogniregione, il rapporto docenti/cattedrestandard è uguale a quello osservato per il2007. Tuttavia il numero di docentistandard è diverso da quello storicamentedeterminato nel 2007 perché a cambiaresono sia il numero di classi standard(determinato attraverso la procedura diregressione descritta in precedenza) sia ilrapporto standard tra classi e cattedre

(il parametro yi).

La tabella A.9 riporta le variazionipercentuali del numero di cattedrestandardizzate rispetto a quelle attivate

nell’anno scolastico 2007/2008. Si può notare come le variazioni complessive (totali) sianoidentiche a quelle riportate nella tabella A.7 per le classi. Ciò che muta è la distribuzione tra

regioni, per effetto del fattore yi. Per la primaria, la regione che subisce la perdita maggiore è il

Lazio mentre Calabria, Puglia, Basilicata e Molise (che presentavano perdite maggiori del Lazioin termini di classi) vedono ora compensare parte delle perdite nella fase di stima delle cattedre.Non altrettanto può dirsi per la scuola secondaria di I grado, dove le perdite in termini di cattedrecolpiscono maggiormente le regioni che avevano visto ridursi più pesantemente il numero diclassi (Basilicata, Calabria, Molise e Sardegna). Nella secondaria di II grado la stima dellecattedre favorisce particolarmente la Liguria, l’Umbria, la Basilicata e l’Emilia Romagna mentresfavorisce il Piemonte, Sicilia, Sardegna e Puglia rispetto al confronto per le stesse regioni delnumero di classi standard con quelle effettive.

Tab. A.8 FATTORI STIMATI PER I DOCENTI NON DI SOSTEGNO

NON SOSTEGNO Scuola primaria

Scuola secondaria di I grado

Scuola secondaria di II grado

GAMMA NAZIONALE 1,679 1,950 1,879

BETA REGIONALE

Abruzzo 1,013 1,127 1,125

Basilicata 1,013 1,118 1,181

Calabria 1,009 1,131 1,131

Campania 1,007 1,088 1,100

Emilia Romagna 1,063 1,191 1,229

Friuli 1,061 1,178 1,220

Lazio 1,040 1,128 1,140

Liguria 1,039 1,179 1,204

Lombardia 1,061 1,154 1,201

Marche 1,039 1,178 1,190

Molise 1,029 1,190 1,139

Piemonte 1,043 1,140 1,133

Puglia 1,011 1,068 1,107

Sardegna 1,032 1,102 1,159

Sicilia 1,024 1,110 1,113

Toscana 1,046 1,162 1,193

Umbria 1,027 1,174 1,228

Veneto 1,066 1,197 1,208

ITALIA 1,038 1,134 1,155

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Fabbisogni standard per l'istruzione: problematiche e stime

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Tab. A.9 CONFRONTO TRA FABBISOGNO STANDARD DI CATTEDRE E FABBISOGNO EFFETTIVO NON DI SOSTEGNO PER L'A.S. 2007/2008

A.4 La stima del fattore ηi

Questo fattore individua il numero di ore diinsegnamento che il docente di sostegno dedicamediamente alla classe di un alunno portatore dihandicap. Come mostra la tabella A.10, nell’annoscolastico 2007/2008, mediamente a livellonazionale, un docente segue due alunni disabili.Questo numero (definito come obiettivo per iprossimi anni dalla legge finanziaria per il 2007) èstato quindi utilizzato per stimare il fabbisognostandard di docenti di sostegno.

Un tentativo di stima diverso è statocondotto utilizzando i valori medi regionali cherisultano dalla tabella A.10 e che si presentanomolto variabili a livello territoriale. Si nota unaforte correlazione inversa tra questo rapporto e laquota di alunni di alunni portatori di handicap sultotale, evidentemente a conferma della volontà

del MIUR di mantenere, territorialmente, un rapporto di un docente ogni due alunni disabili.

RegioneVariazione numero cattedre stimate con

frontiera stocastica in % cattedre effettive A.S. 2007/8

Variazione numero cattedre stimate con OLS su Regione più virtuosa

in % cattedre effettive A.S. 2007/8

Variazione numero cattedre stimate con OLS su Regione mediana

in % cattedre effettive A.S. 2007/8

Primaria SecI grado

Sec II grado Primaria Sec

I gradoSec

II grado Primaria Sec I grado

Sec II grado

Abruzzo -3,5 -12,2 -4,0 -0,1 -7,6 -0,9 9,5 1,7 2,3Basilicata -13,9 -34,2 -2,6 -11,4 -31,4 -1,2 -4,5 -25,8 3,7Calabria -10,0 -32,4 -9,7 -7,1 -29,0 -8,6 0,2 -23,1 -4,6Campania -11,4 -13,8 -3,1 -8,1 -9,8 -3,1 -0,9 -2,4 1,1Emilia Romagna -10,1 -2,7 0,5 -7,3 1,6 3,3 -0,1 10,1 7,0Friuli -13,1 -11,2 -11,1 -9,9 -5,6 -9,7 -3,8 2,3 -5,8Lazio -16,0 -5,5 -5,6 -11,9 2,1 -4,8 -3,9 12,0 0,3Liguria -11,7 -7,1 -2,3 -8,2 1,3 5,0 -1,1 6,6 5,0Lombardia -15,3 -10,5 -2,6 -11,6 -3,4 0,4 -4,7 3,3 0,4Marche -2,4 -6,8 -2,7 0,9 -2,0 -1,0 8,8 6,1 3,3Molise -4,5 -24,1 -4,4 -0,6 -19,5 -0,8 7,1 -11,8 -0,8Piemonte -13,4 -11,9 -10,3 -9,7 -5,9 -9,3 -2,6 1,9 -5,4Puglia -11,8 -14,2 -5,6 -9,2 -11,5 -4,6 -2,1 -1,5 0,1Sardegna -10,5 -27,1 -9,0 -7,8 -23,7 -7,5 1,8 -17,3 -3,5Sicilia -7,0 -18,1 -6,2 -4,2 -14,7 -4,8 3,2 -7,6 -0,9Toscana -9,7 -7,0 -1,8 -7,2 -3,5 1,3 0,0 3,0 4,3Umbria -2,0 -12,3 -2,3 0,2 -9,6 -0,5 8,0 -2,1 3,4Veneto -6,1 -7,4 -6,3 -2,9 -2,4 -4,9 3,4 5,8 0,6ITALIA -11,0 -12,9 -4,9 -7,8 -8,1 -3,2 -0,5 -0,4 0,4

Tab. A.10 FATTORI STIMATI PER I DOCENTIDI SOSTEGNO

Rapporto medio docenti di sostegno/alunni portatori di handicap A.S. 2007/2008

Abruzzo 0,38Basilicata 0,72Calabria 0,53Campania 0,54Emilia Romagna 0,49Friuli 0,48Lazio 0,41Liguria 0,55Lombardia 0,44Marche 0,50Molise 0,45Piemonte 0,50Puglia 0,57Sardegna 0,55Sicilia 0,59Toscana 0,52Umbria 0,43Veneto 0,47ITALIA 0,50

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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3 Servizi per la non autosufficienza: un quadro regionale frammentato

3.1 INTRODUZIONE

L’area socio-sanitaria e assistenziale del sistema di welfare italiano sta assumendo unarilevanza crescente per via dell’aumento della domanda di prestazioni per le persone nonautosufficienti e per gli anziani in generale, dovuto sia alle dinamiche demografiche in atto(l’invecchiamento della popolazione e il cambiamento della struttura delle famiglie) sia aicambiamenti socio-economici (l’incremento della partecipazione femminile al lavoro) e culturali.

L’Italia è uno dei paesi europei in cui la popolazione sta invecchiando maggiormente, pervia del rallentamento nei tassi di fertilità e dell’aumento dell’aspettativa di vita. Nel 2007, quasi il20% della popolazione italiana aveva 65 o più anni mentre gli ultraottantenni erano il 5,3%

(l’indice di vecchiaia1 in Italia nel 2007 era pari a 1,41). Le stime dell’ISTAT indicano che nel2050 gli ultra sessantacinquenni arriveranno ad essere il 33% della popolazione e gli

ultraottantenni il 13,5 per cento2. Mentre si discute molto sulla sostenibilità economica del Servizio Sanitario Nazionale

(SSN) e della spesa sanitaria in generale, c’è poca attenzione sull’evoluzione e sull’impattoeconomico dei servizi socio-sanitari e assistenziali che sono, invece, quelli sui qualil’invecchiamento della popolazione ha un impatto maggiore. Infatti, è ormai assodato che i fattorideterminanti della crescita della spesa sanitaria sono principalmente riconducibili all’aumento delbenessere economico e all’impatto dell’innovazione tecnologica piuttosto che all’invecchiamentodella popolazione, mentre tale fenomeno ha un impatto maggiore sulla domanda e,conseguentemente, sulla spesa, per servizi socio assistenziali.

Rivestono un interesse particolare i servizi riconducibili a quella che viene generalmentedefinita, con la terminologia anglosassone, Long Term Care (LTC). La LTC comprende tutti gliinterventi di natura sanitaria o assistenziale a favore delle persone anziane e/o disabili nonautosufficienti, cioè non in grado di compiere, con continuità, gli atti quotidiani della vita senza unaiuto esterno. Nella LTC rientrano, quindi, “tutte le forme di cura della persona o assistenzasanitaria e gli interventi di cura domestica associati, che abbiano natura continuativa. Tali

1 L’indice di vecchiaia è il rapporto fra la popolazione anziana (65 anni e oltre) e la popolazione più giovane (0-14 anni).2 www.istat.it

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interventi sono forniti a domicilio, in centri diurni o in strutture residenziali ad individui nonautosufficienti”.

In Italia i servizi e le risorse destinate alla LTC sono riconducibili ad interventi di naturasanitaria o assistenziale e ai trasferimenti monetari. Essi sono infatti suddivisibili nelle seguentitre componenti:

- componente sanitaria: l’assistenza territoriale rivolta agli anziani e ai disabili, disarticolata inassistenza ambulatoriale e domiciliare, assistenza semi-residenziale ed assistenzaresidenziale, assistenza integrativa, protesica, psichiatrica e quella rivolta agli alcolisti e

tossicodipendenti3;

- indennità di accompagnamento: prestazioni monetarie erogate direttamente al disabile oanziano non autosufficiente, a prescindere da qualsiasi requisito reddituale e nonsubordinate alla certificazione dell’acquisto di beni e servizi funzionali al miglioramentodelle condizioni di vita del soggetto;

- interventi socio-assistenziali rivolti ai disabili e agli anziani non autosufficienti erogati alivello locale: insieme di prestazioni, largamente in natura, gestite prevalentemente a livellolocale per finalità socio assistenziali, in via principale dai comuni singoli o associati; taliprestazioni sono erogate in istituti come le residenze socio-sanitarie per anziani o lecomunità socio-riabilitative, oppure sono erogate in strutture semi-residenziali come i centridiurni e i centri di aggregazione o ancora l’assistenza domiciliare. Oltre alle prestazioni innatura, vi sono anche, seppure in misura minoritaria, prestazioni monetarie per lo piùassimilabili alle indennità di accompagnamento.

A queste tre componenti si potrebbero aggiungere le pensioni di invalidità erogatedall’INPS, che sono di fatto un sostegno economico di lungo periodo a persone nonautosufficienti.

Questo capitolo, dopo un descrizione del sistema della LTC in Italia, sia dal punto di vistadella spesa, sia dell’offerta di servizi, analizza i sistemi di LTC sviluppati da tre Regioni, laLombardia, l’Emilia Romagna e la Sicilia.

La scelta di concentrare l’attenzione su tre Regioni deriva dal fatto che si vuole sottolineareuna tendenza divergente di sviluppo dei sistemi di welfare regionali, sia dal punto di vista del mixdi servizi che delle soluzioni istituzionali ed organizzative. Le eterogeneità sono particolarmentemarcate nel settore sanitario e socio-sanitario, che storicamente rappresenta la quotamaggioritaria dei bilanci regionali e il settore in cui tradizionalmente si è esercitata l’autonomiaregionale.

Il settore del welfare è il laboratorio più avanzato del processo di decentramento in corso,sia sul versante sanitario e socio-sanitario (afferente al SSN), sia sul versante socio-

3 Quest’ultime comprendono aspetti peculiari e distintivi rispetto alle prestazioni sanitarie tipicamente riconducibili allanozione di LTC.

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Servizi per la non autosufficienza: un quadro regionale frammentato

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assistenziale (afferente ai Comuni). Le eterogeneità riguardano sia la rete dei servizi, sia imodelli istituzionali, sia la natura dei produttori e i paradigmi di welfare adottati. Le diversità sonocosì marcate che per avere un quadro esaustivo dell’Italia sarebbe necessaria l’analisi di tutte leregioni, ma sembra intanto interessante cominciare in questa sede ad esaminare i tre casiparadigmatici sopra indicati.

3.2 LA FRAMMENTAZIONE ISTITUZIONALE E LA SPESA PER LA LTC IN ITALIA

La LTC si caratterizza in Italia (ma anche negli altri paesi europei) per l’elevataframmentazione istituzionale, a causa della quale la titolarità e le fonti di finanziamento sonodistribuite fra gli Enti Locali e le Regioni, con modalità differenti in relazione ai modelli istituzionaliadottati dalle singole Regioni. Infatti, gli attori direttamente impiegati nell’erogazione dei servizisociali sono i Comuni, le ASL, le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) e l’INPS, ma nellaprogrammazione e nel finanziamento dei servizi sociali sono coinvolti anche lo Stato, le Regionie le Province. Inoltre, in Italia una quota rilevante della spesa per la LTC è finanziata dallefamiglie in via formale o informale.

Dalla metà degli anni ’90 è in corso un dibattito sulla riforma della LTC in Italia - con diverseproposte relativamente ai contenuti, agli interventi e alle modalità di finanziamento degli stessi -,

che non ha tuttavia portato ad una vera riforma nazionale4 La legge finanziaria per il 2007 haistituito, presso il Ministero della Solidarietà Sociale, un fondo denominato “Fondo per le nonautosufficienze”, stanziando 100 milioni di euro per l’anno 2007 e 200 milioni di euro perciascuno degli anni 2008 e 2009, con la finalità di “garantire l'attuazione dei livelli essenziali delleprestazioni assistenziali su tutto il territorio nazionale con riguardo alle persone nonautosufficienti”. Successivamente, la legge finanziaria per il 2008 ha deliberato l’aumento delladotazione del Fondo per le non autosufficienze di ulteriori 100 milioni di euro per l’anno 2008 e di200 milioni di euro per l’anno 2009. Inoltre, il precedente Governo aveva approvato in Consigliodei Ministri il disegno di legge collegato alla legge finanziaria per il 2008 per il riordino dellanormativa sulle persone non autosufficienti, le politiche sociali e la famiglia, che non è tuttaviastato approvato dal Parlamento a causa della fine anticipata della legislatura.

Sebbene di ammontare decisamente insufficiente a finanziare la LTC, il Fondo per le nonautosufficienze costituisce, potenzialmente, una novità importante: si tratta di risorseesplicitamente dedicate alla popolazione non autosufficiente, che possono rappresentare unaprima leva di ricomposizione degli interventi in un’area che ha visto, nel corso degli anni, unasempre maggiore frammentazione, degli interventi (sanitari, socio sanitari, sociali), dei decisori

4 Cfr. Gori (2008).

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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(Comuni, Asl, Regioni, INPS) e delle fonti di finanziamento (Fondo Nazionale per le PoliticheSociali, Fondi Sociali delle Regioni, Fondi Sanitari e Socio Sanitari delle Regioni). Inoltre, alcuneRegioni, successivamente alla costituzione del Fondo per le non autosufficienze nazionale,hanno deliberato l’istituzione di Fondi regionali stanziando anche risorse significative.

Le informazioni disponibili sulla spesa per la LTC in Italia sono limitate e incomplete. LaRagioneria Generale dello Stato (RGS), nell’ambito delle previsioni sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e sanitario, effettua, da alcuni anni, stime della spesa

pubblica attuale e futura per la LTC. In base agli ultimi aggiornamenti5, la spesa pubblica perLTC è valutata per il 2007 pari a circa 25,6 miliardi di euro (cfr. Tab. 1), l’1,66% del PIL, di cui lecomponenti principali sono quella sanitaria (12,5 miliardi di euro - 0,81% del PIL) e quella per leindennità di accompagnamento (10,8 miliardi di euro - 0,70% del PIL), mentre le altre prestazionisocio assistenziali rappresentano una quota minore (lo 0,16% del PIL - 2,5 miliardi di euro). Circail 68% della spesa pubblica per LTC riguarda servizi ad anziani ultra sessantacinquenni (il 57%per la componente sanitaria, il 77% per le indennità di accompagnamento, il 75% per le altreprestazioni socio assistenziali). Circa il 30% della spesa per LTC riguarda servizi di assistenzadomiciliare e semi-residenziale, il 27% concerne l’assistenza residenziale e il restante 43% leprestazioni monetarie. Per quanto riguarda la componente sanitaria della spesa per LTC, più del53% del totale è dovuto all’assistenza ambulatoriale e domiciliare (23,2%) e all’assistenzaresidenziale (34,1%), il 24,4% deriva dall’assistenza psichiatrica (erogata sia nella forma diassistenza domiciliare, sia dai centri di salute mentale, semi-residenziale o residenziale), mentreil resto è ascrivibile all’assistenza ai tossico-dipendenti e alcolisti e alla lungodegenzaospedaliera.

Tab. 1 LA SPESA PUBBLICA PER LA LTC - ANNO 2007

Fonte: elaborazioni su dati RGS - Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario. Agg. 2008.

Le stime della Ragioneria Generale dello Stato prevedono che, nel periodo 2005-2050, laspesa pubblica per la Long Term Care passerà dall’1,6% al 2,7% del PIL, principalmente per viadell’invecchiamento della popolazione. Secondo le stime, in tale periodo l’incremento maggioreavverrebbe per l’indennità di accompagnamento.

5 Cfr. Ragioneria Generale dello Stato (2008).

Spesa per LTC Valori assoluti(in milioni di euro)

In % del PIL

Valori assoluti(in milioni di euro)

di cui: 65+

In % del PIL

Componente sanitaria 12.512,7 0,81 7.105,9 0,46

Indennità di accompagnamento 10.813,4 0,70 8.341,7 0,54

“Altre prestazioni LTC” (interventi socio assistenziali) 2.471,6 0,16 1.853,7 0,12

Totale 25.643,3 1,66 17.455,9 1,13

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Servizi per la non autosufficienza: un quadro regionale frammentato

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Tuttavia, queste cifre non comprendono la spesa per le pensioni di invalidità civile e quelleper inabilità erogate dall’INPS. La spesa riconducibile alla LTC per prestazioni monetarie erogatedall’INPS nel 2005 sarebbe pari a circa 31,4 miliardi di euro, quasi il triplo di quella per l’indennitàdi accompagnamento (cfr. Tab. 2).

La LTC in Italia si caratterizza anche per l’ampia variabilità nei livelli di finanziamento enella struttura dell’offerta dei servizi. La spesa dei Comuni, ad esempio, è molto eterogeneaanche se non esistono fonti informative complete. In base ai dati dell’ISTAT, in Italia la spesa peri servizi sociali dei Comuni sarebbe stata, nel 2005, in media pari a 117 euro procapite convariazioni comprese fra i 34 euro della Regione Calabria e i 235 euro del Friuli Venezia Giulia

(Tab. 6)6. Un altro esempio, interessante è rappresentato dalle differenze enormi sia nella spesatotale per anziano ricoverato in strutture residenziali sia nella quota finanziata dalle istituzionipubbliche (SSN e Comuni).

Tab. 2 FINANZIAMENTO LTC IN LOMBARDIA, RER, SICILIA E IN ITALIA PER FONTI

Fonti: elaborazioni su dati:¹ RGS: Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario (2008) e CENSIS: Analisi comparativa dei principaliservizi per gli anziani non autosufficienti (2005).² Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali: Relazione Biennale sulla Condizione dell’Anziano 2002-2003, integrato condati demo.istat.it.Il totale è stato calcolato considerando le spese per invalidità civile, per pensioni di inabilità e assegni ordinari di invalidità e per pensioniper invalidità IVS. Il totale regionale è stato calcolato sulla base della quota capitaria italiana (spesa totale INPS/beneficiari Italia) moltipli-cata per il numero di beneficiari regionali.³ ISTAT: Seconda indagine censuaria sugli interventi e i servizi sociali dei Comuni (2004), tav. 3. Il dato della spesa per i Comuni è statocalcolato sommando la spesa per anziani, quella per disabili e una quota proporzionale della spesa per multiutenza.

6 Cfr. ISTAT (2005).

SSN / Regione (2007)¹ INPS² (2005) Comune (2004)³

Totale(in milionidi euro)

Totale per abitante

Totale per abitante+65 anni

Totale(in milionidi euro)

Totale per abitante

Totale per abitante+65 anni

Totale(in milionidi euro)

Totale per abitante

Totale per abitante+65 anni

Lombardia 3.375 350,0 1.762,6 4.876 514,6 2.647,2 485 51,6 270,2

RER 1.381 323,0 1.426,4 2.652 633,2 2.787,1 233 56,2 248,1

Sicilia 419 83,4 456,9 2.464 491,2 2.732,4 137 27,4 155,1

ITALIA 12.513 209,0 1.047,4 31.358 533,7 2.705,1 2.530 43,3 222,3

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Tab. 3 SPESA PER SERVIZI SOCIALI DEI COMUNI - ANNO 2005

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT: Finanza locale: entrate e spese dei bilanci consuntivi comunali. Anno 2005.

Tab. 4 SPESA PER SERVIZI SOCIALI DEI COMUNI - ANNO 2005

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT: Finanza locale: entrate e spese dei bilanci consuntivi comunali. Anno 2005.

Regione

Spesa totale

Asili nido, servizi per l'infanzia e per i

minori

Strutture residenziali e di

ricovero per anziani

Assistenza, beneficenza

pubblica e servizi diversi alla persona

Servizio necroscopico e

cimiterialeTotale Popolazione

Lombardia 357.310.011 160.684.707 640.365.788 81.590.856 1.303.503.783 9.475.202RER 184.729.987 100.662.538 374.965.675 28.564.985 730.941.476 4.187.557Sicilia 105.161.444 18.870.489 349.800.548 31.777.965 519.239.838 5.017.212Valle d’Aosta nd nd nd nd nd 123.978Piemonte 104.336.069 72.368.534 299.460.392 44.509.419 536.870.822 4.341.733Liguria 60.898.820 20.231.737 108.287.538 16.847.779 209.209.154 1.610.134Veneto 96.944.254 43.149.374 320.453.508 37.148.375 529.628.141 4.738.313Trentino AA 31.835.688 29.682.183 102.089.989 1.1161.965 178.881.924 985.128Friuli VG 45.863.002 51.637.680 160.104.630 10.099.607 284.035.489 1.208.278Marche 38.071.830 29.848.002 78.849.972 11.642.390 175.192.273 1.528.809Umbria 23.626.433 3.256.518 54.158.550 6.887.402 90.279.524 867.878Toscana 127.173.658 60.121.568 233.854.147 29.239.943 469.878.311 3.619.872Lazio 244.956.978 4.237.688 304.337.102 26.087.231 681.304.034 5.304.778Abruzzo 21.311.551 3.430.419 47.373.651 8.609.987 83.052.134 1.305.307Molise 1.844.572 465.527 13.204.146 1.981.906 18.726.827 320.907Campania 71.865.130 10.774.633 268.845.360 50.757.907 415.933.062 5.790.929Puglia 59.173.099 12.213.930 173.307.631 23.157.082 278.982.942 4.071.518Basilicata 5.843.151 646.534 26.499.461 3.699.156 39.610.362 594.086Calabria 4.929.574 2.942.805 45.889.894 11.141.155 69.889.415 2.004.415Sardegna 31.514.379 23.205.763 194.697.611 9.389.219 275.704.660 1.655.677ITALIA 1.617.389.630 648.430.629 3.796.545.593 444.294.329 6.890.864.171 58.751.711

Regione

Spesa pro capite

Asili nido, servizi per

l'infanzia e per i minori

Strutture residenziali e di

ricovero per anziani

Assistenza, beneficenza pubblica e

servizi diversi alla persona

Servizio necroscopico e

cimiterialeTotale Popolazione

Lombardia 37,7 17,0 67,6 8,6 137,6 9.475.202RER 44,1 24,0 89,5 6,8 174,6 4.187.557Sicilia 21,0 3,8 69,7 6,3 103,5 5.017.212Valle d’Aosta nd nd nd nd nd 123.978Piemonte 24,0 16,7 69,0 10,3 123,7 4.341.733Liguria 37,8 12,6 67,3 10,5 129,9 1.610.134Veneto 20,5 9,1 67,6 7,8 111,8 4.738.313Trentino AA 32,3 30,1 103,6 11,3 181,6 985.128Friuli VG 38,0 42,7 132,5 8,4 235,1 1.208.278Marche 24,9 19,5 51,6 7,6 114,6 1.528.809Umbria 27,2 3,8 62,4 7,9 104,0 867.878Toscana 35,1 16,6 64,6 8,1 129,8 3.619.872Lazio 46,2 0,8 57,4 4,9 128,4 5.304.778Abruzzo 16,3 2,6 36,3 6,6 63,6 1.305.307Molise 5,7 1,5 41,1 6,2 58,4 320.907Campania 12,4 1,9 46,4 8,8 71,8 5.790.929Puglia 14,5 3,0 42,6 5,7 68,5 4.071.518Basilicata 9,8 1,1 44,6 6,2 66,7 594.086Calabria 2,5 1,5 22,9 5,6 34,9 2.004.415Sardegna 19,0 14,0 117,6 5,7 166,5 1.655.677ITALIA 27,5 11,0 64,6 7,6 117,3 58.751.711

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Servizi per la non autosufficienza: un quadro regionale frammentato

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Graf. 1 - ANZIANI OSPITI NEI PRESIDI RESIDENZIALI SOCIO-ASSISTENZIALI PER REGIONE - ANNO 2002

Anche la struttura dell’offerta di LTC variada regione a regione, come evidenziato dalledifferenze nel numero di anziani ospiti neipresidi residenziali socio-assistenziali e degliutenti di assistenza domiciliare integrata(ADI). Il numero di anziani ospiti nei presidiresidenziali socio-assistenziali varia da quasi500 per 10.000 abitanti di 65 anni ed oltre inTrentino-Alto Adige, a 48 in Campania (cfr.Graf. 1); mentre il numero di utenti anziani inADI varia dai 2,7 ai quasi 89 per 1.000 abitantidi 65 anni e oltre rispettivamente in Valled’Aosta e Molise (cfr. Tab. 5). E’ evidente,quindi, che non esiste un sistema nazionaledella LTC, ma piuttosto tanti sistemi regionali.

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT – Assistenza residenziale per regione.

0 50 100 150 200 250 300 350 400 450 500

Trento

Trentino-Alto Adige

Bolzano-Bozen

Val le d 'Aosta

Friuli-Venezia Giulia

Piemonte

Veneto

Lombardia

Emil ia-Romagna

Liguria

Marche

Toscana

Mol ise

Abruzzo

Sardegna

Umbria

Lazio

Puglia

Sicilia

Basi licata

Calabria

Campania

Reg

ioni

Anziani ospiti nei presidi residenziali socio assistenziali - per 10.000 abitanti di 65 anni e oltre - Anno 2002

Tab. 5 UTENTI IN ASSISTENZA DOMICILIAREINTEGRATA DI 65+ ANNI (numero di utenti / 1.000 65+

anni) – PER REGIONE, ANNO 2003

Fonte: elaborazioni su dati CENSIS: Analisi comparativa deiprincipali servizi per gli anziani non autosufficienti (2005).

Regione Utenti di 65 e più anni in ADI per 1.000 residenti 65+

Valle d’Aosta 2,7Piemonte 16,8Liguria 19,5Lombardia 26,8Trentino - Alto Adige NdFriuli Venezia Giulia 79,1Veneto 37,7Emilia – Romagna 46,6Toscana 30,7Umbria 24,6Marche 27,8Abruzzo 17,9Lazio 18,9Molise 89,4Puglia 11,8Campania 9,1Basilicata 41,8Calabria 5,8Sicilia 7,1Sardegn 5,7ITALIA 27,3

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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3.3 LOMBARDIA, EMILIA-ROMAGNA E SICILIA A CONFRONTO

3.3.1 Perché la scelta di queste tre Regioni?

Le tre Regioni sono state scelte in quanto paradigmatiche, rilevanti per dimensioni ecompletamente diverse sia dal punto di vista del mix d’offerta, che dei modelli istituzionali e diwelfare sottostanti. Lombardia ed Emilia-Romagna (RER) sono due regioni socio-economicamente avanzate, con una popolazione anziana oltre la media italiana e sistemi diwelfare ricchi. La Lombardia ha privilegiato le strutture protette, mentre la RER la domiciliarità; laLombardia ha privilegiato la libera scelta del cittadino e la competizione tra i produttori, la RER lavalutazione dei pazienti da parte delle Aziende Sanitarie Locali e il loro inserimento guidato nellarete dei servizi; la Lombardia ha creato un fondo socio-sanitario ad hoc (finanziato dal SSN), maseparato dal resto della spesa sanitaria e sociale, dedicando un assessorato alle politiche socialie familiari; la RER cerca di integrare fondi socio-sanitari e socio-assistenziali, anche sfruttando laregia di un unico assessorato. La Regione Sicilia è più debole sia sul versante socio-economicoche del welfare. In particolare le strutture socio-sanitarie intermedie (strutture protette, RSA,centri diurni, ecc.) sono particolarmente carenti, determinando un eccesso di consumiospedalieri per i pazienti cronici, con una spesa quindi meno costo-efficace.

L’eterogeneità delle tre Regioni appena presentata, rispetto a dimensioni e caratteristichediverse, spiega la scelta di queste Regioni, proprio per la possibilità di illustrare le variabili chedeterminano le differenze regionali e le loro possibili declinazioni. La presentazione di questi trecasi, tuttavia, non esaurisce il quadro degli assetti socio-sanitari per la LTC oggi presenti in Italia.

L’analisi viene condotta evitando di analizzare separatamente il singolo sistema, mamettendoli immediatamente a confronto rispetto alle seguenti dimensioni: demografia, reted’offerta e natura dei produttori, meccanismo di finanziamento, modello di welfare, tendenze epossibili evoluzioni.

3.3.2 Tendenze demografiche e modelli di riproduzione familiare

La Lombardia e la RER hanno una quota di anziani superiore alla media nazionale, con unagenerale tendenza al peggioramento (cfr. Tab. 6). Sono però anche le due regioni con la maggiorquota di immigrazione straniera, attratta sia dal loro livello di sviluppo socio-economico, siaproprio dall’incidenza degli anziani che domandano servizi alla persona, tanto nel mercato delle“badanti”, quanto nei mercati assistenziali più strutturati, grazie alle capacità delle famiglielombarde ed emiliano-romagnole di auto-finanziare questi servizi.

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Servizi per la non autosufficienza: un quadro regionale frammentato

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Tab. 6 STRUTTURA DELLA POPOLAZIONE E BISOGNI ASSISTENZIALI

Fonte: elaborazioni su dati Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali: Relazione Biennale sulla Condizione dell’Anziano2002-2003, integrato con dati demo.istat.it

E’ difficile prevedere quale delle due forze avrà il definitivo sopravvento, tra la tendenzaall’invecchiamento degli “italiani di origine italiana” e i nuovi italiani arrivati grazie ai massiccifenomeni di immigrazione, rispetto alla piramide d’età e alla numerosità demografica di questedue regioni. In ogni caso esse saranno con molta probabilità quelle che più marcatamentevivranno i processi di trasformazione demografica che stanno caratterizzando il paese.

L’elevata presenza di personale straniero per professioni assistenziali è spiegata, oltre chedalla domanda di sostegno per affrontare situazioni di cronicità, dalla capacità economica dellefamiglie di autofinanziare l’assistenza individuale - anche grazie al modello generale di welfareper la LTC, che privilegia il trasferimento di risorse alle famiglie piuttosto che l’erogazione diservizi reali - e da un nuovo modello di riproduzione sociale familiare. Le famiglie ritardano il piùpossibile il momento di istituzionalizzazione degli anziani non autosufficienti, limitandolo semprepiù agli ultimissimi periodi della vita, quando il livello di non autosufficienza o di demenza diventagrave o gravissimo. Uno dei principali gruppi di gestione di Residenze Sanitarie Assistenziali(RSA) con 30 strutture a livello nazionale, attivo soprattutto in Lombardia, registra oggi un’etàmedia dei degenti di 85 anni, una permanenza media di solo 12 mesi a cui segue il decesso, conuna popolazione ospite in condizioni di grave non autosufficienza, di cui circa la metà conproblemi di demenza. I dati mostrano come le famiglie cerchino in media di assistere nel tessutodomestico gli anziani il più a lungo possibile, anche se non esclusivamente con il lavoroassistenziale diretto dei membri della famiglia, ma utilizzando sempre più forme di sostegnoprofessionalizzato, come le badanti o le società di assistenza. Questo avviene frequentementelasciando l’anziano nel proprio domicilio, senza quindi processi di riaggregazione residenziale. Inparte il fenomeno è correlato al fatto che i “grandi anziani” (ultraottantenni) hanno a loro volta figligià in pensione ma è legato anche all’alta quota di proprietà degli immobili degli italiani (in queste

AnnoLOMBARDIA EMILIA ROMAGNA SICILIA

Pop. Tot. Pop. 65+ %65+ %75+ Pop. Tot. Pop. 65+ %65+ %75+ Pop. Tot. Pop. 65+ %65+ %75+

1991 8.856.000 1.285.000 14,5 6,4 3.910.000 766.000 19,6 8,8 4.966.000 685.000 13,8 5,8

2001 9.033.000 1.642.000 18,2 7,8 3.983.000 893.000 22,4 10,8 4.969.000 840.000 16,9 7,4

2003 9.109.000 1.693.000 18,6 8,1 4.030.000 909.000 22,6 11,0 4.972.000 857.000 17,2 7,7

Di cui stranieri 476.690 210.397 62.900

2011 9.379.000 1.980.000 21,1 10,3 4.113.000 987.000 23,9 12,8 5.054.000 910.000 18,0 8,8

2021 9.392.000 2.314.000 24,6 12,8 4.123.000 1.091.000 26,5 14,3 4.949.000 1.032.000 20,9 9,7

2031 9.302.000 2.745.000 29,5 15,6 4.107.000 1.270.000 30,9 16,6 4.804.000 1.200.000 25,0 12,1

2041 9.073.000 3.156.000 34,8 19,1 4.040.000 1.466.000 36,3 20,1 4.585.000 1.324.000 28,9 14,9

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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due Regioni vicino all’80%). In altri termini, l’anziano non autosufficiente viene seguitoaffettivamente e assistenzialmente dalla famiglia e non istituzionalizzato, ma frequentementesenza essere trasferito in un nucleo famigliare allargato e utilizzando molto lavoro assistenzialeprofessionale.

Al contrario, la Sicilia ha una struttura demografica più tradizionale, con una quota dipopolazione anziana inferiore alla media nazionale, un tessuto familiare più propenso ameccanismi di riproduzione familiare diretti a sostegno dell’anziano non autosufficiente, anchecorrelato al relativo basso tasso di occupazione femminile. Fenomeni di immigrazioni straniera siregistrano anche in Sicilia, prevalentemente nel tessuto economico per professioni rifiutate dagliitaliani, mentre è ancora scarsa l’immigrazione per servizi assistenziali. Sicuramente la strutturademografica della Sicilia tenderà progressivamente ad avvicinarsi a quella lombarda e dellaRER, ma è difficile prevedere con quale grado di corrispondenza e velocità.

3.3.3 La rete di offerta e la natura dei produttori

I sistemi di welfare socio-sanitari della Lombardia e della RER sono tradizionalmenteconsiderati tra i più ricchi e qualificati del Paese, seppur con delle connotazioni marcatamentediverse. Il sistema lombardo si qualifica tradizionalmente per la forza della sua rete ospedaliera,basata su molti poli di eccellenza, che sono anche i principali attori nel panorama nazionale della

ricerca sanitaria (i primi 5 ospedali per produzione scientifica del Paese sono tutti in Lombardia7).I servizi territoriali sono invece meno ricchi e raramente si trovano al centro del dibattito e degliinterventi di policy. I comuni lombardi hanno tradizionalmente una spesa socio-assistenziale dipoco superiore alla media nazionale e costituiscono degli stakeholder deboli nel panoramasanitario.

Al contrario il sistema della RER è tradizionalmente orientato a un bilanciamento traospedale e territorio, facendo dello sviluppo dei servizi socio-sanitari territoriali uno dei propripunti di forza, frequentemente considerati la best-practice nazionale. Sono proprio questi serviziche di solito intervengono in modo costo-efficace per i problemi di LTC. La spesa socio-assistenziale dei comuni della RER è tra le più alte d’Italia ed essi costituiscono uno stakeholderpolitico rilevante anche per le politiche sanitarie (cfr. Tabb. 5 e 7).

La regione Sicilia, invece, è una delle tre regioni italiane, insieme a Lazio e Campania, cheregistra i deficit infrastrutturali e di performance più gravi, offrendo meno servizi, con minoreappropriatezza e con una spesa superiore rispetto alla media del SSN. Il sistema di welfare dellaRegione siciliana si trova oggi per certi versi nella condizione che caratterizzava i sistemiregionali prima del processo di “aziendalizzazione e regionalizzazione” sancito nel ’92. Esisteancora un eccesso di aziende, di ospedali di piccole dimensioni, che determinano ridondanzadelle prestazioni, assenza di economie di scale e di specializzazione. L’eccesso di allocazione di

7 Cfr. Tediosi e Compagni (2009).

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Servizi per la non autosufficienza: un quadro regionale frammentato

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risorse nel comparto ospedaliero, proprio a causa della sua mancata razionalizzazione,determina l’insufficienza di risorse e servizi nella componente territoriale. I Comuni sicilianihanno una spesa sociale particolarmente contenuta, in uno scenario di deboli relazioni inter-istituzionali e inter-settoriali, che concede loro un ruolo secondario nel governo della sanità.

Il sistema lombardo ha un’offerta relativamente ricca di servizi per la LTC, ma che vedonoprevalentemente uno sviluppo di strutture protette di natura residenziale. In particolare, esistonocirca 50.000 posti letto nelle RSA lombarde, che hanno una finalità di strutture protette ad altaintensità socio-sanitaria (cfr. Tab. 7). Quindi, anche negli stessi servizi territoriali per la LTC, siriflette la tendenza a strutturare prevalentemente servizi istituzionalizzati, offrendo soprattuttoricoveri garantiti da strutture socio-sanitarie intermedie.

Tab. 7 RETE DI OFFERTA E NATURA DEI PRODUTTORI – LOMBARDIA, RER, SICILIA

¹ISTAT: Assistenza Residenziale per Regione (2005).² CENSIS: Analisi comparativa dei principali servizi per gli anziani non autosufficienti (2005).

La RER ha un’offerta di servizi per la LTC significativamente più ricca di quella lombarda,come riflesso della maggiore tradizione di sviluppo dei servizi territoriali, se confrontati con quelliospedalieri. Ma gli stessi servizi per la LTC tendono a privilegiare i servizi domiciliari rispetto allestrutture protette, con un’incidenza superiore rispetto al caso lombardo. Questo comportainevitabilmente la conseguenza che i degenti in RSA lombardi siano meno “pesanti” di quellidella RER che, essendo più limitati in numero, necessariamente coprono situazioni più gravi.

La Regione siciliana registra invece un’offerta di servizi sia di LTC in strutture protette, sia dicure domiciliari largamente insufficiente rispetto ai bisogni. Questo contribuisce a spiegare, inmaniera determinante, le ragioni del persistere di un eccesso di reparti di medicina generale inpiccoli ospedali decentrati, con un eccesso di ricoveri di anziani rispetto alle altre regioni delPaese.

Guardando la natura dei produttori di LTC, in un quadro di relativo equilibrio dei welfare mixtra pubblico e privato, si nota come in RER vi sia una quota maggiore di anziani ospiti in strutturepubbliche, rispetto alla Lombardia, dove c’è una maggiore quota di anziani in strutture private(principalmente no profit) (cfr. Tab. 8). In Sicilia, la scarsità del campione rende meno rilevante lariflessione sullo stock storico di gestori, mentre si osserva come tutti i nuovi siano produttori

Regione

Posti letto (2005)¹ Tassi di copertura PL ADI (2003)²

Popolazione65+

(2005)

Res. assist. per anziani autosuf.i

Res. Socio-sanitaria per

anzianiRSA TOTALE Pop. 65+ / Tot.

PLUtentiin ADI

Utenti over 65 in ADI

Over 65 in ADI per

1.000 65+

Lombardia 1.841.882 1.653 2.790 50.668 55.111 33,42 55.985 45.292 26,8

RER 951.401 8.469 17.773 2.149 28.391 33,51 47.870 42.365 46,6

Sicilia 901.884 3.713 4.235 910 8.858 101,81 6.787 6.088 7,1

ITALIA 11.592.335 73.972 95.620 95.734 265.326 43,69 315.842 260.430 27,3

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privati accreditati, indicando quindi una precisa scelta prospettica di welfare mix rispetto la naturadei produttori.

Tab. 8 ANZIANI OSPITI NEI PRESIDI RESIDENZIALI PER TIPOLOGIA DI PRESIDIO

Fonti: elaborazioni su dati: ISTAT: Assistenza Residenziale per Regione (2005).

3.3.4 Il modello di finanziamento della LTC

La Regione Lombardia ha storicamente due assessorati distinti per sanità e sociale e,coerentemente, ha scelto di avere due fondi finanziari separati e vincolati, l’uno per la sanità,l’altro per la spesa socio-assistenziale integrata che, seppur finanziato con il fondo sanitarioregionale, è interamente gestito dall’assessorato alle famiglie e alle politiche sociali. Questofondo viene trasferito alle ASL lombarde con il vincolo di utilizzo da parte dei dipartimenti delleattività socio-sanitarie integrate (ASSI), che sono responsabili di gestire i servizi socio-sanitari.

Il razionale di questa scelta è quello di tutelare e favorire la spesa socio-sanitaria,separandola da quella ospedaliera, per evitare il pericolo che quest’ultima, nelle sue dinamicheespansive, “spiazzi” risorse dai servizi territoriali. Questa decisione, pur raggiungendo il suoscopo, mina profondamente l’unitarietà d’azienda della singola ASL, costretta a ragionare percomparti assistenziali separati e messa in condizione di non poter gestire unitariamente ipercorsi per patologia che tagliano trasversalmente i diversi ambiti di cura. La linea di governoper il comparto socio-assistenziale, data dal binomio Assessorato alle politiche sociali-direttoreASSI delle ASL, configura quasi un’azienda (l’ASSI) nell’Azienda (ASL), come prevedeva ildisegno iniziale della riforma lombarda, che ipotizzava la nascita di tre tipologie di aziende: ASL,ASSI e ospedali-azienda.

I fondi socio-assistenziali dei Comuni, soprattutto dopo il diffuso ritiro delle deleghe deiservizi sociali dalle ASL, gestiscono i servizi socio-assistenziali in maniera relativamenteautonoma. Pertanto i pilastri finanziari del settore socio-sanitario lombardo sono tre, con unachiara distinzione dei ruoli e delle funzioni da sostenere.

La RER ha storicamente attribuito un finanziamento unitario alle proprie AUSL, le qualiallocano quote significative di risorse al settore territoriale, anche sotto la spinta della forza degliEnti Locali, stakeholder rilevanti nel sistema. Da due anni a questa parte, si è innestato suquesto schema il fondo regionale per la non autosufficienza, che costituisce, da un lato,un’operazione di esplicitazione e ricomposizione delle risorse storicamente spese per la LTC, inparticolare per anziani e per disabili, e di parziale aggiunta di risorse regionali addizionali, ma

RegioneAnziani ospiti nei presidi residenziali per tipologia di presidio, VA (%)

Pubblico Non Profit Profit TOTALE

Lombardia 7.552(15,57) 37.014(76,3) 3.946(8,13) 49.308

RER 11.402(50,05) 5.607(24,61) 5.774(25,34) 22.783

Sicilia 2.173(36,07) 3.168(52,58) 684(11,35) 6.392

ITALIA 87.461(42,55) 86.241(41,95) 31.857(15,5) 229.628

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soprattutto, dall’altro, un sistema di modifica dell’assetto istituzionale e finanziario dei fondi. Ilfondo per la non autosufficienza viene trasferito alle AUSL per quota capitaria pesata, ma deveobbligatoriamente essere utilizzato a livello distrettuale, con il pieno consenso degli Enti Locali,strutturando assetti decisionali che chiaramente assegnino e questi ultimi le prerogative digoverno decisive. Il fondo si alimenta prevalentemente con risorse di natura socio-sanitaria,finanziate dalla sanità, ma a queste si dovrebbero aggiungere nel tempo anche risorse socialidegli Enti Locali, rassicurati dal potere maggioritario nel governo del fondo. Pertanto, similmentealla Lombardia, la RER ha istituito un fondo vincolato per la LTC socio-sanitaria, di fattoprevalentemente finanziato dal fondo sanitario regionale, a cui è dedicata una strutturaistituzionale ed organizzativa ad hoc a livello delle AUSL. Differisce il ruolo degli Enti Locali, chenella RER sono considerati soci di maggioranza per la gestione del fondo per la nonautosufficienza, mentre in Lombardia prevale il ruolo istituzionale degli ASSI delle ASL.

La Regione siciliana ha storicamente un modello di governo del sistema sanitario moltoaccentrato, dove la regione definisce centralmente l’allocazione delle risorse, partendo dalquadro della spesa storica e cercando progressivamente aggiustamenti ai margini. Il razionale diquesta scelta sta nella volontà di governare dal centro i produttori sanitari autonomi, come gliospedali-azienda, gli erogatori privati accreditati, le strutture socio-sanitarie, non fidandosiappieno della capacità di governo delle singole AUSL. Un governo così accentrato è ovviamentemolto forte sulla carta per tutte le fasi programmatorie ex ante, mentre determina significativedebolezze rispetto alla capacità di governo in itinere, richiedendo poi frequenti ripiani edaggiustamenti ex post. La spesa socio-sanitaria per la LTC, pur nella sua modesta dimensione,viene quindi governata centralmente dalla Regione, mentre per le aziende locali rimane un ruoloprevalentemente amministrativo e di controllo.

Per quanto riguarda le tariffe riconosciute alle strutture protette/RSA, la Lombardia hadefinito un proprio nomenclatore detto SOSIA, basato su 9 fasce di gravità fisica o psichica, a cuicorrispondono diverse tariffe in base ai fattori produttivi necessari. Per ogni categoria SOSIAsono stati definiti precisi tempi minimi di assistenza da parte delle distinte categorie professionali.La RER ha invece definito 4 classi di pazienti, rispettivamente 2 per le strutture protette e 2 per leRSA, e per ognuna ha definito delle tariffe giornaliere. La Regione siciliana ha invece stabilitodue sole categorie tariffarie, che vengono poi modulate in base alle dimensioni delle struttureresidenziali. La Regione Lombardia include nelle tariffe tutti i fattori produttivi necessari, chevengono quindi acquisiti autonomamente dai produttori, mentre la RER preferisce escludere lecomponenti più squisitamente sanitarie, che devono essere erogate direttamente dalle ASL orimborsate dalle ASL all’erogatore dopo una corrispondente negoziazione per stabilire input erisorse da finanziarsi.

La Regione Lombardia lascia la quota tariffaria per i ricoveri residenziali da pagarsi da partedelle famiglie alla libera concorrenza del mercato, accettando anche amplissime oscillazioni. LaRER, al contrario, sta promuovendo delle politiche che progressivamente regolamentano letariffe che devono pagare le famiglie, per evitare oscillazioni tariffarie eccessive tra le strutture.

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3.3.5 I tre modelli regionali di welfare

Quando si analizzano i modelli di welfare ci si può basare prevalentemente sulle scelte dipolicy annunciate e dichiarate o, al contrario, sugli assetti effettivamente emergenti. In questocapitolo, il tentativo è di cogliere i secondi, sapendo che questi, pur influenzati dai programmidichiarati, hanno una loro dinamica autonoma, in parte governata, in parte frutto di determinantiesogene ed endogene alle istituzioni. Nel complesso emergono tra queste regioni modelli diwelfare profondamente eterogenei tra loro.

Il modello lombardo per la LTC può essere qualificato con le seguenti parole chiave:accentrato nel governo; separato negli ambiti di cura; basato sulla distinzione tra acquirente eproduttore di servizi; istituzionalizzato nei servizi; basato sulla libertà di scelta degli utenti e lacompetizione tra gli erogatori; impostato sulla co-progettazione assistenziale delle famiglie.

La linea di governo che va dalla Regione alle ASSI delle ASL è molto gerarchica estrutturata. Di fatto, i dipartimenti ASSI delle ASL operano come bracci amministrativi dellaRegione stessa, che è protagonista anche nel nominare i direttori ASSI medesimi. Vi è quindiun’impronta molto marcatamente sanitaria, anche sulla politica socio-sanitaria. Gli Enti Localisono debolmente coinvolti nel governo delle risorse socio-sanitarie, mentre gli enti gestori (più di500) sono posizionati nel ruolo di semplici produttori e scarsamente coinvolti nel processo digoverno. La componente sanitaria, quella socio-sanitaria e quella socio-assitenzialecostituiscono comparti chiaramente distinti, che afferiscono ad istituzioni diverse (ASL, ASSI,Enti Locali), con fondi vincolati propri. Gli Enti Locali sono di fatto esclusi dal governo del settoresocio-sanitario o sanitario. Il meccanismo di integrazione, basato sui piani di zona, è debole, ed èfocalizzato prevalentemente sul coordinamento intra socio-assistenziale.

Nel modello lombardo, ogni ambito assistenziale distingue tra la funzione diprogrammazione-acquisto e controllo (PAC), svolto rispettivamente dall’ASL per la sanità,dall’ASSI per il settore socio-sanitario e dagli Enti Locali per il settore socio-assistenziale, e iproduttori che devono essere accreditati e poi messi in concorrenza tra di loro. Gli erogatoripubblici e privati per operare per nome e per conto del welfare pubblico passano attraverso tredistinte fasi: autorizzazione, accreditamento e contrattualizazione, che in Lombardia sonoapplicate con estremo rigore. La logica dell’accreditamento-contrattualizzazione ha in particolarefavorito lo sviluppo di servizi di natura residenziale, cioè quelli che replicano nel comparto socio-sanitario il modello dell’ospedale, anche perché è molto più complesso accreditare-contrattualizzare servizi come, ad esempio, le cure domiciliari. La Lombardia registra quindil’offerta più ricca del Paese di posti letto per anziani in strutture protette/RSA. Il paziente o la suafamiglia godono della massima libertà di scelta degli erogatori di LTC, sia per quanto riguarda laresidenzialità, sia per quanto riguarda le cure domiciliari. Il sistema è esplicitamente basato sullacompetizione tra i produttori, che viene incentivata con logiche di quasi mercato. Nel caso dellaresidenzialità è debole o assente il ruolo dell’UVG (unità di valutazione geriatria) nel definire lastruttura residenziale di ricovero. Il cittadino sceglie liberamente l’erogatore, il quale provvede a

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classificarlo in base all’intensità del bisogno e a richiedere la corrispondente tariffa alla Regione.Nel caso delle cure domiciliari al paziente eleggibile che fa domanda viene rilasciato un vouchera cui corrispondono servizi reali per un valore monetario prefissato. Il cittadino è libero diselezionare l’erogatore di prestazioni tra tutti coloro che hanno siglato il “patto” (i cosiddettipattanti) con la propria ASL di riferimento. Esistono anche forme di sostegno monetario direttoalle famiglie, per i nuclei che provvedono autonomamente ad assistere persone nonautosufficienti. In ogni caso, il paziente o la sua famiglia sono chiamati ad essere soggetti attivinella definizione del progetto assistenziale, da un lato perché scelgono l’erogatore, dall’altroperché contribuiscono a definire il progetto assistenziale (quali servizi) sfruttando il poterenegoziale dei detentori del voucher o della libertà di scelta della RSA e la relativa componentetariffaria a carico delle famiglie. La valorizzazione della capacità di co-progettazione dei pazientio dei familiari è ricercata e voluta dal sistema, come elemento ritenuto decisivo per ottenereprestazioni efficaci ed appropriate.

Il modello della RER per la LTC può essere qualificato con le seguenti parole chiave: allaricerca di ambiti di governo per gli Enti Locali; orientato alla domiciliarità; basato sulla capacità diselezione e indirizzo degli utenti da parte delle aziende pubbliche; orientato allo sviluppo dellarete del welfare. Anche la RER, similmente alla Lombardia, ha cercato di separare il governodella committenza dal governo della produzione, operando però questa distinzione a livello infra-aziendale e non inter-aziendale. Inoltre la RER sta cercando di rilanciare il ruolo di governo degliEnti Locali, non solo nel tradizionale campo socio-assistenziale, ma anche in quello socio-sanitario. E’ stato pertanto concepito il distretto socio-sanitario della committenza distinto daldipartimento della produzione, che, all’interno della stessa AUSL, insiste su di uno stessoterritorio geografico. In capo al distretto della committenza è stata posta la conferenza deiSindaci di distretto, che hanno la triplice funzione di:

- governare il fondo per la non autosufficienza;

- approvare gli atti di programmazione distrettuali basati su una forte integrazione trasocio-sanitario e socio-assistenziale;

- operare da consulenti per la programmazione sanitaria.

In particolare il fondo per la non autosufficienza è concepito come programma di LTCassegnato agli Enti Locali, i quali utilizzano l’AUSL come sostegno amministrativo ed operativo.L’auspicio dietro questa operazione di empowerment istituzionale è che essa possa portareprogressivamente gli Enti Locali a conferire nel fondo anche le risorse proprie di natura socio-assistenziali e non solo quelle trasferite dalla regione o dallo Stato, che ne rappresentano unaminima parte. Nel modello emiliano-romagnolo è molto rilevante la funzione assegnata alle UVG(unità di valutazione geriatrica) che operano a livello distrettuale. Esse selezionano l’utenza, laclassificano, definiscono il piano assistenziale individuale e individuano l’ambito di cura el’erogatore ritenuto più idoneo. Se il paziente e la famiglia hanno nel modello lombardo il ruolo di

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regista, nel modello RER il dialogo con esse è intenso, ma il ruolo pivotale nella progettazioneassistenziale spetta all’equipe multidisciplinare del distretto dell’AUSL. Se nel modello lombardola classificazione del paziente avviene da parte della RSA, nella RER avviene da parte dell’UVG.Nella RER l’enfasi competitiva lombarda viene sostituita con lo sforzo di strutturare reti integratedi servizi socio-sanitari, capaci di garantire la continuità delle cure e dei percorsi assistenziali trai diversi ambiti di cura. La rete è favorita dal fatto che buona parte della produzione socio-sanitaria si trova all’interno di un unico dipartimento (cure primarie), che l’accesso ai servizipassa da un gate unico (le UVG) e che molti ospedali fanno istituzionalmente parte della stessaAUSL.

Il modello siciliano per la LTC può essere qualificato con le seguenti parole chiave:complessivamente povero di strutture e servizi, tale da lasciare le famiglie poco sostenute; infase di progettazione e sviluppo; debolmente integrato; orientato alla crescita di struttureintermedie gestite da produttori privati accreditati. Il sistema per la LTC della Sicilia èsemplicemente ancora da costruirsi e quindi si trova in una fase potenzialmente ricca diopportunità, perché si può imparare la lezione di altri e disegnare la politica che si ritiene piùappropriata. Al momento l’offerta per la LTC oscilla tra due polarità entrambe poco qualificate: ogli autosufficienti vengono assistiti in toto dalle famiglie, oppure vengono presi in carica da servizisanitari specialistici di media intensità, come i reparti ospedalieri di medicina e le strutture dilungodegenza o riabilitazione. Mancano completamente o sono gravemente insufficienti lestrutture intermedie e le cure domiciliari complesse. Il sistema sta accelerando il suo sviluppo eal momento si osserva soprattutto l’apertura di nuove RSA gestite da soggetti privati. Questeovviamente sono importanti, ma occorre definire un mix equilibrato di servizi e di gestori, senzalasciarsi guidare esclusivamente dal meccanismo attuativo più rapido disponibile. Inoltre,occorre sciogliere il nodo su chi debba governare questi produttori socio-sanitari. La Regionepuò programmare i volumi complessivi e le tariffe, ma difficilmente potrà controllarel’appropriatezza degli accessi e dell’assistenza. A questo proposito risulterà centrale la capacitàdi sviluppo manageriale delle AUSL, oggi ridotte a sole 17, quindi con un potenziale dicompetenze accresciuto in termini di economie di specializzazione.

3.3.6 Tendenze e possibili evoluzioni

La Regione Lombardia vorrebbe progressivamente rendere sempre più pervasiva laseparazione tra i soggetti istituzionali acquirenti delle prestazioni ed i produttori. Se gli acquirentisono e dovranno essere istituzioni pubbliche, i produttori potrebbero progressivamentetrasformarsi tutti in soggetti privati, profit o non profit. Per avanzare in questa direzione tutte lepre-esistenti IPAB, che rappresentano quasi la totalità delle RSA pubbliche e quindi la loromaggioranza assoluta, sono state trasformate in “fondazioni pubbliche”, ovvero istituzioni didiritto privato, ma con soggetti pubblici che esercitano la maggioranza delle prerogative digoverno. L’auspicio del legislatore è che questi soggetti abbiano progressivamente la forza di

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diventare realmente istituzioni del terzo settore. Sempre in questa direzione il modello di voucherha già pienamente liberalizzato e privatizzato il mercato dei produttori. Il welfare mix lombardo sista sempre più popolando di soggetti erogatori di diversa natura, tra cui i cittadini sono liberi discegliere. Al momento rimane ancora debole la possibilità di integrare le risorse private dellefamiglie con quelle pubbliche (ad esempio il produttore di cure domiciliari che incassa il vouchernon può vendere prestazioni aggiuntive privatamente allo stesso paziente). Se il futuro andassein questa direzione, soprattutto in considerazione della rilevante spesa socio-assistenziale dellefamiglie lombarde, anch’esse sostenute significativamente dai trasferimenti assistenzialidell’INPS, il processo di empowerment delle famiglie sarebbe completo. Sarebbero i pazienti aricomporre a proprio favore i diversi servizi, integrando le prestazioni con la forza del cliente delquasi mercato che può fare “shopping around” tra le diverse prestazioni ed erogatori disponibili,miscelandoli con i propri acquisti diretti di prestazioni pagate out of pocket. Il principio disussidiarietà verticale troverebbe quindi una sua applicazione sempre più intensa, basandosisulla centralità del paziente/famiglia, inteso come regista principale della costruzione dei progettiassistenziali e come selezionatore del welfare mix.

Il modello RER sta cercando, invece, di consolidare sempre più la rete dei servizi pubblici ela funzione di committenza assegnata ai distretti con a capo i sindaci degli Enti Locali. Perrafforzare l’integrazione dei produttori, nel campo socio-sanitario le ex IPAB sono statetrasformate in ASP (aziende di servizi alla persona), aziende pubbliche nate dall’accorpamentodi più enti erogatori preesistenti. Ad esse è stata assegnata una missione “ampia”, cioè quella didiventare anche erogatori di servizi domiciliari, sebbene questo sviluppo rimanga difficile. Ildipartimento delle cure primarie assomma in sé buona parte della produzione territoriale. Ilrapporto contrattuale con gli erogatori privati è molto stretto, con le AUSL che svolgono unafunzione forte di programmazione della rete di servizi socio-sanitari, concepiti e visti comecomplementari ed integrati alla rete pubblica. La funzione di committenza si sta sempre piùsviluppando per tre spinte contemporanee: i fondi regionali e nazionali socio-sanitari e socio-assistenziali sono stati tutti accorpati nel fondo della non autosufficienza gestito dai distretti,determinando un processo di ricomposizione e unificazione; gli Enti Locali sono interessati adesercitare attivamente la funzione di committenza per la LTC come occasione di rilancio delleproprie prerogative di governo nel settore sanitario; esiste un gate unico di accesso ai servizidistrettuali (con l’ausilio tecnico dell’UVG) che afferisce direttamente al distretto. La progressivamessa in rete della struttura di offerta pubblica e privata e lo sviluppo della funzione dicommittenza trovano una rilevante sponda nel dibattito di policy della RER attraverso lasuggestione dello sviluppo della medicina di iniziativa attraverso il “chronic care model”. Ilrazionale di fondo è che il distretto dovrebbe progressivamente diventare capace di monitorare eselezionare i rischi epidemiologici individuali, intervenendo ex ante rispetto al conclamarsi deglistati di non autosufficienza, per avviare immediatamente i pazienti ai servizi socio-assistenzialicapaci di fare assistenza precoce in grado di stabilizzare le patologie negli ambiti di cura meno

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complessi e costosi. L’azione di networking e di gatekeeping delle aziende pubbliche sarebbe inquesto modo completa.

La Regione siciliana è invece all’inizio di un necessario e profondo processo diriorganizzazione del settore sanitario e socio-sanitario, per rispondere alla grave crisi finanziariadeterminata dai disavanzi strutturali accumulatisi negli ultimi anni, correlati a basse performance,indici di gradimento dei servizi da parte dei cittadini molto modesti e rilevanti quote di mobilitàsanitaria in uscita. La legge di riordino del sistema appena approvata prevede la riduzione delleAUSL da 29 a 17, la trasformazione dei piccoli ospedali periferici in strutture intermedie dedicatealla LTC, lo sviluppo delle cure primarie, con particolare enfasi su quelle domiciliari. La regia diquesta trasformazione dovrebbe rimanere direttamente in capo all’assessorato, essendovi unadebole cultura manageriale nelle aziende. Le scarse energie imprenditoriali e di propensione alcambiamento probabilmente determineranno un’espansione dei gestori privati accreditati nelcomparto socio-sanitario, per riuscire rapidamente ad attivare i servizi oggi carenti. Il problemacruciale sarà la capacità da parte delle AUSL di mantenere un’incisiva azione di selezione deipazienti, per garantire i necessari livelli di appropriatezza. Lo sviluppo di questa forza ecompetenza di governo è però in contrasto con una tendenza al debole empowerment dellesingole aziende locali del sistema.

3.4 CONCLUSIONI

L’invecchiamento della popolazione comporta un aumento della spesa per i servizi diwelfare, non necessariamente per quelli tipicamente sanitari, ma soprattutto per quelli socio-sanitari e socio-assistenziali, cioè i servizi che si collocano sul confine tra i due settori, cherispondono ai problemi della cronicità e della stabilizzazione delle patologie, in definitiva quelliriconducibili alla LTC.

L’elemento che caratterizza più profondamente il finanziamento e l’erogazione dei serviziper la LTC in Italia è la mancanza di un disegno organico ed unitario; vi è evidenza di unastratificazione di politiche ancorate ai diversi livelli di governo, senza che vi sia un disegno o unaregia complessiva, né sul fronte del finanziamento, né su quello della pianificazione dei servizi,né su quello del coordinamento delle prestazioni.

D’altro canto, le evidenze del quadro demografico imporrebbero la definizione di un modellodi finanziamento che correli livelli d’entrata (probabilmente aggiuntiva rispetto alla fiscalitàtradizionale) a livelli di copertura dei bisogni, all’interno di un qualche algoritmo ridistributivo e didefinizione delle priorità, in grado di equilibrare e stabilizzare fonti e impieghi. Invece, la spesaprincipale per la LTC (la quota del fondo assistenziale dell’INPS) non ha alcun ancoraggio ad unsistema di prelievo dedicato, né contiene un meccanismo di stabilizzazione economico interno,essendo correlata esclusivamente ai bisogni espressi, considerati come diritto individuale

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esigibile. Le spese locali, invece, non presentano alcun sistema di coordinamento finanziario oprogrammatorio con gli esborsi di natura assistenziale dell’INPS, delineando un quadro dipolitiche socio-sanitarie per la LTC estremamente frammentato, con rilevanti ridondanze eassenze di servizi.

In qualche modo stupisce come la LTC rimanga fuori dal dibattito sul federalismo cheattraversa le politiche del paese. In base alla Costituzione vigente la funzione sociale è giàcompetenza esclusiva delle Regioni e la competenza sanitaria è terreno concomitante tra Stato eregioni, ma la spesa più rilevante per la LTC (l’assistenza INPS) è gestita centralmentedall’INPS, senza alcun intervento regionale o di coordinamento con le politiche locali. Questotema non è mai realmente entrato nell’agenda del dibattito.

Le questioni di policy a cui occorre invece rispondere, a cui molti altri paesi dell’UnioneEuropea hanno già risposto (ad esempio, Germania e Francia), sono invece le seguenti: deveessere istituito un fondo per la LTC? Deve esso, eventualmente, rappresentare solo unmeccanismo di ricomposizione delle risorse e dei servizi esistenti o deve invece anche reperirerisorse aggiuntive correlate all’invecchiamento della popolazione? Un eventuale fondo per LTCdovrebbe essere gestito dallo Stato o dalle Regioni? Dovrebbe essere facoltativo o obbligatorioper i cittadini assicurarsi (quali dis/incentivi per la late/early entry?) ? Dovrebbe essere gestito daun ente pubblico (Stato o Regioni o loro istituti dedicati) o potrebbe essere delegato a soggettiterzi, come assicurazioni sociali o for profit? Come dovrebbe essere concepito per risultarecoerente con la recente riforma volta a realizzare il federalismo fiscale?

Si osservi infatti che tutte queste decisioni non potranno essere adottateindipendentemente dal processo avviato con l’approvazione della legge delega sul federalismofiscale, che si svilupperà nei prossimi mesi. Infatti, la delega prevede la perequazione in base alfabbisogno delle risorse necessarie a coprire integralmente i livelli essenziali delle prestazioni(LEP) - che riguardano sicuramente il settore della sanità e quello dell’assistenza - e le funzionifondamentali degli Enti Locali; la determinazione di livelli essenziali e funzioni fondamentalispetta allo Stato, secondo la Costituzione (la legge delega conferma peraltro che i LEP sarannodefiniti con legge statale). Sarà pertanto cruciale la definizione dei LEP, che dovrà in qualchemisura rappresentare la sede in cui affrontare e dirimere i problemi di cui sopra. Resta pertantoaperta la questione di quali siano i livelli di prestazioni di cui assicurare il finanziamento in tutte leregioni attraverso la perequazione.

Oltre al problema del finanziamento vi è anche quello relativo all’assetto istituzionaledell’offerta. Oggi, almeno tre livelli di governo diversi offrono dei servizi, scarsamente o per nullaintegrati tra di loro: l’INPS, i Comuni, le AUSL. Gli ultimi due hanno assetti diversificati tra di lorofra le varie regioni e acquisiscono le prestazioni da erogatori di natura diversa. Si ritiene utilelasciare così frammentato l’assetto istituzionale coinvolto oppure si ritiene potenzialmente piùefficace una sua ricomposizione? Nel secondo caso, si privilegia un modello nazionale diriferimento, rispetto al quale ogni regione cercherà i necessari adattamenti e con il quale definirà

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le proprie politiche, o, al contrario, anche l’assetto istituzionale fondamentale può e deve essereuna scelta regionale?

Significative sono le differenze inter-regionali che, se possono essere considerate un valoresul piano delle eterogeneità dei modelli istituzionali, necessitano invece delle riflessioni rispettoai differenziali dei tassi di copertura dei bisogni e degli standard di servizio.

Sul piano normativo occorre discutere quali debbano essere i diritti individuali esigibili per lacronicità (come sono, ad esempio, oggi i servizi della scuola dell’obbligo) e quali invece siano iservizi da erogare in base alla intensità dei bisogni rispetto a vincoli di bilancio dati (come è oggiconsiderato l’asilo nido: chi esprime un bisogno più intenso ottiene un posto pubblico, gli altrisono esclusi dal servizio).

Occorre decidere un livello di copertura del bisogno che i singoli territori devono offrire, ocome quota di spesa procapite o come percentuale di non autosufficienti serviti. Inoltre, per ognicategoria di utente, sembra improcrastinabile stabilire degli standard di servizio di riferimento,rispetto ai quali ogni regione potrebbe offrire poi ulteriori livelli differenziati.

Le famiglie italiane sostengono una spesa out of pocket rilevante per la LTC, parzialmentesovvenzionata dai contributi INPS, che spiega, almeno in parte, il massiccio afflusso di badanti(700.000). Occorre chiedersi se la politica di welfare che si intende promuovere vogliariperimetrare nell’intervento pubblico questa spesa o lasciarla autonoma e privata. Nel primocaso si intende sostituire l’acquisto privato riparatorio di prestazioni di LTC con un’assicurazionesociale di accumulazione di risparmio che offra poi gratuitamente le prestazioni oppure sipreferisce integrare spesa pubblica e privata? Questa integrazione può avvenire con un’offerta diservizi a pagamento da parte dell’azienda pubblica che già offre quelli di welfare o cercandol’integrazione tra i diversi provider?

La LTC è un settore di sicuro impatto per il futuro, che fino ad oggi si è sviluppato in Italia inmaniera emergente e poco pianificata, stratificando però rilevanti fonti finanziarie, istituzionipubbliche e servizi dedicati. La domanda di fondo è se si ritenga necessario disegnare unsistema governato e con quali caratteristiche istituzionali e finanziarie.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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4 Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

4.1 INTRODUZIONE

La legge delega 42/2009 in materia di federalismo fiscale dà attuazione alla riforma delTitolo V nella parte relativa al finanziamento degli Enti decentrati (art. 119). Con riferimento aiComuni prevede il finanziamento integrale delle funzioni fondamentali, nei limiti del fabbisogno dispesa standard ad esse associato; a tal fine la delega individua un fondo perequativo atto acolmare il divario rispetto a specifiche categorie di entrate proprie o compartecipate di cui iComuni possono usufruire, valutate anch’esse ai livelli standard. Gli elementi principali su cui faperno questo nuovo regime sono l’identificazione delle funzioni fondamentali e le modalità dicalcolo del corrispondente fabbisogno di spesa standard. Le funzioni fondamentali sono tuttorada individuare in modo completo; ciò dovrebbe avvenire nell’ambito delle proposte che siattendono dal nuovo “Codice delle Autonomie”. La legge delega sul federalismo fiscale prevedeche il passaggio al nuovo regime di finanziamento avvenga con gradualità: nel periodo transitorioi Comuni avranno modo di vedere finanziate le proprie spese ancora in base al criterio dellaspesa storica; avranno cinque anni di tempo per avvicinarsi progressivamente a un livello dispesa simile a quello standard per il quale il Governo centrale assicura un pieno finanziamento.Il fabbisogno di spesa standard per le funzioni fondamentali diviene pertanto un benchmark cui iComuni devono tendere.

Questo capitolo svolge un approfondimento sul tema delle competenze dei Comuni – conparticolare riguardo alle funzioni fondamentali – e sui problemi di stima del corrispondentefabbisogno di spesa, partendo dall’analisi del recente provvedimento di attuazione della riformadel Titolo V della Costituzionale.

Il capitolo si suddivide in due parti. Nella prima (relativa ai paragrafi 4.2 – 4.5), dopo averricordato i ritardi riscontrati nella attuazione della riforma costituzionale del 2001 e le difficoltàincontrate negli ultimi anni dai Comuni nell’espletamento delle funzioni amministrative trasferitecon le riforme degli anni novanta (par. 4.2), si tratta della distinzione tra le diverse tipologie difunzioni amministrative e delle differenti modalità con le quali la Costituzione ne prevede laattribuzione alle Autonomie Territoriali (par. 4.3). Vengono quindi individuate, interpretando leindicazione contenute nello “Schema di disegno di legge governativo sul federalismo

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amministrativo”, il cosiddetto nuovo “Codice delle Autonomie”, le funzioni fondamentali deiComuni (par. 4.4). Dopo aver accennato a quelli che diverranno i modelli di finanziamento dellefunzioni dei Comuni, si evidenzia come la legge delega sul federalismo fiscale, che ha inparticolare attenzione la sostenibilità finanziaria della riforma federale, tenda a circoscrivere ilrange delle funzioni fondamentali (par. 4.5).

Nella seconda parte (relativa ai paragrafi 4.6 – 4.11) si esaminano le implicazionidell’introduzione del concetto di fabbisogno standard nella normativa italiana in materia difinanza degli Enti locali (par. 4.6); si svolgono alcune considerazioni sulla metodologia indicatadalla legge delega per l’individuazione del fabbisogno di spesa standard (par. 4.7); si illustranosinteticamente alcune statistiche sulla spesa pro capite per le funzioni fondamentali, mostrandola forte differenziazione per classi demografiche e per Regione che caratterizza li Comuni italiani(par. 4.8); si procede ad un esercizio di stima della spesa standard relativa alle funzionifondamentali, illustrandone i risultati in termini di correzioni richieste ai Comuni nel periodotransitorio e ponendo in evidenza i principali problemi incontrati (par. 4.9); si effettuano stimealternative per classi di dimensione demografica dei Comuni (par. 4.10) e, a titoloesemplificativo, per due Regioni (4.11).

Infine si traggono le conclusioni del lavoro (par. 4.12).

4.2 IL CAMMINO DEL FEDERALISMO AMMINISTRATIVO

Sebbene vi sia una generale condivisione di giudizio, sia da parte degli osservatori che deirappresentanti delle istituzioni, riguardo la priorità e l’urgenza di mettere le Autonomie Territorialinelle condizioni di esercitare le proprie funzioni in un quadro normativo certo, semplificato e

flessibile1, il processo di individuazione e attribuzione delle competenze funzionali degli EntiLocali, (da attuarsi - secondo la Costituzione - con legge dello Stato o regionale, a seconda dei

rispettivi spazi di competenza legislativa) continua a subire ritardi2. L’attuazione del federalismo amministrativo è stata “bloccata” anche dalla non riuscita

convergenza tra le forze politiche e le rappresentanze istituzionali regionali e locali, sullacostruzione di un sistema di finanza locale che potesse dare alle autonomie territoriali una

effettiva responsabilità e autonomia di entrata e di spesa3.

1 L’attuazione della riforma costituzionale comprende: la definizione degli assetti delle competenze legislative dello Statoe delle Regioni e la definizione dei principi fondamentali delle materie concorrenti quali presupposto per una esattaesplicazione della potestà legislativa regionale nel processo di riassetto delle competenze amministrative degli EntiLocali; la realizzazione delle Città Metropolitane e l’emanazione delle norme speciali per Roma Capitale; l’attuazione delfederalismo fiscale, elemento imprescindibile per la piena responsabilizzazione delle Autonomie Locali; il rafforzamentodelle sedi di raccordo tra lo Stato, le Regioni e gli Enti Locali.2 Ciò è dovuto alle incertezze dimostrate dalle maggioranze parlamentari fin qui succedutesi Ne sono testimonianza ivari progetti proposti nelle ultime legislature. Sull’argomento cfr. ISAE (2007).

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In considerazione della necessità e urgenza di questi due fondamentali passaggi, la recenteapprovazione della legge delega sul federalismo fiscale e l’avvio dell’iter relativo allo Schema didisegno di legge delega sul federalismo amministrativo, rappresentano delle tappe fondamentalinel processo di ammodernamento degli Enti Territoriali, tanto più considerando che, nel corsodell’ultimo decennio, le capacità gestionali dei Comuni hanno dovuto fronteggiare l’impattoprovocato dall’importante processo di decentramento contenuto nel D. Lgs. 112/1998. Unpassaggio di competenze che ha avuto pesanti effetti sui bilanci dei Comuni, anche perché

attuato durante una fase di ridimensionamento della loro autonomia finanziaria4, e che hacomportato il riconoscimento di maggiori responsabilità nei settori della viabilità, dei trasporti,dello sviluppo economico e delle attività produttive, nella gestione del territorio, delleinfrastrutture, dell’ambiente, nei servizi socio assistenziali e culturali; nuove attività che si sonoaggiunte alle tradizionali funzioni svolte nel campo dei servizi generali di amministrazionepubblica e di polizia locale.

Ma lo scollegamento tra l’iter di approvazione del federalismo fiscale e quello delfederalismo amministrativo potrebbe essere motivo di un ulteriore ritardo della piena attuazionedella riforma costituzionale; un ritardo che penalizzerebbe soprattutto i Comuni, Enti Territorialiche svolgono funzioni pubbliche generali, che non hanno potestà legislativa primaria (come leRegioni) e, tanto meno, svolgono (come fanno invece le Province) attività di programmazione ecoordinamento, cioè funzioni di natura essenzialmente regolamentare.

4.3 LE FUNZIONI AMMINISTRATIVE DEI COMUNI

In materia di competenze funzionali, il nuovo Titolo V, all’articolo 118, recependo leinnovazioni introdotte dalle “Leggi Bassanini”, impiega, come criterio allocativo di base dellefunzioni amministrative, il principio di sussidiarietà verticale, unitamente a quelli di adeguatezza

e differenziazione5.Il Comune è indicato quale Ente destinatario, in via di principio, di tutte le competenze

funzionali; le leggi dello Stato e delle Regioni, secondo le rispettive competenze, devonoriallocare ai livelli di governo territoriale superiori le sole funzioni che il livello inferiore non è ingrado di svolgere o riallocare al livello centrale quelle funzioni per le quali va assicurato

3 La riforma costituzionale del 2001 prevede la costruzione di un efficace meccanismo di finanziamento dellecompetenze degli enti territoriali che - coerentemente - sarebbe dovuto seguire al processo di definizione delle funzionifondamentali e di attribuzione delle altre funzioni amministrative.4 Per una disamina approfondita degli andamenti della finanza locale cfr. ISAE, IRES, IRPET, SRM e IReR (2006 e ss.)5 Al tempo stesso vincola gli Enti territoriali a favorire l’applicazione della sussidiarietà orizzontale, preferendo per losvolgimento di attività di interesse generale l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati mentre, per le materiedella immigrazione, ordine pubblico e sicurezza, tutela dei beni culturali, indica la realizzazione di forme dicoordinamento tra lo Stato e le Regioni.

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l’esercizio unitario. Infatti, a livello centrale o regionale, in applicazione del principio diadeguatezza, può sempre essere mantenuto l’esercizio di determinate funzioni, ma solo qualoraciò sia richiesto da esigenze di unitarietà e efficienza, mentre, per il principio di differenziazione,a Enti dello stesso livello possono essere riconosciute competenze diverse.

Con la riforma costituzionale, pertanto, posta la preferenza generalizzata per gli Enti piùvicini ai cittadini, si è introdotto un criterio guida che dà flessibilità al procedimento di ripartizionedelle competenze, ma che lascia insoluta la questione della relativa regolamentazione.

L’applicazione alla lettera del nuovo testo avrebbe potuto comportare che lo Stato,dichiaratosi competente di una funzione amministrativa a motivo di esigenze unitarie, nonavrebbe avuto, qualora la materia non fosse ricaduta fra quelle di sua competenza legislativaesclusiva, i poteri per disciplinarla. L’attività unificante dello Stato sarebbe potuta quindi essereristretta a poche materie e le funzioni amministrative da esso svolte, ipoteticamente, disciplinatein modo differenziato dalle singole Regioni.

Sulla questione è intervenuta la Corte costituzionale (sent. 303/2003) che ha dato unainterpretazione più flessibile della applicazione del principio di sussidiarietà finora attuato ai sensi

delle “Leggi Bassanini”, prevedendo che la legge statale possa, in determinate condizioni6,allocare funzioni amministrative in capo allo Stato anche in materie di competenza legislativaconcorrente e esclusiva regionale e che, a tale passaggio, debba corrispondere anche la relativapotestà normativa.

Il principio di sussidiarietà (così interpretato) ispira anche il processo di determinazionedelle funzioni fondamentali dei Comuni e delle Province. A differenza delle funzioni la cuiattribuzione segue l’appena menzionato procedimento indicato all’articolo 118 della Costituzione,le funzioni fondamentali devono individuarsi in ragione delle caratteristiche riferibili a ciascunatipologia di Ente e in virtù della competenza legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, comma2, lettera p).

Le funzioni fondamentali sono, infatti, un nucleo di competenze che si distingue, almenoformalmente, da quelle che l’articolo 118 della Costituzione menziona espressamente come“proprie” e “conferite”, originando alcuni problemi interpretativi.

Nel presente studio, la determinazione delle funzioni fondamentali dei Comuni rappresentail presupposto, oltre che per giungere ad una distinzione del ruolo istituzionale di ogni livello digoverno territoriale (a partire proprio da quello di prossimità), per ricercare una quantificazionedel relativo fabbisogno standard, così come ipotizzato dalla legge delega sul federalismo e,quindi, confrontarne i risultati con gli attuali livelli di spesa storica.

La distinzione in categorie delle funzioni amministrative, invero operata dalla riformacostituzionale senza ulteriori dettagli, dovrebbe, secondo la dottrina, proprio riguardare il

6 La valutazione di un interesse pubblico preminente, che legittima la assunzione di funzioni regionali da parte delloStato, deve essere assistita da ragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità. La valutazionepresuppone anche il coinvolgimento delle Regione interessata.

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processo di assegnazione delle competenze che, nel caso delle funzioni fondamentali segue lalettera p) del secondo comma dell’articolo 117, mentre, nel caso delle funzioni “conferite”,dovrebbe avvenire solo con legge regionale e, eventualmente, senza il passaggio della pienatitolarità ma con una delega collegata a possibili vincoli relativi alla durata o all’esercizio dellafunzione (per esempio la verifica periodica dello svolgimento della funzione e l’eventuale revocain caso di inadeguato esercizio). In base a questa ricostruzione, però, vi sarebbe unacoincidenza tra funzioni “fondamentali” e “proprie” e vi sarebbe una interpretazione guidata deltesto della Costituzione, che, al contrario di quanto sostenuto dalla dottrina, prevede ilriconoscimento delle funzioni ”conferite” sia con legge dello Stato che della Regione, a secondadelle rispettive competenze.

Neanche la Corte costituzionale ha chiarito la questione, ha, però, definito funzioni“conferite” quelle attribuite agli Enti Locali da una Regione nelle materie di competenzalegislativa regionale, e ha, sempre secondo una interpretazione volta a semplificare il quadro,

riconosciuto una sostanziale equivalenza tra funzioni “proprie” e funzioni “fondamentali”7. Tutte le interpretazioni sono, comunque, concordi nel riconoscere al potere legislativo dello

Stato, di cui alla lett. p) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione, una trasversalitànella incidenza sugli ambiti di competenza legislativa delle Regioni.

Data la preminenza delle funzioni fondamentali sulle altre funzioni, il dibattito della dottrinagiuridica si è concentrato sull’esatta interpretazione della formula “funzioni fondamentali”; undibattito che ha riguardato, essenzialmente, due aspetti: se per funzioni fondamentali si debbanointendere solo quelle di carattere strumentale al funzionamento dell’ Ente, ovvero, se la categoriapossa considerarsi più ampia, potendovi includere anche le funzioni attribuite dallo Stato e dalleRegioni che, attualmente, i Comuni e le Province svolgono in relazione al soddisfacimento deibisogni essenziali e fondamentali delle Comunità locali.

L’incertezza nasceva dalle modifiche che la riforma costituzionale aveva apportato al

precedente quadro normativo, che si reggeva sull’originario articolo 118 della Costituzione8, sul(tuttora vigente) Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli Enti Locali (TUEL – introdotto conil D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267), in cui gli articoli 13 e 19 si riferiscono, latu sensu, alle funzioniamministrative spettanti ai Comuni ed alle Province, e su specifiche discipline di settore, sia dinatura statale che regionale.

7 In realtà, la Corte non è entrata nel merito della differenza tra funzioni “fondamentali”, funzioni “proprie”, funzioni“conferite” si è solo limitata ad affermare che è la legge dello Stato o quella della Regione a operare la concretacollocazione delle funzioni, nel rispetto del riparto delle competenze legislative e in conformità della attribuzione in viagenerale ai Comuni di tutte le competenze funzionali, principio questo ultimo derogabile per esigenze di eserciziounitario.8 Secondo il quale, applicando il cosiddetto principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative,spettavano alle Regioni le funzioni amministrative relative alle materie di competenza legislativa regionale (elencateall’articolo 117 Cost.), salvo quelle di interesse esclusivamente locale (che potevano essere attribuite agli enti Locali conlegge dello Stato). Le funzioni venivano esercitate normalmente dalle Regioni delegandole alle Province e ai Comuni.

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Nei tentativi di attuazione della riforma costituzionale susseguitisi negli ultimi anni(provvedimenti che non hanno avuto effetti), è possibile notare una coincidente letturainterpretativa solo per quanto concerne le funzioni fondamentali.

Per la “Legge La Loggia” (L. 131/2003), le funzioni fondamentali dei Comuni, delle Provincee delle Città metropolitane andavano individuate tenendo in prima considerazione le funzionistoricamente svolte, in modo da prevedere (anche al fine della tenuta e della coesionedell’ordinamento della Repubblica) per ciascun livello di governo locale la titolarità di funzioniconnaturate alle caratteristiche proprie di ciascun tipo di Ente. Le funzioni sarebbero dovuterisultare essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell’Ente e per il soddisfacimento dibisogni primari delle Comunità di riferimento. Inoltre, nel procedimento di allocazione dellefunzioni fondamentali sarebbero stati valorizzati i principi di sussidiarietà, di adeguatezza e didifferenziazione, in modo da poter assicurarne l’esercizio da parte del livello di Ente Locale che,

per le caratteristiche dimensionali e strutturali, ne avrebbe potuto garantire l’ottimale gestione9. Il progetto di “Codice delle Autonomie” proposto nella passata legislatura, contenente la

delega al Governo per l’attuazione degli articoli 114, 117 e 118 della Costituzione, che

distingueva chiaramente le tre diverse tipologie di funzioni10, prevedeva la individuazione dellefunzioni fondamentali con modalità non sostanzialmente differenti da quelle indicate nella “Legge

La Loggia”11. In più nel “Codice delle Autonomie” si faceva specifico riferimento alle attivitàrelative ai servizi pubblici locali di rilevanza economica il cui svolgimento risultava ivi necessarioal fine di assicurare la soddisfazione dei bisogni primari della Comunità locale, in condizioni digenerale accessibilità fisica ed economica, di continuità e non discriminazione e ai migliori livellidi qualità e sicurezza.

Sia la “Legge La Loggia” che il “Codice delle Autonomie” non hanno avuto attuazione, la

prima per il mancato esercizio della delega prima dello scadere del termine12, il secondo per

9 Per quanto concerne le funzioni diverse da quelle fondamentali, la “Legge La Loggia” ometteva di distinguere trafunzioni “proprie” e “conferite” e si limitava a suddividerle in funzioni conferite (quelle esercitate a livello centrale eregionale e oggetto di decentramento) e quelle considerabili ulteriori e eventuali, da attribuire agli enti di autonomiafunzionale (Università, Istituzioni scolastiche, Camere di Commercio) e relative ai settori della promozione dello sviluppoeconomico e della gestione dei servizi.10 La proposta distingueva le funzioni fondamentali dalle funzioni proprie e da quelle conferite. Le funzioni proprievenivano definite quali compiti ulteriori che i Comuni (e gli altri enti locali) possono assumere nei confronti della propriacollettività. Ma tale assunzione veniva consentita solo nel caso di rispetto di alcuni parametri di virtuosità. Per la propostasi sarebbe trattato di funzioni che non dovevano essere già attribuite o conferite dalle leggi statali o regionali ad altri enti,che erano in grado di soddisfare i bisogni generali e durevoli della collettività amministrata, che dovevano essere svoltesenza l’esercizio di poteri autoritativi e che dovevano essere assunte nel rispetto del principio di adeguatezza, del PSI edell’equilibrio di bilancio ed che dovevano essere esercitate valorizzando la sussidiarietà orizzontale. Le funzioniconferite erano, ai sensi del progetto governativo, funzioni esercitate dallo Stato ma che non richiedono l’unitarioesercizio a livello statale e che sarebbero dovute, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza,essere attribuite a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Si trattava delle funzioni amministrative relative amaterie di competenza esclusiva centrale o di competenza concorrente ed esclusiva regionale; in questo ultimo caso ilconferimento sarebbe stato fatto alle Regioni ai fini del successivo conferimento agli Enti Locali, qualora esse nonavrebbero richiesto di essere esercitate unitariamente a livello regionale.

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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l’interruzione della scorsa legislatura. Le indicazioni contenute nei due provvedimenti, sono stateutilizzate a supporto del nuovo tentativo di attuazione dell’articolo 118 della Costituzionerappresentato dallo Schema di disegno di legge governativo sulle funzioni fondamentali e sulconferimento delle altre funzioni amministrative trasmesso alla Conferenza Unificata il 20

febbraio 200913.

4.4 LA INDIVIDUAZIONE DELLE FUNZIONI FONDAMENTALI SECONDO IL NUOVO SCHEMA DI DISEGNO DI LEGGE GOVERNATIVO

Sia nella “Legge La Loggia” che nel “Codice delle Autonomie” proposto nella passatalegislatura, nella definizione dell’oggetto della delega, sono state utilizzate formulazioni moltoampie, che avrebbero consentito al legislatore delegato, in un secondo tempo, di potersimuovere liberamente nell’individuare le funzioni fondamentali su ambedue i citati piani, quindi,sia in virtù della loro strumentalità all’esistenza e all’operatività stessa dell’Ente, che in virtù dellaloro essenzialità per il soddisfacimento dei bisogni primari delle Comunità.

In tale direzione si è mosso anche l’attuale Governo che, nello “Schema di disegno di leggerecante disposizioni in materia di individuazione e allocazione delle funzioni fondamentali, diconferimento delle funzioni amministrative statali alle Regioni e agli Enti Locali e norme diprincipio per la legislazione regionale” trasmesso il 20 febbraio scorso alla Conferenza Unificata,prevede espressamente che il legislatore delegato debba indicare come fondamentali quellefunzioni che presentino la caratteristica di essenzialità ed imprescindibilità per i concorrenti profili

del funzionamento dell'Ente e del soddisfacimento di bisogni primari14. In tal modo si intendegarantire la stabilità delle sfere di attribuzione degli Enti Locali, anche di fronte ad una eventualefutura produzione legislativa regionale o dello Stato; inoltre, si vuole riconoscere agli Enti Locali

11 Nel Progetto le funzioni fondamentali erano inerenti sia all’esistenza che all’organizzazione dell’ente, sia all’eserciziodi compiti che sono essenziali per la collettività territoriale amministrata. Sono da individuare nel rispetto dei principi disussidiarietà e razionalizzazione tenendo conto delle funzioni storicamente svolte, nonché quelle preordinate a garantirei servizi essenziali su tutto il territorio nazionale, secondo criteri di razionalizzazione e adeguatezza, delle funzioni checonnotano i Comuni quali enti di governo di prossimità (e che connotano le Province quali enti per il governo di areavasta).12 Il Governo d’allora mostrò di puntare maggiormente sul progetto di adozione di una profonda modifica dellaCostituzione; progetto che fu bocciato dall’esito del referendum confermativo svoltosi il 25 giugno 2006.13 Si tratta dello “Schema di disegno di legge recante disposizioni in materia di individuazione ed allocazione dellefunzioni fondamentali, di conferimento delle funzioni amministrative statali alle Regioni e agli enti locali e norme diprincipio per la legislazione regionale” anche definito nuovo Codice delle Autonomie.14 Anche in questa proposta si fa riferimento alla valorizzazione dei principi di sussidiarietà, di adeguatezza e didifferenziazione, in modo da assicurarne l'esercizio da parte del livello di ente locale che, per le caratteristichedimensionali e strutturali, ne garantisca l'ottimale gestione.

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la responsabilità di assicurare, in forma generalizzata, un livello minimo di soddisfacimento deibisogni primari delle Comunità di riferimento.

Si ricorda peraltro che la stesura di tale Schema è ancora nella fase preliminare; potrebbequindi subire modifiche prima della sua definitiva approvazione.

Lo Schema prevede l’attuazione della competenza esclusiva secondo l'articolo 117,secondo comma, lettera p), della Costituzione. Sebbene il legislatore statale individui le funzionifondamentali anche nelle materie di legislazione concorrente o residuale delle Regioni,l’operazione non invade la sfera di competenza legislativa regionale, cui rimane la facoltà didisciplinare quelle che ricadono nelle materie di loro competenza legislativa adeguando lapropria legislazione all’intervento statale (cfr. il riquadro “Lo schema di disegno di legge propostodal Governo e trasmesso alla Conferenza Unificata il 20 febbraio 2009”).

Lo Schema di disegno di legge proposto dal Governo e trasmesso alla Conferenza Unificata il 20 febbraio 2009

Il disegno di legge darebbe attuazione agli articoli 114, primo e secondo comma, 117, secondocomma, lettera p), e 118 della Costituzione, relativamente: all'individuazione e all'allocazione dellefunzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane; al conferimento delle restantifunzioni amministrative in atto esercitate dallo Stato che, non richiedendo l'unitario esercizio a livellostatale, devono essere attribuite a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.

Lo Schema di disegno di legge consta di sette articoli: l'articolo 1 enuncia le finalità della legge;l'articolo 2 conferisce al Governo la delega per la individuazione e la allocazione delle funzionifondamentali; l'articolo 3 conferisce al Governo la delega per l'attuazione dell'articolo 118, primo esecondo comma, della Costituzione; l'articolo 4 stabilisce norme di principio per la legislazioneregionale; l'articolo 5 prevede la soppressione o l'accorpamento di Enti, agenzie ed organismi titolaridi funzioni in tutto o in parte coincidenti con le funzioni allocate; l'articolo 6 costituisce la clausola diinvarianza della spesa; l'articolo 7 concerne l'entrata in vigore delle disposizioni.

Nell'individuazione delle funzioni fondamentali, il legislatore statale procede in manieratrasversale rispetto agli ambiti di competenza legislativa, individuando, per ciascun livello di governoterritoriale, la titolarità di un insieme di competenze che sono connaturate alle caratteristiche propriedi ciascun tipo di Ente. Il legislatore delegato dovrà, quindi, individuare per ciascun Ente le funzioniessenziali ed imprescindibili, con riferimento, da un lato, alla categoria delle funzioni ordinamentali,quelle cioè inerenti l'esistenza e l'organizzazione dell'Ente, e, dall'altro, alla categoria delle funzioniamministrative e gestionali, connesse, quindi, al soddisfacimento dei bisogni primari delle Comunità diriferimento.

Nella operazione il Governo dovrà tener conto delle funzioni storicamente svolte, nonché diquelle preordinate a garantire i servizi essenziali su tutto il territorio nazionale; dovrà considerare trale funzioni fondamentali dei Comuni quelle che li connotano come Enti di governo di prossimità e tra lefunzioni fondamentali delle Province quelle che le connotano come Enti per il governo di area vasta,mentre dovrà considerare tra le funzioni fondamentali delle Città metropolitane, oltre a quelle spettantialle Province, anche quelle di governo metropolitano.

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La allocazione delle funzioni fondamentali dei diversi livelli di governo locale dovrà esserecompiuta privilegiando il criterio degli ambiti omogenei di materia, evitando la sovrapposizione di piùEnti in uno stesso settore di competenza. Dovranno inoltre essere previsti dei criteri per l'adeguatagestione delle funzioni fondamentali anche attraverso l'esercizio in forma associata o tramite gestioneunitaria (senza vincolo di associazione) per evitare duplicazioni di attività e per ottenere una riduzionedei costi.

Nello Schema viene esplicitamente indicato che vanno considerate funzioni fondamentali leattività relative ai servizi pubblici locali di rilevanza economica, il cui svolgimento è necessario al finedi assicurare la soddisfazione dei bisogni primari della Comunità locale e che, qualora per losvolgimento dei compiti si preveda la partecipazione di più Enti, si devono prevedere strumenti diintegrazione e di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo locale.

La disciplina legislativa delle funzioni e delle relative modalità di esercizio resta in capo alloStato o alla Regione sulla base della collocazione della relativa materia nei diversi ambiti dicompetenza legislativa. Entrambi i legislatori dovranno farlo assicurando il rispetto degli spazi diautonomia normativa locale relativi all'organizzazione e allo svolgimento delle funzioni.

A conclusione di questo complesso procedimento, è previsto il riordino e la semplificazione dellestrutture organizzative dell'amministrazione statale, in modo da limitarle a quelle strettamentenecessarie all'esercizio delle funzioni che continueranno ad essere esercitate dallo Stato.

Il Governo è delegato anche ad individuare le restanti funzioni amministrative in atto esercitatedallo Stato che non richiedono l'unitario esercizio a livello statale e che devono, sulla base dei principidi sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, essere attribuite a Comuni, Province, Cittàmetropolitane e Regioni. Si tratta delle funzioni amministrative da conferire alle Regioni e agli EntiLocali, nelle materie di competenza legislativa esclusiva statale e delle funzioni amministrative daconferire alle Regioni nelle materie di competenza concorrente e esclusiva regionale.

Nell'esercizio della delega, il Governo potrà conferire a livello diverso da quello comunalesoltanto le funzioni residuali di cui occorra assicurare l'unitarietà di esercizio, sulla base dei principi disussidiarietà differenziazione e adeguatezza; in deroga, restano di competenza statale talune funzioniamministrative, quali quelle dei beni culturali riconducibili alla materia “tutela dei beni culturali”.

Secondo l’articolato, le Regioni, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore dei decretilegislativi, provvederanno con proprie leggi e sulla base di accordi stipulati nei Consigli delleAutonomie Locali o in altra sede di concertazione prevista dai propri ordinamenti, ad adeguare lapropria legislazione alla disciplina statale di individuazione delle funzioni fondamentali, nelle materiedi propria competenza legislativa, regolandone le modalità di esercizio.

Il legislatore regionale provvederà, inoltre: ad allocare le funzioni amministrative e le relativerisorse in modo organico a Comuni, Province e Città metropolitane al fine di evitare duplicazioni esovrapposizioni di competenze; a conferire, nelle materie di propria competenza legislativa agli EntiLocali le funzioni ad esse pervenute dallo Stato, che non richiedano di essere esercitate unitariamente alivello regionale; a conferire agli Enti Locali le funzioni amministrative esercitate dalla Regione, chenon richiedano l'unitario esercizio a livello regionale; a razionalizzare e semplificare i livelli locali,prevedendo, nel rispetto dei principi degli articoli 97 e 118 della Costituzione, che su un medesimoterritorio possa configurarsi un solo livello plurifunzionale per l'esercizio associato delle funzioni che isingoli Comuni non sono in grado di svolgere singolarmente.

Sempre con legge regionale è prevista la disciplina delle forme e delle modalità diassociazionismo comunale, nonché dell'eventuale esercizio in forma associata di alcune funzioniprovinciali (previo accordo con le province), qualora sia ritenuto necessario per la dimensione ottimaledell'esercizio delle funzioni.

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In sintesi, le funzioni fondamentali dei Comuni debbono essere individuate con riguardo aquelle:

- “connaturate alle caratteristiche proprie di ciascun tipo di Ente, essenziali e imprescindibiliper il funzionamento dell’Ente e per il soddisfacimento dei bisogni primari delle Comunità diriferimento”;

- quelle “storicamente svolte”;

- quelle che connotano i Comuni e Province, rispettivamente, come Enti di governo “diprossimità” e “di area vasta” (per le Città metropolitane si aggiungono le funzioni di governometropolitano).

Questa impostazione sembra voler superare una volta per tutte i dubbi sulla differenza tra lefunzioni “fondamentali” - in ordine alle quali è costituzionalmente previsto l’intervento dellegislatore statale - e le funzioni “proprie”, con la possibile conseguenza di ritenere“fondamentali” molte delle funzioni normalmente oggi esercitate da Comuni e Province.

La proposta sembra pertanto premiare le ragioni della dottrina più attenta agli EntiTerritoriali minori. Seguendo questa impostazione, il legislatore delegato potrebbe individuarecome fondamentali funzioni che nel territorio di una Regione sono ancora esercitate da unaamministrazione diversa da quella del Comune, mentre nel territorio di un’altra, in applicazionedei complicati meccanismi di trasferimento attuati dalle “Leggi Bassanini”, la Regione potrebbegià aver attribuito quella stessa funzione al livello comunale ottenendo quindi lo status difunzione fondamentale. Una altra ipotesi potrebbe vedere la individuazione di una funzionefondamentale delle Province ora assegnata ai Comuni, magari in forma associata, o viceversa.Ma altre combinazioni potrebbero verificasi, visto che il nostro sistema amministrativo èparticolarmente disomogeneo e questo complicherà il processo concreto di attuazione deglieffetti della delega, sebbene il progetto governativo provi a prevedere tutti i possibili passaggi per

armonizzare l’impatto del provvedimento sulle diverse situazioni presenti nei territori15.Volendo provare, in via molto teorica, a individuare le funzioni fondamentali dei Comuni,

sempre seguendo una impostazione volta a favorire il decentramento delle competenze, si puòpartire da una ricognizione generale delle funzioni normalmente svolte da Comuni per poiselezionare tra queste quelle considerabili fondamentali.

L’operazione prende inizio dall’analisi della normativa statale esistente, fondamentalmenteil TUEL, e si avvale del lavoro del Comitato di Indirizzo e Coordinamento Tecnico Scientifico,autore della proposta di decreto legislativo approvata dal Consiglio dei Ministri il 2 dicembre

2005 in attuazione della delega prevista dalla “Legge La Loggia”16.

15 Lo Schema prevede un meccanismo per il trasferimento delle funzioni fondamentali da un ente all’altro qualora essedebbano essere assegnate ad un ente diverso da quello che ne è attualmente titolare oltre che criteri per l’adeguatagestione attraverso l’esercizio in forma associata o la possibilità di stipulare accordi tra Enti Locali per la gestione unitariadelle funzioni fondamentali.

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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Per quanto concerne le singole legislazioni regionali, il diverso grado di decentramentopresente nelle Regioni italiane consiglia di soffermarsi sulle normative della Toscana e dell’EmiliaRomagna, che sono le Regioni che per prime hanno favorito con convinzione la applicazione deiprincipi del decentramento, con una fattiva, decisa e coerente applicazione del principio disussidiarietà verticale. Le Autonomie Locali presenti nei loro territori hanno per questo iniziatoprima delle altre ad usufruire di poteri e modalità decisionali la cui conoscenza può servire perinquadrare quel gruppo di competenze dei Comuni che il legislatore definisce ora funzioni“connaturate alle caratteristiche proprie di ciascun tipo di Ente”.

In Toscana, la scelta del decentramento risale a prima delle “Leggi Bassanini”. A partiredagli anni settanta, la Regione, attraverso numerosi interventi legislativi, ha trasferito a Province,Comuni e Comunità montane, una quota considerevole di funzioni e risorse regionali. Laseconda fase del decentramento si è avuta con la legge regionale n. 77/1995, legge di riordino

delle funzioni amministrative17, e con le tre leggi regionali di attuazione del D. Lgs. 112/199818.In Emilia Romagna, le prime leggi sul decentramento risalgono agli anni settanta (L. R. n. 9/

1972 e n. 18/1978) cui hanno fatto seguito la legge di attuazione del D. Lgs. 112/1998 (L. R. 3/

1999 “Riforma del sistema regionale e locale)19 e la legge di attuazione delle nuove competenze

regionali in materia di istruzione (L. R. 12/2003)20e la legge regionale n. 6 del 2004 (Legge diriforma del sistema amministrativo regionale e locale. Unione Europea e relazioni internazionali.Innovazione e semplificazione. Rapporti con l'università) di recepimento dei nuovi principi

costituzionali e della “Legge La Loggia”21.

16 Cfr. ISAE (2007).17 La legge attribuiva agli Enti Locali la titolarità delle funzioni, da esercitare in pienezza di autonomia. Anticipando icontenuti della riforma Bassanini, la legge prevedeva: la Regione, competente nell’esercizio delle sole funzioni diprogrammazione – controllo – alta amministrazione (oltre che per le funzioni che corrispondono a specifici interessi dicarattere unitario); le Province, competenti nell’esercizio delle funzioni amministrative di programmazione nella generalitàdelle materie e delle competenze loro attribuite; i Comuni, competenti nell’esercizio della generalità delle funzioniamministrative di tipo gestionale non riservate, oltre che di programmazione a livello locale. Il riordino delle funzioniamministrative comportava per la Regione la perdita della sua originaria configurazione di centro ordinario di spesa; lerisorse finanziare regionali venivano, per la prima volta, direttamente assegnate agli Enti Locali al fine di finanziare iprogrammi di investimento, secondo obiettivi e priorità stabiliti dagli atti della programmazione regionale. 18 Leggi regionali nn. 85, 87, 88 del 1998. 19 La legge ricalcava la struttura del decreto legislativo intervenendo su tutta la gamma delle materie ivi trattate (sviluppoeconomico e attività produttive; territorio, ambiente e infrastrutture; servizi alla persona e alla Comunità; poliziaamministrativa regionale e locale e regime autorizzatorio). Le funzioni sono state ripartite tra i livelli di governo territorialeadottando metodi di collaborazione e concertazione e razionalizzando l’assetto e la organizzazione delle funzioni. AiComuni sono state attribuite tutte le funzioni amministrative non riservate agli altri enti locali, alle autonomie funzionali oalle Regioni, mentre alle Province sono state riconosciute le funzioni di programmazione territoriale ed economicosociale e tutte quelle che non possono essere svolte adeguatamente dai Comuni. Alle Regioni spettano i compiti diprogrammazione e pianificazione regionale, di indirizzo e coordinamento delle funzioni conferite o delegate e dipromozione della concertazione. 20 Cfr. ISAE (2006).

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Tanto premesso, partendo dal TUEL si può affermare che le funzioni in diversi modi iviriconosciute ai Comuni possano considerarsi fondamentali; si tratta di tutte le funzioniamministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settoriorganici dei servizi alla persona e alla Comunità, dell'assetto ed utilizzazione del territorio e dellosviluppo economico (salvo quanto non sia attribuibile ad altri soggetti dalla legge statale oregionale).

Il TUEL fa anche riferimento ai compiti che il Comune svolge per quei servizi nati dicompetenza statale ma che possono essere ormai qualificati quali funzioni fondamentalistoricamente svolte: servizi elettorali, di stato civile, di anagrafe, di leva militare e di statistica.

Tra le funzioni essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell’Ente, troviamo: lefunzioni generali di programmazione, amministrazione e di gestione economico – finanziaria,quelle relative alla organizzazione e gestione del personale, al controllo interno, nonché lefunzioni di gestione dei beni demaniali e patrimoniali.

Altre funzioni la cui imprescindibilità per il funzionamento dell’Ente non può essere messa indiscussione, sono quelle relative al servizio di polizia locale, mentre connaturate alla realtàlocale e al soddisfacimento dei bisogni della Comunità, anche essi considerabili primari, sonoquelle collegate ai legami storico-culturali locali che favoriscono il senso di appartenenza neicittadini: biblioteche, musei, pinacoteche.

Tra i servizi pubblici locali di rilevanza economica (o industriale), il cui svolgimento ènecessario al fine di assicurare la soddisfazione dei bisogni primari della Comunità locale, vannoinclusi il servizio idrico integrato e la gestione dei rifiuti, il trasporto pubblico locale, ladistribuzione e vendita del gas. Per questi ultimi vige, come è noto, un periodo transitorio, inquanto è da tempo previsto per i Comuni l’obbligo di mettere a gara il servizio del trasporto locale

21 La legge adegua l'ordinamento della Regione Emilia Romagna alla riforma costituzionale, perseguendo i seguentiobiettivi: a) adeguare l'ordinamento della Regione alle esigenze di adempimento delle funzioni che la Costituzione lericonosce in ambito europeo e internazionale; b) valorizzare l'autonomia degli Enti locali, con particolare riferimento aquella normativa chiarendone i rapporti con le fonti regionali; c) adeguare la disciplina della Conferenza Regione-Autonomie locali alla prospettiva della costituzione del Consiglio delle Autonomia previsto dall'articolo 123, commaquarto della Costituzione; d) rafforzare gli strumenti di integrazione e concertazione tra diverse istituzioni e diversepolitiche, al fine di offrire ai cittadini prestazioni e interventi organicamente coordinati; e) attuare i principi costituzionali disussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, valorizzando particolarmente le forme associative tra Comuni; f) favorire lacooperazione in ambito interregionale; g) superare i controlli preventivi di legittimità ed introdurre forme diComunicazione, supporto e monitoraggio condiviso tra Regione ed Enti locali; h) favorire la semplificazione el'accelerazione delle procedure, l'innovazione e la trasparenza dell'attività normativa e amministrativa, anche mediantel'utilizzazione di strumenti informatici; i) stabilire nuovi criteri di organizzazione regionale con particolare riferimento alsistema delle agenzie e alle nomine; l) prevedere uno stabile sistema di raccordo con le Università e stabilire criteri per lavalutazione dei titoli universitari ai fini delle assunzioni nelle amministrazioni regionale e locali.Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni secondo criteri di differenziazione ed adeguatezza, tenendo contodella loro dimensione associativa. La legge regionale può prevedere specifici conferimenti ai Comuni capoluogo, aiComuni ed alle Unioni di Comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti, in ragione delle loro specifichecaratteristiche territoriali ed organizzative. Le funzioni amministrative conferite ai Comuni, quando la legge regionalefissa requisiti demografici, organizzativi o di estensione territoriale per il loro esercizio, sono esercitate, per i Comuni chenon li raggiungono, dalle Unioni e dalle Comunità montane, nonché dalle Associazioni intercomunali che rispettino talirequisiti e che espressamente deliberino di accettare.

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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e la gestione delle reti e degli impianti di cui i Comuni sono proprietari; i servizi pubblici locali arilevanza economica sono, infatti, tuttora gestiti in economia direttamente dagli Enti Locali date lecaratteristiche proprie di monopolio naturale. L’avvio agli inizi degli anni novanta degli interventidi riforma ha risposto all’esigenza di recuperare le inefficienze degli assetti comunali,caratterizzati da una forte frammentazione gestionale e persistenti deficit strutturali, ed è statorivolto alla definizione di incentivi adeguati per migliorare le condizioni di offerta e per soddisfarele domande dei consumatori-utenti. Il principio che ha guidato i vari interventi riformatori si èpertanto incentrato sulla “separazione” tra governo e imprese (con l’intento di arginarel’ingerenza politica): tale principio dovrebbe condurre, progressivamente, allo spostamentodell’ambito di influenza pubblica dalla produzione diretta alla pianificazione e regolazione delservizio e all’individuazione della società di capitale come esclusiva forma di gestione per i

servizi di rilevanza economica22. Volendo separare le funzioni supposte quali fondamentali per settori, tenendo il più

possibile conto della suddivisione in uso nel Certificato del conto di bilancio23del Ministero

dell’Interno, abbiamo24:

a) Funzioni istituzionali generali di amministrazione, di gestione e controllo,organizzazione e gestione del personale; gestione economica e finanziaria; controllointerno; raccolta e elaborazione dei dati informatici e statistici; servizio elettorale; servizio distato civile; servizio anagrafe; altri servizi generali.

b) Polizia locale: controllo mobilità e sicurezza stradale; controllo delle attività commerciali;controllo edilizio; accertamento degli illeciti amministrativi e relativa irrogazione di sanzioni,etc..

c) Gestione del territorio e dell’ambiente: 1) urbanistica, edilizia residenziale pubblica, piani diedilizia economico popolare, pianificazione territoriale di base (Piano regolatore generale),recupero urbano, catasto, costruzione e manutenzione delle opere pubbliche comunali,gestione del patrimonio residenziale pubblico (comprensivo della rilevazione del fabbisognoabitativo e dell’accertamento dei requisiti per l’accesso ai finanziamenti per la ediliziaresidenziale pubblica); 2) controllo e gestione delle aree protette di valore ambientalelocale, controllo e interventi contro l’inquinamento acustico – atmosferico –elettromagnetico - luminoso e delle acque, servizio idrico integrato, servizio smaltimento

22 Cfr. ISAE (2007).23 Ma le classificazioni che individuano le funzioni fondamentali possono essere diverse. Una tripartizione delle funzionidel certificato del conto di bilancio è effettuata ad esempio in Galmarini e Rizzo (2008), che individuano tre macrocategorie: servizi di interesse economico, servizi dedicati alla gestione dei beni patrimoniali del Comune e servizi socialie istituzionali; questi ultimi ritenuti riconducibili alle funzioni fondamentali ai sensi dell’art. 117, c. 2, lett. p) dellaCostituzione. 24 Nell’elenco si indicano solo le principali attività riferibili ai settori indicati.

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rifiuti, bonifiche dei siti inquinati comunali; 3) protezione civile (piani di prevenzione e diemergenza avverso gli eventi calamitosi).

d) Sviluppo economico e servizi produttivi: 1) servizi relativi ai settori del commercio –industria – artigianato – turismo: localizzazione e gestione dei servizi delle aree industriali –delle aree attrezzate per l’insediamento delle attività artigiane; concessione su benidemaniali per scopi turistici; rilascio di autorizzazioni e vigilanza sulle attività commerciali,sulle manifestazioni fieristiche locali, sulle attività artigiane, sulle attività ricettive;determinazione degli orari di apertura dei pubblici esercizi; promozione e sostegno delleattività produttive e delle risorse turistiche locali; promozione delle manifestazioni fieristichelocali; valorizzazione dei prodotti locali; etc..; 2) affissioni e pubblicità; 3) mattatoio e serviziconnessi; 4) farmacie comunali; 5) distribuzione del gas e controllo degli impianti termici ecertificazione energetica degli edifici.

e) Servizi alla persona e alla collettività: 1) funzioni di istruzione pubblica relative allaorganizzazione e gestione dei servizi scolastici degli asili nido, della scuola materna, dellaistruzione elementare e della istruzione secondaria di primo grado e relative alla assistenzascolastica (mense, trasporto, fornitura testi scolastici, prevenzione all’abbandono scolasticononché supporto scolastico per gli alunni in condizioni di disagio, etc); 2) progettazione egestione del sistema locale dei servizi sociali e erogazione delle prestazioni (servizi perl’infanzia e per i minori, strutture residenziali e di ricovero per anziani, assistenza ebeneficenza, servizi di prevenzione e riabilitazione, promozione del volontariato); 3)partecipazione alla programmazione sanitaria regionale e adozione di provvedimentiurgenti in caso di emergenze sanitarie; 4) servizi e concessioni cimiteriali; polizia sanitaria –veterinaria – mortuaria.

f) Trasporti e viabilità: 1) programmazione e gestione del trasporto pubblico locale(automobilistico, tranviario, metropolitano), rilascio dei titoli abilitativi per l’esercizio delservizio di trasporto; 2) circolazione stradale, costruzione e manutenzione degli impianti diilluminazione, classificazione delle strade comunali, costruzione e manutenzione dellestrade e dei parcheggi.

g) Beni e attività culturali: istituzione, gestione, conservazione di teatri, musei, pinacoteche earchivi di interesse comunale, di giardini botanici e zoologici; promozione di attività culturali(mostre, rassegne, festival e spettacoli teatrali, circensi. etc..).

h) Sport: gestione di impianti sportivi e promozione delle attività sportive.

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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4.5 LE FUNZIONI FONDAMENTALI NELLA LEGGE DELEGA SUL FEDERALISMO FISCALE

Sebbene molte delle funzioni selezionate rappresentino una attività esclusivamenteregolamentare, e quindi con effetti limitati sulla spesa corrente, una individuazione delle funzionifondamentali così in sintonia con le aspettative dei Comuni comporta una appurata analisi

quantitativa, in considerazione del fatto che la legge delega sul federalismo fiscale25 prevede cheil loro finanziamento, e quello relativo ai livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esseimplicate, avverrà in modo da garantire la copertura integrale in base al fabbisogno standard esarà assicurato dai tributi propri (secondo la definizione indicata all’articolo 7 della legge), da

compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali e da addizionali a tali tributi26, la cuimanovrabilità sarà stabilita tenendo conto della dimensione demografica dei Comuni per fasce, edal fondo perequativo.

Le funzioni fondamentali si differenzieranno dalle “altre funzioni”; per queste ultime, nonaventi il carattere della essenzialità, non è prevista la garanzia del finanziamento integrale delfabbisogno standard e la loro modalità di finanziamento prevede il gettito dei tributi propri,compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali e fondo perequativo basato sulla capacitàfiscale per abitante che elimina solo in parte le differenze tra le capacità fiscali dei diversi territori.

La legge delega fa anche riferimento alle ulteriori funzioni che saranno trasferite agli EntiLocali dallo Stato e dalle Regioni (ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione e secondo lemodalità di cui all’articolo 7 della legge “La Loggia”, L. 131/2003); per queste funzioni si prevedeche i futuri decreti dovranno individuare le modalità relative al loro finanziamento integrale, ovead esso non si sia già provveduto contestualmente al trasferimento.

Il superamento della spesa storica (quale criterio di finanziamento delle funzioni utilizzatofinora), basato sul costo di esercizio effettivo in un arco temporale prefissato, introduce nuoviparametri - maggiormente rispondenti a criteri di efficienza, economicità, razionalità – che gli EntiLocali dovranno seguire nell’esercizio delle loro attività.

Quanto alla problematica dei costi, nel testo della legge delega sono presenti delledisposizioni che intendono restringere il più possibile il campo a interpretazioni che non tenganoconto dell’obiettivo del tendenziale riequilibrio dei bilanci pubblici:

25 La legge delega prevede che i futuri decreti legislativi relativi al finanziamento delle funzioni dei Comuni (e delleProvince e delle Città metropolitane) saranno adottati seguendo princıpi e criteri direttivi che tengono conto dellaseguente classificazione delle spese relative alle funzioni degli Enti Locali: 1) spese riconducibili alle funzionifondamentali ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, come individuate dalla legislazionestatale; 2) spese relative alle altre funzioni; 3) spese finanziate con i contributi speciali, con i finanziamenti dell’Unioneeuropea e con i co - finanziamenti nazionali riconducibili al quinto comma dell’articolo 119 Cost.26 Le spese dei Comuni relative alle funzioni fondamentali saranno prioritariamente finanziate da una o più delle seguentifonti: dal gettito derivante da una compartecipazione all’IVA, dal gettito derivante da una compartecipazione all’impostasul reddito delle persone fisiche, dalla imposizione immobiliare, con esclusione della tassazione patrimoniale sull’unitàimmobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo.

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a) il costo e il fabbisogno standard è considerato come un indicatore rispetto al qualecomparare e valutare l’azione pubblica in modo da stimolare l’efficacia e l’efficienzadell’Ente;

b) viene posto l’obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva27;

c) non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (principio di invarianzadelle spese);

d) in merito al graduale superamento del criterio della spesa storica, si prevede, in attesa dellaemanazione della legge statale che individui le spese riconducibili alle funzionifondamentali, una fase transitoria, con la indicazione di tempi e modalità relative alfinanziamento delle spese degli Enti Locali;

e) le funzioni fondamentali degli Enti Locali sono circoscritte (provvisoriamente) in un numerolimitato.

Gli ultimi due punti rappresentano dei criteri che, nella fase transitoria, dovranno essereseguiti nel finanziamento delle spese degli Enti Locali ma che possono essere considerati anchecome delle indicazioni di massima per la susseguente opera di individuazione delle funzionifondamentali.

Il fabbisogno delle funzioni dei Comuni viene finanziato assumendo l’ipotesi, riduttiva delle

aspettative dei rappresentanti dei Comuni, che l’80% delle spese28 sia considerato comericonducibile alle funzioni fondamentali, individuate e quantificate dalle corrispondenti voci dispesa, sulla base della articolazione in funzioni e relativi servizi prevista dal DPR 194/1996, e

che il residuo 20 %29 si riferisca alle funzioni non fondamentali. Ai fini della determinazione dell’entità e del riparto dei fondi perequativi degli Enti Locali, la

legge delega prevede che, in prima applicazione nei decreti legislativi, per il periodo transitorio,ai fini del finanziamento integrale sulla base del fabbisogno standard, siano provvisoriamenteconsiderate le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, (sempre)sulla base dell’articolazione in funzioni e relativi servizi prevista dal DPR 194/1996. Di seguitoviene proposto l’elenco provvisorio delle funzioni fondamentali da finanziare sulla base delfabbisogno standard. Per i Comuni, secondo la legge delega, le funzioni da considerareprovvisoriamente fondamentali, con considerazione delle spese come certificate a rendicontodall’ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge, sono:

27 I decreti attuativi dovranno individuare meccanismi idonei a garantire la determinazione periodica del limite massimodella pressione fiscale generale e del suo riparto tra i diversi livelli di governo. 28 Finanziato per mezzo delle entrate derivanti dalla autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributierariali e dal fondo perequativo.29 Finanziato per mezzo delle entrate derivanti dalla autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributiregionali e dal fondo perequativo basato sulla capacità fiscale.

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del70% delle spese;

b) funzioni di polizia locale;

c) funzione di istruzione pubblica, compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenzascolastica e refezione, nonché l’edilizia scolastica;

d) funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;

e) funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente, fatta eccezione per il servizio diedilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia economico-popolare nonché per ilservizio idrico integrato;

f) funzioni del settore sociale.

Rispetto alle funzioni individuate nelle pagine precedenti, secondo una interpretazione delnuovo Schema di Codice delle Autonomie maggiormente predisposta verso il decentramentodelle responsabilità amministrative e delle risorse finanziarie, nell’elenco della legge delegamancano i settori relativi alla cultura, allo sport, allo sviluppo economico e ai servizi produttivi,oltre a singole importanti funzioni quali la edilizia residenziale, i piani di edilizia, il servizio idricointegrato. Al momento, mentre la L. 42/2009, per la fase transitoria, tende verso un contenimentodell’attribuzione delle competenze comunali e dei relativi finanziamenti, lo Schema sulfederalismo amministrativo, ricalcando le soluzioni dei precedenti provvedimenti di attuazionedella riforma costituzionale, porta a riconoscere nella categoria delle funzioni fondamentali lamaggior parte delle attività amministrative attualmente svolte dai Comuni. Solo con laemanazione della versione definitiva del nuovo "Codice delle Autonomie" si saprà quale delledue impostazioni si rivelerà indirizzo generale dell'attuazione del federalismo fiscale eamministrativo. Anche se, essendo l'emanazione della legge delega successiva allaimpostazione dello Schema sul "Codice delle Autonomie" di febbraio, si può supporre cheprevalga l'impostazione della legge delega 42/2009.

4.6 L’INTRODUZIONE DEL CONCETTO DI FABBISOGNO STANDARD NELLA NORMATIVA ITALIANA IN MATERIA DI FINANZA LOCALE

Il concetto di fabbisogno di spesa standard entra nella nuova normativa in una dupliceveste: da un lato, diviene criterio di riferimento per il finanziamento delle spese per le funzioni

fondamentali degli Enti Locali30; dall’altro, insieme al concetto di costo standard, diviene criteriodi comparazione e valutazione dell’azione pubblica finalizzato a tenere conto dell’efficienza e

dell’efficacia31.

30 Art. 2, secondo comma, lettera m).31 Art. 2, secondo comma, lettera f).

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Il principio del superamento del finanziamento in base al criterio della spesa storicarappresenta un’innovazione di vaste implicazioni per il sistema della finanza locale. Questo

passaggio avverrà in maniera graduale (dopo un transizione di cinque anni)32 e dovrà comunqueavvenire nel rispetto dei principi di solidarietà e coesione sociale. A tal fine, all’interno di unquadro di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, la delega prevede unsistema di perequazione per i territori con minore capacità fiscale. Per tenere conto delledifferenze statutarie, la legge regola separatamente gli Enti appartenenti alle Regioni a statuto

speciale e alle Province Autonome33.La delega stabilisce esplicitamente che il superamento del criterio della spesa storica deve

avvenire a favore di: a) un criterio basato sul fabbisogno di spesa standard per il finanziamentodei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere

garantiti su tutto il territorio nazionale34 e delle funzioni fondamentali (FF) svolte dagli Enti

Locali35; b) un criterio di perequazione della capacità fiscale per le altre funzioni. Per i LEP e leFF la delega stabilisce il principio del finanziamento integrale.

Più nel dettaglio, con riferimento ai Comuni, stabilisce36 - come già ricordato - che ilfinanziamento delle FF debba avvenire per il tramite: “prioritariamente” del gettito di unacompartecipazione all’IVA, di una compartecipazione all’imposta sui redditi delle persone fisiche,dell’imposizione immobiliare (esclusa quella su abitazioni principali); a residuo da un fondoperequativo appositamente istituito nei bilanci delle Regioni. La dimensione del Fondo èdeterminata “con riguardo alle funzioni fondamentali, in misura uguale alla differenza tra il totaledei fabbisogni standard per le medesime funzioni e il totale delle entrate standardizzate”

individuate come fonti di finanziamento prioritarie37. La ripartizione del Fondo perequativo tra isingoli Comuni per la parte afferente alle FF avviene secondo due criteri: a) per la parte corrente,in base a un indicatore di fabbisogno finanziario dato dalla differenza tra la spesa primariacorrente standardizzata e le entrate standardizzate; b) per la parte in conto capitale, in base aindicatori di fabbisogno di infrastrutture che tengano conto dei finanziamenti UE e dei vincoli diaddizionalità cui sono soggetti. La delega prevede che ai soli fini della ripartizione del fondoperequativo (delle risorse cioè assegnate dallo Stato al bilancio della Regione per la

32 Art. 21, primo comma, lettera e).33 L’Art. 1, secondo comma, stabilisce esplicitamente che: “Alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome diTrento e Bolzano si applicano, in conformità agli statuti, esclusivamente le di disposizioni di cui agli articoli 15, 22 e 27”; sitratta delle norme che regolano i finanziamento delle città metropolitane, il periodo transitorio della perequazioneinfrastrutturale e di un apposito Capo della legge (il IX) che reca Obiettivi di perequazione e di solidarietà per le Regioni astatuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano.34 Cfr. Art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione.35 Cfr. Art. 117, secondo comma, lettera p) della Costituzione.36 Art. 12, primo comma, lettera b).37 Art. 13, primo comma, lettera a).

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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perequazione dei Comuni) la Regione possa provvedere a proprie valutazioni della spesacorrente standardizzata e delle entrate standardizzate, sempre sulla base dei criteri generaliindicati dalla delega, che implichino una diversa allocazione tra i singoli Enti; la diversaallocazione deve comunque rispettare il vincolo temporale di trasferimento agli Enti delle risorse

perequative (entro venti giorni dal loro ricevimento)38. Il secondo contesto in cui il concetto di fabbisogno standard assume un ruolo nella legge

delega è quello della costruzione di un sistema di benchmarking all’interno del cosiddetto “Patto

di convergenza”39. Si tratta di “norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica volte arealizzare l’obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli digoverno”. Questo processo si accompagna a un percorso di convergenza degli obiettivi diservizio “ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali” e prevede, in caso dimancato raggiungimento degli obiettivi assegnati e previa intesa in sede di Conferenza unificata,l’attivazione da parte dello Stato di un “Piano per il conseguimento degli obiettivi diconvergenza”. Il Piano scatta nei confronti degli Enti che presentano maggiori scostamenti neicosti per abitante e deve accertare le cause di tali scostamenti e stabilire le necessarie azionicorrettive. La norma prevede esplicitamente a questo proposito che si fornisca agli Enti lanecessaria assistenza tecnica e che si utilizzi “ove possibile, il metodo della diffusione dellemigliori pratiche fra gli Enti dello stesso livello”.

La questione del computo del fabbisogno di spesa standard per le FF diviene quindi moltopiù che un fatto puramente tecnico. Avrà implicazioni per il finanziamento e per la valutazionedegli Enti. Richiederà un processo di condivisione delle metodologie da utilizzare, dei dati su cuiil computo dovrà avvenire, delle modalità di aggiornamento della procedura nel corso del tempo;questo processo dovrà coinvolgere necessariamente tutti gli attori principali.

Va sottolineato, infine, che sulla questione della convergenza delle prestazioni relative alle

FF la delega si spinge molto oltre40, prefigurando “l’individuazione di indicatori di efficienza e diadeguatezza atti a garantire adeguati livelli qualitativi dei servizi resi da parte di Regioni ed Enti

Locali”41 e “l’introduzione di un sistema premiante nei confronto degli Enti che assicurano elevataqualità dei servizi e livello di pressione fiscale inferiore alla media degli altri Enti del proprio livello

di governo a parità di servizi offerti”42. Un sistema di questo tipo presuppone consolidati flussiinformativi sull’attività degli Enti, con riferimento sia alle semplici quantità dei servizi erogati, sia aindicatori della loro qualità; flussi che comunque si renderanno necessari anche ai fini del calcolodei costo e dei fabbisogni standard.

38 Art. 13, alla lett. g).39 Art. 18.40 Art. 17, primo comma.41 Art. 17, primo comma, lettera d).42 Art. 17, primo comma , lettera e).

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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4.7 LA METODOLOGIA DI CALCOLO DELLA SPESA STANDARD

La legge delega fornisce indicazioni sulle modalità di determinazione della spesa corrente

standardizzata relativa alle FF43. Questa dovrà essere “computata … sulla base di una quotauniforme per abitante, corretta per tenere conto della diversità della spesa in relazioneall’ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali, con particolare riferimento alla presenzadi zone montane, alle caratteristiche demografiche, sociali e produttive dei diversi Enti. Il pesodelle caratteristiche individuali dei singoli Enti nella determinazione del fabbisogno è determinatocon tecniche statistiche, utilizzando i dati della spesa storica dei singoli Enti, tenendo contoanche della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata”.

Le indicazioni specifiche che se ne traggono sono pertanto le seguenti:

1) il calcolo deve riguardare il fabbisogno di spesa pro capite;

2) si deve partire assumendo implicitamente una spesa uniforme alla base del calcolo;

3) si deve correggere questa spesa in base a numerosi fattori che influiscono sul fabbisognodi spesa degli Enti a causa di fattori oggettivi di maggiorazione o riduzione della spesa;

4) il procedimento da utilizzare deve essere di tipo statistico e deve fondarsi sui dati storici dispesa;

5) occorre tenere conto di alcune evidenti differenze nei dati di spesa derivanti dalla modalitàcon cui in taluni casi viene svolta (esternalizzazioni).

In merito alla questione delle esternalizzazioni, che evidentemente producono una strutturadella spesa non comparabile, negli studi rintracciabili in letteratura tipicamente la spesa viene

resa omogenea detraendo dalla spesa corrente comunale i proventi dei servizi pubblici44.Tuttavia è evidente che il ruolo che la stima del fabbisogni standard ricoprirà all’interno delsistema di finanziamento richiederà un livello di approssimazione inferiore e una conoscenzadiretta di questo fenomeno. Occorrerà provvedere alla raccolta delle informazioni necessarie,strutturando in prospettiva flussi obbligatori di informazioni da Comunicare da parte degli Enti.

Il riferimento alle tecniche statistiche sembra richiamare metodi impiegati in precedenti studidella perequazione svolti in ambiti ufficiali (in occasione di modifiche normative rilevanti deisistemi di finanza locale). Questi, partendo dalla spesa effettiva degli Enti desunta dai bilanciconsuntivi comunali, si sono serviti tipicamente di approcci di tipo econometrico, regredendo i

43 Art. 13, primo comma, lettera d).44 Questo metodo consente di depurare la spesa degli effetti delle diverse modalità di produzione dei servizi pubblici: sela produzione avviene in economia, la spesa incorpora le spese per il personale e per i beni e servizi necessari aprodurre i servizi offerti mentre tra le entrate figurano i corrispettivi pagati dai cittadini per i servizi acquistati (le tariffe); seal contrario, la produzione è affidata a soggetti terzi la spesa incorpora soltanto i trasferimenti erogati alle società diservizi ad integrazione del corrispettivo pagato dai cittadini direttamente alle società che quei servizi producono pertantoi Comuni che hanno esternalizzato la produzione dei servizi pubblici presentano una spesa corrente più bassa, a parità diservizi offerti. La detrazione dei proventi dei servizi dalla spesa corregge per chi non ha esternalizzato questa differenza.

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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livelli di spesa pro capite dei singoli Comuni su variabili esplicative che si riteneva dovesseroinfluire sul fabbisogno di spesa. L’esempio più recente è dato dai lavori dell’Osservatorio per lafinanza e la contabilità degli Enti locali, organismo costituito presso il Ministero dell’Interno con lalegge finanziaria per il 2000 (legge 133/1999) che delegava il Governo ad emanare norme per larevisione del sistema dei trasferimenti erariali. Nella Relazione finale del 2000, l’Osservatoriopresenta una stima del fabbisogno di spesa standard dei Comuni ottenuta attraverso unaregressione multipla che considera tra le variabili esplicative (molte delle quali rapportate alnumero degli abitanti) la popolazione residente, la superficie urbanizzata, la densità abitativa, lastruttura dell’occupazione per settori, il numero di nuclei familiari, la presenza di anziani, ilnumero di seconde case, oltre a numerose dummy, che colgono soprattutto fattori di tipoterritoriale (area geografica, altimetria, territorio su isole), l’appartenenza ad aree montane e laeventuale funzione di capoluogo interagita con la dimensione della popolazione universitaria(utilizzata insieme alla dimensione dell’industria turistica dei Comuni per cogliere l’impatto delladifferenza tra la popolazione presente nel territorio e quella residente); vengono inoltre introdottevariabili geografiche, mirate a tenere conto delle diverse caratteristiche economico-sociali perdiscriminare i Comuni siti in aree cosiddette disagiate.

Questo modo di procedere non si differenzia nella sostanza dalla metodologia prefiguratadalla attuale delega, che assume come punto di partenza un livello di fabbisogno pro capiteuniforme per abitante per poi correggerlo al fine di tenere conto della diversità della spesa dovuteall’ampiezza demografica (rispetto alla quale la spesa storica ha storicamente mostrato un tipico

andamento ad U) e alle diverse caratteristiche territoriali, demografiche, sociali e produttive45.Una conferma indiretta del favore per una metodologia del tipo utilizzato dall’Osservatorio puòessere tratta anche dalle conclusioni di un altro organismo ufficiale, l’Alta Commissione per ladefinizione dei meccanismi strutturali del Federalismo Fiscale (ACoFF), che nel suo Rapporto

finale del 2005 richiama proprio le conclusioni del precedente studio dell’Osservatorio46.

Quella della stima del fabbisogno di spesa standard è tuttavia questione controversa47. Daparte di alcuni si obietta che il fatto di considerare come variabili esplicative solamente quelle chesi ritiene debbano influire sul fabbisogno di spesa “oggettivo” o standard degli Enti non sia il

45 Il meccanismo con cui opera una regressione, infatti, assume implicitamente l’esistenza di un valore medio teoricodella variabile dipendente (la spesa pro capite) comune a tutte le osservazioni, che viene differenziato (viene “corretto”)in base all’effetto marginale che ciascuna variabile esplicativa esercita su di esso. L’effetto marginale viene calcolato perciascuna variabile esplicativa in base a un medesimo coefficiente (ottenuto dalla stima econometria) ma applicato alladiversa dimensione che la variabile stessa assume per ciascuna osservazione. Il valore teorico della spesa pro capitecosì calcolato differisce dalla spesa effettiva per la componente residuale generata dalla regressione, cioè non spiegatadalle variabili esplicative prescelte; misura la parte “non standard” della spesa attribuibile a ciascun ente.46 A proposito dei metodi di stima della spesa standard, l’AcoFF infatti sottolineava che: “utili indicazioni possono esseretratte dagli studi effettuati in relazione all’art. 11 lett. f della L. 133/1999 [cioè quelli condotti dall’Osservatorio]. … In questilavori, oltre ad una sperimentazione della significatività di alcune variabili esplicative delle spese, vengono esaminati ivantaggi e gli svantaggi di diverse soluzioni, ad esempio per quanto riguarda la suddivisione o meno dei Comuni in classidemografiche o la inclusione o meno delle entrate (proprie e derivate) tra le variabili esplicative.” (cfr. Rapporto finale,Allegato 1, p. 14).

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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procedimento migliore; riferendosi i dati su cui è effettuata la regressione alla spesa effettiva,sarebbe piuttosto desiderabile considerare l’insieme quanto più possibile completo delle variabiliche determinano i comportamenti effettivi di spesa degli Enti (comprese quelle che unavalutazione del benchmark di riferimento non giustificherebbe perché ad esempio motivate da

inefficienza), modellando al meglio i dati di bilancio disponibili48. La questione tuttavia non èovvia, poiché se è vero che tecnicamente la stima risulterà migliore e più affidabile se tende amodellare la spesa effettiva con il massimo dettaglio, tuttavia sotto il profilo applicativo esisteindiscutibilmente un trade off tra necessità di disporre, da un lato, di una metodologia che siasemplice e il più possibile trasparente (poiché questa deve essere condivisa a livello decisionale

“politico” da tutti gli Enti interessati)49 e, dall’altro, la bontà statistica del risultato dellaregressione. Queste due esigenze possono risultare in conflitto.

Un elemento che forse andrebbe tenuto presente a questo proposito è la differenteimplicazione che la scelta del livello di complessità della stima può avere a seconda dell’ambitodi utilizzo del fabbisogno standard: probabilmente occorre privilegiare la scelta della “semplicità”ai fini della determinazione delle risorse da attribuire con il fondo perequativo, e quella della“complessità” ai fini del calcolo del benchmark di efficienza da utilizzare per il confronto sullaperformance dei vari Enti:

1) nel primo caso, infatti, oltre al problema della condivisione della metodologia che vieneinasprito dalla rilevanza che il calcolo ricopre ai fini “finanziari”, il computo porta a definiredirettamente la componente di spesa che interessa misurare, cioè la spesa standard. Conquesta, di fatto, si vuol misurare il livello di spesa pro capite che il singolo Ente dovrebbe

47 Per una rassegna della letteratura in materia di fabbisogno di spesa standard, che tiene conto sia degli studiaccademici che di quelli ufficiali, si rimanda a ISAE (2008). Per una stima recente della spesa standard si veda Galmarinie Rizzo (2008).48 Su questa linea si muovono, ad esempio, Rizzi e Zanette (2007), che definiscono la spesa standard come ilfabbisogno di risorse necessario allo svolgimento delle funzioni fondamentali, calcolandolo come il valore teoricoottenuto a partire da regressioni della spesa effettiva dove si attribuiscono valori standard, uguali per tutti, alle solevariabili soggettive: ”Per evitare che la stima della spesa standard sia influenzata dal livello storicamente assunto in ogniComune da variabili che non sono riconducibili ad un fabbisogno oggettivo di prestazioni essenziali, fra cui la “soggettiva”situazione finanziaria dell’ente, i valori assegnati a queste variabili sono valori standard uguali in tutti i Comuni. Questivalori possono essere fatti coincidere con il valore che si riscontra nella media dei Comuni per le variabili esplicative nonrilevanti, oppure, in generale, sono valori da definire in sede politica in funzione degli obiettivi prescelti. Così facendovengono sterilizzati gli effetti dovuti alle situazioni differenziali dei Comuni per quanto concerne variabili quali la dotazionedi risorse finanziarie.” (cfr. p. 4). Partendo dal medesimo presupposto, in ISAE (2008) gli autori adottano una strategiadiversa, basata su un procedimento a due stadi, che tende a distinguere le determinanti della spesa effettiva tra: quellelegate a fattori oggettivi di natura strutturale (che influiscono sul fabbisogno di spesa teorico), colte raggruppando i singolienti in classi omogenee attraverso metodologie di cluster analysis; quelle peculiari di ciascun ente, dovuti a differenze ditipo istituzionale o nelle preferenze dei cittadini, colte attraverso stime econometriche su ciascuno dei gruppi identificatinel primo stadio. Il vantaggio di questo metodo starebbe nella possibilità di ottenere stime econometriche che aderisconomeglio alla spesa effettiva modellata grazie alla differenziazione tra singoli gruppi, non solo per i coefficienti di stima, maanche, ove necessario, per a scelta del set di variabili prescelte ed eventualmente per la forma funzionale della funzionedi regressione. 49 Su questo punto si veda anche Muraro (2008).

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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sostenere in base ai comportamenti di spesa medi (standard) tenuti dagli altri Enti concaratteristiche analoghe sotto il profilo demografico, economico, sociale, territoriale; inparte, questo comportamento medio può anche riflettere un livello “accettabile” diinefficienza nella produzione. La questione che rileva è la decisione condivisa su qualicaratteristiche di omogeneità tra gli Enti debbano essere prese in considerazione e comedebbano essere misurate;

2) nel secondo caso, invece, ciò che interessa è principalmente la misurazione dell’incidenzadell’inefficienza sulla spesa effettiva, cioè il residuo che dalla regressione si ottiene, per cuiuna corretta inclusione di tutte le variabili che rilevano per la determinazione dell’endogena,cioè della spesa effettiva, diventa di importanza cruciale. Questa seconda ottica, piuttostodiversa dalla prima, apre una serie di questioni di non facile soluzione soprattutto perquanto concerne l’universo dei Comuni, poiché il grado di differenziazione di questacategoria di Enti è estremamente elevato, oltre ad essere articolato su una molteplicità divariabili. Diviene rilevante il problema della mancanza di disponibilità di dati.

Restando nell’ambito della questione posta dalla delega in relazione al finanziamento,sembra dunque delinearsi l’utilizzo di una metodologia di tipo econometrico, basata su unaregressione multipla, che stimi la spesa corrente primaria pro capite per le FF, presumibilmentesu una serie limitata di variabili che colgano i principali elementi di differenziazione tra gli Enticome espressamente indicati dalla norma: ampiezza demografica e caratteristiche territoriali,demografiche, sociali e produttive. Peraltro, occorre tenere presente che questo metodo dicalcolo della spesa standard presuppone una convergenza dei singoli Comuni verso un livellomedio, sebbene ponderato in base a fattori oggettivi, comporta di fatto una riallocazione dellaspesa storica complessiva senza modificarne il livello.

Con riferimento alla scelta delle variabili da inserire nella regressione va tuttavia enfatizzatoun elemento di criticità: la difficoltà di discriminare adeguatamente gli Enti in base alle prestazionieffettivamente offerte in relazione alla spesa effettuata. La mancanza di controllo sulla effettivaquantità dei beni e servizi pro capite somministrati (nonché sulla loro qualità) rende infattieterogenea la variabile di spesa pro capite su cui viene effettuata la stima portando a risultati

talvolta poco robusti50. In generale, quindi, l’equazione da sottoporre a stima sarebbe del tipo:

dove rappresenta la spesa pro capite destinata alle FF, γ il vettore della quantità prodotte di

beni e servizi corrispondenti alle FF, qy il vettore di indicatori di qualità, z il vettore delle variabili

50 Questo problema assume una particolare gravità nelle analisi destinate a definire un benchmark per l’efficienza dellaperfomance degli enti.

( )xzqyfS ye ;;,=)

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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“oggettive” e di carattere istituzionale, che nel medio periodo sono fuori del controllo delle

amministrazioni, e x quello delle variabili che esprimono le preferenze dei cittadini. Sul residuo siscaricherebbero – oltre al fattore genuinamente casuale, agli effetti dei vari errori di misurazionedelle variabili o di scelta della forma funzionale impiegata – anche l’impatto del grado dimaggiore o minore di efficienza che caratterizza ciascun singolo Ente rispetto al grado diefficienza media. A causa dei vincoli derivanti dalla difficoltà di disporre di dati adeguatisull’output prodotto e dalla necessità “politica” di adottare un criterio parsimonioso nella sceltadelle variabili, la stima di fatto tende a ridursi a

Per tenere conto della eterogeneità delle prestazioni rese pro capite, è tuttavia possibileincludere tra i regressori alcune variabili di entrata legate alla autonomia impositiva come proxyche rivelino la preferenza dei cittadini per livelli di prestazioni superiori a fronte di una maggiorepressione fiscale. Si pone naturalmente un problema di possibile endogeneità che vaopportunamente trattato e testato.

Va infine rilevato che dal dettato della legge delega sembra potersi desumere che ilfabbisogno di spesa standard potrebbe riferirsi anche a ciascuna singola funzione fondamentale;si fa riferimento, infatti, al “totale dei fabbisogni standard”. Tuttavia, la carenza di informazioni sucui effettuare i calcoli di tali fabbisogni rende attualmente questo approccio piuttosto difficile daseguire, rimandando realisticamente a stime sul fabbisogno complessivo di spesa per l’insiemedelle funzioni fondamentali. Naturalmente, data la grande differenziazione delle funzioni svolte,ciò rende i risultati delle stime meno robusti e soddisfacenti. Naturalmente ciò non impedisce inprospettiva di delineare un sistema di rilevazione delle informazioni necessarie che aiuti a megliodefinire il fabbisogno standard anche in relazione alle singole funzioni.

Quello dell’avvio di rilevazioni sistematiche di una serie di informazioni sull’universo degliEnti è senz’altro uno degli aspetti più urgenti della riforma (sui problemi sollevati dall’attualedisponibilità dei dati cfr. il riquadro “Alcuni problemi di dati per la stima della spesa standard deiComuni”). Le rilevazioni dovranno effettuarsi con metodologie statistiche che rispettino i criteriimposti dal sistema statistico nazionale ed essere finalizzate a raccogliere un insieme diinformazioni che non può limitarsi ai soli dati finanziari o di struttura territoriale ed economico-sociale, ma deve coprire vari aspetti dell’attività svolta dagli Enti nell’espletamento delle loro FF(soprattutto in relazione agli input fisici e all’output prodotto). Sulla questione della raccolta delle

informazioni necessarie si è insistito già in passato anche da parte dell’AcoFF51.

51 Cfr. Rapporto finale, Allegato 1, p. 12-13.

( )zfSe =)

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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4.8 LA DISOMOGENEITÀ DELLA SPESA COMUNALE

Una delle caratteristiche più rilevanti dei Comuni italiani è data dall’estrema numerosità edalla forte differenziazione che essi presentano sotto molti profili; la differenziazione apparedeterminata soprattutto dalla presenza di divari economici tra le aree territoriali in cui essi sitrovano ad operare e dalla diversa dimensione demografica. Questo contesto pone grossedifficoltà per il calcolo dei fabbisogni di spesa standard e più in generale per l’elaborazione diqualunque tipo di benchmark unico e indifferenziato a livello nazionale; la molteplicità dei fattoridi differenziazione difficilmente riesce ad essere catturata dalla scelta di regressori appropriati.

Il grafico 1 illustra per l’insieme delle componenti di spesa che rientrano nella definizione diFF adottata dalla delega (cfr. paragrafo 4.5) la distribuzione per 12 classi di abitanti della spesa

pro capite52; i dati sono tratti dai bilanci consuntivi del 2006 dei Comuni appartenenti alle Regionia statuto ordinario. A sinistra della figura si riportano i valori medi e mediani della spesa procapite comunale e a destra il corrispondente coefficiente di variazione.

La media per classe della spesa pro capite segue il classico andamento a U; questo tuttaviasi caratterizza per una elevata variabilità in corrispondenza delle classi di abitanti di minoredimensione: per i Comuni al di sotto dei 500 abitanti il coefficiente di variazione supera il 50%;data la forte numerosità degli Enti di piccola dimensione, questa variabilità si riflette anchesull’indice relativo al totale dei Comuni.

L’andamento della spesa pro capite per classi demografiche risulta dalle diverse tendenzedelle singole componenti della spesa per FF (Graf. 2). La distribuzione è analoga a quella del

52 Si tratta delle classi di abitanti abitualmente utilizzate dal Ministero dell’Interno.

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Graf. 1 - SPESA CORRENTE PRO CAPITE DELLE FUNZIONI FONDAMENTALI PER CLASSI DI ABITANTI (2006)

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Graf. 2 - SPESA CORRENTE PRO CAPITE DELLE SINGOLE FUNZIONI FONDAMENTALI PER CLASSI DI ABITANTI (2006)

Funzioni generali

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Istruzione

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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segue Graf. 2 - SPESA CORRENTE PRO CAPITE DELLE SINGOLE FUNZIONI FONDAMENTALI PER CLASSI DI ABITANTI (2006)

Viabilità e trasporti

Ambiente e territorio

Settore sociale

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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totale nel caso della spesa per viabilità e trasporti; mostra una più accentuata riduzione incorrispondenza delle prime classi nel caso delle spese per funzioni generali e, all’opposto, uneffetto più marcato di crescita per le classi demografiche di maggiore dimensione nel caso dellafornitura dei servizi di istruzione, polizia locale, interventi in campo sociale. Gli ultimi due tipi diinterventi appaiono maggiormente concentrati nei Comuni delle fasce demografiche più ampie;la spesa pro capite per l’istruzione appare invece ripartita in modo più omogeneo, con unaumento significativo, come ci si può attendere, nelle ultime fasce demografiche in cui siricomprendono le grandi città su cui gravitano per motivi di lavoro o di più semplice collegamentoanche cittadini non residenti.

La composizione all’interno dell’aggregato di spesa per FF è particolarmente sbilanciataverso la spesa per funzioni generali soprattutto per i piccoli Comuni, come effetto di diseconomiedi scala legate alla dimensione demografica (grafico 3).

Sulla questione della dimensione demografica, la legge delega inserisce tra i criteri direttiviper il finanziamento degli Enti anche quello della “valutazione dell’adeguatezza delle dimensionidemografiche e territoriali degli Enti Locali per l’ottimale svolgimento delle rispettive funzioni esalvaguardia delle peculiarità territoriali, con particolare riferimento alla specificità dei piccoliComuni, ove, associandosi, raggiungano una popolazione complessiva non inferiore a unasoglia determinata con i decreti legislativi … dei territori montani e delle isole minori”. Nella stimadel fabbisogno standard effettuata in questo lavoro si è tentato di tenere conto di tale fattore didifferenziazione, raggruppando i Comuni in tre classi dimensionali e procedendo a stimeseparate (par. 4.10).

Graf. 3 - COMPOSIZIONE DELLA SPESA PRO CAPITE DELLE SINGOLE FUNZIONI FONDAMENTALIPER CLASSI DI ABITANTI (2006)

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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Come si è accennato, un secondo elemento di forte differenziazione della spesa è legatodal fattore territoriale. Il grafico 4 mostra la ripartizione della spesa pro capite media dei Comuniappartenenti a ciascuna Regione a statuto ordinario. Il grafico indica livelli più elevati di spesanelle Regioni dell’Italia centro settentrionale (Emilia Romagna, Toscana, Liguria, Piemonte,Abruzzo e Molise) e più bassi per le Regioni meridionali (Puglia e Calabria).

Nel caso delle Regioni in cui i Comuni spendono di più, sembrano emergere due tipologie disituazioni: una prima, che riguarda aree che storicamente hanno garantito livelli di servizipubblici locali superiori nel confronto regionale (che probabilmente contribuiscono a spiegare ilivelli di spesa pro capite più elevati) ed aree per le quali il livello di spesa si associa a prestazionidi livello e qualità meno elevati che nelle prime Regioni. Dall’esame dei corrispondenticoefficienti di variazione si verifica peraltro che per la prima tipologia di Comuni la variabilitàappare contenuta, ad indicare una diffusione dei livelli di spesa elevati; al contrario, per gli altriComuni a spesa elevata, la variabilità appare maggiore ( ad esempio il coefficiente di variazionesupera il 60% per i Comuni del Molise). Una omogeneità di comportamento di spesa sembraemergere anche per i Comuni delle Regioni che spendono meno, con eccezione della Puglia.

Le differenze nei livelli di spesa pro capite appaiono più chiaramente se si guarda allaspesa per le singole funzioni (grafico 5).

Le differenze più evidenti si rilevano per le spese legate alle politiche sociali (anche sel’indicatore della spesa pro capite serve solo a valutare la dimensione della spesa in relazione aun fattore di scala, gli abitanti, e non ai beneficiari), con una forte predominanza dell’EmiliaRomagna (associata ad una variabilità relativamente bassa).

È interessante osservare come la spesa per le funzioni generali in termini pro capite risultipiù elevata oltre che in alcune delle Regioni caratterizzate per una spesa totale anch’essa più

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Coefficiente di variazione

Graf. 4 - SPESA CORRENTE PRO CAPITE DELLE FUNZIONI FONDAMENTALI PER REGIONE (2006)

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Italia

Media Mediana

Graf. 5 - SPESA CORRENTE PRO CAPITE DELLE SINGOLE FUNZIONI FONDAMENTALI PER REGIONE(2006)

Funzioni generali

Polizia locale

Istruzione

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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segue Graf. 5 - SPESA CORRENTE PRO CAPITE DELLE SINGOLE FUNZIONI FONDAMENTALI PER REGIONE(2006)

Viabilità e trasporti

Settore sociale

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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elevata (Liguria e Piemonte), anche in Regioni a bassa spesa comunale come Basilicata eCalabria; viceversa sembra essere piuttosto contenuta in altre Regioni che spendono molto nelcomplesso, come in Emilia-Romagna e in Toscana. Puglia e Veneto sembrano caratterizzati dalivelli contenuti sia della spesa pro capite per FF che di quella per funzioni generali. Lacomposizione per funzioni (grafico 6) rivela un’incidenza delle spese per funzioni generali sullaspesa pro capite per FF più bassa della media nazionale per Emilia Romagna, Toscana, Umbria,Marche e Puglia, in favore di quote di spesa pro capite più elevate nel settore sociale nel casodell’Emilia Romagna e in quello dell’ambiente per le altre.

Questa analisi, sebbene sommaria e di tipo meramente descrittivo, rende evidentel’importanza di riuscire a controllare nella stima del fabbisogno di spesa standard la quantità e laqualità dell’offerta di servizi garantita ai cittadini.

4.9 LA STIMA DELLA SPESA STANDARD

In questo paragrafo si effettua una stima della spesa corrente standardizzata, seguendo leindicazioni contenute nella delega.

L’esercizio econometrico qui svolto è finalizzato alla determinazione di una spesabenchmark (fabbisogno di spesa standard), su cui svolgere una prima analisi dei differenzialirispetto alla spesa storica per singolo Comune. Dalle stime di tali differenziali si possono trarrealcune valutazioni preliminari circa le implicazioni del nuovo regime di finanziamento (che supera

Graf. 6 - COMPOSIZIONE DELLA SPESA PRO CAPITE DELLE SINGOLE FUNZIONI FONDAMENTALIPER REGIONE (2006)

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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il criterio della spesa storica). In particolare, questo esercizio consente una prima quantificazionedei divari che gli Enti si troveranno a dover colmare nel periodo transitorio per poter conseguireuna convergenza verso livelli di spesa più omogenei, nell’assunto che sembra implicito nellastessa delega che il valore atteso della spesa, condizionato ad una serie di variabili esplicative,sia l’obiettivo a cui debba tendere ogni singolo Comune.

Da un punto di vista operativo, il valore benchmark è ottenuto per ogni Comunesemplicemente moltiplicando i coefficienti stimati per il valore delle variabili esplicative risultate

significative53 e sommando i termini così ottenuti. Il fabbisogno standard per ogni Comune, inaltre parole, è ottenuto come valore fitted del modello stimato.

I dati di spesa storica corrente utilizzati fanno riferimento all’anno 2006 e sono desunti daicertificati del conto di bilancio dei Comuni, di fonte del Ministero dell’Interno. Si riferiscono alle

funzioni fondamentali indicate dalla delega54. Si sono presi in considerazione gli impegni relativialla somma delle seguenti componenti di spesa: personale, acquisto di beni di consumo e/o dimaterie prime, prestazioni di servizi, utilizzo di beni di terzi, trasferimenti, interessi diversi,imposte e tasse, oneri straordinari della gestione corrente, ammortamenti di esercizio. Questoaggregato è stato quindi nettato:

a) delle uscite per interessi, in linea con il dettato della legge delega (art. 13, lett. c), punto 2);

b) dei contributi e dei trasferimenti correnti da parte della Regione di appartenenza, sia senzavincolo di destinazione che per le funzioni da essa delegate, e da parte di organismicomunitari ed internazionali. Questa depurazione è finalizzata a conseguire una maggioreomogeneità e confrontabilità della spesa tra gli Enti. Data l’autonomia delle Regioni, lefunzioni delegate possono essere diverse a seconda della Regione cui il Comuneappartiene, comportando differenziali di spesa tra i Comuni di cui si deve tenere conto. Si èdunque ritenuto opportuno detrarre i trasferimenti regionali correnti per funzioni delegate,riportati nel conto consuntivo dei Comuni, direttamente dalla spesa corrente dei Comuni(nell’ipotesi, che può considerarsi realistica, che la spesa sostenuta per tali funzioni sia pariesattamente a quanto ricevuto dalla Regione per assolvere la delega). Allo stesso modo, ladecurtazione dalla spesa dei trasferimenti ricevuti dagli organismi comunitari edinternazionali è stata fatta con l’intento di ridurre l’eterogeneità nelle uscite tra i Comuniprodotta da questo tipo di entrate, che risultano essere molto specifiche nei criteri dierogazione;

53 La significatività statistica dei regressori viene effettuata attraverso un procedimento stepwise, ovvero dopo unpercorso sequenziale che valuta l’ingresso/uscita dal modello delle variabili sulla base della loro significatività statisticanonché in base al contributo apportato alla bontà dell’adattamento del modello ai dati (R-quadro).54 Si ricorda che si tratta delle funzioni di: amministrazione, gestione e controllo (la cui spesa è presa al 70%); polizialocale; istruzione; viabilità e trasporti; gestione del territorio e dell’ambiente (ad eccezione del servizio di ediliziaresidenziale pubblica e locale e dei piani di edilizia economico-popolare nonché del servizio idrico integrato); settoresociale.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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c) della spesa per oneri straordinari, per il carattere inatteso e occasionale.

Infine, ai sensi dell’articolo 21, terzo comma della legge, la voce relativa alle funzionigenerali di amministrazione, di gestione e di controllo, viene finanziata integralmente nellamisura del 70% del valore riportato in bilancio, per cui anche nei dati oggetto di stima il valorerelativo a questa voce di spesa è stato corretto in pari misura.

Dall’analisi sono stati esclusi i Comuni di Regioni a Statuto Speciale e Province Autonome,in linea con il dettato della legge delega (art. 1, comma 2). Peraltro, da un’analisi dei datidisponibili si rileva che nell’archivio dei certificati consuntivi i Comuni della Valle d’Aosta nonforniscono i dati di dettaglio relativi alle funzioni di spesa in analisi. Per i Comuni della Sardegna,invece, si presentano problemi di disponibilità di alcuni dati relativi alle variabili esplicative specieper i Comuni appartenenti alle Provincie di recente formazione (Olbia-Tempio, MedioCampidano, Ogliastra, Carbonia-Iglesias). Nel caso dei Comuni del Friuli Venezia Giulia e delTrentino Alto Adige l’esercizio qui svolto non sarebbe comunque utile, poiché questi ricevono itrasferimenti correnti, per i fabbisogni di spesa corrente, direttamente dall’Ente Regione e dallaProvincia Autonoma di appartenenza, che sono titolari della competenza relativa alla finanza

locale nel proprio territorio55. Passando alle variabili determinanti ai fini del computo del fabbisogno di spesa standard, si

è tenuto conto, come previsto dalla legge delega (art. 13, lettera d)), di caratteristiche specifichelegate ad aspetti demografici, territoriali, con particolare riferimento alla presenza di zonemontane, sociali e produttivi dei Comuni italiani. Non è stato possibile tenere conto del fenomenodelle esternalizzazioni. L’usuale tecnica di sottrarre dalla spesa primaria il complesso delleentrate per tariffe tratte dalla produzione diretta dei servizi, che comunque è in grado di garantiresolo indirettamente una comparazione della spesa tra i vari Enti che esternalizzino o meno,appare meno soddisfacente quando occorre distinguere tra le funzioni per isolare le solefondamentali, a causa di problemi legati al modo in cui questi fenomeni trovano contabilizzazionenei bilanci (cfr. il riquadro “Alcuni problemi di dati per la stima della spesa standard dei Comuni” eil capitolo 6 di questo Rapporto).

Il modello costruito esprime per ciascun Comune56 il valore aggregato delle spesa correntepro-capite per le competenze fondamentali (spesa netta pro capite), come funzione: a) di alcunevariabili di struttura socio-economico-demografiche-territoriali secondo le direttrici tracciate nelladelega; b) di alcuni fattori peculiari di tipo istituzionale che comunque influiscono sui livelli dispesa pro capite standard; c) delle preferenze locali sui livelli di prestazioni pro capite.

55 Si veda per il Friuli Venezia Giulia l’art. 5 della legge costituzionale n. 2 del 23/9/1993 e la legge provinciale n. 3/2006per la provincia di Trento.56 Il campione utilizzato è composto dai Comuni italiani delle Regioni a Statuto Ordinario che hanno fornito il certificato diconto di bilancio per l’anno 2006.

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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Alcuni problemi di dati per la stima della spesa standard dei Comuni

La stima della spesa standard dei Comuni, e più in generale qualsiasi applicazione concretadi attuazione delle norme sul federalismo, richiede una notevole mole di informazioni. Oltre ai piùgenerali problemi di armonizzazione dei bilanci degli enti decentrati, difficoltà si incontrano nellacostruzione della banca dati necessaria alle stime, con riferimento sia ai dati che derivano daiCertificati del conto di bilancio dei Comuni, raccolti dal Ministero dell’Interno (relativi allacompetenza giuridica), sia a quelli che riguardano le altre variabili utilizzate nella stima,prevalentemente di fonte ISTAT.

Quanto ai Certificati di conto consuntivo, il fatto che la legge delega all’articolo 21 elenchispecificatamente quelle che dovrebbero essere, in via provvisoria, le funzioni fondamentali, e chequindi la stima non venga riferita a tutte le componenti della spesa corrente, implica che si possanoincontrare difficoltà nell’avere a disposizione dati esaustivi. Peraltro, la considerazione parzialedelle spese può costituire un incentivo a possibili distorsioni nelle rilevazioni contabili che gli Entisi troveranno ad effettuare in futuro.

Si pongono al riguardo due tipi di problemi. Da una parte, la una natura “trasversale” dialcune competenze, che non si esauriscono in specifiche categorie di spesa, fa sì che gli Entipossano incontrare difficoltà di classificazione e contabilizzare le voci in modo non adeguato. Ciòpuò accadere specie ai Comuni di piccolissime dimensioni, che collocano una notevole entità dellespese nelle funzioni generali di amministrazione. Dall’altra parte, spesso accade che i Comuni nonimputino i dati alle sottofunzioni e ciò può comportare carenze di informazioni dal momento chedall’elenco dell’articolo 21 della legge delega sono escluse due specifiche sottofunzioni (servizio diedilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia economico-popolare, nonché servizioidrico integrato). In caso di mancata imputazione di queste sottofunzioni, il livello della spesaconsiderata per la stima può risultare sopravalutato.

Altra possibilità di errore potrebbe derivare da una non corretta quantificazione edeclinazione per funzioni della spesa per interessi, che secondo la norma delegata deve essereesplicitamente sottratta per ottenere la spesa corrente primaria relativa alle sei voci individuate.

Al fine di rendere maggiormente uniformi i dati sulle uscite comunali che si devono sottoporrea stima, e quindi per una corretta valutazione della spesa standard, solitamente si procede, comeevidenziato nel testo, sottraendo dalla spesa talune voci di entrata. Queste poste riguardano, inparticolare, voci non distribuite in modo uniforme sul territorio nazionale. In primo luogo, si trattadi trasferimenti dalle Regioni per funzioni delegate, che dipendono dai legami di tipo istituzionaletra le singole Regioni e gli Enti Locali all’interno del loro territorio. In secondo luogo, si tratta deitrasferimenti dall’Unione Europea e da altri organismi internazionali, che sono di caratterespecifico. In entrambi i casi, a regime, si dovrebbe poter disporre delle informazioni relative allespese effettivamente sostenute piuttosto che assumere implicitamente l’uguaglianza tratrasferimenti contabilizzati tra gli accertamenti e impegni assunti. Un terzo tipo di entrate chevengono sottratte dalla spesa da stimare riguarda i trasferimenti dalle Regioni senza vincolo didestinazione; questi consentono di finanziare livelli di spesa diversi di cui occorre tenere conto perla standardizzazione della spesa. In ogni caso, per una quantificazione appropriata delle variabileda stimare sarebbe necessario scomporre queste voci di entrata in relazione alle funzioni che vannoa finanziare. Nel caso dei trasferimenti non vincolati si potrebbero considerare delle percentuali diattribuzione pro rata, aggravando tuttavia il livello di approssimazione nella misurazione delfenomeno. Inoltre, come sovente si argomenta nell’ambito della letteratura applicata, per depurare

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la spesa dall’impatto delle esternalizzazioni vengono sottratti i proventi dei servizi. A differenzadei trasferimenti, è possibile distinguere e classificare i proventi in base alle funzioni da cuitraggono origine, così come riportato nei Certificati di conto di bilancio.

Le diverse combinazioni dei pesi di queste quattro voci di entrata, da sottrarre dalla spesa inbase a quote differenti per ogni comune, comportarono talvolta l’effetto di rendere negativi i valoridella variabile endogena da stimare. Per quanto riguarda i proventi, ciò può accadere anche acausa di una “supervalutazione” degli accertamenti, che risultano ben più elevati degli incassi, siain conto competenza che in conto residui. Questa voce risulta rilevante per alcuni dei Comuni connotevoli produzioni di servizi in economia; in caso di non corrette imputazioni, può andare aridurre in maniera eccessiva la spesa per funzioni fondamentali che per questi Enti risulta giàlargamente ristretta a causa della elevata componente relativa ai servizi produttivi, che comeprevisto dalla delega non è considerata tra le funzioni fondamentali. La considerazione di questiaspetti, ha indotto a non depurare la spesa del valore dei proventi. Rimane da risolvere il problemadelle esternalizzazioni, che richiederebbe la disponibilità di bilanci consolidati tra Enti e organismipartecipati.

Infine, poiché nella stima le entrate tributarie sono considerate tra le variabili esplicativedella spesa standard, si deve essere certi della corretta contabilizzazione – per quanto riguarda losmaltimento dei rifiuti – della TARSU o della tariffa dedicata. Possono infatti riscontrarsidifferenze tra Comuni, in ragione della minore o maggiore applicazione della cosiddetta “LeggeGalli” che, seppure in vigore dal 1994, non ha ancora portato alla completa copertura dell’interocosto del ciclo dei rifiuti con la TARSU o con la apposita tariffa. Con altrettanta importanza si deveessere certi della corretta contabilizzazione da parte dei Comuni delle addizionali e dellecompartecipazioni all’IRPEF.

Quanto alle altre variabili esplicative, quasi tutte di fonte ISTAT, da mettere in relazione con idati contabili dei Certificati del Ministero dell’Interno, è da evidenziare che i codici diidentificazione dei singoli Comuni utilizzati dall’ISTAT e dal Ministero non sono gli stessi e quindiper la costruzione di una banca dati sono necessarie matrici di raccordo tra i codici, peraltro datenere aggiornate, vista la nascita di nuovi enti o la eventualità di enti che alcuni cerchino di“rafforzarsi” nelle Unioni o nei Consorzi.

Ovviamente il dataset che verrà utilizzato dovrà essere riferito a tutti i Comuni italiani delleRegioni a Statuto Ordinario, senza perdita di osservazioni dovuta a mancanza di dati:l’informazione non risulta al momento completa, con riferimento sia ai dati per singolo ente siaagli Enti che forniscono le informazioni (ogni anno infatti varia la platea di enti che inviano iCertificati di conto del bilancio al Ministero dell’Interno).

Si porrà anche un problema di tempestività dei dati: i ritardi nella disponibilità delleinformazioni possono essere a volte molto rilevanti. Un problema in tal senso sorge per leinformazioni che derivano da censimenti generali effettuati dall’ISTAT ogni 10 anni (ad esempio idati utilizzati nella stima relativi alla percentuale di occupati nel settore di alberghi e ristoranti, einsieme ad altri, sono riferiti al 2001 e non saranno aggiornati sino al 2011). Ritardi che avrannopiù o meno rilevanza in funzione della tempistica del processo di aggiornamento delle stime cheverrà definita.

Resta, infine, da evidenziare l’assai rilevante mancanza di dati sugli output e sulla qualità deiservizi offerti. In tale ambito, è ormai irrinunciabile poter rendere fruibili i dati registrati neiquadri dal 13 al 19 dei Certificati di bilancio che ancora, nonostante i miglioramenti, non risultanoaffidabili.

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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Tra il primo tipo di variabili sono state incluse le seguenti, raggruppate per le grandicategorie indicate dalla delega:

Indicatori demografici:

1) una misura dimensionale della popolazione costruita come l’inversa del numero di residential 31/12/2006;

2) numero di anziani sulla popolazione residente al 31/12/2006;

3) numero di convivenze pro capite al 31/12/2006;

4) densità abitativa.

La variabile relativa alla popolazione vuole cogliere le diseconomie di scala associate allamodesta dimensione. La percentuale di anziani, data dal rapporto tra popolazione ultrasessantacinquenne e totale popolazione, influenza in particolare la spesa sociale. Il numero diconvivenze (costituite da persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, diassistenza, militari, di pena, e simili, aventi dimora abituale nello stesso Comune) costituisce unindicatore di utenza dei principali servizi destinati a nuclei familiari e ad abitazioni. La densitàabitativa coglie l’effetto della maggiore o minore congestione nella prestazione dei servizipubblici.

Indicatori economici:

5) tasso di occupazione o percentuale di occupati nel settore manifatturiero;

6) percentuale di occupati nel settore di alberghi e ristoranti;

7) unità locali pro capite;

8) numero di abitazioni totali pro capite.

Il tasso di occupazione (così come la percentuale di occupati nel settore manifatturiero)coglie le maggiori disponibilità delle risorse private presenti sul territorio e quindi la minorenecessità di sostegno della politica sociale del Comune; l’occupazione nel settore di alberghi eristoranti costituisce un indicatore della dimensione delle presenze di non residenti a cuicomunque deve rivolgersi una larga fetta dei servizi pubblici comunali; le unità locali e leabitazioni totali rappresentano strutture fisiche che occupano spazi sul territorio comunale egenerano una domanda di servizi.

Indicatori territoriali:

9) una misura della superficie territoriale;

10) una variabile binaria (dummy) indicante la caratteristica di “montanità” del Comune ai sensidella legge 991 del 25/07/1952, in base alla quale sono considerati montani i Comunicensuari situati per almeno l'80% della loro superficie al di sopra di 600 metri di altitudinesul livello del mare e quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e lasuperiore del territorio comunale non è minore di 600 metri;

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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La superficie coglie l’incidenza della dimensione territoriale sul complesso della spesa. La caratteristica di montanità di un Comune accresce la spesa corrente comunale per i

maggiori costi di offerta legati alle caratteristiche territoriali che rendono più complessa lasomministrazione dei servizi.

Indicatori di contesto istituzionale:

11) una variabile binaria (dummy) indicante la presenza di un Comune capoluogo.

L’effetto sulla spesa deriva dal fatto che questi Enti sono polo di attrazione per lapopolazione residente degli altri Comuni della Provincia e scontano la presenza quotidiana dicittadini non residenti, sia in termini di congestione nell’utilizzo dei servizi offerti sia in termini dimaggiore domanda degli stessi. I Comuni capoluogo, inoltre, hanno competenze in materia difornitura di particolari servizi pubblici ai residenti nella Provincia, che non spetta, invece, agli altri

Comuni57. Rispetto a quanto indicato nella delega, l’esercizio svolto ha tentato di tenere indirettamente

conto anche di qualche indicatore in grado di cogliere l’effetto sulla spesa standard pro capitedella differenziazione della quantità degli output offerti. In base ai dati disponibili, l’unicapossibilità è di utilizzare le entrate pro capite prelevate dai Comuni come proxy di preferenze permaggiori o minori livelli di prestazione. In particolare si è fatto riferimento a:

Indicatori di differenziazione della quantità di output

12) le entrate tributarie pro capite effettive al netto del gettito derivante dalla compartecipazione

IRPEF58;

13) la somma dell’ammontare degli utili netti delle aziende speciali e partecipate e dei dividendidi società nonché degli altri proventi dell’Ente in termini pro capite.

Si tratta di entrate proprie correnti che non hanno una destinazione specifica. L’ipotesiimplicita è che tra due Comuni aventi le stesse caratteristiche, quello con un livello di entrateproprie maggiore faccia fronte ad una maggiore domanda di servizi pubblici e quindi a unamaggiore spesa. Questo è vero se il maggior livello delle entrate è dovuto solo ad un maggioresforzo fiscale. In realtà, le entrate tributarie colgono oltre allo sforzo anche la capacità fiscale,

che può essere considerata come un fattore strutturale di differenziazione della spesa59. Lapresenza di variabili di entrata nella spiegazione della spesa pone un problema statistico di

57 Tra questi rientra, ad esempio, la spesa per l’edilizia giudiziaria che è di competenza dei Comuni, ma, di fatto, riguardasolo i Comuni capoluogo, gli unici in cui sono presenti uffici giudiziari.58 La compartecipazione al gettito dell’IRPEF è stata sottratta dalle entrate tributarie poiché, per il modo in cui è calcolatanel 2006, è assimilabile a un trasferimento statale.59 Tale inconveniente sarebbe superato utilizzando una misura della differenza tra entrate effettive ed entrate standard(che saranno oggetto di un prossimo studio) o, naturalmente, avendo a disposizione direttamente dati relativi allequantità di servizi prestati.

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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endogeneità pertanto è stata utilizzata una metodologia statistica di regressione a due stadi60, in

cui le entrate tributarie pro capite sono state “strumentate” con il reddito imponibile medio61

relativo al gettito di compartecipazione IRPEF per l’anno 2006.Nella tabella 1 vengono riassunti i risultati ottenuti.

Tab. 1 RISULTATI DELL'ANALISI DI REGRESSIONE

L’analisi compiuta, statisticamente significativa nel suo complesso e nell’individualità dei

parametri stimati62, spiega poco meno del 70% della variabilità osservata.Nelle tabelle successive sono utilizzati i dati della spesa standard, generati dal modello, per

confrontarli con quelli della spesa effettiva pro capite. In particolare, nella tabella 2 i Comuni,raggruppati per Regione, sono suddivisi in due gruppi: il primo è costituito da quelli in cui laspesa effettiva è maggiore della spesa standard stimata; mentre il secondo gruppo include queiComuni in cui la spesa effettiva è inferiore a quella standard stimata.

Secondo le stime, il 41% dei Comuni presenta una spesa effettiva maggiore di quellastandard. Tale fenomeno è particolarmente concentrato in Basilicata (63,57%), Campania(55,71%), Emilia Romagna (55,12%), Toscana (51,93%), Lombardia (51,56%), in cui la quotasupera il 50 per cento.

60 La presenza di variabili di entrata nella spiegazione della spesa pone un problema statistico di endogeneità, cioè dicorrelazione non nulla tra le entrate tributarie e i residui, tale da distorcere le stime dei coefficienti e dovuta allasimultaneità tra le decisioni di spesa e quelle di entrata. Nel lavoro è stata testata l’endogeneità delle entrate e poichéquesta ipotesi è stata confermata si è utilizzato uno stimatore a due stadi. La presenza di endogeneità è stata testatamediante il test di Hausmann.61 La corretta identificazione della regressione strumentale è stata valutata mediante il test di Basmann-Sargan.

Spesa netta pro capite Coefficienti t P> |t| [95% Intervallo Confidenza]

Entrate tributarie pro capite 0,52 44,40 0,00 0,50 0,54Utili aziende partecipate e proventi diversi pro capite 0,54 27,60 0,00 0,50 0,57Inversa della popolazione 31.862,96 22,92 0,00 29.137,71 34.588,21Percentuale anziani 601,36 18,37 0,00 537,18 665,54Numero convivenze pro capite 411,85 2,48 0,01 85,67 738,03Densità 0,01 5,16 0,00 0,01 0,02Tasso occupazione -93,59 -4,39 0,00 -135,35 -51,83Percentuale occupati in alberghi e ristoranti 412,91 7,43 0,00 304,04 521,78Unità locali pro capite 308,53 3,29 0,00 124,85 492,21Numero di abitazioni pro capite 44,00 9,12 0,00 34,53 53,45Superficie 0,12 3,05 0,00 0,04 0,20Montanità 26,41 6,69 0,00 18,68 34,14Comune capoluogo 45,36 2,73 0,00 12,78 77,94Costante 116,23 8,77 0,00 90,26 142,20

Numero di osservazioni 6.561F (13, 6547) 1.115,98Prob > F 0,00R-quadro 0,69R-quadro aggiustato 0,69

62 Si veda la diagnostica riportata dal test della “t” di Student e della “F” di Fischer.

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Tab. 2 PERCENTUALE DEI COMUNI CHE SPERIMENTANO UNA SPESA EFFETTIVA SUPERIORE O INFERIORE A QUELLA STANDARD PER REGIONE

Per il 59% dei Comuni che mostra una spesa effettiva inferiore a quella standard, ilfenomeno si concentra nei Comuni situati in Liguria (78,21%), Veneto (77,76%), Puglia(76,64%), Piemonte (70,35%), Umbria (64,13%), Abruzzo (61,31%), Lazio (60,92%), Calabria(59,75%), Molise (59,06%) e Marche (54,47%), in cui la quota supera il 50%.

Naturalmente, in mancanza degli elementi necessari a condurre analisi di efficienzatecnica, dove rilevino anche la quantità e la qualità dell’offerta, non è agevole individuare Entiche offrono migliori tipologie di servizi o viceversa Enti il cui comportamento virtuoso dipenda daprecise scelte di spesa o piuttosto sia indotto da una scarsa disponibilità delle risorse.

Nella tabella 3 sono classificati i Comuni con spesa effettiva superiore a quella standardstimata, distinguendoli - nelle otto colonne - tra quelli che hanno la spesa effettiva maggiore diquella standard per un valore, rispettivamente, inferiore al 2,5%, compreso tra 2,5 e 5%, tra 5 e7,5%, tra 7,5 e 10%, tra 10 e 20%, tra 20 e 30%, tra 30 e 50%, superiore al 50% della spesaeffettiva.

Dalle stime si evince che oltre il 12% dei Comuni presenta un’eccedenza della spesaeffettiva su quella standard compresa tra il 10 e il 20%; oltre l’8% presenta eccedenze superiorial 20%. Per questi ultimi la convergenza al livello standard nell’arco di 5 anni, come previstodalla legge delega, sarà particolarmente complessa. Le stime confermano che la transizione nonsarà facile.

Regioni

GRUPPO 1 GRUPPO 2

Totale ComuniComuni con spesa effettiva > spesa standard stimata

Incidenza su Totale Comuni

Comuni con spesa effettiva < spesa standard stimata

Incidenza su Totale Comuni

Abruzzo 118 38,69 187 61,31 305

Basilicata 82 63,57 47 36,43 129

Calabria 163 40,25 242 59,75 405

Campania 283 55,71 225 44,29 508

Emilia Romagna 183 55,12 149 44,88 332

Lazio 136 39,08 212 60,92 348

Liguria 51 21,79 183 78,21 234

Lombardia 795 51,56 747 48,44 1.542

Marche 112 45,53 134 54,47 246

Molise 52 40,94 75 59,06 127

Piemonte 351 29,65 833 70,35 1.184

Puglia 57 23,36 187 76,64 244

Toscana 148 51,93 137 48,07 285

Umbria 33 35,87 59 64,13 92

Veneto 129 22,24 451 77,76 580

Totale 2.693 41,05 3.868 58,95 6.561

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

- 139 -

Tab. 3 PERCENTUALE DEI COMUNI CHE SPERIMENTANO UNA SPESA EFFETTIVASUPERIORE A QUELLA STANDARD, PER REGIONE E CLASSI DI SCOSTAMENTO

La tabella 4 riporta i valori storici della spesa pro capite (in euro) relativi alle voci di spesaoggetto dell’analisi per il complesso dei Comuni di ciascuna Regione ponendoli a confronto con ivalori obiettivo da raggiungere nel quinquennio di aggiustamento. L’ultima colonna indica loscostamento percentuale della spesa standard da quella storica.

Tab. 4 SPESA OBIETTIVO, SPESA STORICA PRO CAPITE 2006 E SCOSTAMENTO % TRASPESA OBIETTIVO E STORICA PER REGIONE

Regioni <=2,5% 2,5%-5% 5%-7,5% 7,5%-10% 10%-20% 20%-30% 30%-50% >=50% Numerocomuni

Abruzzo 4,59 5,57 4,59 6,23 10,49 5,25 1,64 0,33 118

Basilicata 10,08 3,88 6,98 5,43 16,28 13,95 6,98 0,00 82

Calabria 8,15 6,67 4,44 1,98 11,36 4,20 3,46 0,00 163

Campania 6,10 7,09 5,51 6,69 17,52 9,65 2,76 0,39 283

Emilia Romagna 4,82 4,82 9,34 5,42 17,47 8,73 4,22 0,30 183

Lazio 5,75 5,17 6,32 3,45 10,63 4,89 2,30 0,57 136

Liguria 2,99 3,85 2,56 0,85 8,12 2,14 1,28 0,00 51

Lombardia 6,68 6,55 6,49 5,51 18,22 5,84 2,01 0,26 795

Marche 5,69 5,69 6,10 6,10 9,35 6,10 6,50 0,00 112

Molise 2,36 3,94 2,36 5,51 12,60 5,51 6,30 2,36 52

Piemonte 5,66 4,48 2,53 2,28 7,85 3,63 2,62 0,59 351

Puglia 8,20 2,87 2,46 2,46 4,10 2,05 0,82 0,41 57

Toscana 7,02 4,21 5,61 7,02 15,09 5,96 6,32 0,70 148

Umbria 6,52 5,43 4,35 1,09 8,70 5,43 4,35 0,00 33

Veneto 4,14 4,66 3,10 2,07 5,34 1,38 0,86 0,69 129

Totale 5,96 5,37 4,88 4,16 12,30 5,20 2,77 0,41 2.693

Regioni per aree geografiche Obiettivo alla fine del quinto anno Spesa storica 2006 Scostamento percentuale

NORD

Emilia Romagna 564,28 604,94 -6,72

Liguria 693,44 634,64 9,25

Lombardia 524,55 562,39 -6,73

Piemonte 544,95 573,99 -5,05

Veneto 486,46 439,11 10,78

CENTRO

Abruzzo 512,00 470,01 8,93

Lazio 685,37 624,88 9,68

Marche 505,19 498,06 1,43

Toscana 567,93 584,65 -2,86

Umbria 534,05 495,73 7,72

SUD

Basilicata 445,01 448,16 -0,70

Calabria 434,63 413,68 5,07

Campania 464,90 536,85 -13,40

Molise 485,11 459,33 5,61

Puglia 437,87 405,48 7,80

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

- 140 -

La Campania si attesta al primo posto tra le Regioni con Comuni che devono mettere in attopolitiche di rientro, con una riduzione stimata del 13,4% della spesa storica. Tra quelle conComuni che, all’opposto, potrebbero incrementare le uscite relative alle funzioni fondamentalirisalta il Veneto, con un incremento previsto del 10,78%.

Altra indicazione segnalata dalla stima è che, nell’ordine, i Comuni delle RegioniLombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Toscana dovrebbero ridurre la propria spesa storica.Tuttavia la stima non è in grado di indicare se ciò dipenda da fattori di inefficienza nellaproduzione di servizi pubblici o, piuttosto, da livello, qualità o ampiezza superiori dei servizierogati (fattori che sono legati ovviamente anche a decisioni politiche degli amministratori locali).

4.10 LA CONSIDERAZIONE ESPLICITA DELLA DIMENSIONE DEMOGRAFICA

La stima effettuata sul complesso dei Comuni mette a confronto Enti di ampiezza

demografica estremamente diversa (da poche decine di abitanti sino alla Capitale63). Per megliotenere in considerazione l’eterogeneità demografica, indicata come dimensione per cuicorreggere la stima del fabbisogno di spesa standard anche dalla legge delega, sono stateeffettuate tre stime separate per classi di abitanti: per Comuni di una “prima fascia” demografica(con popolazione sino a 2.000 abitanti) che comprende il 43,5% degli Enti (ma il 5,6% dellapopolazione e anche della spesa), di una “seconda fascia” (tra 2.000 e 60.000 abitanti) cheincorpora il 55,3% degli Enti (il 63,5% della popolazione e il 53,4% della spesa), e di una “terzafascia” (oltre 60.000 abitanti) con il solo 1,2% dei Comuni (ma il 30,9% della popolazione e il 41%della spesa), in maggioranza capoluoghi di Provincia e di Regione.

Questo modo di procedere implica l’elaborazione di tre benchmark differenziati, che megliosi adattano alle caratteristiche comuni dei tre sottoinsiemi di Enti. In particolare, la scelta deiraggruppamenti è stata guidata dalla necessità di cogliere, più di quanto non avvenga con laregressione nazionale, gli effetti di scala legati alla dimensione demografica, evidenziatidall’andamento a U della spesa pro capite (Grafico 1). Rispetto a questi diversi benchmark gliEnti potrebbero venire a collocarsi in una posizione diversa da quella che ricoprono rispetto albenchmark unico stimato sull’insieme di tutti i Comuni. . L’ipotesi implicita è che sia ragionevolefinanziarie un certo grado diseconomie di scala, che comunque sono destinate a manifestarsiper i piccoli Comuni a causa dei costi fissi, e finanziare parte dei costi di congestione per i grandiComuni.

63 I Comuni della Capitale come quelli delle future Città metropolitane sono stati presi in considerazione nelle stime,interpretando la legge delega nel senso che i finanziamenti che essi riceveranno in tali vesti istituzionali sarannocomplementari e non sostitutivi a quelli che riceveranno per la propria attività di Comune.

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

- 141 -

Nella tabella 1a sono riportati i risultati della stima effettuata nel sottocampione demografico(“prima fascia”) che include i Comuni fino a 2.000 abitanti (estremo superiore incluso).

Tab. 1a RISULTATI DELL’ANALISI DI REGRESSIONE PER COMUNI CON NUMERO DI ABITANTI INFERIORE O UGUALE A 2.000

L’analisi spiega anche in questo caso il 70% della variabilità osservata; inoltre, a differenzadella regressione sull’intero campione, risulta significativa la misura dimensionale dellapopolazione (con segno negativo). In combinazione con la capacità esplicativa (con segnopositivo) del reciproco della popolazione, questa variabile cattura le diseconomie legate allamodesta dimensione demografica particolarmente accentuate per gli Enti di più piccoladimensione.

Dalla tabella 2a si evince che, in base a questa stima, il 41,63% dei Comuni presenta unaspesa effettiva maggiore di quella standard. Tra le Regioni caratterizzate per avere oltre la metàdei Comuni con spesa storica superiore alla standard compaiono Toscana (66,13%), Campania(59,52%), Marche (59,41%), Basilicata (55,93%) e Umbria (51,43%).

Nel restante 58,37% dei Comuni, con spesa effettiva inferiore al benchmark, loscostamento tra la spesa storica e quella standard si manifesta nella percentuale più elevata diComuni in Liguria (76,52%), Puglia (71,43%), Piemonte (68,71%) e Calabria (64,74%).

Spesa netta pro capite Coefficienti t P> |t| [95% Intervallo Confidenza]

Entrate tributarie pro capite 0,54 28,67 0,00 0,50 0,57

Popolazione -0,06 -6,84 0,00 -0,08 -0,04

Utili aziende partecipate e proventi diversi pro capite 0,51 19,60 0,00 0,46 0,56

Inversa della popolazione 30.495,54 14,44 0,00 26.355,01 34.636,07

Superficie 1,99 10,71 0,00 1,63 2,36

Densità 0,06 2,42 0,02 0,01 0,11

Percentuale anziani 327,45 5,82 0,00 217,09 437,81

Numero convivenze pro capite 575,26 2,28 0,02 80,64 1.069,89

Tasso di occupazione -333,89 -8,24 0,00 -413,34 -254,44

Unità locali pro capite 581,24 3,78 0,00 280,07 882,41

Numero di abitazioni pro capite 22,57 3,29 0,00 9,12 36,01

Percentuale occupati in alberghi e ristoranti 291,20 3,25 0,00 115,51 466,89

Costante 369,59 12,06 0,00 309,51 429,68

Numero di osservazioni 2.850

F (12, 2837) 544,31

Prob > F 0,00

R-quadro 0,70

R-quadro aggiustato 0,70

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

- 142 -

Tab. 2a PERCENTUALE DEI COMUNI CHE SPERIMENTANO UNA SPESA EFFETTIVASUPERIORE O INFERIORE A QUELLA STANDARD, PER REGIONE

(comuni con numero di abitanti inferiore o uguale a 2.000)

La tabella 3a mostra come, anche in questo caso, più del 12% dei Comuni presentieccedenze di spesa rispetto al benchmark comprese tra il 10 e il 20%, e circa il 9% presentaeccedenze superiori al 20%.

Tab. 3a PERCENTUALE DEI COMUNI CHE SPERIMENTANO UNA SPESA EFFETTIVASUPERIORE A QUELLA STANDARD, PER REGIONE E CLASSI DI SCOSTAMENTO

(comuni con numero di abitanti inferiore o uguale a 2.000)

Regioni

GRUPPO 1 GRUPPO 2

Totale ComuniComuni con spesa effettiva > spesa standard stimata

Incidenza su Totale Comuni

Comuni con spesa effettiva < spesa standard stimata

Incidenza su Totale Comuni

Abruzzo 87 45,55 104 54,45 191

Basilicata 33 55,93 26 44,07 59

Calabria 61 35,26 112 64,74 173

Campania 100 59,52 68 40,48 168

Emilia Romagna 21 44,68 26 55,32 47

Lazio 66 44,90 81 55,10 147

Liguria 31 23,48 101 76,52 132

Lombardia 306 47,30 341 52,70 647

Marche 60 59,41 41 40,59 101

Molise 43 44,33 54 55,67 97

Piemonte 265 31,29 582 68,71 847

Puglia 8 28,57 20 71,43 28

Toscana 41 66,13 21 33,87 62

Umbria 18 51,43 17 48,57 35

Veneto 47 40,17 70 59,83 117

Totale 1.187 41,63 1.664 58,37 2.851

Regioni <=2,5% 2,5-5% 5-7,5% 7,5-10% 10-20% 20-30% 30-50% >=50% Numero Comuni

Abruzzo 8,38 4,19 6,81 5,24 11,52 6,28 2,62 0,52 87

Basilicata 3,39 8,47 5,08 1,69 16,95 18,64 1,69 0,00 33

Calabria 6,36 5,20 3,47 1,73 10,98 5,20 2,31 0,00 61

Campania 6,55 7,14 8,93 4,76 21,43 8,93 1,79 0,00 100

Emilia Romagna 6,38 6,38 8,51 2,13 19,15 2,13 0,00 0,00 21

Lazio 4,76 5,44 4,76 3,40 17,01 4,08 4,76 0,68 66

Liguria 4,55 3,03 1,52 2,27 6,82 3,79 1,52 0,00 31

Lombardia 6,49 6,49 5,10 4,95 17,47 4,95 1,85 0,00 306

Marche 8,91 3,96 8,91 4,95 14,85 7,92 9,90 0,00 60

Molise 3,09 2,06 5,15 6,19 12,37 5,15 7,22 3,09 43

Piemonte 5,67 3,90 4,49 2,36 7,56 3,66 2,95 0,71 265

Puglia 7,14 0,00 0,00 0,00 7,14 7,14 3,57 3,57 8

Toscana 11,29 3,23 14,52 6,45 19,35 3,23 8,06 0,00 41

Umbria 8,57 14,29 0,00 2,86 8,57 11,43 5,71 0,00 18

Veneto 7,69 5,13 8,55 6,84 5,13 4,27 0,85 1,71 47

Totale 6,28 5,02 5,40 3,75 12,52 5,19 2,98 0,49 1.187

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

- 143 -

Infine, nella tabella 4a si nota come i livelli dei benchmark di riferimento per i Comuni dellesingole Regioni tendano in generale ad essere più elevati rispetto a quelli ottenuti dallaregressione nazionale. Fanno eccezione alcune Regioni, tra cui il Lazio e la Lombardia, per lequali presumibilmente pesa l’impatto esercitato nella stima precedente dalla rilevante spesa deiComuni di maggiore dimensione. Dati i livelli della spesa storica dei Comuni ricompresi in questoprimo sottocampione stimato, che sono in generale più elevati, lo scostamento rispetto ai nuovibenchmark tende a cambiare. La prevalenza in questa “prima fascia” demografica degli Enti di

alcune Regioni (come il Piemonte e la Lombardia, che concentrano in tale classe una largaquota dei propri Enti) avvicina la stima della spesa standard alla spesa effettiva di questi Enti. Siriduce in maniera significativa la correzione ad essi richiesta: i Comuni della Lombardia che -secondo la stima nazionale - avrebbero dovuto, in media, ridurre la spesa del 6,7% devono oracorreggerla solamente dell’1,5; nel caso del Piemonte si verifica addirittura un’inversione, da unarichiesta di riduzione del 5% a un possibile aumento del 2,8. Per i Comuni delle altre Regioni, loscostamento tende a divaricarsi. Nel caso del Molise, si passa da un possibile incremento dellaspesa del 5,6% - in base alla regressione effettuata per l’intero Paese - a una riduzione dell’11%,come risultato di una concentrazione dei Comuni nella “prima fascia” demografica e dell’assenza- nel tratto ascendente della curva della spesa pro capite relativo alla stima nazionale - diComuni del Molise con popolazione superiore ai 60.000 abitanti, fatto quest’ultimo che portava arichiedere per i Comuni molisani un aumento della spesa effettiva nella regressione nazionale. IlMolise, dunque, risulta essere la Regione che dovrebbe sostenere la maggiore correzione della

Tab. 4a SPESA OBIETTIVO, SPESA STORICA PRO CAPITE E SCOSTAMENTO % TRA SPESA OBIETTIVO E STORICA PER REGIONE

(comuni con numero di abitanti inferiore o uguale a 2.000)

Regioni per aree geografiche Obiettivo alla fine del quinto anno Spesa storica 2006 Scostamento percentuale

NORDEmilia Romagna 651,43 622,29 4,68Liguria 690,06 666,51 3,53Lombardia 521,58 529,40 -1,48Piemonte 563,66 548,39 2,78Veneto 508,27 517,25 -1,74

CENTROAbruzzo 572,39 555,88 2,97Lazio 540,65 542,05 -0,26Marche 502,61 538,22 -6,62Toscana 729,89 784,24 -6,93Umbria 551,14 539,23 2,21

SUDBasilicata 516,21 528,54 -2,33Calabria 488,08 457,81 6,61Campania 469,42 484,67 -3,15Molise 513,42 577,23 -11,05Puglia 517,43 517,15 0,05

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

- 144 -

spesa nel quinquennio di convergenza ai valori standard; mentre ai Comuni della Calabriasarebbe consentito, in media, il più elevato incremento di spesa. Più in generale, si verificanoribaltamenti di posizioni relative, anche di rilievo, per i Comuni di cinque Regioni (EmiliaRomagna, Piemonte, Veneto, Lazio, e Marche).

Nel caso dei Comuni raggruppati nella “seconda fascia” (con popolazione tra 2.000 e60.000 abitanti), l’analisi spiega il 59% della variabilità osservata. Tra i regressori statisticamentesignificativi si notano la percentuale di case sparse e la percentuale di occupati nel settoremanifatturiero (in luogo del tasso di occupazione complessivo), il cui effetto negativo sulla spesastandard può essere spiegato dall’importante funzione economico-sociale svolta dal lavoro inquesto settore, che, in alcune parti dell’Italia rappresenta la fonte primaria di occupazione. E’ dasottolineare, inoltre, la contemporanea presenza con segno positivo della popolazione e del suoinverso a cogliere il cambio di andamento della curva a U.

Tab. 1b RISULTATI DELL’ANALISI DI REGRESSIONE PER COMUNI CON NUMERO DI ABITANTI TRA 2.000 E 60.000

Nella tabella 2b, si mette in evidenza come in questo sottocampione la percentuale diComuni che presenta una spesa storica superiore a quella standard (43,2%) superi quellaottenuta dalla stima nazionale nonché dalla regressione relativa alla “prima fascia” demografica.Nella classe in esame restano caratterizzate da percentuali di Comuni superiori al 50% le stesseRegioni dell’analisi nazionale, con l’uscita della Toscana.

Spesa netta pro capite Coefficienti t P> |t| [95% Intervallo Confidenza]

Entrate tributarie pro capite 0,50 36,88 0,00 0,48 0,53

Popolazione 0,00 1,98 0,05 0,00 0,00

Inversa della popolazione 134.268 7,41 0,00 98.719,77 169.816,30

Superficie 0,17 3,57 0,00 0,07 0,26

Densità 0,02 7,52 0,00 0,01 0,02

Percentuale anziani 421,57 8,70 0,00 326,53 516,61

Utili aziende partecipate e proventi diversi pro capite 0,60 16,93 0,00 0,53 0,67

Numero di abitazioni pro capite 33,50 2,90 0,00 10,82 56,17

Unità locali pro capite 411,76 3,96 0,00 207,99 615,53

Percentuale di case sparse 102,25 3,03 0,00 36,07 168,44

Montanità 12,59 3,27 0,00 5,04 20,15

Numero convivenze pro capite 445,53 2,15 0,03 38,31 852,74

Percentuale occupati settore manifatturiero -49,60 -2,69 0,03 -82,14 -17,06

Percentuale occupati in alberghi e ristoranti 396,67 5,92 0,00 265,07 528,27

Costante 73,34 6,33 0,00 50,63 96,04

Numero di osservazioni 3.630

F (14, 3615) 369,07

Prob > F 0,00

R-quadro 0,59

R-quadro aggiustato 0,59

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

- 145 -

Tab. 2b PERCENTUALE DEI COMUNI CHE SPERIMENTANO UNA SPESA EFFETTIVASUPERIORE O INFERIORE A QUELLA STANDARD, PER REGIONE

(comuni con numero di abitanti tra 2.000 e 60.000)

Nella tabella 3b si nota come, in questo caso, la percentuale di Comuni con spesa effettivamaggiore di quella standard che presenta eccedenze comprese tra il 10 e il 20% sia ancoraintorno al 12,5% mentre quella dei Comuni con eccedenze di spesa superiori al 20% scendaal 7 per cento.

Tab. 3b PERCENTUALE DEI COMUNI CHE SPERIMENTANO UNA SPESA EFFETTIVASUPERIORE A QUELLA STANDARD, PER REGIONE E CLASSI DI SCOSTAMENTO

(comuni con numero di abitanti tra 2.000 e 60.000)

Regioni

GRUPPO 1 GRUPPO 2

Totale ComuniComuni con spesa effettiva > spesa standard stimata

Incidenza su Totale Comuni

Comuni con spesa effettiva < spesa standard stimata

Incidenza su Totale Comuni

Abruzzo 36 12,14 76 67,86 112

Basilicata 43 62,32 26 37,68 69

Calabria 93 40,97 134 59,03 227

Campania 196 59,21 135 40,79 331

Emilia Romagna 165 60,44 108 39,56 273

Lazio 65 33,16 131 66,84 196

Liguria 41 41,41 58 58,59 99

Lombardia 487 55,09 397 44,91 884

Marche 59 41,55 83 58,45 142

Molise 6 20,00 24 80,00 30

Piemonte 105 31,53 228 68,47 333

Puglia 67 32,06 142 67,94 209

Toscana 103 48,58 109 51,42 212

Umbria 19 34,55 36 65,45 55

Veneto 83 18,12 375 81,88 458

Totale 1.568 43,20 2.062 56,80 3.630

Regioni <=2,5% 2,5-5% 5-7,5% 7,5-10% 10-20% 20-30% 30-50% >=50% Numero Comuni

Abruzzo 10,71 7,14 5,36 2,68 6,25 0,00 0,00 0,00 36

Basilicata 2,90 7,25 8,70 11,59 20,29 7,25 4,35 0,00 43

Calabria 8,37 4,85 6,17 5,73 11,45 3,52 0,88 0,00 93

Campania 7,55 8,16 6,65 7,25 16,31 9,97 3,02 0,30 196

Emilia Romagna 6,59 2,56 9,52 7,69 18,68 9,52 5,49 0,37 165

Lazio 2,04 7,14 5,10 5,61 11,22 1,02 1,02 0,00 65

Liguria 13,13 5,05 7,07 3,03 10,10 3,03 0,00 0,00 41

Lombardia 5,32 8,60 7,13 6,56 18,67 6,56 1,92 0,34 487

Marche 4,93 7,04 9,86 2,82 8,45 5,63 2,82 0,00 59

Molise 10,00 3,33 6,67 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 6

Piemonte 6,91 6,91 4,80 3,30 5,41 1,80 2,10 0,30 105

Puglia 8,61 5,74 3,83 3,83 7,18 2,39 0,48 0,00 67

Toscana 5,66 6,60 3,77 4,72 17,92 3,30 5,66 0,94 103

Umbria 0,00 7,27 14,55 3,64 3,64 5,45 0,00 0,00 19

Veneto 3,28 3,28 3,49 1,75 3,93 1,09 0,87 0,44 83

Totale 6,01 6,39 6,23 5,07 12,45 4,66 2,12 0,28 1.568

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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L’analisi aggregata per Regione (tabella 4b), mette in evidenza come i livelli dei benchmarkdi riferimento per i Comuni delle singole Regioni risultino, ad eccezione della Liguria edell’Umbria, meno elevati rispetto a quelli ottenuti dalla stima nazionale. Tale circostanza derivadal fatto che all’interno della “seconda fascia” demografica si trovano i Comuni con minore spesastorica pro capite, distribuiti nel tratto compreso tra il ramo discendente e quello ascendentedella curva a U. Gli scostamenti tra spesa storica e obiettivo standard risultano distribuiti inmaniera analoga a quanto emerge dalla stima nazionale, se si esclude un unico cambio disegno, relativo al Piemonte. Il Veneto, come nella stima nazionale, appare la Regione conmaggiore differenza positiva tra spesa standard ed effettiva, mentre all’Emilia Romagna sarebberichiesta la maggiore correzione nei cinque anni del processo di convergenza. Infatti, una elevataquota dei Comuni (la seconda per rilevanza) di quest’ultima Regione mostra una spesaeccessiva e, in particolare, risulta massima la percentuale di Enti con scostamenti superiori al 20per cento.

Infine, la tabella 1c riporta i risultati per i Comuni con numero di abitanti superiore a 60.000(“terza fascia”) , la quasi totalità dei quali è rappresentata da Comuni capoluogo. La variabilitàosservata e spiegata dal modello è di poco oltre il 70%. Le variabili che sono risultatesignificative colgono sostanzialmente fenomeni di congestione. Da un lato, infatti, hannoimportanza le entrate quale indicatore indiretto delle quantità – notevoli – di servizi offerti.Dall’altro, rilevano sia la densità demografica che la numerosità della popolazione, con il segnopositivo, che coglie la presenza di “diseconomie di scala”.

Tab. 4b SPESA OBIETTIVO, SPESA STORICA PRO CAPITE E SCOSTAMENTO % TRA SPESA OBIETTIVO E STORICA PER REGIONE(comuni con numero di abitanti tra 2.000 e 60.000)

Regioni per aree geografiche Obiettivo alla fine del quinto anno Spesa storica 2006 Scostamento percentuale

NORDEmilia Romagna 513,42 549,34 -6,54Liguria 702,44 664,91 5,64Lombardia 449,38 473,74 -5,14Piemonte 459,77 447,03 2,85Veneto 424,25 381,73 11,14

CENTROAbruzzo 455,52 438,97 3,77Lazio 454,42 447,48 1,55Marche 478,69 474,67 0,85Toscana 514,61 524,81 -1,94Umbria 500,61 479,95 4,30

SUDBasilicata 397,00 400,47 -0,87Calabria 387,04 379,32 2,04Campania 403,96 428,38 -5,70Molise 451,91 410,38 10,12Puglia 388,41 362,14 7,25

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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Tab. 1c RISULTATI DELL’ANALISI DI REGRESSIONE PER COMUNI CON NUMERO DI ABITANTISUPERIORE A 60.000

La percentuale di Comuni che presenta una spesa storica superiore alla standard (Tab. 2c)è maggiore di quella ottenuta dalla stima nazionale (45%), e anche di quelle delle due stimeprecedenti. In due Regioni, Basilicata e Umbria, gli unici Enti di grandi dimensioni presenti sulterritorio risultano caratterizzati da una spesa superiore alla standard.

Tab. 2c PERCENTUALE DEI COMUNI CHE SPERIMENTANO UNA SPESA EFFETTIVASUPERIORE O INFERIORE A QUELLA STANDARD, PER REGIONE

(comuni con numero di abitanti superiore a 60.000

Sale a oltre il 16% la quota di Comuni che presenta una spesa effettiva maggiore di quellastandard con eccedenze comprese tra il 10 e il 20% (tabella 3c). Quella di Enti con eccedenzetra il 20% e il 30% si colloca in media quasi al 4% e si concentra unicamente in Campania, EmiliaRomagna e Toscana. Mentre non si verificano casi di spesa storica con eccedenze superiori al30 per cento.

Spesa netta pro capite Coefficienti t P> |t| [95% Intervallo Confidenza]

Entrate tributarie pro capite 0,66 7,22 0,00 0,48 0,84Popolazione 0,00 1,84 0,07 0,00 0,00Densità 0,02 4,29 0,00 0,01 0,03Numero di abitazioni pro capite 381,76 1,72 0,09 -60,85 824,37Utili aziende partecipate e proventi diversi pro capite 0,51 2,62 0,01 0,12 0,89Costante 97,78 1,21 0,23 -62,83 258,39

Numero di osservazioni 80F (13, 6547) 35,51Prob > F 0,00R-quadro 0,71R-quadro aggiustato 0,69

Regioni

GRUPPO 1 GRUPPO 2

Totale ComuniComuni con spesa effettiva > spesa standard stimata

Incidenza su Totale Comuni

Comuni con spesa effettiva < spesa standard stimata

Incidenza su Totale Comuni

Abruzzo 0 0,00 2 100,00 2Basilicata 1 100,00 0 0,00 1Calabria 1 20,00 4 80,00 5Campania 6 66,67 3 33,33 9Emilia Romagna 8 66,67 4 33,33 12Lazio 1 20,00 4 80,00 5Liguria 0 0,00 3 100,00 3Lombardia 5 45,45 6 54,55 11Marche 2 66,67 1 33,33 3Piemonte 3 75,00 1 25,00 4Puglia 2 28,57 5 71,43 7Toscana 5 45,45 6 54,55 11Umbria 2 100,00 0 0,00 2Veneto 0 0,00 5 100,00 5

Totale 36 45,00 44 55,00 80

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Tab. 3c PERCENTUALE DEI COMUNI CHE SPERIMENTANO UNA SPESA EFFETTIVASUPERIORE A QUELLA STANDARD, PER REGIONE E CLASSI DI SCOSTAMENTO

(comuni con numero di abitanti superiore a 60.000)

Infine, nella tabella 4c si osserva che per questa classe demografica i benchmark regionali,ad eccezione di quelli di Liguria e Umbria, risultano superiori a quelli della stima nazionale, comeera da attendersi, dal momento che i Comuni della “terza fascia” sostengono spese pro capiteche si collocano sul tratto ascendente della curva a U. Per questo sottocampione, le maggiori

Regioni <=2,5% 2,5-5% 5-7,5% 7,5-10% 10-20% 20-30% 30-50% >=50% Numero Comuni

Abruzzo 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0

Basilicata 0,00 0,00 0,00 0,00 100,00 0,00 0,00 0,00 1

Calabria 0,00 0,00 0,00 0,00 20,00 0,00 0,00 0,00 1

Campania 11,11 0,00 0,00 11,11 33,33 11,11 0,00 0,00 6

Emilia Romagna 16,67 16,67 0,00 0,00 25,00 8,33 0,00 0,00 8

Lazio 0,00 0,00 0,00 0,00 20,00 0,00 0,00 0,00 1

Liguria 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0

Lombardia 18,18 0,00 0,00 18,18 9,09 0,00 0,00 0,00 5

Marche 33,33 0,00 33,33 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 2

Piemonte 0,00 0,00 25,00 25,00 25,00 0,00 0,00 0,00 3

Puglia 0,00 0,00 0,00 14,29 14,29 0,00 0,00 0,00 2

Toscana 18,18 0,00 0,00 9,09 9,09 9,09 0,00 0,00 5

Umbria 0,00 50,00 50,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 2

Veneto 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0

Totale 10,00 3,75 3,75 7,50 16,25 3,75 0,00 0,00 36

Tab. 4c SPESA OBIETTIVO, SPESA STORICA PRO CAPITE E SCOSTAMENTO % TRA SPESA OBIETTIVO E STORICA PER REGIONE(comuni con numero di abitanti superiore a 60.000)

Regioni per aree geografiche Obiettivo alla fine del quinto anno Spesa storica 2006 Scostamento percentuale

NORD

Emilia Romagna 624,59 680,03 -8,15

Liguria 673,73 601,66 11,98

Lombardia 828,73 830,27 -0,18

Piemonte 788,20 860,00 -8,35

Veneto 715,48 653,06 9,56

CENTRO

Abruzzo 654,73 541,57 20,89

Lazio 842,34 751,64 12,07

Marche 577,89 588,96 -1,88

Toscana 626,64 669,82 -6,45

Umbria 497,60 520,77 -4,45

SUD

Basilicata 584,21 675,08 -13,46

Calabria 491,89 489,55 0,48

Campania 675,71 777,70 -13,11

Puglia 545,12 527,33 3,37

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

- 149 -

correzioni riguardano la Basilicata (-13,46%) e la Campania (-13,11%). Riguardo alla prima,l’unico “grande” Comune presente tra le osservazioni della stima risulta avere una spesa effettivasuperiore alla standard nell’intervallo del 10-20%. Quanto alla Campania, dei nove Enti cherientrano nella regressione sei mostrano una spesa effettiva eccessiva e, di questi, tre superanoquella standard tra il 10 e il 20% e uno tra il 20 e il 30%. Nell’ambito delle Regioni chedovrebbero, invece, convergere verso un obiettivo di spesa più elevato, spicca l’Abruzzo(+20,89%) in quanto caratterizzato dalla presenza di due soli Comuni entrambi con spesaeffettiva al di sotto di quella standard. In tale situazione si trovano anche i Comuni della Liguria edel Veneto.

4.11 UN ESEMPIO DI STIMA SU BASE REGIONALE

Si è già ricordato come la legge delega preveda che le singole Regioni possano effettuareproprie valutazioni della spesa corrente standardizzata e delle entrate standardizzate a fini diuna allocazione alternativa tra i propri Comuni delle risorse perequative ottenute dallo Statonell’apposito fondo. In altri termini, data l’entità del fondo alimentato dallo Stato e istituito nelbilancio regionale, ogni Regione può ripartire le risorse perequative in modo diverso da quantostabilito a livello nazionale, sulla base di specifici accordi.

Riguardo alla spesa standardizzata, l’eventuale stima regionale “alternativa” può portare aun benchmark di riferimento diverso rispetto a quello nazionale, a causa della fortedifferenziazione territoriale che caratterizza il nostro Paese. In termini econometrici questadifferenziazione può manifestarsi in una diversità nelle variabili demo-socio-economico-territorialirilevanti per la spiegazione della spesa, così come nei valori dei parametri stimati a parità divariabili esplicative. Data la più circoscritta estensione del campione, un vantaggio di questaprocedura alternativa concessa alle Regioni potrebbe essere costituito da una potenzialemaggiore disponibilità di dati a livello decentrato; disponibilità che ovviamente non saràpatrimonio di tutte le Regioni, ma di quelle più dotate dal punto di vista dell’informatizzazionestatistica. Alcune potrebbero anche attivare (in collaborazione con l’ISTAT) la costruzione diinformazioni specifiche.

Per tenere conto di questa disposizione si sono effettuate, a titolo indicativo, stime dellaspesa standardizzata a livello regionale scegliendo due sole Regioni: quelle che, secondo icalcoli condotti a livello nazionale, risultano caratterizzate da una spesa storica – aggregata perRegione – che maggiormente andrebbe ridotta (Campania) o viceversa aumentata (Veneto) peravvicinarsi al valore standard.

Ovviamente, rispetto a quanto stimato per l’intero Paese, differente appare la distribuzionedei Comuni nel confronto con la spesa standard: innanzitutto si confrontano solo gli Enti dellaRegione interessata, ma soprattutto ogni singolo Comune si confronta con un nuovo riferimento.

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- 150 -

La stima relativa ai Comuni della sola Campania mostra una minore incidenza del numerodei Comuni con spesa storica maggiore di quella standard, rispetto alla regressione nazionale(da 289 a 208), perché in un insieme regionale con alta spesa storica il benchmark di riferimentorisulta inevitabilmente innalzato. In Veneto, invece, per le ragioni opposte, aumenta il numero diComuni con spesa storica maggiore di quella standard (da 129 a 285).

Nelle tabelle 1d ed 1e sono riportati i risultati delle due regressioni effettuate sui campioni diComuni di Campania e Veneto.

Tab. 1d RISULTATI DELL’ANALISI DI REGRESSIONE PER I COMUNI DELLA CAMPANIA

Tab. 1e RISULTATI DELL’ANALISI DI REGRESSIONE PER I COMUNI DEL VENETO

Spesa netta pro capite Coefficienti t P> |t| [95% Intervallo Confidenza]

Entrate tributarie pro capite 0,49 13,37 0,00 0,42 0,56

Popolazione 0,00 4,51 0,00 0,00 0,00

Utili aziende partecipate e proventi diversi pro capite 0,74 8,01 0,00 0,56 0,93

Inversa della popolazione 151.732,00 12,14 0,00 127.167,90 176.296,00

Superficie 0,54 2,67 0,01 0,14 0,94

Densità 0,01 3,47 0,00 0,00 0,02

Percentuale anziani 448,88 4,36 0,00 246,42 651,33

Numero convivenze pro capite 1.774,23 1,78 0,08 -187,97 3.736,43

Tasso occupazione -276,05 -3,42 0,00 -434,76 -117,34

Altitudine Media 0,06 3,69 0,00 0,03 0,10

Percentuale occupati in alberghi e ristoranti 297,93 3,49 0,00 130,16 465,70

Costante 217,40 6,76 0,00 154,26 280,55

Numero di osservazioni 508

F (11, 496) 72,43

Prob > F 0,00

R-quadro 0,62

R-quadro aggiustato 0,61

Spesa netta pro capite Coefficienti t P> |t| [95% Intervallo Confidenza]

Entrate tributarie pro capite 0,48 18,19 0,00 0,43 0,54

Utili aziende partecipate e proventi diversi pro capite 0,54 9,54 0,00 0,43 0,66

Inversa della popolazione 79.892,07 9,29 0,00 63.002,59 96.781,55

Percentuale anziani 672,80 6,62 0,00 473,15 872,44

Comune capoluogo 55,15 1,79 0,07 -5,30 115,59

Numero abitazioni pro capite 126,15 7,03 0,00 90,93 161,38

Numero di case sparse pro capite 123,52 2,27 0,02 16,58 230,46

Costante 10,90 0,59 0,56 -25,65 47,44

Numero di osservazioni 580

F (11, 496) 369,88

Prob > F 0,00

R-quadro 0,82

R-quadro aggiustato 0,82

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

- 151 -

Per la Campania le stime spiegano più del 60% della variabilità osservata, mentre per ilVeneto la variabilità spiegata sale ad oltre l’80%. Da notare come tra le variabili esplicative per iComuni campani compaia l’altitudine media (la media tra la massima e la minima del territoriocomunale), al cui crescere, analogamente a quanto avviene per lo status di montanità delComune, viene ad aumentare la spesa standard. Influiscono inoltre sulla stima le variabilidemografiche (e in particolare l’indicatore di utenza dei principali servizi destinati a nucleifamiliari e ad abitazioni) e, in modo maggiore di quanto avvenga a livello nazionale, la nonfavorevole situazione occupazionale che richiede politiche di sostegno da parte dei Comuni.

Per il Veneto, invece, assume significatività statistica, con segno positivo, il numero procapite di case sparse, che coglie l’aumento di fabbisogno di spesa dovuto alla fornitura deiservizi in presenza di forti distanze tra abitazioni (che non appartengono a nuclei abitati).Rispetto alla stima nazionale si nota, inoltre, una maggiore incidenza sulla spesa dovuta allanumerosità della popolazione e alla presenza di persone anziane.

L’applicazione di un procedimento di standardizzazione della spesa su base regionaleconsente probabilmente di ottenere stime in un ambito giurisdizionale più omogeneo. Tuttavia,essa solleva il problema della gestione “politica” dell’adozione di metodi che conducono arisultati differenti rispetto alle valutazioni del Governo centrale. Il ruolo delle Regioni in questoassetto sembra particolarmente rilevante. Ogni Comune che sperimentasse un trasferimento dirisorse meno cospicuo, rispetto a quello che percepirebbe in base allo schema di ripartizioneelaborato dallo Stato, potrebbe opporsi all’applicazione della formula regionale. In tal caso, sipuò immaginare uno schema in cui le Regioni potrebbero attivare compensazioni con risorseproprie. Tuttavia, ammesso che tra i Comuni della Regione si raggiunga un consenso sulladiversa ripartizione delle risorse, questa soluzione appare appannaggio soprattutto delle Regionipiù ricche; le stesse, probabilmente, che sarebbero comunque in grado di gestire effettivamentesistemi di trasferimenti regionali diversi da quello statale.

4.12 CONCLUSIONI

Il processo di individuazione delle competenze funzionali degli Enti Locali è stato lungo enon è ancora approdato a una conclusione. La “Legge La Loggia” del 2003 individuava lefunzioni fondamentali nelle funzioni storicamente svolte, connaturate alle caratteristiche propriedi ciascun tipo di Ente. Il progetto di “Codice delle Autonomie” proposto nella passata legislaturafaceva specifico riferimento alle attività relative ai servizi pubblici locali di rilevanza economicanecessari al soddisfacimento dei bisogni primari della Comunità locale. Né la “Legge La Loggia”né il “Codice delle Autonomie” hanno trovato attuazione; le indicazioni contenute nei dueprovvedimenti sono sostanzialmente confluite nello Schema di disegno di legge governativosulle funzioni fondamentali e sul conferimento delle altre funzioni amministrative trasmesso allaConferenza Unificata il 20 febbraio 2009, ancora i fase di elaborazione. Su questa stratificazione

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di interventi normativi è intervenuta la legge delega sul federalismo fiscale, che prevede ilfinanziamento integrale del fabbisogno di spesa standard relativo alle funzioni fondamentali deiComuni e dei livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate.L’individuazione di tali funzioni nella delega assume ancora carattere transitorio, in attesadell’entrata in vigore di provvedimenti specifici. Nei decreti legislativi delegati, le funzioniindividuate per i Comuni in via provvisoria sono: le funzioni generali di amministrazione, digestione e di controllo (nella misura complessiva del 70%); le funzioni di polizia locale; lafunzione di istruzione pubblica; le funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti; le funzioniriguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente (esclusi il servizio di edilizia residenzialepubblica e locale, i piani di edilizia economico-popolare, il servizio idrico integrato); le funzioni delsettore sociale.

Il concetto di fabbisogno di spesa standard entra nella nuova normativa in una dupliceveste: come criterio di riferimento per il finanziamento delle spese per le funzioni fondamentali;come criterio di comparazione e valutazione dell’azione pubblica finalizzato a tenere contodell’efficienza e dell’efficacia. La risoluzione delle questioni tecniche relative al computo delfabbisogno di spesa standard hanno pertanto implicazioni per il finanziamento e per lavalutazione degli Enti. Si rende quindi necessaria una condivisione fra gli attori coinvolti dellemetodologie da utilizzare, dei dati su cui il computo dovrà avvenire, delle modalità diaggiornamento della procedura nel corso del tempo.

La delega prefigura l’utilizzo di una metodologia di tipo econometrico, basata su unaregressione multipla. La spesa corrente primaria pro capite storicamente osservata per lefunzioni fondamentali sarebbe stimata su variabili che colgono i principali elementi didifferenziazione tra gli Enti, espressamente indicati dalla norma: ampiezza demografica ecaratteristiche territoriali, demografiche, sociali e produttive.

Questo procedimento presenta alcune criticità.Innanzitutto è da segnalare, quale problema che sembra richiedere i maggiori sforzi

applicativi, la mancanza di informazioni rilevate sistematicamente e con criteri omogenei chepermettano di discriminare adeguatamente gli Enti in base alle prestazioni effettivamente offertea parità di spesa effettuata. L’effettiva quantità e qualità dei beni e servizi pro capite somministrati– infatti - rende eterogenea la variabile di spesa pro capite su cui viene effettuata la regressioneeconometria; la mancanza di controllo su tali aspetti rilevanti indebolisce i risultati delle stime.Questo problema diviene cruciale per l’utilizzo, previsto dalla delega, del fabbisogno standardanche ai fini della costruzione del sistema di benchmarking all’interno del “Patto di convergenza”.

Un secondo elemento di criticità deriva dall’estrema numerosità e dalla fortedifferenziazione che caratterizza i Comuni italiani, dovuta – come è noto - soprattutto allapresenza di divari economici tra le aree territoriali e alla diversa dimensione demografica degliEnti. Questi fattori pongono difficoltà non trascurabili per l’elaborazione di qualunque tipo dibenchmark unico e indifferenziato che sia ottenuto a livello nazionale. In particolare, l’andamentoper classi demografiche della spesa pro capite relativa alle funzioni fondamentali mostra il

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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tradizionale “andamento ad U”, che tuttavia riflette diverse tendenze delle singole funzioni dellaspesa, che risultano caratterizzate da effetti del fattore di scala più o meno accentuati con puntidi minimo che individuano la dimensione ottimale in corrispondenza di dimensioni demografichediverse. Per tale motivo oltre a condurre una stima unica a livello nazionale, sono state proposteanche elaborazioni separate per i Comuni raggruppandoli in tre diverse fasce demografiche,rispettivamente con popolazione inferiore a 2.000 abitanti, compresa tra 2.000 e 60.000, oltre i60.000 abitanti. La scelta di queste tre classi – che ha richiesto anche stime aggiuntive rispetto aquelle riportate nel capitolo – risponde alla logica di mantenere un certo grado di differenziazionenel benchmark di raffronto che faccia riferimento a tipologie di Enti maggiormente simili tra loro,nell’intento di meglio depurare dalle differenze di comportamenti che non derivino da fattorioggettivi e che, quindi, non siano da correggere. In particolare, sulla base di quantoesplicitamente riconosciuto dalla stessa delega, si è voluto evitare di elaborare dei benchmarkche, includendo anche i comportamenti degli Enti che si trovano a produrre i servizi in unasituazione di dimensione ottimale (il punto di minimo della curva ad U), costringesse gli Enti dipiù piccola dimensione ad effettuare correzioni di spesa eccessive. Parte delle diseconomiederiva dalla presenza di elevati costi fissi, superabile solo con un aumento della dimensionedegli Enti e difficilmente correggibile nel medio periodo. Nello spirito della delega il processo diconvergenza dovrebbe avvenire con gradualità, puntando solo in parte sul taglio delle risorseattribuite e più realisticamente su incentivi a forme di “associazionismo” comunale. Sull’altrofronte, quello del tratto ascendente della curva ad U, il discorso è analogo, e lo strumentoprevisto dalla delega per incoraggiare recuperi di efficienza è dato dalla riorganizzazione infunzione della definizione delle Città metropolitane. Si è cercato, quindi, in coerenza con questeconsiderazioni di confrontare Comuni non troppo distanti - in termini di spesa pro capite – sia neltratto discendente che in quello ascendente della curva a U delle funzioni fondamentali. Ciò,dovrebbe portare ad evidenziare correzioni verso benchmark non troppo distanti, più facilmentealla portata degli Enti attraverso l’associazionismo comunale e la definizione delle Cittàmetropolitane.

La stima della spesa standard è stata effettuata, ove possibile, in base alle indicazioni dellalegge delega, utilizzando dati di spesa storica primaria corrente pro capite dell’anno 2006,desunti dai certificati del conto di bilancio dei Comuni di fonte del Ministero dell’Interno, riferitialle funzioni fondamentali e corretti per accrescere l’omogeneità della variabile oggetto di stima.I Comuni su cui è stata effettuata la stima sono quelli delle Regioni a statuto ordinario che hannopresentato i bilanci consuntivi e di cui si dispone di tutte le informazioni necessarie (6.560). Nonè stato tuttavia possibile tenere conto del fenomeno delle esternalizzazioni: le tecnicheusualmente utilizzate, riferite a un sottoinsieme della spesa, come nel caso delle sole funzionifondamentali, incontrano alcune difficoltà a causa del modo in cui la spesa per la produzione dicerti servizi – in economia o esternalizzata - trova contabilizzazione nei bilanci degli Enti. Si trattadi un problema che dovrà essere affrontato, insieme ad altri legati alla disponibilità dei dati,predisponendo rilevazioni dirette del fenomeno.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Le stime ottenute confermano che la transizione verso il nuovo regime di finanziamento,ossia la convergenza al livello di spesa standard nell’arco di cinque anni come previsto dallalegge delega, non sarà facile. Il 41% dei Comuni presenta una spesa effettiva maggiore di quellastandard; la concentrazione è maggiore in Basilicata (63,57%), Campania (55,71%), EmiliaRomagna (55,12%), Toscana (51,93%), Lombardia (51,56%). Sul fronte opposto, cioènell’ambito del restante 59% dei Comuni che mostra una spesa effettiva inferiore a quellastandard, il fenomeno si concentra negli Enti situati in Liguria (78,21%), Veneto (77,76%), Puglia(76,64%), Piemonte (70,35%), Umbria (64,13%), Abruzzo (61,31%), Lazio (60,92%), Calabria(59,75%), Molise (59,06%) e Marche (54,47%). Dalle stime si evince inoltre che più del 12% deiComuni con spesa effettiva maggiore di quella standard presenta un’eccedenza compresa tra il10 e il 20% e che oltre l’8% presenta eccedenze superiori al 20%. Tra le Regioni i cui Comuni inmedia dovranno effettuare una riduzione significativa della spesa pro capite si colloca laCampania (con una riduzione necessaria stimata nel 13,4% della spesa storica). Tra quelle i cuiEnti, all’opposto, potrebbero aumentare le spese per le funzioni fondamentali si colloca invece ilVeneto (con un incremento previsto pari al 10,78%).

Dalle stime effettuate per le tre differenti fasce demografiche emergono risultati diversi, checomportano cambiamenti nelle posizioni relative delle Regioni. L’andamento a U della curvadella spesa pro capite relativa alle funzioni fondamentali dei Comuni comporta infatti benchmarkdifferenziati per i tre sottogruppi di Enti. Rispetto all’unico obiettivo di spesa standard ottenutodalla stima condotta a livello nazionale, i nuovi benchmark di riferimento risultano - a meno diqualche eccezione per talune Regioni – più elevati per le fasce demografiche “estreme”, la primae la terza. La percentuale di Comuni con spesa storica superiore a quella standard resta vicina aquella rilevata a livello nazionale (41%), collocandosi al 41,6%, nella prima classe dipopolazione, sale al 43,2% nella seconda e ancora, al 45%, nella terza. Tuttavia, la maggioreaderenza del benchmark alle caratteristiche dei Comuni ne altera le posizioni relative: da un lato,porta a una diminuzione, in media per la seconda e terza fascia, della quota di Enti chepresentano scostamenti dalla spesa standard di entità superiore al 10%; dall’altro, implica unaumento, in media per ognuna delle tre le fasce, della quota di Comuni con eccedenze di spesacontenute all’interno del 2,5 per cento.

Con riferimento alle tre stime, inoltre, il maggior numero di Regioni che sperimentano unaspesa effettiva maggiore di quella standard si trova nella terza classe (8), seguita dalla prima(con 7 Regioni) e dalla seconda (con 5). Le sei Regioni in eccedenza di spesa evidenziate dallastima nazionale manifestano eccedenze variamente distribuite nelle stime per dimensione: laCampania mostra necessità di correzione della spesa in tutte le classi (specie nella terza e nellaseconda), la Lombardia ha problemi nella seconda, l’Emilia Romagna nella terza e nellaseconda, il Piemonte nella terza, la Toscana nelle classi estreme, la Basilicata nella terza. Lascomposizione per dimensione demografica mostra, infine, necessità di riduzioni di spesa perMolise e Marche nella prima fascia e per l’Umbria nella terza. La legge delega, inoltre, prevedeche le singole Regioni possano effettuare proprie valutazioni della spesa corrente standardizzata

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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e delle entrate standardizzate a fini di una allocazione alternativa tra i propri Comuni delle risorseperequative ottenute dallo Stato nell’apposito fondo. I divari regionali possono alterare ibenchmark di riferimento in maniera anche più ampia dei divari demografici. La posizione di unsingolo Ente rispetto al benchmark nazionale potrà risultare, su base regionale, anche ribaltata.Per quantificare questi effetti, a titolo esemplificativo, sono state effettuate stime della spesastandardizzata a livello regionale per le due Regioni che dalla stima nazionale risultanocaratterizzate da una spesa storica – aggregata per Regione – che andrebbe maggiormenteridotta (Campania) o viceversa aumentata (Veneto). Dalla stima relativa ai Comuni della solaCampania emerge una minore incidenza del numero dei Comuni con spesa storica maggiore diquella standard, rispetto alla regressione nazionale (da 289 a 208): in un insieme regionale conalta spesa storica il benchmark di riferimento risulta inevitabilmente innalzato. In Veneto, per leragioni opposte, aumenta il numero di Comuni con spesa storica maggiore di quella standard(da 129 a 285).

Questi risultati, dettati da una standardizzazione della spesa che utilizza stime piùomogenee in un ambito giurisdizionale, sollevano problemi di gestione “politica”: ogni Comuneche in base al criterio regionale si trovi a sperimentare un trasferimento di risorse inferiore aquello che percepirebbe in base allo schema statale ha interesse ad opporsi all’applicazionedella formula regionale. Si potrebbe immaginare in questi casi l’applicazione di schemi che sisovrappongono, in cui le Regioni attivino compensazioni con risorse proprie; il risultato allocativosarebbe a questo punto diverso da entrambi gli schemi puri, regionale e statale. Tuttavia,ammesso che tra i Comuni della Regione si raggiunga un consenso sulla diversa ripartizionedelle risorse, questa soluzione appare appannaggio soprattutto delle Regioni più ricche; lestesse, probabilmente, che sarebbero comunque in grado di gestire effettivamente sistemi ditrasferimenti regionali diversi da quello statale.

La stima della spesa standard dei Comuni, e più in generale qualsiasi applicazioneconcreta di attuazione delle norme sul federalismo, richiede una notevole mole di informazioniche solleva una serie di problemi. In primo luogo, l’informazione non risulta al momento completacon riferimento sia ai dati per singolo Ente sia agli Enti che forniscono le informazioni (ogni anno,ad esempio, varia la platea di Comuni che inviano i certificati di conto del bilancio al Ministerodell’Interno). In secondo luogo, la disponibilità delle informazioni presenta ritardi a volte moltorilevanti, come nel caso delle rilevazioni che derivano da censimenti generali effettuati dall’ISTAT(svolti con cadenza decennale); tali ritardi avranno più o meno rilevanza in funzione anche dellatempistica del processo di aggiornamento delle stime che verrà definita.

In terzo luogo, si rileva un’assai rilevante mancanza di informazioni sugli output e sullaqualità dei servizi offerti, indispensabili per poter valutare le prestazioni dei servizi anche ai finidel finanziamento; occorrerebbe rendere maggiormente fruibili i dati registrati nei quadri dal 13 al19 dei certificati di bilancio che ancora, nonostante i miglioramenti, risultano poco affidabili epotenziarne il contenuto informativo attraverso rilevazioni statistiche dirette, strutturate conmetodologie proprie delle statistiche nazionali.

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A tale proposito è da sottolineare che i Comuni “virtuosi” dovrebbero essere interessati ache sia possibile identificare correttamente i fattori di qualità-ampiezza dei servizi offerti, al fine dinon vedersi sottrarre quote importanti di trasferimenti perequativi, dal momento in cui la lorospesa storica – in mancanza di informazioni che giustifichino i loro esborsi “eccessivi” - puòrisultare notevolmente più elevata di quella standard. Potrebbero quindi essere interessati adavviare tempestivamente una rilevazione affidabile di questa tipologia di dati.

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Individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e stima della spesa standard

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5 Società partecipate dagli Enti pubblici territoriali: una ricognizioneeconomico-finanziaria

5.1 INTRODUZIONE

Le profonde trasformazioni che stanno investendo il ruolo e i compiti della pubblicaamministrazione hanno anche ridefinito, da un lato, la responsabilità della fornitura dei servizidelle amministrazione più vicine ai cittadini, con un ripensamento sulle modalità di erogazionedegli stessi (che ha visto l’intensificarsi del confronto tra efficienza ed efficacia di organizzazionipubbliche o private), dall’altro, hanno determinato un nuovo intreccio con il sistema economico,con arretramenti ed estensioni della presenza pubblica nell’economia (privatizzazioni epartecipazioni a società).

Ciò ha implicato l’ampliamento di un’area cuscinetto tra pubblico e privato che aumenta leincertezze informative legate a criteri di classificazione che non riescono a cogliere le novitàlegate alle modificazioni di natura giuridica, alla natura del finanziamento, alla sovrapposizione ecompresenza di personale con provenienze contrattuali diversificate.

Inoltre, mentre non si riesce a valutare appieno la rilevanza della presenza pubblica neldeterminare la ricchezza ed il benessere di un territorio, si rischia, nel contempo, di vederaumentare l’autonomia gestionale delle società ed imprese a controllo o partecipazione pubblicacon il depotenziamento delle politiche di indirizzo e controllo, ivi compreso il controllo della spesadi personale che, pur con diverse modalità, opera in realtà organizzative che ricevonofinanziamenti pubblici.

L’evidenza di tali tematiche nel dibattito politico, con la complessità delle implicazione che -in particolare - il settore dei servizi pubblici locali ha assunto nei confronti dell’apertura delmercato alla concorrenza e dell’impatto sul debito pubblico e sul Patto di stabilità interno, èconfermata dai numerosi interventi legislativi che, avviati negli anni novanta, si sono susseguiticon particolare frequenza a partire dal 2001.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Si fa riferimento:

- all’articolo 35 della legge n. 448/2001 (legge finanziaria per il 2002)1, che ha dato avvio aduna riconsiderazione della presenza nel mercato dei servizi pubblici locali;

- all’articolo 1, comma 142, della legge n. 266/2005 (legge finanziaria per il 2006), che haprevisto, in discontinuità con le precedenti disposizioni, la detrazione dal Patto di stabilitàinterno delle spese “per oneri derivanti da sentenze che originino debiti fuori bilancio”;

- all’articolo 1, commi 587-591 della legge n. 296/2006 (legge finanziaria per il 2007) con cuisi impone alle amministrazioni pubbliche presenti in consorzi e società di comunicare una

serie di informazioni2 entro il 30 aprile di ciascun anno al Dipartimento della FunzionePubblica, con susseguenti sanzioni in caso di inosservanza;

- all’ articolo 3, comma 27 e seguenti della legge n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008)che fissa nuove regole per l’affidamento in house, vietando alle Amministrazione Pubblichedi costituire società, anche mantenere o assumere partecipazioni, aventi per oggettoproduzioni di beni o servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle propriefinalità istituzionali;

- alla recente riforma dei servizi pubblici locali prevista dall’articolo 23-bis del decreto legge112/2008, convertito con la legge n. 133/2008, della quale il Ministero degli Affari Regionali

ha, nel febbraio 2009, predisposto una bozza di Regolamento attuativo3 da presentare allaConferenza unificata Stato Regioni.

Nel capitolo si intende offrire un quadro conoscitivo di enti e società che solitamente nonfanno parte del settore Amministrazione Pubbliche (S13 del SEC 95), sono fuori dal sistema dicontrattazione del pubblico impiego, e che per missione, comportamenti, finanziamentipotrebbero (con livelli di maggiore o minore gradualità) essere assimilati alla PubblicaAmministrazione, ma che ne vengono esclusi in quanto “produttori di beni e servizi destinabilialla vendita”. Tali enti ed imprese a volte sono la risultanza di politiche di esternalizzazione, dimodificazione degli interventi per le public utilities, di creazioni di agenzie pubbliche, sino -all’estremo - di sola partecipazione azionaria in società private.

1 La novità più rilevanti in materia dei servizi pubblici locali sono così sintetizzabili: abolizione dei modelli di gestione deiservizi pubblici locali previsti dall’art. 113 del Testo Unico delle leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali (TUEL), distinzionetra tipologie di servizi (“a rilevanza industriale” e non) e individuazione di soggetti affidatari dei “servizi a rilevanzaindustriale” mediate procedure di gara pubblica.2 La ragione sociale, la misura della partecipazione, la durata dell’impegno, l’onere complessivo a qualsiasi titologravante per l’anno sul bilancio dell’amministrazione, il numero dei rappresentanti dell’amministrazione negli organi digoverno, il trattamento economico complessivo a ciascuno di essi spettante.3 La bozza di Regolamento indica nel 31 dicembre 2010 il termine di decadenza per gli attuali affidamenti diretti,definisce le modalità per l’espletamento delle gare, che diventano la via ordinaria per l’affidamento dei servizi pubblici,inoltre, prevede entro tre mesi un decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze per assoggettare al Patto distabilità interno i titolari di affidamenti diretti, fatte salve alcune deroghe.

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Società partecipate dagli Enti pubblici territoriali: una ricognizione economico-finanziaria

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E’ un aggregato che viene osservato, partendo da diverse angolature e con l’utilizzo dinumerose banche dati e fonti informative, pubbliche e private: dall’ISTAT, nell’ambito del SEC95,dal Ministero dello Sviluppo Economico, che cura i Conti Pubblici Territoriali, dalla banca datiConsoc del Dipartimento della Funzione Pubblica, dall’ Unioncamere, per le società di capitalepartecipate dagli Enti Locali, dalla Confservizi, per le imprese di servizio pubblico localeassociate, da Mediobanca che, per conto della Fondazione Civicum, analizza le societàcontrollate dai maggiori Comuni italiani.

A questi contributi, che affrontano con periodicità gli andamenti e le problematiche relative atali aggregati di imprese, si aggiungono interventi di istituzioni e singoli studiosi che hannoapprofondito insiemi meno estesi di imprese (tra questi, Nomisma, Lega delle Cooperative,Banca d’Italia).

Infine, assume rilevanza l’attività condotta dalla Corte dei Conti, con numerose indagini ereferti, in particolar modo dopo l’avvio dell’indagine tramite questionario di cui al comma 167dell’articolo unico della legge n. 266/2005 (legge finanziaria per il 2006) relativa a Province eComuni in riferimento al fenomeno delle partecipazioni societarie da parte degli Enti Locali, cheha avuto una sistematizzazione nella recente deliberazione n. 13/2008, “Stato dei controlli dellaCorte dei Conti sugli organismi partecipati dagli enti locali”.

A seconda di come si restringa o si ampli il perimetro di riferimento, è un insieme di enti,consorzi, aziende in continua ascesa che una recente (aprile 2009) quantificazione relativa allabanca dati Consoc, gestita dal Ministero della Funzione Pubblica, fa giungere a 6.752 unità, dicui 2.991 consorzi e 4.461 società partecipate da Amministrazioni Pubbliche nel 2008, per un

totale di 23.400 componenti di consigli di amministrazione4. In questo capitolo si vuole, anzitutto, offrire una dimensione del fenomeno, affrontando

problematiche di natura definitoria e di conseguente quantificazione dei soggetti inclusi; inoltre,si cerca di integrare ed affinare le valutazioni inerenti l’impatto della spesa pubblica a livelloregionale, ricomprendendo nell’analisi soggetti economici esclusi dal perimetro della PubblicaAmministrazione.

Nel contempo, si è avviata una riflessione anche su natura ed esiti dei fenomeni legatiall’intervento pubblico nell’economia, con la conseguente esigenza di dotarsi di apparaticonoscitivi attendibili e di possibilità di controlli al fine di aumentarne l’efficienza gestionale el’efficacia a beneficio dei territori di riferimento.

4 La banca dati Consoc del Dipartimento della Funzione Pubblica contiene l’elenco dei consorzi e delle società a totale oparziale partecipazione da parte delle Amministrazioni Pubbliche, così come previsto dall’articolo 1, commi dal 587 al591, della legge finanziaria per il 2007.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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5.2 PROBLEMI DEFINITORI, PRIME QUANTIFICAZIONI E ANALISI DEL FENOMENO

Come è noto, la ricostruzione più ricorrente dell’insieme dei soggetti appartenenti al settoreAmministrazioni Pubbliche viene effettuata dall’ISTAT nell’ambito della Contabilità Nazionale,

attraverso il sistema di classificazione SEC955, con il quale vengono classificati tutti gli operatoridel sistema economico.

La pubblicazione più recente dell’ISTAT “Statistiche delle Amministrazione pubbliche 2003”offre un panorama esaustivo e particolareggiato di grande interesse relativo ad informazionistatistiche sull’organizzazione e il funzionamento delle Amministrazioni pubbliche, unitamente adun approfondimento sui processi di esternalizzazione di attività e servizi da parte delle stesse.Ma nell’introduzione viene rilevato come i processi di riforma amministrativa, le privatizzazioni, lefusioni, ecc., fanno sì che ”…l’applicazione di sistemi di classificazione basati su criteri di tipogiuridico e istituzionale determinerebbe, quindi, una incertezza informativa di fondo derivantedalla mutabilità dei criteri…Tra i limiti del ricorso alla classificazione del settore AmministrazioniPubbliche prevista dal SEC95 vi è l’esclusione di tutti quegli enti che, per comportamento efinalità assegnate, potrebbero essere assimilati alle Amministrazioni Pubbliche, ma che il SEC95classifica in altri settori dell’economia perché produttori di beni e servizi destinabili alla vendita.L’obiettivo per i prossimi numeri dell’annuario è l’estensione del dominio di riferimento anche a

tali amministrazioni”6.In sintesi, le unità istituzionali delle Amministrazioni Pubbliche riferite al 2003 erano pari a

9.976, con oltre 3.540mila addetti. A tal riguardo, è da rilevare come il perimetro delle unitàistituzionali venga definito in un apposito “Elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nelconto economico consolidato individuate ai sensi dell’articolo 1, comma 5, della legge 30dicembre 2004, n. 311” (legge finanziaria per il 2005), che viene aggiornato attraversoinserimenti aggiuntivi pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, di cui l’ultimo aggiornamento risale allapubblicazione della Gazzetta del 31 luglio 2008, n. 178.

Un ulteriore approfondimento per l’anno 2003, cha fa da complemento alle informazionirelative alle Amministrazioni Pubbliche, e che si configura come un’esperienza pilota per le

successive analisi di questo settore, viene offerto da uno studio di ricercatori dell’ISTAT7

relativamente alle imprese a controllo pubblico, in particolare locale, attraverso elaborazioni di

5 Il Sistema Europeo dei Conti nazionali e regionali (Sec95) rappresenta l’applicazione a livello europeo del System ofNational Accounts (Sna93) delle Nazioni Unite. I conti nazionali per settore istituzionale rappresentano la riproduzionedei conti generali del Paese per ciascuno dei settori e sottosettori nei quali sono raggruppati gli operatori visti come centridi decisione nel campo economico e finanziario.6 ISTAT, Statistiche delle Amministrazione pubbliche 2003, Roma 2006, pagg. 23-247 G. Giungato, A. Mancini, “Le imprese a controllo pubblico locale: un quadro strutturale”, in ISAE, SRM, IRES Piemonte,IRPET (a cura di), La finanza locale in Italia-Rapporto 2006; Franco Angeli Editore, Milano 2007, pagg 177-192.

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Società partecipate dagli Enti pubblici territoriali: una ricognizione economico-finanziaria

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informazioni dell’Archivio statistico delle imprese attive (ASIA) e dall’Archivio statistico dei Gruppidi imprese. Il campo di osservazione è costituito dalle imprese italiane dell’industria e dei servizi,costituite in forma di società di capitali e controllate da una o più unità istituzionali italianeappartenenti al settore della Pubblica Amministrazione, ai sensi del SEC95.

Adottando una definizione statistica riconosciuta a livello internazionale, sono stateconsiderate controllate le società di capitali in cui la Pubblica Amministrazione detenga più del50% del capitale societario o in forza del meccanismo di nomina degli amministratori o di leggi oregolamenti che permettano di determinare la politica societaria (cfr. Tab.1).

Tab. 1 IMPRESE A CONTROLLO PUBBLICO; ANNO 2003

Fonte: G. Giungato, A. Mancini, (op. cit.).

Si tratta di un aggregato di 2.607 imprese, con circa 670mila addetti, delle quali 2.172 (83%del totale) sono controllate dalle Amministrazioni Pubbliche locali, con numeri più contenuti diaddetti, pari a 187mila (28% degli addetti totali) in quanto non rientrano in tale aggregato legrandi imprese a controllo centrale (Ferrovie, Alitalia, ENEL, …). Delle imprese a controllopubblico locale, solo il 15% è dislocato nel Mezzogiorno (cfr. Tab. 2).

Tab. 2 IMPRESE A CONTROLLO PUBBLICO LOCALE PER RIPARTIZIONE; ANNO 2003

Fonte: G. Giungato, A. Mancini, (op. cit.).

Il 41,6 % degli occupati delle imprese a controllo pubblico locale appartiene al settore deitrasporti e delle comunicazioni, il 20,3% degli occupati alle altre public utilities, quali laproduzione e distribuzione dell’energia elettrica, acqua e gas.

Tipologia di controllo N. imprese Addetti

Controllo Centrale 415 478.818

Controllo Locale 2.172 187.725

- solo comunale 1.461 139.081

- solo provinciale 90 5.354

- solo regionale 126 21.582

- solo altre PA locali 93 1.944

- controllo misto locale 402 19.765

Altro 20 1.953

TOTALE 2.607 668.496

Ripartizione geograficaImprese Addetti

N. % N. %

Nord 1.326 61,0 95.047 50,6

Centro 517 23,8 52.002 27,7

Mezzogiorno 329 15,1 40.676 21,7

TOTALE CONTROLLO LOCALE 2.172 100,0 187.725 100,0

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Lo studio, inoltre, approfondisce le principali variabili del conto economico delle impresecon oltre 50 addetti: un sottoinsieme ridotto a 655 imprese (sulle 2.607 iniziali), delle quali 188(su 415) a controllo centrale e il restante 467 (su 2.172) a controllo locale. Attraverso alcuniindicatori di performance, vengono confrontate le imprese pubbliche a controllo locale, con iltotale delle imprese a controllo pubblico (centrale e locale) e con il complesso delle impreseitaliane (sempre con almeno 50 addetti).

In sintesi (cfr. Tab. 3), le imprese a controllo pubblico locale realizzano mediamente unaproduttività del lavoro (valore aggiunto per addetto) superiore a quella mostrata dalle impreseitaliane delle stesse dimensioni, ma inferiore rispetto al totale delle imprese a controllo pubblico,anche grazie alle performance delle imprese a controllo centrale (di maggiori dimensioni eappartenenti a settori produttivi ad alta produttività). Analoghe posizioni, sempre più elevate perle imprese a controllo pubblico locale, risultano con riferimento alle retribuzioni per dipendente eal costo del lavoro.

Tali indicatori permettono di chiarire la reale portata del primo indice, messo in relazionecon i restanti indici di redditività. Infatti, il rapporto valore aggiunto su fatturato per le imprese acontrollo pubblico locale presenta il valore più elevato (50%), a segnalare che, oltre ai livellielevati delle retribuzioni e del costo del lavoro per dipendente, sui costi di produzione interni e,quindi, anche sul fatturato complessivo vi è una maggiore incidenza delle spese per il personale(33,9%).

Da ultimo, il confronto per gli indici di redditività evidenzia per le imprese a controllopubblico locale situazioni peggiori di quelle delle imprese a controllo pubblico e del complessodelle imprese italiane, sia per il Margine operativo lordo in rapporto al valore aggiunto (MOL suvalore aggiunto), che segnala la quota di valore aggiunto al netto del costo del lavoro , sia per ilReddito operativo in rapporto al fatturato (ROS), che segnala la percentuale di fatturatotrasformata in utile operativo.

Tab. 3 INDICATORI DI PERFORMANCE PER IMPRESE CON 50 ADDETTI E OLTRE, PERTIPOLOGIA DI CONTROLLO. ANNO 2003

Fonte: G. Giungato, A. Mancini,(op. cit.)(1) Valore aggiunto: differenza tra il valore della produzione e i costi sostenuti dall’esterno per l’acquisizione dei materiali e dei servizi.(2) Margine operativo lordo (MOL): differenza tra valore aggiunto e costo del lavoro.(3) Return on sales (ROS): rapporto tra risultato operativo (differenza tra ricavi delle vendite e costi della gestione) e fatturato.

Imprese italiane in complesso

Imprese a controllo pubblico

Imprese a controllo pubblico locale

Valore aggiunto (1) per addetto (migliaia di euro) 54,3 78,4 57,9

Retribuzione per dipendente (migliaia di euro) 24,5 29,5 27,6

Costo del lavoro per dipendente (migliaia di euro) 34,7 41,3 39,4

Valore aggiunto / fatturato (%) 23,4 32,5 50,0

Spese di personale / fatturato (%) 14,8 17,1 33,9

Margine operativo lordo (MOL) (2) / valore aggiunto (%) 36,8 47,4 32,2

Return on sales (ROS) (3) (%) 3,0 6,4 2,1

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Società partecipate dagli Enti pubblici territoriali: una ricognizione economico-finanziaria

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5.3 ULTERIORI QUANTIFICAZIONI E ANALISI ECONOMICO-FINANZIARIE

Dibattiti, proposte ed interventi legislativi sono andati, nell’ultimo quinquennio, di pari passocon approfondimenti conoscitivi, indagini, studi sulla presenza della Pubblica Amministrazionenelle imprese di produzione di beni e servizi a livello locale.

Alcune istituzioni (pubbliche e private) offrono ormai con periodicità informazioni ed analisiche danno conto non solo dell’evoluzione quantitativa della presenza pubblica in termini dipartecipazione e controllo delle società che gestiscono servizi pubblici locali, ma ancheapprofondiscono le performance societarie (fatturato, produttività, ecc.) per settori di intervento,per forme societarie, per presenze istituzionali, per territori di riferimento.

L’unica rilevazione che ha caratteristiche censuarie viene effettuata dall’Unioncamere8, cheha di recente pubblicato la seconda indagine sulle società partecipate dagli Enti Locali.L’universo di riferimento è costituito dall’insieme delle società iscritte nel Registro delle Impresedelle Camere di commercio, che risultano essere partecipate da Comuni, Province, Regioni eComunità montane, e permette di mettere a confronto i risultati economici riferiti al 2003, 2005 eal 2006, con primi aggiornamenti al 2008. Viene così offerta una rilevazione a livello censuarioche permette di avviare un confronto temporale sul comportamento degli Enti Locali e sulleperformance settoriali delle imprese a livello di ripartizioni territoriali.

I due Rapporti dell’Unioncamere, inoltre, contengono indagini su un panel di società delsettore delle local utility esistenti sia all’inizio che alla fine del periodo di osservazione, al fine dievitare interferenze nei valori messi a confronto dovuto alle modificazioni del numero dellesocietà ed anche alcuni spaccati analitici relativi alle tariffe dei servizi di pubblica utilità in Italia edin altri paesi europei.

Dall’universo delle società partecipate, l’approfondimento viene ripetuto per le societàcontrollate, in cui il controllo appare più vincolante per il management delle imprese e più

responsabilizzante per le performance9. In quattro anni le società con una partecipazione degli Enti Locali sono cresciute da 4.604 a

5.128 (+11,4%), di cui circa il 70% con una partecipazione diretta ed il restante 30% mediata daaltre società; ma è da rilevare come l’incremento (+524 nuove imprese) sia dovuto per interoall’aumento delle controllate, cresciute nello stesso periodo di 561 unità (cfr. Tab. 4).

8 Unioncamere (2007) (2008).9 Nei Rapporti dell’Unioncamere si considera “Società controllata” quando la quota di partecipazione dell’Ente Locale alcapitale sociale è > del 50% (tra il 10 e il 50% per le società quotate in borsa). E’ questa una definizione più limitata diquella utilizzata dai ricercatori dell’ISTAT (op. cit.), nell’utilizzo dell’Archivio statistico delle imprese attive (ASIA), in cui,oltre alla quota di partecipazione del 50%, vi siano meccanismi di nomina degli amministratori o leggi o regolamenti chepermettano di determinare la politica societaria. Le due definizioni hanno comportato lievi differenze nella costruzionedell’universo di riferimento; cfr. anche nota n.12.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Tab. 4 SOCIETÀ DI CAPITALI PARTECIPATE E CONTROLLATE (*) DAGLI ENTI LOCALI

Fonte: Unioncamere (2007, 2008).(*) Quota di partecipazione > 50% del capitale sociale (anche tra 10 e 50% per le società quotate).

Dal 2003 al 2006 è aumentato il numero degli Enti Locali che partecipano con intensitàdifferenziate nelle società di capitali (da 7.089 nel 2003 a 7.631 del 2005 e infine a 7.651 del2006), con nuovi interventi di oltre 550 Comuni. (cfr. Tab. 5) E’ da rilevare come si restringaleggermente la media delle imprese partecipate per i Comuni (8,2 e 7,8) e le Regioni (42,8contro 36,2), con la riduzione delle amministrazioni che partecipano ad una sola società (dal22,4% del 2003 al 16,1% del 2005 e al 17,2% del 2006), ossia come vi sia una convergenza sugruppi di imprese ritenute strategiche per gli interessi degli Enti Locali (specialmente per i grandicomuni capoluoghi, si parla di holding comunali, con il 43% dei comuni che partecipa ad almeno

6 società nel 2006, contro il 37% nel 2003)10. Su questo aspetto, più avanti verrà offerto unapprofondimento attraverso i risultati delle indagini della Fondazione Civicum, a cura diMediobanca, giunta alla quarta edizione.

Tab. 5 ENTI LOCALI PARTECIPANTI NELLE SOCIETÀ DI CAPITALI

Fonte: Unioncamere (2007, 2008).

Passando alle società controllate, come si è già evidenziato, nel periodo compreso tra il2003 e il 2006, il numero di tali società ha mostrato un sensibile incremento (+561 unità). Nel2006, la quota di capitale degli Enti Locali nelle società controllate - quantificata attraverso le

Anno 2003 Anno 2005 Anno 2006

N. % N. % N. %

Totale partecipate 4604 100,0 4874 100,0 5128 100,0

- di cui direttamente 3.190 69,3 3.543 72,7 3.575 69,7

- di cui indirettamente (attraverso altre imprese) 1.414 30,7 1.331 27,3 1.553 30,3

Totale controllate (*) 2826 100,0 3166 100,0 3387 100,0

- di cui direttamente 1.994 70,6 2.287 72,2 2.428 71,7

- di cui indirettamente (attraverso altre imprese) 832 29,4 879 27,8 959 28,3

10 Unioncamere (2007), pag. 16; e Unioncamere (2008), pag. 15.

Anno 2003 Anno 2005 Anno 2006

N.EE.LL. N. mediodi imprese N.EE.LL. N. medio

di imprese N.EE.LL. N. mediodi imprese

Comuni 6.720 8,2 7.258 7,7 7.269 7,8

Province 102 22,2 102 20,5 101 23,9

Regioni 20 42,8 20 32,8 21 36,2

Comunità montane 247 3,6 251 3,3 260 4,3

Totale 7.089 8,4 7.631 7,8 7.651 8,0

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Società partecipate dagli Enti pubblici territoriali: una ricognizione economico-finanziaria

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Schede Soci depositate alle Camere di commercio - era pari all’81,4%. I Comuni, in particolare,risultavano presenti in 3.110 delle 3.387 società censite come “controllate”, nelle quali

detenevano il 64,1% del capitale”11, e di cui 2.177 erano controllate solo da Comuni. Sono state,inoltre, in forte aumento anche le società con la presenza quasi totalitaria di quote societariedelle Province. (cfr. Tab. 6)

Tab. 6 PRESENZA DEGLI ENTI LOCALI NELLE SOCIETÀ DI CAPITALI CONTROLLATE (*)

Fonte: Unioncamere (2007, 2008).(*) Quota di partecipazione > 50% del capitale sociale (anche tra 10 e 50% per le società quotate).

Il notevole incremento delle società di capitali a partecipazione e controllo locale è dovutoalla trasformazione delle aziende municipalizzate. Come si può rilevare nella tabella 7, è unfenomeno che ha interessato soprattutto il Centro-Nord: su 3.387 società controllate dagli EntiLocali, la quota riguardante il Centro-Nord è di oltre il 78%, mentre quella del Mezzogiorno, che èin lieve ascesa, nel 2006 si attesta a circa il 22%. Il dettaglio regionale segnala, al riguardo, fortipresenze in Lombardia, Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto, mentre nel Mezzogiornosi distingue la Campania.

Tab. 7 SOCIETÀ DI CAPITALI PARTECIPATE E CONTROLLATE DAGLI ENTI LOCALI PERRIPARTIZIONE TERRITORIALE

Fonte: Unioncamere (2007, 2008).

11 Unioncamere. (2008), pag. 17, Tabella 15.

Anno 2003 Anno 2005 Anno 2006

N. società

% partecipazione

N. società

% partecipazione

N. società

% partecipazione

Solo Comuni 1.729 78,8 2.038 79,8 2.177 82,1

Solo Province 66 85,2 96 91,7 97 99,1

Solo Regioni 107 84,9 96 81,2 117 82,8

Solo Comunità montane 25 67,1 28 86,0 34 74,6

Più tipologie di Enti locali 899 84,9 908 76,1 962 77,3

Totale 2.826 80,6 3.166 79,0 3.387 81,4

Centro-Nord MezzogiornoItalia

N. % su Italia N. % su Italia

Società partecipate

2003 3.661 79,5 943 20,5 4.604

2005 3.830 78,6 1.044 21,4 4.874

2006 4.007 78,1 1.121 21,9 5.128

Società controllate

2003 2.267 80,2 559 19,8 2.826

2005 2.495 78,8 671 21,2 3.166

2006 2.647 78,2 740 21,8 3.387

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I Rapporti dell’Unioncamere contengono delle elaborazioni relative agli indicatorieconomico-finanziari effettuate su un universo più ridotto di quello sin qui esposto, con l’utilizzodei dati delle società il cui bilancio depositato riporta un “valore della produzione” superiore azero, il che ha comportato una diminuzione del campo di osservazione di circa il 20-22%

dell’universo delle imprese (cfr. Tab. 8)12.

Tab. 8 SOCIETA’ CONTROLLATE: NUMERO DELLE IMPRESE OGGETTO DELLE ANALISI ECONOMICO-FINANZIARIE

Fonte: Unioncamere (2007, 2008).

Nella tabella 9 si riporta una sintesi di alcuni indicatori utili per un confronto tra leperformance delle società di capitali controllate dagli Enti Locali appartenenti alle due grandiripartizioni territoriali. Gi indicatori (valore aggiunto, costo del lavoro, utile netto) sono rapportatiad unità di addetto e sono articolati per settori di attività economica. I dati si riferiscono agli anni,2003, 2005 e 2006, con l’indicazione anche di un rapporto tra i corrispondenti indicatori delCentro-Nord e del Mezzogiorno che permette di ottenere una sintetica valutazione del confrontotemporale tra le due circoscrizioni.

In sintesi, e con tutte le cautele che occorre adottare quando si analizzano dati cosìaggregati, il confronto riportato nella tabella 9, mette in evidenza che:

- l’analisi temporale sui valori dell’aggregato “Totale generale” non segnala dinamicheparticolarmente rilevanti in termini di performance economico-finanziarie, se non un leggeroaumento del differenziale Centro Nord/Mezzogiorno per il valore aggiunto per addetto,passato da 1,61 nel 2003 a 1,63 nel 2006. Diversamente accade per il costo del lavoro peraddetto del Centro-Nord, mediamente superiore di circa il 13% al corrispondente delMezzogiorno nei primi due anni messi a confronto, che arretra all’8% nel 2006 segnalandoun recupero del costo del lavoro nel Mezzogiorno;

- per quanto riguarda il macrosettore delle local utility, che determina con le 1.168 società (su2.718 totali) un valore aggiunto di 10,4 miliardi, pari all’81% dell’aggregato relativo a tutte lesocietà controllate, gli indicatori di performance sono molto variegati. Il valore aggiunto peraddetto del Centro-Nord è mediamente superiore di oltre il 50% al corrispondente delMezzogiorno, con oscillazioni negli anni considerati e segnatamente in discesa nell’ultimoanno (2006 sul 2005) a causa più della dinamica negativa del risultato economico delle

12 Al riguardo, è da rilevare come il dato per l’anno 2003 relativo alle società controllate oggetto dell’analisi Unioncamere(2.191 unità) sia molto vicino a quello dello studio dei ricercatori dell’ISTAT (2.172 unità) che ha fatto, si può dire, dacapofila di questo filone di analisi.

Società partecipate Società controllate

2003 2005 2006 2003 2005 2006

Società iscritte 4604 4874 5128 2826 3166 3387

Società analizzate 3512 3769 4041 2191 2490 2718

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Società partecipate dagli Enti pubblici territoriali: una ricognizione economico-finanziaria

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Tab. 9 SOCIETÀ DI CAPITALI CONTROLLATE DAGLI ENTI LOCALI: ALCUNI INDICATORI DI PERFORMANCE

Fonte: Unioncamere (2007, 2008).(*) Nel 2003 il settore “Informatica e telecomunicazioni” era parte di “Infrastruttura e servizi alle imprese”.

Valore aggiunto per addetto Costo del lavoro per addetto Utile per addetto

C-N M CN/M C-N M CN/M C-N M

Totale local utility (A)

2003 62.843 41.738 1,51 39.976 37.380 1,07 5.208 -2.993

2005 67.861 43.241 1,57 42.653 39.470 1,08 6.806 -2.201

2006 67.014 43.875 1,53 41.500 40.807 1,02 5.136 -3.804

Produzione e distribuzione energia elettrica, gas e acqua

2003 105.750 65.792 1,61 43.147 46.596 0,93 24.036 694

2005 107.884 69.133 1,56 45.838 48.663 0,94 26.634 -3.589

2006 103.177 69.773 1,48 42.531 46.952 0,91 23.577 -2.219

Trasporti

2003 47.020 36.271 1,30 39.282 36.354 1,08 -1.808 -5.050

2005 51.275 40.388 1,27 42.175 39.555 1,07 237 -2.084

2006 52.042 39.580 1,31 41.589 40.371 1,03 -2.401 -4.414

Smaltimento rifiuti solidi, acque di scarico e simili

2003 51.875 37.693 1,38 37.905 32.530 1,17 587 147

2005 56.109 33.048 1,70 39.702 33.480 1,19 -2.961 -1.577

2006 57.321 37.552 1,53 40.104 37.965 1,06 -3 -3.393

Totale altre attività (B)

2003 60.094 26.417 2,27 37.205 24.814 1,50 -137 -3.352

2005 55.631 28.385 1,96 36.711 27.560 1,33 -4.395 -5.101

2006 61.345 28.500 2,15 37.667 28.132 1,34 7.079 -4.286

Agricoltura e industrie manufatturiere

2003 55.509 16.087 3,45 36.039 32.577 1,11 -1.471 -30.731

2005 44.567 26.566 1,68 31.587 35.241 0,90 -1.796 -18.005

2006 59.030 32.356 1,82 35.278 39.142 0,90 -1.599 -10.099

Commercio e pubblici esercizi (incluso farmacie)

2003 42.075 23.779 1,77 29.992 20.898 1,44 146 -3.419

2005 43.156 16.422 2,63 31.514 24.532 1,28 2.177 -14.760

2006 39.996 28.786 1,39 30.807 33.051 0,93 45 -9.869

Infrastruttura e servizi alle imprese

2003 (*) 66.117 25.856 2,56 35.496 23.620 1,50 86 -1.966

2005 66.052 27.645 2,39 35.426 26.327 1,35 -6.730 -3.656

2006 71.926 26.580 2,71 37.105 26.333 1,41 15.312 -3.551

Informatica e telecomunicazioni (*)

2005 60.547 61.752 0,98 41.749 44.059 0,95 -1.952 1.299

2006 78.691 52.251 1,51 47.021 36.742 1,28 6.107 -158

Formazione, servizi socio-sanitari, attività ricreative e culturali

2003 59.252 32.361 1,83 47.506 29.790 1,59 -659 -3.476

2005 42.538 29.013 1,47 41.625 25.912 1,61 -7.464 -2.308

2006 43.874 30.487 1,44 41.907 26.082 1,61 -6.204 -2.556

Altri servizi

2003 20.122 47.109 0,43 22.954 37.551 0,61 -8.202 -15.081

2005 -19.182 31.891 -0,60 49.919 14.355 3,48 23.228 -40.075

2006 146.047 10.364 14,09 32.205 16.719 1,93 76.809 -7.433

TOTALE GENERALE (A+B)

2003 62.390 38.701 1,61 39.519 34.889 1,13 4.327 -3.064

2005 65.641 39.711 1,65 41.574 36.640 1,13 4.772 -2.890

2006 65.818 40.257 1,63 40.691 37.825 1,08 5.546 -3.917

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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società del Centro-Nord che dei corrispondenti risultati nel Mezzogiorno;

- sempre per il macrosettore delle local utility, il costo del lavoro per addetto del Centro-Nordcontinua, anche se di poco, a essere superiore di circa il 2% nel 2006 al valorecorrispondente del Mezzogiorno, ma scende sostanzialmente negli anni; tuttavia si puòevidenziare come nel settore “Produzione e distribuzione energia elettrica, gas e acqua” ilvalore si presenti sempre superiore nel Mezzogiorno, 6-9% a seconda degli anni;

- l’utile per addetto, pur con le oscillazioni che tale grandezza può presentare nei diversiesercizi, tuttavia segnala una situazione fortemente negativa per il Mezzogiorno, che apartire dal 2005 non presenta più alcun settore attivo, mentre nel Centro-Nord appaionounicamente rilevanti per le local utility gli utili del settore “Produzione e distribuzione energiaelettrica, gas e acqua”, contro le forti perdite nel 2005 anche per il settore dello“Smaltimento rifiuti solidi, acque di scarico e simili”. Tra le altre attività è da sottolinearel’affermarsi dell’utile nelle società del settore “Infrastruttura e servizio alle imprese” e“Informatica e telecomunicazioni”.

Infine, nei due Rapporti vengono presentate altre informazioni relative alla permanenza inattività delle società a distanza di due anni, e prime analisi sulle composizioni dei consigli diamministrazione. Tra le due rilevazioni ( stato di attività a fine 2007 nei confronti delle societàanalizzate nel 2005 e corrispondenti al 30 giugno 2008 contro le analizzate al 2006) si segnalaun qualche miglioramento in termini di consolidamento societario, che vede aumentaredall’83,7% al 90,1% la percentuale delle società ancora attive e partecipate dagli Enti Locali, conuna diminuzione delle società che sono nel frattempo cessate, in liquidazione, fallimento,sospese o non più partecipate: 613 su 3.769 e 402 su 4.041, con una più forte diminuzione dellesocietà in cui la partecipazione degli Enti Locali è inferiore al 10%, ritenute non strategiche (cfr.Tab. 10).

Tab. 10 DISMISSIONI E STATO DI ATTIVITÀ NEL 2007 E 2008 (1)

Fonte: Unioncamere (2007, 2008).(*) Cessate, in liquidazione, fallimento, sospese o non più partecipate.(1) Non sono incluse le società partecipate ex-novo dagli Enti Locali nel periodo messo a confronto: 2005- 30.11.2007 e 2006-30.06.2008.

Totale local utility

(A)

Totalealtre attività

(B)

Totale partecipazioni

> o = al 10% (A+B)

Partecipazioni < al 10%

TOTALE GENERALE

Partecipate al 2005 1.328 2.027 3.355 414 3.769

Ancora partecipate al 30.11.2007 1.154 1.700 2.854 302 3.156

% su totale partecipate 86,9 83,9 85,1 72,9 83,7

Non più partecipate al 30.11.2007 (*) 174 327 501 112 613

% su totale partecipate 13,1 16,1 14,9 27,1 16,3

Partecipate al 2006 1.355 2.282 3.637 404 4.041

Ancora partecipate al 30.06.2008 1.240 2.074 3.314 325 3.639

% su totale partecipate 91,5 90,9 91,1 80,4 90,1

Non più partecipate al 30.06.2008 (*) 115 208 323 79 402

% su totale partecipate 8,5 9,1 8,9 19,6 9,9

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Società partecipate dagli Enti pubblici territoriali: una ricognizione economico-finanziaria

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Infine, per quanto riguarda, i consigli di amministrazione, l’ultima rilevazione al 30 giugno

2008 delle 3.639 società ancora partecipate dagli Enti Locali al 200613 riporta un numero diconsiglieri pari a 23.253, molto vicino a quello segnalato dalla recente rilevazione (aprile 2009)della banca dati Consoc, gestita dal Ministero della Funzione Pubblica, che fa ammontare a23.400 i componenti di consigli di amministrazione (ad esclusione dei presidenti), conteggiati su6.752 società, di cui 2.991 consorzi e 4.461 società partecipate da Amministrazioni Pubbliche nel2008.

Su un universo più ristretto, ma tuttavia molto significativo per rilevanza economica ecopertura territoriale, offre informazioni il Compendio statistico della Confservizi, che a cadenzaannuale, riporta i dati analitici riferiti alle imprese di servizio pubblico locale associate, con

l’evidenza dello stato patrimoniale e del conto economico. Il compendio 200814 fa riferimento aidati del triennio 2004-2006 ed è relativo a oltre 1.200 imprese su oltre 1.700 associate (nonvengono, di solito, riportati i dati di difficile reperimento per le gestioni in economia e le impreseprivate concessionarie).

Di recente, sono stati presentati dati aggiornati relativamente al periodo 2003-200815 chepermettono di verificare la crescente importanza di tale aggregato di imprese, sia in relazione alcontesto economico e produttivo nazionale, sia in termini di performance di efficienza eproduttività nei confronti di tutte le imprese pubbliche locali. Si tratta di un aggregato di impreseche nel 2006 ha realizzato un valore della produzione pari a 38,6 miliardi di euro, il 96,5% delcorrispondente valore di 40 miliardi di euro dell’universo delle imprese controllate e il 65,6% ditutte le partecipate di fonte Unioncamere. Tale valore nel 2008 è stimato a circa 44 miliardi dieuro, corrispondente a circa l’1,5% del totale della produzione nazionale e il 4,5% di quellaindustriale. Inoltre, il valore aggiunto per addetto (cfr. Tab. 11) segnala una crescita del 28% nel

13 Non conteggiando, come è riportato nella nota della tabella 9, le società partecipate ex-novo dagli Enti Locali nelperiodo 01-01-2007-30.06.2008. Per un maggiore dettaglio relativo alla numerosità in termini di società derivanti dallediverse aggregazioni terminologiche, cfr. la tabella 7.14 Confservizi (2008).15 Confservizi (2009).

Tab. 11 VALORE AGGIUNTO E OCCUPAZIONE NELLE IMPRESE PUBBLICHE LOCALI

Fonte: elaborazione ISAE su dati Confservizi (2009).

Anno Valore aggiunto(milioni di euro) Addetti

Valore aggiunto per addetto

v.a. (migliaia di euro) n. indice (2003 = 100)

2003 10.318 161.084 64,1 100,0

2004 11.168 164.958 67,7 105,7

2005 11.894 166.253 71,5 111,7

2006 12.655 169.246 74,8 116,7

2007 13.516 170.852 79,1 123,5

2008 14.030 171.464 81,8 127,7

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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periodo 2003-2008 (dai 64 mila euro nel 2003 a circa 82 mila nel 2008), mentre l’utile per addetto

registra un aumento del 53%, da 4,3 mila euro nel 2003 a 6,8 mila euro nel 200816. Come si puòrilevare dalla tabella 8, pur facendo riferimento a dati di fonte Unioncamere, l’intero compartodelle imprese pubbliche locali segnala andamenti decisamente più contenuti, almeno sino al2006, ultimo anno confrontabile ( 57,2 mila nel 2003 e 59,4 mila euro nel 2006).

Sempre sul medesimo insieme di imprese pubbliche locali aderenti a Confservizi, ma su unambito ancora più ristretto, negli ultimi due anni è stato organizzato un Osservatorio economicoe finanziario Nomisma - Confservizi , in cui sono analizzate le imprese pubbliche locali operanti

nei servizi energetici ed ambientali quotate in borsa. La più recente analisi17 è condotta sullabase dei risultati economici al 30 giugno 2007, e mette a confronto sull’anno precedente la

competitività di 6 gruppi di imprese18 che rappresentano, in termini di fatturato, poco meno dellametà del valore della produzione delle imprese pubbliche locali, un insieme di circa 500 imprese, articolato per settore di attività, forme gestionali, dimensione, area geografica rispetto alterritorio di riferimento. Il Rapporto Nomisma, inoltre, contiene un approfondimento dellaregolamentazione e delle politiche tariffarie nei settori dell’energia elettrica, del gas naturale, delservizio idrico, dell’igiene ambientale e del trasporto pubblico locale, al fine di valutare i riflessiche i cambiamenti normativi hanno sul sistema delle imprese pubbliche locali.

Le Amministrazioni comunali, ed in modo particolare i grandi comuni, controllano - opartecipano - un numero crescente di società, con modalità molto diversificate da settore asettore, da partecipazione di controllo diretto su singole società, sino alla costituzione di holdingarticolate. Alcune società generano profitti rilevanti, specialmente per le imprese che operano nelsettore dell’energia, che garantiscono flussi di entrata di cassa regolari, mentre altre, inparticolare nel settore del trasporto pubblico locale o nella raccolta e trattamento rifiuti,determinano perdite altrettanto rilevanti.

E’ su questo spaccato di società che si sono concentrate molte indagini, tra queste,l’approfondimento condotto della Lega delle Autonomie relativamente a 50 Comuni di media egrande dimensione, che partecipano e/o controllano 224 società, relative a tutte le regioniitaliane. Numerosi risultati delle analisi trovano conferme anche nelle altre indagini, quali icomportamenti gestionali e risultati economici che si differenziano a seconda del territorio, chevengono così riassunti “…I dati relativi alle singole società partecipate, classificati per grandiaree geografiche, mostrano che al Sud, nel 2006 le società partecipate dagli enti locali hannoaccumulato perdite d’esercizio complessive per 82,8 milioni, mettendo in mostra una gestioneeconomica poco efficiente. Al Centro e al Nord, invece, gli enti strumentali dei Comuni hanno

16 Confservizi (2009), pag. 3 e pag. 5.17 Nomisma, Osservatorio economico e finanziario. La competitività delle imprese pubbliche locali, Bologna, febbraio2008.18 ACEA Roma, ACEGAS-APS Trieste, ACSM Como, AEM Milano, ASM Brescia, HERA Bologna, IRIDE Torino.

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registrato utili rispettivamente per 26 e 176 milioni…”19, ma appare interessante anche il risultatodell’indagine condotta sulle delibere consiliari di approvazione della creazione di nuove societàpartecipate da parte dei Comuni, che “… motivano tali scelte soprattutto richiamando i vantaggidella flessibilità nella gestione del personale, le agevolazioni fiscali previste dalle norme a favore

delle società, la possibilità di scegliere l’affidamento in ‘house’…”20.Ancora, la Banca d’Italia, nell’ambito di un più complessivo progetto di ricerca

sull’evoluzione dei servizi pubblici locali, ha pubblicato lo studio Le grandi imprese italiane dei

servizi pubblici locali21 (settembre 2008). Un’indagine sui big players, società individuate comeartefici di quella “industrializzazione” del comparto auspicata anche nei processi di riformaavviati. La selezione delle società da intervistare è stata effettuata con riferimento alladimensione aziendale, in termini di fatturato e numero di dipendenti, mantenendo una sufficientecopertura in termini settoriali. L’analisi è basata sull’esame di dodici casi aziendali, con l’obiettivodi ricostruire i processi di sviluppo, è stata realizzata anche per mezzo di colloqui informali conuno o più responsabili dei vertici aziendali.

L’indagine ha evidenziato alcuni elementi ritenuti potenzialmente rilevanti nell’indurre olimitare lo sviluppo aziendale:

- le tradizioni aziendali. Tutti i grandi operatori traggono origine da un’impresa di proprietàpubblica locale; solo in un caso si è assistito ad una immissione di un nuovo socio esternoche, diventato il socio “gestore” ha cambiato le modalità operative aziendali. Pur avendomedesime origini, diversi sono stati i livelli di autonomia tecnica e manageriale rispettoall’Ente Locale controllante;

- gli stimoli del nuovo contesto normativo e regolamentare. Diverse sono state le risposte neiconfronti della crescita e complessità aziendale e dell’ampliamento dei territori di intervento,così come nei confronti dei meccanismi concorrenziali introdotti;

- le caratteristiche tecnologiche e di mercato del comparto iniziale di attività. La maggioreredditività di alcuni settori (energia) è stata un obiettivo strategico cui hanno teso le aziendeanalizzate, mentre - all’estremo opposto - la presenza di settori critici (come nel caso deitrasporti locali) ha generato risposte tese più alla riduzione dei costi che all’espansione deiricavi, anche in settori collaterali;

- la localizzazione e la dimensione aziendale di partenza. L’indagine ha approfondito comele strategie di crescita aziendali possano essere state influenzate dal contesto territoriale, intermini di prospettive di mercato, di mercato di approvvigionamento, di presenza diconcorrenti, ecc.;

19 Legautonomie (2008), pag. 2.20 Legautonomie (2008), pag. 4.21 M. Bianco, D. Mele, P. Sestito, Le grandi imprese italiane dei servizi pubblici locali: vincoli, opportunità e strategie dicrescita, in “Questioni di Economia e Finanza (Occasional Papers)”, 26, 2008.

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- il ruolo della proprietà (e il contesto politico locale). L’analisi ha cercato di chiarire il ruolosvolto dall’azionista di controllo durante le fasi di crescita aziendale, sia nel favorirnel’espansione e nel frenarne lo sviluppo. L’assenza di una liberalizzazione decisa hapermesso al controllo politico di esercitare il ruolo di attore fondamentale, mentre laquotazione in borsa - voluta dal management - è stata anche vista come una diluizione delcontrollo pubblico locale.

La rilevanza economico-finanziaria delle società controllate dai maggiori comuni italiani èanche testimoniata da questo sintetico dato: per i grandi comuni oggetto dell’indagine ricorrentecondotta dall’Ufficio Studi di Mediobanca per la Fondazione Civicum di Milano, la spesa nel 2007delle società controllate è pari a 17,1 miliardi di euro, quasi il doppio della spesa a gestionediretta delle stesse Amministrazioni comunali, pari a 9 miliardi di euro.

Quella condotta per la Fondazione Civicum è una indagine che dal 2005 approfondisceannualmente il settore delle utilities delle imprese pubbliche locali attraverso due Rapporti, sui

bilanci e sugli indicatori di performance. Nell’ultima edizione22, presentata a gennaio 2009, sonoanalizzati i bilanci 2006/2007 delle 47 società controllate dai Comuni di Bologna, Brescia,

Milano, Napoli, Roma, Torino23, relativamente ai settori: Energia elettrica e gas, Acqua, Serviziambientali, Trasporto locale, Aeroporti. Oltre alle informazioni desumibili dai bilanci, sono statiraccolti attraverso questionari altri dati riguardanti la quantità di servizio erogato, indicatori diqualità e di efficienza specifici per singoli settori.

Della grande massa di informazioni contenuta nei due Rapporti relativi all’ultima edizione,se ne presenta una sintesi che testimonia l’importanza dell’intervento di queste imprese neiterritori di riferimento, mettendo in evidenza i legami con i bilanci delle pubbliche amministrazioniche, con le più diverse configurazioni, partecipano o ne controllano l’operatività (cfr. Tabb. 12-13).

Appare evidente che il principale contributo proviene dalle aziende che operanonell’energia elettrica, gas e acqua: esse generano nel 2007 il maggiore fatturato (13,5 miliardicontro i 18,6 del totale), con i loro profitti permettono di controbilanciare i risultati negativi di altrisettori (726 milioni di euro contro i soli 633 residuali del totale), garantiscono un regolare erilevante afflusso di risorse ai bilanci comunali attraverso la distribuzione di dividendi (257 milionidi euro sui 300 complessivamente incassati dai Comuni nel 2007). Gli altri settori, checomplessivamente detengono nel 2007 un fatturato di soli a 5,1 miliardi, con oltre 60 miladipendenti sui 77 mila totali, determinano una perdita netta di 93 milioni di euro (con perdite di105 milioni riferite al trasporto pubblico locale e di 25 milioni ai servizi ambientali, mentre sono inattivo di 37 milioni i servizi aeroportuali) nonostante i 1,9 miliardi di euro di contributi ecorrispettivi provenienti dagli Enti Locali a titolo di integrazione dei ricavi (dei quali oltre 1,3miliardi per il solo trasporto pubblico locale).

22 Fondazione Civicum (2009a, b). 23 I comuni sono stati selezionati sulla base del volume di valore aggiunto provinciale nel 2006.

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Tab. 12 SOCIETÀ CONTROLLATE DAI MAGGIORI COMUNI: FATTURATO, RISULTATI DI GESTIONE,DIVIDENDI PER COMUNE; ANNO 2007

(migliaia di euro)

Fonte: elaborazioni ISAE su dati Fondazione Civicum (2009b).(1) Dividendi riferiti all'esercizio di competenza.(*) Napoli non detiene partecipazioni nel settore energetico, che determina i maggiori ricavi e risultati netti. (**) AEM (ora A2A) (Milano), ACEA (Roma), ASM (Brescia), HERA (Bologna).

Tab. 13 SOCIETÀ CONTROLLATE DAI MAGGIORI COMUNI: FATTURATO, CONTRIBUTI DA P.A., RISULTATI DI GESTIONE PER SETTORE; ANNO 2007

(migliaia di euro)

Fonte: elaborazioni ISAE su dati Fondazione Civicum (2009b).

Una considerazione di insieme, che combina la spesa pubblica effettuata dai diversi livellidi governo e la spesa delle imprese produttrici di beni e servizi controllate dalla PubblicaAmministrazione, è possibile effettuarla tramite la elaborazione dei dati dei Conti PubbliciTerritoriali (CPT) del Ministero dello Sviluppo Economico. Attraverso questa banca dati vi è lapossibilità di considerare l’aggregazione tra gli interventi delle Amministrazioni Pubbliche nellatradizionale erogazione dei beni e servizi pubblici e gli interventi operati da enti, imprese,società, consorzi - controllati dalle Amministrazioni Pubbliche - nella produzione di beni e servizidestinati alla vendita.

Mentre si rimanda alle numerose pubblicazioni e banche dati del Ministero dello SviluppoEconomico per gli approfondimenti conoscitivi e la metodologia seguita per la costruzione di

Comune Totale Ricavi Risultati netti Dividenti incassati dal Comune (1)

Milano 8.963.070 333.638 107.185

Roma 4.140.511 31.963 67.208

Brescia 2.303.798 224.192 82.185

Torino 2.020.282 27.805 30.530

Napoli (*) 608.910 -11.553 865

Bologna 586.368 26.637 12.404

Totale 6 Comuni 18.622.939 632.682 300.377

di cui Energia elettrica, gas e acqua 13.545.147 725.951 257.950

di cui Società quotate in borsa (**) 12.045.438 698.813 251.980

Settori Totale Ricavi Contributi e corrispettivi da comuni, province e regioni

% Contributi su Totale Ricavi Risultati netti

Energia, gas e acqua 13.545.147 - - 725.951

Aeroporti 715.734 - - 37.002

Servizi ambientali 1.250.785 498.122 39,8 -24.546

Trasporti 2.326.509 1.344.077 57,8 -104.859

Varie 784.764 78.506 10,0 -866

Totale 6 Comuni 18.622.939 1.920.705 10,3 632.682

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informazioni statistiche che appaiono di rilevanza fondamentale per la conoscenzadell’intervento pubblico sui territori del nostro Paese, si utilizzano in questo capitolo parte delleinformazioni dei CTP per dar conto della rilevanza dell’intervento delle aziende, imprese,consorzi controllati dagli Enti Locali nelle Regioni italiane e per approfondire le relazioni tral’operatività di tali imprese e le pubbliche amministrazioni.

Prima di addentrarci nell’analisi dei dati, sembra utile fornire una brevissima sintesimetodologica inerente il confine dell’aggregato di istituzioni, enti ed imprese presi inconsiderazione.

Come viene riportato nelle pubblicazioni del Ministero dello Sviluppo Economico, “Il SettorePubblico Allargato è formato dalla Pubblica Amministrazione e dall’Extra PA (definita sia a livellocentrale che locale/subregionale) in cui sono incluse le entità sotto il controllo pubblico (ImpresePubbliche), impegnate nella produzione di servizi destinabili alla vendita, a cui la PubblicaAmministrazione ha affidato la mission di fornire agli utenti alcuni servizi di natura pubblica,come le telecomunicazioni, l’energia, ecc…La numerosità degli enti che costituiscono i duediversi aggregati di riferimento, e dunque il confine esatto tra l’appartenenza di un ente alla PA oall’Extra PA, è un elemento variabile nel tempo, direttamente collegato alla natura giuridica degli

enti stessi e alle leggi che ne regolano i diversi settori di intervento”24.Per definire l’appartenenza di tali enti ed imprese al Settore Pubblico Allargato, è stata

adottata convenzionalmente una soglia del 30% della partecipazione pubblica, al di sotto della

quale si può presumere che un controllo sia in genere non esercitabile, con alcune deroghe25.Inoltre, l’inserimento nell’universo di rilevazione di enti che redigono la propria documentazionecontabile secondo le norme sul bilancio di impresa ha richiesto complesse operazioni di raccordotra contabilità economica e contabilità finanziaria, al fine di pervenire a una valutazione deglieffettivi pagamenti e riscossioni, per la trasformazione in dati di cassa riconducibili agli schemi dientrata e di spesa adottati dai Conti Pubblici Territoriali (CPT).

Da ultimo, il criterio adottato nella ripartizione territoriale delle spese nei CPT è statoprincipalmente quello della localizzazione dell’intervento dell’operatore pubblico, in termini diflussi finanziari rilevabili nei diversi territori regionali.

L’apporto della spesa pubblica, sia quella diretta, operata tramite le AmministrazioniPubbliche, sia quella intermediata attraverso il settore extra P.A., cioè quella riconducibile al

24 Dipartimento per le Politiche di Sviluppo, Ministero dello Sviluppo Economico, Guida ai Conti Pubblici Territoriali,Roma, 2007, pag. 35. 25 “La soglia è stata fissata al 30 per cento, anche se tale valore viene però applicato in modo particolarmente flessibile,in considerazione dei confini non sempre netti che si riscontrano nell’analizzare il ruolo dell’operatore pubblico. Così, lesocietà con una quota superiore a tale soglia non sono state automaticamente inserite nel conto, ma la loro inclusione èstata valutata alla luce della definizione di controllo, così da escludere dopo detta analisi, le società, talvolta anche apartecipazione pubblica maggioritaria, di fatto controllate da privati. Al tempo stesso si è prevista la possibilità di derogareal valore soglia per includere quelle società, con partecipazione pubblica inferiore al 30 per cento, che presentasserocomunque un controllo pubblico sostanziale (come nel caso di aziende per le quali vige la clausola di golden share)”.Dipartimento… , op. cit. pag. 44.

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Settore Pubblico Allargato costruito dai CPT, ammonta nel 2007 a 973 miliardi di euro, contro680 miliardi del 2000, con un aumento del 43% nel settennio. La velocità di accrescimento ècontinuata ad essere più elevata nelle regioni del Centro-Nord (+44,5%) che in quelle delMezzogiorno (+39,2%).

Tuttavia, il risultato del confronto sfavorevole al Mezzogiorno si attenua, manifestando unasostanziale stabilità nel periodo considerato, se si analizza il valore pro-capite che tiene contodella dinamica della popolazione nelle due grandi partizioni territoriali, sempre più elevata nel

Centro-Nord (+6,1% contro lo 1,1% del Mezzogiorno)26. Il rapporto dei corrispondenti valori dellaspesa del SPA pro-capite tra le due circoscrizioni passa da 1,35 nel 2000, per salire sino a 1,42nel 2002 per poi scendere a 1,34 nel 2007, a segnalare come la spesa pubblica continui nelperiodo 2000-2007 ad essere superiore nel Centro-Nord di poco oltre 1/3 di quella destinata alMezzogiorno.

A fronte di una spesa pubblica che non sembra che abbia svolto una reale funzione diriequilibrio territoriale, nel periodo considerato, il PIL pro-capite ha realizzato una crescita piùelevata nel Mezzogiorno, determinando un’attenuazione del divario tra i valori delle duecircoscrizioni, sceso dall’1,78 all’1,73. Tuttavia, anche in questo caso, più che un aumento delPIL, è decisivo l’effetto della diversa dinamica demografica delle due partizioni territoriali.

Graf. 1 - DINAMICHE DEL PIL PRO-CAPITE E DELLA SPESA DEL SPA PRO CAPITE

Fonte: elaborazioni ISAE su dati CTP.

26 Il rapporto tra la popolazione residente del Centro-Nord e quella del Mezzogiorno passa dall’1,77 del 2000 all’1,86 del2007, con un aumento della popolazione nelle due ripartizioni territoriali di 2.214.000 unità contro 219.000. Larga partedell’aumento è ascrivibile alla popolazione straniera, che nel 2007 ha raggiunto un’incidenza del 6,7% della popolazioneresidente del Centro-Nord, contro l’1, 6% del Mezzogiorno.

10 0 ,0

10 5,0

110 ,0

115,0

12 0 ,0

12 5,0

13 0 ,0

13 5,0

14 0 ,0

2000 200 1 20 02 2003 2004 20 05 2 006 2007

P IL pro -c apite C -N

P IL pro -c apite M

SP A pr o -c apiteC -N

SP A pr o -c apite M

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Focalizzando l’attenzione sulle imprese pubbliche locali, per evidenziare le potenzialitàaggiuntive di tale forma di intervento pubblico nell’economia locale, viene confermato, conevidenza, come non stia decollando la presenza di tale comparto nelle regioni del Mezzogiorno.

In tutti i contributi conoscitivi sulle imprese pubbliche locali viene evidenziata la difformitàesistente tra le due aree del Paese relativamente alla intensità e alle caratteristiche dell’universodelle imprese pubbliche locali. La percentuale della presenza di tali imprese nel Mezzogiornooscilla dal 15 al 25% a seconda delle tipologie societarie (aziende, consorzi e forme associate,ecc.), e delle modalità della presenza pubblica nel capitale societario (partecipate o controllate).Come si presenti sottorappresentato il Mezzogiorno riguardo a questo intervento lo si puòrilevare anche dal rapportare tali valori al peso della popolazione residente in tale territorio, che èpari al 35% dell’intera popolazione nazionale.

La spesa complessiva delle imprese pubbliche locali (circa 3.200 imprese nel 2007)ricomprese nel SPA - nella definizione dei CTP - è pari a 60,4 miliardi di euro nel 2007, e di essa51,5 miliardi sono localizzati nel Centro-Nord e 8,8 miliardi di euro nel Mezzogiorno: circa il 15%,mentre tale quota superava il 20% alla fine degli anni ’90. Nel Centro-Nord, come si è potutoosservare anche dagli altri contributi ricordati, si concentrano le imprese pubbliche locali nelsettore energetico, che danno il più alto valore aggiunto per addetto (ed anche utili), ed anchesono coinvolte in processi di evoluzione societaria, come l’aggregazione in multi-utilities per

sfruttare economie di scala27.Tale spesa rappresenta rispettivamente il 7,4% e il 3,2% dell’intero SPA delle due

circoscrizioni territoriali, ed il 37% e 12% della spesa del SPA a livello decentrato(amministrazioni,enti, imprese, consorzi regionali, provinciali, comunali). La rilevanzedell’intervento delle imprese pubbliche locali nelle economie locali è testimoniata anche dalrapporto di tale spesa sul PIL, che ha raggiunto circa il 4,4% del PIL delle regioni del Centro-Nord, mentre è solamente il 2,4% del PIL del Mezzogiorno.

Tab. 14 SPESA DELLE IMPRESE PUBBLICHE LOCALI: %; ANNI 2000-2007

Fonte: elaborazioni ISAE su dati CTP.

27 Cfr. Tab. 9 e anche pagg. 145-149 di Ministero dello Sviluppo Economico, Rapporto annuale del DPS - 2007, Roma.

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

Spesa Imprese pubbliche locali / Spesa Settore Pubblico Allargato

Italia 4,06 4,36 4,36 4,69 4,91 5,18 6,03 6,20

Centro-Nord 4,62 5,02 5,00 5,44 5,71 6,09 7,22 7,43

Sud 2,73 2,71 2,73 2,82 2,98 2,92 2,99 3,18

Spesa Imprese pubbliche locali / Spesa (Amm Regionali +Amm Locali )

Italia 17,55 19,36 19,79 21,09 22,05 24,00 27,53 28,36

Centro-Nord 21,02 24,03 24,17 25,96 27,03 30,33 35,69 36,98

Sud 10,53 10,20 10,77 11,07 11,91 11,54 11,48 12,08

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Graf. 2 SPESA IMPRESE PUBBLICHE LOCALI: % SU SPESA (AMM. REGIONALI + AMM. LOCALI)

Fonte: elaborazioni ISAE su dati CTP.

Le risultanze della ricognizione effettuata attraverso gli ormai numerosi studi, indagini,banche dati relativi alla partecipazione degli enti locali nelle imprese pubbliche locali ha resoevidente l’apporto alla produzione di beni e servizi dei territori di riferimento, la rilevanzadell’occupazione coinvolta, ed anche l’apporto nei bilanci, che appare consistenze per alcuneamministrazioni, dei dividendi delle partecipazione azionarie nelle imprese controllate.

Come si è riscontrato, è un aggregato di imprese estremamente diversificato; quasi 3.000consorzi e circa 4.500 società partecipate da amministrazioni pubbliche, con oltre 250milaaddetti e con 23.400 componenti di consigli di amministrazione (prevalentemente di nominapolitica). Si va da società con pochi occupati che operano su una dimensione comunale a vereholding, con società quotate in borsa, che competono a livello nazionale ed internazionale, le cuioperatività - in complesso - coinvolgono i bilanci delle pubbliche amministrazione per 4-5 miliardidi euro l’anno.

5.4 L’ATTIVITA’ DI CONTROLLO DELLA CORTE DEI CONTI

L’intreccio economico-finanziario tra i bilanci pubblici e le imprese partecipate e controllatedalle Amministrazioni Pubbliche è da sempre oggetto di controllo da parte della Corte dei Conti,a livello centrale e in ambito regionale.

Negli ultimi anni, a causa dell’acuirsi della crisi della finanza pubblica, i controlli hannoassunto contorni e caratteristiche peculiari anche riguardo alla partecipazione degli Enti Localialla gestione dei servizi pubblici locali, e si sono caratterizzati sia nell’individuazione di ambiti e

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modalità dell’attività di controllo che la Corte è chiamata ad esercitare28, sia nel rendere piùpuntuale la vigilanza attribuita al controllo delle Sezioni regionali attraverso la formulazione di

documenti redatti da linee guida definite dalla Corte29, sia, infine, obbligando i Comunicapoluogo e le Province all’inserimento nei propri siti web di informazioni inerenti i compensidegli incarichi di amministratore delle società miste o totalmente partecipate conferiti da soci

pubblici30.La recente relazione della Corte dei Conti sugli organismi partecipati dagli Enti Locali31,

oltre ad offrire l’evidenza dei contenuti del controllo tradizionalmente esercitato in riferimento allepartecipazioni degli Enti Locali (cfr. note 27 e 28), riporta i primi risultati di nuovi approfondimentiche la Corte, in sede regionale, ha posto in essere riguardo a tale fenomeno, con particolareriferimento all’analisi dei dati acquisiti attraverso i questionari di cui al comma 167 dell’articolounico della legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006) relativi a Province e Comuni

capoluogo, con riguardo agli esercizi 2005 e 200632. Nella relazione si dà conto delle difficoltà di poter disporre di dati analitici disaggregati ed

attendibili, tali da permettere analisi comparative approfondite e corrette; ciò sia attraverso laelaborazioni di informazioni tratte dai questionari compilati direttamente dalle AmministrazioniPubbliche, sia attraverso l’utilizzo di banche dati esistenti.

Al riguardo, è proprio uno dei segmenti informativi più rilevanti al fine del controllo, quellodella significatività dei risultati di bilancio degli enti partecipati messi in relazione con il bilanciodell’ente locale, ad essere più critico. Infatti, afferma la Corte, le estrapolazione delle relativeinformazioni dalla banca dati SIRTEL (Sistema Informativo Rendicontazione Telematica EntiLocali) sono inficiate dalla scarsa analiticità del bilancio degli enti locali, che non consente di

28 L’articolo 7 della legge 131/2003, nel precisare l’attività di controllo che la Corte attiva attraverso le Sezioni regionali dicontrollo, ne affida, a livello centrale, il compito di riferire annualmente al Parlamento in merito al rispetto degli equilibri dibilancio da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in relazione al Patto di stabilità interno.29 Con le disposizioni contenute nel comma 166 e seguenti. dell’unico articolo della legge n, 266/2005 (legge finanziariaper il 2006) si è dato luogo ad un collegamento tra controllo della Corte e attività dei Collegi dei revisori dei conti deglienti locali e degli enti sanitari. In particolare, l’obbligo, a carico degli organi di revisione, di trasmettere alle Sezioniregionali di controllo della Corte dei Conti una relazione sul bilancio di previsione dell’esercizio di competenza e sulrendiconto dell’esercizio medesimo, formulata sulla base dei criteri e delle linee guida definite dalla Corte.30 Ai sensi dell’articolo unico, comma 735, della legge 296 del 27 dicembre 2006 (legge finanziaria per il 2007), Alriguardo, la Corte rileva che al 30 giugno 2008 persiste una percentuale complessiva di inadempimento del 21% conpercentuali elevate di inadempienza diffuse in quasi tutto il Sud, con una media di inadempimento del 52,50%.31 Corte dei Conti (2008a).32 Relativamente al rendiconto 2005, sono stati compilati i questionari da tutti i Comuni capoluogo di provincia e dalleProvince titolari di partecipazioni, mentre per il rendiconto 2006, l’esame comparato è limitato dal fatto che i questionarihanno riguardato soltanto gli organismi partecipati dai Comuni capoluogo e dalle Province con quote superiori al 10%che avessero chiuso in perdita in almeno uno dei tre esercizi precedenti al 2006. Successive elaborazioni sono stateeffettuate su dati acquisiti direttamente dalla Sezione delle Autonomie, provenienti da banche dati proprie (SIRTEL -Sistema Informativo Rendicontazione Telematica Enti Locali - e ICARO, data entry da consuntivi cartacei) o pubbliche(SIOPE - Sistema Informativo delle Operazioni degli Enti Pubblici - e siti web dei comuni capoluogo e delle Province).

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disaggregare le specifiche tipologie di entrata e spesa. Al fine di superare o circoscrivere i limiticorrelati ad un’analisi della spesa derivante dalla gestione delle partecipazioni che utilizzi i datidei conti consuntivi degli enti locali, la Corte ha proceduto anche alla rilevazione di dati dalSistema Informativo delle Operazioni degli Enti Pubblici (SIOPE). Seguendo un analogoapproccio, alcune elaborazioni originali vengono fornite ed analizzate in un altro capitolo delpresente Rapporto ISAE; per tale motivo, non si riportano in questo capitolo le risultanze dellaCorte relative alle elaborazioni delle banche dati.

Alcuni dati di sintesi, relativamente alle elaborazioni dei questionari, permettono sia di trarreconferme, sia di avanzare con altri approfondimenti:

- sono state rilevate 3.367 partecipazioni (2.813 in società, 554 in altre forme) in 2.231organismi partecipati, ripartiti in 1.791 società ed in 440 altri organismi, questi ultimi nonrilevabili da altri studi sul settore. Più della metà degli organismi partecipati è presente alNord;

- la forma giuridica prevalente degli organismi societari è la società per azioni (1.029),seguita da quella a responsabilità limitata e dal consorzio;

- meno di un terzo degli organismi partecipati si occupa di servizi pubblici, tra cui spicca, permaggiore frequenza, il settore dei trasporti, seguito, in ordine di importanza, da quelloidrico, ambientale, energia e gas;

- delle 3.367 partecipazioni, 1.834 sono comunali, maggiormente concentrate al Nord, cosìcome le 1.533 partecipazioni provinciali;

- più di un terzo (840) delle 2.813 partecipazioni societarie rilevate è partecipazione dicontrollo (quota superiore al 50% del capitale sociale);

- più del 37% delle partecipazioni societarie rilevate nel 2005 ha chiuso in perdita, ma menodell’8% ha posto in essere operazioni di ricapitalizzazione per perdite, evidenziando ladiffusa scelta di riportare le perdite a nuovo, traslandole all’esercizio successivo;

- nel 2006, la percentuale delle perdite supera il 65% delle partecipazioni rilevate, più del10% delle quali ha posto in essere operazioni di ricapitalizzazione. Più del 15% dellesocietà in perdita nel 2006 si è trovata nelle situazioni previste dagli articoli 2446 e 2447 c.c.(perdite superiori ad un terzo del capitale sociale, con il conseguente obbligo, in mancanzadi riserve o di prestiti, di ricapitalizzazione del capitale sociale o di liquidazione dellasocietà), ed ha spesso utilizzato, come fonte di finanziamento, i proventi derivanti daalienazioni immobiliari, aggiungendo ulteriori problemi derivanti da impoverimentostrutturale dell’ente;

- circa il 31% delle partecipazioni societarie rilevate nel 2006 non presenta segni diparticolare criticità, mentre in quasi il 60% dei casi è stata riscontrata, invece, la presenza dirisultato d’esercizio negativo. In più del 5% si è delineata una situazione connotata da

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particolare stato di crisi, in condizione di dissesto prossima al fallimento. Tali società sonomaggiormente presenti al Sud, sono più frequentemente partecipate da Province, hannouna quota di partecipazione prevalentemente inferiore al 50%, svolgono quasi sempreattività monofunzione ed in settori diversi dai servizi pubblici.

Pur tenendo conto che la rilevazione è tesa a rilevare in via prioritaria gli aspettiproblematici e le criticità, e che, quindi, non si fa riferimento al quadro completo del fenomenodelle partecipazioni degli enti locali, nella relazione, la Corte dei Conti esprime la seguente

chiave di lettura33: “fatti salvi i casi di eccellenza qui non direttamente rilevati, l’esternalizzazionedi servizi e di attività attraverso la costituzione o la partecipazione a organismi terzi rispettoall’ente spesso non risponde a ponderate esigenze di definizione di nuovi assetti organizzativi egestionali né di revisione degli indirizzi strategici e degli obiettivi istituzionali. Talvolta essacostituisce solo una risposta spontanea e disorganica ad estemporanee necessità derivanti dacriticità di bilancio e, soprattutto, da difficoltà nel rispetto degli obblighi comunitari in tema difinanza pubblica, necessità che niente hanno a che vedere con la creazione di quei nuovi modelligestionali ispirati a criteri di efficacia, efficienza ed economicità, presi a riferimento dal legislatoreche con la legge finanziaria del 2002 aveva istituzionalizzato le esternalizzazioni di servizi”.

L’analisi dei bilanci, aldilà della significatività dei dati a disposizione e della completezzadegli aggregati di imprese di riferimento, non esaurisce l’apparato conoscitivo attraverso cuiapprofondire l’intervento delle imprese pubbliche locali. Il fenomeno dei debiti fuori bilancio, purnon essendo una risultante diretta della gestione delle imprese pubbliche locali, ha assunto unadimensione finanziaria che negli ultimi anni (700 milioni nel 2006 e 500 milioni nel 2007) si èportata oltre il 2% delle entrate correnti dei Comuni e Province interessati da tale problematica,con punte che vanno oltre il 5% per i Comuni interessati della Calabria, Basilicata, Sicilia e sino

al 14% per le province dell’Emilia-Romagna nell’esercizio 200634. E’ questa una posta finanziariache non appare nelle scritture contabili dell’ente sino a che non viene adottato un corrispondenteimpegno contabile. Il Testo Unico delle leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali disciplina leprocedure attraverso cui ricondurre nell’alveo del bilancio tali debiti, attraverso una deliberaconsiliare e solo per particolari fattispecie, tra le quali la copertura di disavanzi di consorzi,aziende speciali e istituzioni e la ricapitalizzazione di società di capitali costituite per l’esercizio diservizi pubblici locali.

Data la rilevanza degli importi e la persistenza del fenomeno, con la legge finanziaria per il2003 si è tentato di porre limitazioni al lievitare di tale spesa, obbligando gli Enti Locali all’inviodelle delibere di riconoscimento dei debiti alle Procure regionali della Corte dei Conti. Ma con lalegge finanziaria per il 2006 (articolo 1, comma 142) si è avuto nel 2006 un notevole sviluppo dei

33 Corte dei Conti (2008a), pag. 7. 34 Corte dei Conti (2008b), pag. 316.

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riconoscimenti di tale debiti a seguito della possibilità, sino ad allora negata, di detrarre tali spesedal Patto di stabilità interno.

Ma è interessante rilevare, come nel successivo anno, nel quadro di un alleggerimento dellivello dei debiti da sottoporre a procedura di riconoscimento, invece, siano quasi raddoppiati idebiti riconosciuti (15 milioni di euro) derivanti da ricapitalizzazione di società di capitali costituite

per l’esercizio di servizi pubblici locali35, ad indicare una persistenza di problematiche gestionaliper tali imprese.

L’azione di controllo esercitata dalla Corte dei Conti, inoltre, permette di acquisire un livelloinformativo su di uno spaccato dell’intervento pubblico che, come si è avuto modo di illustrare,solo negli ultimi anni comincia ad essere caratterizzato da una sistematicità e profondità dianalisi.

Cominciano ad essere disponibili approfondimenti di grande interesse, per ora, relativi adalcune Regioni, Lombardia ed Emilia Romagna, in cui tale fenomeno assume particolarerilevanza economico-finanziaria, ma anche in cui vi è un sistema informativo in grado di fornirerisposte orientate ad una logica di accountability.

Si ricordano:

- per la Lombardia, l’indagine sulle esternalizzazioni dei servizi, con particolare riguardo alle

società partecipate dalla Regione36, con una analisi delle caratteristiche dei processi diriorganizzazione degli assetti gestionali e di controllo e governance nei rapporti tra Regionee soggetti a cui viene effettuata l’esternalizzazione;

- per l’Emilia-Romagna, apposite trattazioni relative alle società e agli organismi partecipatidirettamente dalla Regione, contenute all’interno delle relazioni annuali su “La gestione

finanziaria e l’attuazione della programmazione del bilancio in Emilia-Romagna”37.

Vale la pena di rilevare come in allegato alle indagini siano fornite numerose tavole in cui siriporta il dettaglio delle partecipazioni regionali, dalle grandi utilities, alle Ferrovie e Aeroporti,sino alle Fondazioni ed Associazioni, con una operazione di trasparenza non usuale.

Ma, oltre alle analisi sulle partecipazioni regionali, sono numerose le indagini su quella che,all’inizio di questo capitolo, è stata definita un’area “cuscinetto” tra pubblico e privato. Meritariportare una recente indagine della Corte dei Conti, Sezione del controllo per la Regione

siciliana38, sul funzionamento degli Ambiti Territoriali Ottimali (A.T.O.), organismi controllati daicomuni , con il compito di mettere a gara il servizio di smaltimento dei rifiuti, enti che sono inseritinell’elenco delle Amministrazione Pubbliche, facenti parte del SEC95. Avviati con l’intento di

35 Corte dei Conti (2008b), pag. 317.36 Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia (2008).37 Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per l’Emilia-Romagna (2007) (2008).38 Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Regione siciliana (2008).

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svolgere funzioni di regolatori del mercato, invece, alcuni si sono trasformati in consorzi, altri insocietà per azioni per la gestione del servizio, altri per la riscossione delle bollette; in tre annihanno raggiunto 2.148 dipendenti, con forti disparità di presenza sul territorio, con consigli diamministrazione non dimensionati alle necessità gestionali, con forti aumenti delle tariffe e deideficit a carico delle Amministrazioni locali.

5.5 ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Le imprese pubbliche locali, nelle diverse configurazioni societarie, rappresentano unapresenza rilevante nel panorama economico locale e nazionale, sia a riguardo dell’occupazionediretta ed indotta, sia per il rilievo economico in termini di giro d’affari e di valore aggiunto. Alivello territoriale, tra le imprese pubbliche locali del Centro-Nord e Mezzogiorno appare congrande evidenza una distanza in termini di presenza, caratteristiche, performance di bilancio,che richiede interventi che vadano in direzione di: rafforzamento dimensionale, riorganizzazioneed integrazioni di servizi, nuove forme societarie consortili sovracomunali, miglioramentodell’efficienza organizzativa e gestionale.

Già oggi la realtà delle imprese pubbliche locali appare molto diversificata, con settoriconnotati da elevato valore aggiunto per addetto e da profitti (energia e gas), le cui società sonocoinvolte in forti processi di trasformazione societaria: aggregazioni in imprese multi-utilities,quotazioni in borsa, e che possono rappresentare per l’ente locale una fonte di entrate di bilanciograzie ai dividenti societari. Accanto convivono imprese piccole ed anche molto grandi, alcunecon forti passivi di bilancio (trasporti, servizi ambientali, acqua) che necessitano di continuitrasferimenti che appesantiscono le finanze locali, anche per le ridotte possibilità di agire sulleleve tariffarie, per la forte rilevanza sociale in termini di politiche redistributive delle tipologie diservizio erogate.

Tali imprese rappresentano, inoltre, un crescente intervento pubblico nelle politicheeconomiche e sociali locali, con una evidenza che va oltre il legame attraverso le poste delbilancio dell’ente locale, per il quale - intanto - si rende indispensabile la redazione di bilanciconsolidati con le società partecipate. A tal fine, non è di minor importanza la identificazione deiconfini entro cui si sostanza il controllo pubblico che, come si è mostrato, può assumere diverseconfigurazioni. Ciò a fini non solo di rilevanza statistica, ma ancor più di efficacia dellagovernance e di spinta al miglioramento dei risultati economici.

A tal riguardo, è ancora da misurare appieno la portata della recente riforma (agosto 2008)dei servizi pubblici locali prevista dall’articolo 23-bis del D.L. 112/2008, convertito con la leggen.133/2008 e dei relativi regolamenti attuativi, sia nei confronti degli affidamenti diretti a societàin house, sia per l’apertura del mercato alla concorrenza, sia per impatto con i diversi mercatidelle utility, in particolare per il settore energetico.

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Analogamente, la recente approvazione della legge delega n. 42 del 5 maggio 2009 perl’attuazione del federalismo fiscale apre anche per le imprese pubbliche locali scenari dirazionalizzazione e di integrazione del settore nei confronti delle Amministrazioni Pubblichecontrollanti. Nell’ambito di una problematica più complessiva relativa alle quantificazionifinanziarie connesse all’attuazione del federalismo fiscale, nella Relazione unificatasull’economia e la finanza pubblica, la spesa relativa a servizi esternalizzati, o svolti in formaassociata, viene posta come uno dei punti di maggior significato, a causa della rilevanteincidenza che tale fenomeno ha presso gli enti territoriali. “Un elemento di criticità deriva dal fattoche non sono disponibili bilanci consolidati degli enti locali e delle loro società ed aziendepartecipate, per cui non risulta possibile definire con precisione il livello di spesa pubblica deglienti territoriali. Inoltre, nei casi in cui gli enti hanno esternalizzato anche le fonti di finanziamento,

i bilanci sono ancor meno rappresentativi delle attività svolte a livello locale”39.A fronte della complessità delle problematiche che interessano il settore delle imprese

pubbliche locali, una parte solamente ricade nell’alveo delle specificità del settore (apertura almercato, allentamento del controllo politico e procedure delle nomine, managerialità degliamministratori, consolidamento dei bilanci …), altra parte rientra nel tema più vasto dellaresponsabilità dell'amministrazione pubblica di garantire la produzione di servizi in quantità equalità corrispondenti alle attese dei cittadini, delle famiglie, delle imprese.

Come si è visto, ciò va ben oltre la pubblicità sui siti web dei nominativi e compensi degliamministratori delle società e imprese partecipate, né è sembrato ancora sufficiente l’operaredella Corte dei Conti attraverso l’esercizio del controllo “collaborativo” esterno sulla gestione,improntato alla verifica del buon andamento economico e finanziario degli enti, finalizzato adarne “consapevolezza” ai relativi livelli di governo territoriale e locale ed ai cittadini.

39 Ministero dell’Economia e delle Finanze (2009), pag. 162.

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6 Esternalizzazioni e capitalismo municipale: una analisi sui certificati di conto consuntivo

6.1 INTRODUZIONE

Negli anni più recenti i processi di esternalizzazione delle funzioni e dei servizi degli EntiLocali hanno assunto dimensioni di rilievo come parte integrante di un più ampio disegno diriforma dell’azione amministrativa e di razionalizzazione della spesa pubblica. Il trasferimento(parziale o completo) all’esterno di funzioni un tempo svolte direttamente dalle amministrazioni

locali ha dato luogo1 ad un processo articolato che si sostanzia nel passaggio della produzione diservizi dalla sfera pubblica (soggetta alle norme del diritto amministrativo) a soggetti separati ma

prevalentemente pubblici, costituiti secondo le regole del diritto privato2. Si è parlato, a riguardo,di un “nuovo capitalismo municipale” che, contrariamente agli obiettivi attesi dalle riformeintraprese a partire dai primi anni novanta, ha indotto un ampliamento, non sempre esplicito etrasparente, del perimetro dell’intervento pubblico.

Come evidenziato recentemente in diversi contributi (Bortolotti, Pellizzoli e Scarpa, 2007;Unioncamere, 2007; Civicum, vari anni; Corte dei Conti, 2007), il capitalismo municipale, intesocome proprietà e/o controllo delle imprese da parte dei governi locali, presenta nel nostro paeseconnotati rilevanti, sebbene esistano, a riguardo, informazioni frammentate e ancora noncomplete (per una rassegna dettagliata si rimanda al Capitolo 5 del presente Rapporto). Unacorretta e, soprattutto, esaustiva trattazione del fenomeno necessita, infatti, una dupliceprospettiva di analisi. La prima attiene alle caratteristiche degli organismi partecipati, i loro assettiproprietari, i risultati gestionali e le ripercussioni sui territori in cui insistono (la “dimensione” delcapitalismo municipale). La seconda prospettiva, invece, si incentra sui nessi finanziari traComune e partecipate e i conseguenti effetti sugli equilibri di bilancio e sulle finanze comunali.

1 Questo processo ha riguardato sia i servizi gestiti tradizionalmente dalle aziende municipalizzate (energia elettrica,gas, servizi idrici, igiene urbana e trasporti), ma anche molte altre attività prive di “rilevanze economica” (asili, cimiteri,mense scolastiche, impianti sportivi, informatica e cablaggi, parcheggi, teatri, verde pubblico, ecc.) (Anci, 2006). A questisi aggiungono servizi non a contatto con il pubblico, ma strumentali all’attività municipale.2 In letteratura si distingue tra esternalizzazioni mediante fattispecie contrattuali e tramite figure soggettive di dirittoprivato (privatizzazioni).

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I due aspetti, sebbene strettamente connessi, non hanno conosciuto analoga attenzionenelle analisi empiriche.

Per quel che attiene la dimensione del capitalismo municipale, come sottolineato,recentemente è fiorita una serie di contributi che hanno misurato e definito con maggior dettaglioe accuratezza i contorni e le caratteristiche del fenomeno. Del secondo aspetto (i nessi Comune-partecipate), sebbene esistano valutazioni sui rischi e sulle criticità connesse ai possibili effettiche gli esiti gestionali delle società partecipate possono esercitare sugli equilibri di bilanciodell’Ente (Gavana, Osculati, Zatti, 2007; Corte dei Conti, 2008), sono meno diffusi gliapprofondimenti quantitativi. Il presente lavoro, pertanto, intende fornire nuove evidnenze sullabase delle informazioni desunte dai Certificati di conto consuntivo rilevati dal Ministerodell’Interno per la totalità dei Comuni italiani, per gli anni 2001-2006.

E’ bene precisare che l’assenza di lavori su questo argomento è riconducibileprincipalmente ad una grave carenza informativa. Infatti, indicazioni accurate e dettagliate deilegami e dei flussi finanziari tra le imprese partecipate e gli Enti Locali risultano di complessa earticolata ricostruzione. Questa circostanza si connette sia alla scarsa analiticità dei bilancicomunali, sia al processo stesso di esternalizzazione. Il trasferimento all’esterno di funzioni eattività proprie del Comune, mediante la partecipazione o la costituzione di nuovi organismi

societari (prevalentemente a partecipazione pubblica totalitaria, o in house3) ha, infatti,estremamente ridimensionato la capacità informativa dei bilanci comunali. Questi processilasciano certamente qualche “traccia” nei documenti contabili degli Enti locali (Malizia, 2005), mauna ricostruzione accurata si scontra con i limiti di una contabilità locale opaca che non permettedi rendere immediatamente percepibili, e quindi trasparenti, i nessi con le gestioni esternalizzate.Tali flussi, invece, possono risultare di estrema rilevanza per gli equilibri di bilancio, attuali eprospettici, dei Comuni.

A ciò si aggiunga la complessità che deriva dagli attuali assetti organizzativi dei Comuniche si articolano come una sorta di gruppo aziendale (holding) in cui permane la natura pubblicadel soggetto capogruppo e le cui “diramazione aziendali” assumono diverse configurazioni(aziende di erogazione, imprese, enti di diritto pubblico, soggetti tipicamente privatistici). Un talemodello gestionale risulta articolato e complesso e richiede strumenti di valutazionedell’economicità altrettanto compositi al fine di misurare il risultato globale imputabile alcomplesso economico che il soggetto Comune-capogruppo dirige senza una logica unitaria(Gavana, Osculati, Zatti, 2007). In questa direzione si muovono le proposte di costituzione delbilancio consolidato per consentire la ricostruzione di un quadro analitico dettagliato e,soprattutto, trasparente dei legami tra il capogruppo (il Comune, appunto) e le sue partecipate.

Poste queste premesse, tentare di individuare le “tracce” di tali nessi è esercizio rilevanteper un duplice ordine di ragioni:

3 Per una trattazione degli aspetti normativi, si rimanda al Riquadro del presente Capitolo e a Sciandra (2009).

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Esternalizzazioni e capitalismo municipale:una analisi sui certificati di conto consuntivo

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- in primo luogo, pur nella scarsa analiticità delle voci di bilancio, sono comunque ravvisabilitendenze di fondo che permettono di formulare alcune considerazioni sull’impatto che ilcomplesso delle esternalizzazioni esercita sulle finanze comunali;

- in secondo luogo, consente di evidenziare e mettere in luce gli aspetti problematici e glisnodi critici connessi al contenuto informativo dei documenti contabili comunali,permettendo di formulare alcune considerazioni sui possibili interventi migliorativi.

A tal fine vengono esposti i risultati di una serie si elaborazioni effettuate sulla base datiproveniente dai Certificati di conto consuntivo annualmente inviati dai Comuni al Ministerodell’Interno. Si tratta di una banca dati che ha il pregio di coprire la totalità dei Comuni italiani,sebbene la sua qualità non presenta livelli informativi soddisfacenti. Nel lavoro si analizzano neldettaglio tali criticità e si valutano, per ogni singola voce di bilancio selezionata, gli aspettiproblematici e contradditori che emergono (riassunti poi nella tabella 1). Questa preliminareoperazione è stata funzionale per chiarire l’effettivo contenuto informativo dei dati rilevati e,conseguentemente, operare una coerente interpretazione delle relazioni e delle tendenze cheemergono dalle elaborazioni.

Dal lavoro, risultano alcune evidenze che consentono di dare supporto empirico al ruolostrategico e elusivo dei vincoli imposti dal Patto di stabilità interno (PSI) che la galassia dellepartecipazione societarie degli Enti Locali può svolgere.

6.2 LE “TRACCE” DEL CAPITALISMO MUNICIPALE NEI BILANCI DEI COMUNI

L’analisi dei rapporti tra gli Enti Locali e i soggetti a vario titolo da loro partecipati ècomplessa, sia per la scarsità e la frammentazione delle banche dati, sia perché dietrostatistiche di sintesi si nasconde una casistica molto variegata, che necessiterebbe diapprofondimenti ad hoc, soprattutto in una prospettiva di disegno della policy.

Sottolineata questa difficoltà, è comunque utile passare in rassegna i fatti stilizzati piùimportanti che, tra il 2001 e il 2006 (anni coperti dal Patto di stabilità interno), riguardano lerelazioni economico-finanziarie tra Enti Locali e soggetti partecipati. In mancanza di bilanci

consolidati (persino con le aziende speciali e i soggetti su cui può valere un “controllo analogo”4),l’analisi deve per forza di cose concentrarsi sui bilanci di competenza propri di ogni Ente.

4 Secondo la giurisprudenza comunitaria si ha “controllo analogo” quando l’Ente esercita sulla società un controllouguale a quello che ha su una propria struttura o dipartimento.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

- 190 -

6.2.1 Il dataset e alcune considerazioni

Con l’entrata in vigore del D.P.R. 194/96 e del successivo decreto di attuazione del 24/11/1998, sono stati adottati per gli Enti Locali (Province, Comuni, Comunità montane) schemi diconsuntivo annuale omogenei (Certificati di consuntivo), che permettono di avere un dettaglio dientrate e spese per competenza e per cassa secondo schemi standard. Tali certificati, comericordato, sono oggetto di una specifica rilevazione del Ministero dell’Interno, con delegaall’ISTAT del trattamento statistico dei risultati.

Si tratta di una banca dati che copre la totalità dei Comuni italiani sebbene non presentilivelli qualitativi soddisfacenti per due ordini di ragioni. In primo luogo, si registrano numerosi casidi mancata compilazione di voci contabili da parte dei Comuni, soprattutto per quellemaggiormente disaggregate ma non per questo meno importanti. Dall’altro lato, esistonodifficoltà più generali connesse alla struttura e alle modalità di tenuta dei conti dei Comuni e degliEnti locali. La classificazione economica prevista dallo schema di certificato consuntivo oltre adavere l’inconveniente di essere disallineata con quella del SEC95, risulta particolarmentesintetica e quindi non garantisce l’omogeneità di comportamento nelle pratiche contabili da partedei singoli enti, come è si è verificato in qualche caso ad esempio per operazioni di trasferimentiin conto capitale che in alcuni Comuni sono classificate in partite finanziarie.

La banca dati contiene tutti i dati finanziari essenziali della gestione oltre ai dati fisici dellaqualità e della quantità dei servizi offerti. Il Certificato è suddiviso in quadri numeratiprogressivamente. In particolare, per l’analisi sono stati utilizzati il quadro 2 che registra ilcomplesso delle entrate (accertamenti); il quadro 4 relativo alle spese correnti (impegni), per lediverse funzioni e in base ai singoli interventi a cui sono destinati; ed infine il quadro 5 relativoalle spese in conto capitale (impegni).

6.2.2 La selezione delle grandezze contabili: descrizione e criticità

La tabella 1 descrive nel dettaglio le otto grandezze contabili selezionate all’interno dellabanca dati. I criteri di selezione hanno privilegiato quelle voci, di entrata corrente, di spesacorrente e di spesa in conto capitale, su cui vengono riflessi i rapporti tra il Comune e i soggettigiuridici a vario titolo partecipati. Come più diffusamente dettagliato nella colonna “criticità” dellatabella stessa, queste voci contabili soffrono di diverse problematicità, a volte spiegabili con ilfatto che la contabilità comunale è ancora lontana dagli standard di logicità e trasparenza propridelle contabilità analitica industriale, altre volte spiegabili, invece, proprio a partire dai rapporticomplessi e contradditori tra il Comune e l’universo dei soggetti partecipati.

6.2.2.1 Le voci di entrata

Dal lato delle entrate di competenza, le voci rilevanti sono due: “utili netti delle aziendespeciali e partecipate, e dividendi di società” e “proventi dei servizi pubblici”. La prima registra i

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Esternalizzazioni e capitalismo municipale:una analisi sui certificati di conto consuntivo

- 191 -

dividendi che il Comune riceve dalle società partecipate. Il dato non presenta un livello didisaggregazione sufficiente per distinguere i dividendi provenienti da aziende speciali, quellirelativi a altre imprese private o miste che svolgono servizi pubblici, e quelli relativi ad altrisoggetti partecipati. La seconda voce, invece, riguarda le entrate che il Comune ottiene a frontedella gestione diretta di servizi pubblici, di rilevanza economica e non. Anche in questo caso, ildato è aggregato ed è difficile riuscire a distinguere i proventi derivanti da servizi gestiti in housecome gestione in economia, da quelli di servizi di cui il Comune mantiene la titolarità ma chenella gestione operativa affida all’esterno a soggetto privato o misto. Si sottolinea che questadistinzione, come molti aspetti relativi alle altre voci contabili, è una ricostruzione fatta a partireda interpretazioni e casistiche, in assenza di una codificazione dettagliata valida su tutto ilterritorio nazionale.

6.2.2.2 Le voci di spesa

Dal lato delle spese correnti, le voci rilevanti sono cinque: “trasferimenti ad aziende specialie partecipate”, “oneri straordinari”, “personale”, “acquisto di beni e servizi”, e “prestazioni diservizi”.

Per le motivazioni che saranno approfondite più avanti, le due prime voci sollevano diversecriticità. I trasferimenti consistono in erogazioni finanziarie che dal Comune possono muoversi avario titolo verso soggetti di varia natura, dalle aziende speciali, alle società partecipate, aconsorzi/istituzioni/organizzazioni che fanno capo al Comune. La voce rimane poco chiara per ilperimetro troppo vasto, sia rispetto ai soggetti possibili beneficiari, sia rispetto alla finalità chepuò consistere in qualunque esigenza della gestione corrente. I trasferimenti sono, di fatto,risorse concesse dal Comune a fondo perduto. Mentre non è di per sé indicativo dimalfunzionamenti che un Comune possa trasferire risorse a consorzi/istituzioni/organizzazioni,private e pubbliche, dedicate a finalità meritorie e non a scopo di lucro, profili di criticità siintravedono in trasferimenti a fondo perduto verso soggetti che svolgono attività economica (siaaziende speciali che, soprattutto, soggetti privati partecipati o soggetti interamente privati). Ci sichiede, quindi, quale ratio abbia escludere dalla voce i corrispettivi per i contratti dei servizi edelle funzioni assegnate all’esterno, se poi i soggetti assegnatari possono essere beneficiari ditrasferimenti a fondo perduto.

Altra criticità è il confine vago rispetto agli “oneri straordinari”. Questi ultimi riguardano perlo più risorse destinate dal Comune al ripiano di perdite di gestione di aziende speciali e di altrisoggetti a vario titolo partecipati. Proprio perché i trasferimenti sono destinati ad esigenze dellagestione corrente a fondo perduto senza nessuna qualificazione ulteriore, le loro finalità tendonoa sovrapporsi a quelle degli oneri straordinari.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

- 192 -

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Esternalizzazioni e capitalismo municipale:una analisi sui certificati di conto consuntivo

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

- 194 -

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Esternalizzazioni e capitalismo municipale:una analisi sui certificati di conto consuntivo

- 195 -

Mentre la voce “personale” e quella “acquisto di beni e servizi” sono di più chiarainterpretazione, la voce “prestazione di servizi” denota un altro aspetto critico che incidedirettamente sui rapporti tra Comune e società partecipate attive nella gestione dei servizipubblici. Tra le prestazioni di servizi rientra, come componente maggioritaria, quella relativa aicontratti di servizio, oltre alle parte della spesa per il personale connessa a contratti di lavorointerinale e collaborazioni coordinate e continuative . Si comprende, come sia necessario tenerepresente questo aspetto nella valutazione dell'andamento di questa voce di spesa. Per quel cheattiene il contratto di servizio questo regola i rapporti tra il Comune e il soggetto a cui è statoassegnato lo svolgimento di servizio pubblico. La remunerazione del soggetto affidatario, cherappresenta un costo nel bilancio del Comune, è contabilizzata come prestazione di servizio.Tuttavia, dai Certificati consuntivi non è possibile risalire al dettaglio delle quote di questa voce;cosa che invece sarebbe essenziale ai fini della valutazione della ottimizzazione delle risorsededicate ai servizi pubblici locali e alle altre funzioni essenziali del Comune a natura economica.

Infine, sul lato delle spese in conto capitale, si considerano le “partecipazioni azionarie” e i“conferimenti di capitale”. Le prime sono risorse finanziarie dedicate, anno per anno,all’acquisizione di nuove partecipazioni azionarie in soggetti che dovrebbero essere terzi rispettoal Comune. Per estensione vi rientra qualunque risorsa dedicata, nell’anno, al mantenimento/rafforzamento della posizione del Comune all’interno di soggetti già partecipati (ad esempio,concorso ad aumenti di capitale). La voce presenta possibili zone di sovrapposizione sia conquella relativa agli “oneri straordinari”, sia con quella relativa ai “trasferimenti ad aziende specialie partecipate”. Ad esempio, se il Comune interviene a titolo di concorso al ripiano perdite di unapartecipata (“oneri straordinari”), le risorse sono utilizzate anche per aggiornare le quote dipartecipazione? La stessa domanda può valere per i trasferimenti. Inoltre, la Corte dei Conti(2007) sottolinea il rischio della contabilizzate nella voce relativa alle partecipazioni azionarie dirisorse che il Comune destina a soggetti terzi quando ripiana debiti nei loro confronti. In questamaniera risulta alterata la corretta contabilizzazione delle operazioni economico-finanziarie, conpossibili abusi al fine di aggirare i vincoli del Patto Interno sulle specifiche voci di spesa (aspettoche verrà approfondito nei paragrafi successivi). Nella struttura contabile degli Enti locali, questaconfusione tra poste si concretizza nello spostamento di voci di spesa da quelle di naturacorrente a quelle di conto capitale, spostamento che può rispondere a criteri arbitrari.

L’ultima voce presa in considerazione è quella dei “conferimenti di capitale”. Si tratta dirisorse finanziarie dedicate, nell’anno, alla costituzione di fondi di dotazione o allaricapitalizzazione/ricostruzione di organizzazioni, istituzioni, associazioni strumentali che fannocapo al Comune, aziende speciali o altri soggetti su cui il Comune può esercitare “controlloanalogo”. Anche questa voce presenta possibili zone di sovrapposizione sia con quella relativaagli “oneri straordinari”, sia con quella relativa ai “trasferimenti”. Se i deficit di aziende speciali osoggetti strumentali a controllo analogo sono ripianati con risorse addebitate su questa voce, èalterata la corretta contabilizzazione dei fatti economico finanziari, con possibili abusi al fine di

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

- 196 -

aggirare i vincoli del Patto di Stabilità Interno. Spese correnti transitano di fatto tra le spese inconto capitale. Inoltre, il ripiano di gestioni in perdita può risultare mascherato da scelte dirafforzamento della dotazione capitale, con il paradosso che interventi in sanatoria si confondocon vere e proprie scelte di investimento.

6.3 L’ANALISI DEI CERTIFICATI DI CONTO CONSUNTIVO

Dall’analisi dei dati desunti dai Certificati di conto consuntivo sono emerse sei principalirilevanze che permettono sia di tracciare alcune preliminari considerazioni sui nessi partecipate-Comuni, sia di fornire prime valutazioni degli effetti dei processi di esternalizzazione,evidenziandone principalmente alcuni elementi di criticità.

Le sei rilevanze sono dettagliate nei seguenti paragrafi.

6.3.1 Una relazione di impropria sostituzione tra spese correnti e spese in contocapitale?

Al fine di indagare la presenza di unarelazione di impropria sostituzione tra spesecorrenti e spese in conto capitale, comesuggerita anche da Gavana, Osculati, Zatti(2006), la tabella 2 mostra i coefficienti dicorrelazione tra le variazioni delle varie postetra il 2001 e il 2006. Con l'esclusione del Nord,dove solo la correlazione conferimenti-oneri ènegativa, in tutti gli altri casi i valori sonosempre negativi, suggerendo la possibilità diuna sostituzione tra poste correnti e poste inconto capitale (tale relazione risulta forte nelSud e nelle Isole, con valori inferiori a -0,5).Relativamente ai soli Comuni sottoposti alleregole del PSI, questa evidenza si conferma

particolarmente significativa per il Sud e per le Isole e scompare per il Centro (Tab. 3). Lapossibilità di una "sostituzione impropria" è confermata, per le aree meridionali del Paese,dall'evoluzione temporale delle voci di spesa corrente e capitale prese in considerazione. Infatti,a fronte di una progressiva contrazione degli oneri straordinari e dei trasferimenti (Graf. 1), siregistra una chiara tendenza all'aumento delle voci relative ai conferimenti di capitale e allepartecipazioni azionarie. Queste ultime, escluse nel 2005 dal calcolo dell'obiettivo del PSI,registrano nello stesso anno un importante incremento (Graf. 2).

Tab. 2 MATRICE DI CORRELAZIONE DELLEVARIAZIONI TRA SPESE CORRENTI E SPESE IN C/C

Conferimenti di capitale

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Nord

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Centro

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Sud e Isole

Trasferimenti -0,51 -0,61

Oneri straordinari -0,55 -0,58

Fonte: elaborazioni ISAE su dati del Ministero dell'Interno.

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Esternalizzazioni e capitalismo municipale:una analisi sui certificati di conto consuntivo

- 197 -

Tab. 3 MATRICE DI CORRELAZIONE DELLE VARIAZIONI TRA SPESE CORRENTI E SPESE IN C/C(per Comuni sottoposti al Patto di Stabilità Interno)

Fonte: elaborazioni ISAE su dati del Ministero dell'Interno.

Da queste rilevanze discendono due principali considerazioni.In primo luogo, anche se non rileva ai fini del rispetto del Patto Interno, la confusione tra

spese correnti e spese in conto capitale è da valutarsi negativamente anche per i piccoli Comuni.Una tale evenienza, infatti, ne altera la rappresentazione della situazione economico-finanziariacon conseguenze che potrebbero accumularsi per poi esplodere nel tempo, anche alla luce della

numerosità dei Comuni di I fascia5 (circa il 70% di tutti i Comuni presenti nelle tre aree territoriali).Se non è percorribile, per ragioni organizzative (di esistenza di basi contabili sufficientementeaffidabili, di gestione dei flussi informativi), l’ipotesi di includerli nel perimetro del PSI nelle attualivesti che questo ha, allora bisognerebbe lavorare ad ipotesi alternative. Una di queste potrebbeessere un maggior coinvolgimento degli uffici decentrati della Corte dei Conti nella fase dicontrollo preventivo e consuntivo, oppure l’assegnazione alle Regioni di responsabilità

Conferimenti di capitale Partecipazioni azionarie

Nord

Trasferimenti -0,38 -0.06

Oneri straordinari -0,96 0,10

Centro

Trasferimenti 0,41 0,001

Oneri straordinari 0,61 0,01

Sud e Isole

Trasferimenti -0,78 -0,17

Oneri straordinari -0,85 -0,15

Graf. 1 - ONERI STRAORDINARI ETRASFERIMENTI - SUD (indice 2001=100)

Graf. 2 - PARTECIPAZIONI AZIONARIE ECONFERIMENTI DI CAPITALE - SUD (indice 2001=100)

Fonte: elaborazioni ISAE su dati del Ministero dell’Interno. Fonte: elaborazioni ISAE su dati del Ministero dell’Interno.

5 I Comuni di I fascia sono quelli con popolazione uguale o inferiore a 5.000 abitanti.

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70

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

- 198 -

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Esternalizzazioni e capitalismo municipale:una analisi sui certificati di conto consuntivo

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formalizzata circa la correttezza e la qualità della tenuta contabile dei Comuni sottesi all’arearegionale.

L’altra considerazione punta direttamente alle regole del PSI e a comportamenti strategicied elusivi da parte dei Comuni. Le formulazioni del Patto sono via via cambiate nel tempo, sia inriferimento ai vincoli che al calcolo degli obiettivi (Tab. 4) (Mercuri, 2005; Brugnano e Rapallini,2007). In ogni caso, l’eventualità che il singolo Comune possa, senza una logica che rispondaalla più fedele rappresentazione dei fatti, addebitare alle spese in conto capitale partite cheinvece dovrebbero rientrare nelle correnti, mina la capacità del Patto di incidere sulle scelte digoverno del Comune e sulla programmazione della finanza pubblica. A questo proposito, siconsideri che i vincoli posti dal PSI sulle voci e sui saldi di natura corrente sono sempre stati piùstringenti di quelli posti sulla parte capitale ma, verrebbe da dire, inutilmente più stringentiladdove è rimasta la possibilità di sostituire, nella rendicontazione, classificazione corrente conclassificazione capitale. Nel 2005, dai vincoli del Patto sono state del tutto escluse lepartecipazioni azionarie e i trasferimenti ad Aziende Pubbliche, proprio le due voci che, alla lucedei dati, sembrano essere state utilizzate per eludere lo stesso Patto.

I dati portano conferma di un fenomeno che nella letteratura era già stato segnalato(Gavana, Osculati, Zatti, 2007), e che riguarda soprattutto i Comuni del Sud e Isole. I rimedicertamente dovrebbero costituire parte integrante del ridisegno della governance in prospettivafederalista per cui l’ammodernamento delle regole e degli strumenti di contabilità costituisce untassello fondamentale.

6.3.2 Alla ricerca dei vantaggi delle esternalizzazioni

L’assegnazione all’esterno della gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica, ma piùin generale di tutte le funzioni per le quali l’esternalizzazione può essere presa inconsiderazione, dovrebbe rispondere ad un principio di base di guadagno di efficienza a parità diquantità e qualità dell’offerta. L’analisi riportata nella tabella 5 suggerisce alcune riflessioni, pur

Tab. 5 ANDAMENTI E VARIAZIONI DELLE VOCI DI SPESA IN CONTO CAPITALE.INCIDENZA MEDIA SUL TOTALE DI SPESA CAPITALE

Fonte: elaborazioni ISAE su dati del Ministero dell'Interno.

2001 2002 2003 2004 2005 2006 var 2001/2006(punti percentuali)

Nord

Partecipazioni azionarie/spesa in c/c 0,32 0,36 0,38 0,27 0,47 0,38 0,06

Conferimenti di capitale/spese in cc 0,25 0,39 0,32 0,34 0,44 0,43 0,18

Centro

Partecipazioni azionarie/spesa in c/c 0,39 0,37 0,78 0,89 0,48 0,53 0,14

Conferimenti di capitale/spese in cc 0,64 0,62 0,61 0,66 0,51 0,65 0,01

Sud e Isole

Partecipazioni azionarie/spesa in c/c 0,11 0,16 0,19 0,14 0,16 0,25 0,14

Conferimenti di capitale/spese in cc 0,43 0,81 0,72 0,51 0,50 0,81 0,38

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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nella incompletezza della base dati riguardante proprio le voci di cui il precedente paragrafo hasottolineato le criticità.

Tra il 2001 e il 2006, nel Sud e nelle Isole le partecipazioni azionarie e i conferimenti dicapitale, espressi in percentuale della spesa in conto capitale, fanno registrare aumenti diincidenza significativi e superiori alle altre circoscrizioni territoriali: rispettivamente di 0,14 e di0,38 punti percentuali. A fronte di tale attività di destinazione di capitali a soggetti terzi, attivi avario titolo nella gestione operativa, ci si aspetterebbe conseguentemente una razionalizzazionedei costi in capo al Comune. L’evidenza che emerge, invece, appare estremamentecontraddittoria (Tab. 6).

Tab. 6 ANDAMENTI E VARIAZIONI DELLE VOCI DI SPESA CORRENTE CONNESSE ALLE “ESTERNALIZZAZIONI”INCIDENZA MEDIA SUL TOTALE DI SPESA CORRENTE

Fonte: elaborazioni ISAE su dati del Ministero dell'Interno.

Rapportata alla spesa corrente, l’incidenza della spesa per il personale diminuisce di solo0,56 punti percentuali.; quella per la remunerazione dei contratti di servizio aumenta di oltre 3,1punti. Aumenta anche l’incidenza dei trasferimenti. Una tendenza inversa si registra solo per glioneri straordinari e per la spesa in beni e servizi (Tab. 7). Della contrazione dei primi giunge

2001 2002 2003 2004 2005 2006 var 2001/2006 (punti percentuali)

NordSpesa personale/spese correnti 29,79 30,17 30,48 30,67 30,31 30,37 0,57

Acquisto beni e servizi/spesa corrente 11,46 11,46 10,21 9,69 9,62 9,10 -2,37

Prestazioni di servizi/spesa corrente 36,53 36,55 36,86 36,93 37,26 37,48 0,95

CentroSpesa personale/spese correnti 33,98 34.32 34.70 34,85 34,23 34,91 0,93

Acquisto beni e servizi/spesa corrente 14,36 13,78 13,09 12,52 12,40 11,24 -3,12

Prestazioni di servizi/spesa corrente 32,57 32,73 33,29 33,61 34,29 34,63 2,06

Sud e IsoleSpesa personale/spese correnti 38,83 38,94 38,34 38,90 37,95 38,27 -0,56

Acquisto beni e servizi/spesa corrente 13,13 12,60 12,16 11,61 11,57 10,59 -2,54

Prestazioni di servizi/spesa corrente 28,83 29,42 30,44 30,51 31,30 31,97 3,14

Tab. 7 ANDAMENTI E VARIAZIONI DELLE VOCI DI SPESA IN CONTO CORRENTE. INCIDENZA MEDIA SUL TOTALE DI SPESA CORRENTE

Fonte: elaborazioni ISAE su dati del Ministero dell'Interno

2001 2002 2003 2004 2005 2006 var 2001/2006(punti percentuali)

Nord

Oneri straordinari/spesa corrente 1,41 0,88 0,91 1,07 0,99 0,93 -0,48

Trasferimenti/spesa corrente 11,65 12,35 12,81 13,11 13,46 13,92 2,27

Centro

Oneri straordinari/spesa corrente 1,54 1,17 1,08 1,24 1,21 1,04 -0,51

Trasferimenti/spesa corrente 7,70 8,40 8,50 8,61 8,99 9,28 1,59

Sud e Isole

Oneri straordinari/spesa corrente 2,84 2,28 2,43 2,45 2,62 2,33 -0,52

Trasferimenti/spesa corrente 7,43 8,25 8,07 8,07 8,29 8,80 1,37

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Esternalizzazioni e capitalismo municipale:una analisi sui certificati di conto consuntivo

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ulteriore conferma di quanto descritto nel paragrafo precedente ossia la probabile prassi disostituzione tra poste di spesa corrente con poste di spesa in conto capitale.

Quanto alle spese per beni e servizi (input della funzione di produzione del Comune), quisembrerebbe emergere un segnale positivo, ma insufficiente, almeno ad una analisi di questolivello di aggregazione, per rendere il “gioco a somma vantaggiosa”. A ciò si aggiunga chel’evoluzione di tale voce di spesa ha certamente risentito del processo di razionalizzazione dellaspesa pubblica che, iniziato agli inizi del 2000, ha investito con interventi rilevanti, sebbene non

sempre lineari, la riforma delle procedure di acquisto della Pubblica Amministrazione6.Fenomeno questo confermato dalla riduzione della spesa per acquisto di beni e servizi ancheper le ripartizioni del Nord e del Centro.

Nel complesso delle variazioni di incidenza sulla spesa corrente, le voci che rappresentanol’interazione tra Comune e soggetti partecipati vedono il loro peso aumentare. Tra il maggiorpeso che la destinazione di risorse capitali a soggetti terzi occupa nella spesa in conto capitale, eil maggior peso che le spese che dovrebbero esser sostituite dal processo di esternalizzazionecontinuano a mantenere sulla spesa corrente, sono leciti dubbi sugli effettivi processi virtuosi.

Se si passa a valutare le tendenze del Nord e del Centro, si ripresentano le stesseosservazioni, pur se su scala più contenuta.

Ma segnali di problematicità sottostanti il processo di esternalizzazione delle funzioni sipossono riscontare anche sul lato delle entrate, analizzando la dinamica degli utili e dei dividendiottenuti dalle società partecipate e quella dei proventi da gestione diretta, entrambi comeincidenza sulle entrate correnti (Graf. 3). Mentre per il Nord del Paese si registra una dinamicapositiva dell’incidenza degli utili sulle spese correnti, nelle altre aree le rilevanze sono menonette. Sempre al Nord, tuttavia, si registra una contemporanea riduzione dell’incidneza deiproventi da gestione diretta.

In particolare, Il Sud e le Isole, tra il 2001 e il 2006, sperimentano un andamento che apparepiuttosto irregolare. Il parametro della distribuzione degli utili non deve essere assolutizzato,perché i soggetti assegnatari di funzioni non devono diventare strumenti di una politica pocotrasparente di raccolta di gettito. Tuttavia, se le esternalizzazioni, in primis quelle riguardantiservizi pubblici di rilevanza economica, mirano ad assegnare le funzioni a soggetti capaci dicondurre l’attività di produzione in condizioni di piena responsabilità economico-finanziaria,allora questa variabile può essere sintomo di malfunzionamenti, soprattutto in presenza di spesein conto capitale, dai Comuni a questi stessi soggetti, che invece mostrano dinamiche crescenti.Una tale evenienza si riscontra principalmente nelle aree del Sud e delle Isole, confermando

6 Le disposizioni contenute nella Legge n. 488/1999 ("Legge Finanziaria 2000") e nella Legge n. 388/00 ("LeggeFinanziaria 2001) avviano il processo di riorganizzazione delle procedure di acquisto della Pubblica Amministrazione.Con la Legge Finanziaria 2000 si effettua un radicale cambiamento con la scelta di un modello di outsourcing, chedelega la gestione dei processi di acquisto a società di consulenza specializzate in rappresentanza dell'acquirente, e alsistema delle convenzioni (individuate da Consip).

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quanto i recenti studi sulla dimensione economica e reddituale delle società partecipate dagli

Enti Locali hanno messo in evidenza7. Infatti, pur nelle differenze che si rintracciano nei varilavori sull’argomento emergono, trasversalmente in tutti i contributi, una serie di evidenze chepermettono di tracciare un quadro di considerazioni che si presentano, nel complesso, piuttostoomogenee in particolar modo per quel che attiene le nette differenze sia territoriali che settorialidel capitalismo municipale. Gli indicatori di performance delle partecipate mostrano, infatti,evidenti distanze tra le varie zone del Paese (con un ritardo delle aree del Sud) e una nettaseparazione tra settori caratterizzati da profitto e dinamismo imprenditoriale (tipicamente quellienergetici), e settori che presentano, nel complesso, una redditività scadente e scarsa aperturaal confronto competitivo (trasporti e servizi ambientali).

7 Si rimanda al Capitolo 5 del presente Rapporto per una rassegna dettagliata dei vari contributi e lavori sull’argomento.

Graf. 3 - INCIDENZA MEDIA DEGLI UTILI E DIVIDENDI SULLE ENTRATE CORRENTI(2001-2006)

NORD CENTRO

SUD

Fonte: elaborazioni ISAE su dati del Ministero dell’Interno.

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- 203 -

Per quanto riguarda i proventi da gestione diretta, sono anche loro in riduzione in tutte e trele circoscrizioni (sebbene in modo meno rilevante nel Sud e nelle Isole), come in parte giàaccennato. Le ragioni possono essere molteplici, ma sicuramente incidono sia le difficoltà diriscossione delle tariffe da parte di fruitori inadempienti, sia le scelte vere e proprie che il policymaker compie in termini di schemi di compartecipazione, con annesse esenzioni e abbattimenti.

La lettura in termini di tali rilevanze non è nè facile né univoca. Sulle difficoltà a consolidarepercorsi virtuosi di razionalizzazione delle scelte di esternalizzazione da parte dei Comunipesano sia la cornice normativa ancora fortemente incompleta sulla scelta degli affidatari, sia,ancora una volta, la contabilità nebulosa dei Comuni. Da un lato stenta ad affermarsi il principiogenerale che l’affidatario debba essere sempre selezionato tramite asta pubblica, espletata daIstituzioni super partes. Dall’altro lato, l’inadeguatezza delle regole e dei controlli contabili nonpermette di disporre di quadri completi e sempre aggiornati, e favorisce laderesponsabilizzazione sia dei rappresentanti pro-tempore dei Comuni che dei soggetti da loropartecipati e contrattualizzati.

6.3.3 Una sindrome da inevitabile aumento dei costi?

Le conclusioni del precedente paragrafo trovano conferma anche in base alle ripartizioniterritoriali. La tabella 8. riporta, per ogni circoscrizione geografica, i coefficienti di correlazionetra, da un lato, le cinque voci di bilancio che sintetizzano i rapporti diretti tra Comuni e soggettistrumentali, controllati, partecipati e, dall’altro, le voci di spesa o di entrata del Comune chequesti rapporti (tramite l’esternalizzazione di funzioni) dovrebbero concorrere a ridurre.

Si presume che, a fronte di trasferimenti a fondo perduto, ripiano perdite, acquisizione dipartecipazioni, conferimenti e anche ricevimento di utili e dividendi (che simboleggiano unapresenza diretta del Comune nel soggetto affidatario), si dovrebbero ridurre i corrispettivi pagatidal Comune all’interno dei contratti di servizio (la voce prestazioni di servizio pubblico). Sia purenei limiti di una analisi basata su dati imperfetti e senza spingersi al grado massimo didisarticolazione, sarebbe quantomeno strano, infatti, che, in presenza di variazioni in aumentodel supporto capitale fornito dal Comune al complesso dei soggetti affidatari di funzioni,aumentasse anche il corrispettivo contrattuale pagato per lo svolgimento di quelle stessefunzioni.

E invece è proprio quello che sembra emergere: infatti, la maggior parte dei coefficienti dicorrelazione è positiva (con valori mediamente prossimi allo 0,5,) e con valori significativamentenegativi soltanto per tutte le correlazioni con le partecipazioni azionarie del Sud e Isole, e pertutte quelle con i conferimenti di capitale del Centro. E l’andamento nel tempo della spesa perprestazioni di servizi pro capite risulta chiaramente crescente per tutte le aree territoriali (Graf. 4).A ciò si aggiunga che, come ricordato, in questa voce vengono contabilizzati non solo i contrattidi servizio ma anche le spese per il personale interinale e atipico (collaborazioni occasionali ecoordinate e continuative). Si tratta di un dato che, ancora, attesta il peso crescente che la spesaper il personale riveste per le amminisitrazioni locali.

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Tab. 8 CORRELAZIONE TRA VOCI DI BILANCIO DEL COMUNE E VOCI CORRELATE ADESTERNALIZZAZIONE DELLE FUNZIONI

Fonte: elaborazioni ISAE su dati del Ministero dell'Interno.

L’analisi e l’interpretazioni di questi datisollevano un forte interrogativo. Senza unprofondo cambiamento delle “regole delgioco”, c’è il rischio che il processo diesternalizzazione conduca ad una sorta dieterogenesi dei fini, con duplicazioni di spesee moltiplicazione dei soggetti riconducibili, insenso lato, al presidio di medesime funzioni.Un rischio, questo, che in effetti è parte di quelpiù generale problema connesso alla possibilemoltiplicazione degli Enti, che da molte parti sipaventa per il complesso della trasformazionefederalista.

6.3.4 Una lettura difficile per i grandiComune

Le analisi dei precedenti paragrafi sono ripetute adottando la prospettiva dimensionale

invece che quella territoriale (tabella 9)8. Nei Comuni appartenenti alla V classe dimensionale,tra il 2001 e il 2006, la spesa per l’acquisizione di partecipazioni azionarie e per conferimenti di

Personale Acquisto beni e servizi Proventi daservizi pubblici

Prestazioni diservizio pubblico

NordUtili e dividendi 0,72 0,3 0,64 0,78Oneri straordinari 0,33 0,14 0,42 0,33Trasferimenti aziende 0,36 0,47 0,39 0,33Partecipazioni azionarie -0,06 0,08 -0,06 -0,06Conferimenti di capitale 0,34 0,29 0,41 0,28

CentroUtili e dividendi 0,61 0,24 0,33 0,62Oneri straordinari 0,4 0,29 0,35 0,3Trasferimenti aziende 0,97 0,41 0,83 0,96Partecipazioni azionarie 0,04 -0,05 0,03 0,035Conferimenti di capitale -0,75 -0,19 -0,55 -0,54

Sud e IsoleUtili e dividendi 0,54 0,21 0,3 0,9Oneri straordinari 0,69Trasferimenti aziende 0,66 0,36 0,35 0,63Partecipazioni azionarie -0,55 -0,69 -0,32 -0,63Conferimenti di capitale 0,09 0,02 0,03 0,13

8 Le classi dimensionali sono così definite: I classe <=5mila ab.; II classe: > 5mila e <=10mila ab.; III classe: >10mila e<=20mila ab.; IV classe: >20mila e <=60mila ab.; V classe: >60mila ab.

200

210

220

230

240

250

260

270

280

290

300

2002 2003 2004 2005 2006

No rd Centro Sud e Iso le

Graf. 4 - EVOLUZIONE DELLA SPESA PERPRESTAZIONI DI SERVIZIO

(2001-2006)

Fonte: elaborazioni ISAE su dati del Ministero dell'Interno.

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capitale aumenta significativamente la sua incidenza sulla spesa in conto capitale. A questiincrementi fanno sponda riduzioni rilevanti dell’incidenza sulla spesa corrente degli oneristraordinari e un aumento estremamente contenuto dei trasferimenti ad aziende speciali.

Tab. 9 VARIAZIONI DELLE VOCI DI SPESA RILEVANTI PER CLASSI DIMENSIONALI (INCIDENZA SUL TOTALE SPESE CORRENTI/CAPITALE)

Fonte: elaborazioni ISAE su dati del Ministero dell'Interno.(*) I classe <=5mila ab.; II classe: > 5mila e <=10mila ab.; III classe: >10mila e <=20mila ab.; IV classe: >20mila e <=60mila ab.; V classe:

>60mila ab.

Queste rilevanze non consentono, tuttavia, una lettura univoca. Da una parte, tali caratteristiche potrebbero essere portate a conferma di un’attività di

esternalizzazione del Comune che presenta profili positivi. Alla V classe dimensionale, infatti,afferiscono prevalentemente i Comuni collocati nelle aree settentrionali del Paese in cui, comevisto nei paragrafi precedenti (e come più diffusamento trattato nel Capitolo 5 del presenteRapporto), si collocano la maggior parte delle imprese partecipate che registrano i miglioririsultati in termini gestionali e reddituali. E, non a caso, è proprio in questa area territoriale che gliutili e i dividendi da società partecipate presentano un andamento in costante espansione(cfr. Graf. 3).

Dall’altra parte, invece, emergono alcune indicazioni di segno contrario che lascianointravedere talune criticità. In particolare, se si valutano guadagni in termini di efficienza erazionalizzazione riconducibili al processo di esternalizzazione delle funzioni, si nota che,

Spesa corrente Spesa in c/capitale

spesa peronale/spesa corrente

prestazioni di servizio/ spesa

corrente

acquisto di beni e servizi/ spesa

corrente

oneri straordinari/ spesa corrente

trasferimenti ad aziende speciali e partecipate/ spesa

corrente

partecipazioni azionarie/

spesa in c/c

conferimenti di capitale/spesa in

c/c

I classe2001 34,00 31,63 13,35 1.71 10.07 0.23 0,36

2006 33,27 34,12 11,30 1,30 11,82 0,32 0,54

var (p.p.) -0,72 2,49 -2,04 -0,41 1,75 0,09 0,18

II classe2001 30,59 38,28 10,53 2,00 9,52 0,36 0,19

2006 33,48 37,90 6,93 1,26 11,90 0,32 0,67

var (p.p.) 2,89 -0,39 -3,60 -0,74 2,38 -0,03 0,48

III classe2001 30,62 39,49 9,70 2,26 8,89 0,36 0,41

2006 33,48 39,14 5,83 1,59 11,48 0,51 0,56

var (p.p.) 2,86 -0,35 -3,86 -0,66 2,59 0,14 0,15

IV classe2001 30,69 39,71 8,91 2,65 9,08 0,37 0,58

2006 33,26 40,88 4,45 1,94 11,12 0,63 0,61

var (p.p.) 2,57 1,17 -4,46 -0,72 2,05 0,26 0,03

V classe2001 31,73 41,60 4,04 3,33 10,52 0,68 0,82

2006 34,77 42,01 2,16 1,86 10,62 1,76 1,41

var (p.p.) 3,04 0,40 -1,89 -1,47 0,10 1,08 0,59

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nonostante gli incrementi di spesa capitale destinata a soggetti terzi (per acquisizione dipartecipazioni azionarie e conferimenti di risorse), l’incidenza sulle spese correnti della vocepersonale è aumentata di oltre 3 punti percentuali; su un arco di cinque anni ci sarebbe statotempo sufficiente per far registrare qualche risultato positivo, se davvero le assegnazioniall’esterno di funzioni operative avessero seguito il disegno di aprire al mercato valorizzando ilComune, eventualmente supportato da altre Istituzioni, come regolatore e controllore.

La lettura generale di policy dovrebbe essere approfondita al fine di sciogliere questeambiguità.

6.3.5 l rischi del capitalismo municipale

I Comuni al di sopra dei 60mila abitanti sono pochi, ma sono anche quelli che, perdisponibilità di risorse ed economie di scala e di scopo nello svolgimento delle funzioni relative aiservizi pubblici a rilevanza economica, possono più facilmente creare aziende speciali,mantenere partecipazioni in soggetti privati affidatari, accrescere condizioni di controllo analogo.Ci sono esempi di società affidatarie, con partecipazioni di maggioranza dei Comuni, che sonoquotate alla Borsa di Milano. Per pochi che siano i Comuni della V classe dimensionale, lerisorse che essi possono mobilitare e le soluzioni che effettivamente essi possono intraprenderesono, ad oggi, all’origine della maggior parte delle connessioni partecipative pubblico-privato alivello comunale e danno conto della maggior parte del loro controvalore.

Lo confermano i dati della tabella 10, che reitera in prospettiva dimensionale l’analisi giàcompiuta per territori. Il peso dei proventi da gestione diretta sulle entrate correnti è in riduzioneovunque tra il 2001 e il 2006 (con il calo più marcato nella III e IV classe dimensionale). Unatendenza opposta registra, invece, l’andamento degli utili e dei dividendi, in crescita ovunque eproporzionalmente al crescere della dimensione del Comune.

I Comuni piccoli hanno capacità di gettito e disponibilità finanziarie limitate, e non possononeppure contare su economie di scala e di scopo che possano concorrere a rendereconveniente la creazione di aziende speciali ad hoc, oppure ad assumere direttamenteinteressenze in soggetti privati attivi nella gestione di servizi pubblici a rilevanza economica e/onello svolgimento di altre funzioni esternalizzabili. Questi Comuni, quando esternalizzano,normalmente affidano il servizio a soggetti che servono più Comuni (spesso contingui oappartenenti ad uno stesso bacino), e a volte anche per lo svolgimento di una molteplicità diservizi. Tali affidatari, proprio perché diversificati su più Comuni di piccole dimensioni, riescono arimanere in posizione di sostanziale autonomia da ciascuno di loro, e a non esserne influenzatinelle scelte sia delle gestione operativa sia di quella economico-finanziaria.

Rapporti di tutt’altro stampo valgono per i grandi Comuni che, attraverso le aziende specialie le controllate e partecipate, possono far valere le prerogative della proprietà, e avere voce incapitolo, oltre che sulle scelte operative, anche su quelle economico-finanziarie, ivi inclusa lapolitica di distribuzione dei dividendi a loro favore.

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Tab. 10 INCIDENZA MEDIA DEGLI UTILI E DIVIDENDI E DEI PROVENTI

Ma è tuttavia necessario interrogarsi su quale strumento innovativo possono essere leesternalizzazioni, e quali finalità perseguono, se le società affidatarie finiscono col rimanere,anche quando rientranti nella sfera del diritto privato, sotto il controllo proprietario del soggettopubblico Comune. Da ciò emerge anche il rischio che la distribuzione degli utili, votata eprobabilmente richiesta dal Comune, sia vista come una fonte facile di entrate integrative delgettito fiscale e contributivo. E inoltre, se aziende speciali e soggetti partecipati sono, per iComuni, strumenti attraverso i quali esercitare potere di mercato, pare si stia reimboccando lastrada di quel capitalismo pubblico che la stagione delle riforme degli anni Novanta intendevasuperare.

6.3.6 Attenzione ai Comuni piccoli

Dalle distribuzioni empiriche dei vari rapporti di bilancio per circoscrizione territorialesembrano non emergere indicazioni ulteriori rispetto a quelle sin qui esposte, se non forse lamaggior ricorrenza di casi anomali, lontani dalla media, al Sud e nelle Isole, rispetto al Centro-Nord. Più interessanti risultano, su di un piano di policy, le medesime distribuzioni per classidimensionali dei Comuni.

I piccoli Comuni sono molto numerosi, e le distribuzioni empiriche dei loro rapporti dibilancio hanno una coda molto più lunga rispetto alla code delle distribuzioni degli altri Comuni.Se ci si sofferma ad analizzare la prima porzione delle curve di distribuzione, si può notare come

Utili e dividendi da partecipate/entrate correnti Proventi da gestione diretta/ entrate correnti

I classe2001 0,07 12,40

2006 0,14 11,15

Var (p.p.) 0,1 -1,3

II classe2001 0,14 15,27

2006 0,23 12,76

Var (p.p.) 0,09 -2,52

III classe2001 0,12 16,52

2006 0,26 13,12

Var (p.p.) 0,14 -3,39

IV classe2001 0,23 15,20

2006 0,32 11,74

Var (p.p.) 0,10 -3,46

V classe2001 0,84 10,87

2006 1,27 9,94

Var (p.p.) 0,43 -0,94

Fonte: elaborazioni ISAE su dati del Ministero dell'Interno.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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la considerazione precedentemente fatta a proposito del Sud e delle Isole in merito allafrequenza dei casi outsider valga, adesso e in maniera anche più evidente, per i Comuniappartenenti alla II e III classe dimensionale (cioè tra i 5.000 e i 20.000 abitanti). Sonorelativamente più numerosi che nelle altre classi i casi di Comuni con rapporti molto più elevatidella media, soprattutto per quanto riguarda sia i conferimenti di capitale e le partecipazioniazionarie (voci di spesa in conto capitale), sia gli oneri straordinari e i trasferimenti (voci di spesacorrente).

Sembra, pertanto, emergere che i Comuni di più piccola dimensione abbiano sviluppatouna varianza maggiore nelle scelte che riguardano le relazioni economico-patrimoniali consoggetti esterni. Ad esempio, nel caso del rapporto partecipazioni azionarie/spese in contocapitale, il valore più elevato nel 2001, superiore al 45%, appartiene ad un Comune della IIclasse dimensionale (Graf. 5), mentre nel 2006 il rapporto conferimenti di capitale/spese in contocapitale assume valori superiori all’80% in un Comune della prima classe dimensionale (Graf. 6).Nel 2006, il livello più elevato degli oneri straordinari, come percentuale delle spese correnti,appartiene ad un piccolo Comune (Graf. 7).

Sembra quindi emergere che, preso singolarmente, il piccolo Comune “conta” poco, ma lagalassia è numerosa, e se si cominciano ad affermare prassi poco trasparenti nella gestione, neirapporti tra sfera pubblica e sfera privata, e nella tenuta dei conti, c’è il rischio che si avvii unprocesso di accumulazione di tensioni. Le potenziali criticità potrebbero essere aggravate dalfatto che, come dimostrano i dati qui analizzati, la contabilità dei piccoli Comuni sembra quellapiù approssimativa e lacunosa.

La soluzione dovrebbe puntare ad innalzare ed omogeneizzare il più possibile gli standarddi qualità della tenuta contabile dei Comuni, senza distinzione di classe dimensionale. Secoinvolgerli tutti (anche quelli con poolazione inferiore ai 5.000 abitanti) nell’attuale schema difunzionamento del Patto Interno non è praticabile, bisognerebbe lavorare ad un modello dicoordinamento della contabilità e della finanza pubblica diverso, al quale potrebbe forse giovare,come già sottolineato, un federalismo che responsabilizzasse maggiormente le Regioni rispettoalle performance dei Comuni della loro area.

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Esternalizzazioni e capitalismo municipale:una analisi sui certificati di conto consuntivo

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Graf. 5 - DISTRIBUZIONE EMPIRICA DEI RAPPORTI TRA PARTECIPAZIONI AZIONARIE ESPESE IN CONTO CAPITALE PER CLASSI DIMENSIONALI - % 2001

Fonte: elaborazioni ISAE su dati del Ministero dell'Interno.

Graf. 6 - DISTRIBUZIONE EMPIRICA DEI RAPPORTI TRA CONFERIMENTI DI CAPITALE ESPESE IN CONTO CAPITALE PER CLASSI DIMENSIONALI - % 2006

Fonte: elaborazioni ISAE su dati del Ministero dell'Interno.

Graf. 7 - DISTRIBUZIONE EMPIRICA DEI RAPPORTI TRA ONERI STRAORDINARI ESPESE CORRENTI PER CLASSI DIMENSIONALI - % 2006

Fonte: elaborazioni ISAE su dati del Ministero dell'Interno.

-5

5

15

25

35

45

55

I classe II classe III classe IV classe V classe

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

I classe II classe III classe IV classe V classe

0

10

20

30

40

50

60

70

I classe II classe III classe IV classe V classe

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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6.4 CONCLUSIONI

La crescente tendenza alle esternalizzazioni, sia verso imprese private, sia verso impresepubbliche o miste, lascia certamente traccia nei bilanci degli Enti Locali. Tuttavia quando si tentadi approfondire questi aspetti ci si scontra con ostacoli conoscitivi che derivano da unacontabilità pubblica locale opaca che non consente di rendere immediatamente percepibili, equindi trasparenti, i nessi con le gestioni esternalizzate e le partecipazioni in società di capitali.Tali flussi, invece, risentono direttamente degli esiti gestionali societari e possono risultare diestrema rilevanza per gli effetti sugli equilibri di bilancio dei Comuni. Per quel che, ad esempio,attiene il profilo del ripiano delle perdite delle società partecipate, il Comune è tenuto a ricoprirle(interamente o pro quota) con proprie risorse e con un incidenza diretta sui propri equilibri dibilancio. A ciò si aggiunga che un’eventuale mancata copertura può generare potenzialipassività con conseguente disavanzo o addirittura dissesto dell’ente locale.

In un tale quadro, appare quindi fondamentale poter individuare con chiarezza il grado didipendenza della gestione di queste società da contributi in conto corrente ed in conto capitaleda parte dell’ente locale al fine di scongiurare situazioni di debito occulto che possanominacciare la tenuta degli equilibri dell’ente locale (nel breve e nel lungo periodo).

L’analisi della base dati del Ministero dell’Interno porta all’evidenza alcuni fatti stilizzatiriguardanti la dimensione e le caratteristiche dei rapporti tra Comuni e soggetti giuridicipartecipati.

In primo luogo, l’inadeguatezza della strumentazione contabile, che si estende dalladefinizione delle voci di bilancio - ampie, con zone di sovrapposizione, aperte a sceltediscrezionali, con possibilità di “scambiare” classificazione corrente con classificazione di contocapitale- sino alla completezza e accuratezza delle compilazione delle varie poste.

Senza una corretta raffigurazione della situazione economico-patrimoniale di ogni unitàcomunale, i vincoli posti dal Patto di stabilità interno per il coordinamento della finanza pubblicarischiano di essere svuotati di senso ed efficacia; e, siccome il Patto dovrebbe costituire unaparte della microfondazione del Programma di Stabilità nazionale che l’Italia presentaannualmente in Europa, posso risultare inficiate le informazioni in quest’ultimo contenute.

In secondo luogo, i dati fanno sollevare concreti dubbi sui ritorni di efficienza produttiva e dirazionalizzazione interna dei Comuni, connessi al processo di esternalizzazione delle funzioni.Nonostante significativi incrementi in termini di risorse capitali destinate all’acquisizione dipartecipazioni, ai conferimenti di capitale e ai trasferimenti a fondo perduto, i Comuni nonsembrano essersi sgravati di sufficienti costi di produzione, in termini di spesa per il personale, diacquisti di beni e servizi, e anche di oneri per ripiani di perdite di gestione. Il problema riguardasoprattutto il Sud e delle Isole.

La precedente osservazione trova una conferma nell’analisi dei coefficienti di correlazionetra, da un lato, le voci di bilancio che sintetizzano i rapporti diretti tra Comuni e soggettistrumentali, controllati, partecipati e, dall’altro, le voci di spesa, ma anche di entrata, del Comune

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Esternalizzazioni e capitalismo municipale:una analisi sui certificati di conto consuntivo

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che questi rapporti (tramite l’esternalizzazione di funzioni) dovrebbero concorrere a ridurre. Èsintomo - e questa è la terza evidenza che si intende sottolineare - che le esternalizzazioni non sistanno accompagnando ad una riallocazione/riorganizzazione delle funzioni e delle risorse, matendono a rientrare in un complesso e contraddittorio processo di moltiplicazione degli operatori,con una generale tendenza alla levitazione dei costi. A ben vedere, problema che moltipaventano per tutta la transizione federalista, se non ben governata.

La quarta evidenza permette di focalizzare l’attenzione su alcune particolarità riscontratenei grandi Comuni (sopra i 60mila abitanti). Le rilevanze che emergono non consentono, tuttavia,una lettura univoca. Da una parte, infatti, sono soprattutto i Comuni più grandi, collocati nel Norddel Paese, che registrano contrazioni delle spese correnti nelle voci che individuano i legami traEnte e partecipate (oneri straordinari e trasferimenti ad aziende). Queste evidenze, combinatecon l’andamento crescente del flusso di utili e dividenti che i Comuni del Nord percepiscono,parrebbero essere un segnale positivo connesso al processo delle esternalizzazioni. Dall’altraparte, in direzione contraria, muovono gli andamenti della spesa del personale che, nell’arco ditempo considerato, non presentano alcun segnale di contrazione. Ciò suggerisce la necessità diinvestigare ulteriormente non solo le ricadute in termini di efficienza delle esternalizzazioni, maancor di più quelle sulle relazioni tra politica ed economia.

Preoccupazione, quest’ultima, confermata dalla quinta evidenza, che mostra comel’attivismo dei grandi Comuni nell’acquisire partecipazioni e nell’autoriconoscersi ampli flussi didividendi stia riproponendo la strada di quel capitalismo pubblico che la stagione delle riformedegli anni Novanta ha inteso superare. Dietro soggetti privati, partecipati o controllati daiComuni, in alcuni casi anche quotati in Borsa, si nasconde il rischio di un nuovo “gemellaggiosiamese” tra politica ed economia, tra regole della rappresentanza democratica, regoledell’amministrazione e regole dei mercati. Se non devono esserci preconcetti verso l’impegnodei Comuni nell’organizzazione, anche in forma diretta, delle prestazioni per i loro cittadini, sideve però richiedere che questo avvenga all’interno di un contesto di piena trasparenza evalutabilità dell’operato, e di altrettanto piena responsabilizzazione dei decisori.

Ma le criticità non si riscontrano soltanto sui grandi Comuni. La sesta ed ultima evidenzasegnala che anche presso alcuni Comuni di più piccole dimensioni potrebbero starsi affermandoprassi poco trasparenti nella gestione, nei rapporti tra sfera pubblica e sfera privata, e nellatenuta dei conti. I Comuni più piccoli sembrano aver sviluppato una varianza maggiore, rispettoalle altre classi dimensionali, nelle scelte che riguardano le relazioni economico-patrimoniali consoggetti esterni, facendo registrare, per esempio, picchi nei ratio sulla spesa capitale dell’acquisizione di partecipazioni azionarie e dei conferimenti di capitale. Preso singolarmente ilpiccolo Comune “conta” poco, ma la galassia è numerosa, e c’è il rischio che si avvii un processodi accumulazione di tensioni e di problemi prospettici. Le potenziali criticità potrebbero essereaggravate dal fatto che proprio la contabilità dei piccoli Comuni sembra quella piùapprossimativa e lacunosa.

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L’analisi può essere approfondita in molteplici direzioni, ma sul piano di policy emergono giàindicazioni chiare. È necessario compiere progressi rapidi su più fronti interconnessi: (a) larazionalizzazione e omogeneizzazione delle regole contabili, con l’obbligo per i Comuni dipredisporre bilanci consolidati coprenti tutte le relazioni economico-finanziarie con soggettiesterni (il legge delega sul federalismo fiscale si muove già in questa direzione); (b) lasistemazione definitiva della normativa riguardante l’assegnazione della gestione dei servizipubblici di rilevanza economica, per diffondere e consolidare il principio generale dell’asta adevidenza pubblica; (c) l’inclusione all’interno della programmazione annuale del Patto Interno deiComuni più piccoli, cercando la soluzione più adatta a superare le difficoltà logistiche edorganizzative che sicuramente esistono nel rapportarsi ad un universo così numeroso; (d) lavalutazione di forme di responsabilizzazione delle Regioni rispetto alle scelte di bilancio e agliobblighi contabili dei Comuni della loro area, che potrebbe rappresentare una possibile soluzioneal problema della inclusione dei piccoli Comuni all’interno della programmazione annuale delPatto Interno.

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Esternalizzazioni e capitalismo municipale:una analisi sui certificati di conto consuntivo

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Le partecipazioni degli Enti Locali: la normativa di riferimento

Il ricorso a strumenti societari da parte degli Enti Locali, quali formule organizzativeprivilegiate per esercitare attività nell’interesse degli Enti o per svolgere funzioni di competenzadegli stessi, è cresciuto in maniera significativa negli ultimi anni (Cerulli Irelli, 2006). Il fenomenoè vasto e articolato ed è, pertanto, operazione complessa operare un’efficace e chiaracatalogazione di tali esperienze (Florenzano, 2008). Certamente l’attuale configurazione è statafavorita dal legislatore statale che, specie negli anni più recenti, da un lato ha alimentato ilfenomeno delle privatizzazioni (sebbene formali) a livello di apparato centrale, innescando cosìuna sorta di “fenomeno emulativo” a livello locale, dall’altro ha espresso, spesso in modoesplicito, un evidente favore per il ricorso alle formule societarie per le attività di competenza delleRegioni e degli Enti locali. In particolare, ci si riferisce a quelle disposizioni che hanno autorizzatogli Enti Locali a scegliere l’utilizzo della forma societaria per rivestire l’organizzazione destinata asvolgere attività di servizio pubblico o, comunque, attività di interesse pubblico. Ciò sino agiungere ad una previsione di carattere più generale, quale quella dell’art. 29 della Legge 28dicembre 2001, n. 448, con cui si sono autorizzate esplicitamente le cosiddette “esternalizzazioni”.

La normativa relativa ai servizi pubblici locali è certamente quella che ha maggiore impattonei contesti comunali: le public utility a rilevanza industriale costituiscono rilevanti, sebbene nonunici, ambiti di intervento del capitalismo municipale.

Le società miste: dalla legge n. 142/1990 al D.Lgs. n. 267/2000

Per gli Enti Locali è ormai la prassi costituire società di capitali per la gestione dei servizipubblici locali (per la gestione di aree industriali attrezzate, per la gestione dei servizi fieristici,ecc.). Infatti, l’evoluzione normativa evidenzia un costante indirizzo del legislatore ad unaestensione del modello societario in questi ambiti. A compiere una scelta decisiva in favore dellapossibilità per gli enti territoriali di esercitare il servizio pubblico tramite una società per azioni èla legge 142 dell’8 giugno 1990. Le società miste rappresentano, infatti, una delle novità introdottenell’ambito delle diverse modalità tipizzate di gestione dei servizi pubblici locali da parte degli entititolari dei servizi stessi. La legge 142/90, infatti, pur contemplando ancora le classiche forme digestione amministrativa, prevede per la prima volta la possibilità di affidare in concessione lagestione delle local utilities anche a società per azioni, a prevalente capitale pubblico. Ladisposizione, dopo aver chiarito che la titolarità dei servizi pubblici è mantenuta in capo agli entilocali, individua le modalità attraverso le quali è possibile provvedere alla gestione,identificandole nella gestione in economia, in concessione a terzi, a mezzo di azienda speciale, amezzo di istituzione e, infine, “a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale,qualora sia opportuna, in relazione alla natura del servizio da erogare, la partecipazione di piùsoggetti pubblici o privati”, (lettera e, del 3° comma).

Sono di poco successive alcune misure pro-concorrenziali che rimuovono il vincolo dellaproprietà pubblica maggioritaria, conformemente con le tendenze nazionali verso laprivatizzazione effettiva. Infatti, accanto alla società a partecipazione pubblica maggioritaria l’art.12 della Legge 23 dicembre 1992, n. 498 disciplina la società a prevalente partecipazione privatacome possibile forma gestionale di servizi pubblici. Per questa, inoltre, è disposta l'adozione diprocedure concorsuali ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato (secondo il sistemadella procedura concorsuale ristretta ).

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A conferma di un deciso favor nei confronti della forma societaria, si muovono anche lesuccessive disposizioni della legge n. 127 del 1997 (la cosiddetta “Bassanini bis”) che ha previstoagevolazioni fiscali e atti unilaterali per la trasformazione delle aziende speciali esistenti in societàper azioni, con l’obbligo per l’ente locale di cedere una quota della società entro due anni. La“Bassanini bis” ha ampliato, inoltre, le tipologie di società miste ammettendo la possibilità dicostituire società a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale, costituite opartecipate dall’ente titolare del pubblico servizio. La norma si riferisce, quindi, non solo a societàcostituite dall’Ente Locale per la gestione del servizio, ma anche a soggetti già esistenti a cuil’Ente partecipa acquistando quote di capitale. Le disposizioni vengono quindi a delineare unnuovo modello di gestione fondato sulla potestà legislativa degli Enti locali, ma nonnecessariamente sulla gestione diretta e sulla proprietà maggioritaria pubblica.

Dalla seconda metà degli anni ‘90 si avvia un periodo in cui si susseguono una serie diprogetti di riforma della disciplina generale che giungono a diversi livelli di discussioneparlamentare senza tuttavia portare mai a compimento l’iter legislativo. Infatti il Testo Unico degliEnti Locali emanato nel settembre 2000 (D.Lgs 267/00) si limita a sistematizzare e armonizzare lenorme disperse nella legislazione precedente recependo le novità introdotte dalle revisioni deglianni novanta, senza inserire alcuna novità sostanziale rispetto alle tappe giuridiche precedenti.Oltre a definire il servizio pubblico locale (art. 112), sono individuate le modalità di gestione (art.113):

1. in economia, utilizzando le risorse dell’Ente Locale senza individuarne una parteformalmente ed espressamente dedicata alla gestione del servizio;

2. in concessione a terzi;

3. per il tramite di una azienda speciale, “anche per la gestione di più servizi dirilevanza economica e imprenditoriale”;

4. a mezzo di istituzione, “per l’esercizio di servizi sociali senza rilevanzaimprenditoriale”;

5. a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale;

6. a mezzo di società per azioni senza il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria.

In questa fase dell’evoluzione normativa, mentre appare chiaro che, alla luce del datotestuale della disposizione, la gestione può essere affidata direttamente alla Società mista, nulla èdetto circa le modalità di scelta del partner privato che affianca l’ente nella compagine sociale e,dunque, nella gestione (ciò vale però solo per le società a capitale pubblico di maggioranza,giacché, lo si ricorda, per la diversa ipotesi di società mista con capitale pubblico minoritario è giàespressamente previsto l’espletamento delle procedure di evidenza pubblica). In questo ambito,l’intervento chiarificatore giunge dalla giurisprudenza che, in larga maggioranza, ha affermato lanecessità che la scelta del socio privato di minoranza fosse guidata dal principio della trasparenzadell’azione amministrativa e della libertà di mercato, propri del diritto interno e di quellocomunitario, e, dunque, dovesse avvenire attraverso l’utilizzo di procedure ad evidenza pubblica.Tale favore è giustificato dalla maggiore flessibilità dello strumento rispetto alle altre forme digestione, nonché dalla circostanza che il sistema consente all’ente, attraverso forme di cogestione,

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Esternalizzazioni e capitalismo municipale:una analisi sui certificati di conto consuntivo

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di giocare un ruolo centrale nella gestione del Servizio Pubblico Locale, separando, al contempo,la responsabilità dell’ente dalla gestione, che è, chiaramente, resa più snella e dinamica.

L’art. 35 della Legge Finanziaria per il 2002 e interventi riformatori successivi

Sulla spinta del Diritto comunitario la legge n. 448/2001 (art.35), Finanziaria per il 2002, hariscritto la normativa in materia di servizi pubblici, introducendo l’articolo 113-bis che modificaprofondamente la connotazione delle società miste.

In primo luogo, la normativa introduce una diversa disciplina fra i servizi pubblici locali arilevanza industriale (art. 113) e quelli privi di rilevanza industriale (113-bis). La linea didemarcazione tra le due tipologie è data dal diverso impatto esercitato sull’assetto concorrenziale:è privo di rilevanza industriale il servizio che per sua natura e per i vincoli cui è sottoposta la suagestione è irrilevante ai fini della tutela della concorrenza. Per i primi è sancito il principio dellagara per la gestione di reti, impianti e servizi, nonché l’applicazione generalizzata del contratto diservizio come strumento di regolazione dei rapporti tra società affidataria della gestione eamministrazioni aggiudicative; per i secondi è invece mantenuta il regime dell’affidamento diretto.In sostanza, l’art. 35 della 448/2001 abroga le forme di gestione trasfuse nel TUEL e prevede che iservizi pubblici locali a rilevanza industriale vengano affidati esclusivamente mediante gara asocietà di capitali: ciò implica, quindi, che il rapporto tra ente locale e gestore assume naturaesclusivamente contrattualistica e privatistica (Caroselli, 2003).

Inoltre, sempre per i servizi a rilevanza industriale era prevista la trasformazione di aziende econsorzi in società di capitali entro il 30 giugno 2003. Infatti, proprio in ragione della loropeculiarità, per i servizi a rilevanza industriale le nuove disposizioni stabiliscono l’impossibilità diaffidamento in via diretta a società miste (indipendentemente dall’entità della partecipazionedell’ente), introducendo il principio secondo cui tali servizi vengano affidati esclusivamente asocietà di capitali individuate mediante procedura ad evidenza pubblica.

L’impatto di tale disciplina sul modello delle società miste è rilevante poiché, in primo luogo,ridimensiona il coinvolgimento diretto nel mercato dell’ente e la sua assunzione al ruolo disoggetto regolatore della concorrenza tra soggetti, nonché di controllo della tutela dell’interessepubblico.

Nella stessa Finanziaria viene poi di fatto riconosciuta la facoltà di ricorrere all’istituto delleesternalizzazioni prevedendo che le Pubbliche amministrazioni possano, anche in deroga allevigenti disposizioni:

a) acquistare sul mercato i servizi, originariamente prodotti al proprio interno, acondizione di ottenere conseguenti economie di gestione;

b) costituire, nel rispetto delle condizioni di economicità di cui alla lettera a), soggettidi diritto privato ai quali affidare lo svolgimento di servizi, svolti in precedenza;

c) attribuire a soggetti di diritto privato già esistenti, attraverso gara pubblica, ovverocon adesione alle convenzioni stipulate ai sensi dell’articolo 26 della legge 23dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e dell’articolo 59 della legge 23dicembre 2000, n. 388, lo svolgimento dei servizi di cui alla lettera b).

Le procedure di esternalizzazione dei servizi pubblici prevedono una differenziazione diinquadramento normativo per i casi nei quali il servizio riguardi prestazioni strumentali o di

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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supporto all’attività dell’ente pubblico, o attività destinate alla collettività. In questo ultimo casosono previste specifiche normative di settore, che si aggiungono a quelle previste per le publicutilities degli Enti Locali.

Le potenzialità della riforma sono però frustrate dalla previsione di un lungo periodotransitorio, subito entrato nel mirino della Commissione europea.

Con il d.l. 30 settembre 2003, 269 (art. 14) e da alti interventi, il Legislatore, di fatto, tornasui suoi passi e nuovamente riallarga gli spazi riservati alle società miste e ridimensiona ilprincipio della generalizzazione della gara per l’affidamento del servizio pubblico. Per quel cheattiene il primo aspetto, le partnership pubblico private tornano ad assumere un ruolo centralenell’architettura normativa in materia di servizi pubblici locali. Per quel che attiene invece ilsecondo aspetto, l’obbligatorietà delle gare viene corretta dalla possibilità di affidare in via direttai servizi alle società in house.

In ordine alle modalità di gestione dei Servizi pubblici locali a rilevanza economica, il nuovocomma 5 dell’art. 113 modifica, nuovamente e integralmente, la precedente disciplina, prevedendotre possibili modalità di gestione:

1. con conferimento a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di garecon procedure ad evidenza pubblica;

2. con conferimento “a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socioprivato venga scelto attraverso l’espletamento di gare con procedura ad evidenzapubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie inmateria di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autoritàcompetenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche”;

3. con conferimento a società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente ogli enti pubblici titolari del capitale esercitino sulla società un controllo analogo aquello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importantedella propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano (cd.Affidamento in house).

In sostanza, la disciplina prevede, accanto alla gara, la possibilità per l’ente locale di optarediscrezionalmente per l’affidamento diretto a società di capitale interamente pubblico (il cosiddettoin house) o a società mista in cui il socio privato sia scelto mediante gara, nel rispetto dellanormativa comunitaria. Per quel che attiene l’affidamento in house la disciplina recepisce i criteridesumibili dalla giurisprudenza comunitaria che ha ritenuto compatibile con l’art. 86 del TrattatoCE l’affidamento diretto senza gara allorché essa integri sostanzialmente una forma diautoproduzione del servizio.

Gli interventi più recenti

In questo complesso quadro che vede il continuo intervento dei legislatori nazionale ecomunitario, nonché una delimitazione per approssimazioni progressive della materia daparte dei giudici competenti, si è inserito recentemente l’art.13 del decreto-legge n.223/2006(il cd. “decreto Bersani” (convertito con modifiche in legge n. 248/2006), che ha riformato ladisciplina delle società strumentali, cioè delle società a capitale pubblico o a capitale misto,costituite o anche partecipate da Enti Locali per la produzione di beni e servizi strumentaliall’attività dell’ente. Il Decreto in questione introduce il principio di separazione tra ilregime di mercato ed il regime in house e di quasi-in house (in cui i soggetti pubblici

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provvedono autonomamente alla produzione di beni e servizi), stabilendo che i soggetti cheoperano in house non possono operare anche in regime di mercato. Viene previsto, invece,che tali società debbano operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti oaffidanti e che non possano svolgere prestazioni a favore di altri soggetti, nemmeno aseguito di gara. La riforma, pertanto, mira a restringere l’ambito di operatività dellesocietà strumentali, per scongiurare vantaggi anticoncorrenziali a soggetti operanti fuori dalmercato. Nel Decreto viene tuttavia specificato che la riforma non si applica ai servizi pubblicilocali. Questo però pone il problema della collocazione e dell’applicabilità di tale normativaalle cd. società multiutility, cioè delle società che erogano diversi servizi, alcuni qualificabili comeservizi pubblici e altri come servizi strumentali. In questi casi è necessario procedere allo scorporo delle attività dei due tipi, le prime regolate dalla normativa TUEL, le altre dallanormativa sugli appalti.

La riforma del 2008 (Articolo 23-bis della legge n. 133, del 6 agosto 2008, prevedel’abrogazione, nei limiti in cui è incompatibile con l’art. 113 del TUEL, per quel che attiene lagestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica. Per quel che riguarda l’erogazionedel servizio è disposto che l’affidamento debba avvenire in via ordinaria con procedura adevidenza pubblica, ammettendo tuttavia il ricorso ad altre forme di affidamento nel caso incui l’ente locale ritenga impossibile ricorrere al mercato (differenziandosi, in questo, dal sistemaprecedente che ammetteva accanto all’affidamento con gara, l’affidamento alla società mista eil ricorso discrezionale all’in house providing).

Il nuovo sistema di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali a rilevanzaeconomica in favore delle società pubbliche appare, pertanto, costruito su due distinte modalità:quella “ordinaria” e quella “in deroga”.

Per quel che attiene la prima, la scelta di procedere alla piena liberalizzazione si sostanzianell’introduzione della concorrenza regolata, come modalità generale di affidamento dellagestione del servizio, e la limitazione dei casi di affidamento diretto e in house. Le forme“ordinarie” di gestione dei servizi locali sono ricondotte a tre tipologie:

1) società di capitale privata in concessione con affidamento mediante procedura ad evidenza pubblica; 2) società mista, con quota privata selezionata mediante procedura competitiva; 3) affidamento in house limitato a casi circoscritti.

L’articolo 23-bis, tuttavia, omette di individuare le modalità di svolgimento della proceduracompetitiva ad evidenza pubblica operando un generico richiamo ai principi del Trattato cheistituisce la Comunità Europea e ai principi generali relativi ai contratti pubblici, conparticolare riferimento ai principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza,adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento eproporzionalità. Inoltre, la partecipazione alle procedura ad evidenza pubblica per l’erogazione del servizio è inibita ad affidatari diretti (in house e società miste non attinenti alle regolecomunitarie) (“clausola di reciprocità”).

In deroga alle modalità ordinarie di assegnazione del servizio, l’affidamento in house èricondotto alle sole situazioni che, per le peculiari caratteristiche economiche, sociali,ambientali del contesto territoriale di riferimento, non consentono un efficace ed utile ricorsoal mercato. In tale caso l'Ente Locale è tenuto a motivarne adeguatamente le ragioni e a

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ottenere il parere favorevole dell’'Autorità garante della concorrenza e del mercato e delleautorità di regolazione del settore, ove costituite.

La riforma inserisce, inoltre, il principio dell’uniformità normativa, rispondendo allanecessità di assicurare un impianto normativo chiaro e stabile che preveda gli stessi criteri diregolazione tra i diversi settori e ambiti territoriali. E’ previsto, infatti, che le nuove normevengano applicate per l’affidamento di tutti i servizi pubblici locali a rilevanza economica e chetali disposizioni prevalgano sulle discipline di settore con esse incompatibili. L’opzionedell’uniformità normativa si presenta certamente come una scelta adeguata per favorire edaccompagnare lo sviluppo delle imprese di tipo multiutility che generalmente operano in mercatidi concorrenza imperfetta. Infatti, un quadro di regole asimmetrico può dar luogo a fenomenidi abuso a seguito dell’espansione del campo di operatività dai regimi di esclusiva comprendendole attività sottoposte alla libera concorrenza. In questa direzione è inoltre da valutarepositivamente l’esclusione, prevista dal 30 giugno 2009, per i soggetti già titolari di affidamentidiretti o in house, della possibilità di acquisire la gestione di altri servizi o di estendersi inambiti territoriali diversi.

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Esternalizzazioni e capitalismo municipale:una analisi sui certificati di conto consuntivo

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7 Le modalità di finanziamento degli Enti pubblici territoriali nell'Unione Europea

7.1 INTRODUZIONE

La finanza pubblica decentrata è un settore di provata importanza in tutti i Paesi dell’UnioneEuropea (UE27). Il numero complessivo di attori di governo territoriale supera le 92.000 unità edessi sono responsabili per un numero crescente di funzioni. Anche a livello di entrate l’insiemedelle autorità locali raccoglie ormai un quarto del totale. Nonostante il peso del settore, anche inconsiderazione del fatto che esso impiega una parte certo non trascurabile dei lavoratori

pubblici1, sorprendentemente gli studi comparati in questa materia non sono molto numerosi siada un punto di vista qualitativo sia soprattutto quantitativo.

Le ragioni di questa carenza sono da rintracciare, da un lato, nella grande variabilità dellefunzioni e dei sistemi di finanziamento attribuiti agli enti locali e nella loro costante evoluzione e,dall’altro, come conseguenza, nella scarsa disponibilità, o comunque difficile comparabilità, didati rilevanti ai fini dell’analisi. Al di là delle vistose differenze rilevabili di primo acchitto, esistonotuttavia tendenze comuni e soprattutto problematiche condivise che giustificano un raffronto diquesto tipo. Da una analisi siffatta possono infatti rintracciarsi caratteristiche e problemi comunidi cui l’osservazione degli esempi oltre confine può agevolare soluzione e correzione.

Del resto, l’evoluzione recente della finanza locale nella UE27 testimonia una tendenzadiffusa verso la decentralizzazione che ha coinvolto, almeno in parte, anche paesi di provatatradizione centralista come la Francia, la Grecia ed il Regno Unito, pur non essendo sempreassociata ad un analogo percorso di regionalizzazione che anzi ha subito in alcuni paesi unabattuta d’arresto (Portogallo, Regno Unito).

1 I dipendenti pubblici locali all’interno dell’ Unione Europea sono oltre la metà dei lavoratori pubblici, pari a circa il 16%della forza lavoro della UE (dati 2005, (DEXIA, 2008)). L’accrescersi della decentralizzazione ha comportato nellamaggior parte dei paesi ex EU15 l’aumento del peso degli enti locali nel settore pubblico quanto al numero di addetti e adun conseguente ridimensionamento degli occupati presso lo stato centrale. Un’eccezione in questo senso è costituita daIrlanda e Paesi Bassi a causa di un aumento sensibile del numero degli insegnanti. In Spagna, il numero degli addettilocali è raddoppiato in dieci anni in ragione delle crescenti competenze devolute alle Comunità autonome. Anche inAustria il valore è raddoppiato fino a superare il 60% rispetto all’inizio degli anni ’90 (cfr. Hoorens e Levitan, 2006).Prevedibilmente la ripartizione delle competenze influenza anche la distribuzione dei dipendenti pubblici tra livelli digoverno per cui, ad esempio, nei paesi scandinavi tre quarti dei dipendenti pubblici lavorano nel settore locale.

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Nel resto del capitolo si cercherà di fornire un quadro d’insieme delle relazioni fiscaliintergovernative nei Paesi dell’Unione Europea. In questo ambito, speciale rilievo verrà datoall’esame dei sistemi perequativi adottati.

7.2 IL PANORAMA DELLA CONFIGURAZIONE AMMINISTRATIVO-TERRITORIALE NELL’UNIONE EUROPA

Il panorama della finanza territoriale si presenta molto variegato all’interno dell’UnioneEuropea. L’assetto attuale è spesso il risultato di complesse vicende legate anche alla tradizionee alla cultura dei singoli paesi. Due tendenze sono comunque evidenti. La prima è un processodi potenziamento regionale accentuato che ha tuttavia seguito percorsi diversi negli ultimi ventianni. La seconda è l’emergere di un pari rafforzamento “dal basso” delle aree metropolitane(DEXIA, 2008).

Per quanto riguarda il primo punto, le regioni esistenti hanno ottenuto un ampliamento delproprio ruolo, come è avvenuto in Germania con la riforma del 2006, ma anche in Francia con laseconda fase della decentralizzazione avviata con legge del 2004. Anche in Spagna, cinque altreregioni hanno seguito Valencia e la Catalogna nell’allargamento delle proprie competenze,grazie alla riforma dello statuto delle autonomie del 2006. L’esempio più evidente è forse quellodella Danimarca dove, a seguito della riforma entrata in vigore dal 2007, cinque regioni hannosostituito le contee acquisendone le funzioni; Svezia e Finlandia dovrebbero seguirla, come sievidenzierà in seguito. Simili progetti vengono discussi in altri paesi: l’idea è di nuovo attuale inGrecia, ma anche in Lettonia, Ungheria, Romania e Lituania. Una parziale eccezione a questatendenza si ha in Portogallo, dove il progetto di regionalizzazione è stato bocciato da unreferendum popolare nel 1998 anche se non è stato ancora abbandonato, e in Slovenia. In Italia,dove l’istituzione delle Regioni, prevista nella Costituzione, si è avuta solo all’inizio degli anni ’70(legge 281/70), è in atto dagli anni ’90 un processo di decentramento che ha condotto allariforma costituzionale del 2001, cui si sta tentando di dare attuazione.

7.2.1 Configurazione amministrativa territoriale - confronto e linee di riforma

Un semplice sguardo alla struttura amministrativa territoriale dei diversi paesi rendeevidente la variabilità di configurazioni (cfr. Tab.1). L’Unione comprende tre soli statidichiaratamente federali (Germania, Austria e Belgio) e due a struttura quasi-federale (Italia eSpagna). La forma federale tuttavia non sembra determinante nell’organizzazione territoriale.Nel complesso, otto paesi sono organizzati con un unico livello amministrativo e di governo; sitratta, come si vede dalla tabella, di paesi piccoli sia in termini territoriali (a parte la Finlandia) siacome popolazione: in tutto rappresentano circa il 4% della popolazione dell’Unione. Dodici paesihanno due livelli di cui il secondo corrisponde alle nostre regioni. In effetti la denominazione e le

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competenze variano molto: in Austria si tratta di Stati federali, in Irlanda le otto “autorità regionali”- pur istituite come “governi locali” con legge del 1991 - hanno competenze molto limitate. Altrocaso particolare è quello ricordato del Portogallo in cui le regioni, pur essendo previste dallaCostituzione non sono state ancora istituite: le due esistenti sono le regioni autonome delle isoledi Madeira e delle Azorre. Infine, sette paesi si suddividono su tre livelli amministrativi e digoverno con funzioni varie. Si tratta degli Stati più densamente popolati, con una popolazionecomplessiva che copre circa i tre quarti del totale dell’Unione.

7.2.1.1 I Comuni e la tendenza all’intercomunalità

L’elemento di base, cioè il livello comunale, è molto variabile quanto ad ampiezza

territoriale, popolazione e densità abitativa2. Elementi storici e di tradizione sembrano favorire latendenza alla parcellizzazione, tant’è che l’80% dei comuni si trova in soli 5 paesi e, più inparticolare, in Francia (40%), Germania (14%), Spagna (9%), Italia (9%) e Repubblicaceca (7%).

I comuni europei contano una media di 5.430 abitanti su una superficie media di 50chilometri quadrati (DEXIA, 2008), ma la variabilità è molto elevata. Si va dai 5 km² di Malta ai1.550 km² di un ente svedese mentre, per quanto riguarda la popolazione, la media per paesevaria da meno di 2.000 abitanti per Cipro, Repubblica ceca, Francia e Slovacchia agli oltre50.000 di Danimarca e Lituania fino ai 140.000 del Regno Unito. Quest’ultimo paese ha tuttaviala caratteristica di suddividere ulteriormente i 434 comuni in 11.200 parishes o comunità. Icomuni sono quindi una sorta di agglomerazione di unità più piccole. Lo stesso accade in modomeno eclatante in Lituania, Portogallo, Bulgaria, Slovenia e Italia dove questi agglomerati di piùcomuni si vedono riconosciuta personalità giuridica e svolgono un ruolo anche importante nellafornitura dei servizi di prossimità.

Il livello comunale comunque presenta ulteriori suddivisioni in oltre la metà dei paesieuropei. Spesso la distinzione è tra comuni urbani e rurali (Cipro, Estonia, Grecia, Romania), maderiva anche dall’assegnazione ad alcuni agglomerati di competenze aggiuntive (città a statutodi contea in Ungheria e in Polonia, città repubblicane in Lettonia, etc.). In particolare, per icomuni di dimensione più grande spesso agglomerazioni di comuni si occupano di gestire iservizi di prossimità. In questo caso il finanziamento è posto a carico dei comuni partecipanti(Bulgaria, Lituania), tramite un bilancio proprio alimentato da trasferimenti specifici (Portogallo) oattraverso le entrate fiscali (Regno Unito) (DEXIA, 2008).

La complessità organizzativa e di coordinamento legata alla parcellizzazione territoriale haincoraggiato numerose iniziative volte all’accorpamento dei comuni. Le fusioni sono di norma su

2 Vari tentativi sono stati fatti di individuare la dimensione ottimale dei comuni, senza approdare a risultati condivisi siapure tenendo conto delle diverse funzioni e delle particolarità istituzionali. La recente riforma territoriale danese haindividuato in 20.000 abitanti la dimensione ottimale, ma più per ragioni legate alla qualità dei servizi e di democrazia chedi efficienza. Per una breve rassegna degli studi su questo argomento cfr. OCSE (2006).

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base volontaria (Paesi Bassi, Regno Unito) oppure incoraggiate finanziariamente (Estonia). Altrevolte si inseriscono nel quadro di una riforma più generale (Danimarca, Lettonia).

In Danimarca, la riforma del 2007 ha portato a ridurre a circa un terzo il numero dei comunidagli iniziali 270. In Lettonia, un processo graduale di fusioni avviato nel 1998 prevede unariduzione ancora più drastica, entro la fine del 2009, a poco più di un quarto dei 524 comuniiniziali. In Finlandia, una legge del 2007 incoraggia le fusioni richiedendo una dimensioneminima per la fornitura di determinati servizi pubblici locali nel campo della sanità, dei servizisociali e dell’istruzione. Per arrivare a questa soglia sono incentivate le fusioni tramite un fondodedicato oppure l’associazione in raggruppamenti intercomunali. Stessa tendenza per il RegnoUnito dove sia l’Irlanda del Nord che l’Inghilterra hanno introdotto misure rispettivamente perridurre il numero dei distretti e per accorpare i consigli di contea e i distretti.

Alcuni paesi fanno tuttavia eccezione. La Slovenia, forse a causa di un sistema difinanziamento premiante per i comuni più piccoli, ha visto aumentare il loro numero di circa unterzo. In Lituania, è invece il governo a giudicare troppo dispersiva la media di circa 60.000abitanti e a voler recuperare il rapporto tra eletti ed elettori locali portando a 80-90 il numero deicomuni dagli attuali 60.

In altri paesi invece la tendenza è ad incentivare la cooperazione tra comuni limitrofi. È ilcaso dell’Austria e della Polonia con l’istituzione delle aree metropolitane responsabili dellapianificazione strategica, dello sviluppo territoriale, dei trasporti e della protezione dell’ambiente.La Francia vanta in questo senso una lunga tradizione di intercommunalitè: quasi ognuno degli

oltre 36.000 comuni fa parte di un raggruppamento a fiscalità propria3 e la tendenza èattualmente, come in Belgio, a razionalizzarne l’attività (DEXIA, 2008).

7.2.1.2 La regionalizzazione

Mentre dal basso si assiste ad un accorpamento delle unità, dall’alto si ha un maggiorericorso alla regionalizzazione o meglio ad un suo rafforzamento. Le competenze attribuite alleregioni (nei paesi dove queste già esistevano) sono cresciute in numero e importanza nel corsodegli ultimi venti anni e parimenti sono aumentate la loro autonomia e le risorse finanziarie. È il

caso di Germania4, Francia, Spagna5 e Italia. Altri paesi invece hanno rivisto il ruolo o creato exnovo delle regioni: Regno Unito (1998), Polonia (1999), Repubblica Ceca (2000), Repubblica

3 Le prime iniziative di agglomerazione risalgono alla fine del XIX° secolo con la legge istitutrice dei “syndicats decommunes” (22 marzo 1890). Nel 1992 (legge 92-125 del 6 febbraio) e nel 1999 (legge 99-586 del 12 luglio) l’attualeconfigurazione della intercomunalità è stata definita distinguendo 3 tipi di raggruppamenti a fiscalità propria concompetenze specifiche: communauté de communes, communauté d’agglomération (con almeno 50.000 abitanti) ecommunauté urbaine (con almeno 500.000 abitanti). 4 In Germania, la riforma del luglio 2006 ha rinforzato le competenze dei Länder per quanto riguarda in particolarel’istruzione, la ricerca, la politica abitativa e l’organizzazione giudiziaria.

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Slovacca (2002) e Danimarca (2007). La Svezia6 si appresta a farlo ed un analogo esperimentoè in corso in Finlandia per la regione di Kainuu.

Altre riforme sono in discussione: in Lituania, i distretti saranno sostituiti da un numeroinferiore di regioni e godranno di maggiori competenze. In Ungheria, Romania e Lettonia sidiscute la creazione di regioni che ricalcherebbero quelle di sviluppo istituite per la gestione deifondi strutturali e di coesione dell’Unione Europea oppure forme permanenti per fusione dei livelliinferiori.

Alcuni paesi sono tuttavia in controtendenza. La Slovenia ha visto la bocciaturaparlamentare della proposta di riforma in tal senso a seguito del mancato conseguimento delquorum nel referendum consultivo in materia. Il progetto non è tuttavia stato ancora cancellatodal dibattito politico. Analogamente in Portogallo, il progetto di creazione di otto regioni è stato

bocciato dal referendum. Il dibattito prosegue invece in Grecia7, ormai dal 2003, Ungheria e

Romania8 (DEXIA, 2008). Diversi paesi hanno conferito maggiori poteri sia in ambito fiscale sia in termini di

competenze assegnate ad alcuni territori. In altri casi si tratta semplicemente di accordi

particolari che legano una parte del territorio allo stato centrale9. Di norma queste differenze sigiustificano con alcune peculiarità delle aree interessate e la finalità è la stabilità politica.Tuttavia, non si tratta solo, o sempre, delle aree a maggiore sviluppo economico, anzi spessoanche gli stati più piccoli, magari in cui si concentrano alcune minoranze, godono di uno status

privilegiato a livello politico10. Se l’effetto deterrente sulla secessione sia poi raggiunto non èfacile da stabilire (Bird, 1999). Quelli del Belgio e della Spagna sono esempi forse riusciti di

holding together federations11, ma dato il continuo divenire delle federazioni non è detto chequesta sia la configurazione finale. Del resto, gli esempi nell’Unione europea, sono molti (cfr.Tab. 1). La presenza di queste asimmetrie costituisce un elemento di tensione sull’equità delsistema, come si evidenzierà in seguito.

5 Dal 2006, 5 nuove comunidades hanno adottato un nuovo statuto che attiva maggiori competenze in materia fiscale,amministrativa e di gestione delle infrastrutture. Per approfondimenti sul sistema federale spagnolo cfr. Lopez-Laborda,Martìnez-Vàzquez e Monasterio (2007).6 Secondo un rapporto del governo svedese del maggio 2008, la riforma dovrebbe essere attuata entro il 2015 edovrebbe estendere a tutto il territorio l’esperimento delle regioni Västra Götaland e Skane, create per fusione dellecontee esistenti. La prima è un’area di circa 24.000 metri quadrati di cui Göteborg è la città principale. Essa è suddivisain 49 comuni in cui vivono 1,5 milioni di persone (pari al 17% della popolazione svedese). La seconda, Skåne, copre il13% della popolazione e comprende 33 comuni. Il consiglio regionale è responsabile principalmente per la sanità (90%del bilancio regionale) e per sviluppo industriale, infrastrutture, cultura, turismo e materie ambientali.7 In Grecia oltre alla creazione delle regioni è in discussione anche una riduzione del numero dei comuni dagli attuali1.034 a 400-500, con norme speciali per le metropoli di Atene e Tessalonica che potranno creare delle sottoentità.8 Anche in Romania, è allo studio la fusione degli enti di secondo livello per formare regioni più grandi (DEXIA, 2007).

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Tab.1 CONFIGURAZIONE AMMINISTRATIVA TERRITORIALE ED ENTRATE PER LIVELLO DI GOVERNONELLA UE27

Fonte: DEXIA (2008), dati non consolidati, anno 2005. Il totale delle entrate non comprende l'indebitamento.AT: Austria; BE: Belgio; BG: Bulgaria; CZ: Repubblica Ceca; CY: Cipro; DK: Danimarca; DE: Repubblica federale di Germania; EE: Esto-nia; EL: Grecia; ES: Spagna; FI: Finlandia; FR: Francia.

CZ: nei trasferimenti dei comuni sono compresi quelli dalle regioni.CY: comuni e comunità rurali comprendono anche quelli nei territori occupati.DK: a partire dal 2007 le contee sono abolite e sostituite da 5 regioni, tra cui la la "regione capitale” che comprende anche Copenhagen.

Dette regioni sono prive di potere impositivo e finanziate quindi tramite trasferimenti statali e municipali. La riforma ha inoltre ridotto ilnumero dei Comuni a 98.

DE: Amburgo, Berlino e Brema sono città-Stato.ES: le due regioni foral (Navarra e Paesi baschi) amministrano direttamente le principali imposte e versano annualmente allo stato cent-

rale una compensazione per i servizi ricevuti. Esse non partecipano, quindi, al sistema perequativo. Le città di Ceuta e Melilla, inAfrica, godono dello speciale status di città autonome.

FI: l'isola di Åland ha uno statuto speciale.FR: I territori d'oltremare (TOM) e le regioni e dipartimenti d'oltre mare (DOM-ROM) hanno uno statuto particolare.

Livelli di governo

ENTRATE FISCALI TRASFERIMENTI ALTRE ENTRATE

Imposteproprie

Imposte condivise Generali Vincolati Altri

Gestione finanziaria ed immobiliare

Tasse e tariffe

AT 9 Stati (compresa Vienna) 38,0 39,8 22,36,1 93,9 1,0 87,6 11,4 3,7

2.357 Comuni (compresa Vienna) 52,0 16,0 32,036,5 63,5

BE 3+3 Regioni e comunità 90,0 6,0 4,018,0 72,0 100,0 - -

10 Province 50,0 40,0 10,0100,0 - 26,8 73,2

589 Comuni 46,0 44,0 10,0100 - 48,8 51,2 55,0 45,0

BG 264 Comuni 40,0 34,0 26,023,9 76,1 13,3 86,7 32,3 52,2

CZ 13 Regioni (compresa Praga) 35,0 62,0 2,80,7 99,3 10,0 90,0

6.248 Comuni (compresa Praga) 56,0 28,0 16,0CY 33 Comuni 56,0 43,0

491 Comunità rurali 42,0 58,017,0 83 20,0 80,0

DK 13 Contee 57,4 12,6 30,095,6 4,4 90,2 9,8 0,3 87,2

271 Comuni 49,9 27,4 22,791,9 8,1 61,0 39,0 8,1 74,7

DE 16 Stati 69,7 21,2 9,115,9 84,1 - - - 13,9 25,2

323 Distretti 0,1 77,4 22,5100,0 0,0 45,7 10,4 55,9

12196+116 Comuni+kreisfreie städte 44,4 31,9 23,761,0 39,0 47,9 17,5 43,3

EE 227 Comuni 48,6 34,4 17,08,8 84,1 78,8 21,1 28,3 71,7

EL TOTALE 32,1 62,6 5,350 Dipartimenti/prefetture 5,9 0,2

914+120 Municipi e comunità 58,0 0,1

ES 17 Regioni 52,1 45,2 2,734,7 65,3 47,5 52,5 7,8 60,7

50 Province 66,8 27,8 5,395,3 4,7 70,0 30,0 16,6 61,7

8.111 Comuni 33,1 36,2 30,694,9 5,1 45,6 54,4 0,8 61,6

FI 416 Comuni 47,3 27,2 25,591,7 8,3 2,0 89,0 9,0

FR 26 Regioni 38,1 55,9 6,090,4 9,6 85,4 14,6

100 Dipartimenti 63,2 28,2 8,681,6 18,4 83,6 16,3

36.683 Comuni 52,0 31,5 16,5100,0 70,5 29,5

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segue Tab.1 CONFIGURAZIONE AMMINISTRATIVA TERRITORIALE ED ENTRATE PER LIVELLO DI GOVERNONELLA UE27

Fonte: DEXIA (2008), dati non consolidati, anno 2005. Il totale delle entrate non comprende l'indebitamento.HU: Ungheria; IE: Irlanda; IT: Italia; LV: Lettonia; LT: Lituania; LU: Lussemburgo; MT: Malta; NL: Paesi Bassi; PL: Polonia; PT: Portogallo;RO: Romania; SI: Slovenia; SK: Repubblica Slovacca; SE: Svezia; UK: Regno Unito.

HU: Budapest gode di uno status speciale.IE: Dublino è sia regione sia contea.IT: 5 regioni hanno uno statuto speciale.LV: le sette Città repubblicane, riconosciute tali dal Parlamento se hanno almeno 50.000 abitanti e un elevato livello infrastrutturale, sono

sia comuni che distretti.PL: Varsavia è sia comune sia contea.PT: le isole Azorre e Madeira godono dello status di regioni autonome.RO: Bucarest è sia Comune sia contea.SE: Vastra Gotaland e Skane dal 1999 hanno, in via sperimentale, lo statuto di regioni, con maggiori responsabilità amministrative.

Livelli di governo

ENTRATE FISCALI TRASFERIMENTI ALTRE ENTRATE

imposteproprie

Imposte condivise Generali Vincolati Altri

gestione finanziaria ed immobiliare

Tasse e tariffe

HU 19 Contee 20,1 19,4 60,5Budapest 10,1 10,0 1,2 98,8

IE 8 Autorità regionali 9,0 64,8 26,229+5 County/city council 26,2

80 Town authorities 100,0 56,7 43,3IT 20 Regioni 44,8 53,1 2,1

77,2 22,8 79,7 20,3103 Province 40,0 49,7 10,3

91,2 9,4 65,7 34,38.101 Comuni 44,3 33,7 22,0

76,6 23,4 35,1 64,9LV 26 Distretti

527 Comuni 46,6 40,3 13,1100,0 0,07 82,2 17,8 9,0 2,8

LT 10 Contee60 Comuni 34,9 55,0 10,1

14,0 86,2 2,2 69,2 28,6 16,0LU 3 Distrettii 33,8 44,3 21,9

100,0 70,7 29,3116 Comuni 32,4 32,4 35,2

43,8 56,2 62 13,0 12,4 87,6MT 68 Comuni 0,0 79,9 20,1

0,0 0,0 93,8 6,3NL 12 Province 23,5 55,9 20,6

100 39,4 60,6443 Comuni 16,7 56,1 27,2

100 47,7 52,3PL 16 Regioni 55,7 35,1 9,2

0,0 100,0 54,5 45,6 9,9 -314 Contee 13,8 70,8 15,4

0,0 100,0 68,7 31,3 9,9 -2.478 Comuni 40,1 43,6 16,3

48,5 51,5 68,2 31,8 30,3 15,6PT 308 Comuni 28,6 39,9 31,5

86,8 13,2 75,8 24,2RO 42 Contee 87,7 6,2 6,1

3.173 Autorità locali (rurali+urbane)

14,1 85,9

SI 210 Comuni 57,9 20,6 21,530,1 69,9 33,9 2,6

SK 8 Regioni 47,7 41,0 11,375,9 24,1 100,0 23,6 40,3

2.891 Comuni 42,7 32,1 25,272,8 27,2 95,1 4,9 18,8 17,0

SE 20 Contee 69,7 24 6,3100 0,0

290 Comuni 68,5 21,6 9,9100,0 0,0

UK Inghilterra 28,5 48,2 23,354,2 45,8

Scozia 19,1 46,9 34,047,5 52,4

Galles 22,8 60,3 16,960,1 39,9

Irlanda del Nord 66,5 9,5 24,0

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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7.2.1.3 Il livello intermedio

A fronte del maggior peso delle regioni e dei comuni si assiste ad un quasi generalizzatoridimensionamento del ruolo del livello intermedio ove presente. L’istituzione di tale livello ègeneralmente legata a ragioni storiche che rendono il legame con la popolazione localeparticolarmente sentito. In alcuni paesi il livello di contea, provincia, distretto o dipartimento chesia, è ormai ridotto ad un ruolo puramente amministrativo e se ne discute la soppressione

(Francia12, Polonia). La configurazione territoriale ed amministrativa evidentemente non rispecchia il livello di

effettiva autonomia degli enti territoriali che può essere molto variabile, sia con riferimento alruolo istituzionale (alcuni paesi, come l’Italia, riconoscono pari dignità costituzionale a tutti i livellidi governo) sia alle competenze attribuite. L’autonomia di governo segue una gradazione daldecentramento alla devoluzione e per quanto riguarda l’autonomia fiscale si hanno anche

vistose differenze che verranno analizzate nei paragrafi successivi.

7.3 LE MODALITÀ DI FINANZIAMENTO DEGLI ENTI TERRITORIALI - CENNI ALLA CASISTICA DELLA LETTERATURA

In linea teorica, il percorso di decentralizzazione delle funzioni pubbliche prevede primal’assegnazione delle funzioni di spesa e, in seconda battuta, la determinazione delle risorsenecessarie a finanziarle (“finance follows the function”, Bahl (1999)). Si deve quindi deciderecome distribuire il potere impositivo e definire le modalità di ricorso all’indebitamento degli entiterritoriali. Infine, è necessario rispondere ad eventuali deficit residui nel bilancio locale

9 Tra questi ricordiamo: le unioni, caratterizzate dal fatto che le unità che le costituiscono mantengono la loro integritàall’interno degli organi di governo comuni e non tramite una struttura duale (es. Nuova Zelanda e Libano); le unionicostituzionalmente decentrate, che sono formalmente stati unitari in quanto l’autorità massima risiede nel governocentrale, anche se la costituzione garantisce limitati poteri alle unità subnazionali (Italia prima della modifica, Giappone,Paesi Bassi, Regno Unito…); le federacies, accordi politici in cui uno stato più grande si rapporta ad altri più piccoli, conmolta autonomia e un ruolo molto limitato nel governo del più grande, e possono essere annullati solo di comune accordo(Danimarca-Isole Faroer, Madeira-Portogallo, USA-Porto Rico…); Le Associazioni di stati che possono essere dissolteunilateralmente seguendo una procedura concordata (Francia-Principato di Monaco; Italia-San Marino…); Icondominiums, unità politiche che funzionano secondo il governo congiunto di stati esterni e in cui gli abitantimantengono tuttavia autonomia di governo (Andorra, governata da Francia e Spagna tra il 1278 e il 1993) (Cfr. Watts,1999). In effetti, anche le federazioni “storiche” hanno da sempre previsto una certa asimmetria: il distretto di Columbianegli USA, i Northern Territories in Australia, etc…10 Questo “eccesso di rappresentanza” viene misurato dal rapporto tra seggi assegnati sul totale rispetto alla percentualedella popolazione (cd. “malapportionement”). Il problema e' ovviamente assente nei Paesi con un unico distrettoelettorale (Paesi Bassi). Samuels e Snyder (2001) calcolano un indice di malapportionment trovando un valore elevatoad esempio per Svizzera e Germania. Ciò significa che le unità più piccole sono sovrarappresentate in manieraconsistente. Ne deriva che esse hanno un notevole potere nell'evitare modifiche nello status quo qualora le ritenganolesive dei propri interessi. Ciò nella pratica rende difficoltoso che la Germania decentralizzi funzioni e che la Svizzerapossa invece centralizzarle.

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Le modalità di finanziamento degli Enti pubblici territoriali nell'Unione Europea

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(disequilibrio verticale) ed eventualmente porre (parziale) rimedio agli squilibri territoriali(disequilibrio orizzontale). Si deve cioè dettagliare il sistema dei trasferimenti, inclusi quelliperequativi. Tutti i problemi legati alla finanza locale si sostanziano in queste cinque questioni.

Con riferimento all’autonomia degli enti periferici dal lato delle entrate, come primaconsiderazione, sembrerebbe che per valutarla si debba guardare al peso delle entrate proprie.Tuttavia, la questione non è così semplice. Infatti, non è sempre agevole - nel groviglio dellerelazioni fiscali intergovernative - individuare il discrimine tra i tipi di risorse coinvolti: imposteproprie, condivise e trasferimenti (inclusi quelli perequativi).

Oltre agli aspetti concernenti la reale autonomia fiscale degli enti, si verificano, di fatto,differenti criteri di contabilizzazione, che coinvolgono anche delicati aspetti politici. Imputare unaposta a trasferimenti o a entrate proprie degli enti territoriali, anche se magari esse sonovincolate ad un utilizzo specifico e dunque concettualmente equivalenti, significa definire inqualche modo il livello di dipendenza di tali enti dal governo centrale. A seconda che si vogliasottolineare la scarsa autonomia, ed è prevedibilmente questo l’interesse degli enti locali piùprosperi, o nascondere la “eccessiva dipendenza”, ed è il caso degli enti locali più poveri,converrà contabilizzare gli importi sotto l’una o l’altra voce. Ciò rileva in particolare nelladistinzione tra imposte condivise e trasferimenti quando le prime sono vincolate o i secondi sonocostituiti da percentuali fisse di determinate imposte o assegnati con riferimento al luogo diraccolta o di origine dei tributi o assegnati in base alle caratteristiche della popolazione.

A tal proposito, il Consiglio d’Europa (2006) ha suggerito alcune definizioni che dovrebberomigliorare la comparabilità dei dati. In una Raccomandazione del 2006 viene indicato che perrisorse proprie si devono intendere quelle di cui l’ente locale può influenzare il livello; trasferitesono invece le risorse decise da enti diversi. I sussidi sono definiti come trasferimenti nonproporzionali. Infine, le imposte condivise sono distinte in imposte addizionali, cioè imposte di cuigli enti possono variare l’aliquota (ma non la base imponibile), e trasferimenti finanziari su cui ilgoverno centrale definisce base e aliquota; se non sono in diretta relazione con gli ammontariraccolti localmente sono anche considerati sussidi.

Tornando al problema dell’identificazione del grado di autonomia fiscale degli enti locali, edata la definizione di imposta locale come quell’imposta fissata, accertata, riscossa e incameratadall’ente locale, si constata come queste ipotesi siano difficilmente realizzabilicontemporaneamente nella pratica. Numerose sono le sovrapposizioni tra questi aspetti: lo Stato

11 Stepan (1999) individua tre tipi di percorso federalista: nel primo, Stati indipendenti si uniscono tramite la cessione ounione dei poteri sovrani su determinate materie per il bene comune (coming together federations). In questo caso, ilpotere del centro e la possibilità che la maggioranza prevalga sul singolo Stato sono ridotti per legge (USA, Svizzera eAustralia). Nel percorso inverso troviamo le holding together federations che nascono, proprio come suggerisce il nome,per evitare che la spinta secessionista di qualche gruppo porti alla dissoluzione dello Stato. Infine, nelle “put togetherfederations” il sistema federale viene imposto, come nel caso dell'ex Unione sovietica.12 Nonostante ciò di recente la Francia ha riconosciuto il 101nesimo dipartimento: si tratta dell’isola di Mayotte,nell’arcipelago delle Comore che aveva finora uno status particolare con deroghe alla legge francese.

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centrale può gestire la raccolta fiscale anche per gli enti territoriali a cui restituisce il gettito localeraccolto, come avviene ad esempio in Francia; oppure le imposte sono decise e raccolte a livellolocale, ma entro limiti fissati dal governo centrale; possono esservi imposte addizionali raccoltedal governo centrale poi ridistribuite ai governi locali o infine più semplicemente impostecondivise. In questi casi può essere difficile stabilire quale forma consenta la maggioreautonomia all’ente locale. Sembra comunque (Bird, 2008) che essa coincida con la possibilità difissare liberamente l’aliquota da parte degli enti locali. In effetti esisterebbe una gradazione (Ebele Taliercio, 2005) che va dal controllo completo del governo centrale su aliquote e imponibile,alla condivisione decisa unilateralmente dal governo centrale, a forme di condivisione cherichiedono il consenso degli enti subnazionali per essere adottate, alla possibilità per gli entilocali di fissare l’aliquota all’interno di una forchetta decisa dal governo centrale, alla fissazionelibera dell’aliquota per culminare nella fissazione di aliquota e base imponibile da parte delgoverno locale.

Ad ogni modo, i criteri prima richiamati per definire l’imposta locale ideale, per quantoragionevoli non sono applicati in nessuno Stato, federale o unitario che sia. Nella pratica, solol’imposta sulla proprietà viene di solito segnalata come “ottimale” seguita forse dalle imposte suiveicoli e tasse e tariffe locali (Bird, 2008).

Le impostazioni circa le fonti di finanziamento seguite dai vari paesi sembrano poggiare sualtre logiche. In alcuni paesi, e segnatamente quelli anglosassoni e in Francia, è prevalsotradizionalmente un modello centralista, che privilegia le imposte locali sulla proprietà (in UK eIrlanda le sole esistenti) e i trasferimenti verticali. Altrove (Svizzera, Belgio e i Paesi scandinavi)ha avuto maggiore sviluppo l’autonomia fiscale locale ed è stata privilegiata, oltre alle impostasulla proprietà, l’addizionale locale sul reddito. Altri ancora (ad esempio Austria, Germania ePolonia) hanno sviluppato un sistema specifico che poggia su imposte condivise e imposteproprie o si basano di più sui trasferimenti (Hoorens e Chatrie, 2006).

La teoria sull’assegnazione ottimale dei vari tipi d’imposta ai diversi livelli di governo ècontroversa (Musgrave, 1983; Oates, 1993; McLure, 1994; Bird, 2008). Alcune linee guida sonocomunque state proposte: ai governi locali andrebbero assegnate quelle imposte che incidono

(solo) sul territorio locale, cioè le imposte corrisposte dai beneficiari dei servizi locali13

(sussidiarietà, responsabilità, corrispondenza); le imposte locali non dovrebbero causaredistorsioni di mercato ad esempio influenzando le scelte di localizzazione delle imprese(neutralità); le imposte locali dovrebbero comportare scarsi oneri amministrativi e costi di

adempimento (semplicità) ed infine essere adeguate14 e non (troppo) sensibili al ciclo economico(stabilità).

13 Il primo punto si richiama al principio di corrispondenza: tra entrate e spese, tra costi e benefici (ciò che è l’essenza delbenefit model of local finance) e soprattutto tra imposte e responsabilità politica (trasparenza).

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Nelle esperienze dei vari paesi, il finanziamento degli enti locali è affidato sostanzialmentea quattro tipologie di entrate. Le entrate proprie, e cioè quelle manovrabili dall’ente, le entratecondivise e i trasferimenti (inclusi i trasferimenti perequativi), l’indebitamento e, infine, le altreentrate derivanti dalla gestione patrimoniale e finanziaria.

7.3.1 I dati disponibili

Un riferimento quantitativo per l’analisi del finanziamento degli enti territoriali, praticamentel’unico fino al 1999, è costituito dai dati raccolti dal Fondo monetario internazionale (FMI) nel

Governement Financial Statistics (GFS)15. Tali informazioni, tuttavia, non sono particolarmente

esaustive16. In primo luogo, perché raggruppano i livelli di governo successivi al secondo. Insecondo luogo, perché, calcolando il livello di decentramento con riferimento alla quantità dispesa o di entrate decentrate rispetto al PIL o al totale, non si hanno indicazioni sul sottostantelivello di autonomia degli enti locali. Ci si trova infatti con lo stesso livello di informazione fornitodal conoscere la distribuzione per divisioni delle spese di una grande impresa: non si è in gradodi capire quale sia il loro livello di autonomia se non si conosce l’organizzazione aziendale.

È importante inoltre considerare la composizione delle entrate degli enti locali: di normatanto più elevati sono i trasferimenti (e il loro essere condizionati o incondizionati che è parte deldiscrimine tra delegazione e devolution) e le imposte condivise, tanto minore è l’autonomiafiscale del livello locale. Il contrario vale per l’entità delle risorse proprie e dell’accessodiscrezionale all’indebitamento.

Informazioni utili in quest'ottica vengono da una pubblicazione dell’OCSE (1999, con

aggiornamento dei dati nel 2002) in cui si prospetta una quantificazione17 che tiene conto anchedella autonomia locale nel determinare aliquote e imponibile di riferimento per le imposte proprie.

Il Network di studio sulle relazioni intergovernative18 dell’OCSE - oltre a fornire analisi esostegno statistico sulle relazioni tra governo centrale e subnazionale e sul loro impatto suefficienza, equità e stabilità macroeconomica - si è dedicato anche all’esame del potereimpositivo locale e regionale, alla definizione di trasferimenti intergovernativi, perequazione,

14 È stato suggerito (Bird, 2000) che le imposte proprie (quelle cioè su cui è evidente la discrezionalità dell’ente locale edunque la sua responsabilità politica nella gestione dell’imposta), dovrebbero essere idealmente sufficienti a permetterealmeno al più ricco degli enti locali di finanziare i servizi locali di cui beneficiano i propri cittadini. L’imposta dovrebbe poiincidere sui soli contribuenti locali in omaggio sempre al principio di corrispondenza.15 Sulle difficoltà di definizione e misurazione del grado di decentralizzazione delle funzioni pubbliche cfr. Rodden (2004)e Ebel e Yilmaz (2002).16 Ebel e Yilmaz (2002), in particolare, notano che le informazioni del FMI sovrastimano il livello di centralizzazione. Inparticolare, i dati GFS non distinguono le entrate dei livelli sub-centrali in condivise, sovrimposte o decise interamente(base e aliquota) a livello locale.17 Il database al momento copre purtroppo solo un limitato numero di paesi membri.18 A tale gruppo di lavoro partecipano oltre a 25 paesi OCSE anche Banca mondiale, Fondo Monetario Internazionale,Commissione Europea e Consiglio di Europa, il che lo rende un luogo di discussione privilegiato.

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autonomia di bilancio locali, nonché all’indagine sulle istituzioni per assicurare la disciplinafiscale. L’OCSE classifica le imposte in quattro categorie a seconda che l’ente locale abbia ilpotere di fissare: 1. base imponibile e aliquota, 2. solo la base imponibile, 3. solo l’aliquota, 4.nessuna delle due.

Infine, la Commissione Europea ha recentemente reso disponibile online una banca daticontenente le informazioni relative alle imposte locali degli Stati Membri. Questo database

(“Taxes in Europe”19) fornisce le voci di dettaglio delle maggiori imposte nazionali e locali epermette di confrontarle da un punto di vista normativo (basi imponibili, aliquote, esenzioni, etc.)ed economico (serie storica del gettito).

Per quel che riguarda la capacità di indebitamento, che rileva prevalentemente per lacapacità di finanziamento non corrente, le prime valutazioni comparative vengono da un indicecreato dalla Inter-American Development Bank (1997). Esso è definito dalla somma di due

componenti. La prima20 assegna un punteggio al grado di restrizioni esplicite all’indebitamento:necessità di autorizzazione; vincoli all’ammontare di debito aggiuntivo; vincoli all’ammontare didebito complessivo; vincoli sulle finalità per le quali si può richiedere nuovo debito. La secondaparte dell’indice è costruita in modo da valutare l’effetto della proprietà di imprese pubbliche (obanche) sulla capacità di indebitamento.

È comunque molto difficile determinare quanta parte dell'autonomia concessa vengaeffettivamente utilizzata dagli enti: a volte, per evitare una pressione fiscale considerataeccessiva sul contribuente, il governo centrale limita i trasferimenti verso gli enti territoriali, chefanno forte ricorso alla leva fiscale inibendo in pratica il ricorso a queste forme di finanziamento;in altri casi, l'autonomia fiscale non viene utilizzata, ad esempio per consolidata prassi

istituzionale.Nel 2007, la porzione di spesa pubblica sostenuta dagli enti subnazionali nella UE27

rappresentava il 15,5% del PIL e il 33,9% delle spese pubbliche totali. In particolare, le spese perinvestimenti, con 209 Miliardi di euro, hanno costituito i due terzi degli investimenti pubblici(DEXIA, 2008). Nello stesso anno le entrate sono cresciute in misura maggiore rispetto alleuscite, anche in conseguenza dei fondi europei soprattutto nei nuovi paesi membri. Nell’anno2007 quindi si è manifestato un leggero surplus degli enti subnazionali che ha permesso unalieve riduzione del debito locale, che ha rappresentato comunque il 16,6% del debito pubblicocomplessivo.

Nel 2007, le entrate territoriali provenienti a vario titolo da imposte sono state pari a 826

miliardi di euro21, cioè al 6,7% del PIL (il 4,8% per i soli comuni) (DEXIA, 2008). La stragrandemaggioranza di questi introiti (95%) riguarda i paesi UE15 e soprattutto la Germania (36%), la

19 Disponibile su: http://ec.europa.eu/taxation_customs/taxation/gen_info/info_docs/tax_inventory/index_en.htm.20 L’OCSE (2006) ha rivisto questo indice assegnando un punteggio a seconda della presenza o non dei vincoli evitandocosì di inserire elementi soggettivi nella valutazione.

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Spagna (14%) e l’Italia (12%). Tuttavia questi paesi, forse proprio per aver avviato prima deipartner dell’EU12 il processo di decentralizzazione fiscale, stanno ora sperimentando unosviluppo meno sostenuto delle proprie entrate fiscali. Nello stesso tempo, nei “nuovi stati

membri” si è avuto un aumento22 (+12,5%) di queste ultime leggermente superiore alla media2002-2007 (+11,7%), tanto che la fiscalità è passata dal 34% del totale delle entrate nel 2002 al

43% del 200723. L’unica eccezione in questo panorama è costituita dall’Ungheria che registrauna arretramento (-3,2%) dopo la crescita del periodo 2002-2007 (+3,1% medio per anno),dovuta soprattuto ad una diminuzione dei fondi di funzionamento e di’investimento resasinecessaria per sanare la finanza pubblica a livello centrale.

Oltre la metà delle entrate territoriali proviene comunque da trasferimenti statali di vario tipo(fondi, sovvenzioni, finanziamento europeo), da redditi da gestione del patrimonio e da tariffe etasse.

7.3.2 Una analisi più dettagliata dei dati disponibili

Le entrate fiscali proprie degli enti territoriali presentano una elevata variabilità all’internodell’Unione (cfr. Tab. 1): si va dallo 0% di Lettonia e Malta (quest’ultima non ha neanche impostecondivise) al 100% dei sei paesi in cui la condivisone delle imposte non esiste (Svezia, PaesiBassi, Lussemburgo, Irlanda, Grecia e Cipro). Evidentemente l’indicazione del solo ammontaredi entrate proprie non qualifica una maggiore autonomia in quanto essa è dettata sia dal peso diqueste entrate sul totale sia dalla discrezionalità degli enti locali nel definire l’aliquota edeventualmente la base imponibile e le esenzioni. Inoltre è necessario leggere questo datorispetto ai diversi livelli di governo. Ampia autonomia su una base limitata implica de facto unoscarso margine di manovra per gli enti decentrati che vanno ad insistere su contribuenti già incisidalla tassazione nazionale. Ciò potrebbe renderli quindi dipendenti dai trasferimenti del governocentrale nonostante una teorica autonomia impositiva.

21 Si registra una leggera flessione rispetto all’anno precedente, influenzata dal forte calo rilevato in Danimarca (-27,5%)in conseguenza della riforma attuata (cfr. oltre) e della modifica dell’imposta sulle società, che, in quanto condivisa, siriflette sugli enti locali. Un rallentamento consistente, anche se di proporzioni inferiori, si è avuto anche in Spagna dovedopo anni di crescita relativamente elevata (+7,5% in media annua tra il 2002 e il 2007) si è registrato un aumento parisolo all’1,7%. Una riduzione è avvenuta anche in Irlanda (-1,1% a fronte di un +9,5% nell’anno precedente) a seguitodella riforma dei commercial rates. Tuttavia in quasi tutti gli altri paesi si è registrata una crescita anche relativamenteelevata, come in Grecia (+10,0 %), Lussemburgo (+9,0 %), Germania (+6,2 %). 22 In particolare, la crescita più forte si è registrata per il 2007 in Bulgaria (+29,8%), Slovenia (+25,0%), Polonia (+17,4%)e in Romania (+9,3%).23 Anche se nelle repubbliche baltiche e in Slovenia a ciò è corrisposta una diminuzione dei trasferimenti.

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7.3.2.1 Imposta sulla proprietà

Di difficile eludibilità da parte del contribuenti sono le imposte con imponibile “immobile”,come l’imposta fondiaria e in generale quelle sulla proprietà immobiliare. Per tali ragioni sono

quindi solitamente riservate ai comuni24, che ne controllano meglio l’accertamento. Tuttavia, ladisponibilità di dati catastali aggiornati o di affidabili valutazioni sul valore di mercato del benepuò influenzare il gettito in modo significativo. Il problema riguarda soprattutto i nuovi paesimembri, ma anche paesi con sistemi fiscali molto avanzati non ne sono immuni. Ad esempio, inFrancia, la base imponibile delle tre imposte locali sulla proprietà (taxe d´habitation, taxe sur lefoncier bâti e taxe sur le foncier non bâti) si basa su valutazioni degli anni ’70. Inoltre, ciascunaimposta vincola le altre nella fissazione delle aliquote.

Riguardo all’imposta esistono anche problemi di classificazione legati al fatto che in taluni

paesi25 l’aliquota viene stabilità dal governo centrale (Repubblica Ceca, Cipro, Bulgaria,Lituania), di fatto eliminando l’autonomia degli enti locali. In Lettonia, l’imposta è raccolta dalloStato, o meglio è un’imposta statale, che viene poi interamente retrocessa ai comuni. Tuttavia, in

genere, le autorità locali hanno (una certa) discrezionalità sull’aliquota da applicare26. Nel Regno

unito e in Irlanda anzi questa imposta è l’unica a disposizione degli enti locali27, che ne possonofissare liberamente l’aliquota (anche se il governo centrale potrebbe intervenire su quelle ritenute

“eccessive”28) (cfr. Tab. 2).Nell’ambito degli “OCSE Economic Surveys”, l’OCSE ha raccomandato a diversi paesi

dell’Unione (Repubblica Ceca, Finlandia, Grecia, Polonia e Portogallo) di favorire l’affidamentoagli enti locali sull’imposta di proprietà e ha segnalato le difficoltà di stima delle proprietàimmobiliari legate alla mancanza (Grecia e Polonia) o all’insufficiente aggiornamento dei daticatastali (Austria, Francia, Portogallo e Spagna) (Joumard e Kongsrud, 2003).

24 Eccezioni sono Francia e Belgio, al momento gli unici paesi dell’Unione in cui questo tipo di imposta è riservato a livellidi governo diversi dai comuni, rispettivamente le comunità e le regioni in Belgio, i dipartimenti e le regioni in Francia.25 Fino alla recente riforma che le ha abolite, anche le contee danesi ricevevano l’imposta con l’ulteriore peculiarità di“subire” le aliquote imposte dal governo centrale.26 In Germania e Belgio esiste la libertà per l’aliquota ma le regioni belghe possono imporre limitazioni temporanee. InSpagna e Finlandia esiste una forchetta.27 Sebbene tradizionalmente tariffe e tasse non siano state una delle fonti principali di introito degli enti locali nel RegnoUnito, tuttavia esse hanno cominciato ad aumentare a partire dagli anni ’80 fino ad essere ormai sostanzialmente in lineacon gli altri paesi dell’Unione. 28 Con il Local Government Act 1999 i meccanismi di designation e nomination hanno sostituito il capping universale. Inbase a tali procedure il governo può ridurre la Council tax delle autorità locali il cui bilancio ritiene eccessivo oppurefissare un bilancio nozionale che fungerà da termine di paragone per il bilancio dell’ente nell’anno successivo. Laprocedura è stata utilizzata una sola volta nell’esercizio 2005-2006.

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Le modalità di finanziamento degli Enti pubblici territoriali nell'Unione Europea

- 235 -

7.3.2.2 Imposta locale sul reddito delle persone fisiche

I vantaggi dell’imposta locale sul reddito delle persone fisiche sono evidenti. Si tratta diun’imposta che garantisce un reddito ragionevolmente stabile, a volte progressiva, di facileimpatto sul contribuente, che riceve una percezione più immediata sul finanziamento dei serviziofferti, e che dovrebbe quindi determinare maggiore responsabilità per il governo locale.

Tab. 2 IMPOSTE LOCALI SULLA PROPRIETÀ NELLA UE27

Fonte: Dexia (2007); Database Taxes in Europe (dicembre 2008). Per le sigle dei paesi cfr. Tab.1.(*) Fonte Dexia, 2005.(**) Abolita nel 2008.(***) Le autorità locali raccolgono l’imposta per conto del governo centrale che la restituisce poi come parte dei trasferimenti annuali. Perquesto motivo questa imposta può essere considerata un’imposta condivisa.(°) Province e Comuni possono imporre una sovrattassa.

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terreni urbani 0,4 0,1 0,0 1,2 l c c, l lFI Imposta sugli immobili 1,1 0,5 0,0 5,1 c, l c c lFR Imposta sulle costruzioni 2,5 1,1 2,0 21,1 r, l c r, l r, lFR Imposta sui terreni 0,1 0,0 0,0 0,9 r, l c r, l r, lFR Imposta sulle abitazioni 1,5 0,7 0,0 13,9 l c l lHU Imposta sulle costruzioni 0,5 0,2 0,0 4,6 c, l c c, l lHU Imposta sui trasferimenti immobiliari 1,3 0,5 0,0 5,7 c c c c, lIE Imposta sugli immobili 2,0 0,7 0,0 92,6 l c c lIT Imposta sulle costruzioni 0,5 0,2 0,0 3,6 c, r, l c l lIT Imposta sugli immobili 1,9 0,8 0,0 12,6 c, l c c lLT Imposta sui Leasing sui terreni statali 0,3 0,1 0,0 3,2 c, l c l lLT Imposta sui terreni 0,2 0,0 0,0 1,7 c c c, l lLT Imposta sugli immobili di imprese 1,0 0,3 0,0 9,9 c, l c c, l lLV Imposta sugli immobili 2,0 0,6 0,0 11,4 c c c, l lLU Imposta fondiaria 0,2 0,1 0,0 4,9 l c c lNL (*) Imposta sugli immobili 1,7 0,7 0,0 48,9 l c c,l lPL Imposta sugli immobili 3,4 1,1 0,0 26,8 l c c, l lPT Imposta sugli immobili 1,7 0,6 0,0 27,0 c, r, l c c, r, l lPT Imposta sui trasferimenti immobiliari 1,3 0,5 0,0 20,5 c, r c c, r, l lRO Imposta sui terreni 0,5 0,1 0,0 1,9 c c c, l lRO Imposta sulle costruzioni 1,5 0,4 0,0 5,7 c,l c c lSI Imposta sui trasferimenti immobiliari 0,4 0,1 0,0 4,9 c c c lSI Imposta sulle costruzioni 1,1 0,4 0,0 14,8 l l l lSK Imposta sull’uso di spazi pubblici 0,1 0,0 0,0 0,7 l l l lSK Imposta sugli immobili 1,4 0,4 0,0 12,2 l l l lUK Council tax 4,5 1,7 0,0 98,1 l c c, l lUK (***) Business rates/Rates 4,1 1,5 0,0 n.a. c, l c, l c, l c, l

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

- 236 -

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Le modalità di finanziamento degli Enti pubblici territoriali nell'Unione Europea

- 237 -

Inoltre non sembra portare distorsioni maggiori rispetto ad altri tipi di imposta locale, come

invece suggerisce la letteratura tradizionale sul federalismo fiscale (“voto con i piedi”)29. Lacollaborazione in materia fiscale tra i diversi livelli di governo consente poi di coordinare gliaumenti di aliquota ed evitare eccessive variazioni tra località diverse pur mantenendo unaelevata autonomia fiscale per gli enti locali. Ad esempio, meccanismi di concertazione volontariadi questo tipo sono in atto in Danimarca e Finlandia.

Le modalità di attuazione dell’imposta locale variano molto da paese a paese. In generale èpiù frequente l’ipotesi di addizionale all’imposta centrale (è questo il caso di Finlandia eDanimarca); altri paesi usufruiscono invece di una compartecipazione della stessa imposta.Questo secondo tipo di risorsa offre in teoria minore autonomia agli enti locali; tuttavia, se lemodalità di ripartizione del gettito vengono concertate tra i diversi livelli (Germania, Austria), illoro margine di manovra potrebbe essere superiore rispetto ad una situazione in cui l’aliquotadell’addizionale è de facto decisa dal governo centrale. Infatti, quest’ultimo può stabilire dei limitio addirittura congelare le aliquote (Danimarca dal 2002; Italia 2002-2006).

In nessuno dei cinque paesi (Belgio, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia) in cui esisteun’imposta locale sul reddito vi è libertà di definire la base imponibile a livello locale ma, conl’unica eccezione dell’Italia, essi possono fissare liberamente l’aliquota.

7.3.2.3 Imposta locale sui redditi d’impresa

È un’imposta abbastanza diffusa a livello locale, dal reddito potenzialmente elevato (cfr.Tab. 4). In alcuni paesi costituisce addirittura una delle principali fonti di entrata a livello

territoriale30 (Francia, Germania, Italia e Lussemburgo). Tuttavia, si tratta di un’imposta spessocriticata per i potenziali effetti depressivi sull’occupazione e gli investimenti e per leproblematiche legate alla mobilità della base imponibile (Bird, 2003; Bird, 2008). Esiste inoltre il

problema connesso alla presenza di imprese con più sedi31. Di norma, infatti, il prelievo avvienerispetto alla localizzazione della sede centrale e ciò potrebbe portare a distorsioni del mercatointerno. Infine, un ultimo elemento di criticità per questo tipo di imposta riguarda la sua sensibilità

29 Tuttavia, più in generale, la letteratura offre supporto empirico al fatto che la politica fiscale locale di sia influenzata daquella delle giurisdizioni vicine (tax mimicking). Le spiegazioni teoriche offerte sono di tre tipi. Il primo si basa sullacorrelazione spaziale tra livelli di spesa e quindi di imposizione fiscale. Le altre due attengono alle due modalità dirisposta degli elettori agli aumenti fiscali: uscita (secondo il modello di Tiebout (1956)) e il voto. Secondo quest’ultimoapproccio (Salmon, 1987) gli elettori utilizzano le giurisdizioni vicine come termine di riferimento (yardstick competition)per valutare la performance del proprio governo, dal momento che non hanno altre informazioni sui costi dei servizi chericevono. Per un approfondimento di questi aspetti cfr. Allers, 2005.30 Una crescita delle risorse fiscali locali di tale tipo si è registrata, nel 2007, anche in Grecia (+10,0%), Lussemburgo(+9,0%), Germania (+6,2%), Austria (+5,3%), Francia, Belgio, Paesi Bassi e Italia (+4-5%). 31 A livello europeo si presenta lo stesso problema sotto forma di possibilità di elusione per le multinazionali. La propostadi una “common consolidated corporate tax base (CCCTB) è stata avanzata dalla Commissione e largamente dibattuta(cfr. in proposito i lavori del CCTB working group, i cui rapporti delle riunioni e i contributi ricevuti sono disponibili onlinesu http://ec.europa.eu/taxation_customs/taxation/company_tax/common_tax_base/index_en.htm).

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

- 238 -

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Le modalità di finanziamento degli Enti pubblici territoriali nell'Unione Europea

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al ciclo economico, ciò che compromette non solo la prevedibilità del gettito ma anche ladisponibilità di risorse. Il problema della variabilità tuttavia risulta limitato quando l’imposta nonviene percepita considerando i profitti nell’imponibile (Germania, Lussemburgo, Portogallo), mal’imposta è concepita come imposta sui ruoli (Austria, Francia). Altra alternativa che limita lepotenziali distorsioni accennate è quella, che è poi in vigore in Italia, di tassare il valore della

produzione, il che ha anche il vantaggio di non discriminare tra forme di investimento32. Nella pratica, di norma i governi centrali determinano la base imponibile, ma sono anche

intervenuti per concedere detrazioni a favore di start-up, piccole e medie imprese (Spagna), areesvantaggiate, etc…o per imporre limiti alle aliquote. È il caso ad esempio della Francia, dove ipagamenti per la taxe professionelle hanno ora un massimo pari al 3,5% del valore aggiunto.

7.3.2.4 Redditi da gestione della proprietà e finanziari

La gestione (o la cessione) del patrimonio immobiliare locale come anche dell’attivo

finanziario sta assumendo una importanza crescente33. In quest’ottica, l’Irlanda costituisce ilcaso più eclatante quanto a peso delle entrate derivanti dalla gestione del proprio patrimonioimmobiliare (7% contro una media europea del 2% nel 2007) sul finanziamento degli enti locali. IlBelgio invece è il paese che riceve maggiori introiti (4% del totale delle entrate municipali nel2007) da interessi e dividendi (DEXIA, 2008).

7.3.2.5 Tariffe e tasse

In linea generale, vi sono tre tipi di introiti di questo tipo: tasse, prezzi pubblici e tariffe. Essidovrebbero essere uno degli strumenti fiscali di elezione se si volessero seguire i dettami delfederalismo fiscale e quindi il principio di corrispondenza tra costi e benefici. Tramite queste fontidi finanziamento, oltre ad una maggiore efficienza, il governo locale si assicurerebbe di riceverecome corrispettivo almeno il costo marginale del servizio offerto e si verificherebbe unapercezione più netta da parte dei contribuenti di tali costi. Considerazioni di tipo redistributivodovrebbero essere affrontate a livello nazionale.

Data la natura di beni pubblici di molti servizi di prossimità tuttavia non è sorprendente che

questa componente non sia particolarmente importante per i bilanci locali34; questo ancheconsiderando la necessità di garantire l’accesso ai servizi alle fasce più deboli di reddito.

32 Tuttavia come si ricorderà la legittimità dell’IRAP è stata contestata davanti alla Corte Europea per le suppostesimilarità con l’IVA. La Corte ha statuito (causa C-475/03, sentenza del 3 ottobre 2006), contro il parere di due avvocatigenerali, la legittimità dell’imposta. Le stesse argomentazioni sono state fatte valere nei confronti dell’analoga impostalocale ungherese.33 Anche la privatizzazione delle aziende pubbliche locali, chiaramente entrata straordinaria, ha svolto un ruoloimportante per gli equilibri di bilancio locale particolarmente nei nuovi paesi membri.34 In altri casi, i servizi potrebbero semplicemente essere privatizzati e dunque le entrate derivanti dalla loro fornitura nonfigurare in bilancio.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Il ricorso a questo tipo di finanziamento non è infatti prioritario35, anzi. Nel 2005 essovariava tra il 6 e il 41% (pur con qualche cautela di interpretazione legata alla diversaclassificazione di alcune poste nei vari paesi). L’ampiezza del divario dipende ovviamentedall’atteggiamento più o meno liberale dell’ente (o del paese), dall’autonomia degli stessi

nell’imporre questo tipo di imposta36, dal livello complessivo di carico fiscale sul contribuente, daltipo di funzioni loro attribuite, etc...

35 Un’eccezione è l’Irlanda, dove il 26% delle entrate dei comuni è di questo tipo contro un introito da imposizione fiscale,legato peraltro ad un’unica imposta, del 9% (2005).36 Ad esempio, in Finlandia i servizi legati all’istruzione primaria e secondaria sono gratuiti per legge; in Svezia esistonodei limiti al contributo che gli enti locali possono richiedere per asili nido e cura degli anziani; in Francia le tariffe per iltrasporto pubblico e per le mense scolastiche sono state recentemente (2005 e 2006) abolite.

Fonte: Dexia (2007, 2008).(1) Il «contributo di solidarietà», versata da Länder e comuni allo Stato centrale dopo la ripartizione delle entrate verrà progressivamenteabolito.

RIFORME DELLA FINANZA LOCALE 2007-2008 Austria L’ultima rinegoziazione della Legge sulla ripartizione delle entrate ha allungato il periodo di copertura della legge stessa

da quattro a sei anni a partire dal 2008 e trasforma buona parte dei trasferimenti in compartecipazioni. Il computo dellapopolazione (elemento principale per la ripartizione) è stato modificato come anche i trasferimenti vincolati da partedello Stato. (1)

Belgio In Vallonia, la recente riforma dei fondi comunali (giugno 2008) ha ridefinito i criteri per la ripartizione e indicizzato lacrescita del fondo al tasso d‘inflazione maggiorato dell’1%. In nuovo sistema verrà progressivamente attuato nell’arco diventi anni.

Bulgaria Il processo di decentralizzazione avviato nel 2003 ha portato ad una modificazione costituzionale (2007) che dota icomuni di autonomia fiscale. I comuni possono dal 2008 fissare liberamente le aliquote delle imposte locali nei limiti dilegge. In particolare, i comuni beneficiano ora delle imposte sui brevetti.

Danimarca La riforma territoriale entrata il vigore il 1°gennaio 2007 ha soppresso le contee e creato delle regioni. Queste ultimesono tuttavia prive di potere impositivo e sono finanziate da trasferimenti erariali e comunali. I comuni hanno ereditatobuona parte delle imposte prima appartenute alle contee e beneficiato di un ampliamento della variabilità delle aliquoteper l’imposta locale sul reddito e l’imposta fondiaria sui terreni, le due imposte comunali principali in sostituzione delleimposte condivise che sono state abolite (L’unica rimasta è l’imposta sul reddito societario). Un nuovo meccanismoperequativo, infine, è stato introdotto aumentando l’autonomia finanziaria dei comuni in modo significativo.

Germania La Commissione bicamerale per la riforma delle relazioni finanziarie tra federazione e stati federali è stata introdottacon la seconda fase delle riforma (marzo 2007). A ciò si affianca la riforma fiscale entrata in vigore dal 2008 cheprevede il taglio al 15% dell’aliquota dell’imposta sul reddito societario e consente numerose deduzioni ai finidell’imposta locale sulle imprese. Lo scopo è sostenere l’economia con una significativa diminuzione del carico fiscalesulle imprese. La perdita di gettito stimata per l’insieme dei comuni, nonostante le misure compensatorie previste, è di 1miliardo di euro l’anno.

Polonia Il Parlamento ha allo studio una riforma della finanza pubblica. Per quanto riguarda i comuni, dovrebbero essereintrodotte limitazioni all’indebitamento locale, l’obbligo di piani finanziari a lungo termine e l’obbligo di bilancio inequilibrio anche per la componente corrente.

Portogallo La Legge sulle imposte locali del 2007 ha inciso pesantemente sul sistema. Il fondo annuale «Partecipazione alleimposte dello Stato » è stato ridotto dal 33 al 25,3% del complesso del gettito derivante dall’imposta sul reddito dellepersone fisiche e giuridiche e dall’imposta sul valore aggiunto. La riduzione, che incide su una fonte di entrata pari adun terzo del totale per gli enti locali, viene compensata versando ai comuni tra il 2 e il 5% dell’imposta sul redditopagata dai contribuenti locali. Infine, un nuovo fondo sociale municipale dovrà finanziare le nuove competenzecomunali in materia di istruzione, sanità, etc…trasferite nel corso del processo di decentralizzazione.

Regno Unito È allo studio la riforma della Council tax. In Scozia, è stato proposto di sostituirla con un’imposta locale sul reddito, male consultazioni in materia hanno evidenziato una preferenza per la fissazione libera e diretta da parte dei comuni di taleaddizionale.

Romania Nel 2006, l’approvazione della legge sulla decentralizzazione, sui pubblici servizi e di quella sulla finanza locale harilanciato il processo di decentralizzazione. In particolare, lo Stato ha avocato a sé il compito, prima di pertinenza dellecontee, di redistribuire l’80% del fondo di perequazione destinato ai comuni. Nuove regole sono state inoltre introdotteper quanto riguarda l’uso dei fondi pubblici e in materia di insolvenza degli enti locali.

Slovenia Dal 2007, si applica una nuova legge di finanziamento per i comuni. Essa, dopo una transizione di cinque anni, mira adun progressivo rafforzamento dell’autonomia finanziaria. Un’imposta sulle persone fisiche è stata introdotta per coprirele spese urgenti dei comuni. Il cofinanziamento dello Stato realizzato tramite un apposito fondo per l’investimentopasserà dal 70 al 100%.

Spagna Secondo lo schema noto del federalismo a più velocità seguito dalla Spagna, si sono avute nel 2007 nuove richieste diautonomia da parte delle Comunità autonome. Il Consiglio di politica fiscale e finanziaria sta preparando una riformacomplessiva del sistema di finanziamento per aumentare l’autonomia finanziaria locale e migliorare il sistema diperequazione. Infine una nuova legge sul governo e l’amministrazione locale, seguita alla pubblicazione del librobianco sulla riforma del settore locale, dovrebbe essere approvata nel corso del 2009.

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7.3.2.6 Indebitamento

L’autonomia di indebitamento locale fornisce un utile strumento ai governi per facilitare gliaggiustamenti ciclici e per finanziare gli investimenti. Il ricorso al debito reca tuttavia anche il

pericolo di vincoli di bilancio morbidi37 e di ridotta attenzione all’andamento delle spese e per taliragioni di solito è limitato dal governo centrale (Pisauro, 2001; Rodden, 2002) soprattutto quandoil bilancio dello stesso governo centrale è sottoposto a vincoli stringenti, come possono essere

quelli posti dal trattato di Maastricht38. Tuttavia si sono avuti anche diversi casi di riforme teseinvece ad allentare le norme sull’indebitamento locale. È il caso di Lussemburgo, Regno Unito eGrecia che hanno reso più agevoli le procedure di approvazione e soprattutto dei nuovi Paesimembri che hanno modificato le regole per l’accesso all’indebitamento (Estonia, Repubblicaceca, Slovenia, Lettonia e Bulgaria).

Il legame tra decentralizzazione della spesa e controllo dell’indebitamento non è stringentecome si potrebbe pensare. Ad esempio, in Francia anche prima della decentralizzazionel’indebitamento era lo strumento principe utilizzato dagli enti locali per finanziare gli investimenti(anche se vietato per finanziare la spesa corrente).

Per accedere facilmente al credito, gli enti locali necessitano, oltre che di mercati bensviluppati, anche di godere di un rating qualificante. In molti paesi sono state istituite appositeagenzie gestite con criteri privatistici che si occupano di credito locale. È il caso della Finlandia edella Svezia, dove è l’associazione dei governi locali ad esserne proprietaria; del CreditCommunal de Belgique partecipato anche dal governo centrale che si finanzia attraversodepositi; della DEXIA in Francia e del Banco de Crédito Local in Spagna che si finanziano tramiteobbligazioni. Nel Regno Unito, il Public Work Loan Board fornisce un’utile alternativa perl’indebitamento degli enti locali legato a lavori pubblici così come la Cassa depositi e prestiti inItalia.

La tabella 5 mostra il livello di debito e l’indebitamento a livello nazionale e locale per i paesi

UE27 nell’anno 2007. Tutti le sfere di governo39 possono accedere al credito, sia pure con regolediverse. Tali norme possono riguardare il tipo di spesa (di solito vincolando il ricorso al debito agli

investimenti40) o le modalità di reperimento dei fondi, di norma limitando il ricorso a strumenti

37 La letteratura sul tema del soft budget constraint prende spunto dalle analisi dei rapporti tra Stato e grandi impresenazionali considerate “too big to fail”. Sull’argomento si veda, ad esempio, Kornai J., Maskin E. e Roland G. (2002). Unaspetto del problema di crescente rilevanza riguarda l’utilizzo da parte degli enti locali di strumenti di finanza derivata. Talimodalità di ricorso al mercato, infatti, rendono ancora più difficoltosi i controlli trattandosi di operazioni spessocomplesse. Ciò comporta il pericolo che le amministrazioni si espongano in maniera eccessiva, qualora nonopportunamente monitorate. 38 Per ovviare a questo problema, spesso gli enti locali vengono coinvolti nella disciplina di bilancio centrale attraverso icosiddetti Patti di stabilità interni (cfr. Joumard e Kongsrund, 2003; Sutherland et al., 2005; Giuriato, 2008).39 Le nuove regioni danesi fanno eccezione.40 Solo Finlandia, Irlanda, Polonia, Grecia e Ungheria lasciano completa libertà ai governi locali in merito alladestinazione d’uso del prestito.

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e Istituzioni - giugno 2009

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Tab. 5 LIVELLO E LIMITI DI INDEBITAMENTO NEI PAESI UE27

Fonte: CEMR-DEXIA, 2008; DEXIA, 2008.

Anno 2007 Debito pubblico in % del PIL

Indebitamento pubblico in% del PIL

Debito locale in % del PIL

Indebitamento locale in

% del PIL

Limiti aldebito

Limiti al servizio del debito

Limiti all’indebitamento

AT 59,5 -0,4 5,0 +0,32 Disposti dai singoli Länder

Disposti dai singoli Länder

Di cui settore locale

1,8 +0,19

BE 83,9 -0,3 8,7 +0,24Di cui settore locale

5,0 -0,06

DE 65,1 -0,2 25,3 +0,48 Disposti dai singoli Länder

Disposti dai singoli Länder

Di cui settore locale

5,0 +0,34

BG 18,2 +0,1 0,6 -0,05 25% delle entrate

dell’anno precedente

CZ 28,9 -1,0 2,5 +0,51 30% delle entrate totali

DK 26,2 +4,9 5,7 +0,08EE 3,5 +2,7 2,4 -0,47 60% delle

entrate di bilancio

20% delle entrate di bilancio

IE 24,8 +0,2 2,5 -0,18 Max 200 milioni di euro annui per

autorità localeEL 94,8 -3,5 0,7 -0,05ES 36,2 +2,2 8,5 -0,39 (Comuni)110%

reddito operativo

(incluso debito a breve)

(AC) 25% reddito

operativo dell’anno

precedente

10% delle entrate correnti

FR 63,9 -2,7 7,2 -0,38IT 104,1 -1,6 8,0 +0,23 15% entrate

correnti regioni: 25%: delle

entrate (esclusi servizi sanitari)

CY 59,5 +3,5 2,1 -0,06LV 9,5 +0,1 3,4 -0,61LT 17,0 -1,2 1,0 -0,33 35% entrate

annue (esclusi trasferimenti

specifici*)

20% delle entrate annuali

esclusi trasferimenti

LU 7,0 +3,2 2,3 +0,02HU 65,8 -5,0 3,1 -0,00 70% delle

entrate proprie MT 62,2 -1,8 0,1 -0,01NL 45,7 +0,3 7,1 -0,01PL 44,9 -2,0 2,2 +0,11 60% entrate

previste15% entrate

previstePT 63,6 -2,6 3,5 -0,08 125% entrate

correnti RO 12,9 -2,6 1,6 -0,23 30% entrate

proprieSI 29,4 -1,9 1,7 -0,12 20% delle

entrate dell’anno

precedente

5% delle entrate

dell’anno precedente

SK 23,4 +0,5 0,7 -0,10 60% entrate correnti anno precedente

25% entrate correnti anno precedente

FI 35,1 +5,3 5,3 -0,08SE 40,4 +3,6 5,5 +0,28UK 44,2 -2,8 4,6 -0,07TOTALE UE27 58,7 -0,9 9,8 +0,04Di cui settore locale 5,1 +0,00

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finanziari a più alto rischio. In altri casi ad essere vincolati sono gli ammontari, rispetto al debito

complessivo o per l’indebitamento41. In linea generale, il debito locale nei paesi della UE15 è più consistente data la maggiore

maturità del mercato, tuttavia anche qui si ha una forte variabilità: in Grecia esso è praticamenteinesistente a livello territoriale come anche molto moderato è nei paesi più centralisti (UK,Irlanda). La quota di debito più consistente a livello locale è quella accumulata dai Ländertedeschi. Ciascun Land decide poi le regole per l’indebitamento comunale. Una particolarità delcredito locale tedesco deriva dal fatto che la maggior parte di esso è acceso nei confronti dibanche pubbliche e delle loro stanze di compensazione (Landessparkassen), che offronocondizioni normalmente vantaggiose, con tassi di interesse inferiori a quelli di mercato. Laparticolarità consiste nel fatto che le autorità locali sono proprietarie della banca econtemporaneamente ne garantiscono il rating. Può quindi succedere che il sindaco, che èmembro del consiglio di amministrazione della banca, si trovi a dover deliberare sul prestitorichiesto dal proprio comune (Werner, 2006).

7.3.2.7 Trasferimenti e imposte condivise

Una volta esaurite le fonti di entrata finora richiamate è possibile che permangano ancora

squilibri nei bilanci dei governi locali. Per finanziarli si ricorre allora alla tassazione generale42

che viene trasferita ai governi locali sotto forma di compartecipazioni o trasferimentiintergovernativi. Il discrimine tra le due forme, ma anche rispetto alle entrate proprie, come giàaccennato, non è sempre agevole. Spesso, infatti, le imposte condivise confluiscono in fondispecifici che vengono poi ripartiti tra gli enti subnazionali in base a vari meccanismi. A secondache si voglia far prevalere l’origine dell’imposta o il metodo di distribuzione queste entrate sono

classificate come imposte o come sussidi43. Questo ultimo è il caso di Grecia (Fondo autonomocentrale), Lussemburgo (Fondo comunale di dotazione finanziaria), Portogallo (Partecipazioninelle imposte statali), Spagna (Partecipazione nelle imposte statali) e Irlanda (Fondo per igoverni locali). Il contrario avviene nella maggior parte della EU12.

41 Come accennato nel paragrafo 7.3.1 l’OCSE ha ricalcolato l’indice di autonomia di indebitamento della IADB per 18paesi membri OCSE, nell’ambito dell’analisi delle regole fiscali a livello locale svolta sulla base di uno specificoquestionario del Network on Fiscal Relations Across Levels of Government (2006). Tra gli 11 paesi dell’Unione coinvoltiAustria e Svezia hanno ottenuto il punteggio massimo (4 su 4) seguiti dai Länder tedeschi (3,5) mentre Danimarca ecomunità spagnole hanno avuto il punteggio più basso (1). Per ulteriori dettagli, cfr. OCSE (2006).42 La scelta dipende tuttavia molto dalla tradizione di governo: i Paesi scandinavi privilegiano gli strumenti fiscali mentrepaesi a tendenza più liberale il ricorso alle tariffe. 43 Ne deriva inoltre un vantaggio per quegli enti magari meno efficienti che preferiscono non far comparire in bilancio unaquota eccessiva di trasferimenti mentre il contrario è vero per gli enti più virtuosi che desiderano invece rendere evidentel’aspetto fiscale delle entrate.

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Tab. 6 COMPARTECIPAZIONE TERRITORIALE ALL’IVA

Fonte: Dexia (2007); Database Taxes in Europe (dicembre 2008). Per le sigle dei paesi cfr. Tab.1.NOTE: L’imposta è definita a livello centrale.In Portogallo le regioni autonome ricevono l’intera IVA. In Francia, lo Stato rimborsa tramite apposito fondo (Fond de compensation de la TVA, FCTVA ) l’IVA versata sugli investimenti da parte degli enti locali. La percentuale dell’Italia viene rideterminata annualmente in applicazione del D.lgs. 56/2000.

La compartecipazione alle imposte è un elemento di decentralizzazione fiscale pur nonconsentendo alcun margine di manovra agli enti locali nella modulazione dell’imposta. Tuttaviadal punto di vista della decentralizzazione politica, la possibilità di negoziare la ripartizione puòrappresentare un passo avanti rispetto al ricevere sussidi determinati unicamente dallo Stato

centrale44. Si tratta di una forma diffusa a livello di Unione Europea: solo sette paesi non hannoadottato alcuna forma di compartecipazione (cfr. Tabb.1, 2, 3, 4 e 6); tuttavia non in tutti essariveste la stessa importanza. In linea di massima, i paesi federali vi fanno maggiore ricorso edessa sembra assumere un sempre maggiore rilievo nei nuovi paesi membri sia pure riguardandoprevalentemente l’imposta personale sul reddito (DEXIA, 2007). In altri riveste invece

un’importanza marginale (Francia, Paesi scandinavi45 e Regno Unito). Ad essere condivise sonole imposte che garantiscono un gettito elevato, come l’imposta sul reddito personale (quindicipaesi), sui redditi d’impresa (otto paesi) o sul valore aggiunto (dieci paesi).

Paese

Gettito complessivo in

% del totale delle imposte

% regionale sul totale delle imposte locali

% locale sul totale delle

imposte localiBeneficiario NOTE

AT 18,3 16,7 11,9 c, r, l Länder (16,512 %) e Comuni (11,713 %)

BE 16,0 37,0 0,0 c,r,s,o % in base a popolazione e prezzi al consumo

CZ 18,2 12,2 26,7 c, r, l Comuni (21%) e Regioni (9%)

DE 16,1 24,7 1,2 c, r, l Comuni (2,2%) Länder ( 49,5%)

EL 22,1 0,0 0,4 c,l Parte del "Fondo autonomo centrale” ,solo per i dipartimenti

ES 17,2 19,5 0,6 c, r Regioni (35%, con eccezioni); Province (1,1); capoluoghi e città>75.000 abitanti (1,8%)

IT 14,6 38,7 0,0 c, r

LU 15,3 0,0 1,5 c,l Parte del Fond communal de dotation financiere che comprende anche quote dell’imposta sul reddito e dell’imposta sui veicoli più una dotazione annua

PT 24,7 10,0 101,1 c, r, l, s 25% del gettito totale IVA, imposta sul reddito personale e imposta sul reddito societario. La percentuale è stata diminuita dalla riforma e i Comuni ricevono quindi tra il 2 e il 5% dell’imposta sul reddito dei propri residenti come compensazione

RO 14,8 0,0 56,3 c, l Contee (27,5%); Comuni (27,5%)

44 In effetti per valutare il grado di autonomia fiscale si dovrebbe guardare per ogni singola voce agli effetti più che allasemplice denominazione di una forma di entrata. Un’imposta con aliquota definita dallo Stato centrale che ha anche lapossibilità di congelarla è in pratica un trasferimento (inteso come entrata non autonoma). 45 In Danimarca e Finlandia la condivisione riguarda la sola imposta societaria (cfr. Tab. 4).

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Le modalità di ripartizione dell’imposta condivisa hanno naturalmente un peso notevolesull’autonomia che viene ad essere attribuita agli enti locali. È di tutta evidenza che se lo Statocentrale si limita a redistribuire in base a criteri fisici (popolazione, territorio,…) il gettito affluito inun fondo specifico si ha, in pratica, un trasferimento e una ben scarsa autonomia degli enti locali.Se invece l’autorità locale riceve una quota in qualche modo collegata alla propria baseimponibile, in altri termini alla quota d’imposta raccolta sul suo territorio, si entra nell’ambito delcosiddetto “giusto ritorno”, più vicino ad un contesto realmente federalista ma anche foriero dieventuali disparità territoriali. Infine, può darsi il caso di un sistema misto tra i due citati. In questomodo la localizzazione dell’imposta si coniuga con un meccanismo perequativo che limita ledisuguaglianza territoriali. È il caso segnatamente della Germania ma anche del Belgio, che haintrodotto trasferimenti compensativi in applicazione del principio del giusto ritorno per l’impostapersonale. Lo stesso accade nei nuovi Paesi membri; ad esempio, in Ungheria ogni annovengono ridefinite le modalità di redistribuzione della quota del 40% dell’imposta sul reddito dellepersone fisiche assegnata agli enti locali. In Slovacchia la stessa imposta è ripartita secondocriteri che tengono conto della distribuzione socio-demografica (numero di studenti, di anziani,etc…) e della conformazione territoriale (superficie, altitudine, etc…).

I vantaggi della fiscalità condivisa sono molteplici. Il primo è forse quello di rendere piùsemplice il sistema fiscale riducendo il numero delle imposte, il che costituisce, a parità diimposizione, un vantaggio “psicologico” per il contribuente. Inoltre essendo di norma lo Statocentrale ad occuparsi della riscossione dei tributi condivisi si ha anche una semplificazione ditipo amministrativo con conseguente riduzione dei costi. Da un punto di vista più generale, siottiene di smussare le eventuali disuguaglianze o, se vogliamo, la possibilità di concorrenzafiscale incontrollata tra enti locali. Il prezzo da pagare è in termini di dinamismo economico oanche di efficienza di gestione che viene scoraggiata dalla presenza di dotazioni certe noncollegate all’attività e responsabilità del governo locale (Hoorens e Chatrie, 2006).

Vi sono sostanzialmente tre modalità di compartecipazione: per via diretta al gettito statalesecondo criteri da definire in sede politica; lasciare agli enti locali la possibilità di ricorrere adaddizionali su una base imponibile riservata allo Stato centrale; o un compromesso tra i duesistemi. La disponibilità di un addizionale non necessariamente implica maggiore autonomia. Ineffetti, l’aliquota possibile è di norma stabilita dal governo centrale, che, come accaduto nel casodell’Italia, si riserva la facoltà di congelarla. In altri casi esiste una maggiore libertà riguardo allasua fissazione.

I meccanismi di ripartizione variano da paese a paese ma in quelli federali l’impostacondivisa è considerata effettivamente come parte delle entrate locali e non come un’impostacentrale “girata” alle autorità locali. Ne deriva che la variazione dell’aliquota delle impostecondivise da parte dello Stato centrale comporta una compensazione degli enti locali per laperdita di gettito che ne deriva. In Austria e in Germania la concertazione deriva da un principiocostituzionale. Nei nuovi paesi membri, invece, prevale il secondo approccio e lo Stato centralesi riserva a volte anche il diritto di indirizzare l’utilizzo delle risorse.

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I paesi che hanno optato per questa forma sono relativamente centralizzati, Cipro, Grecia,Malta, Irlanda, Portogallo o il Lussemburgo (cfr. Tabb. 1, 2, 3, 4 e 6), e lasciano un’autonomiamolto limitata se non nulla alla fiscalità propria. Non mancano comunque le eccezioni: In Sveziae nei Paesi Bassi, paesi a forte tradizione di governo locale, non esiste fiscalità condivisa, mamentre nei Paesi Bassi la fiscalità propria è stata seriamente ridotta (nel 2006 il governo centraleolandese ha abolito l’imposta fondiaria, la maggiore imposta autonoma locale, per sostituirla contrasferimenti); in Svezia, l’assenza di imposte condivise è compensata dal fatto che l’imposta sulreddito è invece interamente locale. La condivisione delle entrate è più ampia comunque neipaesi federali (Germania, Austria, Belgio) o quasi federali (Italia, Spagna), probabilmente perchéle competenze attribuite agli enti locali richiedono ammontari di spesa elevati.

In Germania, in particolare, la condivisione avviene anche dal basso verso l’alto: il 20%dell’imposta professionale locale (Gewerbesteuer), liberamente fissata dai comuni, è partecipatadai Länder e dal Bund. L’intero sistema è tuttavia accompagnato da meccanismi fortementeperequativi (come si mostrerà in seguito).

In Austria ben 14 imposte sono condivise attraverso un processo di concertazione che fissale diverse quote per 6 anni, tenendo conto della popolazione e della base imponibile. In lineagenerale, circa il 70% delle imposte rimane al governo centrale, il 17% ai comuni e a Vienna e ilresto ai Länder.

7.3.2.8 I trasferimenti intergovernativi

Come ricordato nell’introduzione, tra le modalità di finanziamento degli enti territoriali,anche negli Stati federali, i trasferimenti costituiscono una quota importante delle entrate locali.Tra questi, i trasferimenti a finalità perequativa rivestono un ruolo ed un’importanza particolare, eper tale motivo verranno esaminati più nel dettaglio nella seconda parte del capitolo. Qui si vuoleperò sottolineare che qualunque tipo di trasferimento, se viene elargito dallo Stato centraleseguendo criteri diversi dalla provenienza territoriale del gettito che lo finanzia, soprattutto se

raccolto secondo criteri di progressività, assume capacità redistributiva46 e, in questo senso,perequativa del reddito interpersonale. Anche gli Stati Uniti, forse l’unico stato, in cui la finalità

perequativa non è invocata da nessun tipo di trasferimento, distribuiscono47 tuttavia fondi aidistretti scolastici sulla base di criteri legati al bisogno e dunque in qualche misura perequativi.Appare quindi di qualche utilità richiamare le caratteristiche generali dei trasferimenti per poipassare ad esaminare le possibili modalità perequative.

46 Del resto, gli investimenti pubblici hanno lo stesso effetto nella misura in cui si indirizzano, come di solito è il caso,verso le aree “più bisognose”.47 Si noti tuttavia che la perequazione viene effettuata a livello di singoli Stati nei confronti degli enti locali(Reschovski, 2007).

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I trasferimenti possono essere classificati in vario modo e la ricchezza di tassonomie dàragione della complessità e particolarità di questo tipo di fonti di finanziamento. Essi possonoessere distinti in base alla regola per l’erogazione: automatici o non; alla modalità di computo:proporzionale rispetto a qualche indicatore (es. numero di anziani, bambini,etc…) (matchinggrant) o in forma fissa; in base ai limiti nell’ammontare: limitati o illimitati (open o closed ended);vincolo di destinazione: condizionati e non.

Essi costituiscono un elemento importante delle relazioni intergovernative. La loroconfigurazione dipende da una complessa rete di fattori politici, economici ed amministrativi; inaltri termini, possono essere interpretati solo con una valutazione approfondita del contestoistituzionale entro cui si sviluppano.

In quanto strumenti di politica economica, nel valutarli è necessario verificare quindi glieffetti che essi hanno in termini di efficienza allocativa, equità distributiva e stabilitàmacroeconomica. Ne deriva che non può esistere una regola ottimale valida per ciascuna paese.Sono tuttavia state individuate (Shah, 1994) alcune caratteristiche auspicabili. In particolare:

- adeguatezza delle risorse;

- collegamento all’accertamento dello sforzo fiscale48 ( livello di utilizzo della base imponibileda parte di un governo, cioè il gettito che raccoglie rispetto al suo imponibile). In teoria, ènecessario che lo Stato centrale ne tenga conto, ma non che lo influenzi se la sua posizionevuole essere neutrale;

- equità, aumentando le risorse proporzionalmente ai bisogni e inversamente rispetto allacapacità fiscale;

- considerazione dell’efficienza della spesa locale;

- neutralità rispetto alla scelta locale di allocazione delle risorse per settore/attività;

- trasparenza e stabilità49: formule semplici e trasparenti e non soggette a frequentinegoziazioni politiche;

- flessibilità;

48 In effetti, appare preferibile riferirsi ad una nozione generale di sforzo fiscale nel senso di tenere conto delle potenzialirisorse dell’ente e richiedere una sua partecipazione attiva al finanziamento delle spesa. L’inclusione esplicita di unaqualche misura di sforzo fiscale è stata criticata, suggerendo esplicitamente di evitarne l’inclusione nelle formuledistributive (Bird, 1999). Innanzitutto infatti la misurazione di questo concetto è molto complessa. Alcuni paesi,soprattutto in via di sviluppo, ricorrono quindi al criterio dell’aumento delle entrate proprie: in questo modo penalizzano leunità che, prima del confronto, adoperavano già intensamente la leva fiscale. Se anche si superano le difficoltà tecniche,rimane il fatto che, qualora la base imponibile sia sensibile a variazioni dell’aliquota, si avrebbe una sottostima dellosforzo fiscale (o, il che è lo stesso, una sovrastima della capacità fiscale). In ogni caso, si dovrebbe anche tenere contodel fatto che è “più difficile” per le località più povere aumentare la raccolta fiscale (anche da un punto di vistaamministrativo). Si rischierebbe quindi di penalizzare proprio le unità più bisognose. 49 In Danimarca viene offerta la possibilità agli enti locali di optare per un trasferimento calcolato rispetto ad una baseimponibile prefissata. In tal modo lo Stato centrale si assume il rischio di eventuali diminuzioni, ma anche il vantaggio diincamerare le maggiori entrate in caso di maggiore base imponibile.

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- semplicità;

- capacità di incentivare finanze sane e accountability (responsabilizzazione).

Si tratta con tutta evidenza di obiettivi di difficile valutazione, spesso in contrasto tra loro eche richiedono quindi che si trovi un equilibrio di compromesso. Le diverse combinazioni (o idiversi accordi) di tali elementi determinano configurazioni ed esiti molto variabili e non èovviamente possibile individuare un’unica formula che si adatti a tutte le circostanze.

Le modalità di ripartizione delle risorse possono essere molteplici: compartecipazioni,formule, partecipazioni al costo, scelte ad hoc. Come accennato, un elemento qualificante emolto delicato riguarda l’effetto che si vuole ottenere. Quando lo scopo della redistribuzione èdichiaratamente la riduzione della disuguaglianza tra enti territoriali si entra nell’ambito dellaperequazione, di cui si occupa il paragrafo seguente.

7.4 LA PEREQUAZIONE

Ogni paese presenta disparità regionali più o meno accentuate. La pubblicazione OCSE“Regions at glance” (2009) aiuta ad evidenziare quanto forti siano queste differenze misurando ildivario tra regioni in termini di PIL pro capite, una misura che può essere presa come indicatoredella capacità fiscale di una regione. Come si vede dal grafico seguente le differenze possonoessere notevoli. Minori nei Paesi bassi, Irlanda e paesi scandinavi più ampie nelle Repubblichececa e slovacca, in Belgio e in Germania.

In termini di indice del Gini, con riferimento all’anno 2003, i dati OCSE (2009) mostrano chela Svezia e la Grecia sono i paesi più omogenei tra quelli presentati. Slovacchia, Belgio eUngheria si trovano all’estremo opposto mentre l’Italia si pone in una posizione intermedia ecomunque al di sotto della media dell’OCSE. Tali disparità tendono a persistere nel tempoessendo di norma legate ad elementi strutturali come la distribuzione socio-economica e la

concentrazione della popolazione50. Queste diversità incidono sul bilancio degli enti localiproducendo un disallineamento tra entrate ed uscite. Tutto il dibattito sulla perequazione vertesulla necessità e sulle modalità per colmare tale divario.

La prima domanda da porsi è se sia necessario colmarlo, se ciò debba essere unacaratteristica distintiva di un sistema federalista. La risposta non è scontata: si potrebbero infattisemplicemente riassegnare le funzioni di spesa o le entrate. Inoltre, chi deve farsi carico dellaperequazione? Lo stato centrale o le altre giurisdizioni? Si deve perequare tra giurisdizioni o traricchi e poveri? La questione nella pratica si presenta complessa. Infatti, se i trasferimenti sonovincolati, possono influenzare il comportamento dei beneficiari e, di conseguenza, gli aspetti

50 In particolare la popolazione anziana tende a concentrarsi in alcune aree e di conseguenza i costi legati a questostrato della popolazione incidono in misura maggiore nelle aree in cui essi si concentrano (OCSE, 2008).

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redistributivi e quelli allocativi sono molto difficili da separare portando a confondersi equità edefficienza. In pratica, gli enti locali infatti potrebbero essere tentati di massimizzare i trasferimentiricevuti convogliando le loro scelte politiche verso uno specifico settore. E, d’altro canto, l’effettodelle politiche settoriali nazionali sul livellamento delle differenze regionali in presenza ditrasferimenti non vincolati, è destinato ad essere ridimensionato. Le autorità locali infattipotrebbero decidere di destinare altrimenti i fondi ricevuti sfumando quindi l’effetto ricercato dallostato centrale in un settore specifico. Queste considerazioni devono essere opportunamentevalutate nel disegno dei trasferimenti intergovernativi aventi finalità perequativa.

Quanto alle possibili fonti di disuguaglianza, si possono sommariamente ridurre a: minoririsorse (a causa di una base imponibile limitata), maggiori necessità di spesa (per esempio acausa di una distribuzione sociodemografica sbilanciata) e maggiori costi (per esempio nellearee urbane rispetto a quelle rurali o viceversa). In questo ultimo caso, inoltre le differenze neibisogni di spesa possono dipendere da maggiori costi o da differenze nei prezzi.

Nella misura in cui gli enti territoriali sono responsabili delle prestazioni erogate si rendequindi necessario un intervento di tipo redistributivo se si vuole garantire la fornitura (di un livellominimo) dei servizi. Si noti che un intervento di tipo perequativo per colmare queste disparità(comunque misurate) ha senso dal punto di vista del federalismo fiscale, e cioè di una effettivaautonomia e possibilità di differenziazione degli enti territoriali, solo se le autorità locali godono di

Graf. 1 - CAMPO DI VARIAZIONE DEL PIL PROCAPITE NELLE TL2 (1) - ANNO 2005 (2)

Fonte: OCSE, 2009.(1) Le Unità territoriali di secondo livello (TL2) sono definite dall'OCSE e corrispondono più o meno alle regioni amministrative.(2) In percentuale del PIL pro capite nazionale. Parte della variazione nel PIL regionale è dovuta al pendolarismo.

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autonomia fiscale; altrimenti una qualunque politica redistributiva di trasferimenti otterrebbe lostesso scopo.

Questo della possibilità di differenziazione e della necessità di non influenzare tramite itrasferimenti il numero e la qualità dei servizi offerti è tuttavia un problema non molto sentito inEuropa, dove l’enfasi è posta soprattutto sulla necessità di fornire un paragonabile, e adeguato,livello di servizi in tutte le giurisdizioni indipendentemente dalle possibilità degli enti locali di farefronte alla relativa spesa. E difatti, sistemi anche molto complessi di redistribuzione del reddito alivello territoriale che tengono conto delle esigenze di spesa sono attuati anche in paesi in cuil’autonomia fiscale degli enti locali è limitata. In questi casi, la responsabilizzazione politica deglienti locali viene però meno, perché essi possono sempre imputare alla carenza di finanziamentida parte dello Stato centrale la mancata prestazione, o lo scarso livello qualitativo, di specificiservizi. La tradizione storica spesso giustifica questa impostazione, tuttavia il federalismo fiscaledovrebbe garantire la possibilità di diversificazione. Ne deriva che ciò che dovrebbe essereperequato è il potenziale di spesa senza riguardo per l’effettiva prestazione dei servizi. In altritermini, gli enti territoriali devono essere in grado di fornire i servizi e decidere poiautonomamente se servirsi di tale opportunità oppure offrire un pacchetto più limitato di

prestazioni ma richiedere ai propri contribuenti un contributo minore51. Come si ricordava, tuttavia questo argomento teorico della tradizionale teoria del

federalismo fiscale urta, soprattutto nel contesto europeo, con la volontà di fornire un livelloomogeneo di prestazioni, per ragioni di solidarietà più che di equità nazionale. L’importanza diquesto aspetto è tale che diversi paesi hanno iscritto l’obbligo di perequazione nel dettatocostituzionale (Italia, Francia, Germania e Spagna). Esso ha inoltre un peso importante anchenella European charter of local self-government (1985), un documento approvato dal congressodel Consiglio d’Europa che, in sostanza, impegna i paesi firmatari a garantire alle autorità localiautonomia politica, amministrativa e fiscale e fornisce una base legale al principio disussidiarietà.

La Carta statuisce all’art.9 par.5 che “…procedure di perequazione o misure equivalenti(sono necessarie) …per correggere…diseguale distribuzione …del carico fiscale. Tali procedure

51 Si noti che il legame tra solidarietà tra regioni e coesione nazionale non è verificato da un punto di vista empirico. Inaltri termini, non sono i paesi con maggiori disparità a realizzare i più forti piani perequativi. Ad esempio, la Germania èun paese relativamente omogeneo, ma ha un sistema di perequazione molto spinto. Tanto spinto che nei suoi riguardi siparla di sovraperequazione intendendo il fenomeno per cui i paesi svantaggiati ex ante risultano quelli avvantaggiati expost. Ciò sembra confermato anche dai fatti: la Corte costituzionale tedesca ha recentemente (1999) stabilito chel’impegno richiesto agli stati più ricchi non è proporzionato rispetto a quanto richiesto dalla Costituzione. Più nel dettaglio,l’argomentazione che i tre Länder più ricchi e, quindi, maggiori contribuenti del fondo perequativo (Bavaria, Bade-Wurtemberg e Hessen), hanno fatto valere di fronte alla Corte è stata, a grandi linee, che a causa della partecipazione alsistema perequativo risultavano penalizzati in termini di competitività rispetto alle altre regioni europee. Il ricorso è statoaccolto solo in parte, ma la Corte ha decretato (2001) la necessità di una riforma del sistema. Nel 2005, il 12.5% delleentrate fiscali dei Länder ricorrenti è stato escluso ai fini del computo del fondo di perequazione; inoltre, il livello massimodi perequazione del surplus è limitato al 72,5%. Il Bund si è fatto carico della “differenza” che continua ad essere versataagli Stati meno ricchi. Per un’analisi della sentenza si veda Spahn (2001).

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o misure non devono diminuire la discrezionalità che gli enti locali possono esercitare nell’ambitodella loro sfera di responsabilità”. Questa carta, adottata o in corso d’adozione da parte di tutti ipaesi dell’Unione, costituisce un importante riferimento politico. Essa infatti stabilisce lanecessità di un programma esplicitamente redistributivo tra regioni/stati. Tuttavia non forniscealcun riferimento né ai bisogni, né ai costi e nemmeno elementi utili per definire chi debbaoperare la redistribuzione. Né tanto meno fornisce una nozione specifica di perequazione. Inultima istanza, quindi il problema si presenta come eminentemente politico e la soluzione varicercata come compromesso istituzionale.

Nel resto del paragrafo, dopo aver richiamato brevemente le differenti accezioni e il dibattitoteorico sulla perequazione, vengono descritte le fasi concettuali della costruzione di un sistemaperequativo. In particolare, ci si soffermerà sulle modalità di stima della capacità fiscale e dellenecessità di spesa. Il paragrafo si chiude con una breve panoramica della perequazionenell’Unione Europea, con una descrizione più dettagliata dei modelli applicati nel Regno Unito,nei Paesi Bassi e in Germania.

7.4.1 Cenni alle giustificazioni teoriche della perequazione

Un elemento fondamentale per la costruzione di un sistema di perequazione (Martinez-Vazquez e Boex, 2004) è stabilire la finalità del trasferimento. Appare quindi utile ricordare la

distinzione tra disequilibrio verticale52, e cioè tra livelli di governo, ed orizzontale, cioè tra le unitàdi pari livello. L’eliminazione del primo tipo di disequilibrio si ottiene tramite trasferimenti diqualunque tipo o anche tramite riassegnazione del potere impositivo. La perequazionepropriamente detta (Bird e Smart, 2002) riguarda la riduzione (o eliminazione) del secondo tipodi disequilibrio. È evidente che i due aspetti sono nella pratica strettamente collegati, tuttavia èutile distinguerli concettualmente. È anche importante sottolineare che la perequazione tragiurisdizioni riguarda, o dovrebbe riguardare, la parità di trattamento di persone in condizionisimili e non il raggiungimento di un trattamento omogeneo per tutti gli individui sul territorionazionale, pur essendo i due elementi, anche in questo, legati.

Un’altra importante distinzione è tra perequazione lorda e netta; lorda quando gli enti sottouna certa soglia vengono perequati “verso l’alto” fino a raggiungere un valore in qualche mododefinito (media, etc..) e gli enti più ricchi semplicemente non ricevono nulla (Canada); nettaquando questi ultimi invece contribuiscono al fondo e quindi vengono “abbassati” alla sogliascelta (Australia). In questo ultimo caso, un aumento dei trasferimenti verso uno degli Stati vienecompensato automaticamente dalla riduzione del trasferimento ad un altro. Viceversa nel caso diperequazione lorda un aumento della disparità tra Stati si traduce in maggiori richieste difinanziamento perequativo al governo centrale.

52 Oltre che all’equilibrio nella ripartizione fra livelli di governo il termine viene a volte usato, anche in questo capitolo, conriferimento al disavanzo di bilancio del singolo ente.

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Le ragioni teoriche addotte per giustificare il trasferimento alle regioni più povere (o concosti maggiori) sono di efficienza fiscale e di equità. L’iniquità si crea quando il beneficio nettoche il singolo cittadino riceve dagli enti locali, cioè la differenza tra quanto paga di imposte e il“pacchetto“ di beni e servizi pubblici ricevuti, dipende dalla sua collocazione territoriale.L’inefficienza allocativa deriva dal fatto che la mobilità territoriale è legata ad incentivi di tipofiscale e non alla produttività (Shah, 2007; Boadway, 2007).

Altro aspetto invocato a favore della perequazione è la funzione di stabilizzazione svoltadallo schema. Infatti nella misura in cui la disponibilità di fondi perequativi consente al singolostato colpito da shock asimmetrico di rispondere in maniera tempestiva, lo schema perequativosvolge una auspicabile funzione di stabilizzazione (da notare che in questo caso si rientranell’ambito della funzione di stabilizzazione svolta dallo Stato centrale nella classificazione

musgraviana). Inoltre, bisogna tenere conto degli spill-over53 che possono indurre i governi locali

a sottofinanziare alcuni progetti o investire poco in certi settori54.Si noti che la teoria economica non sostiene la perequazione intesa come livellamento delle

condizioni interpersonali cioè il cosiddetto “trasferimento alla Robin Hood”. Per Buchanan (1950)anzi la perequazione non deve essere intesa in nessun modo come il contributo caritatevole dairicchi ai poveri, ma come un modo per rendere il sistema fiscale il più neutrale possibile rispettoalla mobilità del fattore lavoro al fine di migliorare l’efficienza del sistema. In effetti, perequare laspesa procapite in modo da “standardizzare” il risultato cioè portare tutte le regioni allo stesso

livello di servizi procapite55 della regione più ricca non ha senso da un punto di vista economico(Smart, 2005) perché, soprattutto in presenza di common pool delle risorse perequative,costituisce un disincentivo sia allo sforzo fiscale sia al contenimento delle spese (Bird e Smart,2002).

Da un punto di vista storico tuttavia è la solidarietà di solito la motivazione principale: la

perequazione intesa come colla delle federazioni per evitarne il dissolvimento56. Sul pianopolitico potrebbe essere conveniente fornire maggiori trasferimenti non tanto per ragioni

53 Ad esempio, può accadere che una Regione spenda più di altre per l’istruzione e poi i cittadini che ne hanno usufruitosi trasferiscono altrove. Come soluzione al problema degli spill-over è stato suggerito il concetto di “functional,overlapping, and competing jurisdiction” (Frey e Eichenberger, 1995 e 1999), che ha una valida applicazione pratica nellecomunità scolastiche del cantone di Zurigo in Svizzera e negli special districts degli USA.54 Tuttavia è necessario valutare adeguatamente le ragioni di arretratezza di una certa area. In presenza di fattori diproduzione più produttivi nelle aree limitrofe, trasferimenti che scoraggino la mobilità potrebbero essere (da un punto divista economico) inefficienti. Se invece le ragioni dell’arretratezza risiedono nella scarsità di investimenti infrastrutturali enella impossibilità locale di sostenerli, lo stesso trasferimento sarebbe efficiente. Inoltre, se esiste la possibilità diindebitamento per gli Enti Locali se ne deve tenere conto nella determinazione degli importi da perequare, considerandoche la gestione di tesoreria potrebbe far fronte a squilibri temporanei. Tuttavia la necessità di controllo e di no bail-outclause rende tale prospettiva difficile da praticare. Ad ogni modo, di norma il finanziamento delle spese in conto capitaleè distinto da quello delle spese correnti.55 Rao e Chelliah (1991) definiscono questo approccio “fiscal dentistry”, intendendo un’attività di riempimento dei gapindipendentemente da preferenze, attitudini e possibilità delle autorità locali.

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redistributive ma, ad esempio, a regioni in cui si concentrano alcune minoranze oppure alleregioni più ricche per evitare la spinta separatista. Tuttavia, sebbene molti paesi in passatoabbiano introdotto regole particolari per alcune regioni/stati, la loro presenza è contraria allospirito della perequazione. Infatti il loro status privilegiato viene finanziato dalle regioni ordinarie.Ne deriva che le regioni ordinarie più ricche devono pagare di più e le regioni ordinarie piùpovere ricevono meno, il che potrebbe incoraggiare ulteriori spinte secessionistiche (OCSE,2008). Anche queste problematiche devono essere valutate nella formulazione dello schemaperequativo che potrebbe prevedere specifici accordi. Tutto ciò evidenzia chiaramente comel’aspetto politico sia spesso predominante rispetto alle decisioni economiche. Il punto crucialecomunque si ha nel distinguere tra differenze volute, che rispecchiano scelte diverse delleamministrazioni e differenze legate a fattori non controllabili dal governo locale.

Una critica rivolta ai trasferimenti perequativi o meglio ai trasferimenti in genere è quellaofferta dalla public choice alla scarsa efficienza di queste soluzioni. L’aspetto più noto è forse il

cosiddetto effetto carta moschicida (fly-paper effect57: “the money stick where it hits”). L’idea,verificata empiricamente, è che i trasferimenti siano meno efficienti rispetto ad un aumento delreddito disponibile e dunque del ricorso alla leva fiscale locale.

Ovviamente questi discorsi si replicano nei confronti del livello subregionale. Per il quale sipossono seguire regole di perequazione diverse (Germania) oppure lo schema può essereapplicato simultaneamente a tutti i livelli (Austria).

56 Si consideri che dal 1975 quasi 40 paesi sono stati creati per scissione di stati unitari (Shah, 2007). Più in generale,spesso, i “separatisti” si fanno promotori sul piano politico e mantengono accesa la discussione sulla decentralizzazionedelle funzioni pubbliche.57 Uno dei risultati teorici in ambito neoclassico è che un trasferimento in somma fissa ad un gruppo di residenti èperfettamente equivalente, in tutti i suoi effetti allocativi e distributivi, ad un insieme di trasferimenti in somma fissa aisingoli membri di questo gruppo. L’osservazione empirica (Gramlich, 1977; Hines e Thaler, 1995) mostra, invece, che itrasferimenti in somma fissa hanno un effetto maggiore sulla spesa pubblica locale rispetto a quanto si otterrebbe da unaumento equivalente nel reddito dei residenti (e dunque da una maggiore disponibilità “tributaria”). Più nel dettaglio, studiempirici relativi agli USA (Gramlich, 1977) hanno mostrato che mentre un incremento del reddito individuale disponibiledi 1$ provoca un aumento della spesa locale di 0,05/0,1 cent, per ogni dollaro di trasferimento, vengono spesi invececirca 0,43 centesimi. Una possibile spiegazione di questo fenomeno è che gli elettori siano vittime di un’illusione fiscale:osservano solo il livello di produzione dei servizi e gli oneri fiscali e ignorano che le autorità di governo locale stannooffrendo il servizio ad un “prezzo” più basso grazie ai trasferimenti. Più di recente (Gamkhar e Oates, 1996, Oates, 1999)il termine è stato associato all'analisi della risposta della spesa pubblica locale a variazioni nei trasferimenti. In talecontesto, è stata evidenziata una asimmetria nella reazione agli aumenti piuttosto che alle diminuzioni dei trasferimenti(Darby,Muscatelli e Roy, 2004). In estrema sintesi, sembrerebbe che l'effetto di tagli ai trasferimenti sia sostanziale nelcaso di riduzioni consistenti, ritardato se la riduzione è scarsa. In generale, comunque l'impatto sull'imposizione fiscalelocale è inferiore rispetto all'effetto sulla spesa. Ciò sembra corroborare l'ipotesi che gli enti locali rinuncino a finanziaredeterminate spese se devono farlo attraverso un aumento delle imposte (Gamkhar e Oates, 1996; contro Gramlich,1987). Hines e Thaler (1995) argomentano più semplicemente che il fenomeno si spiega analogamente a quanto accadeai comuni cittadini: per i governi locali è più comodo spendere del denaro “caduto dal cielo” ("windfall revenues").

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7.4.2 Possibili modalità di perequazione

Si possono individuare almeno quattro diversi approcci alla perequazione tra giurisdizioni(Spahn, 2007) che possono coesistere (e di fatto molto spesso coesistono) nello stesso schema.

Una prima modalità è l’approccio generalizzato, in cui ogni unità è trattata nello stessomodo, spesso per dettato costituzionale (anche se le modalità redistributive potrebbero implicareuna qualche discriminazione). Di norma in questo caso esiste un unico fondo perequativo e unasola formula distributiva basata su un set uniforme di criteri. È l’approccio seguito ad esempio nelFinanzausgleich tedesco.

Una seconda possibilità è l’approccio asimmetrico in cui le unità da perequare hanno statuscostituzionali diversi. La maggior parte di esse segue lo schema generalizzato, ma per unnumero limitato di unità valgono altri criteri, ad esempio perché esse mancano di infrastrutture,etc. È un approccio molto comune soprattutto per la perequazione locale. Ad esempio, alcunistati tedeschi distribuiscono i fondi distinguendo per categorie di comuni. Più in generale, le cittàcapitali hanno di norma uno status speciale.

Un terzo approccio è quello elettivo. In questo caso la perequazione avviene in modoimplicito perché sono le unità bisognose a richiedere di partecipare alla distribuzione di fondi chevengono assegnati in base a requisiti specifici da soddisfare. In questo modo, lo stato centralepuò stimolare a livello locale le politiche che ritiene prioritarie. È l’approccio seguito negli StatiUniti.

Infine, si ha un approccio specifico quando lo stato centrale effettua pagamenticompensativi in favore delle regioni considerate “bisognose” in base a criteri da essodeterminati. Lo scopo è il raggiungimento di uno standard di servizi comune. È evidentemente unapproccio che pone l’accento sull’uniformità delle prestazioni più che sulla possibilità didifferenziazione tra giurisdizioni diverse.

7.4.3 Quanto perequare: il Transfer Pool

Sebbene da un punto di vista logico sia preferibile assegnare prima le funzioni e poi cercarele risorse necessarie, l’ammontare complessivo dei finanziamenti deve essere proporzionato allerisorse totali disponibili. Se il transfer pool viene individuato per via residuale, cioè come sommadelle quote perequative da destinare a ciascun ente, si rischia di mettere sotto pressionel’equilibrio del bilancio centrale. Inoltre, esiste un potenziale effetto deterrente per la crescitaeconomica, la movimentazione del reddito e lo sforzo fiscale dato da una “eccessivaperequazione” (Martinez-Vazquez e Boex, 2004). Mentre la scelta delle modalità di ripartizioneassume anche aspetti tecnici, la determinazione dell’ammontare di risorse da destinare allaperequazione è una questione più di natura politica che riguarda l’entità della riduzione delledisuguaglianza che si vuole ottenere. Può essere un importo definito annualmente(eventualmente tenendo conto dei progetti di spesa degli enti da perequare) oppure espresso

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come una certa quota del gettito erariale complessivo58 o di alcune specifiche imposte(Germania, Spagna, Austria); oppure essere determinato attraverso una formula che, in basealle caratteristiche delle giurisdizioni beneficiarie, provvede al rimborso di determinate spese (edunque l’importo complessivo non è predeterminato).

La determinazione annuale dell’ammontare del transfer pool è l’approccio più centralista. Èevidente che in questo caso la discrezionalità del governo centrale è massima: il sistema non ètrasparente, dipende dalle priorità del governo centrale ed in ogni caso deresponsabilizza gli entilocali perché se anche il governo centrale volesse cambiare le regole in base alle qualideterminare il livello delle entrate degli enti locali ogni anno, più difficilmente vorrà o potràmodificare annualmente le funzioni loro assegnate e quindi le loro necessità di spesa. Ne derivache l’efficienza della spesa locale e la scarsa qualità dei servizi possono essere agilmenteimputati alle inadeguate risorse fornite dal governo centrale senza che i cittadini abbiano modo diverificare le responsabilità. D’altra parte, si tratta di un sistema per sua natura molto flessibile, ingrado di indirizzare le priorità politiche senza modificare l’assegnazione delle funzioni di spesa e,se negoziato, consente agli enti locali di richiedere maggiori risorse più agilmente di quantopotrebbero fare rispetto ad una prescrizione costituzionale. Probabilmente per queste ragioni è ilsistema più usato soprattutto nei paesi in via di sviluppo e appare comunque consigliabile pertrasferimenti di tipo vincolato.

Il secondo approccio, quello della compartecipazione, comporta anch’esso alcunisvantaggi. L’importo così determinato risulta infatti sensibile ai cambiamenti nella politica fiscaleimpressi dal governo centrale; quest’ultimo poi potrebbe perdere vigore nel rigore di riscossionedelle imposte. Inoltre, vi sono i lag temporali nel trasferimento diversi a seconda che esso vengaeffettuato in base alle riscossioni o agli importi in bilancio. Infine, vi sono problemi di naturapolitica. Quali conseguenze si hanno se, ad esempio a causa di una avversa condizioneeconomica o per vincoli di bilancio comunque determinati, lo stato centrale è tentato di rivederequelle regole o interpretarle in senso più restrittivo ed unilaterale? Tuttavia se è prevista unaprocedura di negoziazione (e compensazione), come spesso accade (ad esempio in Germania eAustria) questi problemi, e in particolare l’incertezza delle risorse per gli enti locali, vengonomitigati.

Il terzo ed ultimo approccio per determinare il transfer pool è il rimborso dei costi. Adesempio, il governo centrale prende in carico gli stipendi degli insegnanti. Il vantaggio è rendere,in virtù della condizionalità, esplicito quanto il governo centrale vuole spendere in una certa area.Gli svantaggi sono la ridotta libertà di scelta degli enti locali, l’incentivo ad impiegare menorisorse locali in quel servizio e i costi amministrativi.

58 Parte della letteratura considera questa la scelta migliore, perché evita che il governo centrale sia tentato di orientarela propria politica fiscale verso un certo tipo di imposta in modo da ridurre i trasferimenti agli enti territoriali (Bird e Smart,2002).

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Quale che sia il metodo scelto, se le modalità di determinazione del fondo (o trasferimento)perequativo sono stabilite in Costituzione, l’incertezza degli importi per gli enti locali si riduce.Inoltre, il fondo potrebbe svolgere una funzione di salvaguardia e stabilizzazione nella misura incui esso consenta la formazione di avanzi che possano compensare eventuali disavanzisuccessivi (rainy day funds).

7.4.4 Che cosa perequare

La differenziazione tra giurisdizioni può dipendere o da una minore capacità fiscale, legataad una più scarsa base imponibile disponibile (a parità di sforzo fiscale), o da differenze nelfabbisogno legate ad una diversa distribuzione dei bisogni di spesa o a maggiori costi per lafornitura dei servizi. Un sistema perequativo può essere rivolto a colmare il primo tipo didifferenze (capacità fiscale) o il secondo (bisogno) o entrambi. La scelta dipende ovviamentedalle preferenze politiche ma anche da valutazioni tecniche.

La complessità dei sistemi deriva in buona parte dalle difficoltà di misurazione che puòessere amplificata dal fatto che la finalità perequativa perseguita può variare a seconda dellafunzione e dunque si possono avere programmi basati su modalità diverse all’interno dellostesso schema perequativo.

Capacità fiscale e fabbisogni sono due concetti, oltre che di sfuggevole definizione, didifficile quantificazione e con un potenziale implicito di discrezionalità che ha prodotto risultatianche molto diversi a seconda del paese che ha proceduto alla quantificazione.

In termini generali (Ma, 1997), esistono quattro tipi di formule perequative chepresuppongono la definizione e la stima di almeno una delle due grandezze succitate.

A) Sola capacità fiscaleSe si tiene conto della sola capacità fiscale il lato della spesa viene tralasciato e dunque si

ipotizza implicitamente che i costi di fornitura dei servizi di interesse locale siano uguali per tuttele giurisdizioni da perequare. Se ragionevolmente lo sono, è chiaro che questo sistema vieneprescelto. È il caso ad esempio del Canada e, in buona parte, della Germania. Oppure si ipotizzache i bisogni di spesa siano omogenei o, in parte, meno da tutelare.

L’espressione “capacità fiscale” dovrebbe esprimere l’abilità del governo locale araccogliere gettito sul proprio territorio. Si potrebbe allora pensare che le imposte raccolte in unadeterminata area possano essere considerate una proxy valida. Tuttavia aliquote effettivediverse, evasione ed elusione influenzano questi importi attraverso lo sforzo fiscale mentre lacapacità fiscale potenziale è collegata alla struttura economica e dalla disponibilità di imponibile.Un calcolo errato influenza la possibilità di fruizione dei servizi da parte della popolazione localee la condotta dei governi locali nel mantenere e/o aumentare la copertura e la qualità dei serviziofferti.

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A grandi linee la scelta è tra un approccio basato su grandezze macroeconomiche o unapproccio micro. Nel primo caso, si ricorre a misure quali il reddito da fattori produttivi, il redditopersonale disponibile, il PIL regionale eventualmente aggiustato per tenere conto della struttura

economica della giurisdizione59 (per esempio prevalenza di economia agricola) o il redditolocale, l’ammontare delle vendite al dettaglio,… in sostanza qualunque misura aggregata che siritenga appropriata per fornire indicazioni sull’economia della Regione. L’ovvio svantaggio di unaapprossimazione di questo tipo è che esso trascura lo sforzo che il singolo ente deve fare perraccogliere le entrate, sforzo che può variare in modo anche consistente. In ogni caso, sono tuttemisure approssimative della capacità degli enti locali di riscuotere imposte e che, tra l’altro,dipendono in modo cruciale da una tempestiva disponibilità ed affidabilità dei dati (Shah, 2007).Ciò nonostante il Brasile e l’India utilizzano questi macroindicatori e il dibattito sulla possibilità diintrodurli in Canada è molto serrato almeno a livello accademico.

In alternativa all’approccio macro, si può misurare il reddito fiscale calcolando quanto ilsingolo ente potrebbe ottenere applicando a tutte le sue fonti di entrata l’aliquota media

nazionale60. Questo calcolo richiede l’individuazione della base imponibile di riferimento, dinorma escludendo tasse di modesto importo, e dunque procedure di report tempestivo. Si devepoi stabilire l’aliquota standard da applicare che potrà essere quella effettiva nazionale o unamedia delle aliquote effettive di tutte o alcune delle giurisdizioni. La capacità degli enti menoabbienti viene poi portata al livello mediano, medio o comunque deciso, attraverso i trasferimentiperequativi.

Se le diverse fonti di entrata vengono considerate separatamente, e si applica a ciascunauna diversa modalità di calcolo a seconda della struttura dell’imposta, si ha uno schema notocome Representative tax system (RTS), ed è forse l’approccio più sofisticato. Si ottiene così unsistema fiscale ipotetico che rappresenta tutte le imposte applicate dagli enti locali e non èinfluenzato dalla politica fiscale del singolo ente, né quest’ultimo potrebbe influenzarne la

rilevazione modificando la propria politica fiscale61. Si noti che a seconda dell’imposta il singolo Stato potrebbe essere capiente o incapiente

ed è solo la somma dei vari saldi che determina se lo Stato in questione sarà beneficiario o non.

59 Un problema che assume crescente importanza, e molto dibattuto in Canada e Norvegia, è la diversa distribuzionedelle risorse naturali. Se questo aspetto non viene incluso nelle caratteristiche del sistema ne deriva una disparità ditrattamento tra regioni nella misura in cui le diverse unità risultano più povere di quanto in effetti non figurerebbero se sitenesse conto delle entrate da risorse naturali.60 Non quella effettiva della giurisdizione: in questo modo si evita che quelle ad ampio sforzo fiscale vedano decrescereil proprio trasferimento perequativo.61 In pratica per ciascuna imposta si calcola il rapporto tra la base imponibile complessiva e la raccolta complessiva(eventualmente distinguendo in sottocategorie) ottenendo l’aliquota rappresentativa di quell’imposta. Questa aliquotarappresentativa viene poi applicata all’imponibile delle diverse Regioni ottenendo la Capacità fiscale. Il valore procapite diquest’ultima diviso per la media nazionale fornisce l’Indice di capacità fiscale il cui valore nazionale è 100. Lo sforzofiscale si ottiene allora rapportando la raccolta effettiva procapite alla capacità fiscale rappresentativa procapite.

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È evidente che in paesi con forti disomogeneità territoriali è un sistema difficilmente attuabile sulpiano politico.

Ha tuttavia il vantaggio di essere molto semplice da implementare perché richiede pochidati: sono sufficienti quelli fiscali.

In simboli,

EQi = Pi (IMP/P – IMPi /Pi ) t

con P, Pi popolazione totale e regionale; IMP, IMPi imponibile totale e regionale e t, rapporto

tra l’aliquota media effettiva del paese e l’imponibile complessivo. All’interno della parentesi,quindi, si trova la differenza tra l’imponibile medio procapite nazionale e quello della Regione i.

In sostanza, si tratta di portare la capacità fiscale delle Regioni più svantaggiate alla medianazionale.

B) Solo bisogni Se non vi sono significative differenze nella distribuzione dell’imponibile o se l’autonomia

fiscale degli enti locali è comunque scarsa, è ragionevole valutare i soli bisogni di spesa perdeterminare la ripartizione del fondo perequativo. È il sistema usato in Italia prima delD.Lgs. 56/2000, in Spagna e in India. Il fabbisogno di spesa può essere determinato “dall’alto”oppure discendere in modo più oggettivo dai bilanci locali. In genere si tratta delle due modalitàinsieme. Forse paradossalmente la decisione dall’alto appare più trasparente rispetto all’impiegodi tecniche più sofisticate di valutazione. Tuttavia i governi centrali sono di norma riluttanti adeterminare lo “standard minimo” (Lotz, 2007).

La scelta degli indicatori varia molto in base alle caratteristiche storiche, politiche e socialidel paese. Possibili indicatori di bisogno, eventualmente pesati magari d’accordo con gli entilocali, sono il reddito procapite, l’incidenza della povertà, alcuni fattori demografici, il tasso didisoccupazione, il tasso di istruzione, le caratteristiche del territorio, etc.. Anche per quantoriguarda i bisogni, al di là della definizione politica di un minimo standard, si può discutere se sianecessario perequare in maniera piena.

Spesso infatti, le differenze nei costi62 dei servizi dipendono da (mancate) economie discala o comunque dalle caratteristiche della funzione di produzione degli stessi. Prevedere delle

62 In effetti è necessario tenere ben distinti gli scostamenti nei costi dalle differenze nella funzione di spesa. In generale,la stima della funzione di costo è relativamente più semplice per quei servizi locali che hanno un corrispondente neiservizi privati (fornitura idrica, raccolta rifiuti…) e più complessa per i beni pubblici (istruzione, ordine pubblico,…).Tecnicamente (Reschvoski, 2007) esiste un problema di simultaneità tra la decisione di spesa e l’aumento dell’output e lanecessità di tenere conto delle eventuali inefficienze di spesa. Mentre il primo problema potrebbe risolversi ricorrendo aduna stima a due stadi, tecniche statistiche più complesse (analisi della frontiera stocastica, data envelopment analysis(DEA)) sono necessarie ma non sufficienti per risolvere in modo adeguato il secondo, in quanto i risultati rimangonofortemente dipendenti dalla specificazione del modello (Street, 2003). Si ricorre di solito alla stima di una funzione ridottadella spesa in cui, come nella funzione di costo, la variabile dipendente è la spesa procapite per un determinato servizioe la variabile indipendente non comprende però nessuna misura di output pubblico (Reschvoski, 2007).

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compensazioni comporta allora il rischio di favorire comportamenti opportunistici legati ad unmancato stimolo a rivedere l’efficienza della propria struttura di costi. Ad esempio, piccoli comuniperdono l’incentivo a fondersi, etc…o comunque a non utilizzare tecnologie che riducano i costi(OCSE, 2002). In particolare, l’effetto perequativo di programmi cosiddetti matching grant puòessere discutibile. Anche perché, se i trasferimenti perequativi sono vincolati, oltre a minare lalibertà della politica di spesa degli enti locali, si rischia di rendere il sistema meno efficiente acausa delle operazioni di controllo e del carico amministrativo ad esso connesso. Per tale motivoè auspicabile che, una volta definito lo standard da fornire, il governo centrale si limiti a metterein grado gli enti locali di raggiungerlo se lo desiderano. Ciò naturalmente porta a problemi diomogeneità di trattamento a livello nazionale che potrebbero non essere trascurabili. Tuttavia latendenza è a non vincolare i trasferimenti perequativi (OCSE, 2008).

Il concetto di bisogno, dal punto di vista fiscale, si pone come un problema di misurazione.Le difficoltà sono anche maggiori che nel caso della capacità fiscale perché è necessario intantodarsi un riferimento standard, poi valutare tutti gli elementi che incidono sul costo e anche tenereconto delle possibili risposte comportamentali degli enti locali. Nonostante tutte queste difficoltàmolti tentativi sono stati fatti.

Essi muovono principalmente in due direzioni: le tecniche che non fanno riferimento allespese effettive e quelle che invece vi fanno riferimento. Le tecniche del primo tipo sono lavalutazione ad hoc e la aggregazione statistica delle variabili. Seguono invece il secondo

approccio63, il regression based cost approach e il representative expenditure system64.

Ciascuna tecnica65 ha vantaggi e difetti che verranno esaminati brevemente.Nell’ambito del primo approccio, la valutazione ad hoc richiede la determinazione

arbitraria66 (o per negoziazione) dei fattori e dei pesi da utilizzare per il computo del fabbisognodi spesa. Ad esempio, in Cina si usano il numero di dipendenti pubblici, in Germania la

63 Il riferimento alla spesa storica rientra in questa categoria. In generale, l’effetto della sua introduzione produce unproblema di chicken and egg nel senso che l’andamento passato della spesa influenza il fabbisogno odierno. Solo unadecisione imposta dal governo centrale potrebbe risolvere in modo più drastico il problema, ma questa soluzione apparepoco praticabile politicamente.64 In effetti questo schema può seguire due impostazioni: teorico o con imputazione diretta dei costi. Per una descrizionedel primo si veda Shah (2007).65 Esistono ovviamente altre tecniche di valutazione dei costi. Si può ad esempio fare cenno all’Activity based costingnormalmente utilizzata nelle aziende. Si individuano dei “centro di costo” a cui si assegnano pro quota le spese legate aivari programmi. È una tecnica che consente una verifica ex post, che può essere utile per la programmazione successivae per valutare la performance. Era usata nel Regno Unito per lo Standard Spending Assessment (cfr. oltre). Altra tecnicaè l’ Analysis by structure: dopo aver definito l’output da ottenere, si valuta la struttura dei costi per ricercare le eventualisovrapposizioni che generano sprechi e aumentare così l’efficienza. Si associa a periodiche zero-based review dei costi(si ricalcola il costo da zero, per depurare la stima dall’effetto incrementale inerziale). Infine, la Cost driver analysisassocia i costi alle aree e ricerca i fattori specifici che provocano aumenti nella spesa.66 Ad esempio, la spesa media procapite eventualmente ponderata. È il caso della Georgia che definisce il Quality BasicEducation Transfer in base alle disponibilità di bilancio con una decisione centrale sul bisogno. Nel 2005 i distrettiscolastici hanno ricevuto 1.600 dollari per studente iscritto (con qualche aggiustamento per tenere conto del “tipo” distudente) (Boex e Martinez-Vazquez, 2004).

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popolazione corretta per la densità, ma possono essere utilizzate anche misure più specifichecome la lunghezza delle strade, la percentuale di area rurale, etc…a seconda della funzione di

spesa che si vuole valutare.67 In Danimarca il riferimento è al cosiddetto “indice socio-

economico” che comprende una serie di indicatori fissati per legge68, tra cui il numero di pazientipsichiatrici (Mau, 2007). Anche in Francia buona parte dei trasferimenti indipendenti vengono

distribuiti in base a valutazioni ad hoc69. La logica sottostante questo approccio è l’assenza diuna relazione lineare tra il fabbisogno e una qualunque variabile esplicativa. Ad esempio, ladensità abitativa può influire sui costi in entrambe le direzioni: garantendo economie di scala maanche facendo aumentare i costi. Si tenta quindi di legare in modo diretto il fabbisogno allecaratteristiche della giurisdizione, di solito con l’ipotesi che i bisogni siano gli stessi per ciascunabitante. La scelta delle variabili può anche riflettere le priorità politiche nazionali. Ad esempio,volendo favorire l’insediamento rurale la popolazione residente delle campagne potrebbe essereconsiderato un fattore di rilievo. Si tratta quindi di un sistema che fornisce risultati relativi: quantocioè una determinata giurisdizione ha più bisogno rispetto ad un’altra, il che si riflette nelladeterminazione del transfer pool.

L’aggregazione statistica delle variabili è la seconda tecnica che non fa riferimento allaspesa effettiva. Al contrario della valutazione ad hoc, che cerca di restringere il più possibile ilnumero dei parametri di riferimento, essa tende ad utilizzare la maggior parte possibiledell’informazione statistica disponibile. Le variabili individuate vengono poi ridotte attraverso

l’analisi delle componenti principali (o tramite l’analisi fattoriale)70. L’interpretazione della variabiliortogonali così ottenute, essendo per sua natura non priva di soggettività, rende complessa la

67 Una misura particolare è utilizzata in Canada per la distribuzione provinciale: si assume che la spesa standard deicomuni di una certa classe sia funzione della popolazione totale ivi residente e si ottiene una tavola della spesa standardprocapite per classe di popolazione attraverso una regressione. 68 In effetti, la legge stabilisce che vi siano tre condizioni per accettare un criterio: 1. ragionamento o causalità, 2.indipendenza da influenze esterne (e segnatamente dagli enti locali) e 3. misurabilità, quest’ultimo non sempre rispettato.69 Gilbert e Guengant (2005) mostrano che la scelta dei fattori e dei pesi non presenta praticamente alcun legame con ifattori e i pesi individuati invece dall’analisi econometrica dei costi, suggerendo quindi che la scelta dipenda più che altroda una valutazione di tipo politico.70 L’analisi fattoriale è una tecnica di statistica multivariata in grado di sintetizzare le informazioni contenute in unamatrice di dati Xn×m mediante combinazioni lineari ponderate di queste ultime, che vengono dette fattori principali. L’ideadi fondo è quindi che un fattore latente, e quindi per sua natura non misurabile direttamente, si possa approssimareutilizzando variabili misurabili e disponibili ad esso correlate. Si utilizzano quindi gli indici di correlazione tra le variabiliosservate per ricostruire la struttura delle correlazioni tra queste ultime e la variabile latente. I fattori principali possonopoi essere utilizzati per calcolare i valori da attribuire alle singole giurisdizioni e quindi per ottenere un ordinamento dellestesse lungo le nuove dimensioni così individuate, diverso e più preciso rispetto a quello che si otterrebbe utilizzando unaqualunque delle variabili di partenza. Un’alternativa comune al metodo dell’analisi fattoriale è l’analisi in componentiprincipali (ACP). Entrambi i metodi fanno riferimento ad uno stesso modello matematico, ma mentre l'ACP analizza lavarianza totale delle variabili non distinguendo tra varianza comune e varianza specifica, l'analisi fattoriale analizza solola prima. In pratica, per l'ACP tutti i fattori sono “comuni”, nell' analisi fattoriale invece la varianza comune deve esserestimata. È opportuno tuttavia sottolineare la debolezza principale del metodo e cioè che esiste più di un modo di calcolarei fattori principali, ma non ne esiste nessuno per sapere quale di essi è quello giusto.

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definizione dei risultati. Si può a questo punto realizzare un indice di bisogno (relativo) usando ipunteggi standard delle componenti principali come pesi per le variabili in esame. Di nuovo ci siritrova con una misura di bisogno relativa.

Se invece l’approccio adottato ai fini della valutazione dei bisogni è quello di tenere contodella spesa effettiva allora le tecniche possibili sono, come accennato, principalmente due: ilrepresentative expenditure approach o metodo del costo standard e la regressione.

La prima tecnica segue la logica del sistema fiscale rappresentativo e la applica al lato della

spesa ottenendo un ipotetico sistema rappresentativo di costi71. L’ipotesi è che ad ogni unitàfisica dei fattori di carico sulla spesa corrisponda una quota standard di spesa media (o di “spesanecessaria” stabilita per via normativa). Implicitamente, quindi, si ipotizza l’assenza di economiedi scala o di scopo e cioè che il costo unitario di produzione sia costante. La spesa standard è ilrisultato della moltiplicazione della spesa media unitaria per i fattori di carico osservati (di solitocaratteristiche socio-demografiche o fisiche). Se nella giurisdizione in esame risulta una spesaprocapite standardizzata superiore alla media allora essa si qualifica per i trasferimentiperequativi (eventualmente il fattore di carico può essere pesato per un indice di costo degli

input). Operativamente72 (Regno Unito, cfr. oltre) la spesa viene divisa in categorie73 perciascuna delle quali si effettua una stima separata. Di norma la spesa capitale viene esclusa dalcomputo, anche per rispettare il principio del beneficio delle generazioni attuali. Il transfer poolviene poi allocato in base a questi indicatori di bisogno.

Quando le differenze tra giurisdizioni sono soprattutto legate a motivi strutturali questo è unmetodo particolarmente adatto. Esso presenta inoltre il vantaggio di poter calcolare sia il bisognorelativo sia quello assoluto dal momento che fa riferimento alla spesa effettiva. Tuttavia proprio ilriferimento alla spesa media potrebbe comportare problemi di incentivi per la distribuzione deltransfer pool comune. Questa tecnica presenta l’ovvio vantaggio di essere relativamente

71 Una tecnica leggermente più complessa da applicare è quella del Representative exempenditure system teorico. Laspesa potenziale pro capite del singolo ente viene calcolata in base ai suoi fattori di bisogno rispetto alla capacità fiscalemedia nazionale; si calcola poi la spesa in base ai fattori di bisogno medi nazionali e capacità fiscale media nazionale. Ladifferenza tra i due è la quota perequativa assegnata per ciascuna funzione di spesa. La somma delle varie quotecostituisce il trasferimento finale. Ne deriva che anche il pool da trasferire risulta così determinato. Il vantaggio delsistema, per quanto complesso, è nella sua oggettività: i pesi relativi assegnati ai fattori di bisogno sono basati sull’analisieconometrica. La complessità pratica di questo sistema è tale che la Commonwealth Grant Commission australiana, chepure lo aveva considerato, ha finito per optare per un diverso è più arbitrario sistema. In pratica, si limita a perequare ciòche gli Stati hanno in effetti speso.72 Più nel dettaglio, si tratta di identificare i fattori di costo per funzione di spesa e i fattori di carico (diversi dal costo deifattori di produzione) necessari per fornire un determinato livello di servizi. La spesa locale per ciascuna funzione dispesa è quindi moltiplicata per ogni fattore di carico locale. Si ottiene così la spesa che avrebbe affrontato il singolo enteper fornire il set minimo (comunque stabilito) di servizi. Questo valore viene aggiustato in base al costo relativo dei fattoridi quella funzione di spesa. Dalla somma dei totali parziali per funzione si ottiene il costo del pacchetto di spesa standardche viene indicizzato alla spesa totale locale procapite per ottenere infine l’indice di bisogno di ciascun ente.73 Da un punto di vista pratico, riguardo alla disponibilità di dati a livello comunale, potrebbero aversi problemi diviolazione della privacy nella misura in cui determinate statistiche rendessero identificabili le unità statistiche.

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semplice da attuare e da presentare ai contribuenti. Inoltre, essa richiede, e quindi favorisce, ildialogo istituzionale tra le unità di governo anche ai fini della concertazione sui costi standard edei criteri di efficienza. Tuttavia, data l’ipotesi di costi unitari di produzione costanti, esso trascuraper sua natura la variabilità degli stessi con ovvie ricadute sui computo dei bisogni di spesa.Infine, non considera neanche i fattori che possono influenzare i costi dal lato dell’offerta deiservizi. Ad esempio, i maggiori costi di fornitura dei servizi nelle aree depresse non vengonoaffrontati (OCSE, 2008).

L’ultima tecnica per la valutazione dei costi che fa riferimento ai costi effettivi utilizza l’analisieconometrica (regression based approach). Il fabbisogno di spesa locale è misuratodall’ammontare necessario a fornire un pacchetto standard di servizi. Attraverso unaregressione vengono identificate le variabili indicative del bisogno ed i pesi loro associati chespiegano meglio le differenze di spesa osservate. Di norma si tratta di variabili socio-economichee territoriali, ma diversamente dal representative expenditure system, si possono prendere inconsiderazione anche indicatori dal lato dell’offerta come le economie di scala o di scopo. Inoltre,nella regressione si possono anche considerare le differenze nei costi unitari di produzione.Tuttavia, la tecnica risente dei problemi comuni a tutte le stime econometriche: problemi dimulticollinearità possono rendere ambigui i risultati; è difficile individuare le endogeneità inparticolare quelle legate all’influenza della spesa storica su quella attuale; potrebbe non esserepossibile porre rimedio ad alcuni di questi problemi a causa della mancanza di variabilistrumentali adeguate o sufficientemente documentate. Il ricorso a tecniche econometriche piùsofisticate o a tecniche statistiche diverse come l’analisi fattoriale potrebbe mitigare questiproblemi, ma renderebbe l’analisi ancora più tecnica e quindi difficile da presentare agli agentipolitici e ai contribuenti. Si consideri che in Svezia, ad esempio, il sistema si basa su diecidifferenti modelli econometrici che utilizzano decine di variabili di costo per determinare itrasferimenti perequativi annuali (OCSE, 2008). Si noti, inoltre, che questa tecnica è stataabbandonata nei Paesi Bassi agli inizi degli anni novanta perché i risultati prodotti eranoconsiderati iniqui rispetto all’osservazione oggettiva, la relazione tra i criteri di allocazione e ibisogni appariva poco chiara e plausibile e non si riuscì a trovare una accettabile e condivisacorrezione econometrica (per il sistema adottato attualmente si veda il paragrafo 7.5).

Quale che sia l’approccio seguito si vede che la procedura prevede diversi elementi dinegoziazione politica.

Lo standard minimo La definizione dello standard minimo è una fase molto delicata nella strutturazione dello

schema di perequazione ed è particolarmente sensibile alla discussione politica. È necessarioinfatti stabilire intanto quali sono i servizi minimi (per categorie di enti locali o per un panierestandard di beni e servizi) e poi valutarne il costo standard. Una semplice soluzione consiste nel

richiedere74 il parere di esperti75. Si stabiliscono norme minime sullo standard da raggiungere, adesempio il numero di ospedali. In genere questo approccio, che era poi quello usato nella ex

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Unione sovietica e tuttora in uso in diversi stati degli USA per determinare ad esempio il costoper un’istruzione “adeguata”, produce una pletora di norme tese a dettagliare lo standardrichiesto (nella ex URSS anche le quantità di cibo da fornire negli ospedali) che poi non vengonoeseguite perché troppo complesse, ma utilizzate per richiedere maggiori fondi (Boex e Martinez-Vazquez, 2004). Inoltre, l’ammontare teorico di spesa richiesto potrebbe non essereeconomicamente sostenibile per il bilancio centrale (o per il transfer pool). Il sistema è inoltredata intensive, e quindi complesso da gestire e, in ultima analisi particolarmente soggetto arivendicazioni politiche (Lotz, 2007). È comunque relativamente diffuso, ad esempio è utilizzato,almeno parzialmente, in Svezia, Danimarca, Paesi Bassi, Germania e Giappone.

Un’alternativa è basata sull’analisi empirica dei bilanci locali. Tuttavia i problemi tecnici (nonultimi problemi di multicollinearità e variabili omesse) legati alla necessità di tenere conto dellediverse caratteristiche degli enti interessati rendono questa alternativa, che sembrerebbe piùoggettiva, difficile da gestire e, soprattutto, da comunicare agli elettori.

C) Formula mista: fiscal gapRapportare la raccolta fiscale al costo da sopportare e quindi anche al “bisogno” (anche se

più complesso) è il sistema più seguito. Seguendo questa impostazione76 si ottiene in terminigenerali una formula del tipo:

dove la capacità fiscale della Regione i è ottenuta come differenza tra due componenti, una di

entrata e una di costo. Nella prima parentesi, Bji è la base imponibile di ciascuna imposta j nella

Regione i e tjs è l’aliquota standard della stessa imposta. Il numero totale delle imposte è

R (j= 1…R). Nella seconda parentesi, Eki rappresenta la categoria di spesa k nella Regione i e

cks è il costo standard corrispondente. Il numero totale delle categorie di spesa è Z (k=1…Z).

Si tratta di formule che richiedono la disponibilità di molti dati. In effetti, richiede di tenere conto

74 Più banalmente ci si potrebbe riferire alla media nazionale quando non esistono disparità notevoli, o alla mediana masi tratta di una misura imprecisa e comunque non immune da elementi di arbitrarietà.75 Al di là del problema della capacità e affidabilità degli esperti che potrebbero essere affrontato tramite una opportunaprocedura di selezione esiste anche quello del loro expertise: un ingegnere potrebbe individuare la migliore opzione daun punto di vista tecnico che però potrebbe non essere ottimale da un punto di vista economico. Queste valutazioni sonocomunque utili ai fini della determinazione del costo medio per la fornitura del servizio. Devono però essere integrate davalutazioni relative alle diverse caratteristiche dei governi locali.76 Esso è stato sviluppato dalla United States Advisory Commission on Intergovernmental Fiscal Relations nel 1986, cheha anche sviluppato la metodologia per l’RTS nel 1962. Per una panoramica su entrambi i sistemi si veda Rafuse (1990).

( ) ( )⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡−⎥

⎤⎢⎣

⎡= ∑∑

==

z

k

ik

sk

j

ij

sj

i EcBtCFISC11

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anche del fatto che la spesa locale potrebbe essere stata finanziata anche tramite trasferimentispecifici, quindi si avrebbe:

dove Bi è il bisogno fiscale della Regione i, CAPfisci è la capacità fiscale della stessa Regione e

ATRi rappresenta eventuali altri trasferimenti specifici ricevuti dallo Stato. Questo è il tipo diformula più complesso perché incorpora tutte le difficoltà sopra ripercorse sia dal lato della spesache delle entrate. È ad esempio il caso di Australia, Giappone e Regno Unito.

D) Perequazione interpersonaleUn sistema più generale è non tenere conto delle giurisdizioni: vengono perequate le

condizioni dei cittadini. Si ottiene quindi una perequazione sui risultati indipendentemente dalledifferenze tra giurisdizioni in termini di preferenze, costi, necessità di spesa e capacità fiscale.

Schematicamente:

EQi= Pi (TEQ/P)

Dove Pi è la popolazione degli aventi diritto regionale, TEQ è l’ammontare complessivo dei

trasferimenti perequativi e P, la popolazione degli aventi diritto nel paese. In questo caso,trasferimenti perequativi procapite uniformi non possono perequare interamente le posizioni masolo mitigare le disparità regionali nella capacità fiscale. La formula è di molto sempliceapplicazione, soprattutto per quanto riguarda i dati necessari.

Questo sistema, quando è l’unico applicato, snatura il concetto di federalismo perché inpratica non permette differenziazione tra le regioni, anche perché lo standard da perequare deveallora essere necessariamente imposto dal governo centrale. Di solito, si usa relativamente adalcune funzioni ritenute fondamentali come l’istruzione e la sanità. È utilizzato in Germania (perl’IVA) e, per la distribuzione di alcuni fondi, in Canada, India e Inghilterra.

Da quanto descritto si desume che la definizione di uno standard sulla capacità fiscale, unavolta raggiunto un accordo politico, è relativamente più semplice da implementare rispetto aduno schema di perequazione dei bisogni. La semplice scelta dei parametri da valutare infatti nonè scevra da considerazioni soggettive e l’uso di tecniche più oggettive, quali la regressione sullaspesa storica, può comunque non essere adatta quando la funzione in questione sia soggetta acambiamenti tecnologici o incorpori elementi dinamici.

Ciò potrebbe rendere più conveniente adottare uno schema perequativo della capacitàfiscale accompagnato da trasferimenti specifici relativi ai bisogni per singole categorie di spesacalibrati in base a standard minimi definiti a livello nazionale.

ATRCAPfiscBEQ iii −−=

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7.4.5 La “gestione” della perequazione

Quale che sia l’approccio adottato, si ricava una formula di ripartizione per il fondo

perequativo77 che deve essere monitorata ed eventualmente adattata a mutate esigenze. Alcuni

paesi hanno istituito78 una Commissione indipendente permanente79, che ha il compito dimonitorare l’evoluzione dei costi e delle entrate nonché di adattare la formula perequativa asopravvenute esigenze di natura socio-politica. L’indipendenza di questo organo dal governo hail suo punto debole nella minore capacità di pressione che esso può esercitare nella richiesta deidati alle autorità competenti. Inoltre, dal momento che le uniche formule accettabili sono poiquelle politicamente sostenibili, in mancanza di questo requisito si rischia che la propostadell’organismo indipendente, per quanto autorevole, rimanga lettera morta oppure subiscaadattamenti tali da snaturarne la funzione. Critiche sono state anche poste all’ingombro

istituzionale di queste agenzie80 che occupano spesso molti dipendenti (Shah, 2005) ma nonsembra che il numero di funzionari che si occupano della perequazione all’interno dei ministerisia significativamente diverso (OCSE, 2007).

Esistono anche modalità meno formali come la Commissione finanziaria danese, ilConsiglio per le relazioni finanziarie olandese o anche, nel caso giapponese, un processo dinegoziazione interno al governo centrale in cui gli interessi delle autorità locali sono difesi dalMinistro degli Interni (Mochida, 2007).

7.5 LA PEREQUAZIONE NELLA PRATICA DEI PAESI UE27

Il questionario OCSE somministrato ai membri del Network on fiscal relations across levelsof government nella primavera 2006 aiuta a gettare luce su tutti questi argomenti (Blöchliger etal., 2007). I rispondenti sono stati invitati a fornire dettagli su quei trasferimenti che prevedevanomaggiori ammontari per enti con capacità fiscale al di sotto della media o costi superiori allamedia, anche se la distinzione in alcuni paesi non è così semplice. In particolare, il questionariosi sofferma su tre elementi che consentono (Dafflon e Vaillancourt, 2002) di dare una valutazionecomplessiva del fenomeno e che sono peraltro stati descritti in precedenza: l’entità deitrasferimenti perequativi, il tipo di disuguaglianza che il sistema si propone di ridurre e il contestodi rapporti finanziari intergovernativi entro cui la perequazione si inserisce.

77 Questo a sua volta potrebbe essere vincolato anche solo settorialmente, ma di solito si tratta di trasferimenti generali.78 Le possibili modalità alternative sono discusse in Shah, (2005).79 L’esempio più noto è quello della Commonwealth Grant Commission australiana, ma esiste anche in India dove perònon è permanente e si riunisce solo quando devono essere ridefinite le quote. Organismi incaricati di valutare i costistandard vi sono anche in Danimarca, Svezia, Canada e Regno Unito. 80 Tuttavia potrebbe crearsi un problema del tipo principal-agent: l’agenzia ha un incentivo ad esagerare le difficoltà delproprio compito allo scopo di aumentare l’importanza del proprio ruolo (OCSE, 2007).

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La media dei trasferimenti nell’area OCSE è risultata pari al 2,3% del PIL. Questo datorispecchia la volontà politica di fornire servizi omogenei sul territorio nazionale e l’autonomiafiscale degli enti locali. Tra i rispondenti dell’Unione Europea, la Spagna è l’unico paese adattuare programmi di perequazione dei soli costi mentre tutti gli altri adottano entrambi gli schemie, per misurare la capcità fiscale, utilizzano prevalentemente il metodo RTS.

L’effetto perequativo è in media significativo: si ottiene una riduzione delle disparitàterritoriali di circa due terzi; in alcuni casi la riduzione è virtualmente completa (Australia,Germania, Svezia).

Nella pratica UE i sistemi più complessi di perequazione sono quelli adottati dai paesifederali. Essi sono di norma finanziati tramite compartecipazione. In particolare, in Germania, ilfondo è ripartito con un meccanismo complesso con una prima fase di perequazione verticaleseguita da due orizzontali. Esiste poi un sistema specifico per ciascun Land nei confronti deipropri Comuni (cfr. oltre). In Belgio esistono due strumenti di perequazione verticale. Il primoridistribuisce l’IVA e il secondo (“Intervento di solidarietà nazionale”) è finanziato con partedell’imposta personale sul reddito. La perequazione orizzontale è molto limitata e ciascunaregione (a partire dal 2001) ha un suo schema perequativo da applicare ai propri comuni.

Diverse riforme hanno interessato negli ultimi anni i sistemi perequativi dell’UnioneEuropea. Un aspetto significativo è la valenza solidaristica di questi interventi, infatti spesso lerelative dotazioni contengono la parola solidarietà nella denominazione. Ciò è particolarmenteevidente nei paesi scandinavi dell’Unione. Dal 2005, in Svezia lo Stato finanzia per il 90% ilfondo di perequazione delle risorse fiscali che prima della riforma era interamente a carico delleautorità locali (e quindi orizzontale). Alla perequazione orizzontale è lasciato lo schema diperequazione di costi e tariffe teso a perequare le disparità strutturali nella fornitura dei servizi.

7.5.1 Tre esempi

Alcuni paesi applicano schemi molto complessi, in particolare per la valutazione dei bisogni(Regno Unito, paesi scandinavi), altri seguono schemi meno complicati (Paesi Bassi, Belgio) ealtri ancora utilizzano poche grandezze, e segnatamente la popolazione, come riferimento

principale (Spagna81, Germania). Appare utile descriverne qualcuno più nel dettaglio. In particolare, il Regno Unito utilizza un sistema molto complesso per la valutazione dei

bisogni di spesa locali82 a fronte di uno schema di finanza locale ridotto in pratica ad un’unicaimposta. Il sistema è stato recentemente rivisto nell’ottica di ridurre la discrezionalità del governocentrale nei trasferimenti.

I Paesi Bassi utilizzano indicatori forse meno sofisticati, tuttavia è interessante valutarli

81 Una particolarità del sistema spagnolo è che le regioni foral, le due dotate di maggiore autonomia fiscale, nonpartecipano alla perequazione.82 Molto risalto viene dato anche ai confronti per la performance degli enti (OCSE, 2006).

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perché ricorrono ad una differente tecnica di valutazione dei bisogni. Anche il sistema olandesecomunque è relativamente semplice dal lato delle entrate proprie locali e quindi la valutazionedella capacità fiscale ne risulta favorita.

La Germania è un classico esempio di perequazione orizzontale (coadiuvata datrasferimenti verticali). L’approccio costituzionale è alla perequazione delle condizioni di vita degliabitanti su tutto il territorio ed il sistema si concentra sulla perequazione della capacità fiscale perquanto riguarda la ripartizione tra Länder e prende in considerazione i bisogni, con riferimento inpratica alla sola popolazione residente sia pure con aggiustamenti (cfr. oltre), per la ripartizioneda Land a comune (con uno schema differente per ciascun Land).

7.5.1.1 Regno Unito

Nel Regno Unito83 esistono tre schemi distinti per il finanziamento rispettivamente delle

spese in conto capitale, dell’edilizia pubblica e delle spese correnti84. Queste ultime sonofinanziate tramite due programmi. Il primo è un trasferimento di scopo che copre circa il 45%

delle spese, a sua volta distinto in una quota vincolata85 in base alle aree di interesse delGoverno centrale (ad esempio per l’istruzione, la salute mentale, etc…) e un’altra quotaassegnata in base ad una propria formula specifica con restrizioni minori sull’uso (es. servizi perl’infanzia e gli anziani, etc..). Il secondo programma invece non prevede alcun vincolo didestinazione (formula grant) e viene distribuito secondo una procedura nota come LocalGovernment Finance Settlement.

Il sistema è stato rivisto più volte e mentre dal 1990 al 2005 un punto focale delle formuleusate era la valutazione del Governo centrale su quanto le Autorità locali dovessero spendereper svolgere le proprie funzioni – lo standard minimo - con il passaggio al “sistema dei quattroblocchi“ (2006/07) qualunque riferimento a questi ammontari teorici è scomparso.

Il formula grant (FG) è il risultato della distribuzione del revenue support grant, il fondoprincipale; la redistribuzione dei business rates e un trasferimento specifico per le finalità diordine pubblico (Police Grant) per le forze di polizia.

La quota parte complessiva da attribuire a ciascun ente è calcolata secondo la formulaseguente:

FG = RN – RR + CA +/- SA

83 Per ogni approfondimento si rimanda a Ponsford, (2007).84 Il complesso dei trasferimenti è noto come Aggregate external finance. Periodicamente il Governo centrale stabiliscele priorità di spesa e miglioramenti nell’output che desidera ricevere dall’aumento dei finanziamenti (cfr. oltre per lametodologia della performance degli enti locali). Queste revisioni periodiche (Spending review) abbracciano un arco ditre anni. Se in corso d’anno il governo centrale assegna o recupera competenze dagli enti locali i trasferimenti vengonoadattati di conseguenza.85 Si tratta dei cosiddetti “ring-fenced grant”. Essi prevedono l’individuazione di un determinato risultato da conseguire ola specificazione dei beni da acquistare, servizi specifici da fornire… L’altra quota comprende invece trasferimenti discopo vincolati solo nella funzione.

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dove RN=Bisogno relativo, RR=risorse relative, CA=allocazione centrale pro capite e

SA=correzione di stabilizzazione (floor damping). Ciascuna grandezza costituisce uno dei

quattro blocchi che danno il nome al sistema. Il primo punto, il computo dei bisogni relativi, non riguarda le effettive necessità di spesa ma

è una valutazione basata su una formula matematica sui fattori che influenzano il costo difornitura dei servizi. Esso avviene dividendo le spese locali in sette categorie (servizi perl’infanzia, servizi sociali, polizia, incendi, manutenzione stradale, servizi per l’ambiente e lacultura, servizio del debito) con sottocategorie definite in accordo con le autorità locali. Ciascunadi esse è valutata separatamente tramite un set di indicatori individuati attraverso un mix di

analisi statistica e giudizi di esperti86. È previsto un adattamento per tenere conto, in particolare,delle differenze locali nel costo del lavoro e dei business rates (area cost adjustment). Si ottienecosì una stima dei fattori di impatto sulla spesa per ciascun ente, corretta per le differenze neifattori produttivi.

Per individuare infine gli importi monetari collegati, i pesi individuati con la regressionesono moltiplicati per un fattore (“control total”) che riflette lo standard che il governo centralevuole fornire per quella determinata funzione di spesa. In questo modo il governo può indirizzarei fondi verso quegli enti che risultano svantaggiati in una determinata funzione. Il calcolo èeffettuato per categorie di enti che svolgono le stesse funzioni.

La seconda fase prevede l’individuazione del totale da sottrarre al fabbisogno e cioè il

gettito potenziale locale (RR nella formula sopra). Esso viene calcolata per ciascuna tipologie di

ente87 ed è pari alla somma di tutte le differenze di introito rispetto ad un minimo procapite. Insostanza, se l’area in questione comprende molte proprietà che rientrano nello scaglione mediodell’imponibile fiscale ai fini della council tax si ritiene che possa trarre risorse maggiori dallosfruttamento di questa imposta rispetto ad aree dove tali proprietà scarseggiano.

Inoltre, ciascun ente riceve un’allocazione aggiuntiva in base alla popolazione residente.

L’ammontare di questa Central allocation (CA) è individuato residualmente come differenza tra

trasferimento e bisogno di spesa e viene assegnata procapite in base ai valori minimi stabilitinelle fasi precedenti. Infine, a ciascuna autorità locale viene garantito un incremento minimorispetto all’anno precedente calcolato per categoria di ente. Le unità che superano l’incrementoammesso finanziano quelle in deficit.

Nel complesso, il metodo appare abbastanza oggettivo dal lato delle entrate, meno per lavalutazione delle spese (Shah, 2007).

86 Ad esempio, nel caso della polizia, una delle funzioni è la gestione dei crimini. Questi vengono divisi in quattrocategorie e tramite regressione si effettua una stima per ciascuna categoria. La variabile dipendente in questo caso è ilnumero dei crimini denunciati rispetto alla popolazione in diversi anni, le variabili indipendenti sono la densità abitativa, laquota di cittadini che vivono in abitazioni non di proprietà e la percentuale di popolazione che vive in condizioni disovraffollamento.87 In questo modo ciascun ente è confrontato con quelli che svolgono le stesse funzioni.

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Le modalità di finanziamento degli Enti pubblici territoriali nell'Unione Europea

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7.5.1.2 Paesi Bassi

Nei Paesi Bassi viene applicato uno schema perequativo che ha l’esplicito scopo di fornireun pari (anche se non necessariamente omogeneo) livello di servizi sul territorio nazionalemantenendo un “ragionevole” grado di pressione fiscale. In effetti, agli enti territoriali è richiestodi finanziare tramite risorse proprie diverse dalla tassazione (investimenti, partecipazioni,…)almeno il 4% delle proprie spese. Il valore delle proprietà è anche preso in considerazionetramite una correzione negativa nella formula che incide dal 6 al 30% sulla quota dovuta(Boerboom e Huigsloot, 2007).

Gli enti locali88, non dispongono comunque di molta autonomia fiscale (circa il 30% delleentrate provengono da tassazione propria e non esistono imposte condivise) e sono quindidipendenti da questi trasferimenti.

La recente riforma del sistema ha tuttavia teso a mitigare questa dipendenza favorendo i

trasferimenti generali non vincolati, anche se esistono sussidi specifici89. Lo strumentoperequativo principale è il Fondo comunale e si basa su una lista di criteri oggettivi che vengonoposti in relazione con le differenze di costo per la fornitura dei servizi. Ciò avviene tramite latecnica statistica dell’analisi delle differenze. Il sistema utilizzato fino agli anni novanta, (la

regressione) è stato abbandonato perché giudicato poco soddisfacente90 ai fini dellaindividuazione dei pesi e della selezione dei criteri per la ripartizione (Shah, 2007).

Più nel dettaglio, la spesa è distinta in 14 categorie91, ciascuna della quali segue unapropria formula allocativa. Le differenze nei costi di fornitura dei servizi vengono fatte risalire atre categorie attinenti alle caratteristiche della struttura sociale, fisica e regionale. In particolare,alla distribuzione socio-economica della popolazione, livello di reddito e occupazione; alle

caratteristiche fisiche del territorio (urbana/rurale; livello e maturità di sviluppo economico;

88 Vi sono 443 comuni con una popolazione locale che va da 1.000 a 750.000 abitanti. Solo le quattro città principaliricevono finanziamenti aggiuntivi in virtùdelle loro spese specifiche. 89 Si tratta in particolare di interventi nelle aree dell’occupazione e sostegno del reddito, sicurezza e rinnovo urbano,politiche per la famiglia. Il numero di questi trasferimenti è stato sensibilmente ridotto: da oltre 500 nel 1980 a meno di200 con la prospettiva di diminuire fino a circa dodici. La riduzione è avvenuta principalmente per accorpamento quindil’ammontare complessivo non è mutato e rimane pari circa a quello del trasferimento generale (circa 12 miliardi di euronel 2005 (DEXIA, 2007)).90 I problemi apparivano ancora più stridenti considerando che il sistema era stato rivisto da poco (1984). In particolare laripartizione risultava sbilanciata rispetto alla percezione oggettiva delle differenze nei bisogni, il legame tra criteriallocativi e bisogni era poco evidente. Le ragioni della cattiva performance vennero individuate da un lato nel mancatoinserimento di elementi relativi alle differenze strutturali (sociali e regionali) nella formula allocativa e dall’altro nellecarenze tecniche della regressione per il computo dei pesi e dei fattori significativi. La conseguenza del primo ordine diproblemi in un contesto di crisi economica portò i comuni più grandi a farsi carico delle spese sociali di quelli limitrofi chegiocavano da free rider. Dopo aver commissionato un apposito studio per valutare modalità alternative venne deciso diadottare il metodo suggerito dal CEBEON che viene descritto nel paragrafo. 91 Esse attengono a quattro comparti (aree pubbliche; costruzioni e ambiente; servizi pubblici; governo locale) da cui siestraggono 13 cluster.

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condizioni del suolo); e alle specificità locali (funzioni aggiuntive svolte dai comuni più grandi abeneficio anche delle aree limitrofe es. arte, sport e intrattenimento). Nel complesso vienecomputata una batteria di 24 indicatori di necessità di spesa. Essi rispondono a quattro requisiti:qualità dei dati disponibili, garantita dal monitoraggio dei dati effettuato dall’istituto di statisticanazionale; collegamento generale con la funzione di spesa ma che non deve focalizzarsi su unobiettivo; legame forte con le spese obbligatorie, meno importante se le spese sono volontarie(es. giardini pubblici). Infine, l’indicatore deve essere politicamente accettabile. In ultima analisi:la scelta dei fattori ed il loro utilizzo dipende dalla negoziazione tra le parti coinvolte.

Il punto centrale del sistema è l’analisi della spesa. Il primo passo consiste nel correggere ledifferenze di definizione e contabilizzazione nei bilanci: circa il dieci per cento delle differenzederivano da differenti modalità di registrazione delle poste. Successivamente si chiariscono ledifferenze di costo rispetto a fattori esogeni ed endogeni nei diversi contesti ambientali conl’intento di perequare principalmente il primo tipo di svantaggio. Ciò si ritiene essere un buonantidoto per il “chicken and egg problem” legato dall’influenza dei trasferimenti passati su quelli

attuali se calcolati tramite regressione. Il processo viene ripetuto iterativamente per cluster dicomuni con diverso grado di omogeneità nella struttura. Gli enti locali vengono confrontati perciascuna categoria di spesa con gli altri enti omogenei individuati in base agli indicatori di cuisopra. La spesa viene analizzata iterativamente, con particolare attenzione alle variabiliesogene, fino a spiegare una porzione accettabile delle differenze nella spesa (Boerboom andHuigsloot, 2007).

Da un punto di vista istituzionale il sistema è monitorato sia dal Ministero degli interni chegestisce il fondo sia dal Consiglio per le relazioni finanziarie. Inoltre vi è la supervisione di unComitato consultivo di cui fa parte l’Associazione dei comuni. La decisione finale su eventualicambiamenti è assunta dalla Parlamento che in genere si interessa soprattutto degli effettiredistributivi delle modifiche.

7.5.1.3 Repubblica federale tedesca

La Costituzione tedesca fornisce (artt.106 e 107) la base per il sistema di perequazionescandendone le quattro fasi: perequazione verticale tramite ripartizione delle imposte tra Bund eLänder (art.106); perequazione orizzontale tramite ripartizione dell’IVA (art.107, par.1);perequazione orizzontale tra i Länder (Art.107, par.2) e trasferimenti integrativi da parte del Bund(art.107, par.2). A seguito di sentenza della Corte costituzionale (cfr. nota 51) è stata imposta unarevisione delle modalità di attuazione. L’accordo in tal senso è stato raggiunto il 23 giugno del2001 ed include i trasferimenti ai nuovi Länder e a Berlino destinati a ridursi progressivamentesino a scomparire nel 2019 (Patto di solidarietà II).

Al momento quindi il sistema funziona nel modo seguente (Bundesfinanzministerium, 2009;Werner, 2007):

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Le modalità di finanziamento degli Enti pubblici territoriali nell'Unione Europea

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Fase 1) distribuzione delle imposte tra i vari livelli di governo da parte del Bund.

Fase 2) l’intero gettito dei Länder viene ridistribuito tra di essi sulla base del principio di

residenza dei contribuenti92 (e non di raccolta). Per l’IVA, non potendo conoscere il luogo diconsumo dei beni acquistati, la quota spettante al complesso (75%) dei Länder viene

ripartita in base alla popolazione e la quota rimanente93 viene assegnata a quelli conentrate fiscali pro capite derivanti da diverse imposte (in particolare l’imposta personale sulreddito e sulle società) inferiore al 92% della media procapite calcolata per tutti Länder.Questa fase fornisce già un importante contributo alla perequazione.

Fase 3) la Costituzione prevede che si debba garantire una perequazione “adeguata” dellacapacità finanziaria dei Länder tenendo anche conto della capacità fiscale e dei fabbisognifinanziari dei Comuni. In questa fase i Länder più ricchi provvedono quindi a finanziarequelli più poveri al fine di garantire il mantenimento di condizioni di vita uniformi su tutto il

territorio. Per fare ciò, il “coefficiente di forza fiscale” (Finanzkraftmesszahl, FM)94 viene

confrontato con il coefficiente di perequazione95 (Ausgleichmesszahl, AM). Quando ladifferenza è negativa il Land in questione ha diritto ai trasferimenti perequativi. Dettitrasferimenti sono assegnati in base ad una sorta di tariffa progressiva valida sia per ibeneficiari che per i “donatori”. La perequazione compensa al massimo il 75% delladifferenza (pari ad un coefficiente di forza fiscale inferiore all’80% di quello diperequazione). La compensazione decresce poi linearmente fino al 44%. Lo schema èsimmetrico per i Länder pagatori. In presenza di un rapporto tra i due coefficienti superioreal 120%, il Land versa al fondo perequativo un ammontare pari fino al 75% della differenzadello stesso rispetto alla media. L’ammontare decresce poi linearmente fino al 44%.Tuttavia, il contributo massimo allo schema di perequazione da parte dei Länder pagatori èpari al 72,5% del surplus rispetto alla media.

Fase 4) Il Bund integra con trasferimenti specifici96 i bilanci di quei Länder che mostranoancora una forza fiscale inferiore alla media.

92 L'ammontare delle imposte sui terreni e la parte di spettanza dei Länder sull'ammontare delle imposte sul reddito esulle società spettano ai singoli Länder nella misura in cui le imposte vengono riscosse dalle autorità finanziarie nel loroterritorio. In sostanza il gettito non viene ripartito semplicemente in base alla località di provenienza ma si effettuano dellecorrezioni per tenere conto del fatto che i contribuenti potrebbero risiedere in una località diversa (principio delladecomposizione, Zerlegung).93 Di norma l’importo non viene utilizzato interamente e del resto la Costituzione non lo richiede (“fino a”). Nel 2007 èstato utilizzato il 17%.94 Somma del gettito IVA, dell’imposta sul reddito (e alcune imposte minori) e del 64% delle entrate proprie dei comuni(per tenere conto del fatto che il Land è responsabile della perequazione a livello locale).95 Media ponderata delle entrate fiscali pro capite dei Länder. Alcuni aggiustamenti sono effettuati per il computo dellapopolazione degli stati che svolgono più funzioni (le tre città-stato) e di quelli meno densamente popolati.

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A livello locale ciascun Land applica un proprio schema. L’ammontare del fondo

perequativo è deciso annualmente e la ripartizione prende in considerazione97, oltre alla capacitàfiscale locale, i bisogni di spesa. Il punto di partenza per la valutazione di questi ultimi è lapopolazione; ciascun Land applica poi delle correzioni per tenere conto della differenteconcentrazione della popolazione e di fattori specifici.

7.6 CONCLUSIONI

Il capitolo ha evidenziato l’esistenza di una pluralità di sistemi di finanziamento degli Entiterritoriali. Ciascun paese ha scelto in pratica la modalità che si adattava meglio al propriopercorso storico e politico. Questi aspetti rilevano in particolare per quanto riguarda la definizionedel sistema perequativo.

La decisione politica infatti sottende praticamente tutti gli aspetti. In primo luogo, come giàaccennato, riguardo al pool da trasferire e allo standard minimo di servizi, anche per evitare chela fissazione di standard troppo elevati vanifichi nella pratica la perequazione. L’elemento piùdelicato però si ha nella selezione dei fattori di costo caratteristici per ciascuna funzione di spesae dei pesi relativi dei fattori di bisogno. In generale, in presenza di un riferimento ai bisogni glischemi di valutazione tendono ad essere molto complessi e a richiedere quindi un patrimonioinformativo adeguato sia in termini di disponibilità che di tempestività e comparabilità dei dati.

96 Più nel dettaglio si tratta di trasferimenti compensativi per i Länder con forza fiscale inferiore al 99,5% della mediaprocapite (Fehlbetragsbundesergänzungszuweisungen) e trasferimenti straordinari per handicap specifici(Sonderbedarfsbundesergänzungszuweisungen). I cinque Länder orientali e i quattro più piccoli ricevono ulterioricompensazioni per i maggiori costi amministrativi e spese sociali. Il trasferimento più importante è comunque quello (nonvincolato) destinato al sostegno degli investimenti infrastrutturali nei Länder orientali e a Berlino. 97 Per la quota maggiore dei trasferimenti, cioè quelli non vincolati. Gli altri trasferimenti servono a compensare disavanzidi bilancio e investimenti.

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