Filippo Petruccelli - La sessualizzazione del corpo ...

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Filippo Petruccelli - La sessualizzazione del corpo femminile in adolescenza e gli stereotipi di genere Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 1 di 22

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Indice

1. LA FIGURA FEMMINILE TRA PASSATO E PRESENTE ................................................................................. 3

2. L’OGGETTIVIZZAZIONE DELLA DONNA .................................................................................................. 5

3. LA SESSUALIZZAZIONE DELLA FIGURA FEMMINILE ................................................................................. 9

4. LE CONSEGUENZE SULLE ADOLESCENTI ............................................................................................... 12

5. STEREOTIPI E STEREOTIPI DI GENERE ...................................................................................................... 14

BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................................................. 18

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1. La figura femminile tra passato e presente

La condizione della donna, con tutti i significati che questo termine racchiude, rappresenta

da sempre un argomento su cui dibattere, su cui fondare battaglie politiche e sociali, attraverso

cui analizzare i cambiamenti culturali e come termine di paragone storico per analizzare il

benessere e il progresso di una società (Budgeon, 2014; Moghadam, 2005). La figura della donna

ha un’accezione differente a seconda della cultura e del periodo storico di riferimento passando

dalle famiglie matriarcali in cui la donna gestisce le dinamiche economiche e sociali della

famiglia, come in alcune culture del Messico e della Cina , fino alle spose bambine o alle donne

che ancora sono un bene da possedere (Sidoti, 2017).

Lo studio delle differenze di genere quindi, sia da un punto di vista socio-antropologico che

psico-biologico ha radici profonde, ed è in continua evoluzione. Tuttavia, se il ruolo della donna in

relazione al ruolo del maschio e della società in cui vive è un argomento affrontabile da diversi

punti di vista, collocabile nel tempo e che ha subito, nei secoli e nei decenni, un’evoluzione

graduale, misurabile e osservabile dagli studiosi, lo stesso non si può dire della figura femminile, del

suo aspetto e della sua sessualità (Ortner, 1974).

La figura femminile, infatti, così come nell’antica Grecia e nelle altre ancient cultures è

sempre stata sovrapposta al suo ruolo di genitrice. La bellezza e l’armonia delle forme

descrivevano di fatto gli orpelli evoluzionistici favorevoli alla procreazione, come la giovane età, i

fianchi morbidi o la pelle levigata (simboli di salute) (Salazar, 2001).

Nel tempo la figura femminile ha subito la censura delle religioni e della cultura, dove il

corpo femminile non era più espressione delle donne, ma del tempo, con abiti fino alle caviglie per

coprire spunti sessuali, cappelli e veli per coprire acconciature e labbra carnose (Hansen, 2004).

L’immagine femminile quindi, volente o nolente, è sempre stata associata al ruolo di figura

sessuale e sessuata, che porta, ben visibili, le parti che suscitano pensieri poco dignitosi e casti

nell’uomo, che attirano l’attenzione nei confronti di un’attività che dovrebbe essere

esclusivamente orientata alla procreazione e non alla procreazione. Ciononostante, questo

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controllo o difesa, a seconda dei punti di vista proposti dalle diverse discipline, non è riuscito a

mantenersi tale nel tempo e in tutte le culture, e quello che ci troviamo ad osservare, con grande

frequenza nel mondo occidentale, ma anche nelle culture orientali e sudamericane, è una

costante e continua oggettivizzazione e sessualizzazione del corpo femminile, con tutte le

conseguenze che questo fenomeno si trascina dietro per le nuove generazioni e per la donna in

sé.

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2. L’oggettivizzazione della donna

L’oggettivizzazione è una strategia che consiste nel delegittimare una persona del suo

essere tale, deumanizzandola e trattandola come un oggetto o una merce (Dakanalis et al., 2012).

Tale strategia viene usata quando si vuole privare un altro essere umano dei propri diritti

personali, come la dignità e il suo essere persona, tale processo comporta quindi una

frammentazione della persona in relazione esclusiva degli aspetti strumentali che la compongono

(Gruenfeld, Inesi, Magee, & Galinsky, 2008; Heflick, Goldenberg, Cooper, & Puvia, 2011). Nello

studiare questo fenomeno, molti autori si sono soffermati principalmente sulle conseguenze per chi

è vittima del processo di oggettivizzazione, ovvero chi, per mancanza di autodeterminazione e

potere, è arrivato ad accettare l’oggettivizzazione ed introiettarla, arrivando alla totale alienazione

con conseguenze immaginabili sul benessere psicologico (Dakanalis et al., 2012; Fredrickson &

Roberts, 1997; Wright & Tokunaga, 2015).

L’oggettivizzazione si applica in diversi ambiti della società, ed è forse tra le prime forme di

deumanizzazione, insieme all’animalizzazione degli schiavi, che l’uomo ha perpetrato per

assumere e mantenere il potere sul prossimo, tant’è che il processo di oggettivizzazione viene

citato sia da Marx che da Kant nel suo “Metafisica dei Costumi” (Dakanalis et al., 2012).

Nel mondo moderno sono principalmente due le forme più comuni di oggettivizzazione:

quella sul lavoro, e quella sessuale. Nella prima forma di oggettivizzazione, l’individuo non è più una

persona ma, esattamente come accadeva ai tempi della catena di montaggio Fordiana, egli si

qualifica per lo scopo che ha. Uno studio recente ha infatti mostrato che gli operai e i lavoratori

all’interno delle fabbriche, a causa del loro lavoro ripetitivo, vengono maggiormente valutati

come strumenti e non come persone, come forza lavoro e non come individui, privi di un effettivo

stato mentale (Andrighetto, Baldissarri, & Volpato, 2017). Il secondo aspetto invece riguarda nello

specifico l’oggettivizzazione della donna, che viste le premesse del paragrafo precedente, opera

sul corpo della donna e sui suoi attributi sessuali.

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L’oggettivazione della donna è una particolare forma di deumanizzazione: alle donne

viene negata una soggettività, sono considerate solo per il loro utilizzo a fini sessuali o per conferire

status al maschio (Loughnan et al., 2010). Secondo Nussbaum (Nussbaum, 1995), il concetto di

oggettivizzazione comprende sette diverse dimensioni:

1. Strumentalità: l’oggetto è uno strumento per gli scopi altrui, pertanto non va valutato nella

sua interezza ma nelle parti necessarie a raggiungere tale scopo, che diventano quindi

“strumenti. La donna in questa dimensione non è altro che un corpo che serve per gli scopi

di riproduzione, ad esempio, o per pubblicizzare un prodotto.

2. Negazione dell’autonomia: l’oggetto è un’entità priva di autonomia e autodeterminazione,

rimanendo quindi in balia del volere dell’altro, nello specifico dell’uomo. Basti pensare alle

lotte che hanno portato le donne ad avere una voce in politica, seppur ancora flebile in

diverse parti del mondo, o alle prime leggi sul matrimonio.

3. Inerzia: l’oggetto è un’entità priva della capacità di agire e di essere attivo, con la

conseguente alienazione di sé stesso. Questo aspetto è visibile in moltissime culture, dove le

donne non possono scegliere il proprio marito, non possono scegliere di lavorare o di

scolarizzarsi.

4. Fungibilità: l’oggetto è interscambiabile con altri oggetti della stessa categoria, ne

consegue che le donne rappresentate solo dal proprio corpo, non hanno il senso di unicità

e caratteristiche uniche come tutti gli altri esseri umani.

5. Violabilità: l’oggetto è un’entità priva di confini che ne tutelino l’integrità. È possibile farlo a

pezzi. Questi pezzi sono rappresentati dalle parti del corpo, dagli stereotipi sulla sessualità

maschile e femminile, da ciò che ogni aspetto rappresenta a seconda dello scopo da

raggiungere, e questo toglie sia integrità che dignità alla figura femminile.

6. Proprietà: l’oggetto appartiene a qualcuno. Qui l’oggettivizzazione è subdola, e porta alla

totale deumanizzazione della donna, che diventa una proprietà, e le conseguenze le

possiamo individuare, in estremo, anche in tutti i casi di femminicidio perpetrati da ex mariti

e fidanzati.

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7. Negazione della soggettività: l’oggetto è un’entità le cui esperienze e i cui sentimenti sono

trascurabili. La donna è un oggetto è privo di un bagaglio emotivo, privo di una coscienza

e di progettazione.

Le conseguenze del processo di oggettivizzazione della donna sono diverse e ben note in

letteratura. Questo fenomeno può essere messo in atto a diversi livelli, da un lato abbiamo la

società stessa che tende all’oggettivizzazione della donna, sia da un punto di vista politico, che

normativo, dove in alcuni casi la donna è ancora assoggettata alla figura maschile in un clima di

profondo patriarcato che viola i diritti sociali, economici della donna stessa, mantenendo di fatto

inalterata una condizione di inferiorità in maniera subdola e costante (Bird, 1996). Da un altro lato,

l’oggettivizzazione viene perpetrata dal partner, in un incastro tra dipendenza affettiva femminile e

continua svalutazione maschile. In questo caso l’oggettivizzazione è derivante dal continuo abuso

emotivo e psicologico compiuto sulla donna che può in casi estremi portare al femminicidio.

Attenzione però, con questo termine non si vuole descrivere solo il gesto ultimo di togliere la

vita ad una donna, ma lo si intende nel suo significato più ampio: da un punto di vista psico-sociale

va a definire una condotta estrema di violenza di genere, attraverso aggressioni fisiche, sessuali,

psicologiche, economiche, educative, istituzionali, familiari, comunitarie, tollerate ed impunite

dalla Società e dallo Stato, che ponendo di fatto la donna in una posizione indifesa, la espongono

al rischio di uccisione o di tentativi di uccisione, o ad altre forme di violenza autoinflitta come il

suicidio (Bandelli & Porcelli, 2016). Il termine, quindi, nato per definire una sistematica violenza di

genere con una connotazione squisitamente sociologica, si allarga, fino a determinare le violenze

di ogni genere perpetrate su di una donna da parte di un uomo. Sotto un’ottica prettamente

semantica, è possibile definire il femminicidio non come la violenza sulla “femmina” in opposizione

al “maschio”, ma sulla femminilità stessa, intesa come insieme di caratteristiche femminili definite

da una prospettiva patriarcale.

Tuttavia questi aspetti, legati al concetto di oggettivizzazione della donna, appaiono ormai

come assodati, dove la pressione sociale a considerare la figura femminile e la donna un oggetto

hanno portato ad un’auto-oggettivizzazione, una situazione svantaggiata in cui le donne ormai si

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trovano ad essere da diverso tempo e su cui è necessario agire con mezzi socio-politici (Calogero,

2012; Mckay, 2013).

Ciò che invece risulta lampante e le cui conseguenze sono visibili nel breve termine è

rappresentato dalla sessualizzazione della figura femminile.

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3. La sessualizzazione della figura femminile

La sessualizzazione della figura femminile è sia una diretta conseguenza sia strettamente

interconnessa ed intrecciata all’oggettivizzazione sessuale della donna. Nella società occidentale,

la figura femminile subisce un elevato grado di oggettivizzazione e sessualizzazione e questo è

particolarmente evidente nei mass media. All’inizio, è stato il cinema a proporre modelli femminili

controversi, ma sempre e comunque stereotipati, giovani, belli ed in salute, a volte inarrivabili o

talmente tanto stereotipati da fare in modo che ogni ragazza vi si riconosca (Bazzini, McIntosh,

Smith, Cook, & Harris, 1997). Successivamente, è stata la pubblicità, sui giornali ed in tv, ad

utilizzare il corpo femminile sessualizzato per vendere prodotti, associando di fatto il sesso ad una

larga serie di prodotti non strettamente correlati con essi, proponendo l’immagine di donne

lascive, bellissime ed inarrivabili (Ward, 2016; Ward, Seabrook, Manago, & Reed, 2016). Poi è

arrivato il momento dei social network e di Photoshop, con i modelli femminili che cambiano a

seconda della moda, ma sono sempre tutti assolutamente inarrivabili poiché modificati da

software che correggono i presunti difetti del corpo, rendendo i modelli proposti dai Social Media

assolutamente irreali.

La sessualizzazione femminile: il gioco e i rischi per le bambine

È sufficiente recarsi in un qualsiasi store che si occupi della vendita di giocattoli per notare

le diverse tipologie di gioco destinate ai maschi e alle femmine. I primi possono scegliere tra una

varietà di proposte di gioco che stimolano le capacità e l’intelletto, come costruzioni, puzzle,

macchinine e trenini, mentre alle femmine sono rivolti giocattoli che mimano i comportamenti

stereotipati delle donne, come piccoli set di make up, set di pulizia con tanto di finti detersivi, set

che ricreano piccoli supermercati dove fare la spesa. Nelle ultime decadi, la letteratura

psicologica ha sottolineato più volte come, sebbene vi sia una base genetica che influenza il

comportamento maschile e quello femminile, le attitudini verso il gioco siano le stesse nei due sessi,

ma che vengano plasmate in una direzione, o nell’altra, dalle convenzioni sociali e

dall’educazione dei genitori. Pertanto, fin dalla più tenera età, bambini e bambine imparano in

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quali spazi muoversi e costruire i propri gusti, i maschi imparano di essere destinati alle scienze e le

femmine invece agli aspetti più socio-umanistici.

Tali differenze vengono mantenute anche all’ingresso nel mondo dell’istruzione, dove gli

stereotipi ormai radicati negli e nelle insegnanti, accentuano quelle che non sono differenze

strutturali, ma puramente legate all’influenza di media e cultura. Le femmine devono

corrispondere allo stereotipo della donna dolce, materna, attraente, gentile, mentre i maschi

devono corrispondere allo stereotipo dell’uomo coraggioso, intelligente, problem solver, forte, che

non può permettersi di mostrare la propria emotività. La sessualizzazione nell’infanzia riguarda

quindi le bambine, ma di riflesso ha un’influenza anche sui bambini, che devono comunque

aderire allo stereotipo in opposizione a quello femminile (Burke, 2009; Gunter, 2014).

La sessualizzazione delle ragazze: social media e videogame e rischi collegati

Questi aspetti sono ampiamente studiati nell’ambito della psicologia dello sviluppo, e

possono appunto essere allargati al contesto dei videogame e dei giochi online. Infatti, nella

maggior parte dei videogiochi i personaggi femminili non sono “giocabili” ovvero selezionabili

come giocatore principale, bensì sono secondari con caratteristiche sessuali ampiamente definite

ed esagerate, che hanno un comportamento prevalentemente seducente e affabile. Qualora

invece le protagoniste siano femmine, a tutte queste caratteristiche elencate si aggiunge la forza

ed il coraggio, ma rimangono comunque gli aspetti di sessualizzazione: non è con l’astuzia e

l’intelligenza che riescono ad uscire da situazioni problematiche, ma con il fascino. Ne consegue

un costante e impercettibile svilimento della donna come persona agente, che riguarda non solo i

giocatori di genere maschile ma anche quelli di genere femminile. L’identificazione con un

personaggio di questo tipo porta all’esaltazione delle caratteristiche stereotipate femminili, quali

fascino o bellezza, dove diventa necessario utilizzare la sensualità per superare gli ostacoli,

rendendo di fatto il ruolo femminile costantemente subordinato a quello maschile (Behm-Morawitz

& Mastro, 2009; Dill & Thill, 2007). Questi stereotipi e queste differenze diventano evidenti nel

momento in cui all’interno del contesto videoludico, i giocatori e le giocatrici si confrontano con

altri giocatori attraverso le piattaforme on line, in cui è possibile giocare a squadre. Le

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videogiocatrici sono spesso percepite come “meno capaci” e vengono maggiormente prese di

mira ed insultate nelle diverse chat all’interno delle piattaforme. Tuttavia, sebbene gli atti di

cyberbullismo, sotto forma di insulti e molestie online, siano ben noti in questi contesti, le tipologie di

insulti che vengono utilizzate sono differenti (Navarro, 2016). I giocatori di genere maschile

vengono presi di mira principalmente per le loro capacità, vengono offesi rispetto alla loro

presunta inettitudine al gioco, facendo leva, di fatto, su aspetti relativi all’orgoglio e alle

competenze. Al contrario, quando si tratta di cyberbullismo nei confronti della popolazione di

videogiocatrici di genere femminile, gli insulti sono prettamente indirizzati alla loro sessualità, alla

dignità sessuale, e all’aspetto fisico. Più frequentemente dei maschi, le femmine sono oggetto di

molestie sessuali virtuali e il cyberbullismo nei loro confronti è quasi sempre legato alla sfera

sessuale, andando a ledere aspetti fortemente legati alla dignità e al rispetto di sé stesse (Kowalski,

Giumetti, Schroeder, & Lattanner, 2014).

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4. Le conseguenze sulle adolescenti

Una conseguenza particolarmente insidiosa della sessualizzazione femminile è quella che è

stata definita “self-objectification” (auto-oggettivazione). Questo termine si riferisce al processo

attraverso il quale le donne e le ragazze sono a poco a poco spinte ad adottare la prospettiva di

un osservatore esterno sul loro sé fisico, al punto da arrivare a vedere se stesse come

principalmente un oggetto guardato e valutato sulla base esclusivamente del proprio aspetto

(Dakanalis et al., 2012; Mckay, 2013; Tiggemann, 2011). Le principali conseguenze negative

riguardano gli aspetti legati al corpo e alla definizione di sé. Molte ragazze influenzate dai media,

dai social network, dai videogame, che hanno introiettato il modello di bellezza e di figura

femminile proposto, mostrano una serie di conseguenze negative tra cui maggiore ansia e

vergogna, disturbi alimentari, disturbi dell’umore e una peggiore funzione sessuale. L’American

Psychiatry Association, definisce la sessualizzazione come una condizione che si verifica quando

una persona è sottoposta ad almeno una delle seguenti condizioni:

• Il suo valore viene valutato solo in base al suo aspetto fisico o al suo comportamento

sessuale.

• La persona viene sessualmente oggettivata, ovvero trasformata in una cosa per uso

sessuale altrui, piuttosto che una persona indipendente e con proprie capacità decisionali.

• La persona è obbligata ad uno standard di bellezza che viene ritenuto sensuale, tutte le

altre caratteristiche di fascino e sensualità vengono escluse.

• Ed infine, come già descritto la sessualità adulta viene imposta ad una persona, bambina o

adolescente, anche quando non è appropriata per la sua età, come nel caso della

pubblicità e dei media.

La sessualizzazione del corpo femminile quindi conduce ad una sessualità non sana, a volte

precoce, che porta a sessualizzare una serie di comportamenti, come lo scegliere gli abiti,

indossare il make up, che comporta una scia di svantaggi da un punto di vista psicologico ed

emotivo, facendo sentire le ragazze mai abbastanza adeguate. I messaggi dei media sono spesso

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rivolti direttamente alla classe “teen” quella più suscettibile a determinati messaggi, ma anche

quella più fragile, con un concetto di sé e un’identità ancora in divenire. Molto spesso sono i

genitori, gli insegnanti e gli amici, che nolenti o volenti, impongono comportamenti

tendenzialmente troppo adultizzati, dando per scontato conoscenze nell’ambito e il livello di

maturità dei ragazzi che hanno di fronte (Harper & Tiggemann, 2008; Slater & Tiggemann, 2015).

Gli aspetti più pericolosi tuttavia riguardano appunto il rapporto che le adolescenti hanno

con il proprio corpo e la propria sessualità. Il caso più frequente è quello legato ai disturbi

alimentari; le ragazze apprendono abitudini alimentari dannose e sbagliate, fino ad affamarsi e a

trovare tecniche nocive per rimanere magre, con l’obiettivo di aderire ad uno standard femminile

irreale, e mettendo l’aspetto fisico davanti alla propria personalità e ai propri obiettivi (Derenne &

Beresin, 2006; Tiggemann, 2011).

In conclusione, ciò che appare è che la sessualizzazione sia diventata una componente

normale e naturale dell’essere donna, mentre genitori, amici, insegnanti, care givers dovrebbero

insegnare il valore della femminilità e della personalità, integrando una sessualità sana con i modi

e i tempi adeguati per ogni età ed ogni persona, dando valore ad ogni singola caratteristica che

compone il concetto di sé.

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5. Stereotipi e stereotipi di genere

Lo stereotipo è una visione semplificata e largamente condivisa di un luogo, un oggetto o

un gruppo di persona accomunate da determinate caratteristiche o qualità. È un concetto

astratto e schematico che può avere significato neutrale, positivo o negativo. Nell’ultimo caso

spesso rappresenta l’opinione di un gruppo sociale rispetto ad altri gruppi. Stereotipi comuni

comprendono una varietà di opinioni basate su etnia, sessualità, nazionalità, religione, politica,

professione, status sociale e ricchezza. Il termine stereotipo nasce in campo tipografico, dal greco

steros (duro, solido) e typos (impronta, immagine, gruppo), a cura di Firmin Didot che lo utilizzò per

indicare un metodo di composizioni tipografiche: l’originale da duplicare veniva pressato contro

uno speciale cartone resistente al calore che ne riceveva l’impronta, sulla quale veniva versata la

lega tipografica al fine di ottenere una o più matrici in rilievo. Il termine è poi stato promosso

all’interno delle scienze sociali da Walter Lippman intorno al 1920 durante i suoi studi sui pregiudizi.

Gli stereotipi nascono dal processo di categorizzazione (Tajfel, 1969), cioè dalle modalità

che gli individui adottano per ordinare e semplificare la realtà, raggruppando oggetti, eventi e

persone in categorie, in base alla loro somiglianza. Gli stereotipi sociali forniscono un’immagine

semplificata di una certa categoria sociale e ne definiscono le caratteristiche salienti, tutti questi

attributi vengono assegnati in maniera automatica ad un soggetto nel momento in cui questi

viene riconosciuto come appartenente ad un gruppo. Il meccanismo cognitivo degli stereotipi

permette di semplificare e ordinare la realtà che altrimenti comporterebbe un immane dispendio

di energie cognitive, in quanto piena di variabili, qualità, differenze e relazioni complesse.

Ovviamente questa riduzione di informazioni proveniente dall’ambiente inevitabilmente

produce perdita di dettagli e di definizione delle realtà stessa. Lo stereotipo viene trasmesso

culturalmente e viene attivato nel momento in cui un individuo entra in contatto con una realtà

specifica o un particolare soggetto che sono facilmente identificabili come appartenenti ad un

gruppo (o categoria).

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Come precedentemente detto gli stereotipi si applicano ad una varietà di caratteristiche;

tuttavia, gli stereotipi di genere hanno una valenza culturale molto forte in molte società.

Gli stereotipi di genere rappresentano una categoria specifica di stereotipi sociali: ovvero

quell’insieme di caratteristiche, inclinazioni e attività tipiche per maschi e femmine. Ad esempio, la

predisposizione alle relazioni e inclinazioni al servizio per donne, la preferenza per le scienze esatte

e l’ambizione nell’uomo. Nella sua essenziale qualità di semplificazione, classificazione e guida nei

processi di comprensione della realtà sociale, lo stereotipo è tanto naturale quanto utile, ma nel

caso dello stereotipo di genere, “distinguendo due categorie (maschile/femminile, uomo/donna),

si determina la strutturazione di precise immagini mentali configurate come rappresentazioni

socialmente condivise della differenza sessuale” (Taurino, 2005)

Il genere è il primo terreno nel quale si manifestano le differenze di potere (Scott, 1986), di

fatto le differenze di genere hanno storicamente prodotto una gerarchia tra gli status di uomo e

donna: subordinazione femminile e dominio maschile. Questa divisione ha prodotto un sistema di

diseguaglianze che si perpetua ancora, anche se in maniera più sottile, nelle società

contemporanee (diseguaglianze nell’accesso al mercato del lavoro, nei livelli salariali, nell’uso del

tempo libero, ecc.).

Le differenze di genere si manifestano anche a livello simbolico, determinando una

“superiorità” del maschile:

• Creano e legittimano posizioni sociali differenti, quindi disuguaglianza;

• Creano categorie sociali che vanno ad influenzare i processi di percezione sociale dando

vita agli stereotipi;

• Creano le condizioni culturali entro le quali si costruiscono i processi di socializzazione e di

definizione delle identità degli individui.

Di conseguenza gli stereotipi di genere accentuano le differenze tra maschile e femminile,

minimizzano le differenze intracategoriali (tra le donne, tra gli uomini) e negano la legittimità di

costruzioni identitarie che si propongono come alternative (es. le identità omosessuali,

transgender).

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Filippo Petruccelli - La sessualizzazione del corpo femminile in adolescenza e gli

stereotipi di genere

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da

copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e

per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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In uno studio di Williams & Bennett (1975) è stata utilizzata la Adjective Check List (ACL) per

dare una definizione empirica degli stereotipi su uomini e donne. I risultati ottenuti hanno mostrato

che sia uomini che donne ritenevano gli aggettivi presentati legati allo stereotipo di genere.

Aggettivi associati agli uomini Aggettivi associati alle donne

Affermativo

Aggressivo

Ambizioso

Indipendente

Intraprendente

Forte

Avventuroso

Disordinato

Dominante

Elegante

Maschio

Logico

Amorevole

Attraente

Emotiva

Capricciosa

Dipendente

Nervosa

Eccitabile

Frivola

Prudente

Sentimentale

Delicata

Piagnucolona

In questa categorizzazione il ruolo dei media è molto importante, poiché la comunicazione

di massa viene proprio veicolata da questi mezzi che, in maniera più o meno esplicita,

attribuiscono specifiche caratteristiche all’uno o all’altro genere.

I media occupano uno spazio di potere notevole nella propagazione e mantenimento di

rappresentazione stereotipiche di genere (Kodilja, 2012), la rappresentazione della società

veicolata dai media è semplificata al fine di risultare immediata, efficace e pervasiva. Ognuno di

noi infatti può evocare una propria lista di stereotipi femminile presenti nella comunicazione dei

media; alcuni di essi possono risultare deleteri per i ruoli femminili e per i processi di socializzazione

delle generazioni più giovane, tra questi:

• La casalinga felice e appagata di usare l’ultimo detersivo della pubblicità, una donna

dedita alla cura della casa e della famiglia;

• La bad girl dei reality, caricatura della giovane disinibita pronta ad ogni comportamento

provocatorio e strumentale al raggiungimento di obiettivi di fama, ricchezza e potere. Una

donna furba e spregiudicata, presente dallo show business alla politica;

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• La donna seduttrice pronta a sfoderate le armi della seduzione più esplicite, la donna dello

spor seducente, che ha atteggiamenti espliciti o interpretabili come offerta sessuale.

I dati del Global Media Monitoring Project (GMMP) del 2005 confermano che le donne

nella notizia sono drammaticamente sottorappresentate, denunciando anche che:

• Le donne in qualità di esperte o autorità non appaiono quasi mani nell’informazione. Le

opinioni esperte sono prevalentemente maschili.

• Il punto di vista delle donne è raramente presentato sulle questioni che riguardano

informazione politica, economia e violenza.

• Le notizie sulla discriminazione delle donne si aggirano intorno al 4% delle notizie.

Complessivamente le notizie che vedono le donne attrici principali sono quelle che

riguardano questioni sociali e legali, e notizie riguardanti scienza e salute (Grecchi, 2003).

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