Filippo Juvarra a Messina: la chiesa di San...

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Il 7 maggio 1705 Filippo Juvarra veniva premia- to in Campidoglio per la prima classe di archi- tettura del concorso Clementino di quell’anno, debuttando così ufficialmente nell’affollato mondo degli architetti romani 1 . Da soli otto mesi si era trasferito da Messina a Roma, dove era stato ammesso nello studio di Carlo e Fran- cesco Fontana, che continuerà a considerare maestri per il resto della sua vita 2 . Il ruolo di Carlo Fontana nella formazione 195 Fulvio Lenzo Filippo Juvarra a Messina: la chiesa di San Gregorio artistica di Filippo Juvarra è stato più volte sot- tolineato, tuttavia le fonti più antiche forniscono testimonianze contraddittorie sull’incontro tra i due 3 . La Vita del Cavalier Don Filippo Juvarra – una biografia anonima attribuita al fratello Fran- cesco – narra che Fontana gli chiese, come prova d’esame, il disegno di un capitello e che restò meravigliato dal suo eccezionale talento grafico 4 . L’Elogio del Signor abate D. Filippo Juvara scritto da Scipione Maffei racconta invece del progetto di un palazzo, disegnato con il calore e la fantasia della sua terra, che indusse Fontana a consigliar- gli di disimparare quanto aveva appreso sino a quel momento 5 . A Messina Juvarra aveva studia- to i trattati e, probabilmente, praticato le attività di argentiere e scenografo. A Roma circa mille disegni documentano un’attività di studio inten- sa e onnivora distribuita nell’arco di dieci anni 6 . Questo esteso corpus grafico testimonia come egli continuasse a essere ricettivo e a considerare ancora aperta la sua formazione anche dopo aver dimostrato, con il progetto presentato al concor- so Clementino, di essere un architetto cólto e aggiornato e di possedere una notevole abilità nel controllare organismi complessi e articolati senza tuttavia trascurare i dettagli. Ma qual era il bagaglio culturale di Juvarra quando giunse a Roma? Cosa disimparòe cosa ritenne della iniziale formazione messinese? E soprattutto cosa imparò di nuovo durante quegli otto mesi precedenti la vittoria al concorso Cle- mentino, trascorsi a fianco dei Fontana, dise- gnando le antichità di Roma? Per tentare di rispondere a tali domande è necessario ricomporre le frammentarie notizie sulla sua attività nella città natale e in particola- re il completamento, tra il 1703 e il 1705, della chiesa cinquecentesca del monastero di San Gregorio. Un progetto che si colloca esatta- mente a cavallo fra l’anno precedente il suo tra- sferimento a Roma e quello immediatamente successivo, sul quale non vi sono sino a ora studi che abbiano provato a stabilire quali furono le precise responsabilità di Juvarra. Le attribuzioni: fonti, disegni, frammenti Se si escludono una serie di otto incisioni realiz- zate nel 1701 e un esiguo numero di argenterie – la cui attribuzione a Juvarra non è certa 7 – l’uni- ca attività di cui si abbia notizia prima del suo 1. Messina, San Gregorio, facciata, ante 1908 (foto collezione privata).

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Il 7 maggio 1705 Filippo Juvarra veniva premia-to in Campidoglio per la prima classe di archi-tettura del concorso Clementino di quell’anno,debuttando così ufficialmente nell’affollatomondo degli architetti romani1. Da soli ottomesi si era trasferito da Messina a Roma, doveera stato ammesso nello studio di Carlo e Fran-cesco Fontana, che continuerà a consideraremaestri per il resto della sua vita2.

Il ruolo di Carlo Fontana nella formazione

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Fulvio Lenzo Filippo Juvarra a Messina: la chiesa di San Gregorio

artistica di Filippo Juvarra è stato più volte sot-tolineato, tuttavia le fonti più antiche fornisconotestimonianze contraddittorie sull’incontro tra idue3. La Vita del Cavalier Don Filippo Juvarra –una biografia anonima attribuita al fratello Fran-cesco – narra che Fontana gli chiese, come provad’esame, il disegno di un capitello e che restòmeravigliato dal suo eccezionale talento grafico4.L’Elogio del Signor abate D. Filippo Juvara scrittoda Scipione Maffei racconta invece del progettodi un palazzo, disegnato con il calore e la fantasiadella sua terra, che indusse Fontana a consigliar-gli di disimparare quanto aveva appreso sino aquel momento5. A Messina Juvarra aveva studia-to i trattati e, probabilmente, praticato le attivitàdi argentiere e scenografo. A Roma circa milledisegni documentano un’attività di studio inten-sa e onnivora distribuita nell’arco di dieci anni6.Questo esteso corpus grafico testimonia comeegli continuasse a essere ricettivo e a considerareancora aperta la sua formazione anche dopo averdimostrato, con il progetto presentato al concor-so Clementino, di essere un architetto cólto eaggiornato e di possedere una notevole abilitànel controllare organismi complessi e articolatisenza tuttavia trascurare i dettagli.

Ma qual era il bagaglio culturale di Juvarraquando giunse a Roma? Cosa disimparò e cosaritenne della iniziale formazione messinese? Esoprattutto cosa imparò di nuovo durante quegliotto mesi precedenti la vittoria al concorso Cle-mentino, trascorsi a fianco dei Fontana, dise-gnando le antichità di Roma?

Per tentare di rispondere a tali domande ènecessario ricomporre le frammentarie notiziesulla sua attività nella città natale e in particola-re il completamento, tra il 1703 e il 1705, dellachiesa cinquecentesca del monastero di SanGregorio. Un progetto che si colloca esatta-mente a cavallo fra l’anno precedente il suo tra-sferimento a Roma e quello immediatamentesuccessivo, sul quale non vi sono sino a ora studiche abbiano provato a stabilire quali furono leprecise responsabilità di Juvarra.

Le attribuzioni: fonti, disegni, frammentiSe si escludono una serie di otto incisioni realiz-zate nel 1701 e un esiguo numero di argenterie –la cui attribuzione a Juvarra non è certa7 – l’uni-ca attività di cui si abbia notizia prima del suo

1. Messina, San Gregorio, facciata, ante1908 (foto collezione privata).

trasferimento a Roma è nella chiesa di San Gre-gorio, dove gli interventi a lui attribuiti sonoincerti e controversi. La Vita riferisce che, primadella sua partenza, Filippo Juvarra aveva adorna-ta le finestre e chiesa di San Gregorio e che fu pro-prio grazie a questi lavori che ricevette dalla suacommittente, monaca nel monastero, e sorella dimonsignor Tommaso Ruffo, la lettera commenda-tizia per il prelato residente a Roma che, a suavolta, lo raccomandò a Carlo Fontana8. Juvarratornò a Messina nel 1705, dopo la premiazione alconcorso Clementino e da alcuni suoi disegnisappiamo che si occupò della ristrutturazione delpalazzo di Muzio Spadafora e, come vedremo,continuò i lavori in San Gregorio9.

I due gravi terremoti del 1783 e del 1908,che distrussero quasi interamente il patrimonioedilizio messinese, insieme a incendi, guerre,dispersioni di documenti, sembrano avere can-cellato ogni traccia di quei primi venticinque

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anni che Juvarra trascorse a Messina.Al principio del XX secolo Gaetano La

Corte Cailler raccolse la tradizione orale, alloraancora viva nel monastero di San Gregorio,secondo la quale Juvarra avrebbe aperto nellafacciata della chiesa le due finestre per il coro epartendo da questo dato gli attribuì il progettodell’intera facciata10. Tale attribuzione, trascura-ta dalla storiografia successiva, è comunque dascartare per incongruenze cronologiche: le fontidocumentano infatti che la facciata vennecostruita su commissione di Saveria RuffoColonna nel 1743, sette anni dopo la morte diJuvarra e inoltre appare totalmente estranea aisuoi modi compositivi11 (ill. 1).

Anche l’attribuzione del campanile, avanzatanel 1957 da Maria Accascina, non è accettabileper lo stesso motivo12. Il campanile fu infatti com-pletato nel 171713, quindi dopo la definitiva par-tenza di Filippo Juvarra per Torino, anche se, inquesto caso, la problematica si presenta più com-plessa e interessante per l’evidente ripresa, nelcampanile di San Gregorio, del motivo a spiraledella lanterna di Sant’Ivo alla Sapienza. La realiz-zazione messinese però è solo una traduzionesemplicistica della struttura borrominiana: non sitrattava di una torre costruita come una vera spi-rale, ma di una guglia conica sulla cui superficie siattorcigliava una cornice coclide. La trasposizio-ne ingenua del modello borrominiano nei modidi un’iconografia locale rimanda alla figura di unarchitetto dilettante e si dimostra congruente conla sensibilità di un costruttore di macchine eapparati effimeri, attento all’allestimento sceno-grafico più che alla logica costruttiva14.

Dalle fonti e dai documenti sull’architetturamessinese della prima metà del Settecento emer-ge il quadro di una città in cui l’attività architet-tonica è delegata a pittori e scenografi. Gli episo-di più eclatanti sono quelli di Placido Campolo eOnofrio Gabrielli, entrambi pittori, l’uno proget-tista della scalinata del Monte di Pietà, l’altroautore di un trattatello di ingegneria idraulica15.Ma è anche il caso di Francesco Raffaello Mar-gherita, Pietro Cirino e Paolo Filocamo, tutti etre documentati a San Gregorio, e fra i qualicredo vada ricercato l’autore del campanile16.

La mancanza dei documenti di cantiere nonpermette di attribuire con certezza il campaniledi San Gregorio ad alcuno dei tre, anche se l’en-fasi con cui Filocamo rappresentò il campanilenelle sue vedute di Messina del 1718 farebbepensare a un suo coinvolgimento diretto nellacostruzione17. Paolo Filocamo, pittore profes-sionista e dilettante di architettura, era amico diFilippo Juvarra, aveva studiato a Roma all’Acca-demia di San Luca, frequentando le classi di pit-tura negli anni in cui Juvarra insegnava prospet-tiva e dividendo con lui l’appartamento in viadei Leutari18. La sua presenza nella chiesa di San

2. Ricostruzione della pianta di San Gregorio (F. Lenzo).

no, in particolare della cappella maggiore e deicoretti laterali della navata, non documentati dadisegni ma attribuiti a Juvarra dalla storiografiasu basi stilistiche23.

È impossibile oggi un confronto con l’edifi-cio, dato che la chiesa, gravemente danneggiatadal terremoto del 1908, fu successivamente rasaal suolo e non ne esistono rilievi né disegni24.Anche la documentazione d’archivio è moltolacunosa: il fondo notarile è stato quasi comple-tamente distrutto nel 1943 e del fondo delmonastero di San Gregorio si conservano soloalcuni libri contabili, nessuno dei quali relativoal periodo in questione.

Per fortuna un’ampia campagna fotograficaeseguita subito dopo il terremoto ce ne ha tra-smesso, almeno per alcuni settori, una riccadocumentazione, ulteriormente convalidata daiframmenti superstiti del paramento marmoreointerno, attualmente conservati nei depositi delMuseo Regionale di Messina25.

Lo studio di tali frammenti si è scontrato condifficoltà oggettive, in quanto non sono cataloga-ti né separati dall’enorme numero di elementiarchitettonici e decorativi provenienti dagli altriedifici che subirono la stessa sorte di San Grego-rio e spesso sono difficilmente accessibili, sepoltisotto montagne di marmo26. Tramite il confrontocon le fotografie ho potuto identificare con sicu-rezza una settantina di pezzi provenienti dall’in-terno di San Gregorio, che sono stati misurati,fotografatati e catalogati, identificandone i prin-cipali litotipi e individuandone l’originaria collo-cazione all’interno della chiesa. Il rilievo deiframmenti ha permesso quindi di dare unadimensione precisa alle parti documentate dallefoto e di ricostruire metricamente le pareti delpresbiterio e della cappella maggiore. Dall’idealericomposizione dei prospetti interni si è ricavata

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Gregorio è documentata, come pittore, dal 1717al 1723, gli stessi anni in cui fu costruito il cam-panile19. È comunque da escludere la partecipa-zione di Filippo Juvarra, il cui ruolo potrebbeessere stato, al massimo, quello di tramite fra ilprototipo romano e la realizzazione messinese.

Il suo intervento va ricercato all’interno dellachiesa, dove è confermato sia dalle fonti che dadisegni. La Vita cita esplicitamente le finestre eparla poi genericamente di adornamenti, e il con-temporaneo Francesco Susinno fa riferimento,per l’interno, a vari abbellimenti di architettura20.

A conferma della presenza di Juvarra nellachiesa esistono inoltre i disegni autografi in unalbum ora al Metropolitan Museum di NewYork. In particolare alcuni fogli con disegni peril coro in controfacciata (MM 127, MM195/196 e MM 194/199) e un foglio relativo alprogetto di un altare (MM 192), esplicitamenteriferiti alla chiesa di San Gregorio a Messina dadidascalie autografe, che ne indicano anche lacommittenza Ruffo (ill. 3-5, 7). Henry Millon,che ha studiato e pubblicato per la prima volta idisegni nel 1984, ha accostato a questi fogli altridue conservati alla Biblioteca Nacional diMadrid (Madrid B-8177 e Madrid B-8178) conquattro disegni per altari, privi di iscrizioni, maricondotti ai lavori in San Gregorio su base sti-listica21 (ill. 8-11).

Pur essendo assodato che Juvarra redassedisegni per la chiesa di San Gregorio, altre que-stioni rimangono ancora da definire: la datazio-ne dei progetti, che la Vita riferisce al periodoimmediatamente precedente il trasferimento aRoma e quindi al 1703 o, al massimo, ai primimesi del 1704 e che Millon, sulla base dei dise-gni, data al 170522; se e come i progetti furonomessi in opera; e infine l’esistenza o meno di unprogramma globale di ridefinizione dell’inter-

3. Filippo Juvarra, “Pensiero del coretto di S. Gregorio di Messina e messo in opera”(MM 127. Da H. Millon, Filippo Juvarra.Drawings from the Roman Period[1704-1714], Part I, Roma 1984).

4. Filippo Juvarra, prospetto del coro diSan Gregorio (MM 196-197). Iscrizione:“Per il medesimo ad istanza delli Sig.iRuffi” (Da Millon, Filippo Juvarra…, cit.).

la pianta di quest’area della chiesa, mentre perprocedere nella ricostruzione della pianta sonostate usate metodologie differenti: il transetto èstato disegnato tramite la restituzione prospetticadelle fotografie e per il coro sono stati utilizzati idisegni MM 194/99 e 195/6 di Juvarra.

Prima della sua distruzione la chiesa di SanGregorio si presentava come un impianto a crocegreca allungata, con cupola all’incrocio fra navatae transetto. Il transetto era spostato verso l’in-gresso e la porzione di navata compresa tra lacupola e l’ingresso era dunque più corta del pre-sbiterio, il cui asse longitudinale era ulteriormen-te prolungato dalla cappella maggiore (ill. 2).

Cominciamo analizzando il progetto delcoro, per passare poi alla navata, ai disegni perl’altare e alla cappella maggiore.

Il coroIl coro per le monache era collocato in una tri-buna sopraelevata al di sopra dell’ingresso dellachiesa, a ridosso della controfacciata. In assenzadi dati archivistici l’unica conferma dell’effettivamessa in opera del coro da parte di Juvarra è latradizione riportata da Gaetano La Corte Cail-ler, secondo la quale l’architetto avrebbe apertole due finestre simmetriche in facciata per uso delcoro. Questo dato, sebbene non verificabile,appare particolarmente interessante in quanto a

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La Corte Cailler – e presumibilmente anche allasuora che riferì la notizia – non erano noti né labiografia che metteva in relazione Juvarra allachiesa né tantomeno i disegni per il coro.

Il terremoto del 1783 fece crollare la voltasopra il coro, i cui affreschi, originariamentedipinti da Antonio e Paolo Filocamo nel 1723,vennero rifatti da Letterio Paladino nel 179027. Eaccanto alle spese per abbattere la volta perico-lante, nei libri contabili del monastero figuranoanche quelle per lo smontaggio della gelosiametallica e per “la costruzione [di] un Solaro nellachiesa”28, dalle quali si desume che il coro preesi-stente era andato distrutto. Dalla succinta descri-zione di La Corte Cailler sappiamo che il coroesistente fino al 1908 era intagliato in noce e severoe l’aggettivo severo non sembra certo adatto adescrivere il progetto di Juvarra (ill. 6), caratteriz-zato invece da un’aria festosa quasi teatrale29. Pro-babilmente il giudizio si riferisce al coro rico-struito da Francesco Basile, l’architetto che curò irestauri della chiesa e del monastero nel 178530.

I tre disegni di Juvarra per il coro, ovverouna pianta, un prospetto e una sezione, mostra-no l’esistenza di due stadi progettuali differenti.In particolare la pianta sembra risalire a unmomento precedente a quello degli altri duedisegni e non è congruente con essi per dimen-sioni e conformazione.

Il disegno a matita e penna della pianta (MM127) con la didascalia “Pensiero del coretto di S.Gregorio di Messina / e messo in opera” rappre-senta la zona della navata compresa tra l’ingres-so della chiesa e il transetto, quest’ultimo dise-gnato solo sulla metà destra del foglio (ill. 3).Juvarra pensò inizialmente a una controfacciataad andamento semiellittico, la cui curvatura erariecheggiata da un emiciclo interno di ottocolonne libere; altre quattro erano addossate almuro, affiancando la porta e le estremità dellastruttura, sostenendo il primo livello del coro, informa di ambulacro. Questo si sarebbe trovato aun’altezza inferiore della porta di ingresso, cheveniva scavalcata da un ponte di sei gradini. Unalinea che ricalca l’asse maggiore dell’ellisse, orto-gonale alle pareti della chiesa, segnala il pianodella tribuna. Un ovale rapidamente tracciato amatita indica un’idea per uno sfondamento dellatribuna in corrispondenza dell’ingresso che, seb-bene non sviluppata ulteriormente, rappresental’elemento più affascinante e problematico ditutto il progetto. Lo sfondamento avrebbe inter-rotto l’orditura del solaio e Juvarra fu costretto amodificare il profilo esterno della tribuna perinserire una trave sagomata che si accordasse conl’ovale e ad aggiungere due colonne che soste-nessero direttamente la piattaforma superiore: lelinee tratteggiate che le collegano alle colonneretrostanti e al bordo della tribuna indicano iltentativo di pensare a un’orditura alternativa31.

5. Montaggio fotografico dei fogli MM 194-199, con la sezione del coro. Iscrizione:“Per il coretto di S. Gregorio” (Da Millon, Filippo Juvarra…, cit.).

Il prospetto del coro (MM 196/197) con lascritta “Per il medesimo ad istanza delli Sig.iRuffi” (ill. 4) mostra un’ipotesi progettualediversa da quella della pianta: il colonnato è diquattro colonne invece che di otto e sono scom-parse le colonne di diametro maggiore. Il coro èdiviso in due livelli sovrapposti: le colonnesostengono un attico con mensole sopra il qualepoggia la tribuna, destinata a ospitare le mona-che, schermata da grate. In corrispondenza dellaporta l’attico si interrompe per l’inserimento diun arco ribassato con un’iscrizione, mentre allatrabeazione dell’ordine inferiore sono appesiquadri ovali sorretti da cherubini.

Anche nella sezione (MM 194/199) il sogget-to è certificato da una scritta autografa di Juvar-ra: “Per il coretto di San Gregorio” (ill. 5)32. Ildisegno rappresenta le due campate compresetra la controfacciata e il transetto della chiesa, laprima occupata dal coro, l’altra da una portasormontata da un’apertura rettangolare con

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gelosia. La sezione appare congruente con ilprospetto e quindi risalente allo stesso stadioprogettuale: non c’è più alcuna traccia dellosfondamento ovale né delle due colonne gigantidisegnate in pianta. Rispetto alla pianta (MM127), oltre al numero delle colonne cambiaanche l’articolazione delle membrature. Lo spi-golo verso il transetto – a destra nella sezione –termina con una parasta ribattuta, il cui capitel-lo, più stretto e sporgente, poggia su un peduc-cio rettangolare che termina con gutte. Fra lacampata libera e il coro, invece, la parasta èribattuta due volte accompagnando la concavitàdel primo livello del coro. All’estremità sinistradel disegno si intravede il basamento di un pila-stro che indica un angolo retto e contraddice lacontrofacciata curva disegnata in pianta.

Rapportando alla pianta il prospetto e lasezione si ottengono due altezze differenti, cosìcome costruendo la proiezione ortogonale a par-tire dagli alzati, si ottiene una pianta che noncorrisponde nelle proporzioni fra larghezza eprofondità a quella disegnata da Juvarra. Il terre-moto del 1908 fece crollare completamente lavolta e gran parte della facciata e del campanile,che si abbatterono su questa parte della chiesa, dicui non rimangono foto né frammenti con i qualiverificare i disegni. Per riportare i disegni allascala reale si devono quindi usare altri criteri.

In calce al disegno MM 127 (ill. 3) compaio-no due scale grafiche, una proporzionale, l’altra,segnata al fondo del foglio, in palmi messinesi:lette correttamente e messe in relazione fra lorole due scale ci danno, come larghezza della nava-ta, una misura di circa 12 metri33. Queste dimen-sioni non sono però compatibili con la larghezzadel presbiterio ottenuta dalla ricostruzione deiframmenti, che si attesta su una misura massimadi 9 metri. La possibilità che Juvarra inizialmen-te pensasse a un ampliamento della parte di nava-ta in cui collocare il coro, risulta smentita dallapresenza, nella pianta e nella sezione, di uno deipiloni su cui impostava la cupola cinquecentesca.Il mantenimento della cupola su base quadrataimplica che i quattro bracci su cui poggiava, cor-rispondenti all’incrocio fra navata e transetto,fossero uguali tra loro. Riconsiderando i limitiimposti dalla cupola, non solo in pianta ma anchein alzato, si riesce a risolvere il problema. Levolte a botte su cui impostava la cupola condi-zionavano l’altezza delle paraste che scandivanole pareti della navata. Nei disegni del prospetto edella sezione del coro si può osservare infatti cheJuvarra ripropone l’ordine di paraste esistenti nelpresbiterio e visibili nelle fotografie (ill. 4-5, 13-14). Misurando le paraste superstiti e i frammen-ti di architrave, fregio, cornice e basamento delpresbiterio sono state ricostruite le dimensionidell’ordine corinzio e l’altezza della navata finoall’imposta della volta. Confrontando queste

6. Ricostruzione assonometrica del progetto di Juvarra per il coro di San Gregorio (F.Lenzo).

misure con i disegni dell’alzato del coro è statopossibile riportare il prospetto e la sezione allascala reale e ottenere, incrociandoli, una piantache conferma quella generale della chiesa.

Risulta così evidente come il disegno MM127 con la prima idea della pianta del coro,abbia proporzioni errate fra larghezza e profon-dità. Questo disegno è costruito basandosi sumoduli proporzionali e la scala di palmi è segna-ta in basso solo come riferimento metrico, pro-babilmente in assenza di un preciso rilievo. Ilprospetto e la sezione corrispondono, invece, auna revisione delle misure e, probabilmente, auna loro verifica sul posto da parte di Juvarra.Lo spazio a disposizione risultò più piccolo diquello ipotizzato e, per mantenere una correttaproporzione tra le colonne e gli intercolumni, funecessario ridurre il numero delle colonne daotto a quattro.

Ai due tempi di redazione del progetto corri-spondono anche luoghi diversi: la pianta, dise-gnata senza vedere la chiesa, fu realizzata aRoma, il prospetto e la sezione a Messina. L’esa-me dei fogli ne fornisce il riscontro: sul versodella pianta – al foglio MM 128 – figura lo schiz-zo di un’anfora e il testo di una nota indirizzata aJuvarra e scritta da Francesco Fontana, mentresul verso del foglio MM 196/197 – al cui recto èil prospetto del coro – si osserva una veduta diMessina che presumibilmente Juvarra avevadisegnato dal vero una volta ritornato in città34.

Anche la filigrana del foglio MM 127 si dif-

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ferenzia da quella degli altri fogli dell’albumrelativi ai progetti per San Gregorio: vi è un cer-chio che racchiude una colomba su tre monti,con una F sotto35; nei fogli MM 192, MM194/199 e MM 196-197, invece, un cerchio, conuna stella a sei punte sopra e una F sotto, circo-scrive un’ancora36. Quest’ultima filigrana ritornain altri fogli con soggetti messinesi e in disegnirealizzati dopo il ritorno a Messina37.

La pianta del coro di San Gregorio (MM127) disegnata a Roma testimonia che questoprogetto era stato affidato a Juvarra già primadel suo ritorno a Messina nell’estate del 1705,momento a cui risalgono invece gli altri duedisegni. Grazie ai primi lavori riferiti dalla Vitaaveva ottenuto una lettera di raccomandazioneper Tommaso Ruffo, e il mantenimento dei rap-porti con i Ruffo è documentato da alcuni foglirisalenti all’arrivo a Roma, nell’agosto del 1704:una fantasia architettonica, datata 27 agosto1704, che reca una dedica ad Antonio Ruffo, e laminuta di una lettera probabilmente indirizzataalla sua prima committente messinese, scritta sulretro di un’altra fantasia, datata al 15 agostodello stesso anno38.

La pianta (MM 127) fotografa le prime ideedi Juvarra, mentre nei due disegni per l’alzato vaidentificato il progetto più vicino alla soluzionedefinitiva poi messa in opera. Il coro che Juvarraprogettò per San Gregorio avrebbe occupatoquasi interamente il braccio di navata compresofra l’ingresso della chiesa e il transetto (ill. 6). Al

7. Filippo Juvarra, “Per un altare di S. Gregorio di Messina” (MM 192. DaMillon, Filippo Juvarra…, cit.).

8. Filippo Juvarra, disegno per l’altaremaggiore di San Gregorio (Madrid, Biblioteca Nacional, 8177r. Da FilippoJuvarra e l’architettura europea, Napoli1998).

livello inferiore vi erano quattro colonne dispo-ste in curva: nell’intercolumnio centrale era laporta di ingresso della chiesa mentre gli altrierano occupati da quadri ovali appesi alla trabea-zione. Al di sopra era un attico aperto, con para-petti mistilinei, in cui trovavano posto le menso-le che sorreggevano il terzo livello, quello delcoro vero e proprio. L’assenza di collegamentiverticali con la chiesa e le proporzioni delle duefigure schizzate nella sezione attestano che illivello intermedio non era praticabile e che ser-viva a raggiungere l’altezza della tribuna mante-nendo il corretto proporzionamento dell’ordinedi colonne, ma alludono, nel contempo, a unastruttura teatrale a palchetti.

La tribuna per le suore, all’ultimo livello, eradelimitata da una balaustra e nascosta da unagelosia metallica. Nella campata compresa tra ilcoro e il pilone della cupola era ricavato uncoretto laterale, con una gelosia allo stesso livel-lo del coro e, a piano terra, una porta sormonta-ta da un timpano spezzato con al centro lo stem-ma delle committenti sorretto da festoni.

Il coro, sebbene costruito in legno, era senzadubbio il progetto più importante fra quelliapprontati da Juvarra in San Gregorio in quan-to coinvolgeva un intero settore della chiesa emodificava la percezione generale dell’interno.Veniva riproposto l’ordine di paraste esistentedall’altro lato del transetto, nel presbiterio, sot-tolineando la continuità della navata longitudi-nale della chiesa e negando l’asse trasversale del

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transetto. Il livello inferiore del coro diventavaun atrio, privo di altari e altri elementi significa-tivi, e il colonnato curvo accorciava ancora dipiù quest’area, accompagnando direttamente alpresbiterio.

La struttura ideata da Juvarra era inusualerispetto ai cori delle chiese monastiche femmi-nili per la sua composizione, animata da unospiccato carattere celebrativo e teatrale: più checome un coro, essa si presentava come un palcod’onore, una tribuna privilegiata per le mona-che della famiglia Ruffo, che suggellavano cosìla loro posizione dominante all’interno delmonastero. Le colonne su cui poggiava la strut-tura, i parapetti mistilinei del primo livello, iquadri appesi tra le colonne, i festoni rimanda-no all’idea di un allestimento celebrativo tem-poraneo. Il drappo appeso alla cornice dell’ulti-mo livello del coro replica quello del baldacchi-no di San Pietro, cui si rifà anche nella scelta difar continuare sopra la tribuna soltanto la cor-nice della trabeazione, eliminando fregio earchitrave. Un’interpretazione analoga deltema della tribuna sopra l’ingresso si ritrovaanche in un disegno realizzato per il cardinaleOttoboni per allestire una delle sale per la Set-timana Santa39, ma lo sviluppo di questa idea èpienamente visibile nei primi pensieri per lachiesa di Sant’Uberto alla Venaria Reale40.

I quadri ovali del primo livello del coro diSan Gregorio, sostenuti da cherubini, sovrappo-sti a una trabeazione concava e inseriti tra due

9. Filippo Juvarra, disegno per l’altare maggiore di San Gregorio (Madrid, Biblioteca Nacional, 8177v. Da FilippoJuvarra e l’architettura europea, cit.).

10. Filippo Juvarra, disegno per altare(Madrid, Biblioteca Nacional, 8178r. DaFilippo Juvarra e l’architettura europea,cit.).

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bene non suffragata da alcun dato documentarioné da disegni, sono state concordemente accet-tate sulla base di considerazioni stilistiche. Pro-posta per la prima volta da Accascina nel 1957, èstata poi seguita da Boscarino e, sebbene dubita-tivamente, anche da Millon, che concorda suuna datazione anteriore alla partenza per Romanotando che “though bold and vigorous, thecurves of the choir doors and coretti appearcramped, strained and awkward”43.

Alcune fotografie scattate dopo il terremotodel 1908 (ill. 19) consentono di esaminare l’im-paginato dei coretti, strutturati su due livellisovrapposti. Nel registro inferiore del coretto disinistra si apriva la finestra che metteva in comu-nicazione la chiesa con la sala per le monacazio-ni, in quello di destra era la porta che immettevaalla sagrestia44. Il livello superiore era identico inentrambi i coretti, con un balcone con balaustra,la cui apertura era schermata da una grande gelo-sia bombata. Un’altra fotografia (ill. 20) mostradi scorcio le decorazioni lignee con gli stemmidelle committenti trattenuti da festoni.

I coretti interrompevano il partito architetto-nico della navata sviluppandosi come unità auto-noma dal pavimento sino all’imposta della volta:non erano rispettati né lo zoccolo di marmo dellanavata né l’architrave e il fregio della trabeazio-ne. Una scelta progettuale interpretabile come ildesiderio di differenziare e staccare il propriointervento rispetto all’ordine preesistente45. Lesingole membrature trovano riscontri nel tratta-

colonne, trovano il loro precedente noto nell’ul-timo livello della chiesa di San Carlo alle Quat-tro Fontane. Anche l’inclinazione verso il bassodell’ovale, necessaria in San Carlo dato l’esiguospazio esistente per osservare la facciata, ritornaa San Gregorio e indica che Juvarra aveva certa-mente presente questa facciata quando progettòil coro della chiesa messinese41.

Lo sfondamento ovale segnato sulla piantadel primo progetto per il coro di San Gregorio(MM 127) sembra riprendere quello realizzatoda Borromini nella controfacciata di San Gio-vanni in Laterano, tra il portale e la finestrasoprastante42. L’adozione di un oculo ovale erauna soluzione generalmente riservata ad altari ocappelle, ma solamente nella basilica di SanGiovanni in Laterano si ritrovava sopra la portad’ingresso e su questo esempio Juvarra tornerà ariflettere in seguito per le porte della Galleria diDiana. Le eccezionali dimensioni pensate in SanGregorio per quest’elemento sono però incon-suete e sembrano anticipare quell’architetturaaperta che esploderà solo a Torino, nella chiesadel Carmine e nel salone di Stupinigi, mentre lacombinazione dello sfondamento con la coppiadi colonne che invadono lo spazio sottostantetroverà la sua più matura espressione nell’atriodi palazzo Madama.

La navataL’attribuzione a Juvarra dei coretti simmetricidel presbiterio e la loro datazione al 1703, seb-

11. Filippo Juvarra, disegno per altare(Madrid, Biblioteca Nacional, 8178v.Da Filippo Juvarra e l’architettura europea, cit.).

12. Filippo Juvarra, disegno per altare(Torino, Museo Civico, Raccolte juvarriane, vol. I, c. 96. Da G. Gritella,Juvarra. L’architettura, Modena 1992, II,p. 385).

to di Pozzo e nello Studio di De Rossi, ma sonorielaborate in un organismo nuovo. Gli stipitiinclinati della finestra al livello inferiore ripren-dono esempi romani, come le finestre del terzopiano di palazzo Barberini e le nicchie di SanGiovanni in Laterano, entrambe raffigurate daincisioni nello Studio del 170246. La conclusionedella parte alta, con i due archetti separati dallamensola in chiave, potrebbe derivare invece dallaprima figura, non numerata, del secondo volumedella Prospettiva di Pozzo, oppure dai finti coret-ti della cappella Cornaro.

Lo studio dei frammenti e della committen-za ha fatto emergere ulteriori dati a confermadell’attribuzione a Juvarra e nuovi indizi per ladatazione. Dalle iscrizioni apposte sui coretti sisa che quello di sinistra fu realizzato su commis-sione di suor Vittoria Ruffo, nel 1707, mentrequello di destra venne ultimato nel 1712 perconto di suor Teresa Ruffo47. Tenendo contodelle date e delle committenti – entrambe sorel-le del cardinale Tommaso Ruffo – l’ipotesi di unprogetto juvarriano acquista maggior forza. Frale due sorelle andrebbe ricercata la prima com-mittente, da identificare, forse, in VittoriaRuffo48: le date riportate nelle epigrafi fannopensare che solo il coretto più antico sia statoprogettato da Juvarra, e che l’altro sia una copiadel precedente, realizzata replicandone le formeper simmetria. Il completamento del coretto piùantico nel 1707 non dà però alcuna indicazionesulla data d’inizio dei lavori e non permettequindi di datare il progetto. I lavori potrebberoessere durati due o tre anni, ed essere stati avvia-ti sia nel 1704 sia nel 1705.

Nei disegni di Juvarra per il coro in contro-facciata (ill. 5), il gruppo porta-finestra dellaparete laterale appare molto più sobrio di quel-lo del presbiterio, con una maggiore attenzionerivolta alla parte bassa che non alla finestra, chesi configura come una semplice apertura congelosia metallica. La messa a punto di una solu-zione diversa per uno stesso tipo di struttura,all’interno della stessa chiesa, lascerebbe sup-porre una non contemporaneità fra i coretti delpresbiterio e quelli adiacenti la tribuna.

D’altra parte, però, alcuni progetti immedia-tamente successivi il ritorno a Messina del 1705dimostrano notevoli affinità con i coretti del pre-sbiterio di San Gregorio. In particolare i disegniper la facciata della chiesa della Santissima Tri-nità di Lucca49 e per il cancello di una villa sem-pre a Lucca50 – del 1706 – e una scenografia del1709 per il Giunio Bruto51, denotano l’interesse diJuvarra per la sovrapposizione di porta e balconee il tentativo di unificarli in una composizioneorganica, concentrandosi soprattutto negli ele-menti di collegamento tra le due aperture.

Altri indizi vengono dai marmi impiegati neicoretti. In contrasto con gli accostamenti croma-

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tici preesistenti, basati su minuti disegni gialli ebianchi su fondo nero o azzurro, i coretti rifiuta-no gli elaborati motivi delle tarsie optando persemplici campiture di marmo colorato contorna-to di bianco52. Nelle pareti le tarsie avevano inva-so tutte le superfici disponibili, non solo lesuperfici piane ma anche gli elementi di defini-zione architettonica, come i capitelli, le modana-ture e le cornici. Nei coretti il colore è usato perdifferenziare: gli stipiti della porta superioresono rossi – così come i balaustri –, le mensoleche sorreggono il balcone sono verdi, quelledelle finestre gialle. Accanto ai marmi siciliani –come il rosso di Taormina, il giallo di Castrono-vo e il libeccio di Custunaci –, nei coretti sonoimpiegati anche marmi d’importazione, come ilbianco – quasi sicuramente di Carrara –, la brec-cia medicea e il verde antico. L’impiego di marmitoscani, quali il bianco di Carrara e la brecciamedicea, è largamente testimoniato in Sicilia,mentre più anomalo è l’uso del verde antico53.Era un marmo di reimpiego, originariamentecavato in Tessaglia, ma la cui principale fonte diapprovvigionamento, nel XVIII secolo, erano lecolonne cavate in epoca romana. Praticamenteinutilizzato in Sicilia, dove gli venivano preferitiil verde Alpi e il verde di Calabria, era invecemolto usato a Roma, dove ne esistevano grandiscorte54. L’impiego di questo marmo implicavauna fornitura romana e suggerisce la presenza diun architetto che aveva familiarità con i cantierie i materiali della città papale. È plausibile chequest’architetto sia Juvarra, attivo nel cantiere diSan Gregorio proprio in quegli anni. Questoperò comporta che la datazione del progetto deicoretti è da posticipare al 1705, quando Juvarraritornò a Messina dal suo primo anno di tiroci-nio romano con Carlo Fontana.

Juvarra userà il verde antico anche nella cap-pella Antamoro in San Girolamo della Carità aRoma, mentre nelle realizzazioni torinesi losostituirà con il verde Alpi55. Se i coretti del pre-sbiterio di San Gregorio furono progettati daJuvarra, il che sembra abbastanza probabile, lescelte architettoniche e il gusto cromatico –incentrato sulla triade rosso, verde, oro – presa-giscono in una certa misura quella che sarà ladirezione sviluppata a Roma e Torino.

Il progetto per l’altareI disegni per l’altare pongono questioni piùcomplesse, quali la loro effettiva appartenenza aiprogetti per San Gregorio, la datazione e infinela collocazione all’interno della chiesa. Millonricostruisce un gruppo di tre fogli con vari dise-gni per altare riconducibili a San Gregorio,datandoli al 1705 e ipotizzandone la collocazio-ne in una delle due testate del transetto. Si trat-ta del foglio MM 192, la cui pertinenza è certagrazie alla didascalia di Juvarra, e dei fogli

Madrid 8177 e Madrid 8178, privi di annotazio-ni, ma identificati da Millon come progetti perSan Gregorio sulla base di confronti stilistici.

Nel foglio MM 192 (ill. 7), con in calce lascritta “per un altare di San Gregorio di Messi-na”, compaiono, nella metà superiore, due studia penna per altari e, nella metà inferiore, undisegno a matita. I due prospetti a penna rap-presentano idee alternative per uno stesso alta-re, inserito in un’apertura arcuata e inquadratoda quattro colonne, di cui le due interne postesu un piano avanzato, che Millon ritiene “alter-natives designs for one altar at the end of thetransept in S. Gregorio”56. Le parti basse dell’al-tare non sono tracciate e l’attenzione è concen-trata sulla terminazione superiore. Il disegno inalto a sinistra mostra una lunetta semicircolaredietro un timpano mistilineo e una pala d’altareche occupa la metà superiore dello spazio tra lecolonne. Nel disegno a destra, un grande cibo-rio a tre livelli trova posto fra le colonne, collo-cato contro la parete nuda di una nicchia. Laparte alta è più complessa, con due segmenti difrontone rivolti verso l’esterno e una finestra atre luci, di cui la centrale ovale; davanti all’ovaleè collocata una croce retta da putti e in alto unbaldacchino pensile con frange corona il tutto.

Nella porzione inferiore del foglio MM 192sono debolmente tracciate due pareti disegnate amatita, ognuna delle quali include un riquadrorettangolare racchiuso tra due paraste. Ogniparasta è sormontata da elementi plastici – vero-similmente urne o vasi – mentre al centro il pro-filo della trabeazione si abbassa per collegarsi alriquadro rettangolare con una chiave d’arco. Frale paraste centrali è appena accennata una lineache si incurva verso il basso, che collega i capi-telli e dalla quale si diparte una serie di linee ver-

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ticali parallele tra loro. È indubbiamente un pen-siero per l’ingresso monumentale di un giardino,con finestre – o specchiature – ai lati e un gran-de cancello al centro57. Un’articolazione simile,anche se non identica, ritorna nella recinzionedel palazzo progettato per il concorso Clementi-no del 1705, sia nella variante finale, che neglistudi preparatori58. Nei progetti per il concorsoClementino Juvarra pensa a una recinzione con-tinua e ritmata da elementi architettonici: para-ste sormontate da vasi o sfere, intervallate daspecchiature che si alternano a finestre, statue ofontane59. L’album contenente i progetti per SanGregorio fu rilegato in un momento successivoalla redazione dei disegni e la ricostruzione deifogli può aiutare a capire le relazioni fra i varidisegni. Prima della rilegatura i disegni ora allapagina 192 erano sulla stessa facciata del foglio189, in cui figurano due disegni con l’emblemadell’Accademia di San Luca, e la contemporaneapresenza dell’emblema dell’Accademia e del pro-getto del portale permette di riconoscere in que-sti disegni gli studi preparatori per le tavole delconcorso Clementino60. La didascalia “per unaltare di San Gregorio di Messina” va riferitasoltanto ai due disegni a penna nella parte alta

13. San Gregorio, altari della Madonna della Ciambretta, a sinistra, e di San Benedetto, a destra, post 1908 (foto collezione privata).

14. San Gregorio, altare di San Gregorio,post 1908 (foto collezione privata).

del foglio, ma l’identificazione – e dunque ladatazione – del progetto del portale consente didatare anche il progetto per l’altare al 1705.

Nella scheda dedicata alla discussione delfoglio MM 192, Millon scriveva che “Four addi-tional drawings on two sheets in the BibliotecaNacional in Madrid (8177 and 8178 recto andverso) may be related to designs for S. Grego-rio”61, e notava che il ciborio visibile nel disegno8177 “resembles one visible on the main altar ofS. Gregorio in photographs taken prior to itsdestruction”62. Per il disegno al verso si limitavaa osservare che la colomba dello Spirito Santo,che corona l’altare, era presente “in the fresco ofthe coir vault”. Per questi progetti non formula-va un’ipotesi esplicita riguardo alla collocazionedegli altari: i paralleli proposti sembrano indica-re progetti per l’altare maggiore, ma l’associa-zione con il foglio MM 192 lascerebbe pensarea un’identica posizione all’interno della chiesa.

Il disegno 8177r (ill. 8) raffigura un altareinquadrato da un’edicola di quattro colonnepoggianti su doppi piedistalli. Le colonne piùinterne sono su un piano avanzato rispetto aquelle esterne e la trabeazione sostiene segmen-ti di frontone rivolti verso l’esterno. Fra lecolonne interne è una pala d’altare e, sull’altare,un ciborio poligonale a piani sovrapposti. Soprala trabeazione è una lunetta aperta schermata daun timpano mistilineo e sopra la lunetta un’i-scrizione, sormontata dallo stemma Ruffo. Ilmuro della cappella è rapidamente schizzatosulla destra. La pala d’altare, di cui pure appareschizzato il soggetto, non doveva ancora esiste-re al momento in cui Juvarra ne prevede l’inse-

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rimento dietro il ciborio perché le tre diversesoluzioni per la terminazione superiore preve-dono altezze diverse. In quella che appare esse-re la prima stesura – è disegnata sulla traccia amatita sottostante – la pala è rettangolare, con-clusa in alto dalla trabeazione retta dalle colon-ne. Le altre due soluzioni invece prevedono unaconclusione arcuata e una soluzione in cui lapala è delimitata da una cornice formata da duesemiarchi con una mensola in chiave, simile allaterminazione dei coretti della navata.

Il disegno sul verso del foglio (Madrid8177v) mostra una soluzione più semplice (ill.9). Vi appare la porzione superiore di un altaresenza però la mensa, né le basi e i piedistallidelle colonne, con l’indicazione approssimativadi un ciborio a gradini davanti a una pala rettan-golare. Anche in questo disegno l’altare è for-mato da un’edicola di quattro colonne, di cui lepiù interne sporgenti. In corrispondenza dellapala la trabeazione è sporgente e sorregge unatiara papale con chiavi incrociate. Ai lati, sullecolonne principali, due semitimpani s’interrom-pono per lasciare spazio a un tondo con al cen-tro una colomba in atto di posarsi sulla tiara. Iltondo è sormontato da un segmento di frontonee fiancheggiato da ghirlande, mentre cassettonitrapezoidali sono indicati nell’arco che sormon-ta il tutto.

Dai disegni del foglio 192 dell’album di NewYork e da quelli del foglio 8177 di Madrid sidesume che Juvarra concentrò la sua attenzionesulla parte alta dell’altare mentre la porzioneinferiore – che doveva essere preesistente – intre disegni su quattro non è neppure tracciata. Il

15. San Gregorio, cappella maggiore, post 1908 (foto collezione privata).

16. San Gregorio, ciborio, post 1908 (fotocollezione privata).

numero e la disposizione delle colonne si ripe-tono identici: due coppie di colonne per lato dicui le più interne poste su un piano avanzato.

È invece diverso il disegno Madrid B-8178r(ill. 10), in cui è disegnato l’alzato di un altare dacostruirsi ex novo, e che a mio avviso è estraneoai progetti per San Gregorio. Le differenzeriguardano sia il progetto sia il metodo di rap-presentazione. Le coppie di colonne che inqua-drano l’altare poggiano su un basamento unicoinclinato a quarantacinque gradi, non congruen-te con la parte esistente dell’altare, che – come sidesume dagli altri disegni – aveva quattro basa-menti separati per le colonne. È l’unico disegno,

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fra quelli ascritti da Millon ai lavori in San Gre-gorio, a presentare una soluzione con statuaentro una nicchia, mentre negli altri compaionouna pala d’altare o soluzioni più propriamentearchitettoniche che valorizzano il grande cibo-rio. Nel disegno Madrid B-8178r scompareanche il monumentale tabernacolo, per fareposto a una custodia di dimensioni ridotte edalle linee più sobrie. Inoltre, a differenza deglialtri disegni, è tracciata solo la metà sinistra del-l’altare, pensando all’altra da costruirsi simme-tricamente e non la metà inferiore, lasciandoipotizzare quella inferiore come preesistente.Sul verso del foglio (ill. 11) è disegnata la piantadell’altare con la costruzione geometrica, altraevidenza che dimostra che l’altare doveva esserecostruito interamente. Questo progetto, estra-neo ai lavori per San Gregorio, è invece da met-tere in relazione con i primi studi per l’altare diSan Giuseppe nella chiesa di Santa Teresa aTorino63 (ill. 12).

La ricostruzione della storia della chiesa,finora mai condotta, ha permesso di stabilire chel’unico altare di cui poteva occuparsi Juvarra eral’altare maggiore.

Nel braccio sud del transetto erano tre altari(ill. 2); da sinistra, entrando in chiesa: l’altare delCrocifisso, quello dedicato alla Madonna dellaCiambretta e quello di San Benedetto. Dei duealtari laterali sappiamo che quello dedicato alCrocifisso era stato completato nel 1670, comericordava l’epigrafe letta da La Corte Cailler,mentre quello di San Benedetto non era datato,ma è documentato dalle fotografie e la pala ètuttora esistente64. L’altare della Madonna dellaCiambretta (ill. 13) è documentato abbondante-mente perché l’immagine che si venerava – unmosaico di epoca normanna raffigurante laMadonna con Bambino – era l’unico lacerto sal-vato nel 1537 dalla distruzione della precedentechiesa, e veniva considerata miracolosa65. L’alta-re destinato a ospitare il mosaico fu il primo aessere costruito nella nuova chiesa, e venne ulti-mato nel 1628 per conto di Giulia SpadaforaAlliata, antenata della committente di Juvarra66.

Nel braccio nord del transetto esistevanoaltri tre altari (ill. 2). Da sinistra, verso la cap-pella maggiore, quello dedicato a San Gregorio(ill. 14), con la tela dipinta nel 1636 da Antoni-no Barbalonga Alberti67. Al centro, sulla paretedi fondo, l’altare della Madonna del Rosario,con l’omonimo quadro di Guercino da Cento,commissionato nel 1665 da suor Teresa Ruffo diVillafranca68. L’altare fu fatto costruire dallastessa Teresa Ruffo nel 168569. Lo scarto fra larealizzazione del quadro e quella dell’altare èforse da imputare alle difficoltà economichedella Ruffo, dovute alla compromissione politi-ca del fratello nei moti antispagnoli del 1674-78e alla conseguente confisca dei beni di famiglia.

17. San Gregorio, urne di marmo ai lati della cappella maggiore, post 1908 (fotocollezione privata).

18. San Gregorio, dettaglio del raccordo frala trabeazione della navata e quella dellacappella maggiore (foto collezione privata).

L’altro altare del transetto nord, il primo adestra entrando nella chiesa, era dedicato a SantaSilvia; ospitava una tela che sappiamo dipinta incollaborazione dai fratelli Antonio e Paolo Filo-camo, e risulta già esistente nel 1701, quandoviene citato per alcune riparazioni70. Non èescluso che l’altare di Santa Silvia – di cui nonesistono fotografie né descrizioni – sia statorimodernato in seguito e che Juvarra, considera-ti i suoi legami con i fratelli Filocamo, possa averavuto un ruolo in quest’operazione. Ma quest’al-tare, come vedremo, non può comunque esserequello di cui conosciamo i disegni preparatori.

Esaminando tutti e quattro i disegni di Juvar-ra per l’altare di San Gregorio è possibile stabili-re che si riferiscono a un medesimo altare e chequesto non poteva essere che l’altare maggiore.In tutti i progetti è prevista l’apertura di finestredietro l’altare, il che era possibile solamente nel-l’altare maggiore, in quello della Madonna delRosario e, forse, in quello di Santa Silvia71. L’alta-re sarebbe stato racchiuso tra due coppie dicolonne, cosa che permette di espungere dallanostra lista l’altare di Santa Silvia, perché le pare-ti laterali del transetto erano di dimensioni trop-po ridotte per ospitare un altare a quattro colon-ne. Le soluzioni alternative proposte nei due pro-getti del foglio MM 192 e in quello del Madrid8177r indicano che non era ancora stata decisa ladestinazione della parte centrale, cioè se colloca-re una pala dipinta oppure una nicchia, il che per-mette di scartare anche l’altare della Madonna delRosario, la cui pala era già esistente. Infine neldisegno Madrid 8177r una serie di linee parallelealla destra dell’altare suggeriscono la visione pro-spettica di una parete prossima all’altare maggio-re: gli unici altari che avevano alla loro destra una

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parete così vicina erano quelli del Crocifisso e diSan Gregorio, i quali però non soddisfacevano lealtre condizioni già elencate.

I disegni permettono anche di stabilire lasituazione dell’altare maggiore nel momento incui intervenne Juvarra. Come si è detto mancavala parte alta, ma la posizione delle colonne eragià vincolata dalla preesistenza dei basamenti,probabilmente risalenti al 1688, quando MariaTeresa Ruffo aveva fatto consacrare la mensa72.Era in sito anche il ciborio, disegnato con preci-sione nel Madrid 8177r, e solamente abbozzatonel Madrid 8177v e nel disegno MM 192 adestra. Nel disegno di sinistra di questo stessofoglio il ciborio non è rappresentato (ill. 7), ma lapala d’altare occupa solo la metà superiore dellospazio disponibile, essendo evidentemente previ-sto qualcos’altro per la metà inferiore e mi sem-bra probabile che si trattasse proprio del ciborio.

Le varianti messe a punto da Juvarra vertonosulla possibilità di aprire finestre dietro l’altare edi integrare il ciborio nella composizione. Neldisegno di sinistra di MM 192, la semplice fine-stra semicircolare appare indipendente dall’arti-colazione architettonica dell’altare, il cui fronto-ne mistilineo, posto su un piano differente, sistaglia contro l’apertura. Nel Madrid 8177v lafinestra è ridotta a un oculo semicircolare che fada sfondo all’immagine della colonna dello Spi-rito Santo che discende sulla tiara papale; è inse-rita nel frontone, che si spezza al centro, conti-nuando come fascia modanata piana che includela cornice dell’oculo. Negli altri due disegni,MM 192 a destra e Madrid 8177r, si nota il ten-tativo di coordinare tutti gli elementi della partealta, timpano, finestra semicircolare e oculo. Perquanto riguarda il ciborio esso viene isolato

19. San Gregorio, coretto sinistro, post1908 (foto collezione privata).

20. San Gregorio, dettaglio dello stemmadel coretto destro, post 1908 (foto collezioneprivata).

come fulcro della composizione solamente nelMM 192 a destra, mentre negli altri tre disegniè prevista la collocazione di una pala d’altare.

I disegni di Juvarra mostrano una precoceassimilazione di modelli romani, selezionatiecletticamente e combinati con progetti noneseguiti conosciuti nello studio di Carlo Fonta-na o tramite fonti a stampa. Millon ha notatocome l’altare Madrid 8177v derivi da un altroprogettato da Carlo Fontana per la chiesa roma-na di Santo Spirito dei Napoletani, in cui com-pare la colomba racchiusa in un cerchio. Nelnostro caso la colomba è accostata alla tiarapapale, associazione che rimanda agli attributiiconografici tradizionalmente associati a SanGregorio Magno. Altre elaborazioni sviluppateda Juvarra dall’esempio di Fontana sono i dise-gni MM 2 e due disegni collegati all’altare diSan Giuseppe nella chiesa di San Francesco diPaola – MM 205 e Vincennes 24r, soluzione disinistra – per il proseguimento delle modanatu-re del timpano come cornice dell’ovale73.

La forma ovale della finestra dietro l’altaresarà un tema centrale nella cappella Antamoroin San Girolamo della Carità, primo progettoromano di Juvarra e, più tardi, nella cappella diSant’Uberto alla Venaria Reale, ma nel disegnoper San Gregorio l’ovale grava sulla trabeazio-ne, curvandola, mostrando la sua derivazione daimonumenti sepolcrali di San Giovanni in Late-rano74. Una composizione simile, con un volumecilindrico cupolato davanti a una finestra ovale,era stata pensata da Carlo Fontana per la cap-pella battesimale di San Pietro, già collegata da

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Hager alla cappella Antamoro, e in questo casole analogie sono ancora maggiori poiché davan-ti alla finestra, in controluce, non c’è una statuama un’analoga struttura architettonica75. Puntodi partenza per l’inserimento di una finestranella parte alta di un altare potrebbero esserestati gli altari di Sant’Andrea al Quirinale, chie-sa di cui sono noti numerosi studi di Juvarrarisalenti ai suoi primi anni di soggiorno romano.

L’altare maggiore esistente fino al 1908 (ill.15, 16, 17, 23) non corrispondeva ad alcuno deidisegni noti, tuttavia oltre ai condizionamentiimposti dalle preesistenze, è possibile ricono-scervi elementi derivati dai diversi progetti. NelMadrid 8177r la parte disegnata sopra la lunettava interpretata come collocata su un piano piùavanzato, sulla parete di fondo della navata. Èqui, infatti, che nella chiesa costruita si vede lagrande targa con l’iscrizione e le ghirlande. Lostemma con le armi della famiglia Ruffo, che neldisegno sta sopra l’iscrizione, sarà sostituito daun affresco sulla volta.

Sull’altare non fu collocata alcuna pala e sipreferì la nicchia pensata nel disegno in alto adestra del foglio MM 192, e anche l’idea di apri-re una finestra nella parte alta fu abbandonata,affidando l’illuminazione della cappella allefinestre laterali. L’altare era concluso da duesemitimpani curvilinei sulle colonne più interne,sormontati da due statue sdraiate di Virtù. L’ele-mento centrale era coronato da una sorta di tim-pano poggiante su mensole e concluso, in alto,da una colomba radiante.

Fra gli elementi che dai disegni del 1705 simanifestano come preesistenze, oltre alla mensae alle colonne, il più importante era il grandeciborio (ill. 16), di cui finora non è mai statapresa in considerazione la possibile paternitàjuvarriana, e che potrebbe invece risalire ai lavo-ri precedenti il viaggio a Roma. Era alto circa450 cm dal piano dell’altare; il livello inferiore,con la custodia vera e propria, era incastonatonella struttura a gradini dell’altare mentre quel-li superiori, con nicchie inquadrate da colonne,si elevavano liberi, coronati da una cupola abulbo. L’impianto ottagonale e la disposizionedelle colonne sono ripresi dalla figura 60 delsecondo volume di Pozzo76, che propone anchel’esempio per la cupola a bulbo ottagonale. Sug-gerimenti per risolvere i segmenti di frontonedello stesso livello potevano venire dal primoprogetto per San Giovanni in Laterano, mentrel’apertura della custodia, al livello più basso,potrebbe derivare dalla prima finestra dellatavola 96. Ma sono soprattutto i capitelli cherivelano la derivazione da Pozzo, replicandoquelli inventati dal gesuita per l’altare del BeatoLuigi nella chiesa di Sant’Ignazio, così comerappresentati nell’incisione della figura 26 delsuo trattato.

21. Ricostruzione della parete sinistra del presbiterio di San Gregorio, con fotomontaggio dei frammenti (F. Lenzo).

Le evidenti riprese dal secondo volume diPozzo, pubblicato nel 1700, permettono di fissa-re quest’anno quale termine post quem per ladatazione del ciborio, mentre i disegni eseguitida Juvarra nel 1705 mostrano il ciborio comepreesistente. Se, come sembra, il ciborio fu idea-to e realizzato fra il 1700 e il 1705, ci sonobuone probabilità che esso sia stato progettatoda Filippo Juvarra nel suo primo interventonella chiesa, prima del 170477.

La trabeazione dell’altare, con il grande fre-gio in stucco dorato che unificava l’altare e lacappella maggiore, necessita di una discussionepiù ampia poiché pone il problema della con-temporaneità di realizzazione tra altare e cap-pella e dell’eventuale partecipazione di Juvarraalla definizione di tutta quest’area della chiesa.

La cappella maggioreI lavori nella cappella maggiore di San Gregorioerano cominciati nel 1688, con la consacrazionedell’altare, e si conclusero nel 1717 con l’affrescosulla volta, su commissione, ancora una volta,delle sorelle di monsignor Tommaso Ruffo78. Idisegni di Juvarra per l’altare, presi insieme, cidicono che nel 1705 questa zona della chiesanon era ancora chiaramente definita e la testi-monianza di Susinno, secondo il quale Juvarraavrebbe portato a termine79 l’interno di San Gre-gorio, lascerebbe supporre che siano da attribui-re a lui sia la parte alta dell’altare sia il comple-tamento dell’intera cappella. Dalle numerosefotografie esistenti è possibile conoscere laconformazione della cappella, a pianta rettango-lare, inquadrata nella parete di fondo della nava-ta da due coppie di paraste (ill. 15, 17). Alle quat-tro paraste esterne erano accostati altrettantigrandi vasi su piedistallo. L’altare occupava quasiper intero la cappella: due coppie di colonne

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incorniciavano una nicchia con al centro il cibo-rio a tre livelli – elemento cardine dell’interacomposizione – illuminato lateralmente da duefinestre termali.

Accettando che la definizione del coro incontrofacciata e dei coretti del presbiterio risal-ga al 1705, gli adornamenti attribuiti a Juvarradalla Vita e riferiti al periodo precedente il tra-sferimento a Roma sono da localizzare nellacappella maggiore. In mancanza di disegni edocumenti bisogna esaminare i singoli elementidella composizione, cercando la chiave interpre-tativa nella formazione di Juvarra. Le rare indi-cazioni che abbiamo a disposizione sono quelleche offre la Vita: prima argentiere sotto la dire-zione del fratello Francesco, poi architetto auto-didatta formatosi sui trattati. Sono esplicitamen-te citati Vitruvio, Vignola e Pozzo80, e in manie-ra indiretta, lo Studio di De Rossi del 1702 e unaguida di Roma Antica81.

La Vita fa preciso riferimento alle finestredella chiesa e su questa base l’Accascina ha rico-nosciuto nel motivo delle finestre termali dellacappella maggiore – definito nuovo per Messina –l’intervento di Juvarra82. In realtà le finestre a treluci erano già presenti a Messina nel portale dellaZecca di Jacopo Del Duca, nel prospetto delconvento dell’Annunziata dei teatini e sicura-mente note anche dai Quattro Libri di AndreaPalladio, ma una novità è invece costituita dalmodo in cui la cornice della finestra proseguivanella parte inferiore, attorcigliandosi verso l’in-terno in forma di voluta83. Modello illustre perquesto tipo di finestra – che diverrà una costantedel lessico architettonico di Juvarra a Torino –erano le finestre realizzate da Michelangelo nellabasilica di Santa Maria degli Angeli a Roma. Èsempre la Vita a informarci che Filippo Juvarra“desiderava al più alto segno venire in Roma pervedere, e copiare le architetture antiche di tantivalent’huomini, come Micchel’Angiolo ed in talmodo assodarsi e perfezionarsi”84. Il desiderio distudiare direttamente le opere di Michelangelotestimonia che Juvarra le apprezzava e dunque,anche se per via indiretta, le conosceva. È possi-bile che Juvarra, ammiratore di Michelangelo eaggiornato conoscitore del mondo dell’editoria edell’incisione, abbia avuto a disposizione ancoraa Messina qualche rappresentazione a stampadelle finestre di Santa Maria degli Angeli, comequella segnalata da Ackermann e risalente al170385.

Anche l’uso di urne e vasi isolati su piedistal-li, come elementi decorativi, è ricorrente lungotutto l’arco della sua carriera. Due grandi vasiinquadrano una fantasia architettonica datata 15agosto 170486, probabilmente il primo disegnoromano, mentre altri vasi simili a quelli di SanGregorio si vedono in numerose altre vedutefantastiche87, disegni per vasi ritornano nel 1735

22. Ricostruzione della parete di fondo della navata di San Gregorio, con fotomontaggiodei frammenti (F. Lenzo).

in un volume di fantasie del Museo Civico diTorino88 e negli studi, ripresi da Serlio, contenu-ti nel volume noto come Galleria Architettonicadel 170789. L’idea di collocare le urne in quellaposizione, contro paraste, a incorniciare unospazio vuoto centrale, proviene dal trattato diAndrea Pozzo, dove alla figura 48 del II tomo, èraffigurata una coppia di vasi con sagoma e posi-zione simili a quelle dei vasi di San Gregorio.L’uso, nelle urne di San Gregorio, di impiallac-ciature in marmo verde di Calabria, invece delverde antico usato nei coretti, porta a una data-zione anteriore al 1705 (ill. 17).

L’Accascina attribuì a Juvarra anche il fregiodella cappella maggiore senza tuttavia addurrealcuna motivazione esplicita. Il fregio bombatocon foglie d’acanto e testine di cherubini nontrova alcun riscontro in opere o disegni noti diJuvarra, ma la connessione, implicita per l’Acca-scina, è con la derivazione di questo motivo dalrepertorio decorativo della produzione orafadella famiglia Juvarra90. Il fatto poi che il fregiofosse dorato accresce i parallelismi con l’argente-ria, e pone la cappella di San Gregorio sulla stes-sa linea di opere di transizione tra l’arte deimetalli e l’architettura, quali il baldacchino delduomo di Messina e l’altare di Sant’Ignazio aRoma, entrambe vicine a Filippo Juvarra91. Unfregio dorato è anche nella cappella Antamoro inSan Girolamo alla Carità, ma nella realizzazioneromana scompare ogni riferimento all’oreficeriae la decorazione attinge a un repertorio tipica-

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mente architettonico di radice borrominiana92. La stretta connessione fra l’altare e la trabea-

zione della cappella maggiore di San Gregoriopotrebbe indicare che entrambi risalgono a ununico momento progettuale, ma lo stesso legamesi può osservare con le finestre michelangiole-sche e con l’ordine di paraste sottostante. L’ordi-ne architettonico era concepito come una fasciacontinua: le paraste delle pareti laterali della cap-pella proseguivano anche sulla parete di fondodella navata per poi diventare tridimensionalinelle colonne dell’altare (ill. 15). Era un ordinedi dimensioni minori rispetto a quello dellanavata, con il quale si incontrava nella parete difondo del presbiterio; le membrature verticalidei due ordini erano semplicemente accostate,mentre una relazione più ambigua si stabiliva frale trabeazioni, coordinate tra loro senza unagerarchia chiaramente leggibile. L’architravedell’ordine maggiore si interrompeva per farposto alla trabeazione minore, ma la cornice e ilfregio a girali d’acanto policromi proseguivanoper incorniciare l’arco che separava la cappelladal presbiterio. Il fregio dell’ordine minore, instucco dorato, con testine di putti a tutto tondoche sottolineavano gli elementi verticali sotto-stanti – lesene e colonne –, si trovava alla stessaaltezza della fascia dei capitelli corinzi dell’ordi-ne maggiore (ill. 18), così come la cornice mino-re era in continuità con l’architrave.

La concezione generale della cappella dimo-stra una consapevolezza della teatralità deglispazi tipicamente berniniana, non certo mutua-bile da fonti a stampa, ma il dettaglio del rac-cordo tra i due ordini sembra piuttosto riferibi-le a un altro esempio. Infatti non discende dallacappella Cornaro – in cui le due trabeazioni sci-volano armonicamente l’una sull’altra alludendoa un terzo ordine –, bensì risulta da un’opzioneper la più secca soluzione di Guarini. Nel suotrattato – pubblicato postumo nel 1737 – Guari-ni è il primo ad affrontare esplicitamente il pro-blema di due ordini sfalsati, ma già nelle tavolerelative alla chiesa di Sainte-Anne-la-Royale eall’altare di San Nicolò a Verona dei Dissegni diarchitettura del 1686, è visibile la soluzione chepropone: fare slittare sullo stesso piano l’archi-trave dell’ordine maggiore e la cornice di quellominore per instaurare una continuità visiva fra lemembrature orizzontali. Nella cappella di SanGregorio l’espansione del fregio e la contrazio-ne dell’architrave minore attestano gli sforzicompiuti per adeguarsi al modello guariniano.

La tentazione è di considerare il fregio dellacappella realizzato nel 1703 e successivamenteesteso anche all’altare, ma in mancanza di altridati va sospeso il giudizio. Si può comunqueragionevolmente supporre che Juvarra abbiaoperato nella cappella maggiore di San Grego-rio in due fasi di cantiere successive ma non per-

23. Ricostruzione dell’altare maggiore di San Gregorio, con fotomontaggio dei frammenti (F. Lenzo).

fettamente scindibili in stadi progettuali separa-ti. Il primo intervento, nel 1703-04, sarebbequello cui fa riferimento la Vita e al qualeandrebbero fatti risalire i grandi vasi marmorei,il ciborio e le finestre termali, mentre i progettiper l’altare si collocano nel 1705. Fu in questaseconda fase che Juvarra studiò il problema finoad arrivare a una soluzione che tenesse contodella visione dell’intera cappella dalla navata,introducendo in corso d’opera variazioni per lequali non ci è giunto alcun progetto.

ConclusioniL’insieme degli interventi progettati e messi inopera da Filippo Juvarra nella chiesa di San Gre-gorio denota l’esistenza di un programma unita-rio per rinnovare completamente l’aspetto inter-no della chiesa. I vari elementi su cui era interve-nuto prima del viaggio a Roma furono ricondot-ti a un progetto unitario dall’accentuazione del-l’asse longitudinale e dalla scelta di una gammacromatica omogenea. La pianta del coro dise-gnata a Roma, la fornitura dei marmi per i coret-ti e il mantenimento dei rapporti con i commit-tenti messinesi denunciano la continuità dell’in-teresse di Juvarra in San Gregorio dal 1703 al1705. Tuttavia solo dopo il ritorno da Roma glielementi progettati nel 1703 – urne, finestre,ciborio – fino allora giustapposti paratticamente,vengono integrati in una più coerente unità.

I progetti del 1705 dimostrano la maturitàacquisita da Juvarra dopo solo un anno di studio

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a Roma. Gli studi per inserire una finestra dietrol’altare e lo sfondamento ovale sopra l’ingressoindicano il precoce interesse per la manipolazio-ne delle fonti di luce e la ricerca di fluidità deglispazi e una riflessione sul trattamento degli spaziinterni di Borromini, che suggeriscono, nel con-tempo, quelli che saranno gli sviluppi a scala piùmonumentale del periodo torinese.

Prima del 1704 i suoi riferimenti eranomediati da opere a stampa o derivati dall’ap-prendistato come argentiere. L’iniziale forma-zione di Juvarra comprendeva il lessico appresotramite lo studio di Vignola, Pozzo e Guarini ela dimestichezza con gli ornati tradizionali del-l’argenteria messinese; gli elementi delle piùcelebri architetture antiche e moderne di Romaerano conosciuti tramite raccolte di incisioni,ma si trattava solo di frammenti slegati tra loro.Ben più importante si rivelerà, una volta giuntoa Roma, la padronanza della rappresentazioneprospettica e del disegno, strumenti dell’occhioal servizio dell’arte del vedere93, poiché – comescriverà più tardi lo stesso Juvarra – “chi pocovede, niente pensa”94. Ed è in questo senso che sipossono ricomporre le testimonianze delle duebiografie circa l’esito della prova richiesta daFontana e risalire al bagaglio professionale diJuvarra al suo arrivo a Roma: ampio repertoriodi forme e abilità nel disegno – il capitello cheviene lodato – ma carenza di sintesi compositivanella progettazione di edifici – il palazzo.

Il soggiorno romano lo introdusse invece allavisione diretta delle architetture e al loro studionel dettaglio. Lo studio critico delle opere deimaestri, compiuto tramite i suoi innumerevolidisegni, sta a testimoniare proprio questa pro-gressiva consapevolezza del valore dell’analisiselettiva e ricompositiva. La riflessione di Juvarradopo l’esperienza diretta delle architetture roma-ne dei secoli precedenti è però concentrata sullepotenzialità dello spazio e sulla sua percezione.L’uso di differenti metodi di rappresentazione –vedute e schizzi prospettici, insieme a studi didettaglio più ravvicinati – contribuì a dare aJuvarra un’eccezionale capacità di controllo del-l’organismo architettonico. Anche se il linguag-gio dell’architetto era fatto di ordini architettoni-ci e aggregazione di volumi, i suoi mezzi espres-sivi erano lo spazio e la luce, e la prospettiva offri-va il vantaggio di verificare come l’illuminazionee le deformazioni influissero sulla percezione del-l’opera architettonica. Juvarra riusciva così agestire il progetto nella sua globalità, contami-nando i diversi aspetti della struttura tettonicadell’edificio, della decorazione, della percezionespaziale. La differenza fondamentale tra quantorealizzato prima e gli interventi successivi al sog-giorno romano sta proprio nell’esperienza dellospazio, lo spazio plastico di Borromini e Miche-langelo, lo spazio allusivo e teatrale di Bernini.

24. Ricostruzione della parete laterale sinistra della cappella maggiore di SanGregorio, con fotomontaggio dei frammenti(F. Lenzo).

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Il presente saggio è una rielaborazionedella mia tesi di laurea, svolta sotto laguida della professoressa GiovannaCurcio, cui rivolgo un ringraziamentoparticolare. Lo studio dei frammentimarmorei è stato fondamentale per laricerca e vorrei ringraziare l’ex direttri-ce del Museo Regionale di Messina,Francesca Campagna Cicala, e la dotto-ressa Maria Pia Pavone, per aver per-messo l’accesso ai depositi del museo.Sono inoltre molto grato ai collezionistiche hanno consentito la riproduzione difoto d’epoca e al professore GiovanniMolonia per la sua disponibilità. Rin-grazio inoltre Marco Rosario Nobile,che ha seguito la ricerca dall’inizio, peri suoi preziosi suggerimenti. Importan-te è stato lo scambio di idee e indicazio-ni con Francesco Pasquale e MaddalenaScimemi.

1. T. Manfredi, Juvarra a Messina, in“Storia dell’Arte”, 100, 1999-2000, p.109. L’evento è fissato in uno schizzodell’Album Tournon, T 13. Vedi H. Mil-lon, Filippo Juvarra. Drawings from theRoman Period (1704-1714), Part I, Roma1984, pp. 73 e 222-23.

2. Memorie sepolcrali delli Homini più insi-gni di q.o secolo conosciuto da me Cav.re D.Filippo Juvarra Architetto e Disegnatore inTorino 1735, Torino, Museo Civico, Rac-colte juvarriane, III. Il volume si apre conla memoria dedicata a Carlo Fontana,sotto la quale Juvarra scrive: “Cav. CarloFontana / Celebre Architetto / morì inRoma 1712. / Cav. D. Filippo Juvarrasuo discepolo / disegnò per memoria”.Una analoga dichiarazione per France-sco Fontana è in un “Disegnio del armiche si fecero al funerale del Cav. France-sco Fontana da Fi. Juvarra suo amatissi-mo discepolo” (Torino, BibliotecaNazionale, Ris 59-4, f. 100, trascritto inMostra di Filippo Juvarra architetto e sceno-grafo, catalogo della mostra [Messina,Palazzo dell’Università, ottobre 1966], acura di V. Viale, Torino 1966, p. 43).

3. H. Hager, Il significato dell’esperienzajuvarriana nella “scuola” di Carlo Fontana,in Studi Juvarriani, atti del convegnodell’Accademia delle Scienze (Torino,1979), Roma 1985, pp. 63-98, e B. Tavas-si La Greca, Il decennio romano di FilippoJuvara, in “Storia dell’Arte”, 41, 1981,pp. 21-30. Per il rapporto con FrancescoFontana vedi G. Curcio, Roma tra il 1700e il 1730, in G. Curcio, E. Kieven (a curadi), Storia dell’architettura italiana. Il Set-tecento, Milano 2000, pp. 162-165.

4. Vita del Cavalier Don Filippo Juvarra.Abbate di Selve e Primo Architetto di S. M.di Sardegna, ms. 1736 ca., in L. Pascoli,Vite de’ Pittori, Scultori ed Architetti viven-ti, ed. a cura di A. Marabottini, Treviso1981, pp. 276-288. Per l’attribuzione delmanoscritto a Francesco Juvarra cfr. A.Marabottini, Nota introduttiva, ivi, pp.296-302 e bibliografia.

5. In S. Maffei, Osservazioni letterarie chepossono servire di continuazione al Giornalede’ Letterati d’Italia, III, Verona 1738. Lariedizione più recente in Filippo Juvarraarchitetto delle capitali da Torino a Madrid(1714-1736), catalogo della mostra(Torino, Palazzo Reale, 1995), a cura diV. Comoli Mandracci e A. Griseri, Mila-no 1995, pp. 429-430.

6. H. Millon, Filippo Juvarra e Palladio,prolusione al XXXVII corso sull’architet-tura di Andrea Palladio (Vicenza, TeatroOlimpico, 4 settembre 1995), Vicenza1995, p. 8, ne conta 1500, includendo i172 dell’Album Vaticano Latino 13295 lacui attribuzione a Juvarra – S. McPhee,The Vatican Album, in A. Griseri et al.,Filippo Juvarra. Drawings from the RomanPeriod (1704-1714), Part II, Roma 1999 –mi sembra affrettata. L’album, che per lascelta dei soggetti è molto vicino alla sen-sibilità di Juvarra, potrebbe essere unacopia da un originale juvarriano perduto,messa insieme da una mano che, in con-fronto ai primi disegni datati di Juvarra –MM 13 in Millon, Filippo Juvarra.Drawings…, cit. [cfr. nota 1], pp. 7 e 177,e Washington, National Gallery of Art,D.C. 1989.6.la in Griseri et al., FilippoJuvarra. Drawings…, cit., pp. 159-160 e183, fig. 1 – appare molto più incerta edilettantesca. La dicitura “copiata” al f.36v dell’Album Vaticano confermerebbequest’ipotesi. Cfr. McPhee, The VaticanAlbum..., cit., pp. 25, 65 e 115.

7. Per le incisioni vedi Millon, FilippoJuvarra. Drawings…, cit. [cfr. nota 1], pp.169-172 e 351-355 e bibliografia ivi cita-ta. Per le argenterie G. Musolino, Aspettidella produzione orafa messinese del Seicento:l’ambiente degli Juvarra, in Scritti in onoredi Alessandro Marabottini, Roma 1997, pp.245-258, e Ead., Argentieri messinesi traXVII e XVIII secolo, Messina 2001, pp.167-180, con bibliografia precedente.

8. Vita..., cit. [cfr. nota 4], p. 277. Nel1706 erano monache nel monastero diSan Gregorio tre sorelle di TommasoRuffo: Vittoria, Teresa e Imara (Bibliote-ca Regionale di Messina – d’ora in poiBRMe –, Sezione manoscritti, ms. FN 84,Introito, 8 febbraio 1706).

9. T. Manfredi, Juvarra a Messina: il pro-getto per palazzo Spadafora, in “QuaderniPAU”, n.s., anno VIII-IX, 1998-99, pp.139-146. Cfr. Millon, Filippo Juvarra.Drawing…, cit. [cfr. nota 1], pp. 190-192.La particolare articolazione della scalaprogettata da Juvarra sembra derivare daun progetto di Carlo Fontana per unpalazzo non identificato, forse palazzoLiechtenstein (S. Jacob, Italienische Zeich-nungen der Kunstbibliotek Berlin, Berlin1975, p. 85 nota 382) di cui Juvarra potévenire a conoscenza soltanto nello studiodi Fontana.

10. G. La Corte Cailler, Guida del MuseoCivico di Messina, in “Il Paese”, IV, 21, 15ottobre 1908, p. 4, e Id., Il Museo – Lachiesa di San Gregorio, in “Sicile Illu-strée”, numero monografico su Messina,Palermo 1910, pagine non numerate.

11. C. D. Gallo, Apparato agli Annali dellaCittà di Messina, Napoli 1755, p. 157.Anche la possibilità di un progetto juvar-riano a lungo posticipato appare impro-ponibile perché Saveria – figlia di DonAntonio juniore principe di Scaletta, e ilcui nome da laica era Rosalia Ruffo –nacque nel 1704 ed entrò nel monasterodi San Gregorio solo nel 1725 come edu-canda (Messina, Archivio di Stato – d’orain poi ASMe –, Corporazioni religiose sop-presse, vol. 229, Introito, aprile 1725) eprese i voti nel 1739 (ASMe, Corporazio-ni religiose soppresse, vol. 230, Introito, 10novembre 1739).

12. M. Accascina, La formazione artisticadi Filippo Juvarra. III: La famiglia, l’am-biente, prime opere a Messina, in “Bolletti-no d’Arte”, 1957, pp. 154-162, in parti-colare p. 154.

13. Gallo, Apparato...., cit. [cfr. nota 11],p. 157. La datazione è confermata ancheda due vedute di Messina incise daPaolo Filocamo: nella prima la chiesa èpriva del campanile, nell’altra il nuovocampanile è enfaticamente evidenziatorispetto al tessuto urbano. Le veduteillustravano rispettivamente Il Natale diCristo, poemetto di Antonio Ruffo stam-pato a Messina nel 1717, e Il progressodell’arme spagnole in Messina e suo distret-to, del 1718; entrambe sono riprodottein A. Ioli Gigante, Messina, Roma-Bari1980, figg. 88 e 90.

14. Lo schema della terminazione delcampanile di San Gregorio, con unaguglia centrale affiancata da quattro pin-nacoli più piccoli agli angoli, era moltocomune a Messina. Erano costruiti così icampanili del duomo, di San Nicolò deiGentiluomini, Santa Maria del Novizia-to, San Giuseppe al Palazzo, Santa Pela-gia, Santa Maria di Gesù superiore,Santa Maria di Gesù inferiore, SanFrancesco di Paola. Alcune delle nume-rose incisioni che li raffigurano sonoriprodotte in Ioli Gigante, Messina, cit.[cfr. nota 13], figg. 86, 90, 91, 92, 95,103. Il campanile di San Gregorio veni-va effettivamente usato come una mac-china per luminarie. ASMe, Corporazionireligiose soppresse, vol. 230, alla voce Chie-sa, marzo 1738, “per la luminaria delcampanile”; ASMe, Corporazioni religiosesoppresse, vol. 233, alla voce Chiesa,marzo 1775, “per accendere una volta laloggia e il campanile”.

15. Per Campolo vedi F. Hackert, G.Grano, Memorie de’ pittori messinesi[Napoli 1792], ed. a cura di G. Molonia,Messina 2000, pp. 149-151, nota 116 conbibliografia aggiornata. Per Gabriellivedi G. Barbera, ad vocem, in DizionarioBiografico degli Italiani, 51, Roma 1998,pp. 68-70.

16. Per Margherita vedi ASMe, Corpora-zioni religiose soppresse, vol. 229, Conse,luglio 1725; F. Susinno, Le vite de’ pittorimessinesi, ms. 1724 ca., ed. a cura di V.Martinelli, Firenze 1960, p. 178; M.Accascina, Profilo dell’architettura a Messi-na dal 1600 al 1800, Roma 1964, p. 45;Immagine e testo, catalogo della mostra(Palermo, Palazzo Steri, 29 aprile-30maggio 1988), a cura di D. Malignaggi,Palermo 1988, pp. 216-217 e figg. 226-228; S. Di Bella, Notizie dei marmorarimessinesi (1700-1743), Messina 1981, pp.20-21, doc. 12; G. La Corte Cailler, Ilmio Diario (1893-1903), ed. a cura di G.Molonia, Messina 1998, p. 345. Per Ciri-no vedi ASMe, Corporazioni religiose sop-presse, vol. 229, Conse, febbraio 1725 eluglio 1725; Susinno, Le vite..., cit., pp.128 e 284; G. Grosso Cacopardo, Memo-rie dei pittori Messinesi, Messina 1821, p.167; Accascina, La formazione..., III, cit.[cfr. nota 12], pp. 61-62 e figg. 23-24;Accascina, Profilo.., cit., pp. 104, 129,135, 137, 140 e 244 nota 71; in Di Bella,Notizie..., cit., pp. 22 e 26, docc. 15 e 24,Grosso Cacopardo riferisce di una colla-borazione tra Cirino e Juvarra per le sce-nografie del Teatro della Munizione a

Messina. Su Filocamo vedi G. Barbera,ad vocem, in Dizionario Biografico degli Ita-liani, 47, Roma 1997, pp. 797-799.

17. Il progresso dell’arme spagnole..., cit.[cfr. nota 13].

18. Per le relazioni con Juvarra vedi Mil-lon, Filippo Juvarra. Drawings…, cit. [cfr.nota 1], pp. 43-44 (MM 173 e 172) e201-202, e T. Manfredi, L’arrivo a Romadi Filippo Juvarra e l’apprendistato di PietroPassalacqua nelle cronache domestiche di unafamiglia messinese, in “Architettura, storiae documenti”, V, 1-2, 1989, pp. 109-116.L’unico progetto architettonico noto diFilocamo è per un altare nella chiesa diSanta Maria degli Angeli a Messina; vediASMe, Fondo Notarile, notaio DomenicoGuerrera, vol. 991, ff. 220-222. L’atto èsegnalato, ma non trascritto, in Di Bella,Notizie...., cit. [cfr. nota 16], p. 24.

19. G. La Corte Cailler, La donna nellabeneficienza dal XII al XIX secolo, in “Attidella Reale Accademia Peloritana”,XXVI, 1915, p. 81, e Id., Il Museo…, cit.[cfr. nota 10].

20. Susinno, Le vite..., cit. [cfr. nota 16],p. 94. Alla pagina 152 Susinno ribadisce:“Nel tempio di San Gregorio, architettu-ra di Andrea Calamech, ultimamenteportato a fine, con varie addizioni delcavalier Filippo Iuvarra messinese, archi-tetto dell’altezza real di Savoia”.

21. Millon, Filippo Juvarra. Drawings…,cit. [cfr. nota 1], pp. 35, 50-51 e pp. 193-195, 205-206.

22. Ivi, pp. XIII, XVIII e XXVI-XXVII.

23. Accascina, La formazione.., III, cit.[cfr. nota 12], p. 154 ; Ead., Profilo..., cit.[cfr. nota 16], pp. 95-96 ; S. Boscarino,Juvarra architetto, Roma 1973, p. 90 ; Id.,Sicilia Barocca. Architettura e città (1610-1760), III ed., Roma 1997, p. 140. Millonlascia aperta la questione: Millon, FilippoJuvarra. Drawings…, cit. [cfr. nota 1], pp.XIII (“The drawings published here forS. Gregorio […] neither confirm or denythe attribution to Juvarra of the choir,revetment, coretti, and windows”) eXXVI.

24. Un’indicazione solo approssimativadelle proporzioni della chiesa è costituitadalla pianta catastale del 1901 (Comunedi Messina, Ufficio tecnico). Cfr. N.Aricò, Cartografia di un terremoto: Messi-na 1783, in “Storia della città”, 45, gen-naio-marzo 1988.

25. Le lastre che rivestivano le pareti,insieme a capitelli, cornici e a tutti glialtri elementi marmorei, vennero smon-tate prima dell’abbattimento definitivodella chiesa in vista di una sua ricostru-zione, almeno parziale, poi mai avvenuta.I frammenti furono accatastati in unaspianata a nord della città, attigua all’edi-ficio che ospita ancora oggi il MuseoRegionale di Messina e, dopo essererimasti all’aperto per circa ottant’anni,sono attualmente depositati nei sotterra-nei del nuovo edificio del museo, sortosulla spianata.

26. A. Salinas, G.M. Columba, Terremotodi Messina (28 dicembre 1908). Opere d’ar-te recuperate dalle RR. Soprintendenze dei

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monumenti, dei musei e delle gallerie diPalermo [Palermo 1915], ed. a cura di F.Campagna, G. Molonia, in “Quadernidell’attività didattica del Museo Regio-nale di Messina”, 8, 1988.

27. La Corte Cailler, Il Museo…, cit. [cfr.nota 10].

28. ASMe, Corporazioni Religiose soppresse,vol.234, f. 192; al f. 106: “Spese fattedopo l’occorso de’ terremoti a 5 febbra-ro 1783 […] per farsi la coverta sopra ilcoro, diruparsi un pezzo di dammuso [=volta a botte] sopra il coro e scendere lagelosia del coro”. Il solaio in questionedoveva essere necessariamente quello delcoro, l’unico esistente nella chiesa cheera interamente voltata.

29. La Corte Cailler, Il Museo…, cit. [cfr.nota 10].

30. ASMe, Corporazioni Religiose soppresse,vol. 234, ff. 192 ss., e ASMe, Fondo nota-rile, notaio Antonino Bruno, vol. 1061,ff. 871 ss.

31. Le due colonne esterne sono dise-gnate con un diametro maggiore rispettoa quelle dell’emiciclo, dunque sarebberostate anche più alte e avrebbero raggiun-to il livello della tribuna.

32. La continuazione del disegno 194nella pagina 199 è dovuta a un errore dirilegatura del foglio. Millon, FilippoJuvarra. Drawings…, cit. [cfr. nota 1], pp.205-206.

33. La scala proporzionale divide lo spa-zio dall’asse di simmetria alla paretedestra della navata in quindici unità rag-gruppate per tre; la scala metrica invecesi compone di quaranta unità, di cui leprime dieci, a gruppi di due, sono tuttesegnate, mentre delle successive sonosegnate solo le decine. In corrispondenzadella decima unità è segnato il numero“10” mentre la trentesima è erroneamen-te indicata come “25”. Rapportando lascala metrica alla larghezza della navata,essa risulta composta di 48 unità che,moltiplicate per la misura del palmomessinese – corrispondente a cm 25,8 –,dànno una larghezza di 12,384 metri.Ognuno dei moduli proporzionali corri-sponde invece a metà della larghezzadella parasta angolare. Prendendo comeriferimento la parasta esistente dall’altrolato del transetto, simmetrica a quelladisegnata da Juvarra, si ricava che unmodulo rappresenta una misura reale dicm 40: moltiplicando questa misura perl’intera scala, si ha che dall’asse di sim-metria sino alla parete destra della nava-ta ci sono 6 metri, e quindi la larghezzacomplessiva è di 12 metri.

34. Il testo della nota al foglio MM 128è: “Si prega il Sig.re D. Felippo dal /Sig.re Cav.re Franco Fontana à favo/riredi fare le piante in questi / due disegni edargli d’acquerello / perché io sarò aventi ore / per andare con lei allo studio/ per portare li su detti allo studio / per-ché hanno d’andare a ventuno / ora dalCard. Panfilij e lo / riverisco e fava alculo e bene indentro a V. S.”. Cfr. Mil-lon, Filippo Juvarra. Drawings…, cit. [cfr.nota 1], p. 195. Il foglio MM 196/197,reca sul verso il disegno di un sarcofago,mentre il verso dei fogli 194 e 199, che

prima erano su una stessa facciata, èbianco.

35. Ivi, p. 193.

36. Ivi, pp. 204-206.

37. Si tratta dei fogli MM 122 (armi dellafamiglia Bertoni di Messina), MM 190-191 (veduta di Messina) dell’album diNew York, T18, T 20, T 91 e T118 (nonidentificati), T52 e T59 (disegni eseguitia Napoli nel 1706), e T68 (Colosseo)dell’Album Tournon, e di alcuni fogli (43-53; 111-112) della raccolta nota comeGalleria Architettonica, riferibile all’inse-gnamento di Juvarra presso l’Accademiadi San Luca, nel 1707. Cfr. Millon, Filip-po Juvarra. Drawings…, cit. [cfr. nota 1],pp. XXVI-XVII, nota 86.

38. MM 014; Millon, Filippo Juvarra.Drawings…, cit. [cfr. nota 1], p. 177.

39. Torino, Biblioteca Nazionale, Ris 59-4, f. 81. Vedi L. Rovere, V. Viale, A.Brinckmann, Filippo Juvarra, Milano1937, tav. 188.

40. G. Gritella, Juvarra. L’architettura, I-II, Modena 1992, II, p. 335, figg. 427-428, e cfr. figg. 419-422.

41. Secondo J. Connors l’ovale nella fac-ciata di San Carlino non era previsto nelprogetto di Francesco Borromini esarebbe dovuto all’intervento del nipoteBernardo, che copiò l’elemento da Ber-nini (altare della cappella Fonseca in SanLorenzo in Lucina e altare maggioredella chiesa di San Tommaso a CastelGandolfo). Vedi J. Connors, A copy ofBorromini’s S. Carlo alle Quattro Fontanein Gubbio, in “The Burlington Magazi-ne”, CXXX-VII, 1995, pp. 588-599, inpart. p. 597, e Id., in Borromini e l’univer-so barocco, catalogo della mostra (Roma,2000), a cura di R. Bösel, C. L. Frommel,Milano 2000, p. 111. Cfr. C.L. From-mel, H. Schlimme, Le facciate di San Car-lino, in Francesco Borromini, atti del con-vegno (Roma, 2000), a cura di C.L.Frommel, E. Sladek, Milano 2000, pp.45-67. L’inclinazione verso il basso, nonpresente nel modello berniniano, fa rite-nere che Juvarra pensasse alla facciata diSan Carlo piuttosto che a San Lorenzoin Lucina o a San Tommaso in Castel-gandolfo. D’altra parte è possibile cheJuvarra ritenesse la facciata interamenteautografa di Francesco Borromini, datoche la sua conoscenza diretta dei disegniborrominiani (McPhee, The VaticanAlbum…, cit. [cfr. nota 6], pp. 32-35)resta ancora da dimostrare. Per l’uso diquesto motivo a Roma nella prima metàdel XVIII secolo vedi N.A. Mallory,Roman Rococo Architecture from ClementXI to Benedict XIV (1700-1758), Ph.D.dissertation, Columbia University 1965(pubblicata: New York 1977), in partico-lare pp. 58-63, e Ead., The Architecture ofGiuseppe Sardi, in “Journal of the Societyof Architectural Historian”, XXVI, 1967,pp. 83-101.

42. Studio di Architettura civile sopra gliornamenti di Porte e Finestre tratti daalcune Fabbriche insigni di Roma con lemisure piante modini e profili, opera de piùcelebri architetti de’ nostri tempi, pubblica-to sotto gli auspici della S.ta di N. S. Cle-mente XI da Domenico De Rossi, Roma

1702, tavola 54. Cfr. i disegni di Juvarrain A. Barghini, Juvarra a Roma. Disegnidall’atelier di Carlo Fontana, Torino1994, p. 91, fig. 75r.

43. Accascina, La formazione…, III, cit.[cfr. nota 12], pp. 150 162; Boscarino,Juvarra.., cit. [cfr. nota 23], p. 90; Mil-lon, Filippo Juvarra. Drawings…, cit. [cfr.nota 1], p. XXVII.

44. La sala per le monacazioni fu fattacostruire nel 1642 dalla badessa FlaviaMarquett. La Corte Cailler, La donna…,cit. [cfr. nota 19], pp. 25-26. Per la fotodel coretto destro vedi Accascina, Profi-lo…, cit. [cfr. nota 16], p. 98.

45. Dalle fotografie dei coretti si puòintravedere che l’apertura retrostante siconcludeva più in basso dell’architrave ela cornice esterna non corrispondevadunque alla reale sagoma della finestra.

46. Studio di Architettura…, cit. [cfr. nota42], tavv. 35 e 63.

47. La Corte Cailler, Il Museo…, cit. [cfr.nota 10].

48. È comunque certo che non era Save-ria Ruffo, come scritto da Viale(Mostra..., cit. [cfr. nota 2], p. 42) forsefraintendendo quanto scritto dall’Acca-scina (La formazione…, III, cit. [cfr. nota12], p. 153) che ne riporta il nome comecommittente della facciata. Lo stessodicasi per M. Viale Ferrero, FilippoJuvarra scenografo e architetto teatrale,Torino 1970, p. 7. Millon (Filippo Juvar-ra. Drawings…, cit. [cfr. nota 1], p. 329nota 3) notò trattarsi di una svista datoche Saveria, il cui nome da laica eraRosalia, era nata nel 1704. Nonostante larettifica di Millon l’errore ricomparenegli scritti di Gritella, Filippo Juvarra...,cit. [cfr. nota 40], I, p. 55, G. Cantone,Intorno a Filippo Juvarra: i disegni napole-tani, in Filippo Juvarra e l’architetturaeuropea, catalogo della mostra (Napoli,Palazzo Reale, Sala Dorica, 19 giugno-19 settembre 1998), a cura di A. BonetCorrea, B. Blasco Esquivias, G. Cantone,Napoli 1998, p. 161, nota 5, e di A. Gri-seri, Libro di più pensieri d’architettura diFilippo Juvarra, Torino 1998, p. 20. Perla presenza di Saveria Ruffo nel monaste-ro di San Gregorio cfr. infra, nota 11.

49. MM 124. Cfr. Millon, Filippo Juvar-ra. Drawings…, cit. [cfr. nota 1], p. 57.

50. Madrid, Biblioteca Nacional, B-8317r. Riprodotto in Filippo Juvarra el’architettura europea, cit. [cfr. nota 48], p.205, fig. 42a.

51. Wien, Oesterreichischen Nationalbi-bliothek, riprodotta in M. Viale Ferrero,Set Design (1709-1714), in Griseri et al.,Filippo Juvarra. Drawings…, cit. [cfr.nota 6], p. 241, fig. 17.

52. Nei magazzini del Museo Regionaledi Messina, si conserva gran parte deimarmi provenienti dai coretti. Gli ele-menti rossi sono scolpiti in libeccio anti-co di Custunaci (stipiti delle porte dellivello superiore) e in rosso di Taormina(balaustri), quelli gialli in marmo diCastronovo, mentre per il verde è usatoil verde antico, impiallacciato su struttu-re in marmo bianco. Della finestra del

coretto sinistro, è stato anche possibilerinvenire il basamento, una lastra inmarmo bianco lavorata a tramischio suun fondo nero con inclusione centrale inlibeccio antico. Nuove fotografie di que-sti frammenti sono pubblicate in M.P.Pavone, Mischi, rabischi e tramischi, inM.C. Di Natale (a cura di), Splendori diSicilia, Milano 2001, pp. 184-191.

53. I contatti fra la Sicilia e la Toscana,per la fornitura di marmi, sono documen-tati già dal Quattrocento, ed è stato ipo-tizzato che proprio seguendo questa viadel marmo siano giunti nell’isola i primiartisti toscani e, successivamente, si siadiffusa la tecnica dell’intarsio marmoreo.Vedi S. Boscarino, L’architettura dei mar-morari immigrati in Sicilia tra il Quattro-cento e il Cinquecento, in “Storia Architet-tura”, IX, 1-2, 1986, pp. 63-76; S. Piazza,I marmi mischi delle chiese di Palermo,Palermo 1992, pp. 18-20. I marmi tosca-ni venivano imbarcati nel porto di Livor-no e seguivano una rotta che, dopo avertoccato Napoli, passava da Messina perapprodare poi a Palermo, da dove le naviripartivano con un carico dei ricercatidiaspri locali, molto apprezzati a Firenzee usati per i lavori a commesso. Vedi M.Berti, Il “rischio” nella navigazione commer-ciale mediterranea nel Seicento, in La rivoltadi Messina (1674-1678) e il mondo mediter-raneo nella seconda metà del Seicento, atti delconvegno storico internazionale (Messina10-12 ottobre 1975), a cura di S. Di Bella,Cosenza 1979.

54. G. Montana, V. Gagliardo Briuccia, Imarmi e i diaspri del barocco siciliano,Palermo 1998, pp. 73-74, e recensione diL. Lazzarini, in “Recupero e Conserva-zione”, 27, aprile-maggio 1999, pp. 10-11 con correzioni e precisazioni. Per imarmi usati a Messina nella prima metàdel Settecento: Di Bella, Notizie..., cit.[cfr. nota 16], che riporta numerosi con-tratti. All’interno di San Gregorio l’uni-co altro marmo verde era il verde diCalabria o di Cimigliano, come era chia-mato dal nome della località di cava.

55. G. Dardanello, Disegno e colore neglialtari di Filippo Juvarra, in Filippo Juvar-ra architetto delle capitali…, cit. [cfr. nota5], pp.257-268.

56. Millon, Filippo Juvarra. Drawings…,cit. [cfr. nota 1], p. 205.

57. Alla base sinistra del cancello è visibi-le anche un paracarro.

58. Vedi in particolare i disegni Roma,Accademia di San Luca 142, e Madrid,Biblioteca Nacional, B 8163, riprodotti acolori in Filippo Juvarra e l’architetturaeuropea, cit. [cfr. nota 48], pp. 187, fig.21, e 188, fig. 23.

59. Un’idea simile è in una prospettivaper villa Cenami a Lucca, datata 14 otto-bre 1716. Vedi Barghini, Juvarra…, cit.[cfr. nota 42], p. 61, fig. 32r.

60. Al verso era il disegno 190/191, apagina doppia, con due disegni sovrap-posti orizzontalmente: nella parte supe-riore una veduta di Messina e in quellainferiore una fantasia architettonica.

61. Millon, Filippo Juvarra. Drawings…,cit. [cfr. nota 1], p. 205. Nella scheda dei

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disegni per il coro ripete l’indicazione“Unpublished drawings in the Bibliote-ca Nacional in Madrid (Madrid 8177recto and verso and 8178) may relate tothe altar designs for San Gregorio” (ivi,I, p. 195).

62. Ivi, p. 326.

63. Gritella, Filippo Juvarra..., cit. [cfr.nota 40], II, pp. 384-89.

64. Per l’altare del Crocifisso: La CorteCailler, Il museo.., cit. [cfr. nota 10]. Lapala di San Benedetto, datata 1577, erastata invece dipinta da Antonello Riccio.Vedi Hackert, Grano, Memorie…, cit.[cfr. nota 15], pp. 67-70, con fotografia acolori della tavola a p. 69.

65. G. Buonfiglio Costanzo, Messinacittà nobilissima, Venezia 1606, ff. 22-23r; P. Samperi, Iconologia della GloriosaVergine Madre di Dio Maria Protettrice diMessina, divisa in cinque libri, ove si ragio-na delle immagini di Nostra Signora, che siriferiscono ne’ Tempij e Cappelle più famo-se di Messina, Messina 1644, pp. 409-413. Il mosaico è attualmente espostonella prima sala del Museo Regionale diMessina.

66. G. La Corte Cailler, I di GiovanniAlliata da Messina, Napoli 1913, e Id., Ladonna nella beneficenza dal XII al XIX seco-lo, in “Atti della Reale Accademia Pelori-tana”, XXIV, 1913, p. 20.

67. Vedi Hackert, Grano, Memorie…, cit.[cfr. nota 15], pp. 86-90, e Susinno, Levite..., cit. [cfr. nota 16], p. 152.

68. La pala venne commissionata per iltramite di Antonio Ruffo della Scaletta,zio della monaca e collezionista d’arte,già committente di Guercino e mecenatedel padre di Filippo Juvarra, Pietro. VediV. Ruffo, La Galleria Ruffo nel secolo XVIIa Messina (con lettere ed altri documenti ine-diti), in “Bollettino d’Arte”, 1916, pp.165-192.

69. La Corte Cailler, La donna…, cit. [cfr.nota 19], pp. 76-78.

70. Giornale dell’Introito et Exito del Ven.eMonast.ro di S. Greg.o di Messina, 1701,BRMe, Sezione manoscritti, F.N. 83, allavoce Chiesa, giorno 24 dicembre, “perdui quattri per l’alt.e di S. Silvia tarì 1”. Iquattri erano laterizi.

71. L’obiezione di Millon a una colloca-zione dell’altare su questa parete è chequi non era possibile aprire finestre perla presenza del campanile, ma il campa-nile, come si è detto, fu completato solopiù tardi, nel 1717, e non si conosce l’al-tezza di eventuali strutture precedenti.

72. Gallo, Apparato..., cit. [cfr. nota 11],p. 156, e La Corte Cailler, La donna…,cit. [cfr. nota 19], pp. 76-78. Nel disegnoMadrid 8177r le linee che suggerisconola parete laterale destra della cappella, ela presenza del ciborio, indicano che sitratta della cappella maggiore; gli altaridella testata del transetto si trovavanomolto più distanti dalle pareti, e perquanto riguarda gli altari del Crocifisso edi San Gregorio, quelli alla cui destraesisteva una parete così vicina, in essi nonera possibile l’apertura di finestre.

73. Millon, Filippo Juvarra. Drawings…,cit. [cfr. nota 1], pp. 53 e 207; Barghini,Juvarra…, cit. [cfr. nota 42], p. 54, fig. 24r.

74. Oggetto di esercitazione all’Accade-mia di San Luca, anch’essi furono studia-ti da Juvarra (ivi, pp. 75, fig. 52r, e 124).

75. Hager, Il significato…, cit. [cfr. nota3], pp. 63-98. Per il disegno di Fontanacfr A. Braham, H. Hager, Carlo Fontana:the Drawings at Windsor Castle, London1977, p. 39, 45, nn. 35 e 37, tav. 10 ss.Che la cappella di Fontana sia stata stu-diata da Juvarra è attestato anche dallapresenza di due incisioni che rappresen-tano la soluzione finale, nell’album diVincennes (Barghini, Juvarra..., cit. [cfr.nota 42], pp. 97-98, figg. 85r e 89r), e deldisegno T 024 in quello ex Tournon. Cfr.Millon, Filippo Juvarra. Drawings…, cit.[cfr. nota 1], p. 76.

76. A. Pozzo, Prospettiva de’ pittori e archi-tetti…. Parte II, Roma 1700.

77. I cibori progettati in seguito daJuvarra si allontaneranno dal modello diPozzo, tuttavia un tempietto simile alciborio di San Gregorio è in una fantasiaarchitettonica al foglio 79 dell’AlbumTournon; vedi Millon, Filippo Juvarra.Drawings…, cit. [cfr. nota 1], pp. 103 e239; Griseri, Libro…, cit. [cfr. nota 48],p. 159.

78. La Corte Cailler, La donna…, cit. [cfr.nota 19], p. 81.

79. Susinno, Le vite…, cit. [cfr. nota 16],p. 152.

80. Vita…, cit. [cfr. nota 4], p. 276.

81. Questi libri sono citati come Scuolade’ celebri antichi architetti e Roma Antica.Lo Studio di Architettura edito da DeRossi nel 1702, nel titolo completo, recala dicitura celebri architetti, anche se nonl’aggettivo Antichi [cfr. infra nota 42]; perun confronto fra i disegni di Juvarra e leincisioni di De Rossi: McPhee, The Vati-can Album..., cit. [cfr. nota 6], p. 47,Appendix 3. La Roma Antica può essereidentificata con l’omonima guida pubbli-cata da Famiano Nardini nel 1665 estampata numerose volte che Juvarrapossedeva e di cui si servì varie volte. Cfr.J. Pinto, Filippo Juvarra’s Drawings depic-ting the Capitolin Hill, in “The Art Bulle-tin”, 1980, pp. 598-615, e S. Rossetti (acura di), Roma. A bibliography from theinvention of printing through 1899, I-II,Firenze 2000-2001. Due disegni per sce-nografie teatrali da realizzare a Napoli,datati 1706, indicano che Juvarra cono-sceva già la veduta per angolo teorizzata daGalli Bibiena, e che forse possedeva, oaveva studiato, le Varie opere di prospettivainventate da Ferdinando Galli Bibiena,stampato a Bologna nel 1701. Cantone,Intorno a Filippo Juvarra…, cit. [cfr. nota48], pp. 154-155. Per la datazione dellibro di Bibiena vedi M. Pigozzi, Ferdi-nando Galli Bibiena: Varie opere di Archi-tettura. Traduzione e diffusione di tipologiein centri e periferie, in M. Fagiolo, M.L.Madonna (a cura di), Il Barocco Romano el’Europa, Roma 1992, pp. 635-658.

82. Accascina, La formazione…, III, cit.[cfr. nota 12], p. 154, e Ead., Profilo…, cit[cfr. nota 16], pp. 95-96.

83. L. Marcucci, G. Tozzi, Su GiacomoDel Duca, architetto del Senato di Messina,in “Palladio”, 11, gennaio-giugno 1993,pp. 71-92. Per le finestre termali nellafacciata del collegio dei teatini F. Borsi,Guarino Guarini a Messina, in GuarinoGuarini e l’internazionalità del barocco, attidel convegno (Torino, 30 settembre-5ottobre 1968), I-II, Torino 1970, I, pp.71-90, fig. 4.

84. Vita..., cit. [cfr. nota 4], p. 277.

85. L’incisione è contenuta in F. Bian-chini, De kalendario et cyclo Caesaris…,Roma 1703, riprodotta in J.S. Acker-mann, L’architettura di Michelangelo,Torino 1988, fig. 152. Per un’analisi del-l’attività di Juvarra come incisore vediO. Mischiati, M. Viale Ferrero, Disegni eincisioni di Filippo Juvarra per edizioniromane del primo Settecento, in “Atti del-l’Accademia delle Scienze di Torino”,XC, 1975-76, pp. 211-274, e Millon,Filippo Juvarra. Drawings…, cit. [cfr.nota 1], pp. 351-355.

86. MM 13, vedi Millon, Filippo Juvarra.Drawings…, cit. [cfr. nota 1], pp. 7 e 177.

87. Dresden, Gabinetto Nazionale dellestampe, Cod. ca. 66, ff. 5, 20, 33, 40 e 45(vedi Brinckmann, Rovere, Viale, FilippoJuvarra..., cit. [cfr. nota 39], tavv. 25, 26,28, 30 e p. 112). E Torino, Museo Civi-co, Raccolte juvarriane, vol.I, ff. 23, 28, 30,64, 67 (vedi Brinckmann, Rovere, Viale,Filippo Juvarra..., cit. [cfr. nota 39], tavv.19, 20-23).

88. Brinckmann, Rovere, Viale, FilippoJuvarra..., cit. [cfr. nota 39], tavv. 184-186.

89. Millon, Filippo Juvarra. Drawings…,cit. [cfr. nota 1], pp. 128-129 e 272-273.

90. Il motivo delle teste di cherubinisporgenti da una sagoma con curvatura a“S” era infatti tipico della coeva produ-zione orafa messinese, prediletto in par-ticolare dagli Juvarra e dagli argentieri aessi legati. Cfr. Orafi e argentieri al Montedi Pietà: artefici e botteghe messinesi del sec.XVII, catalogo della mostra (Messina,Monte di Pietà, 18 giugno-18 luglio1988), Messina 1988, schede n. 16, pp.186-187; n. 21, pp. 198-199; n. 35, pp.226-227; n. 41, pp. 238-239; n. 44, pp.244-245.

91. Al baldacchino del duomo avevalavorato anche Pietro Juvarra, padre diFilippo, mentre un suo allievo, Domeni-co Melluso, aveva realizzato le balaustredell’altare di Sant’Ignazio. Vedi Musoli-no, Aspetti della produzione orafa…, cit.[cfr. nota 7], in part. pp. 249-250, per ilbaldacchino, e 253-254 per i rapporti fraMelluso e Pietro Juvarra, e Ead., Argen-tieri messinesi…, cit. [cfr. nota 7], pp.135-138. Per la partecipazione dell’ar-gentiere messinese all’altare di Sant’I-gnazio vedi Susinno, Le vite…, cit. [cfr.nota 16], p. 260, e P. Pecchiai, Il Gesù diRoma, Roma 1952, pp. 176, nota 2, e189-190.

92. In particolare sembra rifarsi al fregiodel vestibolo a porte binate di San Gio-vanni in Laterano, che lo stesso Juvarraaveva rilevato. Cfr. Barghini, Juvarra…,cit. [cfr. nota 42], p. 75, figg. 52r e 52r.

93. G. Dardanello, Filippo Juvarra, pen-sieri e architettura. I volumi di disegni dellecollezioni pubbliche torinesi, in FilippoJuvarra, pensieri e architettura, guida allamostra (Torino, 15 settembre-7 novem-bre 1999), a cura di G. Dardanello, M.Gattulo, I. Massabò Ricci, Torino 1999,pp. 5-12.

94. Lettera di Juvarra al marchese d’Or-mea (Roma, 15 marzo 1732), pubblicatain Rovere, Viale, Brinckmann, FilippoJuvarra, cit. [cfr. nota 39], p. 96.