Fibrosi epatica e sua determinazione con FibroScan: Web view · 2007-10-09La fibrosi...
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Fibrosi epatica e sua determinazione con elastometria epatica (Fibroscan):
dalla ricerca alla pratica clinica
Introduzione
La prognosi e la gestione clinica dei pazienti affetti da malattia cronica di fegato è
largamente influenzata dall’accumulo di fibrosi e dalla sua progressione nel tempo e le stesse scelte
terapeutiche sono condizionate da questo parametro. Ciò enfatizza la necessità di una diagnosi
precoce allo scopo di prevenire le complicanze.
Sino a pochi anni fa la biopsia epatica rappresentava l’unico strumento di valutazione della fibrosi.
Tuttavia la biopsia è procedura invasiva che talora può essere dolorosa ed indurre complicanze e ciò
può scoraggiare alcuni a sottoporsi a questa valutazione. In conseguenza di ciò molti pazienti,
soprattutto negli ultimi anni, sono stati trattati con farmaci antivirali senza che si conoscesse la reale
gravità di malattia ed altri, invece, non hanno mai potuto giovarsi di una terapia, perché timorosi di
sottoporsi a questa procedura. Peraltro l’accuratezza della biopsia epatica è influenzata dall’errore
di campionamento e dalla variabilità di interpretazione. Queste limitazioni possono portare alla
sottostima della cirrosi, specialmente se il campione bioptico è piccolo o frammentato.
Per queste ragioni la valutazione della fibrosi epatica con metodi non invasivi ha rappresentato una
sfida che ha favorito la ricerca di metodologie alternative. I diversi approcci hanno incluso la ricerca
di markers surrogati di fibrosi, cioè di markers sierici che, in combinazione fra loro, potessero
predire la fibrosi con un alto grado di accuratezza. Tuttavia la maggior parte di essi (Fibrotest,
APRI, indice di Forns) è stata valutata solo nei pazienti con epatite C ed inoltre la loro performance
diagnostica, oltre che essere fortemente influenzata da condizioni extraepatiche, è ben lontana
dall’essere ottimale per la valutazione della cirrosi.
In questo contesto si inserisce la misurazione della fibrosi epatica mediante la elastometria ad
impulsi (Fibroscan) che consente di stabilire in modo non invasivo l’entità della fibrosi,
permettendo grazie alla sua accuratezza di seguirne l’evoluzione nel tempo.
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Razionale
La fibrosi epatica, ovvero la sostituzione del parenchima epatico con matrice extracellulare,
è l’aspetto principale del danno in corso di malattia cronica di fegato. La sua progressione nel
tempo è responsabile dei maggiori eventi clinici, il risultato è la progressiva alterazione
architetturale cui conseguono la disfunzione epatica e l’ipertensione portale; per questo la sua
valutazione è essenziale per la corretta gestione del paziente.
La misura della sua estensione, lo stadio di fibrosi, rappresenta il più importante predittore di
progressione di malattia che condiziona le scelte terapeutiche, può servire per valutare la risposta al
trattamento ed infine determina la prognosi e il follow-up del paziente.
Negli ultimi anni sono stati fatti progressi sostanziali nella comprensione dei meccanismi che
regolano la fibrogenesi e queste conoscenze ci forniscono una spiegazione razionale e plausibile
della reversibilità del processo fibrotico, risultato di due processi biologici contrapposti: sintesi e
rimozione di matrice extracellulare. Il virus dell’epatite C ad esempio determina stress ossidativo e
richiamo di cellule infiammatorie che favoriscono l’attivazione delle cellule stellate e l’accumulo di
collagene, ma è ormai noto che tale processo non è irreversibile e così con l’eradicazione virale le
proteine di HCV cessano di esercitare il loro ruolo di stimolo diretto sui percorsi fibrogenici.
Per fibrogenesi si intende la produzione di matrice extracellulare (ECM) che classicamente aumenta
in risposta ad un evento lesivo cronico. Lo sviluppo della fibrosi epatica riflette l’alterato equilibrio
fra produzione di matrice e sua degradazione. La matrice extracellulare, normale impalcatura per gli
epatociti, è composta da collagene, glicoproteine e proteoglicani. Le cellule stellate (cellule di Ito),
localizzate nello spazio perisinusoidale, sono essenziali per la produzione di ECM ed esse vengono
attivate in cellule produttrici di collagene da una varietà di fattori paracrini. Queste sostanze
possono essere rilasciate da epatociti, cellule di Kupffer e cellule endoteliali in risposta al danno
tissutale. Per esempio gli incrementati livelli di TGF- β1 osservati nei pazienti con epatite C e con
cirrosi inducono le cellule stellate attivate a produrre collagene. L’aumentata deposizione di
collagene nello spazio tra epatocita e sinusoide e la diminuzione degli spazi endoteliali conduce alla
capillarizzazione dei sinusoidi. Sia la capillarizzazione che la contrazione dei sinusoidi, indotta
dalle cellule stellate, contribuiscono alla ipertensione portale.
Tuttavia, l’accumulo di matrice in corso di malattia cronica di fegato non è fenomeno statico ed
unidirezionale potendo essere controbilanciato dalla fibrolisi.
Infatti, l’eccesso di matrice prodotta stimola la fibrolisi mediata da enzimi noti come
metalloproteinasi (MMP). Per questo i complessi di matrice extracellulare che costituiscono la
fibrosi non sono uniformi e differiscono per età e composizione chimica.
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Nonostante le nostre conoscenze di base siano migliorate negli ultimi anni, è opinione largamente
condivisa che i meccanismi fisiopatologici attraverso cui viene indotta la fibrosi epatica siano solo
in parte conosciuti. La complessità della fibrogenesi e l’alto numero di citochine coinvolte
implicano che polimorfismi genetici possano influenzare non solo la fibrogenesi ma anche la
fibrolisi. Diverse questioni restano pertanto sul tappeto e meritano di essere approfondite, fra queste
la più importante è la comprensione dei meccanismi che sono alla base della diversa velocità di
progressione del danno fibrotico al di là della diversa eziologia di malattia e se questi stessi
meccanismi interferiscano in qualche modo con la variabile risposta alla terapia. Avere a
disposizione un semplice metodo non invasivo di valutazione della fibrosi che risulti accurato e
ripetibile potrà contribuire la raggiungimento di alcuni di questi obiettivi.
La biopsia epatica e i suoi limiti
Per 60 anni la biopsia epatica ha rappresentato l’unico strumento per diagnosticare e stadiare
la malattia cronica di fegato e oggi rappresenta il “gold standard” con il quale le metodiche non
invasive emergenti devono confrontarsi. Tuttavia essa è procedura invasiva e costosa che può
risultare dolorosa ed indurre, sebbene raramente, complicanze potenzialmente fatali. Per queste
ragioni alcuni pazienti sono riluttanti a sottoporsi a biopsia e ciò può scoraggiarli ad iniziare la
terapia. Inoltre la biopsia epatica presenta alcune limitazioni come l’errore di campionamento e la
variabilità di interpretazione. Un tipico campione bioptico di 1.5 cm rappresenta 1/50.000 parti di
fegato e talora esso è ancor meno rappresentativo in presenza di cirrosi.
Grazie a modelli computerizzati è stato stimato che un campione bioptico di 2.5 cm dà una
percentuale di errore del 25% che sale al 35% se il frustolo epatico è di 1.5 cm.
Per evitare l’errore di campionamento bisognerebbe prelevare frustoli più grandi e il risultato
ottimale verrebbe raggiunto con un campione di 4 cm, ma ovviamente ciò non è sempre facilmente
realizzabile. Peraltro anche quando la manovra è eseguita da un operatore esperto solo il 16% dei
campioni ha una lunghezza > 2.5 cm e perché il campione risulti davvero significativo è essenziale
che non sia frammentato. Inoltre la manovra bioptica non può comunque superare il limite
rappresentato dalla ineguale distribuzione della fibrosi.
L’errore di campionamento coinvolge sia lo staging, usualmente inaccurato che il grading
necroinfiammatorio usualmente sottostimato. Studi autoptici e laparoscopici di confronto indicano
che la biopsia sottostima la cirrosi nel 10-30% dei casi, a seconda del tipo di ago utilizzato e delle
dimensioni del frustolo prelevato.
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La valutazione comparativa di biopsie laparoscopiche condotte su entrambi i lobi ha trovato una
discrepanza nel 50% dei casi: nel 15% la cirrosi veniva riscontrata in uno solo dei 2 lobi, mentre nel
33% dei casi si riscontrava una discrepanza di almeno 1 stadio di fibrosi fra i due lobi.
Peraltro vi è da considerare che la variabilità fra osservatori diversi rappresenta una ulteriore
limitazione. L’uso di sistemi di scoring ha cercato di ovviare al problema ma come appare chiaro
esiste una discordanza che è maggiormente evidente per gli stadi intermedi di fibrosi. L’analisi
morfometrica computerizzata può valutare l’area percentuale del campione bioptico interessata da
fibrosi, ma non è possibile stabilire una relazione lineare fra area di fibrosi e stadio secondo
Metavir. Così le analisi morfometriche e i sistemi computerizzati non migliorano la qualità del
risultato se il campione è inadeguato o se è espressione della disomogenea distribuzione della
fibrosi.
Considerate tali limitazioni e nella convinzione che l’accumulo di matrice non sia fenomeno statico
ed unidirezionale, si è andati alla ricerca di un test di fibrosi non invasivo che fosse accurato,
riproducibile, ripetibile e facilmente eseguibile.
Elastometria epatica (Fibroscan)
Il fibroscan quantifica l’entità della fibrosi mediante la tecnica di elastografia ad impulsi.
Esso è composto da una sonda ecografica modificata, da un sistema elettronico dedicato e da una
unità di controllo. La sonda contiene un vibratore a bassa frequenza che genera un’onda elastica ed
un trasduttore a singolo elemento che lavora a 5 MHz è usato sia come emittente che come
ricevente di US. Mentre l’onda elastica a bassa frequenza (50Hz) e di piccola ampiezza si propaga
attraverso l’organo, l’elasticità viene derivata dalla sua velocità di propagazione.
Il fibroscan valuta la fibrosi del fegato misurandone la sua durezza che viene espressa in kPa. Il
dispositivo misura la rigidità di una sezione cilindrica tessuto epatico di 4 cm di lunghezza e di 1 cm
di diametro che si trova ad una profondità di 2.5 cm al di sotto della superficie cutanea. Queste
dimensioni sono all’incirca 100 volte maggiori di un campione bioptico standard e dunque più
rappresentative dell’intero parenchima, consentendo così di ridurre l’errore di campionamento.
La sua accuratezza è virtualmente operatore indipendente, il risultato è altamente riproducibile e si
presta ad essere ripetuto nel tempo. La sua variabilità precedentemente segnalata al 3% si basava su
un piccolo numero di soggetti studiati, per la maggior parte esenti da malattia epatica. Invece negli
studi più recenti che hanno riguardato un numero considerevole di pazienti epatopatici la
riproducibilità è risultata eccellente. Si tratta di un test facilmente eseguibile che richiede 5 minuti
per effettuare almeno 10 misurazioni. Modificando la posizione della sonda, sullo spazio
intercostale prescelto, si possono effettuare diverse misurazioni della durezza del fegato esplorato.
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Il sistema è tarato in modo da rifiutare automaticamente le stime di elasticità se la propagazione
dell’onda elastica non è misurata in modo appropriato. Infatti solo le onde la cui velocità di
propagazione è costante sono validate e ciò permette di eliminare gli artefatti dovuti alla presenza di
strutture vascolari o di lesioni focali.
Il valore medio della liver stiffness nel paziente esente da malattia epatica è di circa 5.3 kPa senza
che vi siano differenza di età; mentre in relazione al sesso si evidenzia come le donne abbiano
mediamente livelli significativamente più bassi.
In realtà le stime di elasticità variano da 3 a 75 kPa che corrispondono ad una velocità di
propagazione che varia da 1 a 5 m/s. Infatti la misura della velocità di propagazione dell’onda
elastica attraverso il fegato permette di stimarne la sua elasticità grazie all’equazione: E=3ρV2,
dove E rappresenta l’elasticità, ρ la densità che è costante per un determinato tessuto e per il fegato
è =1, V la velocità di propagazione dell’onda. Ebbene la velocità di propagazione è tanto maggiore
quanto più il fegato è duro. Così per un fegato esente da fibrosi (F0) la velocità è di 1 m/sec e la
elasticità è di 3 kPa, mentre per un fegato gravato da fibrosi severa (F4) la velocità potrà essere di 3
m/sec e la elasticità di 27 kPa. Il risultato è immediatamente disponibile. Inoltre il 93% dei pazienti
con uno score < 5.1 kPa ha uno stadio di fibrosi F0, mentre il 94% di quelli con uno score > 7.6 ha
uno stadio di fibrosi significativo.
Nella pratica clinica quando si interpreta il risultato, bisogna tener conto di due parametri: la IQR
(variabilità delle misurazioni effettuate) che non deve superare il 30% rispetto alla mediana (in un
paziente classificato come cirrotico la cui liver stiffness sia di 15, la IQR dovrà essere < 4.5) ed il
“success rate” (numero delle misurazioni utili) che deve essere almeno pari al 60% rispetto al
numero totale delle acquisizioni svolte per essere considerato affidabile. Ne consegue che il numero
delle misurazioni effettuate dovrà in qualche misura tenere conto di questi parametri.
Ma il fibroscan ha anche alcune limitazioni, infatti la tecnica non può essere utilizzata: in presenza
di ascite poiché le onde elastiche non si propagano attraverso i liquidi, nei pazienti con spazi
intercostali ristretti e nel paziente obeso, perché il tessuto adiposo attenua sia l’onda elastica che gli
ultrasuoni.
Per tutte queste limitazioni l’esame non consente la misurazione dell’elasticità epatica nel 5% dei
pazienti testati. Peraltro alcune difficoltà non sono insormontabili, così quella degli spazi
intercostali ristretti può essere superata sviluppando sonde pediatriche. In relazione all’obesità,
all’analisi multivariata, il solo fattore indipendente associato al fallimento della misura era un BMI
> 28. In realtà l’obesità non è un ostacolo di per sé, ma è piuttosto lo spessore della parete toracica
con i pannicoli adiposi che ammortizza l’onda elastica e riflette gli ultrasuoni.
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Epatite C
L’elastografia epatica è stata inizialmente testata nei pazienti con epatite C nei quali veniva
evidenziata una buona correlazione fra valori di elasticità del fegato e gli stadi di fibrosi secondo
Metavir.
I cut-off che permettevano la maggiore accuratezza diagnostica venivano definiti per ciascuno
stadio di fibrosi basandosi sulle curve ROC e tale correlazione non era influenzata in modo
significativo né dalla steatosi né dalla attività di malattia. In sintesi per valori di liver stiffness al di
sotto di 7 kPa è probabile che la fibrosi sia minima o assente, mentre quando tale valore è maggiore
di 10 la fibrosi è probabilmente severa ed infine per valori superiori a 14 kPa si è in presenza di
cirrosi.
Per minimizzare gli overlaps presenti, soprattutto negli stadi iniziali di fibrosi, veniva usato un cut-
off di 8.7 kPa per diagnosticare correttamente i soggetti con fibrosi significativa e un cut-off di 14.5
kPa per prevedere correttamente la cirrosi.
Infatti nel più ampio studio di elastografia riportato da Ziol, basandosi sulla distribuzione
dell’elasticità in accordo con il grado di fibrosi, i valori ottimali di cut-off 8.7 e 14.5 venivano
determinati utilizzando curve ROC in modo da ottenere un’accuratezza diagnostica che era di 0.79
(≥F2), 0.91(≥F3), 0.97 (=F4). Peraltro essa migliorava ulteriormente (0.81-0.95-0.99) quando si
prendevano in considerazione solo le biopsie di maggiori dimensioni.
Inoltre l’elastografia presenta vantaggi anche nei confronti dei biomarkers poiché fornisce una
misura più diretta della fibrosi, non influenzata dalla presenza di malattie concomitanti ed è
teoricamente applicabile a qualsiasi malattia cronica di fegato. Infatti il fibroscan è stato utilizzato
per la valutazione della fibrosi anche in altre malattie come l’epatite B, la coinfezione, le malattie
colestatiche croniche e più recentemente nell’epatite alcolica e nella NASH in cui ha evidenziato
una performance diagnostica simile a quella osservata nell’epatite C. Ciò nonostante, almeno in uno
studio prospettico che ha riguardato 183 pazienti affetti da epatite C, la combinazione Fibroscan-
Fibrotest ha fornito la migliore performance diagnostica soprattutto in relazione alla fibrosi
significativa (F> 2).
Peraltro nei NALT affetti da epatite C, abbiamo riscontrato una corrispondenza perfetta fra il grado
di fibrosi dimostrato istologicamente e quello valutato con Fibroscan. Così che in questi pazienti la
performance diagnostica dell’elastometria non trae beneficio ulteriore dalla combinazione con
Fibrotest.
Inoltre la disponibilità dell’elastometria può permetterci di ridurre le biopsie di follow-up per la
recidiva epatitica dopo trapianto. Con un cut-off di 8.5 la sensibilità dell’esame nell’evidenziare la
fibrosi significativa e il suo PPV sono del 90 e 92% rispettivamente.
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Dunque l’elastometria epatica consente oggi, nell’ambito dell’epatite C, di discriminare molto bene
la fibrosi lieve dalla fibrosi avanzata. Credo che il fibroscan troverà ampia applicazione in presenza
di: malattia lieve (NALT), genotipi facili da trattare o di controindicazioni alla biopsia, oppure in
caso di pazienti riluttanti al trattamento o timorosi di sottoporsi ad un esame invasivo, ed infine
nella valutazione del paziente cirrotico e della recidiva post-trapianto. Negli altri casi il fibroscan
servirà per monitorare il paziente dopo la biopsia basale o in alternativa per posporre la biopsia sino
al raggiungimento di valori stiffness indicativi di fibrosi significativa.
Cirrosi epatica
Considerata l’eccellente performance diagnostica, l’elevata specificità e il valore predittivo
positivo del 97%, la elastografia si impone per la diagnosi precoce di cirrosi. La sua semplicità
facilita il follow-up del paziente ed è interessante sottolineare come il 30% di essi, non esibisca
segni bioumorali di malattia.
In questi pazienti solo i più alti valori di stiffness si associano ad una chiara evidenza ecografica o
clinica di cirrosi,
Così la diagnosi clinica o ecografica risulta il più delle volte tardiva. Il fibroscan in associazione
all’esame clinico del paziente raggiunge un PPV di cirrosi prossimo al 100% e la sua performance
diagnostica è superiore a quella del fibrotest che fallisce la diagnosi in un numero rilevante di
pazienti testati.
Peraltro considerata la semplicità di esecuzione, la metodica risulta facilmente proponibile anche
nei pazienti affetti da epatopatia alcool-correlata.
e già con un cut-off > 13 kPa il valore predittivo che identifica la cirrosi è del 97% ed anche in
questo caso più di un terzo dei pazienti testati non evidenzia segni bioumorali di malattia.
Il cut-off per la diagnosi di cirrosi sembra dunque differire in funzione dell’eziologia della malattia.
Così che valori più alti si riscontrano nella malattia colestatica cronica rispetto alla cirrosi HBV
correlata. È possibile che l’entità della fibrosi allo stadio di cirrosi differisca a seconda
dell’eziologia o che la quantità di fibrosi sia minore per esempio in corso cirrosi macronodulare più
frequentemente osservata nell’epatite B.
Una delle applicazioni più promettenti dell’elastografia è quella di monitorare la progressione della
fibrosi. I risultati preliminari suggeriscono che i valori di liver stiffness si correlano alla severità
della cirrosi. Se ciò venisse confermato il fibroscan potrebbe essere usato per la gestione del
paziente cirrotico. Esiste un’ampia dispersione di valori fra 14 e 75 kPa e i risultati di 2 studi recenti
mostrano che i valori di elasticità epatica possano essere di aiuto nel predire il rischio di scompenso
e la presenza di ipertensione portale
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Sorprendente è la correlazione esistente fra stiffness epatica, parametri di funzionalità e biomarkers
di fibrosi.
Una LS > 13.6 identifica l’ipertensione portale (HVPG > 10) che corrisponde al valore soglia per la
formazione di varici, mentre una LS > 17.6 identifica l’ipertensione severa (HVPG > 12) che
corrisponde al valore soglia per lo sviluppo di complicanze.
Esiste una forte correlazione fra pressione portale e Liver stiffness per misure di HVPG < 12;
mentre tale correlazione si perde per valori di HVPG > 12 mmHg. La liver stiffness correla
positivamente con la presenza di varici esofagee, mentre il valore predittivo della liver stiffness per
la presenza di varici gastrointestinali è troppo basso perché l’elastometria possa essere usata come
surrogato dell’endoscopia.
Pertanto l’elastografia può essere utilizzata, in associazione ad altre indagini, per prevedere le
complicanze cliniche della cirrosi. Così ad esempio per valori di stiffness < 27.5 kPa il NPV per
varici F2-F3 supera il 90% e ciò significa poter attuare strategie di follow-up meno invasive.
Epatite B
Anche nel paziente con epatite B esiste una buona correlazione fra valori di elasticità epatica
e grado di fibrosi e per valori di LS > 8.1 kPa la prevalenza di fibrosi significativa appare davvero
alta. In particolare valori più elevati di L.S. si riscontrano nei pazienti anziani, maschi, HBeAg
positivi e la severità della fibrosi correla con i predittori già noti di malattia severa come
l’ipertransaminasemia, l’iperbilirubinemia e l’ipoalbuminemia.
Il fibroscan può essere utile per escludere la fibrosi significativa nel portatore inattivo di HBV: il
90% di essi non raggiunge il cut-off di 7 kPa e solitamente la loro liver stiffness non è
significativamente diversa da quella dei controlli sani.
Se teniamo presenti le linee guida, vediamo come la biopsia sia maggiormente utile nei pazienti in
zona grigia: NALT ma con elevati livelli viremici, in cui essa può evidenziare attività di malattia
altrimenti misconosciuta.
E come invece un paziente e-positivo con viremia e transaminasi elevate non necessiti normalmente
di biopsia e qualora si sospetti una malattia avanzata può bastare una valutazione con Fibroscan per
evidenziare la fibrosi significativa.
Lo stesso atteggiamento si può avere nel paziente col flare di transaminasi in modo da monitorarlo
nell’attesa della siero-conversione, senza che si rischi lo scompenso.
Anche il paziente immunotollerante che solitamente non viene trattato poiché ha malattia lieve e
presenta una bassa probabilità di sieroconversione, può andare incontro a progressione.
Infatti Lai ha evidenziato come il 24% di questi pazienti abbia fibrosi significativa e dunque in
questi soggetti il monitoraggio non invasivo con fibroscan rappresenta una opzione ragionevole.
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Invece nel paziente HBeAg negativo, in cui possono esserci marcate fluttuazioni dell’attività
citolitica e dei livelli viremici, la biopsia va incoraggiata se ALT < 2N e DNA 10 4-105 poiché in
questi casi la malattia può dimostrarsi attiva
Dunque la biopsia non è sempre indispensabile. Per decidere il clinico deve chiedersi perché sta
considerando la biopsia e quali informazioni spera di ottenere da essa. Se lo scopo è sapere se c’è
attività di malattia (pazienti in zona grigia: soprattutto e-negativi con ALT< 2N e viremia 104-105) o
escludere concause di malattia, la biopsia mantiene un suo ruolo nell’epatite B ma negli altri casi
(portatore inattivo, pazienti tipici con viremia e transaminasi elevate, flare di transaminasi,
immunotolleranti e pazienti con malattia avanzata) l’elastometria epatica ci fornisce da sola le
informazioni necessarie.
Steatosi epatica
Un altro campo di interesse in cui il fibroscan può rappresentare uno strumento di ricerca
clinica è la NAFLD. Considerata la prevalenza di tale condizione e non essendoci dati clinici a
disposizione su quale sia l’effetto che la steatosi severa eserciti sull’accuratezza del fibroscan nella
valutazione della fibrosi, Abbiamo valutato 40 pazienti consecutivi con biopsia epatica utilizzando
il Metavir come sistema di scoring per lo stadio di fibrosi, e i pazienti con evidenza istologica di
NAFLD venivano inclusi nell’analisi valutandoli con elastometria epatica ed utilizzando le curve
ROC per stabilire l’accuratezza della valutazione con Fibroscan.
Ebbene l’elastografia è risultata altamente predittiva di fibrosi anche nella NAFLD, consentendo
con un cut-off di 8.75KPa una sensibilità dell’81% ed una specificità del 78%.
Nei 25 pazienti esaminati tutti i gradi di steatosi erano rappresentati e la biopsia epatica evidenziava
in maggioranza pazienti con fibrosi non significativa
Anche in questo caso la maggiore accuratezza diagnostica dell’elastometria epatica veniva
riscontrata per gli stadi avanzati di fibrosi.
Conclusioni e prospettive future
Dunque negli ultimi anni è diventato possibile valutare la fibrosi in modo non invasivo, ma
non è ancora chiaro quale atteggiamento tenere nella pratica clinica. Nel decidere quali di queste
tecniche utilizzare, il clinico deve innanzi tutto chiedersi perché sta considerando la biopsia e quali
informazioni spera di ottenere da essa. Se lo scopo è diagnosticare un’epatopatia a diagnosi incerta
la biopsia è certamente necessaria ed insostituibile.
Se invece la diagnosi è già stata fatta su base clinica, sierologica e virologica la biopsia epatica è
indicata solamente se potrà esserci utile nella gestione del singolo paziente. Oggi essa è troppo
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spesso eseguita per determinare il grado di attività e lo stadio della fibrosi allo scopo di decidere se
prescrivere un trattamento antivirale.
Il Fibroscan consente una valutazione non invasiva della fibrosi che permette almeno inizialmente
di evitare la biopsia in molti pazienti affetti da epatite cronica. Inoltre il Fibroscan è attualmente il
miglior strumento per la diagnosi precoce di cirrosi ed in questo setting di pazienti può avere valore
prognostico. Considerata la elevata accettabilità della metodica da parte del paziente, la elastografia
potrà rivelarsi utile per il monitoraggio della fibrosi. Sempre più dati enfatizzano come la fibrosi sia
un processo dinamico almeno in parte reversibile con un intervento efficace il cui obiettivo potrà
essere l’eliminazione o la soppressione dello stimolo fibrogenico, come nelle epatopatie a genesi
virale, o in alternativa il controllo diretto della fibrosi con l’introduzione di farmaci antifibrotici.
L’accrescersi delle evidenze scientifiche suggerisce che la stessa cirrosi, nei pazienti con funzione
preservata, non debba essere considerata intrattabile ed irreversibile. Le terapie attualmente
disponibili e ancor di più quelle future dovranno porsi l’obiettivo di prevenire la progressione di
malattia consentendo ai meccanismi endogeni di portare alla degradazione della matrice
extracellulare e alla regressione della fibrosi. Le future strategie farmacologiche per prevenire la
fibrosi dovranno avere l’obiettivo di contrastare l’infiammazione, ridurre l’attivazione delle cellule
stellate, inibire la loro attività fibrogenica e stimolare la degradazione della matrice extracellulare.
In questo contesto riuscire ad eradicare l’infezione cronica, quale che sia l’eziologia, può consentire
alla fibrolisi di esercitare il proprio ruolo sulla regressione della fibrosi
Linee guida sono necessarie per l’utilizzo del Fibroscan nelle diverse malattie croniche di
fegato. Per questo studi prospettici multicentrici dovranno valutare l’accuratezza dell’elastometria
epatica per la valutazione della fibrosi nelle malattie croniche di fegato a diversa eziologia allo
scopo anche di individuare i valori ottimali di cut-off nei diversi sottogruppi.
La sua accuratezza, virtualmente operatore indipendente, fa sì che questo dispositivo possa essere
utilizzato ripetutamente in modo da identificare i dinamici cambiamenti nel tempo del grado di
fibrosi nel singolo paziente. L’ideale campo di interesse dell’elastografia epatica è pertanto il
monitoraggio longitudinale della fibrosi sia nei pazienti trattati che nei pazienti non trattati. Infine
con l’introduzione di farmaci antifibrotici sarà possibile monitorare la risposta alla terapia. In ogni
caso cambierà lo scenario poiché la sua diffusione nella pratica clinica permetterà di ridurre il
numero di biopsie necessarie e di avvicinare pazienti altrimenti “difficili”.
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Bibliografia
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Velocità di propagazione dell’onda elastica nel fegato a seconda del grado di fibrosi
VS = 1.0 m/s VS = 1.6 m/s VS = 3.0 m/s
E = 3.0 kPa E = 7.7 kPa E = 27.0 kPa
Il fibroscan quantifica l’entità della fibrosi mediante la tecnica di elastografia ad impulsi
%-5
0
5
Dep
th (
mm
)
Time (ms)
F0
0 20 40 60
10
20
30
40
50
60%
-5
0
5
Dep
th (
mm
)Time (ms)
F2
0 20 40 60
10
20
30
40
50
60%
-5
0
5
Dep
th (
mm
)
Time (ms)
F4
0 20 40 60
10
20
30
40
50
60
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