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i mille occhi XVII edizione Teatro Miela Trieste 14_20 settembre 2018 Festival internazionale del cinema e delle arti

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Festival internazionale del cinema e delle arti

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il festival dell’Associazione Anno uno

con il contributo di

main partnersLa Cineteca del Friuli, FIAF – Archivio Cinemadel Friuli Venezia Giulia, Gemona (UD)Centro Sperimentale di Cinematografia –Cineteca Nazionale, Roma

in collaborazione conRAI Sede Regionale per il Friuli Venezia Giulia

project partnersHrvatski filmski savez, ZagrebDržavni arhiv u Splitu (DAS), Split Sense Agency, ZagrebFond za humanitarno pravo, BeogradIstituto Luce, RomaRaphaela-Film, MünchenWerkstattkino, MünchenL’Officina Film Club, RomaFuori orario, RomaFondazione Franca e Franco Basaglia, Roma

Associazione culturale Anno uno

PresidenteMichele Zanetti

VicepresidenteGiuliano Abate

DirettoreSergio M. Grmek Germani

ConsiglieriMarie-Françoise Brouillet Annamaria CameriniIgor KocijančičOlaf MöllerAlice Rispoli Dario Stefanoni

in copertina Maureen O’Hara (Collezione Anno uno).

Locarno FestivalCineteca di BolognaCineteca Italiana, MilanoMuseo nazionale del cinema, TorinoCineteca Lucana, Oppido Lucano (Potenza)Cineteca Bruno Boschetto, TorinoPenny Video, RomaAFIC, Associazione Festival Italiani di CinemaCasa del cinema di Trieste

I mille occhi / The Thousand EyesFestival internazionale del cinema e delle arti / International Arts and Film FestivalXVII: Corpo, sguardo e silenzioTrieste, Teatro Miela, 14‡20 settembre 2018Anteprima a Roma, Cinema Trevi - Cineteca Nazionale, 11‡12 settembre 2018

English version of the Catalogue onwww.imilleocchi.com

fuori orariocose (mai) viste

casadelcinema.trieste

c

Raphaela-FilmGmbH

con il patrocinio di

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ideazione, ricerche e messa in scena Sergio M. Grmek Germani

con la collaborazione al programma di Cecilia Ermini, Mila Lazić, Olaf Möller, Jackie Raynal, Simone Starace, Dario Stefanoni,Roberto Turigliatto, Gary Vanisian

consulenza all’organizzazione generaleMonica Goti

amministrazioneFederica Rigante

movimentazione Luca Luisa

ufficio stampaSimone Staraceassistente Francesca Dougan

comunicazione social e promozioneFrancesca Bergamasco assistenti Alice Koren, Zoe Ferfoglia, Antonio Pasqua

video e fotoFrancesca Bergamasco, Ektor Leka, Gioele Delluniversità

ospitalitàDaniela Pick-Tamaroassistente Mara Guerrini, Greta Tamaro

sito internetZenmultimedia

assistenza informaticaStefano Biloslavo

Si ringraziano

tutti i cineasti e i produttori dei film in programma,tutti gli autori e gli editori dei testi pubblicati,tutti i partecipanti agli incontri,

project partners e collaboratoriCINETECA DEL FRIULI – ARCHIVIO CINEMA DEL FRIULIVENEZIA GIULIA

direttore Livio Jacobarchivio film Elena Beltrami, Alessandro De Zan,Simone Londero, Alice Rispoli, Andrea Tessitoresi ringraziano per la collaborazione Piera Patat,Giuliana Puppin, Ilaria Cozzutti, Ivan Marin

CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA – CINETECA NAZIONALEpresidente Felice Laudadiodirettore generale Marcello Fotidirettore Gabriele Antinolficonservatore Daniela Curròdiffusione culturale e programmazione Laura Argentocon Maria Coletti, Domenico Monetti, Luca Pallanche lo staff del Cinema Trevi

CONSOLATO GENERALE DELLA REPUBBLICA DI CROAZIA A

TRIESTEconsole generale Nevenka Grdinić

CINETECA BOLOGNAdirettore Gian Luca Farinelliarchivio Andrea Meneghelli, Carmen Accaputo

CINETECA ITALIANAdirettore Matteo Pavesi

MUSEO NAZIONALE DEL CINEMA

presidente Sergio Toffetticonservatore Claudia Gianetto

FUORI ORARIOenrico ghezzi, Roberto Turigliatto, Fulvio Baglivi,Donatello Fumarola, Lorenzo Esposito

L’OFFICINA FILM CLUBPaolo Luciani, Cristina Torelli

Bernd Brehmer di WerkstattkinoDiana Nenadić di Hrvatski filmski savezMirko Klarin di Sense AgencyNataša Kandić di Fond za humanitarna prava, BeogradVendi Ganza Marušić di Državni arhiv u SplituAngelo S. Draicchio di Ripley’s FilmMiloš Budin, Mariella Magistri De Francesco,Francesco De Luca, Daniele Marzona, MicheleSumberaz Sotte, Barbara Scarciglia, Alice Bensi,Francesco Sacchi, Valentina Molaro di Teatro Miela -Cooperativa Bonawentura

Sandi Škerk di Azienda agricola ŠkerkDario Zidarič di Azienda Agricola ZidaričMaddalena Giuffrida, Walter Stanissa diAgriturismo Juna

si ringraziano inoltre Adriano Aprà, Stefano Barbacini, Enrique Bergier,Arianna Boria, Edward Catalini, Gerardo Corti,Sergio Crechici, Evelyn Dewald Caporali, Cristina D’Osualdo, Christoph Draxtra, BernardEisenschitz, Massimo Ferrari, Neva Gasparo,Dafne Imbimbo, Suzana Jovanović, Zlata Kalić,Paolo Lughi, Emilio Medici, Carla Melli, NicolettaRomeo, Antonio Rubini, Giulio Sangiorgio, Boba Šibalić, Marina Silvestri, Slobodan Šijan,Gordana Šimić, Francesco S. Slocovich, SuzanaStevanović, Fulvio Toffoli, Giorgia Venturoli, Mina Vidaković, Mislav Vinković, Ivan Vuković

e Hotel Continentale, B&B Hotel Trieste, HotelColombia, B&B Amelie, B&B Petra, Le Stanze diMiramare Boutique B&B

catalogo a cura di Simone Staracecon contributi di Sergio M. Grmek Germani, Mila Lazić, Olaf Möller,Gary Vanisian, Michele Zanetti

grafica e impaginazione Cristina Vendramin

traduzione del catalogo in ingleseNicole Tonas

stampaPoligrafiche San Marco, Cormons

proiezioni Paolo Venier

sottotitoli Betina Lilian Prenz

premio Anno uno realizzato da Stefano Coluccio, Canestrelli - Venice Mirrors, Venezia

food & beverageAzienda agricola Škerk, Duino Aurisina (TS)Azienda agricola Zidarič, Duino Aurisina (TS)Theresia Mittel Bistrot, TriesteCaffè Teatro Verdi, TriesteElià - Ristorante greco, TriesteRossopomodoro, TriesteTrattoria Caprese, Trieste

media partners

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Se parlo di film, di sole, di poesie, nessuno mi ascolta. Se parlo di cose serie, di soldi, tutti mi ascoltano.

Pietro, dall’Ospedale psichiatrico di Gorizia, in I giardini di Abele (1968) di Sergio Zavoli

Avvolgersi in qualcosa è necessario: perché esorcizzare l’alienazione come cosaaltrui, beatamente superabile in un dispiegarsi dell’umano, è forse il dato più ca -duco delle ideologie (marxiana in primis, in quanto ancora ideologia). Esorcizzare,per esempio, la religione come oppio fa oggi ridere, dacché essa ha saputo trat-tenere meglio d’altri esigenze profonde.Da amanti del cinema, e devoti di Carl Theodor Dreyer, sappiamo che il cinemaraccoglie quel che è essenziale del religioso, il sottrarsi a un divenire come desti-no di morte, quello che anche il grande cinema di Leo McCarey (ben accolto que-st’anno a Locarno, e il prossimo ai Mille occhi proseguendo l’omaggio di qualcheanno fa) respinge col suo to be, e di cui l’inventivo titolo italiano Fuggiamo insiemeche qui assumiamo (corrispondente al suo Once Upon a Honeymoon) rovesciacome nel film le direzioni della Storia.Ma il cinema sa accogliere tutti i gradi dell’essere umano, e non solo umano, piut-tosto nella visione libera, seppur segnata dal divino, di una Divina Commedia,opera che ha ossessionato molto cinema, e di cui quest’anno ci giungono nel pro-gramma due momenti importanti, il ritorno al festival del cineasta-dantista MarcScialom e il ricorrere di influssi danteschi (anche dalla Vita Nova) nei film diEckhart Schmidt.Schmidt, tra i tanti meriti di cui in parte diremo (tra essi permettersi di fare cine-ma italiano originalissimo senza scomodare né MIBACT né festival italiani – I mil -le occhi, si sa, sono apolidi), ha eminentemente quello di congiungere poesia altae terrenità dei corpi, la cui ritornante apparizione (che è la flagranza del cor ponell’immagine) non demonizza la provocazione che il corpo contiene, e che puòmanifestarsi nel sessuale. Un tanto, per ora, anche per ribadire che quando il

Fuggiamo insiemedi Sergio M. Grmek Germani

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Marilina Marino e Sara Marrone in Amor sacro, Amor profano di Eckhart Schmidt

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nostro festival percorre l’hardcore, o anche le gioie del soft, non è per titillare(quello può venire da sé) ma per non negarsi un abbraccio forte che il cinemaha con la vita.Il cinema è stato un grande e libero teologo, oltre che nell’amato e compiantoErmanno Olmi, oltre che nel mai incatenantesi Raffaello Matarazzo di cui il finaleteorico di Guai ai vinti scavalca con un carrello la croce, anche nelle commedielaiche di Comencini, o nello stupendo Trappola (parola che ben definisce ancheil cinema) di Eugenio Perego con Leda Gys.Ed ecco allora che quest’anno siamo lieti di conoscere meglio (grazie a Cinemaritrovato di Bologna e Giornate del cinema muto di Pordenone: ma I mille occhinon sono ombelicali, come Roberto Rossellini in Illibatezza e in tutto il suo cine-ma si abbandonano volentieri alla conoscenza) un cineasta grandissimo, John M.Stahl, che digrada anche i momenti religiosi in una immanenza assoluta: oh, ilpiano di sopra della chiesa di When Tomorrow Comes in cui si eternizza l’amoretra Irene Dunne e Charles Boyer, che meglio non potrebbe prolungare il loro in -contro mancato sulla vetta dell’Empire State Building in Love Affair di McCarey (epoi tra Deborah Kerr e Cary Grant in An Affair to Remember che sarebbe blasfe-mo chiamare remake, quand’è invece il sempre uguale e il sempre diverso delcinema; a Locarno, appunto, lo vedemmo con la rivelazione del più bel film “maivisto”, e qui l’italiano rende perfettamente l’esperienza).Il corpo, si sa, è infinito non meno dell’anima, può estendersi dalla vulnerabilitàclinica alla flagranza che l’immagine più che la vita trattiene. Di come la culturamedica potesse essere capace di ridiscutere se stessa, la lezione massima giungeda Franco Basaglia, di cui non ci peritiamo di sottolineare la forza rosselliniana,anche se quasi certamente egli non la frequentò come spettatore. Ma vale mol-to di più che egli vi abbia converso in parallelo. E poi, guardiamo il bellissimoI giardini di Abele, che varrebbe un Premio Anno uno anche a Sergio Zavoli,non a caso tra i massimi autori di quella televisione italiana che Rossellini, conCottafavi, Olmi, De Seta, Blasetti, Emmer, Giraldi, Bava, Tognazzi & Vianello equalcun altro, hanno troppo brevemente reso grande (di Zavoli è sorprenden-te la verità del pathos, il suo saperlo estendere dalle monache in Clausura alProcesso alla tappa grazie a cui Amadeo Bordiga si lasciò per l’unica volta, me -morabilmente, intervistare e riprendere per Nascita di una dittatura, ed eminen-temente in questo, a tratti rosseniano, lilithiano, “documento” sullo psichiatrico diGorizia). In I giardini di Abele, accanto a interviste-provocazioni stupende, come

quella di Pietro che accogliamo in exergo, o della donna goriziana, la “signoraCarla” che si rivolge al “signor Zavoli” dichiarando senza pudori che è diventa-ta folle per una delusione amorosa, interviene senza superiorità gerarchica Ba-saglia. Orbene, la sequenza con Basaglia è uno dei momenti più alti di cinema:il suo andare su e giù per la stanza, costringendo a tagli continui di montaggioper trattenerlo in campo, è Bazin puro, Rossellini puro. E insieme a questo suopro blematico entrare in immagine e uscirne, dice le cose più estranee a tatticismipolitici e più vere che nel 1968 si potessero immaginare. Ecco perché le incom-piute interviste ai politici che egli realizzò l’anno prima della morte, nel 1979 (eche Franca Ongaro Basaglia volle editare affidandone la curatela, oggi ritornante,a Maria Grazia Giannichedda), hanno un valore straordinario, indipendentemen-te dalla statura politica e intellettuale degli interlocutori. Sono la prova, insiemealle sue coeve Conferenze brasiliane, di un carattere in convergenza col metodorosselliniano. Oggi la politica, se ancora volesse imparare, vi troverebbe la lezio-ne più alta.Dobbiamo qui dire in tutta, non cerimoniale, modestia, che di occuparsi oggi diBasaglia chi scrive si sente indegno (ma non lo è di meno verso Rossellini, Dreyer,Camerini, Genina, Bianchi). Che cosa feci quand’egli rendeva più vivibile la miacittà? Ne fui contemplativo contemporaneo, diversamente da Maria Grazia Gian -nichedda, Franco Rotelli, Peppe Dell’Acqua, Michele Zanetti, e altrove AntonioSlavich, Mario Tommasini e naturalmente Franca Ongaro Basaglia, che ne reserol’operare possibile e perdurante. Diversamente anche da Sergio Zavoli, PirkkoPeltonen, Silvano Agosti, Franco Giraldi, che lo trattennero in cinema. Al cinema(“e alle arti” per dirla col nostro festival) appartiene, oltre all’opera parallela piùlontana di Frederick Wiseman e Leon Hirszman, anche quella scritta murale del-l’ex-manicomio, Venga a prendere l’elettroshock da noi, mirabile parodia dellacommedia lattuadiana tratta da Piero Chiara, momento d’invenzione anonima (oplurale) nell’universo di creazioni artistiche che ne accompagnò la vicenda, daVittorio Basaglia a Giuliano Scabia al grande triestino, anch’egli mal ricordato nel -la sua città, che fu Ugo Guarino, che in parallelo alla collaborazione basaglianapubblicò per la Milano Libri due volumi meravigliosi, Cuore (1968, ancora) e Lapsicoanalisi (1974), e che esordì con una collaborazione a «Il Piccolo» e «La Citta -della» che l’amico del nostro festival Guido Botteri aveva con acribia documenta-to per una pubblicazione rimasta inedita nella città dei no se pol.Orbene, da indegni postumi, abbiamo voluto eleggere “liberamente” (secondo il

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termine onesto di molti adattamenti cinematografici) il titolo di un fondamentaletesto di Franco Basaglia a titolo di questa edizione del festival: Corpo, sguardo esilenzio. Delle tante evocazioni del cinema che esso racchiude una non è di certosolo evocativa ma quintessenziale: il rigettare la clinicocentricità della visione delcorpo, e dunque la sua mortalità.I programmi dei Mille occhi si costruiscono nei loro intrecci in corso d’opera,spesso con dolorosi rinvii, e altre volte con la percezione di un dono che nonpuò essere rifiutato. Vi sono alcuni tasselli che quest’anno s’irradiano fortemente dall’omaggio aBasaglia. Certamente il Premio Anno uno a Franco Giraldi, su cui qui si comple-tano alcune osservazioni della motivazione cui rinviamo. Non si tratta solo delluogo-Trieste che ci accomuna: del premio vogliamo sottolineare anche quest’an -no i punti di fuga. Nessuna paura di dire che vi arriviamo “per ultimi”, dopo unampio omaggio del Trieste Film Festival fortemente voluto da Annamaria Per -cavassi, al quale poterono ancora partecipare Tullio Kezich e Callisto Cosulich,e a cui collaborò (con l’unico volume tuttora dedicato al cineasta) Luciano DeGiusti, che ancora pochi mesi fa omaggiò Giraldi all’Università di Trieste conElvio Guagnini. C’è stato inoltre a Gorizia un bel Premio Darko Bratina, che benvide nel titolo dell’ultimo documentario di Giraldi, Con la furia di un ragazzo,anche una nota autobiografica. C’è stato un omaggio di Lagunamovies a Grado.C’è poi la pluriennale attenzione della Cineteca del Friuli, depositaria di un pre-zioso fondo giraldiano. E naturalmente l’apprezzamento costante del maggiorconoscitore della cultura di questi luoghi, lo scrittore Claudio Magris. Ma non rite-niamo la nostra scelta perciò meno importante e convinta. Non a caso essa è stataparticolarmente caldeggiata da un nostro pluriennale collaboratore non italiano,Olaf Möller (si sa che la Germania ha un feeling col cinema italiano, come provòl’anno scorso anche l’omaggio al friulano Damiano Damiani). Egli è peraltro tra ipiù convinti estimatori di Giuseppe De Santis, la cui vicenda artistica e umanas’intrecciò fortemente con quella di Giraldi. E non dimentichiamo che da De Santissi dirama anche Elio Petri. E, in tutti e tre, i personaggi femminili sono fortemen-te esaltati: tra essi forse Giraldi s’intreccia meglio con alcuni altri sguardi piùcuriosi verso il femminile, condividendo una seppur diversa (e meglio celata) ti -midezza con Antonio Pietrangeli e Brunello Rondi. L’ascolto sempre raziocinanteverso la donna di Giraldi prolunga l’istanza politica di De Santis, il suo indicareil corpo femminile come fondante della politica stessa, senza perdersi nella fasci-

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nazione fisica, come invece Pietrangeli e Rondi, di cui più ci sentiamo complicimentre Giraldi è un saggio. La presenza al festival di Senta Berger (insieme a quella dello stesso Giraldi perla consegna del premio, e dell’ormai amico del festival Omero Antonutti) dà alnostro omaggio la forza massima cui avrebbe potuto ambire. Un grazie di cuorea Senta, grande attrice e grande donna, entrata a lungo in tanto cinema italiano,compresi due dei più bei film di Giraldi.Essa rende il già magnifico La giacca verde quel film unico che è. Un film chepercorrendo il crinale sempre aperto tra vero e falso, può concedersi dei palesifalsi: non solo nella musica di Mendelssohn storpiata da un falso musicante a innonatalizio (e Bacalov genialmente riecheggia quel «Cristo è nato» fino alla codadopo i titoli di coda: in televisione ve la sfumerebbero di certo, ecco perché èimportante proiettare i film in pellicola e in sala), non solo per quella giacca verdeche è importante (ancora) vedere in una pellicola dai colori giusti (come Il ra -gazzo dai capelli verdi di Losey), non solo per quello splendido gioco (condivi-so con Mario Soldati) per cui il cattivo musicante diffida del fatto che quello verosi sia scelto a nome quello del dizionario Premoli (momento quasi resnaisiano omarkeriano del film), ma soprattutto perché Senta Berger impone la sua bellez-za, la sua sensibilità, la sua stessa vera voce su un calco di diva che, come Chopine Liszt resi intercambiabili da Renzo Montagnani (il quale con Giraldi partecipò ateatro a La coscienza di Zeno), si riferisce in libertà a Isa Miranda (del cui Infer -no giallo lei, Eva Sandor, è nella finzione la protagonista) e Marika Rökk. Dueattrici che amiamo (e anzi la “miranda Isa” l’adoriamo) e di cui la verità di SentaBerger rende quel bricolage vitale. Così come la sua coppia con Tognazzi in Cuorisolitari attraversa genuinamente i tempi della “rivoluzione sessuale” postsessan-tottesca, rendendo quel film uno dei più belli del periodo, insieme ad altri chequest’anno proiettiamo, volutamente riecheggiando la triade Germi-Bene-Ferreriacutamente intuita da Michel Delahaye sui «Cahiers du cinéma» (dove addirittu-ra Sylvie Pierre elesse L’immorale nella sua topten annuale), rivista che forse hasottovalutato (a differenza di «Positif») Risi e Comencini e (a differenza di Giu -seppe Turroni e «Filmcritica») Lattuada, e beninteso (a differenza di «Présence ducinéma») Cottafavi e Matarazzo, ma certamente ha avuto il merito di accorgersialmeno in parte (con Jean Douchet) di Zurlini, e (con Godard stesso) di Olmi, e(con Fieschi ed altri) di De Seta.Di De Seta accogliamo nel programma, in una copia diversa da quella proiettata

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recenti guerre sul territorio jugoslavo. Di questo grande cineasta, che solo l’igno-ranza mondialista può considerare periferico, siamo con Mila estimatori convintisin da quando curammo nel 1998 una rassegna sul cinema croato per Alpe AdriaCinema, e più volte I mille occhi l’hanno omaggiato (ahimé post mortem). Il pro-gramma di quest’anno non solo rinnova la collaborazione coi maggiori archivicroati, e con la rappresentanza consolare a Trieste, ma vi aggiunge (anche per ilconvegno La guerra della follia) il rapporto con istituzioni quali il Fondo per idiritti umani di Belgrado e Sense di Zagabria. Il cineasta che più si è esposto inuna lotta per la verità oltre i confini è Lazar Stojanović, di cui l’anno scorso si vi-de il film represso dal regime titino (in quel tristissimo 1972 jugoslavo, che ormaiva visto come non diverso dalle precedenti repressioni cecoslovacca e polacca, eanzi ignorantemente complice del preparantesi crollo di un paese che i cinea-sti ancora pensavano potesse coniugare socialismo e libertà), mentre quest’annosi vedranno i film sui crimini delle guerre del disfacimento. Il cineasta che nel1971 pensava che non fosse un tabù riascoltare (in Plastic Jesus) gli inni cetnici eustascia, diventa colui che meglio ne contrasta i calchi da parte dei vari Mladić eKaradžić (ed è lui che fa scoprire a Pawlikowski le mitragliate su Sarajevo diEduard Limonov, fonte del libro di Emmanuel Carrère); c’è solo da interrogar-si chi altri se non lui, purtroppo scomparso, potrebbe oggi girare un film suSlobodan Praljak, il generale croato (e pessimo cineasta) che distrusse il ponte diMostar e che si è suicidato platealmente al Tribunale dell’Aja.La rassegna si estende acutamente dai film di Godard sul tema a un documenta-rio sui folli della prima guerra mondiale, congiungendosi nel programma sia a Unanno di scuola (perno della trilogia di Giraldi che va da La rosa rossa a La fron-tiera) sia all’ultimo film di Autant-Lara, inedito in Italia: cineasta dal festival spessoma mai abbastanza trattato, e infatti ne percorreremo ancora gli intrecci tra filmal femminile e film sulle guerre.Corona magnificamente questi montaggi sui decenni e sui secoli il dittico diCécile Decugis, già ospite dei Mille occhi e recentemente scomparsa, in un annofunesto che ha perso grandi cineasti (Ermanno Olmi, Angela Ricci Lucchi, IdrissaOuedraogo, Milos Forman, Juraj Herz, Fernando Birri, Nelson Pereira dos Santos,Alain Jessua, Giorgio Trentin, Vittorio Taviani), il grande fedele musicista del no -stro Premio Anno uno, Luis Bacalov, critici di grande intelligenza (Pierre Rissient,André S. Labarthe, Stanley Cavell), attrici meravigliose (Anne Wiazemsky, DanielleDarrieux, Stéphane Audran, Paloma Matta, Dorothy Malone, Anna Maria Ferrero,

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in passato, il film meglio sostenuto dalla citata rivista (oltre che da «Filmcritica»),Un uomo a metà, film che nel nostro programma egregiamente distanzia psico -analisi e psichiatria nel riferimento al junghiano Ernst Bernhard, riferimento per-tinente e personale del regista, in nessun momento culturalistico o subordinato (igrandi, come anche Rossellini e Dreyer, sanno di dover sempre imparare ma mailasciano che il loro cinema sia di derivazione) ma tale da far dispiegare nel filmuna forza di messinscena unica. Oggi i film d’infarinatura psicoanalitica sonoinsopportabilmente pretenziosi e noiosi, invece Un uomo a metà è a ogni proie-zione più bello: De Seta vi mise in discussione tutto se stesso (e la critica piùsuperficiale non trovò di meglio che rimproverargli il “tradimento dell’impegnosociale” del precedente Banditi a Orgosolo, non capendo che già questo era unfilm di inconscio sociale), e perciò oggi ci giunge come un’opera più forte delleideologie coeve.L’interesse del festival verso il cinema italiano si estende a quel territorio paralle-lo sia al cinema italiano che al cinema americano che è il cinema americano dop-piato in italiano (come peraltro era doppiato quasi tutto il cinema italiano). Un“falso” da cui nasce sovente una grande bellezza di voci. Considero le voci diEmilio Cigoli e Lydia Simoneschi tra le esperienze estetiche più affascinanti ditutto il cinema (insieme alle voci di Alberto Sordi e Mauro Zambuto doppiantiLaurel & Hardy). Il programma, proveniente dalla preziosa collezione di SimoneStarace, eccede però qualsiasi atteggiamento di puro culto. Si sono scelti, infatti,sei film che uniscono la più piccola delle major (l’Universal, quella che sia Stahlche Sirk percorsero) alla più grande delle case minori, la Republic. Di AnthonyMann si proietta uno dei film più lucidi sui regimi totalitari, che nel rapporto conla rivoluzione francese e il suo Terrore prelude a Cottafavi e Eric Rohmer. Di AllanDwan, Edward Ludwig e John H. Auer si propongono pochi assaggi, ma baste-ranno a rivelare come il cinema americano veramente bello non sia mai standar-dizzato, e come esso possa farsi, borgesianamente, ridire da voci italiane. Certo,accettare il doppiaggio è una contraddizione, perché è vero che con esso il fasci-smo volle cancellare dall’ascolto le lingue straniere (come anche i dialetti), ma èuna contraddizione da vivere vitalmente.Una grande capacità di dare al cinema direzioni diverse dagli input della storia sirivela nella rassegna curata da Mila Lazić, seconda parte di quella che l’anno scor-so ci offrì film bellissimi di Ivan Martinac, Tomislav Gotovac e altri. Martinac tornaquest’anno con altri due capolavori, riferiti stavolta come tutta la rassegna alle più

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Alba Arnova, Isabella Biagini, Marina Ripa di Meana, Margot Kidder, BarbaraHarris, Christine Keeler, Dolores O’Riordan, Mercedes Grabowski aka AugustAmes). Con una commozione più ravvicinata salutiamo Kira Muratova, nostroprimo Premio Anno uno; Štefka Drolc che raggiunse il festival per un eventomagnifico legato al Premio a Škafar; Angela Felice, che collaborò al nostro omag-gio a Irazoqui, da quella grande cultrice di Pasolini (e di Siro Angeli) che è stata;e un amico del CEC di Udine, Mauro Dentesano, che vedevamo di rado ma cirasserenava sentir vivo, lì a due passi da Trieste. Mi scuso in anticipo per le certe,involontarie dimenticanze di un elenco pur limitato a percorsi di passione.Tornando ai Mille occhi, e ben lungi dal volerne esaurire il programma, che sioffre a scoperte anche da parte di noi stessi nei momenti di visione durante ilfestival, ci sembra notevole, per un festival che ha sempre voluto contraddire l’in-disponente contrapposizione del cinema del presente a quello di altre epoche,anziché capire come il cinema riviva a ogni proiezione, che quest’anno possiamoproporre un numero particolarmente ampio di recentissimi film italiani o colle-gati con l’Italia. Li accompagniamo anzi con un incontro con i cineasti che s’in -titola Può il cinema italiano ridiventare giovane?, sottotitolo anche di uno deipercorsi che elegge a titolo quello di un film sovietico senza padroni di GlebPanfilov, Chiedo la parola.Ritroveremo anche due persone vicine, Luis aka Fulvio Baglivi, collaboratoreessenziale di varie precedenti edizioni, e Otto Reuschel, cittadino tedesco di ori-gine triestina, che presenta un progetto in cui prosegue la linea di un cinema li -bero dai confini. E incontreremo Stefano Morandini, che da Udine persegue uncinema di matrice antropologica, con un film dedicato al terremoto a Portis e altema, per noi dreyeriano, di come far rinascere i luoghi.Fabrizio Ferraro sarà per la prima volta ai Mille occhi ma, ne siamo certi, non l’ultima. Il suo film su Walter Benjamin è una delle grandi rivelazioni cinemato-grafiche di quest’anno, che si unisce al suo anteriore film su Simone Weil in undittico indispensabile, in cui rivivono rigore straub-huilletiano e scoperta del setrosselliniana.E infine, come non stupirsi noi stessi che I mille occhi riescano a presentare inanteprima (in 8 casi internazionale e in altri 3 mondiale) il ciclo italiano, o meglioCiclo romano, di Eckhart Schmidt? Si tratta dell’intero primo ciclo di 9 film, e dialtri 2 ad anticipazione del secondo: girati nell’arco dell’ultimo triennio, in Italia,in coproduzione italiana con la Germania, parlati prevalentemente in italiano e in

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Sara Marrone in Stella di Eckhart Schmidt

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parte in inglese. Film di paesaggi italiani, di citazioni poetiche (Dante, Pavese) epittoriche italiane, e di splendide presenze fisiche italiane di attrici inedite. Oltread alcune apparizioni in piccoli ruoli, e a parte quante avranno un ruolo nelsecondo ciclo, questo primo ciclo di 9 film vede riapparirvi 4 attrici che non esi-tiamo a considerare sconvolgenti. Un cinema “scritto” ma abbandonantesi allascoperta del set. E soprattutto un cinema che mette in campo solo donne (dimaschile c’è talvolta una voce fuori campo), come un cukoriano Women prolun-gantesi per oltre venti ore. Loving Valeria è il film in cui si concentrano tutte lepresenze, anche minori. Cecilia Saracino in La mia estate più bella, Princess –Voices from Hell e It’s Me unisce determinatezza e fragilità (reali oltre che recita-te). Marilina Marino esplode, anche per un corpo che un tempo si sarebbe dettoda maggiorata, in Love and Death in the Afternoon e ritorna deuteragonista inAmor sacro, Amor profano e nel citato Princess. Valeria Pellegrini, dopo un ruolosecondario in Stella, è protagonista e interprete unica dell’ultimo film, Angel’sFlight, dove la camera la segue da tutti i possibili punti di vista, e la fa agire splen-didamente nuda e con volto da cerbiatta nel leggere vagando le notizie da tuttii possibili giornali italiani, dove non possono mancare i 5 stelle. In Stella, StellaReloaded eAmor sacro, Amor profano è protagonista una personalissima, flagran -te Sara Marrone, che nell’ultimo crea con Marilina Marino una coppia di amore-odio al femminile degna di De Palma e Verhoeven. È questo anche l’unico filminteramente narrativo, di recitazione in diretta e non con voci fuori campo, eanche su questo terreno Schmidt si conferma sorprendente cineasta italiano.Sì, vogliamo che ci avvolga come un lenzuolo questo Ciclo romano.

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Tutti i colori dell’amore. Eckhart Schmidt e l’Italia come seduzione femminile: nove film in anteprima, con

due flashback e un flashforward

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essere considerata indesiderabile, come ac -cadde nel caso di Violenza contro la violen-za di Rolf Olsen, film di gangster all’italianaper cui i critici emisero una sentenza dimorte. Una delle cose migliori che si possa-no dire di Rainer Werner Fassbinder è chese non altro continuò a sfornare film. Il checi offre spazio anche per un’ultima osser -vazione sull’argomento, ovvero che il clan

Fassbinder era profondamente coinvoltonel la produzione di genere. Basta guardarealle filmografie di Peter Berling o DieterGeissler per accorgersi che lavoravano conpersonaggi come Adrian Hoven (La più al -legra storia del Decamerone, 1971), BrunoGantillon (Il clan del quartiere latino, 1973),Franco Prosperi (Pronto ad uccidere, 1976)e Hubert Frank (Disco-Fieber, 1979), intra-prendendo talvolta in proprio una carrie-ra di autori, come Ulli Lommel e lo stessoGeissler. Non è facile dividere così netta-mente il campo, anche se la critica ha sem-pre avuto un problema con questo, e spessoha preferito negarlo. Per quanto possa sembrare strano, pur contutta la produzione softcore in circolazione,il paese non era ancora pronto nel 1970 perqualcosa di così sovversivamente sensuale egiocoso come Männer sind zum Lieben dadi Schmidt. Ci sarebbe voluto un altro de -cennio prima che Nikolai Müllerschön potes -se farcela con uno splendido coming-of-agesentimentale e sensuale, pieno di nuditàcome Schulmädchen 84 (1983), uscito pro-prio nel momento in cui anche Schmidt tor-nava in azione con Der Fan (1982), uno deipiù grandi scandali/successi dell’epoca. Èindicativo che entrambi i film fossero incen-trati su teenager, perché proprio gli anni ’80videro la seconda rivolta generazionale del -la Germania Ovest. Quello di Schmidt eraun cinema di persone stanche delle nevrosidei propri genitori e stanche del loro desi-derio di apparire rispettabili davanti ai vicinidi casa, stanche di comportarsi responsabil-mente (cioè al servizio del capitale nazio-nale), stanche di un liberalismo ricco dilimitazioni e povero di libertà. Un cinemadi persone che avevano visto come lo Sta-to agisse con estremo pregiudizio controchiunque fosse tacciato di estremismo. È ilperiodo del punk e della new wave, dell’e-donismo sovversivo, del sesso e dell’orrore,della nudità gratuita e del gore: la base per-fetta per il cinéma du look alla tedesca. E

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PASSIONdi Olaf Möller

Da quando a metà degli anni ’60 EckhartSchmidt ha deciso che doveva fare film(film come quelli che vedeva e di cui scri-veva come critico), niente è stato capace difermarlo. Nell’ultimo mezzo secolo, ha sfor-nato talmente tanti film a velocità semprecrescente, al punto che la sua opera costi-tuisce ormai un subcontinente del cinematedesco: chi può mantenersi al passo con lasua furia creativa? Esiste una sola biofilmo-grafia che elenchi davvero tutti i titoli? Almomento siamo oltre i 150 lavori, soprattut-to lunghi e mediometraggi. E chi altro, diquesti tempi, può dire di aver girato unadozzina di film in un anno, o in una solaestate? Solo Schmidt.In realtà c’è uno iato lungo una decade nel -la sua filmografia: fra il 1970, quando esceil suo secondo lungometraggio, Männer sindzum Lieben da, e il suo prudente ritorno nel1980, con il documentario Douglas Sirk: ÜberStars. Uno sguardo approfondito a questoperiodo di inattività è necessario per ap -prezzare la gloria di Schmidt (una lode exnegativo, per così dire).Gli anni ’70 hanno segnato il dominio inter-nazionale del cinema tedesco. Niente alloraera considerato più innovativo e stimolantedelle produzioni Made in Germany (Ovest).Un tipo di prodotto, cioè, che fosse mito-mane, grandioso, cinefilo in chiave cervel-loticamente nostalgica, intellettuale in sensovagamente liberale-progressista o, all’oppo-sto, perdutamente irrazionale. Un cinemadecisamente non di intrattenimento, qual-cosa da discutere a posteriori più che da go -dere durante la visione. Non era cattivo ci -nema (almeno per la maggior parte), e nonera nemmeno così avaro di piaceri comepotrebbe sembrare (il pubblico e la criticasemmai si dimostravano spesso più cupi deifilm stessi), ma il fardello della responsabi-lità e della rispettabilità rispecchiava una co -

munità umana che portava ancora il pesodel passato nazista, anche solo in formeimbastardite. Al di là degli aspetti più inso-lenti e indecenti, non era insomma certa-mente un cinema capace di abbandonarsiselvaggiamente. Non era il contesto cultura-le adatto per tipi come Schmidt: auteurs econnoisseurs di film pensati per fare rasso-migliare la vita al cinema, rendendola piùsensuale e più folle, piena di possibilità ederoica nell’accezione in cui lo intendevanoi macmahoniani alla Mourlet (e colgo l’oc-casione per affermare che Eckhart Schmidtè l’unico autore macmahoniano nella storiadel cinema tedesco). Va ricordato che alcuni dei rappresentati delvero Giovane Cinema Tedesco della primagenerazione (ovvero i firmatari del Manife -sto di Oberhausen, come Ulrich Schamoni,Franz-Josef Spieker, Rob Houwer e WalterKrüttner), erano genuinamente interessati allarealizzazione di prodotti d’intrattenimentointelligenti destinati a un pubblico generali-sta, ma già nel 1965 era nata una specie diribellione rispetto alla via indicata da Ober -hausen (una ribellione di cui anche Schmidtfaceva parte), e questo significò che il con-trollo del movimento fu presto preso dalgruppo più borghese e socialdemocratico.Alla fine del decennio era già chiaro: il ten-tativo di riformare il cinema medio tedescoera destinato a fallire, soprattutto per ragio-ni finanziarie. Semplicemente, non c’era ilpubblico pagante necessario per stabilizza-re una produzione regolare, alla moda maalternativa. Chiunque avesse talento per uncinema impertinente e grintoso, audace eprovocatorio (pensiamo a Roger Fritz, KlausLemke, Marran Gosov e May Spils) si ritro-vò sommerso dai debiti. Il futuro sarebbestato quello del cinema assistito, cioè dipen-dente dallo Stato e dai suoi amministratori,quindi lento e impegnativo, ma non semprecosì bello da vedere. L’idea di avere qual-che film in uscita ogni anno, legato alle mo -de e agli eventi del momento, finiva per

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Marilina Marino in Love and Death in theAfternoon

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cano che aveva apprezzato quando era ungiovane critico era quello del tramonto del -la vecchia Hollywood, dove regnava supre-mo il Raoul Walsh di Avventura d’amore edi guerra (1961, reimmaginato da Schmidtcome Die Küken kommen) e Far West(1964). L’autunno è già passato per il cine-ma di tut to il mondo quando Schmidt rea-lizza Undine (1992), Der Sandmann (1993),Broken Hearts (1996) e Internet Love (1998),ma la primavera deve ancora venire. (Notapersonale: il mio preferito fra i film diSchmidt rimane Der Prinz von Homburg,adattamento incredibilmente personale gi -rato nel 1994 a partire dall’allestimento diNikolaus Lehnhoff dell’opera di Henze; allapari con Jet Generation del 1968, rispostasensibile e intelligente a Blow-Up).Con il suo Roman Cycle, Schmidt arrivaall’ultimo stadio di questa evoluzione: filmrealizzati solo per te che li guardi, film congiovani donne, film di eterno desideriodedicati alla gloria transitoria della carne.Documentari di notti e sere antiche e gior-nate che si rimaterializzano qui e adesso.Tutto viene spogliato fino all’essenziale, neifilm resta solo quel deve essere visto eascoltato. Non si può essere più semplici,più diretti e più immediati. C’è solo il qui eadesso, solo il cinema. È davanti a te e soloper te. Perché il cinema è ormai un piaceresolitario, la comunità di un tempo ormaiesiste soltanto nella testa di ciascuno di noi.

[THE ROMAN CYCLE / DER RÖMISCHEZYKLUS I, 1] LA MIA ESTATE PIÙBELLA (MEIN SCHÖNSTER SOMMER)Regia, sceneggiatura, fotografia: EckhartSchmidt; montaggio: Michi Kaussner,Raoul Sternberg [E. Schmidt]; musi-ca: Toti Basso, Joe Landis; interpreti:Cecilia Saracino; produzione: GoranaDragaš per Raphaela-Film; origine:

Germania, 2016-2017; formato: video,col.; durata: 94’.Copia DVD da autore.

Al momento del ritorno a Roma, una ra -gazza ricorda le vacanze in Sicilia, ilsuo primo grande amore e la tragicamorte dei suoi amici in un attacco ter-roristico.

Uno degli elementi più importanti diquesto film è l’affresco Trionfo dellamorte a Palermo, che mostra la morte acavallo che colpisce il ricco, il povero egli innamorati. Davanti a questo affre-sco la ragazza bacia per la prima voltail ragazzo, che non vedrà mai più. Ilmomento di massima felicità è anche ilmomento più buio. Vediamo le spiaggedi Mondello e nella nostra mente per-cepiamo una tragica storia d’amore cheè un ritratto della Generazione Y. (E.S.)

[THE ROMAN CYCLE / DER RÖMISCHEZYKLUS I, 2] LOVE AND DEATH INTHE AFTERNOON. AN ELEGYRegia, sceneggiatura, fotografia, mon-taggio: Eckhart Schmidt; musica: TotiBasso, Joe Landis; interpreti: MarilinaMarino; produzione: Gorana Dragaš eE. Schmidt per Raphaela-Film; origine:Germania, 2016; formato: video, col.;durata: 104’.Copia Blu-ray da autore.

Una storia di amour fou fra un uomoanziano e una giovane ragazza, rievo-cato da lei sui luoghi del loro amore aRoma...

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così Schmidt realizza Der Fan, Das Goldder Liebe (1983), Die Story (1984), Loft,Alphacity – Abgerechnet wird nachts, DasWunder, Die Küken kommen (tutti del 1985!)e Wie treu ist Nik? (1986), che nel comples-so costituiscono una sorta di new wave com -merciale. In questi film si può: ammirare l’idolo dei teenager Désirée Nosbusch nudamentre maciulla il corpo del divo del pop(Der Fan); godersi alcune delle bande piùcool della Neue Deutsche Welle in unanatura morta pop ambientata a Vienna (DasGold der Liebe); vedere una vera star ameri-cana, Al Corley di Dinasty, in un prodottotedesco pensato per il consumo internazio-nale (Alphacity – Abgerechnet wird nachts).Può sembrare un’esagerazione, ma Schmidtcercava davvero di istigare un movimentodel genere (una Neon Wave) con un pro-getto a episodi intitolato Neonstadt (1982),con contributi di Gisela Weilemann, Hel-mer von Lützelburg, Dominik Graf, JohannSchmid e Wolfgang Büld. Inoltre, Schmidtgestiva la rivista «S!A!U!», che per alcuni ave -va un valore simile a quello che i «Cahiers»avevano avuto per la generazione prece-dente, solo che parlava di cultura in gene-rale e non soltanto di cinema. «S!A!U!» era inalcuni ambienti diventato una vera Bibbia.E chi troviamo fra gli autori pubblicati? Rai -ner Werner Fassbinder e Werner Schroeter,a dimostrare che quando si tracciano deiconfini, la realtà interviene a correggerli. È importante per capire Schmidt afferrarecome per lui il cinema sia solo un elemen-to in un sistema culturale più complesso: ifilm hanno bisogno di musica e moda, nellostesso modo in cui la moda ha bisogno delcinema per farsi vedere e della musica permuoversi a ritmo e scintillare. Le gioie dellacultura pop sono solo modi di espressione,né migliori né peggiori di quelli che l’esta-blishment ha da offrire con le sue storie del-l’arte più o meno canoniche. Tutto dipendedal punto di vista, ma Thomas Hampsonpuò essere pop come i DAF e i Kraftwerk

classici come Wagner. E, inoltre, le modecambiano, sia lo schwabing che il punk e ilmillennial, questa è l’unica vera regola del-l’universo di Schmidt (che infatti gioca contutte, purché vi trovi della bellezza). Solo ilbrutto è proibito. Il brutto è passato. Il brut-to non potrà mai essere pop. Il brutto nonvende.In quel momento nessuno capiva cosa stesseaccadendo e perché, all’improvviso, il cine-ma tedesco osasse essere volgare e intelli-gente allo stesso tempo. Schmidt non erasolo, perché altri giovani come il già men-zionato Nikolai Müllerschön, Wolfgang Büld(già coinvolto in Neonstadt) e Carl Schenkelcavalcarono l’onda riversando una marea difilm shockanti sugli spettatori impreparati.Müllerschön girò un film da un copione diBüld, il cui titolo descrive perfettamente ifilm di cui stiamo parlando: Orchideen desWahnsinns (Orchidee di follia). Ebbene sì,è proprio quello che erano: fiori rarefatti lacui fragranza portava al delirio spontaneo.Ma quando arrivarono gli anni ’90 tutto eracambiato nel mondo. Schmidt fu finalmentein grado di crearsi uno spazio individualenel panorama dei media tedeschi, realiz-zando documentari per la televisione dedi-cati soprattutto all’opera, al teatro e al cine-ma, girandoli in serie e alla velocità dellaluce, mentre il cinema diventava uno spaziopersonale in cui scatenare desideri e osses-sioni. Schmidt aveva capito benissimo chel’epoca del cinema popolare era finita, equesto nonostante nei primi anni ’90 fosseemerso un altro cinema commerciale tede-sco, pavido e leccaculo anziché scandalosoe aggressivo. L’unica cosa da fare era con-fezionare film che potessero instillare nelpubblico il desiderio per quel cinema ormaiperduto: far sì che gli spettatori desideras-sero quell’eccitazione e apprezzassero la bel -lezza di un oggetto essenzialmente disponi-bile ma non necessariamente riciclabile.Schmidt comprendeva altrettanto bene lamalinconia di quel gesto: il cinema ameri-

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È la storia della mia morte raccontatacome un sogno del poeta. È arrivato aRoma per morire, ma viene ispiratodalla ragazza, che gli insegna l’italiano.Quando lui se ne innamora, lei non puòpiù essere la sua musa, per cui è il mo -mento di morire. Adesso sarà lei a rac-contare la sua storia, ripercorrendone iluoghi e dando alla fine alla luce il suobambino. È stato magnifico girare a Ro -ma con Marilina, così bella e intensa. Èstato il primo film del ciclo romano,quello da cui tutto è iniziato. (E.S.)

[THE ROMAN CYCLE / DER RÖMISCHEZYKLUS I, 3] STELLARegia, sceneggiatura, fotografia: EckhartSchmidt; montaggio: Michi Kaussner,Raoul Sternberg [E. Schmidt]; musica:Toti Basso, Joe Landis; interpreti: SaraMarrone, Valerina Pellegrini; produzio-ne: Gorana Dragaš e E. Schmidt perRaphaela-Film; origine: Germania, 2017;formato: video, col.; durata: 83’.Copia Blu-ray da autore.

Il Giorno del Giudizio è arrivato e siscatena una guerra tutti contro tutti, mac’è una ragazza che combatte in nomedell’Amore contro un Dio della Distru -zione...

La sfida è quella di creare un Giornodel Giudizio senza mostrarlo. Non sivede altro che una donna nuda in unappartamento. Si sente la voce di Dioche annuncia la fine dei giorni. E lospettatore deve partire da questi ele-menti per ricostruire tutto il resto con lasua immaginazione. L’interpretazione di

Sara è stata grandiosa, è riuscita a rac-contare la catastrofe con il suo sguardoe i suoi gesti. (E.S.)

[THE ROMAN CYCLE / DER RÖMISCHEZYKLUS I, 4] STELLA RELOADEDRegia, sceneggiatura, fotografia: EckhartSchmidt; montaggio: Michi Kaussner,Raoul Sternberg [E. Schmidt]; musica:Toti Basso, Joe Landis; interpreti: SaraMarrone; produzione: Gorana Dragaš eE. Schmidt per Raphaela-Film; origine:Germania, 2017; formato: video, col.;durata: 60’.Copia Blu-ray da autore.

Stella sogna che Dio mantenga la suapromessa e le dia un’altra occasione.Lei propone che questa volta il mondovenga ricostruito partendo non da Ada -mo, ma da Eva, e alle sue condizioni...

Tornando sulla terra, la ragazza sfidaDio e alla fine elimina l’idea della vitadopo la morte, nonché l’idea stessa diDio. Il sogno di un ritorno all’armoniatotale fra le piante, gli animali e l’uo-mo... Ho concepito il film come unripensamento del primo, orientato inun’altra direzione. (E.S.)

[THE ROMAN CYCLE / DER RÖMISCHEZYKLUS I, 5] LOVING VALERIARegia, sceneggiatura, fotografia: EckhartSchmidt; montaggio: Michi Kaussner,Raoul Sternberg [E. Schmidt]; musica:Toti Basso, Joe Landis; interpreti: Va -leria Pellegrini, Marilina Marino, SaraMarrone, Cecilia Saracino, Claudia Ida,

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Valeria Pellegrini in Loving Valeria

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Sara Pietri; produzione: Gorana Dragaše E. Schmidt per Raphaela-Film; origine:Germania, 2017; formato: video, col.;durata: 95’.Copia Blu-ray da autore.

Mentre cerca la ragazza dei suoi sogninella Città Eterna, il protagonista incro-cia molte strade e molte donne...

È un film sull’abbandono del paradisoper chiedersi come sarebbe sognare diamare una donna, così vicino e al tem -po stesso così lontana. Il film attraversatutte le emozioni: la poesia, il gioco conle Grazie classiche e l’addio per il mon -do dell’oscurità. Ci sono molte delle co -se che ho fatto a Roma: fotografare unlibro di poesia e filmare la poesia inpubblico... Tutte le attrici sono parte diquesto progetto. (E.S.)

[THE ROMAN CYCLE / DER RÖMISCHEZYKLUS I, 6] AMOR SACRO, AMORPROFANO

Regia, sceneggiatura, fotografia: EckhartSchmidt; montaggio: Michi Kaussner,Raoul Sternberg [E. Schmidt]; musica:Toti Basso, Joe Landis; interpreti: SaraMarrone, Marilina Marino; produzione:Gorana Dragaš e E. Schmidt per Ra -phaela-Film; origine: Germania, 2017;formato: video, col.; durata: 91’.Copia Blu-ray da autore.

Ispirato al famoso dipinto di Tiziano, èla storia di due fidanzate e un amante,con una soluzione mortale...

È una storia di vendetta, ispirata da Ti -

ziano. Ci mostra la ragazza dell’Amorsacro nuda e la ragazza dell’Amor profa -no vestita. L’Amor profano ruba il ra -gazzo e i soldi dell’Amor sacro. È la nottedella verità, che si conclude con un delit-to. È un gioco a due infernale, ed è statograndioso come Marilina e Sara sonodiventate parte di questo gio co. (E.S.)

[THE ROMAN CYCLE / DER RÖMISCHEZYKLUS I, 7] PRINCESS – VOICESFROM HELL

Regia, sceneggiatura, fotografia: EckhartSchmidt; montaggio: Michi Kaussner,Raoul Sternberg [E. Schmidt]; musica:

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Cecilia Saracino in Princess – Voices from Hell

Cecilia Saracino in Princess – Voices from Hell

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Toti Basso, Joe Landis; interpreti: Ceci -lia Saracino, Marilina Marino, FedericoPassi; produzione: Gorana Dragaš e E.Schmidt per Raphaela-Film; origine:Germania, 2017; formato: video, col.;durata: 92’.Copia Blu-ray da autore.

La protagonista è torturata da una vo-ce dal passato, che la insegue per unaRoma dall’architettura fascista. Ma c’èsoltanto una cosa che la trattiene dalsuicidio...

È la storia di un amore che si trasformain una storia di odio. Abbiamo giratosoprattutto in luoghi costruiti da Musso -lini, come piazza Mazzini e l’EUR. L’ideaera di trasporre l’odio di Nerone nelmondo del dittatore fascista. È un po’come Il grande Gatsby: tutto il potere eil denaro di questo mondo non con-quisteranno la ragazza, che sogna ecombatte per la sua libertà. È stato bel -lo lavorare con Cecilia e sono rimastoimpressionato da come ha attraversatotutte le torture, rendendo credibile l’in-visibile. (E.S.)

[THE ROMAN CYCLE / DER RÖMISCHEZYKLUS I, 8] IT’S ME! Regia, sceneggiatura, fotografia: EckhartSchmidt; montaggio: Michi Kaussner,Raoul Sternberg [E. Schmidt]; musica:Toti Basso, Joe Landis; interpreti: Ceci -lia Saracino; produzione: Gorana Dragaše E. Schmidt per Raphaela-Film; origine:Germania, 2017; formato: video, col.;durata: 70’.Copia Blu-ray da autore.

Per lui è stata solo un’avventura, per leiè stato l’amore della sua vita. E adessolei è a Roma per vederlo e fargli pres-sione, minacciando il suicidio...

Sostanzialmente, tutti i miei film del ci -clo romano parlano d’amore. L’idea diquesto film mi è stata suggerita dal fa -moso racconto Suicidi di Cesare Pavese.Racconto l’altra parte della storia, dalpunto di vista della ragazza. Seguo lesue visioni di Venezia, le sue minaccedi uccidersi, la sua disperazione e allafine il suo tentativo di capire la vanitàdi questo amore. La sfida era di giraretutto in una camera d’albergo, concen-trandosi sulla ragazza, senza vedere osentire il suo amante. (E.S.)

[THE ROMAN CYCLE / DER RÖMISCHEZYKLUS I, 9] ANGEL’S FLIGHTRegia, sceneggiatura, fotografia: EckhartSchmidt; montaggio: Michi Kaussner,Raoul Sternberg [E. Schmidt]; musica:Toti Basso, Joe Landis; interpreti: Va -lerina Pellegrini; produzione: GoranaDragaš e E. Schmidt per Raphaela-Film;origine: Germania, 2017; formato:video, col.; durata: 70’.Copia Blu-ray da autore.

Una ragazza aspetta in una stanza d’al-bergo. Manda dei messaggi, ma non ri -ceve risposta. Legge i titoli dei giornali.Si tocca. Un Angelo la sta cercando perdarle quello che aspetta.

La mia ispirazione viene da L’annuncia -zione del Beato Angelico. Mostro unaragazza sola nella sua stanza mentre so -

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gna un angelo che la guarda, resta conlei e genera insieme a lei il salvatoredel mondo. Seguiamo questa sua fanta-sia, vediamo gli angeli che la cercanodi finestra in finestra. E alla fine accade.Alla fine la ragazza legge quello cheDante ha scritto sulla questione, unodei testi più folli mai scritti. (E.S.)

[E.T.A. HOFFMANNS] DER SANDMANNRegia, sceneggiatura: Eckhart Schmidt;soggetto: dal racconto di E.T.A. Hoff -mann; fotografia: Johannes Kirchlech -ner; montaggio: Raoul Sternberg [EckhartSchmidt]; musica: Frédéric Chopin, An -tonio Vivaldi; interpreti: Lorenzo Fla -herty (voce tedesca Florian Halm), StellaVordemann (voce tedesca MelanieJung), Sabrina Paravicini (voce tedescaAlexandra Ludwig), Erik Schumann,John Karlsen; produzione: EckhartSchmidt per Raphaela-Film e JürgenHaase per Proverbis-Film; origine:Germania, 1993; formato: 35mm, col.;durata: 104’.Copia 35mm da Werkstattkino (conces-sione da Eckhart Schmidt).

Nel 1984, «Der Spiegel» riporta una di -chiarazione del sempre provocatorioEckhart Schmidt, secondo cui il cinematedesco, invece di adattare «romanzipolverosi» dovrebbe reagire «in forma econtenuto alle attese di un pubblicogiovanile», mettendo in immagini i loro«desideri e incubi». Circa dieci anni piùtardi, lo stesso Schmidt adatta alcuneopere letterarie tedesche, ma sceglien-dole attentamente: Il principe di Hom -burg di Heinrich von Kleist, Undine di

de la Motte Fouqué e uno dei capola-vori di E.T.A. Hoffmann, L’uomo dellasabbia. Il modo in cui Schmidt si acco-sta alla trasposizione cinematograficadi queste opere meriterebbe uno studioa sé e rappresenta, ai miei occhi, unesempio straordinario di come si pos-sa reinterpretare la letteratura in chia-ve personale ed estremamente creativa.L’ossessione di Hoffman per gli aspettipiù tetri e onirici della vita e del desi-derio è molto vicina alla sensibilità diSchmidt, come dimostrano Der Fan eLoft. Il protagonista, Daniel (per unavolta, un eroe maschile di Schmidt nonsi chiama Raoul), è inquieto e malinco-nico come il Nathanael di Hoffmann,mentre la Clara interpretata da SabricaParavicini è una figura angelica e com-prensiva come il modello letterario.Schmidt si prende invece delle libertàcon i personaggi di Coppola e Spalan -zani, riuscendo a inserire anche uncolpo di scena finale che Hoffmannnon avrebbe nemmeno mai sognato (lostesso dicasi per gli effetti speciali diColin H. Arthur, che aggiungono unanota di spettacolarizzazione hollywoo-diana alle atmosfere oniriche catturatesul Lago di Garda). Ma probabilmenteil cambiamento più importante rispet-to al racconto riguarda Olimpia, labambola, l’automa che diventa un veropersonaggio, imparando a ragionare eafferrando immediatamente la propriatragica condizione. «Come puoi provareamore se non provi dolore?» le chiedeDaniel. Hoffmann usa questo amoreim possibile di Nathanael per Olimpiacome sferzata satirica verso il sentimen-talismo stucchevole dei suoi contem-poranei. Per Schmidt, l’amore invece

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Castelli di sabbia, II. L’ultimo ponte (Nikad više)

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non può mai essere oggetto di ironia osatira. L’amore è un gioco drammatica-mente serio, che può persino travali -care i confini dell’essere umano. (GaryVanisian)

BROKEN HEARTS. VERLIEB DICH NIEIN EINE MAFIA-TOCHTERRegia, sceneggiatura, montaggio: EckhartSchmidt; fotografia: Stefano Moser;interpreti: Laura Di Mariano, DanieleLiotti, Massimo Ciprari; produzione:Raphaela-Film/Proverbis-Film/Roxy-Film/telenormfilm; origine: Germania,1996; formato: 35mm, col.; durata: 96’.Copia 35mm da Werkstattkino (conces-sione da Eckhart Schmidt).

La figlia di un mafioso, severamentesorvegliata dal padre, non è mai stataamata o baciata da un uomo. Ma du -rante una uscita per fare acquisti, laragazza cambia tutto: si impadroniscedella pistola di Raoul, sua guardia delcorpo, e puntandogliela alla testa loobbliga a lasciare Roma. In una villaisolata vicino alla via Appia antica, l’in-nocente ma viziata Stella cerca in tutti imodi di convincere Raoul a baciarla,ma lui rifiuta perché sa che sarebbe unuomo morto dopo averla baciata. Inrealtà Raoul è da sempre innamoratodella ragazza.

[THE ROMAN CYCLE / DER RÖMISCHEZYKLUS II] COLORE D’AMORE +COLOUR OF LOVERegia, sceneggiatura, fotografia: EckhartSchmidt; montaggio: Michi Kaussner,

Raoul Sternberg [E. Schmidt]; musica:Toti Basso, Joe Landis; interpreti: CeciliaSaracino, Valeria Pellegrini, Marilina Ma -rino, Federica Cuccia, Noemi Francesca,Claudia Ida, Chiara Emanuele, DianePatierno; produzione: Gorana Dragaš eE. Schmidt per Raphaela-Film; origine:Germania, 2018; formato: video, col.;durata: 76’ + 76’.Copia Blu-ray da autore.

Dante parla ne La vita nova del colored’amore, ma senza dire di quale colorel’amore possa essere. Forse perché vo -leva dire che l’amore contiene tutti icolori. Alla fine della Divina Commediaconclude che l’amore muove il cielo etutte le altre stelle. Questo Ciclo Roma -no II parla proprio dell’amore e dellesue varianti dalla mitologia greca a og-gi. Per questo progetto ho diretto piùdi venti diverse storie d’amore che mios sessionavano. L’esperienza del Pri-mo Amore e dell’Amor Sacro, i miti diDaf ne, Danae ed Eva – mi eccitavanotutti. Un progetto essenziale di questonuovo ciclo è Colore d’amore/Colourof Love, che ho girato in doppia versio -ne, italiana e inglese. Entrambe durano80 minuti, ma hanno alcune differen-ze. Penso sia interessante confrontare ledue versioni per vedere come le ragazzehanno affrontato i testi. Tutti i sette epi -sodi che compongono il film e anchel’episodio “noir” sono basati su storievere, che mi sono state raccontate dagiovani ragazze. Ho cercato di raccon -tarle un po’ con lo stile che era diCesare Pavese: a freddo, con un certodistacco, ma con un fuoco e una pas -sione sotterranei. (E.S.)

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PROFESSIONE OPERATORE DI GUERRA 1di Nikola Tanhofer

La professione di operatore è in generalepericolosa.Non solo in guerra, ma anche nelle si -tua zioni quotidiane più consuete, questaprofessione nasconde molti pericoli. Iveri operatori ne sono consapevoli, comei piloti di Formula uno sono consape-voli della pericolosità del proprio lavo-ro e che la loro non è una vita facile.L’operatore di guerra è particolarmenteesposto, non solo perché deve stare inpiedi mentre gli altri sono distesi perterra, perché deve camminare mentre glialtri corrono, perché deve essere per-fettamente calmo mentre gli altri sononervosi. Sembrerebbe, quindi, che eglidebba possedere una particolare con-dizione psichica e una particolare con-dizione fisica, che debba essere piùcoraggioso, più calmo, più concentratodegli altri presenti sul campo di guerra.Ma, per quanto la questione possa esse-re vista in tal modo, la realtà non è que-sta. Ciò che rende l’operatore di guerrain apparenza più coraggioso e più con-centrato è la sua particolare posizionein rapporto al mondo che lo circonda eche egli non osserva come le altre per-sone, ossia attraverso i propri organi disenso naturali, bensì guarda tutto attra-verso il mirino, attraverso l’oculare dellamacchina da presa. Questo fatto lo isoladall’ambiente circostante, gli dà un sen -so di sicurezza e molto spesso lo puòindurre in situazioni molto pericolose,che rasentano la stupidità. Si sa di ope-ratori che nel privato sono dei mediocrie dei vigliacchi, ma con la macchina dapresa in spalla e l’occhio nel mirino si

sono dimostrati persone ben al di sopradella media. Questo senso di compene-trazione con la cinepresa, questo sensodi chiusura in essa e di sicurezza cheessa dà (come il soldato nel bunker onel carro armato che corazzato dall’ac-ciaio e dal calcestruzzo guarda il nemicoattraverso una piccola finestrella) rap-presenta quel pericolo supplementare,che è reale quanto è reale il nemico.La notizia di guerra, come ogni altra no -tizia, deve essere in primo luogo chiarae comprensibile, fattiva e non ambigua.Per ogni fruitore di media cultura deveessere chiaro dove, che cosa, chi e co -me. Delle travi in fiamme, dei cumuli dimacerie e del metallo piegato, fiammee solo fiamme: tutto ciò, ripreso al difuori di un contesto, di un ambiente,può essere un’interessante immagineim pressionistica, ma non è una notizia,non è informazione. Diventa informa-zione solo quando si vede la casa chebrucia, o la via in cui si trova la casa. Ilmetallo piegato diventa notizia quan-do si vede a quale carro armato appar-tiene. Non si sa quanto sia grande ilcumulo di macerie, se non c’è un ele-mento di paragone, se non si vede diche cosa faccia parte e che cosa forseera prima di diventare un cumulo dimacerie.Un gruppo di persone che discute de -scrivendo degli avvenimenti deve esse-re ripresa in modo tale che sia chiarochi si rivolga a chi e chi risponda a chi.Il brusco movimento dello “sguardo”della cinepresa (lo “sguardo” della cine-presa non è la stessa cosa del nostrosguardo!), le zummate senza senso esenza motivo, il passaggio da una dire-zione a un’altra, tutto ciò fa inutilmente

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sprecare la concentrazione dello spetta-tore su fatti marginali e fa perdere lasostanza, il contenuto del discorso cheera il motivo della ripresa.La macchina da presa non è un can-nocchiale e non è nemmeno un mirino.Esistono regole severe che determinanoil modo in cui la macchina da presa“guarda”, delle leggi che si sono forma-te nel corso di un intero secolo, a cui glispettatori sono abituati, e solo in base aesse le successioni di immagini in movi-mento possono essere connesse in unaglobalità coerente con una piena com-prensione.Affinché la vita dell’operatore sia piùfacile, e l’informazione sia meglio ripre-sa, ecco alcune veloci indicazioni perl’operatore di guerra armato di un gio-vane cuore e di una cinepresa elettro-nica.

Dodici comandamenti per la ripresa1 Accendi la cinepresa e comincia a ri -prendere solo quando hai nell’inqua-dratura un soggetto veramente interes-sante.2 Bisogna tener presente che la televi-sione è un “media a bassa definizione”,specialmente per quanto riguarda il si -stema amatoriale VHS. Ciò significa chel’immagine è povera di dettagli e cheandrà perso tutto ciò che è distantedalla cinepresa, tutti i particolari e tuttele modulazioni sottili. Per questo biso-gna, se in qualche modo è possibile,avvicinarsi il più possibile all’avveni-mento e non fidarsi del teleobiettivo.3 Se è possibile inizia a riprendere daun piano d’ambiente (totale) e solo do -po avvicinati – lo puoi fare con lo zoom,ma è meglio fare qualche passo – e

scomponi il soggetto con alcuni primipiani.4 Se la macchina da presa deve com-piere un movimento (panoramica e si -mili), prima riprendi qualche secondoda fermo e quindi inizia a muoverti.Non spegnere la cinepresa subito dopoesserti fermato. Riprendi ancora un paiodi secondi da fermo e solo dopo spegnila camera. Al montaggio verrà tagliatociò che è superfluo.5 Tieni sempre presente che ciò cheriprendi non è uno spot musicale e cheil tuo scopo non è quello di divertire.Per questo dimentica lo zoom. È meglioriprendere prima un totale da fermo edopo fare un piano ravvicinato, chenon collegarli con una zummata. Lozoom è un dispositivo pericoloso, chebisogna saper usare e necessita dellaconoscenza del suo significato.6 Non fare delle panoramiche inutili(non fare movimenti a schiaffo) e senzauno scopo preciso. Già in precedenzadevi sapere come appariranno l’inizioe la fine dell’inquadratura. Entrambi gliestremi dell’inquadratura devono avereun soggetto chiaro e interessante e van -no collegati con un movimento tran quil -lo e lineare, senza sterzate e insicurezze,con velocità uniforme. La velocità delmovimento è determinata dalla posizio-ne dello zoom. Più lo zoom è vicinoalla posizione “stretto” (tele), più il mo -vimento deve essere lento e la manoferma. Al contrario, più lo zoom è vici-no alla posizione “ampio” (wide), più ilmovimento può essere veloce e le insi-curezze della mano saranno meno per-cettibili.7 Nelle situazioni belliche l’uso delteleobiettivo è inevitabile. Ma un’imma-

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PISMO IZ HRVATSKE[A LETTER FROM CROATIA / LETTERADALLA CROAZIA]Regia: Mihovil Pansini; fotografia: IvanFaktor, Milan Bukovac, Mladen Petričić,Branko Mandarić, Stjepan Tosenberger,Milan Drmić, Krešimir Pavelić, ŽarkoBatinović, Dražen Travaš, Davor Šarić;montaggio: M. Pansini, M. Bu ko vac;produzione: Hrvatski filmski savezZagreb; origine: Croazia, 1992; forma-to: BetaSp, b/n-col.; durata: 42’23”.Copia file digitale (da BetaSp) da Hrvat -ski filmski savez.

L’ultimo film di Mihovil Pansini (1926-2015), maestro del cinema sperimentalecroato che in parte abbiamo presentatonella scorsa edizione del festival. Pansi -ni utilizza video materiali realizzati dacineoperatori e videoamatori durante ilprimo anno di guerra in Croazia e rea-lizza un film antibellico che esplicitacon la frase finale «You have to know,this is the war against your coscience!Take it up!».

DAS LIED IST AUS[LA CANZONE È FINITA]Regia, fotografia: Ivan Faktor; sceneg-giatura: Ivan Faktor, Marijana Fumić;montaggio: Dubravka Turić; audio: dalfilm M di Fritz Lang (1931); produzione:Vera Robić-Škarica per Hrvatski film-ski savez; origine: Croazia, 2001-2002; formato: VHS/BetaSp, b/n-col; durata:18’42”.Copia file digitale (da BetaSp) da Hrvat -ski filmski savez.

In bilico tra documentario e film spe -rimentale, Das Lied ist aus è dedica-to a Fritz Lang e Marlen Dietrich. Inapertura, la citazione iniziale è trattaDall’in ferno di Giorgio Manganelli. Leriprese sono state realizzate a Osijek dasettembre 1991 ad aprile 1992. IvanFaktor introduce il sonoro del film Mdi Fritz Lang, contrapponendo le at -mosfere del 1931 a quelle del 1991.L’atmosfera di tensione e di agitaziones’interseca alla quiete delle strade de -serte della città calma, rassegnata all’or-rore che sta vi vendo, che le parole Fragnicht warum... (Non chiedermi per-ché...) dalla voce di Marlen Dietrichportano all’assurdo.

PISMO [LETTERA]Regia, sceneggiatura: Ivan Ladislav Ga -leta; fotografia: Milan Bukovac; produ-zione: Hrvatski filmski savez; origine:Croazia, 1993; formato: VHS, col.; du ra -ta: 4’.Copia file digitale (da VHS) da Hrvatskifilmski savez.

Nel 1993 lo sperimentalista Ivan LadislavGaleta (1947-2014) nella sua lingua ma -dre, l’ungherese, racconta l’atmosfera ditristezza e nonsense che regna attornoa lui, chiedendosene il perché. Le do -mande rimangono senza risposta.Dedi cato all’amico regista Zoltán Silfis,vojvodinese di Subotica. È ancora un enig ma la scritta finale:«Zagreb, 7/10/1922 Ladislav».

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rata costituiscono una buona protezio-ne per la cinepresa.11 Se riprendi una riunione, una con -ferenza o simili, in uno spazio chiuso,fermati all’ingresso. È il posto miglioree non cambiarlo per nulla al mondo.Da questa posizione si ottiene il colpod’occhio generale e in base a esso lospettatore si orienta nello spazio. Puoifare uno o due passi verso una perso-na, ma mantieni costante la direzione,perché solo in questo modo la direzio-ne degli sguardi dei partecipanti saràlogica e il montaggio sarà in grado direalizzare una globalità coerente. Inol -tre le dimensioni dello spazio, della sa la,appaiono migliori se viste dall’entra-ta. Nel caso non ci sia illuminazionesupple mentare, bisogna fare particolareat tenzione che all’interno dell’inquadra-tura non ci sia una finestra molto illu-minata, in quanto questa luce costringel’automatismo della cinepresa a oscura-re il resto dell’inquadratura stessa. Inuno spazio aperto bisogna adottare lastessa procedura. La prima inquadratu-ra che riprendi ha la funzione di colpod’occhio generale e tutti i piani ravvici-nati debbono, se è possibile, essere ri -presi dalla stessa direzione.12 Non esporre inutilmente la tua testadi operatore. Non esistono inquadratu-re che valgano una vita.

Testo scritto nel 1991 e distribuito ai giovani operatori che dovevano fare

riprese sui luoghi in cui si svolgeva la guerra con l’esercito jugoslavo (serbo).

Pubblicato in Croazia. Onde dell’altra riva, cat. Alpe Adria Cinema 1998-99

gine ripresa con il teleobiettivo, se è po -co nitida, non chiara, incerta e mossa,non è utile a nessuno, men che menoallo spettatore. Di regola con il teleo-biettivo si possono effettuare delle ripre -se corrette solamente con il cavalletto.Ma il cavalletto vero e proprio può es -sere sostituito da una pietra, su cui lacinepresa viene appoggiata, dalla cannadi un fucile, da un palo o da un ramosu cui si può appoggiare o appenderecon una cinghia la cinepresa. Qualsiasipunto di appoggio è migliore dellamano libera, anche se si tiene una cine-presa relativamente leggera.8 Se riprendi da un’automobile o da unqualsiasi altro mezzo in movimento, bi -sogna sapere che una corretta ripresaè possibile solo se l’obiettivo è postonella posizione “più ampia” (wide). Van -no evitate le zummate durante il movi-mento, specialmente quelle nella stessadirezione del movimento e in quellaopposta.9 Naturalmente si può camminare te -nen do la cinepresa. Si può anche cor-rere. Ma affinché questo materiale siautilizzabile, è assolutamente necessarioche lo zoom sia nella posizione “piùampia” (wide). Inoltre è sempre megliocamminare o correre dietro a qualcunoche cammina o corre davanti. In que-sto modo tutti i movimenti imprevistidella cinepresa, tutte le incertezze, i va -cillamenti e i salti saranno meno per-cettibili.10 Non aver paura di riprendere conluce fioca, all’alba, al tramonto o con lapioggia. La tua cinepresa è molto sensi-bile e le inquadrature saranno ancorapiù ricche di atmosfera. È inutile ricor-dare che un pezzo di nailon o di ince-

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bini. Quindi questa guerra, a differenzadella Seconda, che ricordo solo in par -te, è diventata MIA. La malattia non miha permesso di andare in trincea, dove,per mia stessa sorpresa, avrei volutoandare. Ho scritto diverse proteste, horealizzato un cortometraggio triste. Iterrificanti crimini da parte di coloroche detestano la civiltà non hanno col-pito la mia città (Spalato), ma le rosenere sono comunque uscite dal miocuore, le rose nere: Vukovar, Osijek,Mostar, Škaranje, Sarajevo, Dubrovnik,Drniš».

Ivan Martinac, lettera aperta a ŽivojinPavlović, Spalato, 20 luglio 1992

MOST

Regia, sceneggiatura, montaggio: IvanMartinac; fotografia: Andrija Pivčević;suono: Wolfgang Amadeus Mozart; pro-duzione: Slavica film (Spalato); origine:Jugoslavia (Croazia), 1977; formato:35mm widescreen, 1,66:1, b/n-col.;durata: 9’ 17’’ 8 ft. (96 inq.).Copia 35mm da Državni arhiv u Splitu.

Il corto sperimentale continua la tradi-zione del “film puro” [čisti film], chia-mato anche antifilm, che utilizza lacamera fissa, cioè la fissazione in sensoampio. Most è considerato dall’autoreun film-poesia e perciò, come di con-sueto, fino alla fine non ne potevaconoscere il finale. Usando varie pelli-cole (colore e bianco-nero di diversasensibilità), Martinac introduce deter-minati elementi machiavellici rispettoalla lotta tra uomo e macchina. Essendola pellicola l’elemento più “visibile” del

film, con l’alternarsi delle pellicole vuo -le dimostrare che le due parti oppostedi Most, nell’ambito del loro conflitto,usano qualsiasi mezzo per raggiungereil fine.

LAZAR STOJANOVIĆ(Belgrado 1944-2017)

Giornalista, regista teatrale e documen-tarista, uno dei più “famosi” dissidenticulturali durante il regime di Tito (il suoPlastic Jesus, film conclusivo degli studidi regia, gli ha causato tre anni di pri-gione, ritiro del passaporto e impossi-bilità di svolgere la sua professione).Partecipa ai movimenti studenteschi del’68, è cofondatore delle riviste «Vidici» e«Student» per le quali spesso scrive. Nel1976 (fino 1984) con il fratello filoso-fo Vojislav prende parte alla creazionedel gruppo alternativo “Università aper-ta” come forma di opposizione intel -lettuale al regime. Con i giornalisti chelasciano «NIN», il settimanale dello Sta to,propone nel 1990 il settimanale in di -pendente liberale «Vreme», tuttora attivo.Dopo il crollo della Jugoslavia, duranteil regime di Slobodan Milošević, è atti-vista contro la guerra, lavora come gior-nalista per Radio France Internationalee dal 2000 al 2006 per le missioni OSCEe ONU. Nel 2011 è coordinatore per ilCentro per il diritto umanitario (FHP)del progetto REKOM, un’iniziativa re -gionale per accertare i fatti avvenutinelle guerre in ex Jugoslavia. Stojanovićnon ha mai smesso di lottare per lalibertà individuale.

ZADAR NIJE ZA DAR[ZARA NON È DA REGALARE] Regia: Zdravko Mustać, Vlado Zrnić,Vedran Ćupić, Duško Brala; fotografia:D. Brala; musica: V. Ćupić; produzio-ne: Samostalni vod umjetnika Zadar;origine: Croazia, 1992; formato: S-VHS,col.; durata: 74’.Copia file digitale (da S-VHS) da Hrvat -ski filmski savez.

La scuola di cinema KinoKlub di Spa -lato ha lasciato forti impronte. Le lezio-ni di Martinac hanno dichiaratamenteaperto la strada alle nuove generazionidi sperimentalisti e videoamatori. C’èsa pore d’avanguardia e di sperimentali-smo croato nel lungometraggio Zadarnije za dar firmato da quattro autori, tracui Zdravko Mustać, autore del docu-mentario Martinac. La camera fissa èpuntata sul ponte di Zara: le situazionie i protagonisti cambiano, ma il ponteregge tutto, si oppone alla guerra. Lapaura e il pericolo si contrappongonoal riflesso del sole sulla calma superfi-cie del mare. Le riprese comprendonomateriali girati tra il 16 settembre e il 6dicembre 1991.

IVAN MARTINAC

(1938-2005)

Artista e intellettuale, regista, sceneggia -tore, montatore, cameraman, maestrodel film amatoriale, poeta, giornalista,architetto, designer, pittore, astrologo,scacchista, polemizzatore... Credeva cheil vero artista non dovesse essere limita -to a un solo mezzo. Diceva di aver la vo -rato come architetto, solo perché così

poteva fare i film come voleva, nessu-no gli poteva dettare le condizioni. Harealizzato settantuno cortometraggi, unlungometraggio, decine di libri le gati alcinema e nove raccolte di poesie.

GRAD U SIVOM [LA CITTÀ IN GRIGIO]Regia, sceneggiatura, montaggio: IvanMartinac; fotografia: Ante Verzotti;suono: Messa funebre, Antonio Vivaldi;produzione: Dalmacija film i video (Spa -lato); origine: Croazia, 1992; formato:35mm, col.; durata: 12’16’’ (114 inq.).Copia 35mm da Državni arhiv u Splitu.

«Arrivederci in questa (quella che è) onella prossima pace. Sappilo: eventua-li alienazione, follia, guerra (e tutto èpossibile se non riprendiamo la strada)non sono le nostre (tue o mie) aliena-zione, follia, guerra... Per essere since-ro, avevo previsto i “bisticci di guerra”conoscendo il “programma” di Miloše -vić e Ćosić. Sapevo che si sarebbe “spar -so del sangue” su uno dei confini, in unsobborgo periferico, ma ritenevo chegli scontri sarebbero cessati presto eche non avrei avuto ragione di viverlicome una MIA guerra. [...] Non si pote-va nemmeno immaginare, soprattuttonon nel paesaggio mite lungo la costaadriatica, che la massa degli esseri as-satanati avrebbero buttato le granate(missili) su campanili delle chiese, na -vate delle chiese, ospedali, asili, scuo-le, stazioni d’autobus, veramente nonsi poteva immaginare che quelle bel-ve barbute in uniforme e senza, conun’enfasi “d’ispirazione” avrebbero mal -trattato vecchi e deboli, sgozzato bam-

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ŠKORPIONI – SPOMENAR[THE SCORPIONS - A HOME MOVIE]Regia, sceneggiatura: Lazar Stojanović;fotografia: Nikola Majdak; montaggio:Suzana Stevanović; musica: AleksandarLudajić; produzione: Nataša Kandić perFond za humanitarno pravo (FHP); ori-gine: Ser bia, 2007; formato: DVCam,col.; durata: 52’.Copia digitale (da DVCam) da Fond zahumanitarno pravo, Beograd.

Il film ha integrato una parte del mate-riale d’archivio, acquisito dal Centro peril diritto umanitario (FHP), sul criminecommesso da Škorpioni (l’unità pa ra -militare serba che ha operato in variterritori durante la guerra jugoslava) aTrnovo, in Bosnia, nel 1995. È statomostrato per la prima volta sul canaletelevisivo B92 la sera del giorno stessodella sentenza dei protagonisti del cri -mi ne. Il numero degli spettatori ha su -perato 380.000, paragonabile alle partitedi calcio, ma il giorno seguente del filmnon si è più parlato. «Lo capisco molto bene: Škorpioni t’im -pone uno schieramento! E a chi puòpia cere? La scena del crimine, cionono-stante, ha attraversato il mondo intero.Non come un estratto del mio film, macome informazione sul crimine com-messo. Lo stesso si può dire per unascena del film Serbian Epics, dove ilpoeta russo Limonov, in visita da Ka -radžić, spara con una mitragliatrice suSarajevo. A me non disturba questoanonimato. Vale a dire che quello cheviene mostrato sotto il tuo nome nonper forza offre il massimo risultato; ilmassimo che ottieni è il forte impatto

sociale che il tuo prodotto ha avuto sutante persone. Chi è l’autore non haalcuna importanza» (Lazar Stojanović,intervista in «Vreme», 11 febbraio 2016).

SERBIAN EPICS / SRPSKA EPIKA

Regia, suono, produzione: Pawel Pawli -kowski; fotografia: Bogdan Dziworski,

Jacek Petrycki; montaggio: StefanRonowicz, Nigel Williams; produzione:BBC; origine: Gran Bretagna, 1992; for-mato: BetaSP, col.; durata: 46’.Copia file digitale da BBC.

Il film, apparentemente etnografico oun affresco dell’eredità culturale serba,rivela molti dettagli della vita pubblicae privata e dell’ambiente in cui sonocresciuti i diversi protagonisti degliscontri bellici in Bosnia. «L’idea, infatti, era far vedere quandoqualcuno parlava della battaglia delKosovo [battaglia della Piana dei Merli,1389, ndr] – come questa si rapportaalle tradizioni, alle conoscenze e alleabitudini della popolazione locale – eregistrare come queste tradizioni stan-no crescendo e come, collocate in unavita politica quotidiana, vengono stru-mentalizzate. Inoltre, a nessuno dei pro -tagonisti che abbiamo messo davantialla camera abbiamo attribuito colpe o

eroismi. Credevamo che fosse megliofar vedere di che personaggi si tratta.Loro avevano la piena libertà di pre-sentarsi come volevano. Non sono statifalsificati. Hanno avuto l’opportunità didire quello che volevano e mostrarequello che credevano fosse prezioso dafar vedere. Non abbiamo censurato lesequenze perché parlavano male o be -ne dei Serbi. Abbiamo solo cercato dimostrare in modo più chiaro e precisoquel bisogno di creare i miti, tipico del -la cultura mista e meticcia com’è quel-la balcanica, di cui il popolo spessonon è cosciente» (Milica Lučić Čavić,intervista a Lazar Stojanović per aim-press.ch, 17 aprile 1994)Stojanović si considera coautore delfilm, anche se non è accreditato (soloringraziato) e in una scena lo vediamobrevemente come protagonista, mentresoccorre una signora che scappa daicecchini a Sarajevo.

PRIBLIŽNO SRBI / ALMOST SERBSRegia: Lazar Stojanović; sceneggiatura:L. Stojanović, Ljubomir Živanović; foto-grafia: Nikola Majdak Jr, Jovan Milinov,Nenad Mladenović; suono: VladanÐokić, Aleksandar Perović; montaggio:Suzana Stevanović; produzione: TVB92 (Belgrado), Last Productions (NewYork), Rrominterpress (Belgrado), LazarStojanović e Veran Matić; origine: Ser -bia, 1998; formato: DVCam, col.; dura-ta: 56’.Copia file Mp4 (da DVCam) da TV B92.

Lazar Stojanović, ancora studente del -l’Accademia di cinema, lavora come

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da Približno Srbi / Almost Serbs

da Serbian Epics

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assistente di regia del suo professoreAleksandar Saša Petrović in due filmsui Rom: Sakupljači perja (1967) e Bićeskoro propast sveta (1968). Con Pri -bližno Srbi si occupa delle condizionidi vita della comunità Rom nella Serbiademocratica e lo dedica a Petrović, «al -l’artista che amava i Rom».«Con il film Približno Srbi, sulla posi-zione dei Rom in Serbia, che per meè molto importante, avevo un insolitoproblema negli Stati Uniti. Il film parlaabbastanza chiaramente e direttamentedella posizione dei Rom da noi e haavuto una buona accoglienza nei paesieuropei, ma non negli USA. Quando hochiesto a un amico di spiegarmelo, miha detto che a loro piacerebbe piuttostopresentare una selezione della musicadal film. “Perché non il film?” ho chie-sto. “Ma di che parla il film, dov’è ilconflitto?” – Non mi era chiara la do -manda. “Parla di un gruppo etnico chevive di ciò che gli è permesso fare:intrattenere un altro gruppo etnico.Questa è la loro posizione nella socie-tà, il loro destino”, ho spiegato. Era sor-preso: “Ma noi non li distinguiamo!”Loro non distinguevano i Rom dagliSlavi! Per loro quella distinzione non haalcun significato» (Lazar Stojanović, in -tervista in «Vreme», 11 febbraio 2016)

ŽIVOT I PRIKLJUčENJE RADOVANAKARADŽIćA / LIFE AND DEEDS OFRADOVAN KARADŽIćRegia: Lazar Stojanović; sceneggiatura:Mirko Klarin; fotografia: Zoran Petro -vić, Dušan Krivokapić, Goran Tubajić;suono: Novica Jankov, Dejan Ilić, Jasmin

Suvalija; montaggio: Aleksandar Stanoje -vić; interventi: Ljiljana Bulatović, ElviraVitlar, Jevrem Brković, Dr. Zoran Stan -ković, Marko Vešović, Željko Kopanja,Dr. Ismet Cerić, Daniel Pirić, PredragPašić; produzione: Mirko Klarin perSen se Agency; origine: Croazia, 2005;formato: DVCam, col.; durata: 52’.Copia file digitale (da DVCam) da SenseAgency.

Il titolo completo del film è Život ipriključenje Radovana Karadžića,opruženika, političara, pjesnika i psihi-jatra sa Durmitora [Vita e avventure diRadovan Karadžić, imputato, politico,poeta e psichiatra da Durmitor], cherimanda all’opera più importante delgrande scrittore serbo del ’700 DositejObradović. Il film, diviso in 17 capitoli,è un tentativo di rivelare i vari aspettidella personalità della “volpe dai 100volti”, come lo definisce Stojanović neltitolo di un capitolo. Il film fa luce sullaretorica e sugli argomenti che Karadžićha usato per manipolare le masse esulle conseguenze delle sue azioni, de -scritte nell’atto di accusa emesso controdi lui dall’ICTY (Tribunale penale in -ternazionale per l’ex-Jugoslavia). È unapanoramica di personaggio che era con -siderato un mito e che è entrato nelleepiche canzoni popolari.

USPON I PAD GENERALA MLADIćA /RISE AND FALL OF GENERAL MLADIć

Regia: Lazar Stojanović; sceneggiatura:Mirko Klarin; fotografia: Zoran Petrović,Dušan Krivokapić, Goran Tubajić; suo -no: Novica Jankov, Dejan Ilić, Jasmin

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da Približno Srbi / Almost Serbs

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Testimonianze, lettere, diari e filmatid’archivio tracciano la realtà della vitadei soldati in trincea durante la GrandeGuerra, che spesso ha avuto gravi con-seguenze sulla loro personalità. I pro-blemi psichici dovevano essere risoltiin tempi brevi per poter tornare dinuovo al fronte oppure i soldati veni-vano internati nei manicomi e chiamati“scemi di guerra”. «Cara mi hanno tra-sferito da poco nel reparto degli scemi,se non torno al posto dove ero primasono un uomo finito, ti prego aiutami»(dal film).

JE VOUS SALUE, SARAJEVORegia, sceneggiatura, montaggio, nar-ratore: Jean-Luc Godard; fotografia: IzetKutlovac; suono: François Musy; mu -sica: Arvo Pärt; produzione: Périphéria;origine: Francia, 1993; formato: 35mm,col.; durata: 2’15’’. Copia DVD dalla produzione.

Il regista franco-svizzero ci rivela a pocoa poco l’immagine crudele che il fotore -

porter americano Ron Haviv ha scattatoin Bosnia nel marzo 1992, accompa-gnandola con la sua voce vellutata e ladolce musica di Arvo Pärt. Il video hafatto parte della 29a Biennale d’arte diSan Paolo (2010). «In un certo senso, la paura è figlia diDio, redenta la notte del Venerdì Santo.Non è bella da vedere. Burlata, male-detta, rinnegata da tutti. Eppure, nonfraintendete. Essa sorveglia ogni agoniamortale, intercede per l’umanità. Perchéesiste la regola ed esiste l’eccezione. Lacultura è la regola. L’eccezione, l’arte.Tutti esprimono la regola: la sigaretta, ilcomputer, le T-shirt, la TV, il turismo, laguerra. Nessuno dice l’eccezione. Non lasi dice, la si scrive: Flaubert, Dostojevski.La si compone: Gershwin, Mozart. La sidipinge: Cézanne, Vermeer. La si filma:Antonioni, Vigo. O la si vive, e allora èl’arte di vivere: Srebrenica, Mostar, Sa -rajevo. Fa parte della regola volere lamorte dell’eccezione. Farà dunque par -te della regola della cultura europeaorganizzare la morte dell’arte di vivereche ancora fiorisce. Quando occorreràchiudere il libro, non avrò rimpianti.Ho visto tanta gente vivere così male etanti morire così bene».

DANS LE NOIR DU TEMPS

Regia, testi: Jean-Luc Godard; sceneg-giatura: Anne-Marie Miéville; fotogra-fia: Julien Hirsch; suono: François Musy;produzione: Nicolas McClintock; origi-ne: Francia, 2002; formato: 35mm b/n-col.; durata: 11’.Copia 35mm da Ripley’s Film.

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Suvalija; montaggio: Aleksandar Stanoje -vić; interventi: Ljiljana Bulatović, JovanDivjak, Dr. Zoran Stanković, LjubodragStojadinović, Željko Kopanja; produzio-ne: Mirko Klarin per Sense Production;origine: Croazia, 2005; formato: DVCam,col.; durata: 46’.Copia file digitale (da DVCam) da SenseAgency.

È un’analisi socio-psicologica del mitodi Ratko Mladić come soldato, leader,eroe, uomo straordinario, un mito cheè diventato uno strumento di propa-ganda politica e gradualmente ha attra-versato drastici cambiamenti. Il film èdiviso in vari capitoli (come quello suKaradžić) con titoletti evocativi – “Di -screto charm del generale”, “Il mediato -re”, “Adorato dalle masse”, “Il credente”,“Il rifugio”, “Il genitore”, “La sconfitta”,“Gli dei della guerra” – e fornisce spun-ti di riflessione a tutti, indipendente-mente dalle loro convinzioni e simpatie.

SCEMI DI GUERRA. LA FOLLIA NELLETRINCEE

Regia: Enrico Verra; soggetto, sceneggia-tura: Enrico Verra, Davide Sapienza,Francesca Zanza; fotografia: GherardoGossi; montaggio: Claudio Cormio,Cristina Sardo, Annalisa Schillaci; musi-ca: Giuseppe Napoli; interventi: QuintoAntonelli, Bruna Bianchi, Lucio Fabi,Antonio Gibelli; produzione: Vivo Film(Roma), Gregorio Paonessa, MartaDon zelli; origine: Italia, 2008; formato:BetaDigital, b/n-col.; durata: 48’. Copia digitale (da BetaDigital) da Vivofilm.

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da Je vous salue, Sarajevo

da Uspon i pad generala Mladića / Rise and Fallof General Mladić

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Autant qu’était Lara. Presenze di donna in un cineasta furioso, I

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L’episodio Dans le noir du temps fa par -te del film collettivo Ten Minutes Older:The Cello, come riflessione sul tema delpassaggio del tempo verso il nuovo mil -lennio. È uno studio sul tempo e sugliultimi momenti di gioventù, gloria, pen -siero, memoria, amore, silenzio, eterni-tà, paura e cinema.

LA FOLLIA DELLA GUERRA

17 settembre 2018 Incontro internazionale nella Sala BobiBazlen di Palazzo Gopcevich, a Trieste,con la partecipazione di: Nataša Kandić(fondatrice a Belgrado nel 1992 delFond za humanitarno pravo, produttri-ce, candidata al Nobel per la pace nel2018), Mirko Klarin (giornalista e fon-datore di Sense), Diana Nenadić (criticae storica cinematografica) e Franco Ro -telli (psichiatra).

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Chiedo la parola. Può il cinema italiano ridiventare giovane?

GLORIARegia: Claude Autant-Lara; soggetto: dalromanzo di Solange Bellegarde [SolangeBeaugiron]; sceneggiatura: C. Autant-Lara, Jean Halain; fotografia: WladimirIvanov; montaggio: Monique Isnardon,Robert Isnardon; musica: Bernard Gé -rard; interpreti: Valérie Jeannet, SophieGrimaldi, Nicole Maurey, Maurice Biraud,Andrée Tainsy, Dorothée Jemma; pro-duzione: Alain Poiré per Production2000/Gaumont; origine: Francia, 1977;formato: 35mm, col.; durata: 115’.Copia DVD (con correzione colore da35mm) in accordo col direttore di foto-grafia Wladimir Ivanov.

«Gloria, l’ultimo film di Autant-Lara, ècosì ben costruito che ci si rende contodella struttura solo a posteriori. L’artifi -cio che nasce dal flashback fa infatti cor -po unico con la storia, e pur essendostato impiegato più volte, non provocaquelle spiacevoli distrazioni che afflig-gono anche alcuni dei migliori film raccontati tramite flashback. Gloria rac-conta una storia che avrebbe potutoessere filmata da Mizoguchi o dal JohnFord di Sentieri selvaggi: un ragazzoorfano, cresciuto dal nonno (si tratta difatto di un figlio illegittimo), viene al -lontanato dalla Francia al momentodella dichiarazione di guerra del 1914.Viene così separato anche dalla picco-la compagna che sua madre, attrice diteatro, invia in una pensione in Sviz -zera, dove le saranno nascoste tutte lelettere inviate ragazzo. Dopo la guerra,Jacques, diventato ormai un giovaneuomo e accompagnato dalla fidanzataamericana che sta per sposare, ritrova

la giovane compagna della sua infan-zia, che adesso danza La Mort du cygnedi Saint-Saëns in un teatro di varietà,sotto i fischi del pubblico. [...] Quandovediamo Gloria danzare imperturbabilela morte del cigno, accompagnata daifischi degli spettatori in cerca di nume-ri ben più crudi, assistiamo a una lim-pidezza di découpage, a inquadraturedalla durata così precisa, a una dram-matizzazione così bene articolata in pia -ni, che si è portati a ricordare i grandifilm che hanno fatto del teatro una me -tafora della vita, come Luci della ribal-tà e Il teatrino di Jean Renoir. Film incui dialogano realismo e fantasia, e incui la storia stessa, esposta in una nu-dità che non ha bisogno di essere so -stenuta da trovate brillanti o seducenti,sintetizza una visione del mondo in cuisi possono leggere chiaramente le con-traddizioni dei personaggi, ai quali l’au-tore presta le passioni più ardenti con lequali egli stesso ha lottato e che quindiconosce in prima persona».

Jean-Claude Biette, Imaginez deux enfants, «Cahiers du Cinéma»,

n. 282, novembre 1977

CLAUDE AUTANT-LARAPresentazione del volume di Jean-Pier -re Bleys, edizioni Institut Lumière/ActesSud, Lyon/Arles, 2018.

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Un certo anno. 68 tra 67 e 69

(Germogli. Corrispondenze di cineasti italiani, II)

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JE SUIS SIMONE(LA CONDITION OUVRIÈRE) Regia, sceneggiatura, fotografia, mon-taggio: Fabrizio Ferraro; interpreti:Giovanna Giuliani, Claudia Landi, Na -tacha Eychenne, Emmanuel Rovillier,Antonio Sinisi; produzione: GruppoAmatoriale; origine: Italia/Francia, 2009;formato: 35mm/video, col.; durata: 82’.Copia DCP da autore.

Il diario del lavoro in fabbrica della filo-sofa francese Simone Weil che a venti-cinque anni dal 4 dicembre 1934 al me -se di agosto del 1935 prende un annosabbatico, lascia la scuola e gli studi perentrare come operaia, impiegata allepresse, nell’azienda elettrica Alsthom diParigi. Un’esperienza alla base del vo -lume La condizione operaia. La crona-ca delle sue giornate è accompagnatavisivamente da un continuo alternarsidi ambienti interni, scuri, e dei paesag-gi urbani dell’Île Seguin (periferia suddi Parigi), con una particolare attenzio-ne ai cantieri e alle fabbriche. Da Lacondition ouvrière di Simone Weil.

LES UNWANTED DE EUROPA / GLIINDESIDERATI D’EUROPARegia, sceneggiatura: Fabrizio Ferraro;interpreti: Euplemio Macrì, CatarinaWallenstein; produzione: Boudu/EddieSaeta; origine: Italia/Spagna, 2017; for-mato: video, col.; durata: 100’.Copia DCP da autore.

Il film ripercorre le vicende di un sen-tiero sui Pirenei, che ha visto transitareda un senso all’altro migliaia di perso-

ne e rifugiati, in fuga dai fascismi dif-fusi nel cuore dell’Europa del secoloscorso. Catalani e miliziani internazio-nalisti in fuga dal franchismo prima,ebrei, comunisti e dissidenti dal nazi-smo poco tempo dopo. Il noto filosofoWalter Benjamin fu uno di questi.

CONVERGENZE PARALLELEANTROPOLOGIA DEL SET

PORTIS DEVE RINASCERE QUI

Regia: Stefano Morandini; origine: Italia,2017; formato: video, col.; durata: 50’.Copia DVD da autore.

Proiezione-incontro con il regista (e co -curatore del libro parallelo Portis. Lamemoria narrata di un paese, Cierreedizioni, Verona 2017) nella data di an -niversario della scossa distruttrice.

DRAJčIčI - YES WE CAN

Regia: Otto Reuschel. Presentazione col regista del crowdfun-ding e dello stato del progetto su unvillaggio di confine, con un interventodel coproduttore Andrea Magnani.

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Hitler, di un Goebbels. La civiltà deiconsumi, la cultura di massa sta diven-tando un flagello perché colloca l’indi-viduo, lo annienta, ne disgrega la per-sonalità, ne impedisce l’affermazioneed in definitiva distrugge nell’individuo,nella sua personalità, l’unica, l’ultimasalvaguardia. Mi sembra che tutto ciòche è stato detto d’importante, di sa-no, di umano, sino ad oggi, confluiscaverso questa tesi. Per questa ragione, inquest’epoca di folle estroversione mi hainteressato fare un film sulla introspe-zione, in quest’epoca di astronauti, rac-contare la storia di un “entronauta”. Lasceneggiatura era molto più lunga edescriveva anche la crisi del protagoni-sta, le conseguenze di essa rispetto alcontesto sociale, il lavoro, ecc. Purtrop -po i film non posso durare più di dueore ed i mezzi a disposizione per fareun film indipendente sono comunquesempre scarsi. Di conseguenza il film siè intimizzato al massimo grado, rac-conta soltanto le “cose di dentro”, lacrisi del protagonista a causa dei suoicomplessi, dei quali si libera con unprocesso di auto-analisi, per integrarsinel senso individuale cioè esattamentenel senso opposto per il quale si usaquesto vergo oggi. Il protagonista co -nosce la propria parte “ombra”, comedirebbe Jung, si accetta, dolorosamen-te, si integra, diventa uomo».

Vittorio De Seta, Situazione in agosto, in Filippo M. De Sanctis, Un uomo

a metà di Vittorio De Seta, Cappelli, Bologna, 1966

FUORI CAMPO

L’opera di Valerio Zurlini (e le sue di -chiarazioni a Gianni Da Campo), e CarlTheodor Dreyer

UN UOMO A METÀ

Regia, soggetto: Vittorio De Seta; sceneg-giatura: Fabio Carpi, Vera Gherarducci,V. De Seta; fotografia: Dario Di Palma;montaggio: Fernananda Papa; musica:Ennio Morricone; interpreti: JacquesPerrin (voce Pino Colizzi), Lea Padova -ni, Ilaria Occhini, Gianni Garko, Rose -mary Dexter, Pier Paolo Capponi,Francesca De Seta; produzione: V. DeSeta; origine: Italia, 1966; formato:35mm, b/n; durata: 93’.Copia 35mm da Cineteca Nazionale.

«Il film è derivato da una crisi, da unsentimento di dubbio, di cautela, versogli atteggiamenti “impegnati”. Solo unbisogno di revisione, una battuta d’ar-resto, per poi magari “impegnarsi” dipiù, ma senza “proiezioni”. Un bisognoradicale di cercare prima di tutto dentrodi sé le cause dei conflitti, di risolver-le dentro di sé, non “proiettare” in tuttii sensi, cioè alienarsi anche in quelsenso. Mi sembra che questo sia unproblema cruciale, oggi. Siamo abba-gliati dalla nostra civilizzazione, con-fondiamo i mezzi con i fini, pensiamoper esempio che la televisione sia unprogresso in sé e non ci rendiamoconto che può essere un regresso setrasmette caroselli, che può diventareun flagello se capita nelle mani di un

CONVERGENZE PARALLELE

IN CALABRIARegia, fotografia, montaggio: Vittorio DeSeta; voce: Riccardo Cucciolla; produ-zione: Raiuno/Circuito Cinquestelle/Lo -ri; origine: Italia, 1993; formato: 16mm,col.; durata: 83’.Copia digitale da Anno uno.

«De Seta non si contenta di filmare unaCalabria deflagrata e trasfigurata – e dun -que identificabile altrove da sé. Filmaun presente incerto, transitorio, labile esfuggente, rappresentato nuovamentenella ripetizione, e nascosto dall’eco –un tempo che resiste alla chiara e rassi-curante distribuzione dei modi dellaconiugazione. Il presente della “ripresa”– legge aurea del cinema, documenta-rio o no – si rivela in questo film tra-sformato nello strano presente di una“cattura del tempo” tramata contempo-raneamente di un passato distrutto mache persiste forse come futuro, e di unfuturo promesso che non è avvenuto edi cui sussiste comunque una tracciapassata. [...] Il film di Vittorio De Setapossiede la bellezza disperata del gestod’amore che vuol costringere nel pre-sente della sua iscrizione l’oggetto ama -to, e invece può solo riprodurlo mutato.L’oggetto filmato, la Calabria perduta, siassenta e si sospende, scoprendo inegual modo la potenza utopica e ucro-nica del cinema».

Jean-Louis Comolli, In Calabria, in Alessandro Rais (a cura di), Il cinema di Vittorio De Seta,

Maimone, Catania, 1996

SEDOTTI E BIDONATI

Regia: Giorgio Bianchi; soggetto: Rober -to Amoroso; sceneggiatura: RobertoGianviti, Amedeo Sollazzo; fotografia:Adalberto Albertini, Erico Menczer;montaggio: Antonietta Zita; musica:Carlo Rustichelli; interpreti: FrancoFranchi, Ciccio Ingrassia, Mia e PiaGenberg, Leopoldo Trieste, AlfredoMarchetti, Oreste Palella; produzione:R. Amoroso per Ramo Film; origine:Italia, 1964; formato: 35mm, b/n; dura-ta: 90’.Copia 35mm da Cineteca Nazionale.

«Sedotti e bidonati, tredicesimo dei lun-gometraggi interpretati dalla coppia nelcorso dell’anno, parodizza più nel ti-tolo che nelle intenzioni il celebre filmdi Pietro Germi Sedotta e abbandona-ta, col quale condivide un paio di atto-ri (Leopoldo Trieste e Oreste Palella) ela colonna sonora di Carlo Rustichelli.Fran co e Ciccio interpretano due cuginisiciliani spinti da un annuncio matrimo -niale nella rete di una banda di truffato -ri: i due si presentano per sposare duebellissime gemelle spacciate per siame-si. [...] L’intreccio, semplice ma efficace,possiede una fluidità narrativa che nonviene turbata dall’accumulo di gag, ba -sate pressoché interamente sull’equivo-co verbale e sull’incompren sione delsenso, con qualche rara ma notevoleeccezione (la sequenza del ballo con legemelle che scatena un’autentica maniadi danza di gruppo). Il meccanismo co -mico prevalente si configura come unaserie di variazioni sul tema della meno-mazione fisica: le si tuazioni imbaraz-zanti che ne derivano mettono il duo

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vada a lavorare all’estero. Da questasua determinazione, vien fuori tutta unavicenda, tragicomica. Altro non posso,ovviamente, dire”. Ma è un soggetto dicronaca vera... “Esatto. Avve nuto qual-che tempo addietro, ma non tanto, pro-prio qui in Sicilia. Nel film, però, ven-gono messi in rilievo alcuni aspetti par-ticolari dell’animo siciliano. Ma tutto inchiave ironica. Sullo stile grosso mododi Divorzio all’italiana. Lo sceneggiato-re, infatti, è Giannetti, lo stesso del filmdi Pietro Germi”».

Saretto Leotta, Romina Power a Siracusa, “vergine assicurata”, «La Sicilia», 17 novembre 1966

L’IMMORALERegia: Pietro Germi; sceneggiatura: P.Germi, Alfredo Giannetti, Tullio Pinelli;fotografia: Ajace Parolin; montaggio:Ser gio Montanari; musica: Carlo Ru sti -chelli; interpreti: Ugo Tognazzi, Ste fa niaSandrelli, Gigi Ballista, Renée Longa ri ni,Maria Grazia Garmassi, Giovanna Len-zi, Giorgio Bian chi; produzione: RobertHaggiag per RPA/Delphos/Artistes As -sociés; origine: Ita lia/Francia, 1966; for-mato: 35mm, b/n; durata: 100’.Copia 35mm da Cineteca Nazionale.

«Sulla “o” del titolo L’immorale (in nerosu sfondo bianco come ne Il camminodella speranza e Il ferroviere) è tracciataun’aureola. Il film doveva in un primotempo intitolarsi Il santo. Sergio Masini(Ugo Tognazzi) ha davvero qualcosa diun santo laico dei nostri tempi. Germinon è tentato dalla religione ufficiale.[...] Alle confidenze di Sergio, che scan-

nelle condizioni ottimali per sfoderarela consueta verve. Sedotti e bidonati, piùche alla parodia, appartiene comunqueal genere della commedia degli equivo-ci con qualche annotazione di costume:meno scatenata di altre pellicole deiNostri, si impone tuttavia per il garbo eil linguaggio pungente e sarcastico chela avvicina a certe prove coeve orche-strate da Fulci».

Marco Bertolino, Ettore Ridola, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia,

Gremese, Roma, 2003

ASSICURASI VERGINERegia: Giorgio Bianchi; soggetto: Ales -sandro Fallahi; sceneggiatura: AlfredoGiannetti; fotografia: Benito Frattari;montaggio: Clara Mattei; musica: CarloRustichelli; interpreti: Romina Power,Dino Mele, Oreste Palella, Daniela Roc -ca, Leopoldo Trieste; produzione: G.Bianchi per Rizzoli/Virgo; origine: Ita -lia, 1967; formato: 35mm, col.; durata:100’.Copia 35mm da Cineteca Nazionale.

«Sono arrivati in punta di piedi a Sira -cusa, il regista Giorgio Bianchi e la suatroupe. Quasi di nascosto, per non darenell’occhio. Pochi momenti per l’accli-matamento e poi il ciak all’albergo Are -tusa. Titolo del film: Assicurasi vergine.È un titolo provvisorio. Forse il titolo dicartellone sarà Vergine contrassegno.L’in contro col regista Bianchi avvienein un salone dell’Aretusa. [...] La tramadel film? “In sintesi è questa: un emi-grante siciliano vuole assicurare l’inte-grità della figlia prima che la ragazza

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discono in voce off il racconto, opponele convenzioni me schine della Chiesa edella società. For se nessuno può capirela buona fede di un uomo che credenell’amore coniugale al punto di mol-tiplicarlo per tre. Vive la sua missioneimmerso nel presente, districandosi perpreservare il suo paradossale ordinedal disordine che lo minaccia. [...] Nellascena finale Sergio, ormai pacificato,commenta il suo funerale dall’aldilà, esi chiede se la moglie Giulia (RenéeLon garini) abbia mai sospettato qualco-sa. Il film si conclude sul primo pianodi lei inondato di luce, il suo sorrisoenigmatico bloccato dal fotogrammafisso. Giulia ricorda la silenziosa Luisa,come Marisa (Stefania Sandrelli) ricordala inquieta Rita, le due donne de L’uo -mo di paglia. [...] Le angosce de L’uomodi paglia trovano qui una momentaneasoluzione, che preserva il maschio e ce -lebra la donna in un ruolo subalterno(si pensi a ciò che in quegli anni face-va Ferreri su temi analoghi da un puntodi vista femminile se non femminista: neL’ape regina, a cui fa pensare Alfredo,Alfredo, o ne L’harem, che ricorda que-sto film). Bagnato da una luce diffusa erassicurante, animato da un movimen-to fluido e lieve (l’opposto di quellofrenetico di Signore & Signori) dove latecnica dello zoom raggiunge un equi-librio classico, L’immorale è per Germiil film dell’armonia utopica, il suo idea-le paradiso laico».

Adriano Aprà, Per una revisione di Germi, in Lino Micciché (a cura di),

Signore & Signori di Pietro Germi. Uno sguardo ridente sull’ipocrisia

morbida, Lindau, Torino, 1997

L’HAREMRegia, sceneggiatura: Marco Ferreri;sog getto: M. Ferreri, Rafael Azcona, UgoMoretti; fotografia: Luigi Kuveiller;montaggio: Enzo Micarelli; musica: En -nio Morricone; interpreti: Carroll Baker,Gastone Moschin, Renato Salvatori,William Berger, Ugo Tognazzi; pro du -zione: Alfonso Sansone ed EnricoChroscicki per Sancro International/Paris Cannes; origine: Italia/Francia,1967; formato: 35mm, col.; durata: 96’.Copia 35mm da Cineteca Nazionale.

«Probabilmente è nell’Harem che si ma -nifesta più nitidamente il processo cheMarco Ferreri ha intrapreso contro sestesso, contro il tipo di cinema che ave -va praticato dal suo debutto nel 1958con El Pisito, contro la carica di natura-lismo che si trascinava dietro da allora[...]. Della sceneggiatura (scritta assiemead Azcona), che raccontava prolissa-mente le relazioni simultanee di Mar -gherita, architetto a Milano, con cinquetipi di uomini diversi, e la sua elimina-zione per mano degli stessi, in com-plotto contro la donna che tenta dicomportarsi come loro non soltantosul piano professionale ma anche suquello sentimentale; di questa satirache voleva – in chiave prevalentemen-te comica – mostrare le tribolazioni del -la donna italiana non rimane nulla: unmeccanismo drammatico (che non fun-ziona troppo bene, si squilibra di con-tinuo. Ma guai a giudicare il film per ilsuo funzionamento! Il meccanismo del-l’intrigo manca d’importanza dato cheadesso il film non intende convincere).Ferreri, al momento del montaggio, ha

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deciso di cambiare il tono del film e dipassare dal comico al drammatico; haproceduto quindi alla seguente opera-zione: ottenere al doppiaggio che la re -citazione, molto marcata, si neutraliz-zasse; ha eliminato tutti i riferimentiprofessionali dei personaggi (bisognaconoscere gli stadi precedenti del filmper rendersi conto che Margherita èarchitetto); è arrivato fino a far spariredel tutto il quinto uomo, proprio quel-lo che provocava gli altri quattro alcomplotto finale. Quello che resta: unafavola immensa, colorata dolcemente,ampiamente, sulla Donna (generica) ele sue contrad dizioni non espresse aper -tamente (in questo senso la recitazionedi Carroll Baker con la orgogliosa pas-sività è molto giusta); ancor più unafavola sulla condizione di Vittima e sul-l’apparato del Sacrificio».

Eduardo De Gregorio, Bergamo: due favole, «Cinema & Film»,

n. 4, autunno 1967

DON GIOVANNIRegia, sceneggiatura: Carmelo Bene;fotografia: Mario Masini; montaggio:Mauro Contini; interpreti: C. Bene,Lydia Mancinelli, Vittorio Bodini, GeaMarotta; produzione: C. Bene; origine:Italia, 1970; formato: 16mm, col.; dura-ta: 70’.Copia 35mm da Cineteca Nazionale.

«Don Giovanni inizia con un inganno eun rifiuto: inganno dello spettatore (diun certo spettatore) dei due precedentifilm di Carmelo Bene, frustrato di fron-te al bianco-nero che ricopre, immi -

serendole, delle forme lussuose; rifiutodi questo stesso spettatore, incapacedi vedere non già al di là ma entro lestesse apparenze di un cinema ciò chele sostiene, miseria e morte. [...] Nella“premessa” un narciso si guarda allospecchio, si rivolge a uno spettatore chelo rifletta fedelmente (Don Giovanniespone il proprio mito concluso nellaforma di un catalogo delle maschere;Carmelo Bene riassume il proprio cine-ma come lusso di apparenze e d’ingan-ni); nel “testo” un regista/attore non sicontenta più del riconoscimento, vuoleessere conosciuto (da sé, da altri: ledue cose non possono più essere di -sgiunte). Il testo, a tal fine, genera lecondizioni per la propria messa in crisinella forma di un elemento di distur-bo: un “personaggio” che crei ostacolial libero scorrere di una narrazione chesembrerebbe scontata fin dall’inizio(la ultima variazione del Teatro). È laBambina, la cui innocenza è incaricatadi verificare la consistenza di una voca-zione, quella di Don Giovanni/CarmeloBene a essere il Santo (il Centro moto-re) di un Mondo (il mondo della fin-zione e del teatro, dell’apparenza piùvera del vero). D’ora in poi ogni mani-festazione dello spettacolo, ogni tra-bocchetto del teatro dovrà fare i conticon uno spettatore destinato dalla pro-pria innocenza (“verginità”) a deludereo a tradire. Poiché richiedere all’inno-cente la condiscendenza è troppo faci-le, ingannarlo non ci serve, convincerlopuò anche significare perderlo, si trattadi cambiare lo spettacolo (e insieme lospettatore), dare alle regole del giocouno statuto diverso. Senza bisogno di“rispettare” lo spettatore, disprezzando-

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lo perfino, insultandolo, se ne accettaperò la presenza: si tratta di inglobareentro se stessi l’alterità, di essere egoi-sticamente più d’uno, di rifiutare insom -ma la pacificazione e il riconoscimento(tutto ci somiglia) a favore del conflitto,della differenza, della conoscenza».

Adriano Aprà, Fiori di ghiaccio, «Cinema & Film», n. 11-12,

estate-autunno 1970

UN CERTO GIORNO

Regia, sceneggiatura, montaggio: Erman -no Olmi; fotografia: Lamberto Caimi;musica: Gino Negri; interpreti: Brunet -to Del Vita, Lidia Fuortes, Vitaliano Da -mioli, Raffaele Modugno; produzione:Cinema/Italnoleggio; origine: Italia,1968; formato: 35mm, col.; durata: 106’.Copia 35mm da Cineteca Nazionale.

«In un certo giorno: proprio quandotutto sembrava più facile. Un piccolorumore, poi di nuovo la quiete. Il pro-tagonista è alla guida dell’auto, è con-tento di sé e del futuro che lo attende(gli hanno appena proposto la nominaad amministratore delegato nella socie-tà in cui lavora), eppure, in un attimo,tutto si complica. “Cosa è stato?” “Hosentito un colpo. Come una sassata”. [...]Lui sa, sente, che qualcosa è accaduto.Allora torna indietro, a piedi, fino allacurva, e finalmente – quasi come l’aves -se evocato – vede l’uomo che ha in-vestito, nella neve, e che di lì a pocomorirà in ospedale. Per il protagonistaquell’evento modificherà radicalmentela sua vita, per il film quella scena è ilpunto di svolta che lo fa diventare “al -

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Dal film Un certo giorno

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tro”, e che segna una netta discontinui-tà narrativa e stilistica. [...] In un cinemacome quello di Olmi, quasi semprecontrassegnato dal “parlare sommesso”e da un sottotono espressivo, Un certogiorno è viceversa un film che “grida”proprio per l’uso particolare che fa delsilenzio e per la drastica rottura dei tem -pi narrativi, un film a suo modo estre-mo per il pessimismo che non lasciascampo. Il film racconta la presa d’attodi una crisi individuale che è già nellepremesse, e la colloca sullo sfondo diuna sconfitta più complessiva, che ri -guarda la società industriale e la pa-tologia dei comportamenti umani cheessa determina. La presa d’atto arriva,come abbiamo visto, con un evento im -provviso che spezza una calma appa-rente e infida, un evento violento, come“una sassata” (che doveva anche essereil titolo originario del film). La sassata èquella che percuote e frantuma il cri-stallo di un vetro, ma anche quella get-tata nell’acqua di uno stagno, che famuovere cerchi sempre più larghi, o chefa venire in superficie la materia piùtorbida. Olmi mostra nel film entrambigli effetti. C’è il soprassalto morale delprotagonista (il rispecchiarsi nel vuotodella sua vita, i rimpianti, i sotterfugi, itradimenti, un’infelicità di fondo) e c’èl’analisi sociale che, via via, e grazie so -prattutto ai personaggi di contorno [...],si allarga e fotografa l’Italia nevrotica einfelice alla vigilia del ’68. [...] Un cer-to giorno è davvero uno dei film piùespliciti e preveggenti nei riguardi dellasocietà italiana alla fine degli anni Ses -santa: l’abbandono delle campagne, ildominio del mercato, le trasformazio-ni sociali violente, la perdita di valori

importanti, il trionfo del consumismo,l’alienazione».

Piero Spila, Un certo giorno, in Adriano Aprà (a cura di), ErmannoOlmi. Il cinema, i film, la televisione,

la scuola, Marsilio, Venezia, 2003

IL SORRISO DEL GRANDE TENTATORE

Regia, soggetto: Damiano Damiani; sce-neggiatura: D. Damiani, Fabrizio Ono -fri, Audrey Nohra; fotografia: Mario Vul -piani; montaggio: Peter Taylor; musica:Ennio Morricone; interpreti: GlendaJackson (voce Maria Pia Di Meo), Clau -dio Cassinelli (voce Sergio Graziani),Lisa Harrow, Adolfo Celi, Arnoldo Foà,Francisco Rabal; produzione: Euro In -ternational; origine: Italia/Regno Unito,1974; formato: 35mm, col.; durata: 120’.Copia 35mm da Cineteca Nazionale.

«Il sorriso del grande tentatore di Da -miano Damiani ha tutta l’aria di esserenato come reazione ai richiami di PaoloVI all’esistenza del diavolo. Può anchedarsi, naturalmente, che al regista o aqualche suo collaboratore l’idea di par-tenza sia balenata molto prima, maquel che ne è venuto fuori sembra pro-prio fatto apposta per stare al giocodell’astrazione dall’uomo e dalla storia,limitandosi a rovesciare le parti del be -ne e del male, con le iniziali maiuscoles’intende, che si combattono a livellometafisico. [...] Il sorriso del grande ten-tatore, che dovrebbe essere quello di -rompente del libero pensiero, finiscequindi col lasciare posto al sorriso trion -fante di questa grande tentatrice, in cuisi personifica la suggestione ipnotica e

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affascinante del dogma, dell’abbando-no acritico ad una verità cristallizzata eacquietante, proprio nella misura in cuisolleva l’individuo da un faticoso impe-gno di ricerca della verità. Senonché ledue “tentazioni” vengono a porsi sullostesso piano, ugualmente disincarnatodalla storia, dando luogo a un conflit-to del tutto fittizio in cui misticismo erazionalismo finiscono coll’apparire,appunto, come due facce di una mede-sima astrazione. Non a caso il vescovocollaborazionista e quello filo-rivoluzio-nario, il prete-operaio e il teologo chiusonelle sue elucubrazioni, si comportanoallo stesso modo e appaiono accomu-nati nello stesso giudizio agli occhi delgiornalista (e del regista) come se nonavessero alle spalle esperienze radical-mente diverse. E non a caso si arriva aidentificare il vero potere della chiesain suor Geraldine, riducendo a superfi-ciali caricature anticlericali i due prelatiincaricati di indagare sul suo operato».

Sandro Zambetti, «Settegiorni», 10 febbraio 1974

«In un paese come l’Italia, dove la Chie -sa è tuttora attiva politicamente, la re-torica del cattolicesimo è adeguata aesprimere la realtà di una sinistra lottadi potere. Non in Inghilterra [...]. Lacosa sarebbe secondaria, se Damianinon prendesse alla lettera la sua inda-gine sul ruolo della Chiesa e il signifi-cato della fede. Sarebbe sbagliato para-gonare il film con le tante denuncedella corruzione dello Stato che il cine-ma italiano ha prodotto in questi anni.La Chiesa non è un’allegoria dello Sta-to [...]. Malgrado il titolo, nessuno giocail ruolo del demonio. Sorella Geraldine

può scivolare nell’orgoglio e nel fanati-smo, ma il ritorno fi nale del suo greggele dà ragione. [...] Aven do accettato chela salvezza si trova sempre all’internodella Chiesa, Damiani usa con intelli-genza le sue risorse metaforiche, adat-tando il temporale all’eterno».

Jill Forbes, «Monthly Film Bulletin»,

n. 499, agosto 1975

LE CASTAGNE SONO BUONE

Regia: Pietro Germi; sceneggiatura: LeoBenvenuti, Piero De Bernardi, TullioPi netti, P. Germi; fotografia: Ajace Pa -rolin; montaggio: Sandro Lena; musica:Carlo Rustichelli; interpreti: Gianni Mo -randi, Stefania Casini, Nicoletta Ma -chiavelli, Franco Fabrizi, Gigi Reder,Giuseppe Rinaldi; produzione: RPA/Rizzoli Film; origine: Italia, 1970; for-mato: 35mm, col.; durata: 108’.Copia 16mm da Cineteca Nazionale.

«L’ultimo film di Pietro Germi, Le ca sta -gne sono buone, è uscito sugli schermidelle maggiori città italiane. I giudizi deicritici nei suoi confronti sono stati –quasi all’unanimità – severamente ne -gativi. Si è parlato di “netta involuzio-ne” del regista, “di nauseante ottimismo”del film “tanto da rammentare il cine-ma del ventennio di cui la pellicola èparente stretto”, di “rugiadoso sempli-cismo”, di “prodotto di consumo mi -stificatorio del la realtà nostrana”, di “re -trivo moralismo piccolo borghese”. Laragazza sentimentale, candida, che fi-nisce per trionfare del cinismo di ungiovane regista televisivo, fino a farsisposare da lui convincendolo della giu-

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Fiori nel fango. Gemme Universal e Republic(Figliastri di nessuno, I. Il più

fiammeggiante cinema americano,parlato dal cinema italiano)

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stezza delle sue convinzioni, insomma,non è piaciuta per niente. [...] Che ef -fetto le hanno fatto, signor Germi, lecritiche al suo film? [...] “Sono fiero diaverlo girato. Lo rifarei tale e quale. So -stengo il suo assunto, e sono certo cheavrà rispondenza nel pubblico, almenofra le persone perbene, che possonotrovarsi dappertutto, dai metalmeccani-ci agli intellettuali. Certo è un film stra-no, addirittura scandaloso. Difende unodegli ultimi tabù rimasti: la morale. Civuole coraggio, lo ammetto, per dirnebene. [...] Il film si rivolge a tutti quelliche hanno un’anima, e un’anima cel’hanno tutti. Cos’è questa storica cheun vecchio vale meno di un giovane?Non ha senso. E poi, quelli che si agi-tano, si mettono in mostra, contestanoe fanno baccano – diciamolo chiara-mente – sono una minoranza. Io inve-ce mi rivolgo alla maggioranza, a lorodedico il film, offro un incoraggiamen-to a continuare a credere nelle loroidee, a non lasciarsi abbindolare da fal -si moralismi. [...] Il film non offende-rebbe la sensibilità di un bambino. Mai censori hanno pensato che in unascena – quella in cui alcuni giovani re -citano in un teatrino d’avanguardia – sipronuncino parole scurrili. Se me lochiederanno, coprirò quelle battute conla colonna sonora. Non è facile né pia-cevole, ma sono disposto a farlo pur-ché cada il divieto”».

Liliana Madeo, Germi polemico tuona e difende le castagne,

«La Stampa», 11 novembre 1970

CONVERGENZE PARALLELE

’77 NO COMMERCIAL USE

Regia, montaggio: Luis [Fulvio Baglivi];fotografia: Luca Toni, Andrea GadaletaCaldarola; interpreti: Lucrezia Ercolani,Damiano Roberti; produzione: Abelma -ry/Trop Tot Trop Tard; origine: Italia,2017; formato: video, col.; durata: 127’.Copia da autore.

È il ’77, finalmente il cielo (rosso) è ca -duto sulla terra. Wow. (A) Soffiare sulfuoco, a/traverso la zizzania, la gioia(armata), rivolta (di classe) e cospira-zione, senza tregua, è uno strano movi-mento di strani studenti, congiura deipazzi senza famiglia, senza galere. Laprateria è in fiamme, la rivoluzione èfinita, abbiamo vinto.

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LA VALLE DEI FORTITrail of the VigilantesRegia: Allan Dwan; sceneggiatura: Ha -rold Shumate; fotografia: Milton Krasner,Joseph Valentine; montaggio: EdwardCurtiss; interpreti: Franchot Tone, War -ren William, Broderick Crawford, AndyDevine, Mischa Auer, Peggy Moran,Porter Hall, Charles Trowbridge; produ-zione: Universal; origine: USA, 1940;formato: 35mm, b/n; durata: 75’.Copia 16mm (da 35mm) da Penny Video.

«All’inizio il film doveva essere unwestern melodrammatico, scritto moltoseriamente. Andai in esterni con tutta latroupe, su in montagna, e non avevoancora girato tre scene quando mi resiconto che in realtà la storia non eraun granché, perché le situazioni eranoridicole, non serie. Così fermai la trou-pe e la riportai indietro agli studios:per la Universal fu uno shock. Gli dissi:“Francamente, così non può funzio -nare. Dobbiamo cambiarlo, perché seavete intenzione di girarlo così, io ilfilm non lo faccio”. “Che cosa vorrestifare? Ormai siamo in ballo, stiamo giàspendendo denaro, la gente è sottocontratto”. Io risposi: “Datemi uno sce-neggiatore e mi metto subito al lavoro”.In qualche ora rivedemmo il copione,mantenendo la stessa storia ma con unapproccio smaliziato. I cowboy adessoavrebbero fatto degli errori e tutto sa -rebbe andato storto; non avrebberocercato di essere divertenti, ma sareb-bero state divertenti le cose che avreb-bero fatto. Alla fine venne fuori piutto-sto bene, un film divertente che feceanche qualche soldo, ma sarebbe sta-

to un fiasco terribile se non l’avessimocambiato».

Allan Dwan in Peter Bogdanovich, Allan Dwan. The Last Pioneer,

Studio Vista, Londra, 1971

«Dwan racconta che quando gli fu asse-gnato, il film doveva essere un westernserio. Accorgendosi velocemente che ilprogetto era destinato al disastro, se nonalla follia, lo trasformò in una parodia,con l’aiuto di una veloce riscrittura e ilsostegno del cast. Aneddoto simpatico,anche se resta qualche dubbio. [...] Lerisate sono comunque genuine, mentrel’azione western non ne esce sacrifica-ta. [...] Significativamente, nei titoli delfilm non è riportato però il nome dinessun produttore. La narrazione iniziaabbastanza seriosamente, con una diquelle lunghe premesse sulla conquistadel West che di solito accompagnanole saghe epiche di grandi pretese. Latrama si delinea nella prima scena, conun agente in incognito (Franchot Tone)mandato dal governo dell’est a indaga-re il marcio che si annida nelle praterie.Appena arrivato, Tone finisce imbriglia-to e appeso per i tacchi a testa in giù,per essere poi coinvolto in una rissa dabar con Broderick Crawford e Andy De -vine. A questo punto, con scarsa con-gruenza, viene presentato Mischa Auernei panni di un cosacco trapiantato,mentre l’intreccio principale sembramettersi comodo e girarsi i pollici finoa quando Tone non incontra il villainWarren William. L’accento è sulla com-media, in bilico sullo slapstick. [...] Allasua uscita, il film ottenne recensionientusiastiche e si dimostrò popolare an -che con il pubblico, incluso quello più

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sofisticato che non accettava i western.Probabilmente entravano in sala perderidere il film, e finivano invece persorriderne».

Don Miller, New Words on Old Westerns, «Focus on Film», n. 11, autunno 1972

TEXAS SELVAGGIOThe Fabulous Texan Regia: Edward Ludwig; soggetto: HalLong; sceneggiatura: Lawrence Hazard,Horace McCoy; fotografia: Reggie Lan -ning; montaggio: Richard Van Enger;musica: Anthony Collins; interpreti:William Elliot (voce Augusto Marcacci),John Carroll, Catherine McLeod, AlbertDekker (voce Gaetano Verra), AndyDevine; produzione: Republic; origine:USA, 1947; formato: 35mm, b/n; dura-ta: 95’.Copia 16mm (da 35mm) da Penny Video.

«La Republic ha apparentemente ascol-tato i suggerimenti dei molti azionistiche spingevano per realizzare produ-zioni di prestigio, investendo budget im -portanti sui generi già collaudati dallasocietà. Texas selvaggio è un westernnel pieno senso della parola e, cometale, rientra perfettamente nel percorsodella Republic. Ma è anche, ovviamen-te, un progetto dispendioso, che con uncast guidato da William Elliott, JohnCarroll e Catherine McLeod sembraadatto per le sale di prima visione […].La storia vede Elliott e Carroll nel ruolodi due ufficiali confederati che ritorna-no in Texas dopo la guerra e trovano lapropria terra controllata dai profittatoridel nord e da una dispotica polizia di

Stato. Per vendicare la morte del padreper mano di alcuni poliziotti, Carroll liaffronta in una sparatoria e si vede co -stretto a fuggire sulle montagne. Elliottlo segue e i due iniziano una crociatacontro la polizia. Ma Elliott decide cheper ottenere dei risultati deve collabo-rare con il governo federale e diventacosì sceriffo. Carroll invece intraprendeuna carriera da Robin Hood e derubauna banca con i suoi complici, diven-tando un criminale. [...] Il film ha unasequenza finale che, fra parentesi, re -sterà come una delle più ridicole maiviste, a meno che la Republic non sidecida a tagliarla prima di uscire nellesale. La scena mostra la McLeod neipanni di una vecchia nonnetta, mentredavanti a una statua del suo compiantomarito ricorda che non fu l’unico a farela storia del Texas».

Stal., «Variety», 12 novembre 1947

«Emigrato dalla Russia (il suo vero nomeera Litvak), Edward Ludwig debutta allaregia nel 1933. Malgrado qualche filmdi prestigio (e, soprattutto, ben confe-zionato) come L’ultimo gangster (1937,con Edward G. Robinson) e Quella cer -ta età (1938, con Deanna Durbin), il suoregno è nell’oscurità del basso budget,in particolare alla Republic, dove lavo-ra sotto contratto dalla fine degli anni’40. È qui che realizza, con John Waynecome interprete e produttore, I conqui-statori dei mari (1944) e soprattutto ilsuo capolavoro La strega rossa (1948),film d’avventura ma anche di amourfou, sublimato da una diafana fotogra-fia in bianco e nero, contrastata comeun’acquaforte. Questo film è anche una

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Dal film Il regno del terrore

«Il regno del terrore è puro piacere, untour de force di abilità registica. Mannnon rinuncia a nulla: ombre, bizzarrean golazioni della macchina da presa,soffitti bassi, strade di ciottoli bagnatiap pena illuminate, stanze rischiarate so -lo da una candela, composizioni sghem -be, intensi primi piani, una macchinada presa che si alza e abbassa con deli-catezza... I marchi di fabbrica del regi-sta sono tutti presenti. Ambientato aParigi nel periodo post-rivoluzionario,Il regno del terrore ci mostra le tecnicheda film noir adattate a un film in costu-me. Un’intensa introduzione dal saporedocumentaristico intona: “Parigi, 26luglio 1794... anarchia, miseria, omici-dio, roghi...”. In altre parole, materialeperfetto per Mann. Queste parole sonoaccompagnate da un montaggio che cimostra i fanatici rivoluzionari, con iloro primi piani deformati sullo sfondodi fiamme divampanti. Questo incipitannuncia il tono dell’orrore baroccoche seguirà, anticipando che l’esaspera-zione stilistica sarà sfruttata al massimo.La sceneggiatura del resto ha un tonoquasi ironico, con dialoghi che potreb-bero essere interpretati come una paro-dia del genere storico. [...] La trama sibasa sui litigi interni fra i leader del pe -riodo posto-rivoluzionario, modernizza-ti con i riferimenti alla dittatura e unainfausta lista nera (il film uscì nell’epocadi McCarthy). Ma le questioni politichenon sono veramente centrali, perchéMann come al solito riserva l’enfasi al -l’amore, alla velocità e alla suspence».

Jeanine Basinger, Anthony Mann,

Twayne, Boston, 1979

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risposta a tutti quelli che sostengonoche John Wayne non possa morire sul -lo schermo: nell’ultima inquadratura, ifantasmi dei due amanti si riuniscono,solcando le onde per l’eternità. Allaluce di questo impeto poetico, si per-dona a Ludwig anche il film anti-comu-nista interpretato sempre da Wayne,Big Jim McLain (1952, [uscito in Italiacon il titolo Marijuana, eliminandoogni riferimento politico]). Al contrario,si può essere sensibili al fascino talvol-ta diseguale di La primula rossa del Sud(1953) o Il tesoro del Rio delle Amaz -zoni (1954). Ludwig eccelle inoltre neldecantare le bellezze più debordanti,rosse (Arlene Dahl) o brune (YvonneDe Carlo), calandole in ruoli storico-melodrammatici (Sangaree, 1954, chesovverte con successo le convenzionidel melodramma sudista) o esotici (L’av - venturiera di Bahamas, 1956). Prima diaffondare nell’anonimato delle serie te -levisive degli anni ’60, Ludwig realizzaancora uno dei suoi migliori film, Furiadel West (1963), western crepuscolarecon un agonizzante Rory Calhoun, pi -stolero roso dalla cancrena. Un’operadiseguale ma con slanci a tratti ispirati».

Christian Viviani, Edward Ludwig,«Positif», n. 626, aprile 2013

IL REGNO DEL TERROREReign of TerrorRegia: Anthony Mann; sceneggiatura:Philip Yordan, Aeneas MacKenzie; foto-grafia: John Alton; montaggio: FredAllen; musica: Sol Kaplan; interpreti:Robert Cummings (voce Augusto Mar -cacci), Richard Basehart (voce Emilio

Cigoli), Richard Hart, Arlene Dahl (vo -ce Dhia Cristiani), Arnold Moss (voceMario Besesti), Norman Lloyd (voceStefano Sibaldi); produzione: WilliamCameron Menzies per Walter WangerProductions; origine: USA, 1949; for-mato: 35mm, b/n; durata: 75’.Copia 16mm (da 35mm) da Penny Video.

«William Cameron Menzies è stata unadelle più grandi figure dell’industria ci -nematografica, nonché uno dei miglio -ri scenografi con cui abbia collaborato.L’ho conosciuto quando lavoravo perSelznick e all’epoca lui aveva già parte-cipato ai film di Sam Wood. Era unuomo dall’immaginazione straordinaria.Abbiamo realizzato Il regno del terrorecon un budget di 750.000 dollari, cheera pochissimo, e le riprese sono dura-te 20-25 giorni. Menzies ha contribuitocon delle idee meravigliose. Ecconeuna. Dovevamo coprire una piazza conmigliaia di figuranti, ma con il nostrobudget potevamo averne al massimocento. Menzies li piazzò su una piatta-forma, mettendoli in quadrato e riem-pendo tutto il fotogramma. Girammoaccendendo e spegnendo le luci, inmodo che alcune persone restassero inombra mentre altre venivano violente-mente illuminate. È così che ho filmatole reazioni del popolo ai discorsi diDanton e Robespierre. La scena fu suc-cessivamente stampata in venti copie,che proiettammo insieme come fonda-le, in modo che le cento persone sem-brassero duemila».

Anthony Mann in Barrie Pattison, Chris Wicking, Entretien avec

Anthony Mann, «Positif», n. 94, aprile 1968

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feriti sul fronte coreano. Un tema cosìbasilare poteva avere buoni sviluppidram matici, ma curiosamente la sceneg -giatura di Alan LeMay sembra averli trascurati. Il copione diventa invece ilracconto sentimentale dell’amore con-trastato fra l’infermiera Joan Leslie e ilpilota di elicotteri Arthur Franz. La sto-ria romantica fra i due ha i suoi alti ebassi, finché lei non decide di dimenti-care questa infatuazione in nome dellapropria lealtà al dovere. [...] Di gustodiscutibile appaiono diverse sequenzein cui si illustrano sullo schermo leatrocità perpetrate dai comunisti cinesie nord coreani contro le forze delleNazioni Unite. Il pubblico americano,come quello degli altri paesi liberi, ègià familiare con le pratiche disumanedei Rossi, e un film d’intrattenimentonon è il luogo di dibattito adatto perrinfrescarci la memoria su questi crimi-ni di guerra».

Gilb., «Variety», 4 novembre 1953

BANDIERA DI COMBATTIMENTOThe Eternal SeaRegia: John H. Auer; soggetto: WilliamWister Haines; sceneggiatura: AllenRivkin; fotografia: John L. Russell; mon-taggio: Fred Allen; musica: ElmerBernstein; interpreti: Sterling Hayden(voce Emilio Cigoli), Alexis Smith (voceLydia Simoneschi), Ben Cooper (voceMassimo Turci), Dean Jagger (voce Lau -ro Gazzolo), Virginia Grey (voce DhiaCristiani); produzione: J.H. Auer perRepublic; origine: USA, 1955; formato:35mm, b/n; durata: 103’.Copia 35mm da Penny Video.

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IL SOTTOMARINO FANTASMAMystery SubmarineRegia: Douglas Sirk; soggetto: RalphDietrich; sceneggiatura: George W.George, George F. Slavin; fotografia:Clifford Stine; montaggio: Virgil W.Vogel; interpreti: Marta Toren (voce Ly -dia Simoneschi), Macdonald Carey (vo -ce Giorgio Capecchi), Robert Douglas(voce Emilio Cigoli), Carl Esmond (vo -ce Augusto Marcacci), Ludwig Donath(voce Amilcare Pettinelli), JacquelineDalya Hilliard; produzione: R. Dietrichper Universal; origine: USA, 1950; for-mato: 35mm, b/n; durata: 78’.Copia 16mm (da 35mm) da Penny Video.

«Quando riuscii a liberarmi dal contrat-to con la Columbia, accettai un’offertache avevo avuto dalla Universal. Seb -bene fossi stato assunto per realizzaredelle commedie, stranamente il primofilm che girai era un film di guerra, Ilsottomarino fantasma. Me lo assegna-rono, suppongo, perché avevo servitonella Marina. La possibilità di girare al -l’interno di un sottomarino mi allettava,perché permetteva di sfruttare la mac-china a mano e via dicendo, ma la storiaera veramente poca cosa. L’autorialitàai tempi dello studio system funzionavacosì, e io del resto volevo continuare afare film in America».

Douglas Sirk in Jane Stern, Michael Stern, Two Weeks in

Another Town, «Bright Lights», n. 6, inverno 1977

«Con Mystery Submarine inizia la lungacollaborazione di Sirk con la Universal.Il sottomarino fantasma è costruito at -

traverso il racconto di Madeleine Bren -ner (Marta Toren), accusata di alto tra-dimento dal governo americano. Comein Temporale d’estate, il film si dipanaquindi in un lungo flashback, nel corsodel quale ufficiali nazisti, agenti ameri-cani, finte spie e veri scienziati si af -frontano in una sorta di combattimentooscuro. Il personaggio di von Molter(Robert Douglas), comandante di unsottomarino tedesco U 64, risulta parti-colarmente indecifrabile, ed è proprioquesta ambiguità, insieme al personag-gio di Marta Toren, a rendere il film ac -cattivante».

Patrick Brion, Dominique Rabourdin,Biofilmographie, «Cahiers du Cinéma»,

n. 189, aprile 1967

OPERAZIONE COREAFlight NurseRegia: Allan Dwan; sceneggiatura: AlanLe May; fotografia: Reggie Lanning;montaggio: Fred Allen; musica: VictorYoung; interpreti: Joan Leslie, ForrestTucker, Arthur Franz, Kristine Miller,Maria Palmer; produzione: Republic;origine: USA, 1953; formato: 35mm,b/n; durata: 90’.Copia 35mm da Penny Video.

«Operazione Corea fa parte di una se-rie di film “di servizio” che la Republicsta proponendo nelle sale. Lo studio halavorato su un’intensiva campagna pro-mozionale in collaborazione con l’Avia -zione americana. [...] Questa volta gliingranaggi della Rep hanno sfornatouna saga dedicata alle donne in unifor-me della USAF che hanno soccorso i

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Dal film Bandiera di combattimento

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«Come Edgar G. Ulmer e Joseph H.Lewis, John H. Auer è stato un cineastadi grandi ambizioni che ha trovato unacerta libertà lavorando nell’ambito dellaPoverty Row. Se Ulmer e Lewis ave-vano infatti scoperto che lavorare conbudget minuscoli e senza divi garantivauna libertà stilistica impensabile neglistudi della majors, Auer trovò un incon-sapevole patrono della propria arte nel -la persona di Herbert J. Yates, fondato-re e presidente della Republic Pictures.Nei limiti consentiti dalla Republic,Auer godeva di una posizione analo-ga a quella ricoperta presso la Warnerda un altro collega ungherese, MichaelCurtiz. Capace di praticare un’ampiavarietà di generi (dai thriller metropo-litani alle commedie romantiche, daimelodrammi ai musical), Auer era di -ventato infatti il regista prediletto perle produzioni più prestigiose dellaRepublic, a cui garantiva un ritmo sicu-ro e una raffinata confezione visiva. [...]A livello astratto, i film di Auer affron-tano il tema della perenne mutazioneall’interno di strutture prefissate. I suoipersonaggi sono coerentemente incon-sistenti e vengono definiti dalla dualitàdella propria natura e dalle proprie emo -zioni represse. Le trame ruotano inva-riabilmente intorno a errori o cambi diidentità, per cui raramente un perso-naggio conosce veramente gli altri. Lesituazioni evolvono con una fluiditàche ricorda l’instabilità dei sogni. [...] Ipersonaggi femminili interpretati neisuoi melodrammi da Vera Ralston tro-vano scampo e sollievo quando riesco-no finalmente ad assumere la propriavera identità, ma questo tipo di pacifi-cazione richiede invece un prezzo ben

più alto per i protagonisti maschili degliultimi film girati per la Republic: Lacittà che non dorme, La casbah diHonolulu (1954), Bandiera di combat-timento (1955). Il poliziotto di Chicagointerpretato da Gig Young, il ricattato-re di Honolulu interpretato da Wendelle l’ufficiale di Marina interpretato daSterling Hayden sono tipici eroi insod-disfatti alla Auer, ognuno in lotta persfuggire da diverse forme di confina-mento professionale ed emotivo (Hay -den è un capitano che si trova messoda parte quando perde una gamba incombattimento). Eppure questi perso-naggi troveranno un sollievo soloaccettando i propri limiti: [...] Haydenrassegnando le proprie dimissioni perandare a lavorare con i veterani handi-cappati, in una scena scritta come untrionfo ma messa in scena come unasconfitta».

Dave Kehr, Inside Man, «Film Comment», luglio-agosto 2011

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Cécile Decugis, il montaggio della vita

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«Non facciamoci bloccaredai problemi tecnici».

Un omaggio rosselliniano a Franco Basaglia

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CÉCILE DECUGIS

Nata nel 1930, debutta nel 1953 comeassistente al montaggio di Les Petites filles modèles, film incompiuto di ÉricRohmer, poi di Madame de... di MaxOphüls. Nel 1957 monta il primo cortodi Truffaut, Les Mistons, mentre aiutaGodard a ultimare Tous les garçons s’ap -pellent Patrick. Poi arriva Fino all’ultimorespiro, che rivoluziona l’idea stessa dimontaggio, merito che Decugis attribui-sce a Godard. Muore l’11 giugno 2017.

LA DISTRIBUTION DE PAIN

Regia, fotografia, montaggio, voce:Cécile Decugis; produzione: Hedy BenKhalifa; origine: Tunisia/Francia, 1957-2011; formato: video, b/n; durata: 14’.Copia DVD da Garance Decugis.

Il film, con il primo titolo di Les Réfugiés,è stato realizzato da Cécile Decugis edal regista tunisino Hedy Ben Khalifanel giugno del 1957 e commissionatodalla giovane repubblica tunisina, chelo ha presentato all’ONU, al momentodella sua ammissione nel novembre diquell’anno, per richiedere aiuti. È giratonella ‘zona vietata’ dove si raggruppanoi rifugiati, che serve anche come basedell’ALN (Armée de libération nationa-le). Quando, circa una dozzina d’annior sono, Decugis ritrova il negativo(sen za sonoro) di Les Réfugiés, decidedi riprenderlo, aggiungendo un nuovocommento, che lei stessa legge, e siprende la libertà di reinterrogare le im -magini del 1957. Intitolato La Distri -bution de pain, il film esce nel 2011. Lavoce fornisce le informazioni fattuali,

necessarie ieri come oggi, ma mostraanche le immagini dal punto di vistadel presente, senza alcuna ostentazione.(Bernard Eisenschitz)

RENÉ OU LE ROMAN DE MON PÈRE

Regia, sceneggiatura, montaggio, voce:Cécile Decugis; origine: Francia, 2016;formato: video, col.; durata: 28’.Copia DVD da Garance Decugis.

La voce roca, un po’ dura e priva d’in-dulgenza di Decugis commenta questo“romanzo” dedicato a suo padre, un fo -toromanzo, fatta eccezione per qualcheinquadratura cinematografica. Cominciacome una cronologia fotografica deisuoi genitori, personaggi “come tutti”, equindi unici. Il senso dell’epoca è da-to dall’evoluzione dei corpi, degli abiti,degli accessori scelti per autorappresen -tarsi – automobili, aeroplani. Una digres -sione ci riporta all’epoca della fondazio -ne d’Hyères, venticinque secoli prima:niente di preoccupante per lo spettato-re, non più della descrizione minuziosa,che evoca il Nouveau Roman, delle autoe degli aerei, degli alberi che compon-gono un giardino. (Bernard Eisenschitz)

CONVERGENZE PARALLELECOME QUANDO PERCHÉ

POURQUOI? CONTE AVEC MORT INOPINÉE DE

SON AUTEUR incontro con Marc Scialom:presentazione del suo volume (disegnidi Marcel Delmas, edizioni Artdi gi land,2018) e anticipazione del volume diRené Vautier di prossima pubblicazione.

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photo © Neva Gasparo

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si rendessero effettivamente conto dellaportata e degli effetti di quel testo legis-lativo che avevano votato. Non va di -menticato il fatto che il testo di legge fuscritto con una certa fretta per evitarel’indizione del referendum abrogativodella legge manicomiale del 1904 pro-posto dal partito radicale di Marco Pan -nella, referendum che avrebbe quasicertamente confermato la vecchia leggeritardando e alterando l’intera riformasanitaria che era già in dirittura d’arrivosotto la guida di Tina Anselmi ministrodella salute.

I GIARDINI DI ABELERegia: Sergio Zavoli; fotografia: Marzia -no Lomiry, Franco Tonini; montaggio:Vasco Micucci; produzione: RAI; origi-ne: Italia, 1969; formato: 16mm, b/n;durata: 26’Copia digitale (da 16mm) da Anno uno.

«Il 3 gennaio del 1969 va in onda su“Tv7” l’inchiesta di Zavoli sulla malattiamentale. Cogliendo al volo l’occasionedell’apertura dei cancelli del manicomiodi Gorizia, le telecamere della Rai, guida -te dall’autore di Viaggio intorno al l’Uo -mo, entrano nelle stanze della sofferen-za, documentano il coraggio di Fran coBasaglia, il grande psichiatra ispiratoredella legge che, di lì a pochi anni, san-cirà la definitiva chiusura degli ospedalipsichiatrici. [...] L’incipit mostra le discus -sioni de gli infermieri durante una riu -nione in re parto, i loro commenti, masoprattutto le loro reazioni all’aperturadei cancelli dell’ospedale psichiatrico.Lo stesso Ba saglia, promotore dell’inizia -

tiva, costituisce il secondo frammentodi questo grande e drammatico mosaico.Il fluire delle domande di Zavoli, l’in-cedere lento e pacato di Basaglia, alcu-ne sue frasi emblematiche che, comepietra, vengono incise nel cuore e nelleco scienze di milioni di italiani: “C’è unproverbio calabrese molto interessan-te a questo proposito che dice chi nonha non è. E questa contraddizione cheesprime, nella sua totalità, le contraddi-zioni della nostra società, si manifesta esi mostra nella maniera più chiara pro-prio nei nostri ospedali psichiatrici”.Chiude l’intervista la domanda di Za -voli: “Francamente, professor Basaglia,le interessa più il malato o la malattia?”La fortissima risposta di Basaglia: “Deci -samente il malato”. Il terzo frammentodel reportage spiega la scelta del titolo.Mostrando gli splendidi giardini che cir -condano il manicomio, Zavoli afferma:“In questi parchi di una bellezza ana-cronistica, assurdamente vasti e ospi ta -li, si consuma molta parte dell’ipo crisiacon la quale, generalmente, ci si metteal riparo da un caso di coscienza. Irigogliosi giardini, in cui attraverso lecancellate vediamo scorrere libera eserena la vita dei malati di mente, sonoin realtà i giardini dei fratelli scomodi,sono i Giardini di Abele”. Il 13 maggio1978 viene promulgata la legge 180 inmerito ad “accertamenti e trattamentisanitari volontari e obbligatori”. La leg -ge è universalmente conosciuta comelegge Basaglia in onore proprio delprofessor Basaglia e della sua lotta peril riconoscimento dei diritti elementaridel malato di mente».

Damiana Spadaro, Sergio Zavoli tra silenzio e rumore, Rai/Eri, Roma, 2014

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CORPI, SGUARDI E SILENZI

di Michele Zanetti

Anche il silenzio, come lo sguardo, èuna pausa nella quale l’uomo “prendefiato” per impadronirsi di sé e del suomondo.

Corpo, sguardo e silenzio, in FrancoBasaglia, Scritti I, Torino, 1981, p. 300

Nella storia della psichiatria è stato ne -cessario oggettivare la persona pazza:la malattia è stata fatta coincidere coldisturbo del comportamento, corpo or -ganico e corpo sociale sono stati omo-logati. Sia il malato del corpo organicoche il malato del corpo sociale nonpossono esprimere la loro soggettivitàmalata. Esprimono invece la loro ogget-tività di cose malate.

Conferenza di Belo Horizonte 17 novembre 1979, in Franco Basaglia,Conferenze brasiliane, Raffaello Cortina

Editore, Milano, 2000, p. 173

Come la medicina si è edificata su uncorpo morto così la psichiatria si è edi-ficata, si è costruita su una mente morta… il disturbo del comportamento è sta -to incluso nel disturbo del corpo, corpoe comportamento sono diventati la stes -sa cosa, entrambi all’interno della logi-ca positivista del rapporto causa-effetto.

Conferenza a San Paulo 21 giugno 1979, in Franco Basaglia,

Conferenze brasiliane, cit., p. 61

Fondare una nuova medicina consape-vole del fatto che l’uomo oltre a essereun corpo è un prodotto di lotte, è uncorpo sociale oltre che un corpo orga-nico.

Conferenza a San Paulo, in Franco Basaglia, Conferenze

brasiliane, cit., p. 73

Il problema è che il paziente di cui par-liamo è un paziente astratto; io nonposso dare una risposta globale perchése la dessi sarebbe ancora una rispostaistituzionalizzata. Il problema sta pro-prio nella situazione specifica della per-sona.

Conferenza a Belo Horizonte, in Franco Basaglia, Conferenze

brasiliane, cit., p. 178

Sono le parole stesse di Franco Basa -glia, oltre che a dare titolo al Festival diquest’anno, ad illustrare meglio questapiccola rassegna che viene propostanel quarantennale della legge 180. Leparole delle Conferenze brasiliane (dicui presentiamo in anteprima la nuovaedizione ampliata, sempre curata daMaria Grazia Giannichedda) sono diret-te, immediatamente comprensibili datutti, pure da chi non è addentro lamateria della salute mentale.Il filmato di Sergio Zavoli sul manico-mio di Gorizia è un monumento illustredello specifico linguaggio giornalisticotelevisivo che andava via via perfezio-nandosi e contiene venature poeticheche fanno pensare al suo conterraneoFederico Fellini; oggi esso viene ancheutilizzato quale materiale formativo peroperatori di salute mentale.Il filmato amatoriale delle interviste cheBasaglia fa ai responsabili politici delsettore sanitario e ad un capo partitoall’indomani dell’approvazione dellalegge 180 è un inedito. Contiene anchealcuni risvolti decisamente umoristiciche fanno capire come non molti deideputati e senatori che approvarono lalegge, pochi giorni dopo il ritrovamen-to del cadavere trucidato di Aldo Moro,

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CONFERENZE BRASILIANE

Incontro con Maria Grazia Gianniched -da, con presentazione del volume diFranco Basaglia Conferenze brasilianenella nuova edizione integrale, Raffael -lo Cortina Editore, Milano 2018 (già cu -rato con Franca Ongaro Basaglia).

CONVERGENZE PARALLELETROPICI, I

MIRAGGIO DI UN FILM. CARTEGGIO DE

CASTRO-ROSSELLINI-ZAVATTINIDall’idea di girare un film tratto da Geo -política da Fome (1952 – tradotto inItalia nel 1954 col titolo Geografia dellafame), uno dei libri più conosciuti delsociologo brasiliano Josué De Castro,na sce un progetto di portata internazio-nale che vede come protagonisti i mas-simi esponenti del neorealismo italianoZavattini, Rossellini e Sergio Amidei. Macome può un’impresa umanitaria, natadal desiderio di sensibilizzare la popo-lazione mondiale sulla grave situazionedi carenza alimentare in cui versa an-cora gran parte dell’umanità, costituireanche una occasione di rinnovamentoculturale e di nuove prospettive cine -matografiche?

CONVERGENZE PARALLELE

OMAGGIO A UGO GUARINO

Nell’atrio del Teatro Miela una piccolamostra del disegnatore che ha accom-pagnato artisticamente la vicenda trie-stina di Franco Basaglia. Selezione diopere anche inedite dalla collezione diMichele Zanetti.

Premio Anno uno[MATERIALI DA UN PROGETTO DI FRANCOBASAGLIA DEL 1979] FRANCO BASA -GLIA INTERVISTA I POLITICI SULLA“LEGGE 180” E LA RIFORMA SANITARIARegia: Franco Basaglia; origine: Italia1979-2018; formato: col.-b/n; durata: 40’.Copia digitale da Fondazione Basa glia.

Franco Basaglia, che ha lasciato Triesteper un incarico di consulente della re -gione Lazio, avvia nell’autunno del 1979il progetto di intervistare dirigenti poli-tici di spicco sulle ragioni che li hannoportati a votare “la 180” e la riformasanitaria e su come intendano governa-re queste riforme. Con alcuni cineastidella cooperativa “Maestranze e tecni-ci del cinema” e con due collaboratori,Paolo Crepet e Maria Grazia Gianni -ched da, Basaglia intervista i democri-stiani Paolo Cabras e Bruno Orsini, ilsocialdemocratico Pietro Longo, il so -cialista Claudio Signorile. Il progettovenne interrotto dalla malattia che por-terà Basaglia alla morte il 29 agosto1980.Dalle videoregistrazioni di quelle inter-viste Maria Grazia Giannichedda e Re -nato Parascandolo ricavarono nel 1986un filmato di 35 minuti, che fu presen-tato per la prima e unica volta a Romail 5 giugno di quell'anno nell’Aula deiGruppi Parlamentari in occasione delconvegno Tutela, diritti, controllo so -ciale promosso dal gruppo parlamenta-re Sinistra Indipendente di cui facevaparte Franca Ongaro Basaglia, che nel1984 era stata eletta per la prima voltain Senato. L’edizione attuale costituisceil restauro di quella del 1986.

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«Franco ga un segreto»: chissà chi è la piacente triestina che così ri -spose a un giovanissimo Tullio Kezich, curioso della fama di FrancoGiraldi tombeur de femmes? L’anonima, quando Franco non era anco-ra regista, ne ha intuito criticamente anche il cinema futuro, di cuioggi cogliamo ben più che la sola “cultura”, “intelligenza di lettore”,“sensibilità verso i propri luoghi”... Tra le tante cose che vi cogliamos’impone certamente un mettersi in ascolto della forza femminile, enon certo per piatto progressismo, ma per qualcosa che deve giun-gergli già dal rapporto con la presenza materna e slovena. QuandoFranco realizza, nel canonico 1968, un film tratto da Alba de Céspedessu una figura femminile, La bambolona, con la sconosciuta IsabellaRei nel suo unico ruolo cinematografico, le affida una provocazioneverso il cinema italiano dominato dalla commmedia, poco dopo averaccolto la tenera Soledad Miranda in Sugar Colt. Coprotagonista è ilgrande Tognazzi che due anni dopo in Cuori solitari, commedia(s)montata dal geniale Kim Arcalli, è parimenti disorientato da unamagnifica Senta Berger. E nell’altrettanto canonico 1977, nell’intimo escardinante Un anno di scuola, è la meteorica Laura Lenzi, con la suaattrazione verso la psicoanalisi viennese, a introdurre la sempre piùrabdomantica Berger ritornante altri due anni dopo in La giaccaverde. Lo precede il film-summa sulla triestinità La città di Zeno, dovela presenza-guida è Franco Basaglia. La giacca verde (che non soloper l’adorata Berger programmiamo alla consegna del premio) è ununicum del cinema italiano, film di rara forza teorica nel demolireogni potere: quello anche di classe di un maestro d’orchestra sorpre-sosi perdente verso l’ignorante falso maestro, uno splendido RenzoMontagnani con la cattiveria delle sue commedie ciceriane. E mentreLuis Bacalov distorce con segreto amore Verdi e Chopin, Giraldi simette con Garboli al servizio di Soldati. Il vero cinema d’autore non èmai di uno solo.

Associazione Anno unosettembre 2018

Franco Giraldi, un maestro del cinemaeuropeo dietro l’angolo

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FRANCO GIRALDI, UN MAESTRO DEL CINEMA

EUROPEO DIETRO L’ANGOLOdi Olaf Möller

Era il momento che il Premio Anno unoandasse a un cineasta più popolare, unregista a suo agio in tutti i vari generima anche con la cultura considerata“alta” dagli arbitri del gusto. Da sempreI mille occhi si sono impegnati nel can-cellare questi confini che non servonoa nessuno, se non a chi vuole esercita-re un controllo. Noi no, noi amiamo ilfugace, il disponibile, tutto quello cheentra a far parte di un flusso. Ragionaresui confini e sulle loro conseguenze vie -ne spontaneo in una città come Trieste.Forse dovremmo sug gerire che il geniodi Franco Giraldi, nato a Comeno (og-gi Komen) da madre triestina e padreistriano, sia il genio della materia infati-cabilmente irrequieta, provocatoria ecreativa che anima questa città in cui leculture si incontrano e incrociano?La carriera di Giraldi è stata esemplare:prima come recensore e organizzatoredi proiezioni (insieme a Tullio Keziche Callisto Cosulich) e poi con lo spo-stamento dalla Trieste dell’adolescen-za verso Roma, capitale del cinema,all’epoca unico vero punto di incontrointernazionale accanto a Hollywood.Qui Giraldi entra a far parte di un cir-colo che potrebbe essere descritto co -me quello dei “comunisti spettacolari”:con Giuseppe De Santis primus interpares, circondato da autorità comeGillo Pontecorvo, Carlo Lizzani e GiulioMontaldo. Da un punto di vista politi-co, erano le persone giuste a cui aggre-garsi, perché se Giraldi ostentava rara-mente le proprie idee, i suoi film sareb-

bero stati sempre popolari: film dellagente e per la gente, secondo uno spi-rito di sinistra che raramente si trovanell’arte. Detto questo, quando neces-sario Giraldi non si è tirato indietro,partecipando a due lavori collettivi,L’addio a Enrico Berlinguer (1984) eUn altro mondo è possibile (2001), unodolorosamente rivolto al passato e l’al-tro furiosamente rivolto al futuro.Si potrebbe dire che Giraldi nei suoifilm abbia preso il meglio di De Santise Pontecorvo, così come dagli altri, maalleggerendone il barocchismo esage -rato? Quella di Giraldi è innanzituttoun’arte nutrita di umiltà e mezzi toni, diuna quiete particolare che si insinua sianel western che nella commedia. Già 7pistole per i MacGregor (1966), la suaprima vera regia, ci mostra come Gi -raldi non fosse interessato a stupircicon formalismi fiammeggianti, ma fosseun narratore che considera i personag-gi come sole e uniche guide attraversoun universo fatto di destini e circostan-ze. Il 1966 è un anno interessante peril western italiano: il modello dello spa -ghetti non si è ancora consolidato co mel’unica via, per cui si realizzano an corafilm con uno spirito più americano. 7pistole per i MacGregor, come Sugar Colte 7 donne per i Mac Gregor (entrambidel 1967), è imbevuto di meraviglia perquest’aria magnifi-camente laconica, unritmo allentato e una precisione crono-metrica anche se mai forzata (o peggiomeccanica). Vie ne in mente Walsh, maancora più precisamente maestri disecondo piano come Heisler, Garnett eParrish, con la loro eccellente capacitàdi mantenere un film vivo anche quan-do apparentemente non accade nulla.

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Nei western di Giraldi in realtà accadedi tutto, come pure nelle commedie acui presto il regista si dedicherà conLa bambolona (1968) e Cuori solitari(1970). Certo, anche i western avevanotoni da commedia, ma Giraldi rimanevatroppo rispettoso verso il genere perportare la comicità all’estremo. Diciamoche, se nei western le risate venivanocontrappuntati dalle sparatorie, le com-medie di Giraldi sono notevoli innanzi-tutto per qualità non direttamente asso-ciate al genere: quello che resta inmente di Cuori solitari, per esempio, èuna sensibilità che si avvicina al melo-dramma, come se il film non riuscisse aconvincersi di dover essere ovvio echiassoso, cioè troppo diretto. Assorte, vivaci e disinvolte ammonizio-ni verso i pericoli e le cadute della sto-ria: queste sono le qualità di cui brillala trilogia ideale composta da La rosarossa (1973), Un anno di scuola (1977)e La frontiera (1997). Di solito si sot-tolinea la loro natura di adattamentoletterari, come se queste qualità venis-sero dai rispettivi scrittori (Pier AntonioQua rantotti Gambini, Giani Stuparich,Franco Vegliani, Mario Soldati, JosephContrad o Dacia Maraini), ma forse c’èdell’altro: lasciandosi alle spalle i gene-ri e le loro regole, Giraldi è finalmenteriuscito a essere pienamente se stesso.Un maestro il cui cinema ci appare oggipiù prezioso e disperatamente necessa-rio che mai.

SUGAR COLTRegia: Franco Giraldi; soggetto: AugustoFinocchi, Giuseppe Mangione; sceneg-giatura: Sandro Continenza, FernandoDi Leo, A. Finocchi, G. Mangione; foto-grafia: Alejando Ulloa; montaggio: Rug - gero Mastroianni; musica: Luis Bacalov;interpreti: Hunt Powers (voce SergioGraziani), Soledad Miranda (voce Fla -minia Jandolo), Gina Rovere (voce RitaSavagnone), Erno Crisa (voce MassimoFoschi), Victor Israel, George Rigaud;produzione: Eva Film/Mega Film; origi-ne: Italia/Spagna, 1966; formato: 35mm,col.; durata: 93’.Copia 35mm da Cineteca Lucana.

«Fresco del successo di 7 pistole per iMacGregor, Franco Giraldi firma un con -tratto per un nuovo western, una com-media da girare per il produttore UgoSantalucia. Il sequel dei MacGregordovrà quindi aspettare. Ma i tempi discrittura e di messa in scena sono rapi-dissimi. “Lì sì che mi sono diverito” ri -corda Franco Giraldi nella monografiacurata da Luciano De Giusti. “La notadominante era l’ironia, il girare sceneserie e autentiche senza prendersi trop-po sul serio. Noi lo stavamo già sceneg -giando e cominciammo le riprese pochimesi dopo. Quella volta le cose corre-vano spedite. L’attore non lo scelsi fragli attori americani che giravano perRoma in quel momento, perché era notutti abbastanza rozzi, poco duttili, in ve -ce a me serviva uno proprio smaliziato,un po’ dandy, e andai a Los Angeles acercarlo [...]”. Ecco quindi il primo spa-ghetti western di Hunt Powers, che sichiama in realtà Jack Betts. Usciva fre-

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sco fresco dalla serie tv General Hospital.È il solo western anche di Soledad Mi -randa, attrice di culto per gli horrorspagnoli di Jesus Franco (e Ursus diCarlo Campogalliani), morta a soli ven-tisette anni nel 1971 in un incidentestradale sull’autostrada per Lisbona. “Lascelsi” ricorda Giraldi “a causa del suoviso intenso, quasi spirituale, ma anchepieno di carattere, di pepe. Contrastavabene la monumentale Gina Rovere”.Soledad Miranda è la bella barista delsaloon di una cittadina dove si trova aindagare, travestito da medico, HuntPowers, nei panni di un pistolero cheha promesso a un amico morente dirisolvere un mistero. Qualche tempopri ma è svanito nel nulla un contingen-te militare dalle parti di Snake Valley.Saranno ancora vivi? E chi li tiene inostaggio».

Marco Giusti, Dizionario del western all’italiana, Mondadori, Milano, 2007

LA BAMBOLONA

Regia: Franco Giraldi; soggetto: dal ro -manzo di Alba de Céspedes; sceneggia-tura: Ruggero Maccari, F. Giraldi; foto-grafia: Dario Di Palma; montaggio:Ruggero Mastroianni; musica: LuisBacalov; interpreti: Isabella Rei, UgoTognazzi, Corrado Sonni, Lilla Brigno -ne, Marisa Bartoli, Susy Andersen; pro-duzione: Ugo Santalucia per Mega Film;origine: Italia, 1968; formato: 35mm,col.; durata: 107’.Copia 35mm da Cineteca Nazionale.

«Passeggiando una sera per via Veneto,verso mezzanotte, notai una libreria an -

cora aperta. In vetrina, una copertinacat turò la mia attenzione: La bambolo-na di Alba de Céspedes. Mi pare cheriportasse il dettaglio di un quadro diManet. Lessi il libro durante la notte ela mattina dopo andai immediatamenteda Ugo Santalucia, il produttore diSugar Colt. [...] Il problema grossissimofu la scelta della protagonista, chedoveva essere attraente, ma imbaraz-zante da mostrare in giro. Questo avvo-cato Broggini, uomo di successo,impersonato da Tognazzi, che cominciaa pedinarla, da una parte rimane infa-tuato in modo feticista del corpo diquesta ragazza, mentre dall’altra non èin grado di presentarla al suo portiere.La ragazza man mano si rende contodel cinismo e della violenza con cuiviene guardata da quest’uomo, per poicastigarlo alla fine. Se avessi scelto peril ruolo della ragazza un’attrice carina, ilfilm sarebbe stato da buttare. Avevobisogno di una ragazza che fosse anchecarina, ma non come avrebbe potutoesserlo, che so, la Spaak. Nella miaidea, aveva i fianchi larghi, una bellez-za antica, un viso un po’ cupo [...]. Lericerche durarono sei mesi: girai mezzaEuropa. [...] Ero disperato, quando sipresentò alla produzione una ragazzadi sedici anni e mezzo, con l’agente:era proprio lei ce l’aveva scritta addos-so la parte! Feci un provino proforma,ma non ce n’era bisogno».

Franco Giraldi in Luciano De Giusti (a cura di), Franco Giraldi, lungo

viaggio attraverso il cinema, Kaplan, Torino, 2006

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CUORI SOLITARIRegia: Franco Giraldi; soggetto: RuggeroMaccari; sceneggiatura: R. Maccari, F.Giraldi; fotografia: Dario Di Palma;montaggio: Franco Arcalli; musica: LuisBacalov; interpreti: Senta Berger, UgoTognazzi, Silvano Tranquilli, ClaraColosimo, Edda Ferronao; produzione:Mega Film; origine: Italia, 1970; forma-to: 35mm, col.; durata: 121’.Copia 35mm da Cineteca del Friuli.

«“Giovani sposi, moderni, cercano con-tatti con altre coppie per naturismo efotografia”...: una coppia che ha ormaipoco da dirsi decide, per iniziativa del-l’uomo, di fare un viaggio esplorativo nelmondo dello swapping. Tipica situazio-ne da commedia di costume all’italia-na che, però, durante il suo sviluppo sitrasforma in uno studio di caratteri: ilgioco pruriginoso cessa di reggere dalmomento in cui l’uomo si rende contoche tra le regole c’è anche la parità dicondizione dei due sessi. Il drammaviene evitato facendo finta di non ve -derlo, aggrappandosi cioè all’ancora disalvezza fornita dall’ipocrisia. Si presu-me perciò che i due vivranno insiemepiù contenti di prima, avendo scopertoi vantaggi della malafede. Questo è, insuccinto, il soggetto e il sugo di Cuorisolitari, sesto film di Franco Giraldi.Giraldi è un autore colto, che provienedalla critica e, per di più, dalla criticamilitante. Per affermarsi ha scelto lastrada più lunga: il tirocinio tecnicocompiuto come assistente di espertiregisti (De Santis, Zurlini, Leone, ecc.);la direzione della seconda troupe (Lesoldatesse, Per un pugno di dollari); in -

fine, la regia. Ma una regia quanto maimodesta, anonima, di un western case-reccio, firmato con uno pseudonimo an -glosassone (7 pistole per i MacGregor)di Frank Grafield. Poi i western di FrankGrafield sono divenuti western di Fran -co Giraldi, hanno raccontato storie ro -mantiche e disperate (con sottofondomusicale di Gustav Mahler), hanno cer-cato scenari inediti nella ormai logoraSierra spagnola. Infine sono usciti dallacomune, lasciando il posto ai film pro-priamente detti (La bambolona e que-sto Cuori solitari)».

Callisto Cosulich, Swapping all’italiana, «Cinema 60», n. 77,

luglio-agosto 1970

LA ROSA ROSSA

Regia: Franco Giraldi; soggetto: dal ro -manzo di Pier Antonio QuarantottiGambini; sceneggiatura: Dante Guar -damagna, F. Giraldi; fotografia: Mar -cello Masciocchi; montaggio: GiuseppeGiacobino; musica: Luis Bacalov; inter-preti: Alain Cuny, Elisa Cegani, Giam -piero Battistella, Giampiero Albertini,Susanna Martinkova; produzione: CEP/RAI; origine: Italia, 1973; formato:35mm, col.; durata: 93’.Copia 35mm da Cineteca del Friuli (de -posito Franco Giraldi).

«Poche settimane prima della sua morteprematura, in una poesia datata 9 marzo1965 e inserita nella raccolta postumaAl sole e al vento, Pier Antonio Qua ran -totti Gambini rivisitava personaggi eam bienti del suo romanzo giovanile Larosa rossa [...]. Proprio in quei giorni

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usciva la quinta edizione del libro, cheaveva già trent’anni di vita ed era ormaiconsiderato la più alta testimonianzaletteraria sulla società della provinciaistriana spazzata via dalla furia di dueguerre mondiali. Il film La rosa rossa sipropone appunto come illustrazione emeditazione della pagina di QuarantottiGambini, “che fa risuscitar certe atmo-sfere/istriane dell’ultimo Ottocento/ (ve -nivano dal Sette, e al Novecento/ giun-gevan, quanto lievi!)...” (è ancora ilcommento poetico dell’Autore). Finoraromanzi come L’onda dell’incrociatoree La calda vita, benché affidati a registidi prestigio, non avevano rispecchiatosullo schermo il mondo poetico delloscrittore istriano. Per La rosa rossa iltriestino Franco Giraldi (La bambolona,Cuori solitari) si è avventurato lungogli itinerari della memoria, ricostruendola Capodistria di Gambini attraverso leimmagini più intatte, architettura e pae-saggio, dell’Istria di oggi (la città vec-chia di Rovigno, il palazzetto Bembo diValle, una piazza di Albona, il teatro li -rico di Pola). Alain Cuny ha tradotto inaustroungarico la sua nobile malinconiadi personaggio claudeliano, Battistellaha ritrova ed espresso con mimeticavivacità le radici venete del suo tempe-ramento, Elisa Cegani ha saputo fonde-re ingenuità e rassegnazione. Attuatonei luoghi deputati, reali e insostituibi-li, il rito che ha coinvolto gli artefici diquesto film non ha un mero valore dipellegrinaggio sentimentale; è anche unmodo per riscoprire certi nessi misco-nosciuti della nostra tradizione con cul-ture apparentemente lontane e diverse.Teneramente provinciale all’apparenza,il discorso di La rosa rossa (libro e film)

s’impone in realtà a un livello europeo:è un capitolo della “finis Austriae”, uncodicillo sul tramonto patetico del mi-to imperialregio che segnò per il no-stro Continente l’inizio della notte piùlunga».

Tullio Kezich, Un film europeo, in Mario Di Francesco, Giorgio Guarino,Luciana Tissi (a cura di), La rosa rossa

di Franco Giraldi, RAI, Roma, 1974

UN ANNO DI SCUOLA

Regia: Franco Giraldi; soggetto: dal rac-conto di Giani Stuparich; sceneggiatu-ra: Lucio Battistrada, F. Giraldi, LucileLaks; fotografia: Dario Di Palma; mon-taggio: Gabriella Cristiani; musica: LuisBacalov; interpreti: Laura Lenzi (voceMaddalena Crippa), Stefano Patrizi,Margherita Guzzinati, Juliette Meyniel,Mario Adorf, Mario D’Arrigo, FrancoGarofalo, Paolo Morosi, Giovanni Vi -sentin, F. Giraldi; produzione: Arturo LaPegna per CEP/RAI; origine: Italia, 1977;formato: 16mm, col.; durata: 120’.Copia 16mm da RAI Sede Regionale delFriuli Venezia Giulia.

«Ho letto Un anno di scuola finito illiceo, prima di venire a Roma. Da quelmomento ho sempre avuto il pensierodi vederlo trasposto sullo schermo. Nel1976, finito Il lungo viaggio, che erastata un’impresa faticosissima ma felice,la RAI accettò le mie pressioni, condi-vise totalmente da Tullio Kezich, perrealizzare un adattamento del romanzodi Stuparich. Come al solito l’aut autera: “Sì, però attenzione, perché i soldisono pochi”. Si trattava di 140 milioni,non molti per fare un film d’epoca, in

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costume, ma ero pronto a qualsiasipatto pur di fare quel film. Come acca-de sempre nei film, fu bellissima la fasedella preparazione, delle ricerche, deiritrovamenti di eventuali superstiti. [...]Venne fuori, da queste ricerche, daquesti brandelli di vita che uscivanodalle lettere, una generazione maschi-le molto “ventosa”, forte, appassionata.Erano tutti giovani che ruotavano attor-no alla figura di Scipio Slataper. Eranodivisi fra la passione per D’Annunzio eCarducci da una parte e Schopenhauer,Nietzsche, Otto Weininger dall’altra.Era no in un turbine mentale. Da un latoerano profondamente nazionalisti puressendo molti di loro di origine non ita-liana. In più questo nazionalismo eracontraddetto dalla loro cultura profon-damente europea, cosmopolita. [...] Vol -li far scivolare, producendo un falsostorico ma rendendo la storia più au -tentica, la vicenda nell’anno 1913-1914,di modo che la festa finale, la cenadella maturità, coincidesse con la noti-zia che a Sarajevo era stato assassinatol’arciduca Ferdinando. Questo falso sto-rico poneva il film su di un binarioben preciso: i conti tornavano perfetta-mente e tutto sembrava motivato, per-ché a quella notizia esplodeva il furoreap passionato di quella gioventù. Moltiavrebbero poi passato illegalmente ilconfine e sarebbe morti, come eroica-mente fece Slataper, sul fronte dellaguerra del ’14-’18».

Franco Giraldi in Luciano De Giusti (a cura di), Franco Giraldi, lungo viaggio attraverso il cinema, cit.

LA CITTÀ DI ZENO. A TRIESTE CONITALO SVEVORegia: Franco Giraldi; collaborazione:Tullio Kezich; fotografia: Guido Bertoni;montaggio: Giancarlo Raineri; interven-ti: Franco Basaglia, Fulvio Anzellotti,Letizia Svevo Fonda Savio, Stelio Mat -tioni, Fulvio Tomizza, Vittorio Vidali,Giorgio Voghera, Omero Antonutti (vo -ce); produzione: RAI; origine: Italia,1978; formato: 16mm, col.; durata: 87’.Copia digitale (da 16mm) da Anno uno.

«La città di Zeno, realizzato in collabo-razione con Tullio Kezich e ClaudioMagris, è un’affettuosa inchiesta sul cin-quantenario della morte di Italo Svevo(avvenuta nel 1928). Introdotta proprioda Magris, l’inchiesta coinvolge unamolteplicità di testimoni, di luoghi, dimemorie, alla ricerca di quelle geogra-fie sentimentali – una matassa emotivaricca di sollecitazioni e di incompren-sioni – capaci di legare il grande scrit-tore a Trieste. Dopo una breve introdu-zione storica sulla città, nella quale Gi -raldi evidenzia l’instabilità del senso diappartenenza, il tormento, costante, deitriestini, in una specie di nevrotica con-dizione identitaria, la galleria di memo-rie si esplicita attraverso una serie di in -terviste: a scrittori, come Fulvio Tomizza,Giorgio Voghera o Vittorio Vidali (lea-der comunista del dopoguerra); artistivisivi, come Marcello Mascherini o LivioRosignano; storici, come Bruno Mayero Roberto Damiani; parenti (la figlia, lenipoti, i pronipoti...) e psichiatri, comeFranco Basaglia, in quegli anni prota-gonista di un movimento capace diportare il problema dell’antipsichiatria

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vita, il suo tornare alla “calda vita”, co -me la chiamava Saba, nella sua sempli-cità lo mette in crisi e lo costringe, purdi evadere, a un’azione ancora più epica,cioè il suicidio. Il tema mi aveva mol-to affascinato. L’incontro con PhilippeLeroy poi fu folgorante, fondamentaleper la riuscita del film. Egli stesso rac-conta tutt’oggi che il personaggio delcorsaro è il più bello che abbia mai in -terpretato. Aveva militato nella legionestraniera, aveva avuto esperienze simi-li, era stato a Dien Bien Phu in Indo -cina, aveva vissuto un’epica di destra,cosa in sintonia con Conrad, quindi eracome se avesse già vissuto, come seconoscesse questo personaggio fino infondo. Nella vicenda, il corsaro vienemesso in crisi dalla nuova vita familia-re: la ragazza, il tenente napoleonico dicui lei si innamora, la loro storia di sen-timenti, gli fanno capire che la sua vitaè ormai passata. Il corsaro infatti non sene va per gelosia, ma preferisce suici-darsi piuttosto che combattere con armidecadute, perché la vecchiaia è la vec-chiaia. Per lui è troppo duro vivere inquella che Svevo chiamava “la vita orri-da vera”».

Franco Giraldi in Luciano De Giusti (a cura di), Franco Giraldi, lungo viaggio attraverso il cinema, cit.

LA FRONTIERA

Regia, sceneggiatura: Franco Giraldi;soggetto: dal romanzo di Franco Veglia -ni; fotografia: Cristiano Pogany; mon-taggio: Antonio Siciliano; musica: LuisBacalov; interpreti: Raoul Bova, OmeroAntonutti, Marco Leonardi, Giancarlo

Piccolo mondo antico. Fui colpito dalfatto che Soldati guardava alla mia sce-neggiatura non da autore del testo let-terario che l’aveva ispirata, ma con ladivertita curiosità dello spettatore di unfuturo film. Siccome egli s’identificavacol personaggio del maestro, adesso erapronto a vivere le avventure del suo“sosia” in modo nuovo, sorprendente».

Franco Giraldi in Luciano De Giusti (a cura di), Franco Giraldi, lungo viaggio attraverso il cinema, cit.

IL CORSARO

Regia: Franco Giraldi; soggetto: dal ro -manzo di Joseph Conrad; sceneggiatu-ra: Nicola Badalucco; fotografia: DarioDi Palma; montaggio: Massimo Latini;musica: Luis Bacalov; interpreti: Philip -pe Leroy, Laura Morante, Ingrid Thulin,Alain Cuny, Fabrizio Bentivo glio; pro-duzione: Arturo La Pegna per RAI/Taurus/Télécip/Jadran; origine: Italia/Fran cia/Jugoslavia 1985; formato: 35mm,col.; durata: 167’.Copia digitale da Anno uno.

«Il film uscì tardi perché la RAI si aspet-tava una cosa e io ne feci un’altra. Ilproblema è che Conrad ha tre chiavi dilettura: il plot, cioè la struttura, la vicen-da; poi il simbolo, e infine il mistero. Lameno importante è il plot, che è quellache loro volevano prediligessi. La cosainvece che mi aveva attratto in Conradera la malinconia del personaggio, sen-timento che lo domina dopo aver vis-suto una vita epica. [...] Il ritorno delcorsaro al paese natale, dopo anni diavventura alla ricerca del sapore della

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la truppe anglo-americane attestate sulGarigliano. Sennonché, mentre l’orche-strale, che indossa una assurda giaccaverde, si finge, al cospetto dei frati, uncelebre direttore d’orchestra, il maestroW., che è il vero “divo” della situazio-ne, si finge un impiegato di banca.Perché lo fa? Prima di tutto perché,essendo ebreo da parte di madre, temela polizia fascista, e poi perché, a pocoa poco, viene attratto, in modo quasimorboso, da quel paradossale rovescia-mento delle identità per cui il re (ilmaestro W.) si finge buffone e il buffone(il timpanista) si finge re. A pensarcibene è anche uno schema tipicamentedostoevskijano. Ma non divaghiamo. Adun certo punto i due fuggiaschi chie-dono ospitalità a una signora (la sfolla-ta del racconto) l’unica che vive in unacondizione privilegiata e confortevolein quel villaggio. Io avevo immaginatoche questo personaggio femminile fos -se un’attrice ungherese, una delle tan-te che interpretavano in quegli anni, aCinecittà, film che, in qualche modo, sirifacevano alla commedia sofisticataamericana, anche perché avevo già inmente l’attrice a cui proporre un simileruolo, e cioè Senta Berger, austriaca,protagonista, nove anni prima, di unmio film intitolati Cuori solitari. Ero si -curo che questa attrice, in quel ruolo,e parlando italiano con il suo accento“mitteleuropeo”, avrebbe aggiunto fa -scino e spessore al racconto. Soldati,con mia sorpresa, fu subito incuriosito,anzi, entusiasta dell’idea. Il personag-gio lo intrigava anche perché appar-teneva ad un ambiente che lui avevaconosciuto benissimo, ai tempi in cui,come regista di cinema, aveva diretto

sul palcoscenico del dibattito naziona-le, professando apertamente la distru-zione dei manicomi e la difesa delmalato contro l’istituzione “carceraria”.L’intervista a Basaglia, che verrà a man-care solo due anni dopo la realizzazio-ne del film di Giraldi, conduce lo spet-tatore ad analizzare la situazione dellaTrieste di Svevo in termini di malesserepsico-sociale».

Marco Bertozzi, Feriti, alla frontiera: tre documentari di Franco Giraldi, in Luciano De Giusti (a cura di),

Franco Giraldi, lungo viaggio attraverso il cinema, cit.

LA GIACCA VERDE

Regia: Franco Giraldi; soggetto: dal rac-conto di Mario Soldati; sceneggiatura:Lucio Battistrada, Sandra Onofri, F. Gi -raldi, Cesare Garboli; fotografia: DarioDi Palma; montaggio: Raimondo Cro -ciani; musica: Luis Bacalov; interpreti:Jean-Pierre Cassel, Renzo Montagnani,Senta Berger, Laura Trotter, VittorioSanipoli, Adriano Russo; produzione:Arturo La Pegna per CEP/RAI/TVR3;origine: Italia/Francia, 1979; formato:16mm, col.; durata: 103’.Copia 35mm da Cineteca del Friuli(deposito Franco Giraldi).

«La vicenda, come tutti sanno, si svolgenell’autunno del 1943, sulle montagnemolisane: in un convento s’incontranoun giovane e affascinante direttored’orchestrare e un meno giovane e tut-t’altro che affascinante orchestrale, untimpanista, per la precisione. Tutti edue sono in fuga da Roma occupatadai tedeschi e in attesa dell’arrivo del-

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Eventi paralleli

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Giannini, Vesna Tominac, Claudia Pan -dolfi; produzione: Mario Gallo perFilmalpha-Factory/RAI; origine: Italia,1996; formato: 35mm, col.; durata: 107’.Copia 35mm da Cineteca del Friuli (de -posito Franco Giraldi).

«Sapevo, avendolo imparato sulla miapelle, che in frontiera nessuno nasce“univoco”, ognuno nasce “se stesso piùqualcos’altro”, e che se si vuole repri-mere questa componente aggiuntiva al -lora nascono i conflitti, le tragedie. Ilpluralismo identitario della frontiera, seassoggettato alla volontà di ridurlo auna sola identità, non può che produr-re conflitto, tragedie, stragi, come si eravisto in quegli anni nei Balcani. Per mesi trattava di un film necessario. [...]Quando il protagonista de La frontieraarriva nell’isola dalmata dove ha im -parato a nuotare, viene accolto comeospite in casa di amici – che poi è lacasa del tenente Orlich – e la ragazzacon cui parla è una ragazza che giusta-mente combatte contro l’esercito italia-no, che altro non è che un esercito dioccupazione. Lei è nata come lui nel -l’isola, ma lui è tornato come occupa-tore, e come tale non può non saperecome lei la pensa. Ecco dove nasce lagiusta ambiguità della frontiera: quan-do lei farà una serie di azioni contro l’esercito italiano, lui non potrà denun-ciarla. In frontiera, quando sai, quandocapisci, non puoi agire. Raoul Bova,che nella finzione si chiama Orlich, sisente austriaco ma a casa parla italiano,vive una condizione ambigua perchéha prestato dei libri di letteratura italia-na a un nazionalista sloveno che poiviene giustiziato, cosa per la quale teme

e si sente in colpa, e ha quindi un pro-blema di collocazione, di identificazio-ne in un’identità univoca».

Franco Giraldi in Luciano De Giusti (a cura di), Franco Giraldi, lungo

viaggio attraverso il cinema, cit.

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Martedì 18 settembre, 18.00 Il Duce a Trieste, produzione Istituto Luce, 1938, 37’.In replica da una precedente edizione del festival, il film viene presentato alTeatro Miela nella data di anniversario dello storico evento e della realizza-zione del film, il 18 settembre, a cura dell’Istituto regionale per la storia dellaResistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia, in collaborazio-ne con Istituto Luce di Roma e Archivio della Resistenza di Torino.Con interventi dello storico Marcello Flores e dell’archivista Paola Olivetti.

Casa del Cinema di Trieste presentaESTERNO/GIORNO. PASSEGGIATE ALLA SCOPERTA DEI SET CINEMATOGRAFICI TRIESTINI

Sabato 15 settembre, 11.00 Il Porto Vecchio e il cinema Un itinerario completamente dedicato ad una delle location più suggestive diTrieste. Il Porto Vecchio è un set a cielo aperto utilizzato spesso dalle produ-zioni (Il ragazzo invisibile, La porta rossa, Il paziente inglese...). I partecipan-ti avranno l’occasione di visitare l’area solitamente inaccessibile al pubblico e,grazie ad alcuni visori, vedere alcune scene dei film girati all’interno del PortoVecchio. Partenza da Casa del Cinema di Trieste

Domenica 16 settembre, 15.00Bus tour. Trieste e dintorni. Dal centro al Carso Una gita in pullman alla scoperta delle location periferiche di Trieste chehanno ospitato diverse produzioni come Va’ dove ti porta il cuore di CristinaComencini, La ragazza di Trieste di Pasquale Festa Campanile o Giulia e Giu -lia di Peter Del Monte. Un modo per conoscere luoghi meno noti di Trieste,ma altrettanto suggestivi attraverso la lente cinematografica.Partenza da piazza Oberdan

ticket 10€ prenotazioni: [email protected] +39 3394535962

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6343-4467-705249, 5034345465-6648, 4958, 623346513349, 50, 5571-8241, 66595660, 6134, 35463453333617-2818, 6235-394068, 6934

Elenco alfabetico degli autori

John H. AuerClaude Autant-Lara

Franco BasagliaCarmelo Bene

Giorgio BianchiDuško BralaVedran Ćupić

Damiano DamianiCécile DecugisVittorio De Seta

Allan DwanIvan Faktor

Fabrizio FerraroMarco Ferreri

Ivan Ladislav GaletaPietro Germi

Franco GiraldiJean-Luc GodardEdward Ludwig

LuisAnthony MannIvan Martinac

Stefano MorandiniZdravko MustaćErmanno OlmiMihovil Pansini

Pawel PawlikowskiEckhart Schmidt

Douglas SirkLazar Stojanović

Enrico VerraSergio ZavoliVlado Zrnić

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La mia estate più bella (Mein schönster Sommer), 2016-2017, Eckhart SchmidtMost, 1977, Ivan MartinacOperazione Corea (Flight Nurse), 1953 [vers.it. 1954], Allan DwanPismo, 1993, Ivan Ladislav GaletaPismo iz Hrvatske, 1991, Mihovil PansiniPortis deve rinascere qui, 2018, Stefano Morandini Približno Srbi, 1998, Lazar StojanovićPrincess – Voices from Hell, 2016-2017, Eckhart SchmidtLa rosa rossa, 1973, Franco GiraldiIl regno del terrore (Reign of Terror), 1949 [vers.it. 1949], Anthony MannRené ou le roman de mon père, 2016, Cécile DecugisScemi di guerra. La follia nelle trincee, 2008, Enrico VerraSedotti e bidonati, 1964, Giorgio BianchiSerbian Epics (Srpska epika), 1992, Pawel Pawlikowski [e Lazar Stojanović]’77 No commercial use, 2017, Luis [Fulvio Baglivi]Škorpioni – spomenar, 2007, Lazar StojanovićIl sorriso del grande tentatore, 1974, Damiano DamianiIl sottomarino fantasma (Mystery Submarine), 1950 [vers.it. 1951], Douglas SirkStella, 2016-2017, Eckhart SchmidtStella Reloaded, 2016-2017, Eckhart SchmidtSugar Colt, 1966, Franco GiraldiTexas selvaggio (The Fabulous Texan), 1947 [vers.it. 1952], Edward LudwigLes Unwanted de Europa / Gli indesiderati d’Europa, 2018, Fabrizio FerraroUn uomo a metà, 1966, Vittorio De SetaUspon i pad generala Mladića, 2005, Lazar StojanovićLa valle dei forti (Trail of the Vigilantes), 1940, Allan DwanZadar nije za dar, 1992, Zdravko Mustać, Vlado Zrnić, Vedran Ćupić, Duško BralaŽivot i priključenje Radovana Karadžića, 2005, Lazar Stojanović

213562333346372477606640493656365462222275594648395834

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Amor sacro, Amor profano, 2017, Eckhart SchmidtAngel’s Flight, 2016-2017, Eckhart SchmidtUn anno di scuola, 1977, Franco GiraldiAssicurasi vergine, 1967, Giorgio BianchiLa bambolona, 1968, Franco GiraldiBandiera di combattimento (The Eternal Sea), 1955 [vers.it. 1955], John H. AuerBroken Hearts. Verlieb Dich nie in eine Mafia-Tochter, 1996, Eckhart SchmidtLe castagne sono buone, 1970, Pietro GermiUn certo giorno, 1968, Ermanno OlmiLa città di Zeno. A Trieste con Italo Svevo, 1978, Franco GiraldiColore d’amore, 2018, Eckhart SchmidtColour of Love, 2018, Eckhart SchmidtIl corsaro, 1985, Franco Giraldi Cuori solitari, 1970, Franco GiraldiDans le noir du temps, 2002, Jean-Luc GodardDas Lied ist aus, 2001-2002, Ivan FaktorDer Sandmann, 1993, Eckhart SchmidtLa distribution de pain, 1957-2011, Cécile DecugisDon Giovanni, 1970, Carmelo BeneIl Duce a Trieste, 1938, Istituto LuceFranco Basaglia intervista i politici sulla “legge 180” e la riforma sanitaria,1979-2018, Maria Grazia GiannicheddaLa frontiera, 1996, Franco Giraldi La giacca verde, 1979, Franco GiraldiI giardini di Abele, 1968, Sergio ZavoliGloria, 1977, Claude Autant-LaraGrad u sivom, 1992, Ivan MartinacL’harem, 1967, Marco FerreriL’immorale, 1966, Pietro GermiIn Calabria, 1993, Vittorio De SetaIt’s Me, 2017, Eckhart SchmidtJe suis Simone (La condition ouvrière), 2009, Fabrizio FerraroJe vous salue, Sarajevo, 1993, Jean-Luc GodardLove and Death in the Afternoon. An Elegy, 2016, Eckhart SchmidtLoving Valeria, 2017, Eckhart Schmidt

Elenco alfabetico dei film in programma

242678507663285553792828817741332766528370

81806944345150492646412122

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Fuggiamo insiemedi Sergio M. Grmek Germani

Tutti i colori dell’amore. Eckhart Schmidt e l’Italia come seduzionefemminile: nove film in anteprima, con due flashback e unflashforward

Castelli di sabbia, II. L’ultimo ponte (Nikad više)

Autant qu’était Lara. Presenze di donna in un cineasta furioso, I

Chiedo la parola. Può il cinema italiano ridiventare giovane?

Un certo anno. 68 tra 67 e 69 (Germogli. Corrispondenze di cineastiitaliani, II)

Fiori nel fango. Gemme Universal e Republic (Figliastri di nessuno, I.Il più fiammeggiante cinema americano, parlato dal cinema italiano)

Cécile Decugis, il montaggio della vita

«Non facciamoci bloccare dai problemi tecnici». Un omaggiorosselliniano a Franco Basaglia

Franco Giraldi, un maestro del cinema europeo dietro l’angolo

Eventi paralleli

Elenco alfabetico degli autoriElenco alfabetico dei film

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Sommario

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Stefano Coluccio, Canestrelli - Venice Mirrorswww.venicemirrors.com.

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L’Associazione Anno uno dà appuntamento per la XVIII edizione di

I mille occhifestival internazionale del cinema e delle arti

www.imilleocchi.com@IMilleOcchiI Mille Occhinglish version of the 2011 festival catalog on:

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