FERRAJOLI - Diritto Penale Del Nemico

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    IL DIRITTO PENALE DEL NEMICO E LA DISSOLUZIONEDEL DIRITTO PENALE

    CRIMINAL LAW FOR THE ENEMY AND THE DISSOLUTIONOF THE CRIMINAL LAW

    Luigi FerrajoliProfessore di Universit di Roma, Italia.

    Astratta: Di che cosa stiamo discutendo quando parliamo di "diritto penale delnemico"? La ragione giuridica dello stato di diritto non conosce nemici ed amici, masolo colpevoli e innocenti. Io credo che dobbiamo riconoscere, con assolutafermezza, che stiamo parlando di una contraddizione in termini, che rappresenta, difatto, la negazione del diritto penale: la dissoluzione del suo ruolo e della sua intimaessenza.Parole chiave: Diritto penale del nemico; Dissoluzione del diritto penale; Stato didiritto.

    Abstract:Which is the meaning in discussing about criminal law for the enemy?The jural reason of the State of law does not know enemies and friends, but guilty

    and innocent. I believe that we mus recognize that we are talking about acontradiction, which represents, in fact, the refusal of the criminal law: the dissolutionof its role and of its intimal essence.Keywords:Criminal law for the enemy; Dissolution of the criminal law; State of law.

    1. Due significati della formula diritto penal del nemico

    Voglio innanzitutto esprimere un senso di disagio nell'affrontare il tema del dirittopenale del nemico. Il disagio proviene da una sensazione: dalla sensazione che il

    fatto stesso che una formula suggestiva, magari provocatoria e a mio parerescandalosa come "il diritto penale del nemico" venga messa in circolazione da ungiurista autorevole, che su di essa si svolgano convegni e che intorno ad essa sisviluppi, come immancabilmente accade nella comunit dei giuristi, una riccaletteratura1, sufficiente a concedere ad essa cittadinanza teorica: in qualche modo

    1 La tesi di una differenziazione del diritto penale, attraverso l'istituzione di un "diritto penale delnemico", accanto al "diritto penale del cittadino", stata avanzata, come noto, da Gnther Jakobs,Derecho penal del ciudadano y derecho penal del enemigo, in G.Jakobs y M.Cancio Meli, Derechopenal del enemigo, Civitas Ediciones, Madrid 2003, pp.19-56; G.Jakobs, Terroristen als Personen imRecht? in "Zeitschrift fr die gesamte Strafrechtswissenschaft", 2005, fasc.4, pp.117-134; Id., Dirittopenale del nemico? Una analisi sulle condizioni della giuridicit, relazione al convegno svoltosi a

    Trento il 10-11.3.2006 su "Delitto politico e diritto penale del nemico". Come giustamente rilevaM.Cancio Meli, Derecho penal del enemigo? cit., pp.59-102, l'espressione "diritto penale del nemico" una contraddizione in termini, nella quale riconoscibile una variante aggiornata delle dottrinepenali del "tipo d'autore" e del "nemico del popolo". Sul "diritto penale del nemico" si gi formata

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    a farla prendere sul serio e a fornire ad essa una parvenza di legittimit. D'altro cantoben conosciamo la capacit espansiva e gli effetti di contagio che sul piano culturale,ma anche legislativo, hanno le formule con cui vengono designate le strategie dicontrollo penale. Una capacit di contagio e corruzione dell'immaginario penalistico

    in una duplice direzione: nei confronti di ordinamenti diversi da quelli con riferimentoai quali vengono formulate; nei confronti dei settori pi svariati del diritto penale - nonsolo il terrorismo, ma anche la mafia, la criminalit organizzata, la pedofilia, il trafficodi droga - fino ad includere, in quello che sia avvia ad essere l'"impero della paura"esportato dagli Stati Uniti in tutto il pianeta, gli attentati alla sicurezza provenientidalla piccola delinquenza di strada e di sussistenza. Direi anzi che soprattutto ladelinquenza di strada che sta diventando, negli Stati Uniti il vero 'nemico', contro ilquale stata scatenata una campagna di criminalizzazione della povert e dicarcerazione di massa che ha visto raggiungere la popolazione carcerariastatunitense a 2 milioni e mezzo di persone.

    Dobbiamo allora domandarci: di che cosa stiamo discutendo quando parliamo di"diritto penale del nemico"? del "paradigma del nemico" nel diritto penale? Io credoche dobbiamo riconoscere, con assoluta fermezza, che stiamo parlando di unossimoro, di una contraddizione in termini, che rappresenta, di fatto, la negazione deldiritto penale: la dissoluzione del suo ruolo e della sua intima essenza, dato che lafigura del nemico appartiene alla logica della guerra, che del diritto la negazione,cos come il diritto la negazione della guerra.

    Stiamo discutendo, in breve - per usare l'espressione con cui intitolato unpamphlet di Raul Zaffaroni - del diritto penale e i suoi nemici2. Giacch la concezionedel terrorista, del delinquente come nemico in grado di travolgere, del diritto penale,tutte le garanzie, dal principio di legalit a quello di colpevolezza, dalla presunzionedi innocenza all'onere della prova e ai diritti della difesa.

    Sar allora bene distinguere, di questa formula, due significati, due usi diversi: a) unprimo significato, di tipo empirico-descrittivo: descrittivo, si badi, di una perversionedel diritto penale, cio di pratiche punitive e repressive - pensiamo alle gabbie diGuantanamo o alle torture di Abu Ghraib - che si ammantano del nome di dirittopenale e che del diritto penale sono invece la negazione; b) un secondo significato,di tipo per cos dire teorico, in forza del quale il "diritto penale del nemico" vienepresentato e raccomandato come un nuovo "paradigma", un nuovo "modello",

    siccome tale normativo, di diritto penale.Ebbene, nella teoria politica e nella teoria giuridica non sempre - anzi quasi mai - sidistingue analiticamente il diverso statuto dei due discorsi, l'uno descrittivo, l'altronormativo. Con il risultato che l'uso descrittivo della formula - anzich servire da

    un'abbondante letteratura critica: si vedano M.Donini, Il volto attuale dell'illecito penale. La democraziapenale tra differenziazione e sussidiariet, Giuffr, Milano 2004, 2.3, pp.53-59; Id., Il diritto penale difronte al "nemico", in "Cassazione penale", 2006, n.2, pp.735-777; A.Aponte, Derecho penal deenemigo o derecho penal del ciudadano. Gnther Jakobs y las tensiones de un derecho penal de laenemistad, Temis, Bogot 2005; R.Zaffaroni, Buscando al enemico: de Satn al derecho penal cool.,trad.it., Alla ricerca del nemico: da Satana al diritto penale cool, in Studi in onore di Giorgio Marinucci,

    Giuffr, Milano 2006, a cura di E.Dolcini e C.E.Paliero, vol.I, pp.757-780; F.Resta, Nemici e criminali.Le logiche del controllo, in "L'Indice penale", 2006, I, pp.181-227.

    2R.Zaffaroni, El derecho penal y sus enemigos, testo dattiloscritto, in corso di stampa.

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    premessa della critica di ci che si descrive sulla base dei modelli teorici e normatividel diritto penale elaborati da una lunga e faticosa tradizione di conquiste civili edemocratiche - si tramuta, pi o meno consapevolmente, in un uso normativo oquanto meno in un suo uso in funzione di legittimazione di ci che la formula

    descrive.

    la fallacia realistica che affligge buona parte della filosofia politica e giuridica, chescambia ci che accade con ci che giusto o legittimo, politicamente egiuridicamente, che accada, cos occultandone il carattere illecito e criminale:l'autolegittimazione in breve come diritto, in nome dell'efficienza, delle pratiche pur incontrasto con il modello normativo del diritto penale. Si tratta, aggiungo, di unafallacia spesso inconsapevole. Suppongo che se chiediamo a Gunther Jakobs secondivide il modello del diritto penale del nemico, ci dir che semplicemente stadescrivendo il fenomeno, destinato tuttavia ad affermarsi a fianco - o addirittura asalvare - il "diritto penale del cittadino". La distinzione matalinguistica tra "descrittivo"

    e "prescrittivo", del resto, non fa parte della cultura giuridica e politica funzionalistica.Ricordo che una volta, venticinque anni fa, nel corso di un dibattito svoltosi aPalermo, chiesi a Niklas Luhmann se faceva un uso descrittivo o prescrittivo dellasua tesi secondo cui l'individuo un "sottosistema" del sistema sociale, sicch i dirittidel primo sono difesi in funzione della cui conservazione del secondo. Mi risposeche non capiva il senso della domanda. In molta cultura filosofica cosiddetta"realistica" ancora un postulato l'idea hegeliana che "ci che reale razionale".

    2. Il terrorismo penale. Il diritto penal come guerra, la guerra come sanzionepenale

    Cominciamo allora dall'analisi della nostra formula in senso descrittivo. Come alsolito nel diritto penale non si inventa mai nulla di nuovo. Lo schema del dirittopenale del nemico altro non che il vecchio schema del "nemico del popolo" distaliniana memoria e, per altro verso, il modello penale nazista del "tipo normativod'autore" (Ttertyp). E si riallaccia a una tradizione antica e ricorrente di dispotismopenale inaugurata dai crimina maiestatis. Con l'aggravante che esso si perfezionato con la sua aperta identificazione con lo schema della guerra, che fa deldelinquente e del terrorista un nemico da sopprimere ben pi che da giudicare.

    Il risultato di questa perversione il modello del terrorismo penale - o del diritto

    penale terroristico e criminale, inteso "criminale" come connotato non gi dei fattiperseguiti ma dello stesso "diritto", a causa delle forme apertamente terroristiche daesso assunte. Abbiamo sentito ci che ci ha raccontato ieri Fanchiotti sul Patriot Actstatunitense e sul modello Guantanamo: la cancellazione per i non cittadini americanidell'habeas corpus, gli arresti e le detenzioni illimitate senza la formale contestazionedi accuse, la soppressione delle garanzie processuali, l'istituzione di tribunali militarispeciali, il crollo di tutte le garanzie in materia di intercettazioni, di perquisizioni, diarresti e di prove.

    La manifestazione pi vergognosa di questo diritto penale criminale, quale verocrimine contro l'umanit, la tortura, che ha fatto la sua funesta riapparizione in

    questi anni nel trattamento statunitense dei cosiddetti "nemici combattenti" comestrumento di acquisizione della confessione e, al tempo stesso, di intimidazionegenerale. Si tratta di un modello di tortura per molti aspetti opposto a quello praticato

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    in segreto nelle camere di sicurezza e di solito occultato, negato, rimosso e ignoratodalla pubblica opinione. Il suo aspetto pi turpe infatti il suo carattere strategico,ostentato, codificato in appositi manuali3, quale mezzo di intimidazione e mortifica-zione delle persone e di diffusione del terrore, e addirittura avallato da insigni

    penalisti4

    . Solo cos si spiegano le spaventose fotografie di prigionieri incappucciati,con le braccia aperte e i fili elettrici pendenti dalle mani, o trascinati al guinzaglio, oaccatastati e ritratti nudi e terrorizzati davanti a cani ringhiosi mentre i loro aguzziniridono, evidentemente sicuri dell'impunit o peggio della legittimit del loro operato.

    ' il medesimo modello di terrorismo penale gi sperimentato, in ossequio alladottrina della "sicurezza nazionale", dalle dittature latino-americane degli annisessanta e settanta5ed oggi praticato dagli Stati Uniti, in decine di prigioni sparse intutto il mondo, nei confronti dei sospetti di terrorismo. Il suo scopo seminare terroretra tutti coloro che, fondatamente o meno, appaiono sospettabili di connivenza con ilterrorismo, e insieme umiliare il nemico come non-persona, fuori dal diritto, che non

    merita l'applicazione n delle garanzie ordinarie del corretto processo, n di quellepreviste per i prigionieri dal diritto umanitario di guerra. Naturalmente le torture nonvengono chiamate con il loro nome. Le si chiama "abusi", per non ammettereufficialmente il crimine.

    nella legittimazione politica di queste pratiche punitive l'atto di nascita del dirittopenale del nemico. Alla base dell'identificazione ad esse sottostante del terrorista edel criminale come nemici c' uno slittamento semantico in funzione diautolegittimazione: la confusione, pi d'ogni altra distruttiva del diritto e dello stato didiritto, tra diritto penale e guerra. Questa confusione ha prodotto una sorta diperversa legittimazione incrociata: della guerra, riabilitata come strumento penale dimantenimento dell'ordine pubblico internazionale; del diritto penale del nemico, a suavolta legittimato nelle sue forme terroristiche con la logica della guerra.

    Questa deformazione del significato delle parole e del senso comune si prodottasoprattutto nell'interpretazione della strage dell'11 settembre. Quella strage fu un attodi "guerra", o un atto di "terrorismo"? Si tratt di un'aggressione bellica, o non

    3 E' stato pubblicato, con il titolo Manuale della tortura, il documento della C.I.A. che impartiscedirettive sui trattamenti - vere e proprie torture - cui sottoporre i prigionieri sospetti di attivit contrariealla "sicurezza" degli Stati Uniti (Manuale della tortura. Il testo finora top-secret uscito dagli archivi Usa(1963-1997), Datanews, Roma 1999). Gli stessi comandi dell'esercito statunitense hanno riconosciuto

    la morte di circa 30 persone arrestate in Afghanistan e in Iraq. Come hanno dichiarato alcuni exufficiali della Cia, tra i quali un ex funzionario di alto livello in un'intervista radiofonica resa alla Bbcl'8.2. 2005, gli Stati Uniti, dopo l'11 settembre 2001, hanno sviluppato un'attivit sistematica disequestri illegali di sospetti terroristi, trasferiti (e talora scomparsi) in paesi del Maghreb e del MedioOriente, dove sono stati sottoposti a torture in centri di detenzione sottoposti al loro controllo (S.Gray,Decentramento della tortura, in "Le Monde diplomatique, n.4, aprile 2005, pp.1 e 8-9). Gran parte diqueste pratiche sono state peraltro dichiarate illegittime dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, senzatuttavia che ci abbia comportato la loro effettiva cessazione. Si veda, sulla pratica statunitense dellatortura nell'universo carcerario occulto edificato dalla Cia e dal Pentagono in svariati paesi, G.Chiesa,La guerra infinita, Feltrinelli, Milano 2002, cap.VI; C.Bonini, Guantanamo. Usa, viaggio nella prigionedel terrore, Einaudi, Torino 2004, che riporta in appendice le ordinanze e i regolamenti che hannoautorizzato questi orrori; Amnesty International, Abu Ghraib e dintorni. Un anno di denunce ina-scoltate, Ega editore, Torino 2004.4Si ricordino le tesi di Alan Dershowitz, Why Terrorism Works. Understanding the Threat Respondingto the Challenge (2002), trad.it., Terrorismo, Carocci, Roma 2003, pp.118 ss e 125 ss.5Su tale modello, si veda S.Senese, La trasformazione delle strutture giuridiche in America Latina, in"Il Mulino", n.246, lug.-agosto 1976, pp.529-553.

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    piuttosto di un crimine, come sono sempre stati qualificati gli atti terroristici, e pre-cisamente di un crimine contro l'umanit? Giacch le guerre sono fatte da Stati, sup-pongono confini e territori, eserciti regolari e nemici certi e riconoscibili. Gli attacchiterroristici, al contrario, sono agguati commessi da organizzazioni ramificate e

    clandestine.

    chiaro che l'identificazione di quell'atto terroristico anzich come crimine come attodi guerra ha fatto venir meno la distinzione e l'asimmetria tra diritto e guerra. Parlerpi oltre degli effetti disastrosi di questa confusione ai fini della lotta al terrorismo, cheproprio dall'asimmetria tra diritto e guerra trae la sua principale fonte di legittimazionee la sua specifica capacit di isolamento e di depotenziamento politico del terrorismo.Ma voglio subito segnalare gli effetti di rilegittimazione della guerra come lotta alterrorismo e, paradossalmente, del terrorismo medesimo come guerra provocati daquesta deformazione del linguaggio della politica e del diritto. Grazie a questasemplificazione manichea della politica e del linguaggio della politica, all'insegna

    della dicotomia amico/nemico, non solo la guerra, ma anche le violenze compiute daivincitori nei territori occupati sono state cos chiamate "lotta al terrorismo"; mentretutto ci che contrasta con i metodi di questa lotta stato etichettato e squalificatocome "terrorismo" o come alleanza o connivenza con il terrorismo, a sua voltaaccreditato come "guerra".

    una distorsione del linguaggio che il sintomo minaccioso di un possibile tota-litarismo internazionale giustificato da una sorta di stato d'assedio globale epermanente. Sembra infatti che, nel momento in cui i fenomeni che dobbiamo capiree fronteggiare si fanno pi complessi, il nostro linguaggio e le nostre categorie,anzich farsi a loro volta pi complesse e differenziate, si semplifichino e siconfondano, fino alla loro estrema semplificazione nell'opposizione elementare del"Bene" contro il "Male": ieri il comunismo, oggi il terrorismo. La semplificazione, delresto, ha sempre operato come fattore di autolegittimazione per il tramite della figuradel nemico: del nemico esterno, per legittimare la guerra esterna, preventiva evirtualmente permanente, e del nemico interno, sospetto di connivenze con quelloesterno, onde legittimare misure emergenziali e restrittive delle libert fondamentalidi tutti.

    lo schema schmittiano dell'opposizione amico/nemico, che si imposto soprattuttonegli Stati Uniti: uno schema, tuttavia, che non affatto, come riteneva Schmitt, il

    paradigma della politica, bens quello della guerra, che di ogni politica razionale lanegazione, cos nelle relazioni internazionali come in quelle interne, ove non a casofinisce per assecondare, in nome dell'emergenza, la dissoluzione dello stato di diritto,basata sulla diffusione della paura e sulla richiesta di lealismo e di consensoaprioristico ad ogni arbitrio ed abuso. Con l'aggravante che la formula esprime nonsolo la concezione e il trattamento del criminale come nemico, ma anche quella delnemico come criminale, privato dunque simultaneamente sia delle garanzieprocessuali dell'imputato che di quelle assicurate ai prigionieri di guerra dalleconvenzioni di Ginevra. Esprime, in breve, la criminalizzazione del nemico e lamilitarizzazione della giustizia.

    In questa esclusione dal diritto - sia interno che internazionale - dei "nemicicombattenti", si manifesta infine la valenza razzista della formula del diritto penaledel nemico quale si espressa nelle leggi americane e negli orrori di Guantanamo e

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    di Abu Ghraib. L'etichetta "terrorismo", come sinonimo di pulsione omicidairrazionale, vale a caratterizzare il nemico come non-umano, non-persona, che nonmerita di essere trattato n con gli strumenti del diritto n con quelli della politica. E' ilveicolo di una nuova antropologia della disuguaglianza, segnata dal carattere

    tipologicamente criminale, folle e disumano che viene associato al nemico e percida una nuova, radicale asimmetria tra "noi" e "loro".

    3. Il paradigma del nemico e la dissoluzione del diritto penale. Diritto penale eguerra

    Vengo cos al secondo significato della formula "diritto penale del nemico": quello delsuo uso in senso normativo quale nuovo modello o paradigma di diritto penale.Perch il "diritto penale del nemico", nel secondo dei significati suddetti, unacontraddizione in termini, che contraddice e dunque nega l'idea stessa del dirittopenale?

    Per molteplici ragioni, tutte connesse al fatto che il diritto penale, anzi il diritto toutcourt, la negazione del nemico; perch lo strumento, il tramite mediante il quale irapporti di convivenza trapassano dallo stato selvaggio allo stato civile e ciascuno riconosciuto come persona. La pena in questo senso, la negazione della vendetta,cos come il diritto in generale la negazione della guerra. Ricordiamo il paradigmahobbesiano: il diritto l'alternativa al bellum omnium, cio alla violenza sregolatodella guerra. Con esso si esce dallo stato di natura e la societ selvaggia si civilizza;sicch nella societ civile istituita dal diritto non esistono pi nemici ma consociati,non pi guerre ma pene e delitti: "un danno inflitto a un nemico dichiarato", dichiaraHobbes, "non si pu definire una punizione, perch ogni danno che gli si puinfliggere va preso come un atto di ostilit6". Del resto questo riconoscimentodell'antinomia tra diritto e guerra, tra pena e vendetta risale alle origini della civiltgiuridica, allorquando la nascita del diritto penale fu rappresentata, nella mitologiagreca, dall'istituzione da parte di Atena dell'Areopago che pone fine al ciclo dellavendetta del sangue7.

    Se questo vero, lo schema bellico del diritto penale del nemico contraddiceradicalmente l'idea stessa del diritto penale in tutti i suoi elementi e momenti:innanzitutto nella configurazione della fattispecie penale; in secondo luogo in quelladel giudizio.

    La prima deformazione investe il principio di legalit nell'identificazione di ci che punibile: non pi il reato, ma il reo, indipendentemente dal reato. La sostanza delprincipio di legalit nella previsione legale come punibili di "tipi di azione" e non "tipidi autore"; nel punire per "quel che si fa" e non per "quel che si "; nell'identificare icomportamenti dannosi e non anche ai soggetti dannosi, di cui anzi tutela le diversee specifiche identit pur se devianti; nell'indirizzare il giudizio alla prova dei fatti e nonall'inquisizione sulle persone.

    Il diritto penale del nemico capovolge questo schema. Non pi la predisposizione

    6Leviathan, trad.it. a cura di R.Santi, Leviatano, Bompiani, Milano 2001, cap.XXVIII, 13, p.511.7E' il momento, celebrato nelle Eumenidi di Eschilo, del passaggio dalla giustizia privata alla giustiziadella citt, storicamente documentato dalla legge di Draconte del 620 a.C. Rinvio, in proposito, aDiritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Laterza, Roma-Bari 1989, cap.VI, 24.1, pp.327-329.

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    legale e l'accertamento giudiziario del fatto punibile ma l'identificazione del nemico,che inevitabilmente, non essendo mediata dalla prova di specifici fatti di inimicizia, sirisolve nell'identificazione, nella cattura e nella condanna dei sospetti. Il nemico deveinfatti essere punito per quel che non per quello che fa. Il presupposto della pena

    non la commissione di un reato, ma una qualit personale determinata volta a voltacon criteri puramente potestativi quali quella di "sospetto" o di "pericoloso". Nservono prove ma diagnosi e prognosi politiche. Ed chiaro che lo schema puampliarsi in molteplici direzioni: verso i pedofili, i mafiosi, i soggetti variamenteemarginati dalla societ, tutti informati invariabilmente alla concezione del delin-quente politico come "nemico" da sopprimere nell'interesse generale e alla suaidentificazione extra legem in base a criteri sostanzialistici e a strumenti inquisitori.Ci che conta, secondo questo modello, l'efficienza, insieme alla facile idea,propria del senso comune autoritario, che la giustizia deve guardare al reo dietro alreato, alla sua pericolosit dietro alla sua responsabilit, all'identit del nemico piche alla prova dei suoi atti d'inimicizia.

    Ne consegue una seconda deformazione, che investe la natura del giudizio penale.Questa mutazione sostanzialistica e soggettivistica del modello di legalit penaleall'insegna del nemico ha infatti per effetto il crollo di tutte le garanzie processuali. Seil delinquente e l'imputato sono nemici, il giudice a sua volta diventa "nemico del reo",secondo le parole di Beccaria8, e perde inevitabilmente ogni carattere di imparzialit.Lo schema dell'amico/nemico opera qui in due direzioni: in direzione del soggetto ein direzione dell'oggetto del giudizio.

    In primo luogo esso imprime una connotazione partigiana sia all'accusa che algiudizio, trasformando il processo in momento di "lotta" alla criminalit terroristica oaltrimenti organizzata: il processo non pi quello che Beccaria chiamava "processoinformativo, cio la ricerca indifferente del fatto" dove il giudice "un'indifferentericercatore del vero", ma divenuto quel che "chiamasi processo offensivo", dove "ilgiudice diviene nemico del reo, di un uomo incatenato..., e non cerca la verit delfatto, ma cerca nel prigioniero il delitto, e lo insidia, e crede di perdere se non viriesce, e di far torto a quell'infallibilit che l'uomo s'arroga in tutte le cose9".

    In secondo luogo lo schema si manifesta nell'alterazione dell'oggetto processuale,che direttamente consegue a quella delle fattispecie penali. Se il presupposto dellapena rappresentato, pi che da fatti delittuosi determinati, dalla sostanziale

    personalit terroristica o mafiosa del loro autore, il processo decade inevitabilmenteda procedura di verifica empirica delle ipotesi d'accusa in tecnica d'inquisizione sullapersona, cio sulla sua soggettivit sostanzialmente nemica od amica quale siesprime non tanto nei reati da lui commessi quanto nella sua identit politica oreligiosa, o nella sua condizione sociale o culturale, o nel suo ambiente e nei suoipercorsi di vita. Oggetto del giudizio, coerentemente alla nuova natura del processocome lotta, insomma non tanto solo se l'accusato abbia commesso un fattoterroristico o comunque criminale, ma se egli statoe se tuttoraun terrorista o unconnivente con il terrorismo.

    8Dei delitti e delle pene, a cura di Franco Venturi, Einaudi, Torino 1981, cit., 17, p.46.9Ibidem.

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    4. Linefficacia del diritto penale del nemico. Mezzi e fini penali

    Domandiamoci a questo punto se il nuovo paradigma sia quanto meno efficace nellalotta al terrorismo. Ci che intendo sostenere che il diritto penale, o meglio la

    repressione selvaggia e sregolata ammantata del nobile titolo di diritto penale, perdenon solo la sua legittimit, ma anche la sua efficacia. Perch perde la sua asimmetriacon il crimine.

    Torniamo alla questione del linguaggio. Perch era di fondamentale importanza laquestione se la strage dell'11 settembre era un crimine o un atto di guerra? Perch cos importante che il terrorismo sia considerato un fenomeno criminale e non unfenomeno bellico? Perch sono non solo diverse, ma opposte le risposte che lanostra civilt giuridica ha apprestato e sollecita nei confronti dei due fenomeni. A unatto di guerra si risponde, per respingerlo e neutralizzarlo, con la guerra di difesa econ la mobilitazione generale contro lo Stato aggressore. A un crimine, sia pure

    gravissimo, si risponde con il diritto penale, ossia con la punizione pur severissimadei colpevoli: non dunque con gli eserciti e i bombardamenti, ma con la polizia equindi, prima di tutto, con gli sforzi e le capacit investigative volte ad accertare leresponsabilit e a neutralizzare la rete complessa delle complicit che li ha sorretti econtinua a sorreggerli.

    chiaro, peraltro, che la strage dell'11 settembre 2001 non stata un atto di guerra,consistendo la guerra, secondo la classica definizione di Alberico Gentili in una"publicorum armorum contentio10" cio in un conflitto tra Stati, e precisamente traeserciti pubblici, cio tra forze statali riconoscibili come pubbliche. Laddove ilterrorismo consiste in una violenza diretta a seminare terrore tra vittime innocenti, adopera non certo di una forza "pubblica", ma di organizzazioni occulte, che operanoclandestinamente e si sono fin dall'inizio nascoste come sempre fanno i criminali. Aquella terribile strage si invece risposto con la guerra, proprio perch essa fuqualificata come un atto non solo terroristico ma anche di "guerra". E la guerra hacolpito, come nella sua logica, decine di migliaia di vittime innocenti scatenandoulteriori odi, violenze e fanatismi.

    Dobbiamo allora domandarci se la risposta della guerra, presentata come segno difermezza, non sia stata in realt un segno di debolezza e un atto di abdicazione dellaragione, oltre che del diritto; se non sia proprio la guerra, e perci la spirale

    inarrestabile della violenza e la sconfitta del diritto e della ragione, che i terroristiperseguono come loro principale obiettivo strategico; se al contrario non sia propriola risposta del diritto anzich della guerra ad avere la massima efficacia e valenzasimbolica ai fini dell'isolamento e della sconfitta del terrorismo.

    E' infatti evidente che il terrorismo internazionale, consistendo in una rete diorganizzazioni clandestine ramificate in decine di paesi, pu essere affrontato ebattuto solo da una rete di forze poliziesche, cio con operazioni di polizia dirette aidentificarne i capi, le strutture, i finanziamenti e le complicit. Certamente sarebbestato possibile, all'indomani dell'11 settembre e grazie alla generale solidarietmanifestatasi allora nei confronti degli Stati Uniti, una mobilitazione delle polizie e dei

    servizi segreti di mezzo mondo al fine della cattura dei colpevoli e dell'identificazione10A.Gentili, De iure belli libri tres, (1588), a cura di J.Brown Scott, At the Clarendon Press, Oxford1933, lib.I, cap.I, p.12.

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    della rete dei loro accoliti: senza il clamore e la spettacolarit della guerra, ma con imetodi ben pi efficaci della segretezza, del coordinamento delle indagini,dell'identificazione delle organizzazioni terroristiche e, ovviamente, di un impiegodella forza finalizzato a disarmarne i componenti e ad assicurarli alla giustizia. Ne

    sarebbero risultate accresciute, a livello mondiale, la credibilit dell'Occidente e deglistessi Stati Uniti. Forse sarebbe stato anche possibile, su queste basi, favorire ilcrollo pacifico del regime dei talebani, che si reggeva soprattutto sugli aiuti economicie militari del Pakistan, e perfino del regime di Saddam Hussein. Sicuramente, sefossero prevalse la pazienza e la ragione, oggi il terrorismo sarebbe assai pi isolatoe vulnerabile.

    La guerra invece con le sue inutili devastazioni - non meno delle retateindiscriminate, delle torture, dei sequestri di persona: in breve, del diritto penale delnemico - pu solo aggravare, come benzina sul fuoco, i problemi che pretende dirisolvere. Pu soddisfare la sete di vendetta, per di pi a danno di vittime innocenti.

    Pu galvanizzare e mobilitare le opinioni pubbliche ed offrire perci un contingentesostegno alle politiche emergenziali dei governi. Ma certo non serve a colpire leorganizzazioni terroristiche, che ha al contrario l'effetto di rafforzare alimentando ilterreno di cultura del fanatismo. E' proprio la provocazione della guerra, infatti, loscopo di ogni terrorismo, dato che come guerra, simmetricamente, esso si propone ecome tale vuol essere riconosciuto.

    Per questo la risposta al terrorismo tanto pi efficace quanto pi asimmetrica:quanto pi il terrorismo non viene elevato al livello di uno Stato belligerante e le sueaggressioni sono riconosciute come crimini e non gi come atti di guerra; quantomeno ad esso non si risponde con la logica primitiva della guerra e del diritto penaledel nemico, perfettamente simmetrica a quella del terrorismo perch anch'essaopposta alla logica del diritto e inevitabilmente rivolta contro persone innocenti.Giacch pur vero che il terrorismo un fenomeno politico che va capito efronteggiato anche, e soprattutto, politicamente. Ma proprio nell'asimmetria rispettoad esso convenzionalmente stabilita dalla sua qualificazione giuridica come "crimine"- violenza privata pur se transnazionale, al pari della pirateria, e non gi violenzapubblica, come invece la pena e l'intervento di polizia - che risiede il segreto delsuo depotenziamento ed isolamento e perci del ruolo del diritto quale fattore di pacee civilizzazione: strumento, appunto, del trapasso dallo stato di guerra allo stato didiritto, dalla societ selvaggia alla societ civile.

    Tanto meno la guerra e la logica dell'amico/nemico possono essere uno strumento dimantenimento dell'ordine internazionale, come stato vagheggiato nei documentistrategici dell'Amministrazione del presidente George W. Bush11. Non a caso la

    11Nel Project for a New American Century, elaborato nel 1998 dai principali collaboratori di GeorgeW.Bush prima della sua elezione, si afferma che gli Stati Uniti non dovranno mai pi tollerare potenzeindustriali o militari concorrenti sulla scena internazionale. Questo progetto imperiale stato ribaditoossessivamente, con toni da crociata, in tutti gli interventi pubblici del presidente Bush successivi al-l'11 settembre: in particolare nel discorso del 14 settembre 2001 in cui fu dichiarata la guerra infinitaper "liberare il mondo dal male" e nella dichiarazione della guerra preventiva "di durata indefinibile"contenuta nel documento strategico del 17 settembre 2001. Si vedano i documenti nei quali esposta

    questa nuova dottrina strategica in AA.VV., Da Bush a Bush. La nuova dottrina strategica attraverso idocumenti ufficiali (1991-2003), La Citt del Sole, 2004; G.Mammarella, Liberali e conservatori.L'America da Nixon a Bush, Laterza, Roma-Bari 2004; G.Borgognone, La destra americana.Dall'isolazionismo ai neocon, Laterza, Roma-Bari, 2004.

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    guerra preventiva al terrorismo stata in tali documenti prefigurata come "infinita".Giacch, diversamente dalle guerre in senso proprio, che si concludono sempre conla sconfitta di uno degli Stati contendenti e perci con la pace, una guerra preventivaa una violenza privata, come appunto il terrorismo, inevitabilmente permanente, e

    la sua dichiarazione equivale a prospettare una regressione planetaria delle relazioniinternazionali al bellum omnium, cio alla guerra infinita propria dello stato precivile eselvaggio: quando nel ciclo della violenza non era stato ancora interposto l'interventoasimmetrico del diritto quale strumento di civilizzazione dei conflitti, tramite la messaal bando, come delitti, della vendetta e della rappresaglia.

    Terrorismo e guerra, infatti, si alimentano l'un l'altra. N la guerra potr maisconfiggere il terrorismo, n il terrorismo potr mai sconfiggere la guerra. Tendonosemmai ad assomigliarsi, l'uno e l'altra come violenze indiscriminate che colpisconoe terrorizzano gli innocenti. Soltanto l'intervento del diritto pu interrompere la spirale.In tanto, infatti, le violenze terroristiche - le stragi, gli assassinii, i sequestri di

    persona, le decapitazioni di persone innocenti - sono identificabili e riconoscibili comecrimini e come tali depotenziabili politicamente e delegittimabili giuridicamente, inquanto ad esse gli Stati reagiscano con gli strumenti del diritto: con l'accertamentodelle responsabilit, con le garanzie del corretto processo, con l'applicazione dellepene previste dalla legge. E' in questa asimmetria, assicurata appunto dalle formegiuridiche, che risiedono, ripeto, la differenza, anzi l'antinomia e la contrapposizione,non solo tra diritto e guerra, ma anche tra diritto e terrorismo e la capacit disqualificazione e neutralizzazione del secondo ad opera del primo. Ed nel venirmeno di questa asimmetria tra Stato e terrorismo, tra la reazione legale alla violenzacriminale e la criminalit medesima, la causa profonda del fallimento della guerra"preventiva" e del diritto penale del nemico.

    La risposta della guerra illegale e della repressione selvaggia a sua volta esse stesseterroristiche, annullando l'asimmetria tra istituzioni pubbliche e organizzazioniterroristiche, ha privato le prime della loro maggior forza politica, abbassandole allivello delle seconde o, che lo stesso, elevando le seconde al livello delle primequali Stati nemici e belligeranti. Ne prova il fatto che il terrorismo non stato affattodebellato dalla guerra in Afghanistan n da quella contro l'Iraq, nel corso delle qualisono sopravvissuti i suoi principali capi e responsabili, a cominciare da Osama BinLaden. Al contrario, ha consolidato le basi di consenso e le capacit di reclutamentodel terrorismo, accrescendo l'insicurezza e insieme l'antiamericanismo in tutto il

    mondo.E' cos che l'illiceit della guerra e del diritto penale del nemico si confermata comeil riflesso della sua inidoneit quale "mezzo" rispetto a qualunque fine presentatocome sua "giusta causa". Questa irrazionale incongruenza non casuale. Essa latragica conferma del nesso indissolubile che lega diritto e ragione, legalit esicurezza, mezzi e fini, forme e sostanza degli strumenti, anche coercitivi, di tuteladei deboli contro la legge del pi forte.

    5. Fondamentalismo occidentale. Lalternativa del diritto e della ragione

    Alla base di questa perdita della ragione nella risposta al terrorismo c' unaregressione ideale e culturale delle societ occidentali, alimentata dalla paura per il

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    diverso e insieme interpretata e assecondata, come facile base del consenso, daigoverni, dalla maggioranza delle forze politiche e dai media. Gran parte dell'opinionepubblica dei paesi ricchi vive la globalizzazione e i suoi effetti - le immigrazioniclandestine di massa, la concorrenza delle produzioni dei paesi poveri,

    l'impoverimento dei ceti medi e marginali e lo stesso spettacolo della miseria, dellafame e delle malattie di cui vittima gran parte della popolazione mondiale - come unattentato e una minaccia permanente alla propria sicurezza, alla propria identit, aipropri livelli di benessere.

    Di qui lo sviluppo, negli Stati Uniti e in Europa, di movimenti razzisti e xenofobi, chehanno riscoperto un'antropologia della disuguaglianza fondata sull'oggettivazionecome entit naturali, organiche, unitarie e monolitiche delle culture e delle comunitlocali e sulla demonizzazione delle culture straniere e diverse. Di qui l'opzione per laviolenza e per l'esclusione, all'insegna dell'opposizione amico/nemico, econseguentemente per la demolizione delle stesse libert fondamentali quale prezzo

    necessario di un'illusoria sicurezza. l'impero della paura, costruito negli Stati Uniti,secondo l'ipotesi di Benjamin Barber12, che rischia di espandersi a livello globale.

    Si misura pi che mai su questo terreno la tendenziale degenerazionefondamentalista delle democrazie occidentali, dovuta alla loro incapacit di pacificaconvivenza con il resto del mondo: una degenerazione di cui il paradigma del nemico il sintomo pi eloquente e che contraddice la laicit delle istituzioni. La guerraodierna, si visto, ha assunto connotati terroristici, configurandosi sempre piapertamente come sterminio di massa che colpisce soprattutto popolazioni inermi. Lasua immoralit e la sua illegalit sono perci cos radicali che essa ha potuto inquesti anni essere rilanciata, dopo il suo solenne ripudio come "flagello" da partedella Carta dell'Onu e di molte costituzioni nazionali, soltanto per sconfiggere ilnemico quale male assoluto in nome di una morale a sua volta assoluta, segno di unnuovo fondamentalismo, opposto ma simmetrico a quello da cui animato ilterrorismo. Sembra di assistere, sotto questo aspetto, a un ritorno alle vecchie guerredi religione. Non un caso che a questa visione manichea - lo scontro di civilt di cuiha parlato Samuel Huntington - concorra la contrapposizione al fondamentalismoislamico, anzich dei principi della laicit e della tolleranza, della religione cristiana,rilanciata in questi anni come fattore di identit dell'Occidente.

    Di qui i ripetuti richiami a Dio dei "teo-cons" americani e gli insostenibili ossimori con

    cui stata riesumata e ribattezzata l'antica categoria della guerra giusta: come"guerra etica", o "umanitaria", o "in difesa dei diritti umani", come in Kosovo, o della"sicurezza internazionale", della democrazia e perfino della pace, come in Iraq.All'autoidentificazione con il Bene nella lotta contro il Male si associano d'altro cantoaltri due tratti caratteristici del fondamentalismo: l'idea etico-cognitivistica secondo cuiil Bene anche il Vero, che perci non tollera dubbi e dissensi, e insieme il principioche il fine giustifica i mezzi, inclusa paradossalmente la menzogna, come avvenutocon la falsa accusa al regime irakeno, a sostegno dell'ultima guerra, di essere colluso

    12B.R.Barber, Ferar's Empire. War, Terrorism and Democracy, (2003), trad.it., L'impero della paura.Potenza e impotenza dell'America nel nuovo millennio, Einaudi, Torino 2004. Si veda anche R.Falk,L'eclisse dei diritti umani, in L.Bimbi (a cura di), Not in my name. Guerra e diritto, Editori Riuniti, Roma

    2003, pp. 72-86. Sul ruolo della disinformazione e delle falsificazioni, promosse da apparati dei servizisegreti e amplificate dai media, nella costruzione della paura per il terrorismo, si veda il documentatostudio di C.Bonini e G.D'Avanzo, Il mercato della paura. La guerra al terrorismo islamico nel grande in-ganno italiano, Einaudi, Torino 2006.

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    con il terrorismo e in possesso di armi di distruzioni di massa. E' poi evidente che irichiami etico-religiosi ai valori dell'Occidente e alla lotta del Bene contro il Maleservono ottimamente a coprire i veri interessi in gioco: quelli di un'economiapredatoria e, per altro verso, di un potere militare e politico che non tollerano regole

    n limiti n controlli.

    Naturalmente, proprio la pretesa di incarnare il bene ed il vero contro il male ha pereffetto l'incomprensione della realt del terrorismo, impedita da una suarappresentazione semplificata e manichea. Espressioni generiche come "terrorismo","jiad islamica mondiale" hanno assunto nel linguaggio politico significatiindeterminati, idonei ad accomunare le forme pi diverse di fanatismo, originate incontesti e da moventi diversi - religiosi, nazionalistici o semplicemente politici - einsieme qualunque forma di resistenza e di opposizione. Ma proprio questagenericit del linguaggio, che accomuna fenomeni eterogenei sotto un'unica etichettarischia di favorire l'alleanza tra i diversi terrorismi e insieme di precludere, con la

    semplificazione manichea, qualunque conoscenza del fenomeno che s'intendecombattere. L'intero mondo arabo o quanto meno le sue manifestazioni politiche dirifiuto dell'Occidente vengono cos identificate con l'Islam, assunto a sua volta comeil terreno di coltura del terrorismo. A sua volta il fenomeno terroristico vienerappresentato come un'entit unitaria - Al Quaeda, con un unico capo, Osama BinLaden - dietro cui ci sarebbe volta a volta uno Stato diverso: ieri l'Afghanistan, poil'Iraq, domani l'Iran, da aggredire e distruggere. Ovviamente queste immagini nonhanno nulla a che vedere con la realt. Il terrorismo islamico formato da gruppidiversi e disparati, diffusi variamente in Iraq, in Cecenia, in Egitto, in Indonesia e inEuropa: talora in rapporti tra loro, ma ciascuno con storie, identit e motivazionidiverse, che solo i bombardamenti e i carri armati, e per altro verso la povert el'ignoranza, possono accomunare all'insegna di un odio generalizzato perl'Occidente. Esso va perci fronteggiato, anzich con la guerra, con investigazionidifferenziate di polizia nei tempi brevi e promuovendo lo sviluppo economico eculturale nei tempi lunghi.

    Insomma, se lo scopo del terrorismo la guerra e le sue armi sono la paura, il ricattodelle democrazie e l'offuscamento dei loro principi e valori, bisogna riconoscere cheesso, grazie alla risposta americana della guerra, all'estromissione dell'Onu, alletorture e alla repressione selvaggia informate all'idea del nemico, si sta realizzando.La strategia militare degli Stati Uniti nella lotta al terrorismo si rivelata tragicamente

    fallimentare. Due guerre contro altrettanti Stati, quando le organizzazioni terroristicheconsistono in svariate reti clandestine composte da individui senza volto, hannoavuto il solo effetto di assecondare il terrorismo, di logorare le nostre democrazie, diaccrescere l'insicurezza e di ridurre le libert civili.

    Di pi: si sta realizzando, grazie a questa confusione tra guerra e punizione, unaregressione allo stato di natura dell'intera convivenza internazionale. Giacch lenuove guerre sono "preventive" e insieme "infinite": nel senso che sono punizioniesemplari inflitte agli Stati volta a volta etichettati come "Stati canaglia". Hanno lastessa funzione dell'uso terroristico del diritto penale in un ordinamento dispotico. Lostrumento la forza delle armi in funzione repressiva, oltre che preventiva. Il

    messaggio la mancanza di limiti e di remore. Il criterio, oltre al mantenimentodell'ordine globale, la vendetta - due guerre, in Afghanistan e in Iraq, dopo la stragedelle Twin Towers - nel senso primitivo di vendetta del sangue che colpisce il gruppo

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    avverso, incluso l'innocente.

    Di fronte a questi processi, il compito della cultura giuridica e della giurisdizione quello di ristabilire la radicale asimmetria tra diritto e crimine, tra istituzioni e

    terrorismo, tra imputati e nemici. La ragione giuridica dello stato di diritto, infatti, nonconosce nemici ed amici, ma solo colpevoli e innocenti. Non ammette eccezione alleregole se non come fatto extra- o anti-giuridico, dato che le regole - se sono presesul serio, come regole, e non come semplici tecniche - non possono essere piegateogni qual volta fa comodo. E nella giurisdizione il fine non giustifica mai i mezzi, datoche i mezzi, ossia le regole e le forme, sono le garanzie di verit e di libert, e cometali hanno valore per i momenti difficili ben pi che per quelli facili; mentre il finenon gi il successo comunque sul nemico, ma la verit processuale raggiunta solo perloro mezzo e pregiudicata dal loro abbandono. Contrapporre alla sfida del terrorismol'alternativa del diritto e della ragione essenziale per salvaguardare non solo iprincipi di garanzia del corretto processo ma anche il futuro della democrazia.