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Popoli senza terra: mare e migrazioni

Fenici, Ebrei, Cretesi, Micenei

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I Fenici furono un popolo originariamente insediatosi sulle coste orientali del mar Mediterraneo, nei pressi dell'attuale Libano, e del quale si ha notizia fin dal XXI secolo a.C. La civiltà fenicia viene ricollegata ai Cananei dell'antica Palestina, che abitarono nel sud della stessa regione, essendo nei fatti i fenici indistinguibili per lingua (se non per variazioni dialettali) e cultura dal resto dei popoli cananei. Essi furono soprattutto un popolo di pescatori e navigatori: conoscevano e sapevano tracciare le rotte ed erano in grado di navigare di notte, prendendo come riferimento la Stella Polare. Praticavano la navigazione sottocosta, per poter attraccare in caso di difficoltà, fare rifornimento di acqua dolce e viveri e commerciare con le popolazioni locali. Seppero produrre, con il legno di cedro, navi molto robuste, adatte per il commercio, che potevano contenere grandi quantità di merci. Origini dell'etnonimo

Il termine "fenici" viene fatto risalire alla parola greca φοίνικες (Phoinikes) (attestata già in Omero come nome di questo popolo), che probabilmente era un termine per designarli e non la parola con cui essi designavano se stessi; d'altra parte non risulta che i Fenici si siano mai dati una denominazione "complessiva", oltre alle denominazioni delle singole città. L'origine di Phoinikes sarebbe da collegarsi al termine φοῖνιξ (phoinix), ossia "rosso porpora (murici, che erano dei molluschi )". Phoinikes indicava il popolo e Phoinike la regione. Le fonti antiche rimarcano più volte come la lavorazione dei gusci dei murici (dai quali si otteneva il pigmento rosso-porpora) fosse una fiorente industria dei Fenici. Purtroppo l'archeologia non restituisce dati relativi a confermare quello che si può leggere nelle fonti perché gli stessi residui di lavorazione (costituiti dai gusci dei murici) venivano successivamente impiegati per la produzione di calce. È peraltro possibile che il nome comune ("porpora") derivi dal nome proprio. Analogo discorso per la parola "cananei", che veniva usata a Ebla (III millennio a.C.) e nell'Antico Testamento, forse connessa con l'accadico kinakhkhu, sempre per indicare la stessa tonalità di colore; l'uso del termine "sidonii" è invece attestato solamente da parte dei Greci e nell'Antico Testamento. Se l'attribuzione di un nome unitario a questo popolo si deve soprattutto ai Greci, dall'altro la maggior parte della documentazione orientale privilegia le singole città come protagoniste della storia fenicia. In generale, quindi, sono scarsi e poco frequenti i nomi che designano i Fenici come unità, a causa del loro frazionamento: il dibattito sull'esistenza di una loro nazione ha portato a supporre una sorta di confederazione marinara. Di ciò non si possiedono molte tracce, ma viene supposto dal patrimonio culturale comune esistente. I confini cronologici della loro presenza storica sono molto ampi: si attesta una presenza umana sulla costa libanese sin dall'epoca preistorica. L'inizio risale agli anni 1200 a.C., punto di cesura e di partenza per la storia fenicia, anche se si trovano strutture insediative simili (città-stato) sia prima, sia dopo. Il termine finale per la civiltà fenicia è il 333 a.C., data della conquista dell'Oriente ad opera di Alessandro Magno. Storia

Le fasi principali dell'epoca propriamente fenicia, anche se con scarsa documentazione babilonese; 539-330 a.C., età del dominio persiano. I confini geografici sono invece costituiti dalla costa siro-palestinese: a nord le città di Arwad e Shukshu, a sud Acco, ad ovest la costa mediterranea, ad est la catena del Libano: si tratta di una regione compressa fra la terra e il mare, con una separazione storica dall'entroterra. L'interazione con l'interno avviene soprattutto per il commercio del legno, in particolare il cedro libanese. La circolazione ovest-est (orizzontale) riscontra pochi passaggi, mentre quella nord-sud (verticale) avviene per via marittima. Le città erano fondate sui promontori della costa, con uno o più porti ed un hinterland fino alle montagne (cosiddette "città-stato"); quando possibile venivano utilizzati gli isolotti antistanti la costa, per essere meglio fortificati. Il clima comporta d'inverno piogge fertilizzanti, mentre d'estate la stagione è secca, ma mitigata dall'irrigazione. L'economia si basava principalmente sull'agricoltura (coltivazione del grano, dell'ulivo, della vite,della frutta,in particolare fichi e sicomori), sulla lavorazione del legno e sulla pesca. Erano inoltre esperti di tecniche della lavorazione del bronzo, dell'avorio, dei tessuti e della conchiglia per la porpora. Le risorse erano notevoli, utilizzabili però totalmente in un contesto di scambi. A causa del naufragio della letteratura fenicia per il materiale scrittorio utilizzato, il papiro, si hanno fonti per lo più esterne. Esistono testi epigrafici diretti, con lo svantaggio di essere stereotipati e laconici: l'inizio dell'uso monumentale è testimoniato dal sarcofago di Ahiram di Biblo (circa 1000 a.C.). Si conoscono anche testi lapidati arcaici (X-IX secolo a.C.), iscrizioni dinastiche (che provano legami ideologici con l'Egitto, soprattutto a Biblo), iscrizioni dell'epoca persiana, funerarie e testimonianze devozionali (da Sidone) e testi funerari (da Tiro). I principali testi esterni sono gli annali assiri, le cronache babilonesi, le iscrizioni persiane, i testi egizi (in particolare il testo di Wenamun e Amarna), l'Antico Testamento, e gli autori classici, che mostrano dei topi di furbizia, disonestà, intraprendenza, soprattutto dalla

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tradizione erudita, eccezion fatta per Erodoto e gli storici di Alessandro Magno. Una fonte indiretta sono i cosiddetti Annali di Tiro, citati da Giuseppe Flavio attraverso Menandro di Efeso, che coprono i X-VIII e VI secoli a.C., e testimoniano l'esistenza di una tradizione storiografica locale. Le fonti archeologiche sono difficilmente accordabili alle fonti scritte, anche perché è complesso individuare dei marcatori culturali specificamente fenici. Prima dei Fenici

Nel I millennio a.C. la Fenicia viene integrata nei grandi imperi, anche se riesce comunque ad espandersi. Benché l'indagine archeologica sia stata difficoltosa, si hanno notizie dal III millennio a.C. di occupazioni di Biblo e Tiro. Sono frequenti le campagne egiziane a scopo soprattutto commerciale, con alcune colonie di mercanti; nel XIV secolo a.C. si affermano Mitanni e gli Ittiti, con un consolidamento parallelo egizio ed una probabile divisione del territorio siro-cananaico in distretti: nelle lettere di El-Amarna si citano infatti le regioni di Canaan, Upu (nei dintorni di Damasco) e Amurru. Le città appaiono prospere, con una certa autonomia ed un territorio ed una cultura propri. Nel XIII secolo a.C. avvengono i primi contatti commerciali con Ciprioti e Micenei, ed inviano coloni a spingersi verso nuovi lidi sempre più ad ovest. Nel 1200 a.C. giungono i Popoli del Mare, ed avviene il conseguente crollo del sistema palatino regionale, contemporaneamente degli altri stati e palazzi. Si hanno tracce di distruzione più labili in Fenicia, con solamente una contrazione degli abitati ed un impoverimento generale. La decadenza del prestigio egiziano, dovuto all'abbandono dei possedimenti asiatici, dona l'opportunità alle città fenice di svilupparsi: indizio di questa situazione è l'episodio di Wenamon a Biblo con Zakarbaal. Età dell'autonomia politica

Nel XI secolo si osserva un arricchimento ed un'espansione, il cui centro propulsore è Sidone: da Giustino si ha notizia della fondazione di Tiro. In realtà la città è conosciuta archeologicamente prima di questo periodo, dunque si crede che la città in quest'occasione venne rifondata storicamente. Il secolo successivo è il periodo del predominio di Tiro, con un commercio marittimo sviluppato da Cipro all'Egeo, fino in Anatolia: iniziano a creare veri punti di appoggio, non più solamente frequentazioni occasionali. Protagonista dell'ascesa tiria è re Hiram I (969-936 a.C.) che congiunge le due isole, stringe un'alleanza con Davide e Salomone (come riportato nell'Antico Testamento) e compie una spedizione a Kition (riportata negli Annali di Tiro); forse Israele controllava le vie di comunicazione, e questa sarebbe la ragione dell'alleanza. Sale al trono una nuova dinastia con Ittobaal (887-856 a.C.), che rinnova l'alleanza israelita col matrimonio della figlia; intanto la diplomazia fenicia tende ad appoggiarsi all'Egitto in opposizione agli Assiri. Età assira

Nel IX secolo a.C. si avvicinarono infatti gli Assiri, attratti dalle ricchezze dei porti: Assurnasirpal II comincia ad interessarsi alla zona, ma è con Salmanassar III che avviene la battaglia di Qarqar (853 a.C.), dall'esito storicamente dubbio. Nell'VIII secolo a.C. il dominio assiro è pressante a causa dei tributi che impone alla città della costa: viene inaugurata una nuova espansione con Tiglatpileser III, che determina la fine dell'indipendenza fenicia per le città settentrionali. Salmanassar V conquista Samaria, mentre Sargon II occupa Cipro. Contro Sennacherib si organizza una coalizione siro-fenicia, ma che vede in seguito la fine del regno unito di Sidone e Tiro, da cui il re Luli viene cacciato. Nel VII secolo Asarhaddon, con l'aiuto di Tiro, conquista Sidone nel 677 a.C., la quale viene totalmente distrutta: Tiro rientra in possesso dei suoi territori ed acquista un nuovo predominio. La ribellione di Tiro nel 671 a.C. causa un pesante vassallaggio, anche se ormai l'Assiria è molto più debole sotto Assurbanipal, che riorganizza le province locali in Simira a nord, Sidone al centro, e Tiro (Ushu) a sud. Età babilonese e persiana

L'impero assiro cade nel 547 a.C., a cui segue Nabucodonossor II (604-562 a.C.), che viene contrastato da una coalizione fenicia ed egiziana, con cui si scontra nella battaglia di Karkemiš nel 604 a.C. L'assedio di Tiro dura tredici anni, ed una volta conquistata viene governata da sette sufeti, ossia giudici locali. L'impero vede il suo declino con Nabonedo: subentrano i Persiani, che vengono accolti con favore, dato che promuovono prosperità e autonomia. Ciro II il Grande (559-530 a.C.) ottiene la sottomissione volontaria dei re fenici, Cambise II (530-522 a.C.) effettua una campagna in Egitto, appoggiata dai Fenici, mentre Dario I (521-486 a.C.) riorganizza l'impero in satrapie, istituendo la quinta per la Fenicia, ossia la Transeufratene; Sidone ottiene un certo predominio con la dinastia di Eshmunazar I, Tabnit, Eshmunazar II, Bodashtart. I contatti interni col mondo greco comportano molti influssi artistici filelleni. Fra il V ed il IV secolo a.C. avviene la rivolta dei satrapi, fra cui la stessa Sidone che si ribella e viene massacrata e la popolazione deportata da Artaserse III.

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Età ellenistica e romana

Una volta ricostruita Sidone nel 345 a.C., poiché fondamentale base strategica, si arrende spontaneamente insieme ad Arwad e Biblo all'arrivo di Alessandro. Tiro si oppone e viene cinta d'assedio: il conquistatore unisce l'isola alla terraferma e conquista la città, che tuttavia mostra in seguito una ripresa. La cultura greca, già nota dai commerci, presenta un'accelerazione dell'ellenizzazione: gli influssi artistici e le assimilazioni divine evidenziano un'interazione fra le due culture (Bonnet), ed un fatto lento e con ritorni (Moscati). Dal I secolo a.C. si osserva l'intervento di Roma, che nel 64 a.C. istituisce la provincia di Siria, comprendendo le città fenicie. Il periodo sarà economicamente benefico, arricchito dallo splendore delle città di Tiro e Beirut. I Fenici s'insediarono in queste terre intorno al 2000 a. C. Dopo aver tolto le tribù dalla Regione SIRO-PALESTINESE e provocando l'indebolimento del popolo ITTITA essi s'insediarono nell'odierno LIBANO. In un primo momento essi si occuparono solo ed esclusivamente d'agricoltura, ma in seguito capirono che non era la cosa giusta da sfruttare. Si dedicarono per prima alla pesca e in ultimo al commercio d'ogni materiale. Essi si dedicarono anche alla navigazione, infatti, dal mare estrassero la PORPORA dal mollusco MURICE che se servono per tingere i tessuti come lino e altri pregiati. Per i Fenici, il Mare divenne una vera e propria risorsa, non solo per la porpora, ma anche per la NAVIGAZIONE, infatti, con questa allargarono i loro confini conoscendo nuove popolazioni che per le altre civiltà erano sconosciute. Essi ricavano il materiale per costruire le navi dalle loro montagne che più comunemente conosciute come la Catene del Libano. Le loro navi erano lunghe e strette, capaci affrontare viaggi faticosi e talvolta molto pericolosi. Le loro navi erano formate da:

1. SCAVO: da una Chiglia, la loro invenzione che porta grandi vantaggi nella navigazione questo perché la rendeva più resistente delle altre, dove vi era collegata un'ASSE CENTRALE che era messa ad intervalli di spazio per determinare la prua e la poppa. Nello scavo c'era anche degli assi trasversali che fungevano da costole che servivano per rendere più resistenti la nave.

2. PONTE formato da travi, che permettevano di camminare sopra lo scavo. 3. LA VELA: sostenuta al centro da un ALBERO, ed era di quadrato o rettangolare capace di sfruttare il vento che

proveniva da dietro. 4. I REMI essi assicuravano di spostarsi e quindi di avanzare nella navigazione anche senza vento, manovrati da

persone (SCHIAVI o REMATORI) sui due lati. A volte remavano anche quando c'era il vento questo perché così facendo andavano più veloci nella sua corsa.

5. TIMONE era la più grande invenzione dei Fenici. Essa serviva per manovrare meglio la neve durante navigazione. All'epoca era molto primitiva, infatti, erano due enormi remi che messi a prua consentivano di manovrare la nave in corsa.

Si otteneva così un'imbarcazione alta e robusta, grado di affrontare il mare aperto. Grazie alla chiglia che affondava nell'acqua, essa era in grado di mantenere la propria direzione anche alla presenza d'onde laterali. La NAVIGAZIONE si formò molto prima delle costruzioni delle navi, infatti, già conosciuta specialmente dai pescatori anche se non erano esperti del mare aperto. In seguito, con la costruzione delle navi, scoprirono altre cose che le altre popolazioni non conoscevano come orientarsi nella notte oppure come navigare in campi molto aperti e sapere dove si va. Nel corso dei loro viaggi i Fenici svilupparono moltissimo le TECNICHE DI NAVIGAZIONE. Durante il giorno stimavano il PUNTO in cui si trovava l'imbarcazione prendendo come riferimento la posizione del sole e le caratteristiche della costa; di notte si orientavano osservando le Stelle, in particolare osservando la STELLA POLARE, conosciuta in antico col nome di STELLA FENICIA. In seguito ai loro viaggi perfezionarono l'ANCORA, costruita non più da una semplice pietra, come in precedenza, ma da una sbarra di legno con un braccio di ferro posto in croce. Essa poteva così affondare nella sabbia o incastrarsi fra la rocce del fondo. Cultura e religione

Società

La monarchia domina su ogni città-stato: ognuna era un'entità autonoma, composta dall'abitato e dalla campagna circostante. Le dinastie sono più o meno stabili ed ereditarie. Il re gode di grande prestigio e potere: c'è una certa continuità politico-istituzionale tra la fine dell'età del Bronzo e del Ferro. A volte appare un'assemblea cittadina, e comunque un affiancamento degli anziani, che prendevano decisioni al posto del re, o molto probabilmente erano esponenti delle classi mercantili. In più erano presenti governatori assiri e sufeti, particolarmente in epoca

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neobabilonese a Tiro. Le iscrizioni reali da Sidone, Tiro e Biblo mostrano le missioni del re, ossia far vivere il popolo e vigilare sul culto; a Sidone la dea Astarte è la protettrice dei sovrani, che sono scelti dagli dei secondo virtù, che sono personificazioni divine (giustizia e rettitudine). I poteri del re esistono in ambito legislativo, giudiziario, economico, militare e rituale; anche la regina e la regina madre esercitavano un certo potere. Alla centralizzazione dell'età del Bronzo si contrappone una certa intraprendenza dei privati nell'epoca del Ferro. Non si hanno prove di un culto funerario per i monarchi, probabilmente plausibile: lo stesso dio Milk era letteralmente "re divinizzato". Dal IV secolo a.C. è attestata un'assemblea democratica che raggruppa tutti i cittadini, con maggiore rilievo in età persiana; in più vi erano sicuramente altre magistrature individuali e collettive. La gerarchia dei diritti e dei doveri avveniva su una logica binaria: liberi-schiavi, uomo-donna, cittadini-stranieri, di cui i gruppi propulsori erano l'ambiente palatino e le grandi famiglie, soprattutto di commercianti ed imprenditori. Cittadino poteva essere il maschio nato da cittadini; non si hanno notizie sulla condizione del mondo rurale. Gli influssi greci sono osservabili nell'evergetismo (beneficenza per una città), la prossenia (l'ostilità fra Greci e Fenici) e la poliadizzazione. A proposito della condizione degli schiavi, si hanno notizie di una ribellione a Tiro nel IV secolo a.C.; ma le condizioni sono molto variabili, anche con possibilità di affrancamento; va ricordato che i Fenici erano celebri per il commercio schiavistico. La Fenicia era molto aperta agli stranieri, per scopi prettamente commerciali. Non si conoscono dati precisi sulle procedure di ammissione, ma spesso si autogestivano in base ad accordi: ad esempio i Greci erano riuniti in associazioni professionali, a sfondo etnico e religioso. Scrittura e lingua

Il più importante elemento culturale che si suole ascrivere alla civiltà fenicia è l'invenzione dell'alfabeto. La lingua fenicia, infatti, è stata scritta a partire dalla fine del II millennio a.C. mediante un alfabeto, di tipo consonantico, con ventidue segni scritti da destra verso sinistra. Esso costituisce il punto di arrivo di una lunga evoluzione, che probabilmente prende le mosse dai segni della scrittura detta "protocananaica", a sua volta forse originata da modelli egiziani sulla base di un principio acrofonico. Tale scrittura venne in seguito adottata anche da altri popoli circostanti e dette origine a una serie di altre scritture alfabetiche, non solo semitiche (anche l'alfabeto greco e quello latino derivano in ultima istanza da quello fenicio). Un indubbio, anche se fin qui imprecisato, legame esiste anche con l'alfabeto ugaritico, che ha il medesimo ordine alfabetico e i cui segni possono in gran parte costituire una "resa" con tratti a forma di cuneo di disegni "lineari" come quelli protocananaici e fenici. Quanto alla classificazione linguistica del fenicio, esso fa parte del ramo cananaico del semitico nordoccidentale, insieme all'ebraico e al moabitico. Nella madrepatria si suppone che il fenicio sia stato in uso fin verso l'era cristiana. La sua varietà parlata a Cartagine (punico) era ancora parlata ai tempi di sant'Agostino. Iscrizioni in fenicio al di fuori della madrepatria sono state individuate in Cilicia e Siria fin dall'VIII secolo a.C., ma se ne trovano un po' dovunque nel bacino del Mediterraneo. Il fenicio era diviso in diversi dialetti nelle diverse città, in particolare Sidone e Tiro. Una varietà del dialetto tirio era parlata dai coloni di Cartagine, ed è nota col nome di punico (spesso in linguistica si parla di "fenicio-punico"), che a sua volta è attestata in molte località del Mediterraneo occidentale che da Cartagine vennero colonizzate. Alcuni testi in punico ci sono giunti attraverso una trascrizione latina (comprendente anche le vocali) in alcuni passi del Poenulus di Plauto. Anche la stele di Nora, ritrovata nell'omonima località presso Cagliari in Sardegna, è un importantissimo reperto in caratteri fenici. Mitologia

Le fonti per la religione fenicia sono le iscrizioni dalle città fenicie per i nomi divini, anche se non si possiedono scritti mitologici, liturgici o profetici. Gli autori principali sono: Sancuniatone, sacerdote di Beirut (XII secolo a.C.), riportato da Filone di Biblo, giuntoci attraverso Eusebio, con dubbi sull'autenticità; Damascio, neoplatonico (V secolo a.C.), che cita una cosmogonia di Mecio; Plutarco e Luciano, che forniscono dati sulle credenze; l'Antico Testamento, soprattutto riguardo ai Cananei; i testi di Ugarit, anche se non direttamente comparabile; le fonti puniche, anche se il raffronto è difficile a causa degli sviluppi autonomi.

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La religione fenicia appare come un prolungamento di quella cananea del II millennio a.C. Ogni città fenicia costituita uno stato autonomo, con una divinità poliade generalmente associata ad un partner, con determinate funzioni, A Tiro imperava Melqart, insieme ad Astarte, dove era comune il rito dell'egersis, o risveglio annuale. Melqart è il prototipo del re che garantisce ordine e benessere (assimilato ad Eracle), mentre Astarte è la dispensatrice di potere e vitalità, legata al trono e alla fertilità (assimilata ad Afrodite ed Era). A Sidone erano venerati Astarte ed Eshmun, dio protettore e guaritore, assimilato ad Asclepio (Bonnet), la cui triade sarebbe capeggiata da Baal, parallelo ad El (Moscati). A Biblo invece si credeva nella Baalat Gubal (“signora di Biblo”), insieme al Baal di Biblo, che sta all'origine dell'Adonis greco; per loro erano celebrate feste annuali di morte e resurrezione. Altre divinità erano: Reshef, dio della folgore e del fuoco, originariamente nefasto poi benefico; Dagon, dio del grano, dalle origini remote; Shadrapa, conosciuto dal VI-V secolo a.C., “genio guaritore”, rappresentato con serpenti e scorpioni; diversi culti astrali, di scarsa presenza, perlopiù dall'età ellenistica; ipostasi di qualità e funzioni, come il Chusor, inventore e lavoratore del ferro, oppure Sydyk e Misor, divinità della giustizia e della rettitudine. Da Filone di Biblo è conosciuta la mitologia, in particolar modo l'origine del

cosmo, della cultura e degli dei: all'origine sono il vento e il caos, da cui nasce un uovo cosmico, detto Mot. La cultura sarebbe stata creata da Usoos, inventore delle pelli d'animali, mentre al vertice della genealogia divina sarebbero stati Eliun e Berut. Gli dei vivevano nei templi, cosiddetti “bet”, ossia casa o palazzo. Non ci sono pervenute statue a causa del diffuso aniconismo, anche se non eccessivamente rigoroso. Era molto diffuso il culto di stele o betili, nonché di montagne, acque, alberi, e pietre ritenute sacre. Molti santuari e rovine presentano spesso una stratificazione successiva in età cristiana. Asherah è una piccola colonna votiva in legno, analoga al betilo (ossia “dimora degli dei”). Il tempio era un recinto sacro a cielo aperto con una piccola cappella o betilo (o entrambe); davanti ad essi vi era un altare per i sacrifici, con vicino una fonte o un bacino ed un bosco. Le offerte potevano essere cruente o meno (eccezione per il maiale, che era considerato tabù), in cambio dei quali speravano di ottenere la grazia, spesso a sua volta seguita da un ex voto. Si credeva anche nei refaim, esseri dell'aldilà, forse semplicemente persone defunte. La magia deriva da modelli egiziani, come scarabei ed amuleti: era una pratica comune e diffusa: lo scopo era allontanare il malocchio o colpire i nemici, con formule talvolta incise su lamine di piombo nelle tombe. L'approccio alla religione da parte dei Fenici era più ritualistico che mitologico. L'aldilà era localizzato sottoterra, come un deserto arido e buio; essenziale per i defunti era ricevere una sepoltura ed essere ricordati tra i vivi. Le attività artigianali

I Fenici svilupparono straordinarie attività artigianali, in alcune delle quali furono considerati maestri insuperabili. I loro tessuti di lana, tinti con la porpora (un colorante come dicevamo prima derivato da un mollusco) nelle più diverse sfumature del rosso, erano noti in tutto il Vicino Oriente e nel Mediterraneo. Notissime erano le placche d'avorio scolpite, traforate, ricoperte d'oro, di smalti e di pietre colorate con uno stile che gli studiosi chiamano oggi «internazionale», perché associavano influenze disparate dell'Età del Bronzo, egizie, mesopotamiche, siriache, ittite, assire. I fenici inventarono anche la tecnica della soffiatura del vetro mediante cannule di metallo che evitava di produrre l'oggetto in due semiparti che incollate presentavano alla fine la tipica linea laterale di unione. Tuttavia non tutti concordano su questo: secondo altre fonti gli inventori della soffiatura del vetro sembrerebbero essere i Siriani.

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Gli albori del mondo greco

1. mondo greco ?

a. ruolo della scrittura b. civiltà palaziale fortificata: somiglianze con Creta c. la lineare B

La Lineare B è un sistema di scrittura utilizzato dai micenei, forma arcaica della lingua greca.

Le prime testimonianze di questa scrittura si trovano su tavolette risalenti ai secoli XIV e XIII a.C. I testi in lineare B sono

stati trovati dall'archeologo britannico Arthur Evans nel 1900 a Creta, nel Palazzo di Cnosso; altri esemplari furono

rinvenuti in Grecia, a Pilo, Micene e Tebe. La scrittura micenea derivò da quella minoica, detta Lineare A, utilizzata a

Creta tra il XVII ed il XV secolo a.C. La traduzione della Lineare B si deve a Michael Ventris e John Chadwick che riuscirono a decifrarla tra il 1952 ed il

1953. La Lineare B è scritta da sinistra a destra e conta circa 200 segni, dei quali una novantina sono segni sillabici con valore

fonetico e i rimanenti ideogrammi con valore semantico. Esiste anche un sistema numerico decimale, costituito da linee verticali per le unità, orizzontali per le decine e cerchi per le centinaia. Si tratta di una scrittura arcaica e abbastanza rudimentale, che non evidenzia abbastanza bene i fenomeni fonetici del miceneo (tra l'altro, non registra la quantità vocalica).

Analizzando la ricchezza e la produzione artistica dei Micenei, in assenza di risorse naturali quali miniere d'oro o

argento, Arthur Evans ipotizzò l'esistenza di un sistema economico specializzato e molto ben organizzato. La conclusione a cui arrivò fu quella della necessità di una forma di scrittura, di cui cercò le tracce, nonostante nessuna iscrizione fosse stata fino a quel momento rinvenuta. La Lineare B è una forma si scrittura molto arcaica, perché si parla di circa 6000 a.C.

Nel 1900, alla fine del dominio turco sull'isola di Creta, eseguì degli scavi nel sito archeologico di Cnosso (il più importante sito dell'isola), e il 30 marzo di quello stesso anno, una settimana dopo l'inizio delle ricerche, ritrovò le prime tavolette scritte.

Evans ipotizzò che la Lineare B fosse uno stile di scrittura ristretto alla corte di Cnosso, utilizzata dagli scrivani del Re. In seguito alle successive scoperte questa teoria è però risultata infondata. Chadwick, che contribuì in seguito a decifrare le iscrizioni, affermò che la Lineare B è il risultato dell'adattamento dei segni minoici alla scrittura greca, aggiungendo che anche questa ipotesi è incompleta e non verificabile, almeno finché la Lineare A non verrà a sua volta decifrata.

Nel 1901, nel suo primo rapporto sulle iscrizioni rinvenute a Creta, Evans scriveva:

« Tra i caratteri lineari o lettere di uso comune - una settantina - dieci sono praticamente identici a segni del sillabario cipriota, e circa altrettanti mostrano somiglianze con il successivo alfabeto greco... Le parole sono talvolta divise mediante linee verticali, e il numero medio dei segni inclusi tra queste linee lascia supporre che essi abbiano valore sillabico. La scrittura corre invariabilmente da sinistra a destra. »

(A. Evans, 1901 - Annual of British School at Athens, IV, pp. 57-59.)

Evans aveva osservato che la stragrande maggioranza delle iscrizioni contenevano elenchi o documenti contabili. In effetti, i testi in Lineare B sono composti da gruppi variabili dai due agli otto segni, a cui spesso segue un segno isolato (raffigurante un animale o un oggetto stilizzato) seguito da un numerale. Compilò una tabella nella quale si evidenzia un sistema decimale, ma in cui non esiste lo zero, nel quale i tratti verticali indicano le unità, i tratti orizzontali le decine, cerchi per le centinaia e circoli con raggi le migliaia, circoli con raggi ma con un trattino al centro le decine di migliaia. Evans non riuscì a completare la sua opera di catalogazione dei testi, né a trovare la chiave per decifrarli. Le prime

pubblicazioni contenenti le iscrizioni furono disponibili dopo la prima guerra mondiale, ma bisognerà attendere molti

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anni ancora e la fine della seconda guerra mondiale per una pubblicazione completa delle tavolette, che in parte nel frattempo andarono distrutte o furono danneggiate.

Nel 1952 il «profano» Michael Ventris (architetto e archeologo dilettante) annunciò in una trasmissione radiofonica della BBC di avere trovato la soluzione all'enigma della Lineare B, sostenendo che si trattava di una forma arcaica di greco antico, scritto con una grafia sillabica:

« In queste ultime settimane sono giunto alla conclusione che le tavolette di Cnosso e di Pilo debbono, malgrado tutto, essere scritte in greco; un greco arcaico e difficile, quale può essere quello scritto cinquecento anni prima di Omero, e per di più in una forma alquanto abbreviata; ma purtuttavia greco. »

(BBC, terzo programma, giugno 1952)

Insieme al glottologo John Chadwick, professore all'Università di Cambridge, i documenti furono pazientemente decifrati.

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2. la questione dell’origine e del nome

a. Micenei è riduttivo b. akhiyawe e Achei

L'origine del nome Micene non è greca, ma essa fu

probabilmente fondata da uomini provenienti da Creta o da un'altra isola che si trovava fuori dalla Grecia. Si può notare dalle fortificazioni del palazzo che, al contrario dei cretesi, i

Micenei erano un popolo assai più bellicoso. Nella mitologia greca Miceneo fondò la città, che fu invece fortificata da

Perseo. La civiltà minoica giunse in questo territorio, ma in seguito si distaccò totalmente dal ceppo originario, tanto da

assumere la denominazione di civiltà micenea. Da qui questa

civiltà si infiltrò in tutta la Grecia fra il 2000 a.C. e il 1200 a.C. La civiltà micenea prende nome dall'omonima città e Micenei è sinonimo di Achei. Dopo gli Achei, i Dori presero possesso della città e la ressero fino alla sua fine, quando, secondo gli studi archeologici, la città fu distrutta da un immane incendio. Gli Achei, conquistata l'isola di Creta, ne ereditarono molti caratteri culturali e diedero origine ad una nuova civiltà denominata micenea dalla città di Micene, dove gli scavi eseguiti intorno al 1870 dallo studioso tedesco Heinrich Schliemann portarono alla luce i resti di possenti fortezze e le ricche suppellettili delle tombe (maschere d'oro, vasi d'argento e armi). Gli Achei erano una popolazione indoeuropea di pastori guerrieri provenienti dal nord e dall'est. Questa popolazione si fuse con i preesistenti abitanti della Grecia e formò le tre stirpi degli Ioni, in Attica e nell'isola Eubea, degli Eoli, in Tessaglia e nella Grecia Centrale, e degli Achei, nel Peloponneso. I Micenei crearono tanti piccoli stati autonomi, governati da un re, che sorgevano intorno a città fortificate da poderose mura. Nel primo periodo della loro dominazione gli Achei sentirono l'influsso di Creta; dopo l'invasione dell'isola essi si sostituirono ai Cretesi nel controllo e nel dominio dei mari e dei commerci e si diffusero in tutto l'Egeo.

3. Schliemann e Troia

Anche la storia della guerra di Troia ( XIII secolo a.C.) venne immortalata da Omero, il primo poeta greco, nei due poemi l'"Iliade" e l'"Odissea". Troia, ricca città, abitata da gente linguisticamente affine ai Greci, sorgeva in una posizione strategica eccezionale sullo stretto dei Dardanelli, una zona chiave per i traffici che confluivano dall'Asia. Il desiderio di controllare quella zona e il miraggio di un enorme bottino spinsero i vari regni micenei - che non furono mai uniti politicamente in un unico impero - a stringere un'alleanza occasionale, che li portò in armi sotto le mura di Troia. Dopo una guerra lunga e aspra, verso il 1250 la città fu presa, saccheggiata e rasa al suolo. La conquista di Troia restò un evento memorabile nelle tradizioni del popolo greco. Per secoli e secoli i poeti cantarono le imprese eroiche di Agamennone e degli altri principi micenei, cantarono l'assedio durato dieci anni, la disperata resistenza dei Troiani, l'astuzia di Ulisse e lo stratagemma del cavallo; tutto questo materiale fu poi raccolto e selezionato e andò a costituire l'Iliade, il primo dei due poemi omerici. I poeti raccontarono anche i difficili ritorni di molti eroi greci; Nestore, Filottete, Diomede, Menelao e il più famoso di tutti, Ulisse, l'eroe dell'Odissea, vagarono a lungo prima di rivedere le loro case. Nei loro interminabili viaggi comunque, sospinti di avventura in avventura, tutti indistintamente toccarono le sponde dell'Italia; un fatto, questo, che ricorre con troppa insistenza per essere soltanto un prodotto della fantasia.

Nella mitologia greca, la guerra di Troia è narrata come una sanguinosa guerra combattuta tra gli achei e la potente

città di Troia per il controllo dell'Ellesponto.

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Secondo la tradizione della mitologia greca, il conflitto ebbe inizio a causa del rapimento di Elena, la regina di

Lacedemone (la futura Sparta), ritenuta la donna più bella del mondo. Il marito di Elena, Menelao, grazie all'aiuto del

fratello Agamennone radunò un incredibile esercito, formato dai maggiori comandanti dei regni greci e dai loro sudditi,

muovendo così guerra contro Troia. Il conflitto durò 10 anni, con gravissime perdite da ambo i lati. Fra le vittime più

celebri l'invincibile prode Achille, principe di Ftia, Ettore, comandante in capo dell'esercito troiano e figlio del re

Priamo; la città cadde dopo dieci anni di assedio. L'Iliade finisce in verità con la cerimonia funebre per Ettore, la cremazione del corpo e la raccolta delle ossa in un'urna d'oro. È ancora oggetto di studi e controversie la questione sulla veridicità storica degli avvenimenti della guerra di Troia. Alcuni studiosi pensano che vi sia un fondo di verità dietro gli

scritti di Omero, altri pensano che l'antico poeta abbia voluto raggruppare diversi avvenimenti accaduti durante guerre

e assedi, nel periodo civiltà micenea, in un unico conflitto, quello fra greci e troiani appunto. Alcuni studiosi pensano

anche che Omero non sia mai esistito, ma grazie alle due opere (Iliade ed Odissea) è stato possibile trovare le mura di Troia e grazie a questo ritrovamento straordinario gli storici hanno collocato cronologicamente l'episodio verso la fine

dell'età del Bronzo, intorno 1300-1200 a.C., in parte accettando la datazione di Eratostene.

Gli eventi del conflitto sono noti principalmente attraverso l'Iliade di Omero, in quanto gli altri testi letterari del "Ciclo Troiano", sono ormai perduti e conosciuti solo tramite posteriori testimonianze. Singoli eventi sono infatti descritti in

innumerevoli testi della letteratura greca e letteratura latina, dipinti o scolpiti in numerose opere d'arte.Grazie a queste testimonianze è stata ricostruita la guerra di Troia come si studia oggi nei testi scolastici. I testi più autorevoli

sono pertanto senza dubbio l'Iliade e l'Odissea di Omero, composte intorno al IX secolo a.C. Entrambi narrano una

piccola parte del conflitto, l'Iliade racconta fatti avvenuti durante l'ultimo anno di guerra, l'Odissea il viaggio di Ulisse per tornare in patria dopo la conquista della città.

Gli altri avvenimenti dello scontro sono tratti dai cosiddetti Poemi del ciclo Epico: i canti Ciprii, l'Etiopide, la piccola Iliade, Iliou Persis, i Nostoi e la Telegonia. Sebbene di questi poemi sopravvivono ormai solo pochi frammenti,

abbiano notizia delle trame grazie ai riferimenti di un tale Proclo. Non sappiamo se questo Proclo sia un filosofo neo-platonico del V secolo d.C. o un grammatico del II secolo, e nemmeno sappiamo ancora bene chi siano gli autori di questi poemi del ciclo epico. Alcuni datano queste opere intorno al VII o VI secolo a.C., poco dopo i poemi omerici da cui

hanno preso spunto, sebbene si pensi che possano anche essere legati a tradizioni precedenti. I poemi di Omero e quelli del ciclo epico prendono spunto dalla tradizione orale. Anche dopo la composizione di questi testi le storie della guerra di Troia furono tramandate oralmente o in forma non poetica. Alcuni elementi narrativi trovati in alcuni testi posteriori potrebbero essere desunti proprio da questa tradizione orale. Le storie del conflitto circolavano inoltre grazie alle immagini dipinte sulle anfore o sui calici. Nei secoli successivi drammaturghi, scrittori e filosofi presero spunto dagli eventi della guerra di Troia per le loro opere. I tre grandi tragediografi

ateniesi, Eschilo, Sofocle ed Euripide, scrissero molti drammi sui personaggi della guerra di Troia. Fra gli scrittori romani il più importante è senza

dubbio Virgilio. Nel 2º libro dell'Eneide, descrive il sacco di Troia ispirandosi sicuramente ai fatti narrati nei poemi del ciclo epico (specialmente l'Iliou Persis). La storicità della guerra di Troia è ancora oggi oggetto di discussione. Alcuni pensano che le

storie di Omero siano in realtà l'unione di diversi

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conflitti accesisi tra greci e troiani nel periodo miceneo. In questa unione lui inserisce inoltre le figure divine e diverse metafore. La maggior parte dei greci pensava che la guerra di Troia fosse un fatto realmente accaduto, altri pensavano

che Omero avesse ingigantito a scopi poetici un avvenimento non famoso come quello descritto. Tucidide, famoso per il suo spirito critico, crede che sia un fatto realmente accaduto ma dubita che 1186 navi possano davvero essere giunte a Troia. Euripide cambiò i connotati di diversi miti, inclusi quelli della guerra di Troia.

Nel 1870 gli studiosi concordavano sul fatto che la guerra di Troia non fosse mai accaduta ed era soltanto frutto di una

mente ingegnosa. Heinrich Schliemann cambiò però le carte in tavola, scoprendo, con stupore di tutti, la città di Troia

in Asia Minore e quella di Micene in Grecia. Oggi molti studiosi sono d'accordo sul fatto che la guerra di Troia sia un fatto realmente accaduto, un conflitto fra greci e troiani, dubitano però sul fatto che gli scritti di Omero narrino fedelmente la vicenda.

Nel XX secolo alcuni studiosi hanno tentato di proporre delle conclusioni basandosi su testi ittiti e dell'Antico Egitto, contemporanei ai fatti della guerra di Troia. Mentre loro danno una descrizione generale della situazione politica nella regione al tempo, le loro informazioni su questo particolare conflitto sono limitate. Gli archivi ittiti, come le lettere di

Tawagalawa, parlano di un regno di Ahhiyawa (Achea, o Grecia) che giace oltre il mare (identificabile con l'Egeo) e

controlla Milliwanda, nome con cui è riconoscibile Mileto. Inoltre in questa e in altre lettere viene menzionata la cosiddetta confederazione di Assuwa, formata da 22 città, di cui fa parte anche Wilusa, la Ilio (o Troia) omerica. Un'altra lettera, quella di Milawata, spiega che questa città si trova nella zona nord della confederazione di Assuwa, oltre il fiume Seha. L'identificazione di Wilusa con Troia fu controversa negli anni novanta ma guadagnò l'accettazione della

maggioranza. Nel trattato di Alaksandu (1280 a.C.) il re della città è chiamato Alaksandu, deve essere notato che il nome che Omero ci dà di Paride, il figlio di Priamo (ma anche altri testi) è Alessandro. La lettera di Tawagalawa, indirizzata al re Ahhiyawa dice: «Ora noi siamo venuti ad un accordo su Wilusa, sulla quale noi andammo a guerreggiare».

Precedentemente, sotto il dominio ittita, la confederazione di Assuwa disertò dopo la battaglia di Kadesh fra Egizi e

Hittiti (1274 a.C.). Nel 1230 a.C. il re ittita Tudhaliya IV (1240-1210 a.C.) partecipò a una campagna contro questa

federazione. Sotto il dominio di Arnuwanda III (1210-1205 a.C.) gli ittiti furono costretti ad abbandonare le loro terre nella costa dell'Egeo. È probabile dunque che la guerra contro Troia sia stato un conflitto fra il re di Ahhiyawa e la

confederazione di Assuwa. Questa visione è stata sostenuta perché l'intera guerra include inoltre lo sbarco in Misia (e il

ferimento di Telefo), le campagne di Achille nel nord dell'Egeo, le campagne in Tracia e Frigia di Aiace Telamonio. La maggior parte di queste regioni facevano parte della confederazione di Assuwa. Si nota inoltre che c'è una grande somiglianza fra i nomi dei cosiddetti Popoli del Mare che in quel tempo facevano scorrerie in Egitto, come sono elencati

da Ramses III e Merenptah, e i nomi degli alleati di Troia. Ancora vi è dibattito sull'esistenza reale di quei fuochi che passando per tutta la Grecia avvertivano gli achei rimasti in

patria dell'esito della guerra o se questa sia soltanto un'invenzione di Eschilo. Mentre c'è chi attesta che ci fosse davvero questa rete di comunicazione al tempo della Grecia antica e del periodo Bizantino, non sappiamo se vi era ai tempi della guerra di Troia. Eschilo è l'unica fonte che lo menziona. Il fatto poi che la maggior parte degli eroi achei, tornati dalla guerra, abbiano deciso di non tornare in patria ma di fondare colonie in altri luoghi viene spiegato da Tucidide col fatto che quelle città, senza un comandante, erano in declino a causa della loro assenza. Oggi l'interpretazione più seguita dagli studiosi è che i comandanti achei furono cacciati dalle loro terre per dei tumulti alla fine dell'epoca micenea e preferirono richiamare i discendenti dall'esilio della guerra di Troia.

La scoperta nel 1870 dell'archeologo e uomo di affari Heinrich Schliemann delle rovine di Troia sulla collinetta di

Hissarlik in Turchia hanno rilanciato un vecchio dibattito sulla storicità degli avvenimenti riferiti da Omero. Carl Blegen

concludeva nel 1963, in seguito ai suoi lavori realizzati a partire dalle scoperte di Schliemann e il ritrovamento del

cosiddetto "tesoro di Priamo", che probabilmente vi fu uno scontro tra greci e troiani. Tuttavia, fu attestato che il tesoro in questione risaliva al secondo millennio a.C. e non poteva dunque essere associato all'episodio della guerra di Troia. Schliemann trovò nove strati basandosi sui poemi Omerici e scoprì che il settimo corrispondeva a quello risalente alla guerra di Troia, databile intorno al 1220 a.C. Per Claude Mossé, professore all'università di Parigi, non si potrà mai provare con certezza l'esistenza o no del conflitto. In quanto agli storici antichi, Tucidide già che l'importanza che Omero aveva dato al conflitto era esagerata: la guerra avrebbe sì avuto luogo, ma l'importanza che i greci le diedero fu influenzata dal loro forte sentimento di nazionalismo.

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Gli scavi, che sono stati realizzati sul sito della città di Troia hanno permesso di mettere in evidenza la presenza di diversi strati, tutti di epoche diverse.

La Troia VI (1800-1300 a.C.), è quella che corrisponde al periodo di massimo splendore della città, era munita di bastioni e la sua zona abitata occupava circa venti chilometri quadrati, avrebbe dunque potuto resistere anche a una guerra di dieci anni. La Troia VI è inoltre datata alla stessa epoca dell'apogeo miceneo (da non dimenticare che

Agamennone, comandante supremo della spedizione era appunto re di Micene). La città è stata distrutta da un terremoto, attestato dall'archeologia. Questa catastrofe naturale potrebbe essere all'origine della leggenda del cavallo

di Troia, un'offerta a Poseidone, che era inoltre dio dei terremoti. Comunque il corpus di miti e leggende su Troia dei greci prevedeva una distruzione di Ilio a causa di un terremoto, a cui era seguita la conquista di Ercole che aveva risparmiato solo un piccolo principe, Priamo. Inoltre non dobbiamo prendere alla lettera il periodo di 10 anni (o meglio 9 anni d'assedio e vinsero al decimo), proposto da Omero, nell'età del bronzo in mesopotamia si usava l'espressione "9 e poi un altro" per indicare una quantità di tempo molto lunga, così come l'espressione italiana 9 volte su 10 non vuole indicare quantità precise. Quando il corpus dell'Illiade fu composto probabilmente l'espressione era utilizzata in questo senso, ma rimase poi, intesa in senso letterale, nel poema.

Schliemann scoprì in seguito, nel 1876 la rocca di Micene. L'armamento

Anche se Micene, grande potenza marina, scagliò contro Troia un esercito di 1200 navi e, sebbene Paride avesse

costruito una flotta prima di partire verso Sparta, nell'Iliade non vi è nessuna battaglia marina. Perecleo stesso, il costruttore navale di Troia combatte a piedi. Gli eroi dell'Iliade erano abbigliati accuratamente e rivestiti di armature splendide e ben disegnate. Loro percorrevano il campo di battaglia sopra carri da guerra, da lassù scagliavano una lancia sulla formazione nemica, scendevano, tiravano l'altra lancia, dopodiché prendevano parte al combattimento corpo a corpo. Aiace Telamonio portava con sé un

gigantesco scudo rettangolare che non solo proteggeva lui ma anche il fratello Teucro:

« Nono giunse Teucro tendendo l'arco ricurvo, e si pose dietro lo scudo di Aiace di Telamone; quando Aiace spostava lo scudo, l'eroe prendeva la mira e scagliava un dardo nel folto: e se colpiva un guerriero e questo cadeva esalando la vita, allora- come un fanciullo che dietro alla madre si cela- tornava da Aiace che lo copriva dietro lo scudo lucente) (Omero, Iliade canto VIII) Lo scudo di Aiace era pesante e difficile da portare. In questo modo era più facile difendersi che attaccare. Suo cugino Achille invece portava con sé, insieme alla celebre lancia guaritrice e feritrice allo stesso tempo, uno scudo largo, rotondo e maneggevole, che portò diversi successi contro i troiani. Lo scudo dei soldati semplice era invece rotondo o ottagonale. A differenza degli eroi loro difficilmente avevano una corazza e contavano soltanto sullo scudo per difendersi. »

Il carro da guerra

Omero descrive in alcuni momenti una formazione da battaglia molto simile alla falange, sebbene questa appaia solo nel VII secolo a.C. Ma era davvero in questa maniera che fu combattuta la guerra di Troia? La maggior parte degli studiosi

crede di no. Il carro era il mezzo principale in questa guerra, come nella battaglia di Kadesh, ad essa probabilmente contemporanea. Comunque si evidenzia nei dipinti del palazzo di Pilo che i greci combattessero sul carro da guerra in coppia, l'auriga e il combattente, con una lancia lunga in mano, a differenza dei carri a tre ittiti, con due guerrieri con

lance corte, o quelli egiziani, con arco e frecce. Omero è consapevole di questo e nell'Iliade è evidenziato l'uso principale del carro in guerra.

Nestore dice nel quarto libro dell'Iliade:

« Nessuno- fidando nella sua forza e nei suoi cavalli- osi affrontare i troiani da solo, davanti agli altri, e neppure si tiri indietro; sareste più deboli; ma se uno di voi dal suo carro può raggiungere un carro nemico, tenda la sua lancia, sarà molto meglio; così i nostri padri distruggevano mura e città, con questo pensiero, con questo ardore nel petto) »

(Omero. Iliade' canto IV))

Per Omero questo è però un modo di combattere antiquato, usato principalmente da vecchi combattenti o da uomini di

un piccolo regno, come Pilo. Nestore descrive una battaglia fra Pilo e l'Elide, il cui mezzo principale era il carro da guerra. In quel periodo era giovane, ma al tempo della guerra di Troia Nestore è molto anziano.

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Achille usa invece il suo carro principalmente per avanzare dietro le file nemiche e colpire da dietro, provocando così un terribile massacro. Karykas crede che la lotta sui carri da guerra sia stata abbandonata dai Greci un po' prima della guerra di Troia e che quindi Omero descriva i fatti come sono realmente accaduti. Fra i seguaci di questa teoria c'è chi crede che Omero spieghi i fatti realisticamente perché egli stesso era presente ai fatti, diversi scrittori, antichi e

moderni, hanno svolto anche incarichi bellici, ricordiamo ad esempio Archiloco, poeta della lirica antica. Omero descrive la guerra come lui stesso l'ha vissuta. Vi è però un certo consenso nel ritenere che Omero, ammesso che sia esistitito e non sia la somma di più poeti, visse durante il medioevo ellenico o subito prima della fine di questo. In particolare dovrebbe essere stato molto anziano quando Esiodo era molto giovane. Quindi è verosimile che descriva la guerra a lui contemporanea, ma questa sia quella del medioevo ellenico, con l'aggiunta di alcuni elementi, veritieri, tramandati oralmente, come gli elmi di corni di cinghiale e i carri da guerra. Vi è poi un'ulteriore possibilità, verso il 1200-1300 a.C. è presumibile, anche se discusso, che i metodi di guerra iniziarono a cambiare, già a Kadesh la fanteria può essersi schierata dietro selve di scudi, formando un istrice di lance (una sorta di protofalange, ancora piuttosto lasca ed irregolare, proprio come quella descritta da Omero) mentre l'armatura e l'armamento dei fanti si potenziavano. Verso il 1100 a.C. potrebbe quindi essere nata una fanteria pesante, capace di tener testa ai carri da guerra, e quindi questi si siano trovati degradati a taxi da battaglia, conformemente a quanto descritto nell'Iliade. Questo stile di combattimento fu poi conservato fino al IX o IIX secolo a.C. quando iniziò,

verso la fine del medioevo ellenico, a svilupparsi la moderna panoplia greca e caria, e quindi fu possibile combattere con "vere" falangi. Si tenga inoltre presente che il carro da guerra era l'unico tipo di cavalleria militare possibile durante l'età del bronzo, poiché la monta dei cavalli (per altro, all'epoca, alti 90–120 cm, anche se conformati già come cavalli e non come pony) era poco praticata, difficoltosa e, senza morso e sella, impediva al cavaliere di essere contemporaneamente armato. Solo verso il 1000 a.C. fu possibile incontrare delle cavallerie militari "vere" (arceri a cavallo Sciiti, Medi, Persiani e Cimbri).

4. collocazione geografica e ambiente naturale

a. territorio b. produzione e attività c. il rapporto con il mare

5. struttura urbana

a. fortificazioni b. acropoli

c. reggia

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6. il ruolo della guerra

a. rapporto con Creta b. zona di espansione. Asia Minore, Siria, Tracia c. metallurgia

L'intera vita economica e religiosa era accentrata nei palazzi reali, vere e proprie fortezze in cui affluivano tutti i beni prodotti dai villaggi circostanti. Folte schiere di scribi tenevano una contabilità minuziosa, che registravano su tavolette d'argilla, scrupolosamente catalogate e conservate negli archivi. L'estrema cura di queste annotazioni ricorda i documenti amministrativi egiziani o mesopotamici: « Vi si trova registrato il peso del bronzo distribuito per fabbricare 500.000 punte di frecce o 2300 spade, come il numero di fabbri in attività in ogni villaggio e il numero dei maiali che un distretto deve fornire, la quantità di grano destinata alla semina sui diversi tipi di terra, il numero delle ruote depositate nei magazzini del palazzo di Cnosso, la razione di grano e di fichi concessa alle trentasette ancelle del bagno di Pilo. I dettagli più personali non sfuggono alla curiosità dell'amministrazione: un certo Pesero ha una moglie e due figli; un tale due schiavi, un maschio e una femmina; in un certo luogo vi sono due carri, uno dei quali è fuori uso ». Questa « pignoleria », ancora una volta non è altro che l'espressione di una società fortemente autoritaria e accentratrice. L'attività economica principale era la manifattura della lana; le greggi erano di proprietà del re al quale i pastori dovevano fornire annualmente una determinata quantità di prodotto grezzo; laboratori tessili ne ricavavano stoffe di ottima qualità. Ma un ruolo importante nell'economia micenea avevano anche la produzione dell'olio d'oliva e la lavorazione dei metalli. Questi prodotti alimentavano il commercio con gli altri paesi mediterranei e venivano scambiati con oggetti di oreficeria, vasellame pregiato, profumi : tutti beni destinati al re e all'aristocrazia guerriera che lo circondava. Mi hai scritto riguardo a una mina di ferro dicendomi: "Vendilo in cambio di argento o di oro, ma non venderlo in cambio

di rame". Io ho portato il ferro dall'uomo e lui ha detto: "Lo fonderò". Io gli ho risposto: "Non ti darò il permesso di

fonderlo", e lui: "quando te ne sarai andato, lo fonderò". E così ha fuso il ferro e ne è venuta fuori una massa pesante

solo 2/3 di siclo [circa 3 grammi]: a causa della fusione ho subito una perdita di 4 sicli. Allora mi ha proposto di darmi 8

sicli d'oro per siclo, per quello che restava del mio ferro, ma io gli ho detto: "No, è troppo poco". L'artigiano che aveva fuso il metallo voleva risarcire il suo cliente dandogli otto parti d'oro per ogni parte di ferro e ciò basta a testimoniare la preziosità di questo metallo. In natura esso era estremamente diffuso, 500 volte più comune del rame, ma la sua lavorazione comportava costi e difficoltà enormi per fonderlo bisognava arrivare - e non era facile - alla temperatura di 1500 gradi; per liberarlo dalle scorie e conferirgli una durezza soddisfacente bisognava sottoporlo a una serie di bruschi riscaldamenti e raffreddamenti e martellarlo a lungo e con cura. Ma una volta lavorato, esso diventava robustissimo e consentiva di affilare perfettamente le parti taglienti. Una spada di ferro spezzava con facilità le spade di bronzo dei nemici, un'ascia o un aratro dello stesso metallo alleviavano la fatica del contadino (furono proprio gli aratri di ferro a permettere ai Filistei di dissodare i terreni rocciosi della Palestina) uno scalpello o un punteruolo, quella del falegname.

d. armamenti e. navigazione

7. struttura sociale

a. wanax, lawaghetas, basileus, gheousia / assemblea, damos, contadini, artigiani, doeroi b. popolo in armi e assegnazione del temenos c. aristocrazia di origine divina d. monarchia “debole” e. no stato unitario >>> Iliade f. scribi e sacerdoti

8. “Popoli del mare” o Dori >>> 1200 >>> Medioevo ellenico >>> fine scrittura

9. fasi di colonizzazione

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10. aspetti culturali

a. religione b. aldilà c. testimonianze poetiche: aedi d. arte orafa