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129 Feliciano Paoli LA COLLEZIONE DI TERRECOTTE NADIA MAURRI POGGI AL PALAZZO DUCALE DI URBANIA Il palazzo ducale durantino ospitava verso la fine degli anni ’80 del secolo scorso - come an- cor oggi - gli istituti culturali della piccola cit- tà di Urbania: ovvero la Biblioteca comunale, i Musei civici, la Pinacoteca e l’Archivio storico. Gian Carlo Bojani così lo ha conosciuto quan- do è iniziato il suo rapporto di frequentazione e di collaborazione con il Comune di Urbania che si è protratto fino alla sua scomparsa. Subito conviene precisare - come premessa essenziale - che Gian Carlo Bojani nella sua funzione di Direttore del MIC di Faenza volontariamente si assumeva, una responsabilità per lo stato e la condizione della ceramica in Italia. Avrebbe vo- luto che Faenza, con il suo Museo, divenisse un catalizzatore delle maggiori patrie, centri e musei della ceramica nella nostra penisola. All’inizio degli anni ’80 nei Musei di Urbania era stata avviata una attività espositiva riguardante la ceramica che si rifaceva sostanzialmente a una data da considerarsi istitutiva per questa tipolo- gia di iniziative in Urbania, cioè la mostra dei Cento disegni della Biblioteca Comunale di Urbania curata da Lidia Bianchi, nel 1958. Una esposizione itinerante della raccolta Ubaldini prima a Roma, poi a Firenze e a Urbino che restituiva, infine, al palazzo ducale di Urbania la collezione di disegni e di stampe dopo un lavoro esemplare di valorizzazione, di restauro del patrimonio bibliografico e artistico urbaniese. Una operazione culturale che ha rappresentato un punto di ripartenza per la vita culturale del palazzo ducale di Urbania e, ancor oggi, è un punto di riferimento ineludibile per la tutela difficile dei beni culturali di una piccola comunità 1 . Forse non è difficile leggere in quella iniziativa della metà del secolo scorso - avvenuta quando la cosiddetta ricostruzione postbellica si presentava, per certi aspetti, con tutta la sua ambiguità - (cito solo la distruzione del vaso della libreria ducale compiuta ai fini della ricostruzione nel 1951) anzi è facile leggere la volontà del Ministero della Pubblica istruzione di allora di manifestare un’ attenzione, un riguardo - ma anche di offrire un sapiente orientamento - alla cittadina urbaniese particolarmente segnata dagli eventi dell’ultimo conflitto mondiale con il bombardamento aereo del 1944. Bisogna aggiungere che ciò avveniva quando, al contempo, una certa rifioritura dell’attività della 1 BIANCHI, 1958, pp. 7-29. Lidia Bianchi descrive la storia del restauro e valorizzazione della collezione Ubaldini nel palazzo ducale di Urbania a cura del Ministero della Pubblica Istruzione. L’operazione fu iniziata verso la metà degli anni ‘50 e coordinata con il Gabinetto di restauro del monastero di Grotta Ferrata e con il Gabinetto nazionale delle stampe a Roma. 2 PAOLI, 1982, pp.49-57. Viene offerta una rapida disamina della storia della ceramica in Urbania per gli anni del secondo dopoguerra. 3 LEONARDI, 1982, pp.11-19; LEONARDI,1987, pp.11-21. 4 PANSERA, 1983, pp. 2-57. 5 Id., pp. 2-4. 1 Torre del palazzo ducale di Urbania, sede della collezione di terrecotte Nadia Poggi Maurri

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Feliciano Paoli

La coLLezione di terrecotte nadia maurri PoGGi aL PaLazzo ducaLe di urBania

Il palazzo ducale durantino ospitava verso la fine degli anni ’80 del secolo scorso - come an-cor oggi - gli istituti culturali della piccola cit-tà di Urbania: ovvero la Biblioteca comunale, i Musei civici, la Pinacoteca e l’Archivio storico. Gian Carlo Bojani così lo ha conosciuto quan-do è iniziato il suo rapporto di frequentazione e di collaborazione con il Comune di Urbania che si è protratto fino alla sua scomparsa. Subito conviene precisare - come premessa essenziale - che Gian Carlo Bojani nella sua funzione di Direttore del MIC di Faenza volontariamente si assumeva, una responsabilità per lo stato e la condizione della ceramica in Italia. Avrebbe vo-

luto che Faenza, con il suo Museo, divenisse un catalizzatore delle maggiori patrie, centri e musei della ceramica nella nostra penisola. All’inizio degli anni ’80 nei Musei di Urbania era stata avviata una attività espositiva riguardante la ceramica che si rifaceva sostanzialmente a una data da considerarsi istitutiva per questa tipolo-gia di iniziative in Urbania, cioè la mostra dei Cento disegni della Biblioteca Comunale di Urbania curata da Lidia Bianchi, nel 1958. Una esposizione itinerante della raccolta Ubaldini prima a Roma, poi a Firenze e a Urbino che restituiva, infine, al palazzo ducale di Urbania la collezione di disegni e di stampe dopo un lavoro esemplare di valorizzazione, di restauro del patrimonio bibliografico e artistico urbaniese. Una operazione culturale che ha rappresentato un punto di ripartenza per la vita culturale del palazzo ducale di Urbania e, ancor oggi, è un punto di riferimento ineludibile per la tutela difficile dei beni culturali di una piccola comunità1. Forse non è difficile leggere in quella iniziativa della metà del secolo scorso - avvenuta quando la cosiddetta ricostruzione postbellica si presentava, per certi aspetti, con tutta la sua ambiguità - (cito solo la distruzione del vaso della libreria ducale compiuta ai fini della ricostruzione nel 1951) anzi è facile leggere la volontà del Ministero della Pubblica istruzione di allora di manifestare un’ attenzione, un riguardo - ma anche di offrire un sapiente orientamento - alla cittadina urbaniese particolarmente segnata dagli eventi dell’ultimo conflitto mondiale con il bombardamento aereo del 1944. Bisogna aggiungere che ciò avveniva quando, al contempo, una certa rifioritura dell’attività della

1 BIANCHI, 1958, pp. 7-29. Lidia Bianchi descrive la storia del restauro e valorizzazione della collezione Ubaldini nel palazzo ducale di Urbania a cura del Ministero della Pubblica Istruzione. L’operazione fu iniziata verso la metà degli anni ‘50 e coordinata con il Gabinetto di restauro del monastero di Grotta Ferrata e con il Gabinetto nazionale delle stampe a Roma.2 PAOLI, 1982, pp.49-57. Viene offerta una rapida disamina della storia della ceramica in Urbania per gli anni del secondo dopoguerra. 3 LEONARDI, 1982, pp.11-19; LEONARDI,1987, pp.11-21.4 PANSERA, 1983, pp. 2-57.5 Id., pp. 2-4.

1 Torre del palazzo ducale di Urbania, sede della collezione di terrecotte Nadia Poggi Maurri

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ceramica era in atto grazie soprattutto alla figura del ceramista Federico Melis, (oriundo dalla Sardegna, sta-bilitosi a Urbania intorno al 1940) ceramista, didatta e coraggioso animatore di una ripresa nel segno dei valori di quella tradizione artistica - ma rivissuta con lo spirito novecentesco - che aveva caratterizzato il tes-suto sociale ed economico di Urbania. La speranza di Federico Melis (m. 1968) era anche quella di rinnova-re un’economia del territorio con l’arte della ceramica aggiornando sia la produzione in rapporto alla nuova committenza sia le modalità della circolazione com-merciale dei prodotti2.

All’inizio degli anni ’80 con la consulenza di Corrado Leonardi che pure veniva da quell’esperienza duplice

sia del risveglio del palazzo ducale con le collezioni di grafica degli Ubaldini sia da quella della feconda operosità di Federico Melis divenne il punto di riferimento per un revival della ceramica storica durantina attraverso l’organizzazione di un ciclo di mostre realizzate nei musei del palazzo ducale. Posta la mancanza di collezioni di ceramica al Museo Civico, e anche nella città di Urba-nia, Don Leonardi con le sue forti conoscenze di storico della ceramica fece riferimento a colle-zionisti privati e ad antiquari per realizzare un ciclo di esposizioni al fine di offrire un panorama cronologico della produzione locale fino al 7003.Questo approccio di tipo storicistico nei confronti della ceramica conobbe una interruzione nel 1983 con la mostra de “L’arte del vasaio” che traeva il suo titolo da una libera interpretazione del trattato del durantino Cipriano Piccolpasso. La mostra consisteva in fatti in una antologia dei va-sai italiani contemporanei attivi nella penisola italiana, dalla Sicilia alla Lombardia, una selezione messa a punto da Anty Pansera con la consulenza di Nanni Valentini4.Si trattava evidentemente di un altro tipo di approccio - quello proposto da Anty Pansera - al

mondo della ceramica non troppo dissimile da quello che il graphic designer Massimo Dolcini (il geniale teorico della grafica di pubblica uti-lità) realizzava nello stesso periodo con le sue iniziative e attività a Pesaro e a Fiorenzuola di Focara che facevano capo a una rinnovata concezione degli oggetti artistici dell’artigiana-to ceramico. La mostra “L’arte del vasaio” a Urbania, nel 1983, mirava anche a costituire un primo nu-cleo di una collezione permanente di ceramica per i musei di Urbania ma soprattutto poneva l’arte del vasaio sul piano problematico della

6 PAOLINELLI, 2008.7 BALZANI-REGNI, 2007, pp. 5-105.; BOIANI, 2002, pp. 7-165. Altri studi sulla ceramica e sui beni culturali du-rantini sono anche variamente contenuti nella collana editoriale “Le collezioni di Casteldurante dai Della Rovere agli Ubaldini”. Gli Atti del Convegno “I Della Rovere nell’Italia delle corti” raccolgono nel volume “L’arte della maiolica” gli interventi coordinati da Gian Carlo Bojani nel 2002.8 Gli scavi archeologici effettuati nel butto di Porta del Mulino, sotto la direzione di Anna Lia Ermeti, hanno condotto al recupero di migliaia di frammenti parte dei quali sono stati organizzati con l’aiuto del ceramista Orazio Bindelli e con l’aiuto della bibliotecaria Maria Anita Guerra in una sala inserita nel percorso del Museo civico nel 2005.

2 Gruppo di terrecotte marchigiane della collezione Maurri

3 Allestimento permanente della collezione Maurri (particolare )

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modernità tra Cipriano Piccolpasso e Walter Benjamin5.Per l’oggetto di questo articolo che riguarda la collezione di ter-recotte Nadia Maurri Poggi -acquisita ai Musei di Urbania negli anni ’90 - è un passaggio particolarmente significativo da ricor-dare la mostra di Anty Pansera a Urbania in quell’inizio degli anni ’80.Da quella data, che si può assumere come estremo di una nostra periodizzazione, diventava possibile iniziare un lavoro sulla cera-mica -dal punto di vista delle collezioni museali - non solo legato allo spazio storico e culturale di Casteldurante e non solo riferito al linguaggio rinascimentale dei grandi ceramisti durantini che avevano operato all’ombra della quercia roveresca, spesso avva-lendosi di pittori come Battista Franco e Taddeo Zuccari. Nel sentire comune viene giustamente percepito il valore di Ca-steldurante per il contributo specifico che questo centro ha por-

tato al rinascimento italiano con la produzione della maiolica e con il suo trattato teorico-dida-scalico di Cipriano Piccolpasso. Di quella stagione splendida - vissuta come un mito dagli studiosi e dagli appassionati locali - al Museo di Urbania restavano solo sparuti frammenti o i bei disegni preparatori per la ceramica di Raffaellino del Colle6 e di altri artisti immersi in quell’atmosfera che andava via via ammanierandosi. Oppure sopravvivono testimonianze nei documenti archivistici e nei rogiti dei notai durantini che portano alla luce i contratti, gli inventari delle botteghe, le dispute per le commesse, le vendite, i siti dove operavano le dinastie maggiori come quella dei Picchi, ad esempio, all’angolo della Chiesa Santa Caterina di Urbania. Tutte fonti e testimonianze che in parte aiutavano – e questo versante è stato di fatto esplorato, e in parte, studiato – a restituire la

pulsante complessità di quel mondo nelle sue varie sfaccettature pur lasciando sospeso il problema maggiore dal punto di vista dei Musei: cioè la mancanza di collezioni di ceramica7.Il mito di Casteldurante viveva solo nel nome a Urbania, e in poco altro. E fu uno degli argomenti di confronto - sul terreno anche specifico della museologia - che spesso si ripresentava, tra gli altri, nei dialoghi e nei viaggi con Gian Carlo Bojani; - a volte non del tutto tranquilli - che portavano alla luce la difficoltà di costruire un programma di lavoro - dal punto di vista museale - senza oggetti di ceramica. E di farlo nell’ambito di una picco-la cittadina della provincia pesarese sulla quale aleggiava l’aura di responsabilità di un passato importante che in buona parte gli proveniva dai titoli maturati nel Rinascimento dei Montefel-tro-Della Rovere e ora alquanto distopici alla fisionomia di mu-

9 LONGO, 2006, pp. 21-81.10 Claudio Paolinelli ha dedicato un testo di sala introduttivo alla mostra di “Le ceramiche del mondo di Massimo Dol-cini” nella sala maggiore del palazzo ducale di Urbania; cfr PAOLINELLI, 2016, p. 6.11 LONGO, 2006, pp. 27-29.

4 Boccale della regione Calabria

5 Brocca marchigiana di Montottone

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seo di Ente Locale. Che dire, poi, della consistenza minima che la ceramica del secondo novecento rappresentava nell’economia della piccola comunità urbaniese, a differenza invece di quanto av-veniva a Deruta o a Faenza? Ma nei dialoghi con Bojani non si trattò mai di una contrapposizione tra passato e futuro della

ceramica: entrambi per quello che riguardava la piccola - ma grande per difficoltà - realtà urbaniese si pensava che fosse neces-saria una apertura sul futuro non meno che sul passato.Sembrava chiaro comunque che svolgere un ruolo su questa sce-na non sarebbe stato possibile senza coinvolgimenti istituzionali maggiori come era avvenuto di fatto verso la metà del secolo scorso con l’impegno diretto del Ministero della Pubblica istru-zione - come sopra si è visto - e come stava per fortuna avve-nendo con l’intervento del Centro beni Culturali della Regione Marche (attivo dal 1983 fino all’anno 2004 circa ) che in un certo senso aveva provvidenzialmente assunto il ruolo già appartenuto al Ministero per rendere possibile progetti di salvaguardia e di valorizzazione dei beni culturali conservati nel palazzo ducale di Urbania. Questo palazzo – già corte dei Della Rovere - in un certo senso poteva rappresentare un unicum nel panorama

regionale per la mutua alleanza tra i valori architettonici del mo-numento e le collezioni di derivazione ducale conservate e proposte nei musei.La collezione di terrecotte di Nadia Poggi Maurri con i suoi 800 pezzi giunti al Museo di Urbania sancisce un orientamento museale aperto a una pluralità di prospettive e di esperienze verso il mondo della ceramica; pur non rinunciando ad approfondire il fenomeno della ceramica duran-tina tanto nelle ricerche quanto negli scavi archeologici; e l’orizzonte si allargava per merito di Giancarlo Bojani che aveva facilitato l’ingresso della collezione8.

Nello stesso tempo ciò non sarebbe avvenuto - giova ripeterlo - senza il fondamentale contributo del Centro beni Culturali della Regione Marche con il quale erano in atto già da anni pratiche e progetti con Urbania e che ben conosceva la realtà dei beni cul-turali urbaniesi e del suo palazzo ducale anche come un punto di riferimento culturale dell’alta valle del Metauro. La Regione Marche infatti stanziò i finanziamenti necessari per acquistare la collezione Maurri per situarla nei musei di Urbania.Era necessario soffermarsi pur brevemente su questi punti per dar conto di come l’acquisizione della collezione Nadia Maurri Poggi sia avvenuta entro una dinamica di una certa complessi-tà dove erano in gioco varie forze - alcune delle quali agivano evidentemente dal passato - ma che tra loro hanno interagito portando a un risultato apprezzabile e costruttivo per la realtà dei musei di Urbania. La collezione di Nadia Poggi Maurri si trovava nelle Marche da poco dopo gli anni 90 collocata provvisoriamente nel convento

di Santa Vittoria a Fratterosa; una équipe di studiosi - già allievi di Bojani - era all’opera nel 1998 per uno studio di precatalogazione.

Poco dopo la collezione venne trasferita nel palazzo ducale di Urbania per aggregarsi ad altri nuclei di donazioni librarie e di opere grafiche che Nadia aveva già compiuto negli anni ’90. Dal

6 Brocca marchigiana di Vergineto

7 Nadia Poggi Maurri alla inaugurazione di una mostra al palazzo ducale di Urba-nia (2003)

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punto di vista museologico ci fu la massima attenzione che le nuove collezioni si combinassero con le collezioni storiche o precedentemente ricevute per far sì che ci fossero rispondenze e mu-tui arricchimenti; la torre di destra del palazzo, sul fiume Metauro, fu deputata ad accogliere la mostra permanente delle terrecotte Maurri con un deposito immediatamente attiguo allo spazio della mostra.Questa operazione così progettata e compiuta nell’anno 2006 permise di accogliere ed esporre una selezione delle terrecotte italiane divise per regioni laddove la Sardegna che risultava la regio-ne meno rappresentata venne integrata con la produzione di Federico Melis, espressione straor-dinaria della tradizione ceramica della Sardegna. La collezione Melis accordata con le terrecotte Maurri, nella partizione regionale, è un esempio museologico di una integrazione ben registrata e perfino solutrice di alcuni problemi dei Musei del palazzo ducale. Un miglior coordinamento tra le realtà museali avvenne anche dislocando vasi, orci e boccali nel Museo dell’Agricoltura e Ar-tigianato di recente istituzione, che si dimostrarono funzionali per ricostruire alcuni aspetti degli interni nelle case di campagna delle Marche9.L’aspetto museografico riguardante le modalità di presentazione della raccolta Maurri fu impo-stato con scaffalature di legno povero disposte secondo l’andamento circolare della torre; all’in-terno degli scaffali furono create le suddivisioni delle terrecotte per provenienza regionale; la luce che proviene dalle ampie finestre della torre permette di vedere naturalmente e apprezzare le terrecotte alternando la vista sul fiume Metauro che, con la sua grande ansa sotto la torre di Fran-cesco di Giorgio Martini, crea innegabili suggestioni e riflessioni tra il paesaggio, l’architettura e le forme delle ceramiche esposte.La collezione Maurri è stata ben studiata da Elena Longo che in occasione della mostra del 2006 – poneva i musei di Urbania come un punto di riferimento importante per la terracotta e come polo catalizzatore per la ceramica d’uso. Tanto fu vero che pochi anni dopo la collezione di terre-cotte di Massimo Dolcini, di circa 600 pezzi, confluì nei musei di Urbania dove è ora conservata in un deposito attrezzato nella ex “guardarobba” del palazzo ducale. Un’acquisizione non meno importante e per di più complementare alla raccolta Maurri: se quest’ultima documenta le terre-cotte della nostra penisola quella di Massimo Dolcini racconta le ceramiche del mondo così come il fotografo e designer di Pesaro le aveva reperite e poi trasferite in Italia durante i suoi frequenti viaggi compiuti nell’arco di almeno tre decenni.E questi incrementi molto recenti ai musei di Urbania sono ancora parte di quella storia aperta all’inizio degli anni ’80 e del successivo lavoro e impegno di Gian Carlo Bojani. In uno scritto del 2016, in occasione della mostra dedicata alle ceramiche Dolcini nel 2016, il ceramologo Claudio Paolinelli succeduto a Bojani nel suo corso di insegnamento all’Università di Urbino scriveva: “(…) a Urbania l’itinerario ceramico dei Musei Civici ha trovato fino ad oggi il suo coronamento con la recente acquisizione della collezione di ceramiche d’uso di Nadia Maurri Poggi, un unicum nel panorama nazionale per quantità e qualità di oggetti, una vera e propria antologia delle pro-duzioni regionali italiane. Si evince quindi come i Musei Civici di Urbania, con le loro collezioni ceramiche, possano considerarsi oltre che un riferimento nel panorama museale locale anche luo-go privilegiato per lo studio della ceramica d’uso e quindi destinazione naturale per una collezione ceramica eccezionale come quella di Massimo Dolcini (…)”10.Nada Maurri, a noi tutti nota come Nadia, ha svolto evidentemente un ruolo di primo piano con la sua volontà di collezionista verace di non disperdere e smembrare la sua raccolta e invece di destinarla a un luogo che fosse capace sia di accoglienza sia di garantire una certa attività valo-rizzatrice.La vita di Nada Maurri (n 1927 a Pontassieve) educata a Firenze al contatto con i migliori ambien-ti umanistici vicini a Giorgio La Pira è ben descritta negli scritti a lei dedicati11.

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Da parte mia vorrei ricordarla solo per un paio di aspetti: il primo è che la raccolta di un così vasto corpus - maturato in non meno di quattro decenni - è stata già per conto suo una impresa artistica. Nadia l’ha realizzata con viaggi per mercatini, laboratori e botteghe da un capo all’altro dell’Italia: acquisiva e trasferiva in modo avventuroso e coraggioso i vasi - a volte enormi - spesso in treno, in autobus, quasi sempre con mezzi pubblici o di fortuna. Teneva gli orci o i vasi tra le braccia con la cura che si riserva agli infanti e li ninnava tra le sue braccia affettuose e vigorose. Le sue ricerche erano di per sé performance d’artista e purtroppo ci resta solo qualche sparuta te-stimonianza per ricordarla e per onorarla per questo aspetto di raccoglitrice. Nadia Maurri aveva tutto l’acume dei suoi avi, da secoli in Toscana dediti al commercio, per riconoscere il valore delle cose e di più una sua propria tensione per gli incontri con gli oggetti di cui sapeva eventualmente valutare l’intrinseca qualità, la presenza di un carattere e riconoscerli, a volte, come depositari di un mistero.Una musica cominciava a suonare per Nadia quando scattava il contatto con la percezione del valore collegato alla categoria estetica. Poteva essere un oggetto, il più delle volte di ceramica; poteva essere una visita allo scrittore Fabio Tombari oppure il fervore emotivo per una visita nello studio di Gino Bonechi, ma anche l’attesa nervosa di un nuovo spazio di scoperta che si profilava nelle ore della sua giornata o nella sua vita.Nadia era stata indotta dalla madre a interessarsi degli oggetti artistici: da bambina rifiutava di uscire di casa - come lei stessa ebbe a raccontarmi - non ritrovandosi così avvenente come avrebbe desiderato; e la madre la convinse con il pretesto di cercare oggetti nei mercatini. Ed è così che la prima radice di Nadia collezionista, in un certo senso, è il suo desiderio vitale di relazione con gli oggetti artistici; questa pulsione ha rimesso al mondo la bambina Nadia con la mediazione di Elena Poggi sua madre per una seconda volta. Il legame di Nadia con Bojani ebbe luogo attraverso la sorella Anna congiuntasi in nozze con Giancarlo Bojani (1969); la moglie Anna, - va ricordato per inciso - fu un aiuto insostituibile anche nella sua funzione di documentalista del Direttore Bojani.Ho voluto incentrare questo breve scritto, sull’acquisizione della raccolta di terrecotte Nadia Maurri Poggi perché è l’avvenimento che, meglio degli altri, mi permette di ricordare Bojani che ho incontrato materialmente per la prima volta al museo di Urbania; e gli sviluppi della nostra co-noscenza hanno sempre gravitato intorno alle problematiche delle collezioni e del loro rapporto con il museo, della necessità di stare dentro il cambiamento, di fare del museo uno spazio aperto di relazioni e di confronti, di ispirazione.Gian Carlo Bojani ha certamente molti meriti e per più aspetti è stato benefico alla realtà cultu-rale di Urbania. Però mi preme di sottolineare la sua particolarità di Direttore-Autore. Egli ha arricchito le funzioni di Direttore di un significato fondamentale, cioè con quello di autore. Per essere più precisi: questa parola viene di solito utilizzato per i creatori; per Bojani dovrebbe essere assunta nel senso primigenio del suo etimo: autore è derivato di augere: chi fa crescere, colui che aumenta. Così ha fatto il Direttore Bojani con l’incremento di collezioni ragguardevoli che ovun-que ha procurato, in modo rilevante, nei suoi luoghi di azione: al Mic di Faenza anzitutto, dove di buon diritto si staglia nella triade con Ballardini e Liverani che ha fatto grande il museo faentino; ha accresciuto però anche i Musei di Pesaro, di Fossombrone, e quelli di Urbania - come si è visto - per giungere infine alla sua città natale di Fano con la donazione della biblioteca di ceramica e d’arte. Una biblioteca che è simbolicamente un doppio ritratto: quello di Bojani e di sua moglie Anna infaticabile procuratrice di libri.