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    EDITORIALE Nuova UmanitXXII (2000/1) 127, 1-10

    FEDE CRISTIANA E SOCIET CIVILE

    Il tema affrontato nella 43 Settimana sociale dei cattoliciitaliani, svoltasi a Napoli nel novembre scorso: Quale societ ci-vile per lItalia di domani?, non soltanto di quelli senzaltroemergenti, come si esprime in premessa il documento prepara-torio, ma anche di decisivo peso per la comprensione e la gestio-ne della presenza e dellinterazione dei cattolici nella vita del Pae-se e con le sue diversificate componenti.

    La presente riflessione si muove in unottica teologica e vuolsemplicemente cercare di offrire un contributo di risposta, in par-ticolare, a una delle domande proposte per il discernimento aconclusione del testo: in che senso si pu dire che la religione la prima e pi fondamentale presenza nella societ civile? quandonon cos di fatto, perch la religione non riesce a ispirare una

    vera societ civile?.La risposta al primo quesito, in realt, data per scontata

    dallimpianto che sorregge teoricamente il documento: ma si-gnificativo che affiori come necessit di approfondimento esplici-to. Anche perch strettamente connessa con il secondo quesito:Perch la religione che, di diritto, essenziale al configurarsi diuna societ civile, di fatto non lo (pi) oggi?.

    In effetti, la rapida ma puntuale fenomenologia della con-temporanea societ civile in Italia, delineata nella prima parte deldocumento e calibrata tra elementi di forza ed elementi di de-bolezza, comprende la constatazione cito testualmente cheanche la matrice culturale cattolica pare aver perso, oggi, partedella sua cogenza e della sua carica nellorientare lattuale proces-

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    so di transizione e soprattutto nellavanzare proposte concreteper la riedificazione della citt (n. 20).

    Anche se si sottolinea, in prospettiva generale e in positivo,che la rinnovata coscienza del valore della societ civile, nellauto-coscienza delloccidente europeo, pu essere stata influenzata, al-meno in parte, da quel processo che, sia allinterno del movimen-to ecumenico, sia nella teologia cattolica sfociata nel Concilio Va-ticano II, ha consolidato lidea della chiesa come comunione,dove la soggettivit , al tempo stesso, raggiunta, limitata e affer-

    mata dallAltro nella feconda relazione con altri. Cos che, inquanto distinta da quella di stato, lidea di societ civile ereditalurgenza del modello comunitario e, in quanto altra rispetto aquella di societ politica, evoca le esigenze di un autentico model-lo societario dove una parte non domini strumentalmente laltra(n. 3).

    Ma veniamo al primo quesito: in quale senso si pu e si devedire che la religione la prima e pi fondamentale presenzanella societ civile, tanto da determinare, in certo modo e almenosotto certi aspetti, lemergere e il profilarsi stesso della medesima?

    Questo primo quesito ci porta, innanzi tutto, a riprendere co-scienza e a rimettere al centro della riflessione un dato fondamenta-le, che troppo spesso e programmaticamente vasti filoni della cul-tura moderna e contemporanea hanno disatteso. Lo esprimo con leponderate parole di Giovanni Paolo II al Convegno Ecclesiale diPalermo del 95: tempo di comprendere pi profondamenteche il nucleo generatore di ogni autentica cultura costituito dalsuo approccio al mistero di Dio, nel quale soltanto trova il suo fon-damento incrollabile un ordine sociale incentrato sulla dignit e re-sponsabilit personale (cf. Ca 13). a partire da qui che si pu e sideve costruire nuova cultura. Questo il principale contributo che,

    come cristiani, possiamo dare a quel rinnovamento della societche lobiettivo del Convegno (n. 4).

    La storia e lesperienza confortano e confermano questa af-fermazione. Ma una corretta e feconda declinazione del suo signi-ficato in rapporto al nostro tema e allattualit, esigono due ulte-riori precisazioni.

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    La prima. Se vero che ogni autentica cultura sociale ha ilsuo nucleo generatore nellapproccio al mistero di Dio, anche ve-

    ro che il mistero di Dio che annunciato e reso presente nella sto-ria da Ges Cristo costituisce al tempo stesso un evidente salto diqualit rispetto ai precedenti accessi al mistero di Dio. Il che valeanche per quello stesso mondo ebraico rispetto al quale levento diGes Cristo si pone in un rapporto di continuit e di compimento.Lavvento del regno di Dio annunciato e realizzato da Ges Cri-sto non si pone nella prospettiva della realizzazione di unorganiz-

    zazione statuale definita e definitiva, ma bens in quella di una rela-zionalit tra i soggetti personali che realizzi nella storia per dirlacon R. Pesch la prassi di Dio, la prassi del Cielo, quale lievitodi trasformazione e dintegrale realizzazione umana, fondata eaperta dal e al suo compimento trascendente. La comunit che convocata attorno al messaggio di Ges Cristo e le comunit che, apartire dallevento della sua pasqua di morte e resurrezione, sono

    convocate attorno a lui risorto, costituiscono, direi per definizione,degli spazi relazionali da cui germinano fermenti di una nuova so-cialit. Dio, in Cristo, non redime soltanto il singolo, ma anche la re-lazione sociale. E questo perch egli stesso non singolarit mona-dica, ma comunione. La rivelazione di Ges Cristo, ove Dio lUno dice di S: Siamo: Io e il Padre siamo uno (cf. Gv 10, 30), sta-ta, a ben vedere, lautentica dichiarazione di consistenza e di valoredella storia umana e della socialit 1.

    Dal punto di vista della concretezza storica del movimentosociale messo in atto da Ges, si potrebbe dire che egli mira a uncambiamento di progetto sociale attraverso il cambiamento dellecondizioni stesse che lo rendono praticabile. Infatti, grazie allin-tegrazione nella comunit dei discepoli di Ges, cambiano le fon-damentali condizioni dellagire sociale della persona. Con lo stru-mentario terminologico delle odierne scienze sociali 2, questa ori-

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    1 G.M. Zangh, Il sociale come liberazione dellutopia. Lattesa di oggi, inNuova Umanit, XIV (1992), 84, pp. 5-16.

    2 Cf. A. Habisch, Was ist das Sozialvermgen einer Gesellschaft?, in Stim-men der Zeit, 214 (1996), pp. 670-680; Id., Giovanni o Ges? Etica sociale edesperienza trinitaria di fede, inLa fede, P. Coda - C. Hennecke (edd.), Citt Nuo-va, Roma 2000.

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    ginale forma di relazionarsi gli uni gli altri potrebbe essere espres-sa come tesoro sociale della comunit di Ges, come cultura so-

    ciale, dunque, di cui parte strutturale fissa lethos delineato nelduplice comandamento dellamore e nel sermone della montagna.Tale cultura sociale trasforma dallinterno la struttura incentivan-te per ciascun discepolo, in modo che non pi lo sfruttamentoopportunistico, ma il servizio reso allaltro e alla comunit diventala strategia operativa determinante. Questa struttura evidenziaprecisamente il carattere relazionale dellethos di Ges: non tan-

    to la prospettiva del singolo individuo che si eleva a un rendimen-to morale massimo per eroismo ascetico (anche se ci non esclu-so), ma piuttosto quella della prassi trasformata del singolo che resa possibile e supportata grazie alla pre-costituzione dello spaziocomunitario attraverso lamore testimoniato e trasmesso da Cristoe vissuto nel suo Spirito. Il testo dellagire sociale dunquecomprensibile solo sullo sfondo del con-testo rappresentato da

    tale spazio desperienza.Se vero, pertanto, che ogni autentica esperienza e tradizio-ne religiosa per s genera, custodisce e alimenta un autonomo spa-zio sociale, anche vero che questa intenzionalit e vocazione sidispiegano in forma singolare, e quindi anche inattesa, a partiredallevento di Ges Cristo tramandato nella e dalla comunit cri-stiana e per osmosi (teologicamente si direbbe: per luniversale ef-fusione dello Spirito di Cristo) nella storia umana. Daltra parte,ogni religione, come notava H. Bergson, proprio perch incarnatanei processi storici, vive in s quella dialettica tra chiusura eapertura, tra conservazione e profezia, che se da un lato ri-schiano di renderla organica allo status quo, dallaltra le possonopermettere di evocare straordinarie e impensate energie di libera-zione e di innovazione. Il che vale anche per la fede cristiana: e lastoria dellEuropa lo documenta.

    Nel corso dei secoli, in ogni caso, in un Occidente profonda-mente segnato dal cristianesimo e tenuto insieme da un consensounivoco sui valori, dalla cultura sociale conservata e vitalmentetramandata nella prassi della Chiesa (per esempio nei monasteri epoi nellagire sociale indotto dallesperienza degli Ordini mendi-canti) scaturita in svariati modi una forza ispirativa e normativa

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    per la vita sociale. Listituzione della tregua nel primo medioevo, lemense per i poveri nelle citt, linsegnamento impartito alle classi

    meno abbienti o la morale familiare allinizio dellera moderna,per non ricordare che qualche esempio, sono comprensibili sol-tanto sullo sfondo del concetto e dellesperienza cristiana dellapersona e dei relativi concetti ed esperienza della socialit. Risultaper in definitiva predominante, in tutti questi casi, un paradigmadi etica sociale che mira vigorosamente al cambiamento del pro-getto individuale di vita, senza mirare al contempo a realizzare un

    cambiamento delle sue condizioni di base. Le strutture della con-vivenza sociale sembrano anzi essere tradizionalmente prestabilitee incontestabili retaggio ancestrale della visione religiosa dellarelazione tra sacro e profano precedente allevento cristiano e per-durante dopo di esso e allinterno stesso della sua concreta confi-gurazione sociale e politica. Soltanto utopie sociali come quelle diTommaso Moro mostrano traccia della visione di un cambiamento

    progettuale raggiunto attraverso il cambiamento delle condizioni.Giungiamo cos alla seconda precisazione. Di fatto, la storia

    culturale e sociale dellOccidente a partire dalla modernit sembrasegnare una cesura. Non solo perch la societ complessa e poi glo-bale in via di formazione, che si fonda sulla divisione del lavoro e lamassima differenziazione delle funzioni, soggetta a principi strut-turali completamente diversi da quelli del precedente mondo euro-peo. Ma anche perch il progetto culturale e sociale che tende aimporsi sembra voler smentire il ruolo dellapproccio a Dio, e inparticolare al Dio di Ges Cristo, come generatore di coerenza e altempo stesso di novit sociale. Il discorso complesso e non inten-do qui impegolarmi nelle discussioni ormai datate sul rapporto trasecolarizzazione, secolarismo e cristianesimo. Vorrei solo fareunosservazione che mi pare fondamentale, nella sua apparente ov-

    viet, ma che invece viene spesso sottovalutata quando non del tut-to ignorata. Nel fenomeno, peraltro intricato, dellemarginazioneprogressiva dellevento cristiano dalla dinamica sociale che si fastrada nel mondo occidentale, vanno distinti a mio avviso due ver-santi: da un lato, certo, il misconoscimento dellapporto essenzialeche lapproccio al mistero di Dio trinitario offre alla dinamica cul-

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    turale e sociale ed anche il tentativo di esorcizzare il ruolo di affer-mazione e di tutela che listituzione ecclesiale offre nei confronti

    della persona e delle relazioni sociali che non si lasciano fagocitareda ideologie totalizzanti; ma anche, dallaltro, la spinta (pi o menoconsapevole) a liberare quelle energie emancipatrici e innovatricinei confronti di un ordine sociale fisso e immutabile, che ultima-mente gettano le loro radici nellevento cristiano stesso. La con-traddizione, spesso, sta proprio nel non (voler) comprendere laconnessione costitutiva di tali energie con la loro sorgente evangeli-

    ca, che si fa presenza alla storia nella comunit ecclesiale quale se-gno e strumento della presenza di Cristo stesso.Dal punto di vista della Chiesa cattolica, Il Concilio Vaticano

    II, cos come lo sviluppo della dottrina sociale, rappresenta in talsenso un fatto di portata epocale per la maturazione dellautoco-scienza cristiana nei confronti dei processi che hanno attraversatola modernit. Il Concilio, in particolare, pone le basi, sia a partire

    dalla visione ecclesiologica proposta nella Lumen Gentium, sianella considerazione dellidentit e della missione della Chiesa nelmondo delineata dalla Gaudium et Spes, di una riproposizionedellintera questione attraverso un recupero della dinamicit origi-naria dellevento ecclesiale secondo la forma impressagli da GesCristo e testimoniata dal Nuovo Testamento. Ci troviamo di frontea un modello in gran parte ancora inedito e inesplorato di configu-rare la presenza dei cristiani nella societ.

    La predicazione di Ges, che come gi accennato legastrettamente tra loro laccesso al mistero di Dio che si rende presen-te nella vita personale e lagire relazionale e sociale che ne consegue,alle origini come oggi non richiama a ritornare al vecchio ordine,ma anticipa nel suo indirizzo escatologico un nuovo ordine di rap-porti tra i discepoli teso a diventare lievito di trasformazione dellin-tero tessuto sociale. Tale dinamica, che evidentemente ancorata e

    illuminata attraverso levento di Ges Cristo nei principi e nei valo-ri immutabili impressi da Dio Creatore nella sua creatura (cf. GS10), non viene per stabilita nella sua determinazione concreta unavolta per tutte, bens lasciata, quanto alla sua elaborazione ed incar-nazione, alla realt di una prassi di vita che si dischiude entrolesperienza della comunit cristiana profondamente inserita nei di-

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    namismi del mondo e del tempo, e anche, di conseguenza, a partiredai germi disseminati nel vasto campo della storia dalla predicazio-

    ne del vangelo. In definitiva, come notava Paolo VI nellOctogesi-ma adveniens rilanciando il messaggio conciliare, lo Spirito San-to stesso, il quale conduce il popolo di Dio e insieme riempie luni-verso (cf. GS 11), a ispirare di tempo in tempo soluzioni nuove e at-tuali consegnate alla responsabilit creativa degli uomini. In taleprocesso sono determinanti, spesso, grandi carismi che non solo at-tivano nuove esperienze del mistero di Dio in Cristo, ma di conse-

    guenza suscitano fermenti di rinnovamento culturale e sociale tal-volta anche decisivi. Si pensi a san Benedetto sul finire dellevo anti-co, a san Francesco e san Domenico nel Medioevo, a santIgnazioagli albori della modernit sino a giungere ai nostri tempi. In talsenso, il cristianesimo, anche in ordine alla sua presenza nella so-ciet civile, essenzialmente una religione del futuro (nel significatosoggettivo e oggettivo insieme di questo genitivo).

    Fatte queste considerazioni di ordine pi generale e teorico,veniamo al secondo quesito, di ordine pi pratico, cui ci eravamoproposti di abbozzare una risposta: perch, di fatto ci si chiedecon severit nel documento preparatorio la religione non riesce aispirare oggi una vera societ civile? o, per volgere la domanda inpositivo, quale pu e deve essere oggi il contributo dei cattolici allacostruzione di unautentica e robusta societ civile?

    Vorrei in proposito innanzi tutto ampliare alla realt ecclesialeunosservazione che il documento preparatorio fa a proposito dellasociet civile. Vi si dice che la societ ricca di fermenti nuovi cheesigono unattenta considerazione (n.10), che il paese tuttaltroche stanco e per niente ripiegato su se stesso, che si tratta di co-gliere un movimento che opera dal basso (n.11). Qualcosa dianalogo, penso, si pu dire per la realt ecclesiale. Limpressione

    lo dico qui con estrema sintesi in unaffermazione che andrebbedebitamente documentata che da un lato, la svolta programma-tica propiziata dal Vaticano II non sia stata sufficientemente recepi-ta, perch i moduli dellinterpretazione sociale da parte dellistitu-zione ecclesiale sono risultati, inavvertitamente, ancora troppo an-corati alla precedente visione. Come se ci si trovasse a gestire una

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    situazione demergenza destinata ben presto a finire. Le cose, inrealt, sono assai diverse. Questo ritardo di recezione e di proposi-

    tivit creativa, unito allaccelerarsi del processo di transizione in at-to, non potevano non sortire il risultato che il documento prepara-torio onestamente recensisce nel senso di una scarsa rilevanza dellamatrice culturale cattolica.

    Ma daltro lato ed ecco il ricordato movimento dal basso,cui non estranea lazione dello Spirito cui prima ho fatto cenno il tessuto vivo della comunit ecclesiale in Italia, mentre ha cono-

    sciuto senza dubbio, da una parte, unerosione della sua consisten-za, pervasivit e incisivit, dallaltra, anche se spesso in sordina, stato attraversato e fecondato, negli scorsi decenni, da spinte edesperienze significative e innovative. Solo in un punto il documen-to vi fa cenno esplicito, ma evidente che il fenomeno tenutopresente. Vi si parla dei diversi gruppi, associazioni e movimentiche vivacizzano le comunit ecclesiali, e delle tante forme di volon-

    tariato e di sperimentazione sociale ed anche di economia sociale edi economia di comunione che interessano il territorio e il vissutosociale (cf. n. 14). Tali esperienze, a mio avviso, meritano una pideterminata attenzione. Si tratta infatti di realt e sperimentazioni,il pi delle volte ancora soltanto a misura di laboratorio, le qualiper, pur nella diversit anche grande della loro configurazione,dei loro obiettivi e dei loro risultati, tendono sintomaticamente a ri-svegliare quel tipo di dinamica sociale che , da un lato, consenta-neo alloriginalit dellevento cristiano, e, dallaltro, capace dinter-cettare le esigenze di coesione e dinnovazione sociale richieste dalnostro tempo. Non solo lo dico per inciso in rapporto alla com-plessit della societ civile sotto il profilo dellorganizzazione socia-le ed economica, ma anche in rapporto al pluralismo culturale esempre pi anche religioso. Si tratta, in tali realt, di rendere espli-cito ed attivo il riferimento allesperienza spirituale in cui laccesso

    al Dio trinitario si fa tangibile, di attuare degli spazi di relazionalitsecondo la dinamica inaugurata dallevento di Ges Cristo, di atti-vare su di un raggio pi ampio quella sfera della comunicazio-ne interpersonale in cui come nota il documento preparatorio si forma lidentit umana (cf. n. 38). Daltra parte ed sempreil documento in questione a richiamarlo queste esperienze non

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    sono per s sufficienti: necessario dar vita a un processo ampio earticolato di recupero, allinterno della societ civile, di valori co-

    muni che presiedono alla costruzione di un ethos collettivo condi-viso: ed appunto a questo livello che lapporto dei credenti edelle comunit cristiane, nelle loro diverse articolazioni ed espres-sioni, deve diventare sempre pi determinante (n. 14).

    Combinando queste due istanze che, del resto, sono entram-be coerenti allispirazione evangelica, penso si possa dire che lim-pegno e il contributo dei cattolici in Italia alla costruzione di una

    robusta e innovativa societ civile, vada visto in due direzioni com-plementari.Prima di tutto, le comunit cristiane sono chiamate ad ap-

    prontare o, dove gi vi siano, a dare ulteriore incremento e respiro,a quegli spazi di vita relazionale al loro interno e nellapertura dia-logica ad altre realt sociali, in cui le condizioni per lazione e linte-razione umana, trasformate grazie alla promessa di grazia incondi-zionata da parte di Ges Cristo, diventino sperimentabili e in cui sipossa vivere concretamente il cambiamento del progetto socialemediante il cambiamento delle condizioni esistenziali e praticheche lo rendono possibile. Tali spazi e i laboratori di sperimentazio-ne e di progettazione sociale che ne derivano, in particolare, mi pa-re possano costituire lhumus propizio in cui il principio di sussi-diariet, collegato a quello della solidariet e della condivisione, di-venta effettivamente operante e fecondo. In tali spazi relazionali,

    infatti, il principio di sussidiariet, in cui lazione di un soggetto sussidiaria allaltro soggetto non solo perch gli presta aiuto in casodi necessit, ma lo promuove nella sua dignit e nella sua autono-ma responsabilit, spontaneamente genera e postula a un tempola reciprocit (cos il documento preparatorio al n. 40). Come hasottolineato con vigore G.M. Zangh, il sociale appare infatti essen-zialmente come lo spazio dellesistenza delluomo nel quale egli,

    libero e intelligente, deve giungere a possedersi attraverso una spe-rimentazione nella quale la reciprocit dei rapporti entra come ele-mento determinante 3. In ci sta, in fin dei conti, loriginalitdellethos escatologico di Ges Cristo.

    3 G.M. Zangh, op. cit., p. 6.

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    In secondo luogo, e conseguentemente, in base allo stato at-tuale delle scienze sociali ed economiche, andranno cercate, elabo-

    rate e proposte quelle norme e quei modi operativi concreti cherendano praticabile e condivisibile una tale prassi allinterno di unasociet complessa e globale come la nostra, organizzata secondo leleggi di mercato e della divisione del lavoro. Norme e modi opera-tivi concreti, in questo caso, non sono le premesse, ma il compitodi elaborazione culturale che deve scaturire da una innovativaesperienza di prassi cristiana. La necessaria premessa non che la

    promessa attualizzata da una vita di reciprocit nella fede: Io sonocon voi tutti i giorni sino alla fine del mondo (Mt 28, 20).

    PIERO CODA

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