AMORE Introduzione alla fede CRISTIANA · PF = Porta fifei RdC = Rinnovamento della catechesi...

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Introduzione alla fede

C R I S T I A N Aa cura di padre Celeste Garrafa

A R D O R - ottobre 2014

DIO È

AMORE

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Sommario PRESENTAZIONE ................................................................................................................................................ 2

ABBREVIAZIONI .................................................................................................................................................. 3

CAPITOLO I ......................................................................................................................................................... 4

CAPITOLO II ...................................................................................................................................................... 16

CAPITOLO III ..................................................................................................................................................... 23

CAPITOLO IV .................................................................................................................................................... 27

CAPITOLO V ..................................................................................................................................................... 38

CAPITOLO VI .................................................................................................................................................... 47

CAPITOLO VII ................................................................................................................................................... 56

CAPITOLO VIII .................................................................................................................................................. 61

CAPITOLO IX ..................................................................................................................................................... 77

APPENDICE....................................................................................................................................................... 85

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PRESENTAZIONE

Questo sussidio (“Introduzione alla fede cristiana”) è stato pensato per introdurre i corsi di formazione di base dei catechisti, promossi ed animati dall’UCD della diocesi di Cosenza-Bisignano. Il progetto formativo prevede un corso organico triennale con due ore alla settimana: i contenuti dei primi due anni sono: l’introduzione alla fede cristiana;; l’iniziazione alla Sacra Scrittura e i contenuti teologici ispirati alle quattro parti del Catechismo della Chiesa Cattolica: la fede creduta, la fede celebrata, la fede vissuta e la fede pregata. Nel terzo anno si offrono i criteri orientativi della catechesi (catechetica fondamentale), e gli elementi essenziali di carattere psico-pedagogico e metodologico-didattico relativi alla pastorale catechistica, con particolare attenzione all'identità, spiritualità e missione dei catechisti. “Introduzione alla fede cristiana” intende offrire un quadro panoramico su ciò che sarà sviluppato soprattutto nel corso dei primi due anni del “Progetto formativo per la formazione organica di base dei catechisti”. Il breve percorso del testo parte dal considerare la ricerca della fede nell’esperienza umana e le “vie” che conducono a cogliere l’esistenza di Dio anche attraverso la ragione (capitolo I), sottolineando l’importanza del dialogo tra fede e ragione al riguardo (capitolo II). Si passa quindi a delineare sinteticamente la specifica identità della fede cristiana fondata sulla Rivelazione che ha in Gesù il suo centro e il suo vertice (capitolo III), evidenziando la credibilità razionale della stessa Rivelazione, in particolare di Gesù e del suo Vangelo (capitolo IV). Si offre poi un quadro sintetico dell’antropologia cristiana, che trova in Gesù l’«Uomo nuovo» il modello dell’uomo perfetto (capitolo V), e si evidenzia che la vita cristiana è vivere un progetto di vita il cui centro è Gesù Cristo (capitolo VI). Si mette in luce l’ecclesialità della fede cristiana: l’incontro con Gesù Cristo nella chiesa, sacramento di Cristo e suo corpo mistico (capitolo VII). Si presenta sinteticamente la globalità della vita cristiana con la sua fede «cercata», «creduta», «celebrata», «vissuta» e «pregata», che sono i pilastri della stessa fede che sono tematizzati nel Catechismo della Chiesa Cattolica (capitolo VIII). La formazione contenutistica di base dei catechisti è ispirata appunto alle quattro parti del CCC. L’ultimo capitolo (il IX) sollecita a vedere e vivere la fede come un cammino aperto, che da una parte impegna in un processo di continua conversione, e dall’altra richiede una ricerca continua della fede verso la pienezza della Verità, per la quale il dubbio euristico è una risorsa. Nel corso della trattazione, qua e là si fa intravedere la dimensione educativa della fede, per la quale la catechesi e la formazione dei catechisti sono essenziali. Gli obiettivi fondamentali del sussidio sono: stimolare alla ricerca della fede, mostrando che essa non solo non si oppone alla ragione, che anzi la esige e la suppone;; aprire una “finestra” per uno sguardo panoramico che mostri sinteticamente l’identità e la bellezza della fede e della vita cristiana. Si spera che il sussidio, oltre alla formazione dei catechisti e/o aspiranti catechisti, possa essere utile a chi desidera avere una fede pensata e motivata, sia pure nella sua fase introduttiva aperta a necessari ulteriori approfondimenti.

P. Celeste Garrafa Montalto Uffugo 18-10-2014

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ABBREVIAZIONI (SIGLE) CCC = Catechismo della Chiesa Cattolica CdA = Catechismo degli adulti del Progetto Catechistico Italiano: “La verità vi farà liberi”. CVMC = Comunicare il vangelo in un mondo che cambia DGC = Direttorio generale per la catechesi DV = Dei verbum EG = Evangelii gaudium EVBV = Educare alla vita buona del vangelo FR = Fide set ratio GS = Gaudium et spes LF = Lumen fidei LG = Lumen gentium PF = Porta fifei RdC = Rinnovamento della catechesi (Documento di base) SC = Sacrosanctum concilium

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CAPITOLO I LA RICERCA DELLA FEDE NELL’ESPERIENZA UMANA

Forse ti senti nauseato se ancora una volta ricominciamo a chiederci: Chi è Dio? Già troppe volte è sorta questa domanda e ormai dubiti che si possa trovare risposta. Eppure io ti dico: Dio è il solo che mai può essere cercato inutilmente, neppure quando appare impossibile trovarlo (S. Bernardo, La meditazione) La ricerca della fede è un elemento costitutivo della natura umana, ed è anche una dimensione importante dell’educazione alla fede, cioè della catechesi. La fede autentica, infatti, deve essere razionalmente fondata, e deve comprendere armonicamente tutte le dimensioni dell’esperienza della fede, tra le quali, appunto, la “ricerca delle ragioni per credere”.

“Senza confondersi formalmente con essi, la catechesi si articola in un certo numero di elementi della missione pastorale della Chiesa, che hanno un aspetto catechetico, che preparano la catechesi o che ne derivano: primo annuncio del Vangelo, o predicazione missionaria allo scopo di suscitare la fede; ricerca delle ragioni per credere; esperienza di vita cristiana; celebrazione dei sacramenti; integrazione nella comunità ecclesiale;; testimonianza apostolica e missionaria” . 1

Natura del problema religioso Si ha esperienza religiosa quando l’esperienza umana, nella sua totalità, la si interpreta scendendo a un livello di profondità tale che ci si interroga sul senso della vita, e ci si apre al mistero e al trascendente (al mistero di Dio).

Le caratteristiche dell’esperienza religiosa sono: Riconoscimento dei limiti dell’esistenza (dipendenza, creaturalità, precarietà della vita …) e

della tensione all’Assoluto (bisogno di felicità, desiderio di infinito, ricerca del senso della vita, …);;

Fiducia che questa tensione verso l’Assoluto non è illusoria, non sfocia nel nulla della morte, perché l’Assoluto esiste, Dio esiste come fondamento della realtà e appagamento del bisogno di felicità …;;

L’Assoluto è un essere personale (visione ebraico-cristiana di Dio). Per far sì che l’uomo scopra il valore della fede religiosa per la piena realizzazione della sua vita, occorre fargli prendere coscienza del bisogno di Dio che ogni uomo vive, a volte in maniera non del tutto consapevole. Occorre educare la “domanda” religiosa facendo emergere gli interrogativi sul senso della vita. Molte persone, infatti, non si pongono o ritardano l’interrogativo sul senso della vita perché vivono superficialmente, o sono immersi nel consumismo o nei problemi pratici della vita che impediscono l’affiorare del problema.

1 Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), 6,

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Tanti giovani ed adulti, ad esempio, sono indifferenti verso la religione non perché si sono posti seriamente il problema religioso, ma perché vivono superficialmente. Possiamo paragonare l’uomo di oggi, bisognoso inconsapevole di Dio, alla condizione di un uomo ferito e bisognoso di cure mediche urgenti, ma che non va dal medico o addirittura si rifiuta di andarvi perché, essendo ubriaco, non si rende conto del suo male. L’uomo di oggi è spesso “ubriaco” di consumismo e di secolarismo … Come allora l’ubriaco ferito deve essere aiutato a rendersi conto delle sue ferite perché si salvi ricorrendo alle cure mediche, così è necessario aiutare l’uomo a prendere coscienza del suo bisogno di Dio, facendolo passare dalla superficialità alla profondità della vita, suscitando l’emergenza degli interrogativi esistenziali, in maniera tale che si renda conto che la religione è ciò che lo riguarda incondizionatamente per la stessa realizzazione piena della sua vita. Una volta preso coscienza che nell’uomo c’è un bisogno profondo di qualcosa d’infinito (dimensione religiosa della vita), il “terreno” è preparato alla possibilità di accogliere significativamente il Vangelo di Gesù Cristo come risposta ai suoi profondi interrogativi esistenziali. Fede e ricerca del senso della vita Il problema religioso comincia quando l’uomo si pone il problema del senso della sua vita e della realtà nel suo insieme, cercando la risposta alle grandi domande della vita stessa: da dove vengo? dove vado? perché il bene e il male? perché vivere? la vita finisce con la morte? Si tratta di un problema fondamentale che non si può e non si deve eludere, la cui soluzione impegna la maturità stessa della persona.

Fondamentalmente la religione è la risposta qualificata al problema del senso ultimo della vita e del suo rapporto con la condizione storica in cui ogni essere umano si trova a vivere. Se non si coglie il significato profondo della religione come risposta al problema del senso della vita, non si coglie autenticamente il significato e il valore delle norme, istituzioni, riti, emozioni o esperienze legate alla religiosità. Se non si vive la fede nel suo legame con il senso della vita, gli stessi comportamenti religiosi possono scadere nel ritualismo o nel conformismo sociale …

“Con il loro operare gli uomini mostrano di credere almeno implicitamente nella vita, perfino quando in teoria non le riconoscono alcun significato. Malgrado il naufragio che tutti li aspetta, non cessano di fare progetti e di volgersi a nuove imprese. Sono continuamente protesi verso un di più, con la mente, con il cuore, con le mani, con i passi dei loro piedi. Come spiegare questo dinamismo dello spirito umano? Una speranza tenace si nasconde in esso. […] L’esigenza di significato è ineludibile. Non si può vivere senza un atteggiamento fondamentale di fiducia nella realtà”. [CdA 15]

“Ma come è possibile dare fiducia a una realtà che si presenta frammentaria e precaria? Come si può mantenere la speranza di fronte alla prospettiva di una morte sicura? Perché alcune azioni sono da fare e altre da evitare assolutamente? Da dove i valori ricevono consistenza? E perché esiste qualcosa e non il nulla? La risposta a questi interrogativi va ricercata in un fondamento originario e in una meta ultima. L’esigenza insopprimibile di significato introduce nell’esperienza religiosa e si configura come apertura al mistero di Dio e insieme al nostro futuro, oltre l’orizzonte spazio-temporale dei fenomeni studiati dalla scienza..” [CdA 16]

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“Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell'uomo, perché l'uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l'uomo e soltanto in Dio l'uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa:

La ragione più alta della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e se non si affida al suo Creatore [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 19]”.2

“Il mistero della vita abbraccia l’esistenza di uomini e cose. Insieme prendiamo parte all’unica avventura degli esseri viventi. Ma vedere con gli occhi non basta. Occorre imparare a leggere dentro le cose con sapienza e amore. Viviamo ogni giorno i segni di una presenza più grande di noi. La realtà non finisce dove arriva il nostro sguardo: al di là degli avvenimenti, sopra di noi, c’è Qualcuno che dispensa la vita a tutti gli esseri. Possiamo conoscerlo? Possiamo comunicare con lui? Questi interrogativi sono all’origine della ricerca religiosa tra gli uomini. Essa ha trovato mille forme per esprimersi. La storia di un popolo è anche la storia della sua religiosità, con i suoi riti, le sue feste e i suoi sacrifici. Il centro delle città antiche era spesso occupato dal tempio, dove la gente andava ad adorare. Le statue degli dei decoravano le strade di Atene e i fori di Roma. Da quando è nata la scrittura, sono apparsi libri sacri che raccolgono preghiere, regole di comportamento e tentativi di spiegare il mistero della vita”. 3

Universalità del fatto religioso

“Da sempre gli uomini si interrogano circa la loro origine e il loro futuro, la vita e la morte, il bene e il male, la felicità e il dolore, il mistero profondo della realtà. A queste grandi domande cercano di trovare una risposta nelle religioni”. [CdA 18] “Il senso religioso è l’apertura al Mistero che sostiene il mondo e l’esistenza umana. Viene vissuto all’interno di una comunità, mediante l’accettazione di una dottrina, il culto pubblico e l’osservanza di norme morali”. [CdA 20] […] “Grande è la varietà e la ricchezza di dottrine, simboli, riti, preghiere, usi, istituzioni, immagini, oggetti e luoghi sacri”. [CdA 21] “Delle religioni oggi esistenti si può dare questa classificazione: religioni primitive; religioni orientali, cioè parsismo, induismo, buddhismo, taoismo, confucianesimo e scintoismo; religioni monoteistiche, cioè ebraismo, cristianesimo e islamismo”. [CdA 22] L’ateismo

”Oggi, per la verità, accanto all’esperienza religiosa, è diffuso anche l’ateismo o negazione di Dio. Assume anch’esso varie forme: l’ateismo scientista, che esclude la possibilità di oltrepassare l’esperienza sensibile e spiega la religione come fenomeno psichico, sociale, culturale; l’ateismo umanista, che rivendica l’autonomia assoluta dell’uomo e considera la religione come un’alienazione; l’ateismo pratico, o indifferenza, che ritiene Dio irrilevante per la vita personale e sociale; l’ateismo tragico, che rifiuta l’esistenza di Dio a motivo del male presente nel mondo”. [CdA 23] 2 CCC, 27 3 CEI, Catechismo di ragazzi: VI HO CHIAMATO AMICI, Cap. I, “Alla ricerca di Dio” N.17

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E’ propria dell’uomo una sana inquietudine che lo spinge a cercare Dio “Tu ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”: chi può dire di non sentire questa misteriosa inquietudine? È la confessione di sant’Agostino che, dopo un’adolescenza e una giovinezza tormentata dalla passione per la verità, trova veramente Dio. Molti uomini spinti dal desiderio della verità, hanno incontrato Dio; altri, apparentemente, soffocano la sete di Dio nel loro cuore. Il denaro e il potere, soprattutto, diventano idoli che hanno un fascino potente sull’uomo e possono spegnere in lui il senso di Dio. È il rischio di farsi un Dio a propria immagine e somiglianza, invece di vivere nella continua ricerca di lui. È il desiderio del piacere immediato che impedisce di rientrare in se stessi, per ascoltare la voce di Dio. Spesso la scienza, il progresso e l’organizzazione sociale creano l’illusione che l’uomo possa fare da sé, senza Dio. Secondo alcuni, poi, traguardi importanti come la giustizia, le conquiste sociali e la pace si possono raggiungere senza Dio, semplicemente attraverso l’azione e la lotta politica. In realtà, nella vita di ogni uomo, Dio parla. La sua voce risuona nella coscienza: per udirla è necessario mettersi in ascolto. Perché una persona non riesce a chiamare per nome Dio e non crede in lui? Nessuno può giudicare; non possiamo sapere quale nostalgia è nascosta nel suo cuore. Chi non crede non va guardato con diffidenza. Se tanta gente dichiara di non credere, ciò dipende anche dal comportamento incoerente dei cristiani. “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni” (Paolo VI). Credenti e non credenti possono lavorare insieme, insieme affrontano la fatica di servire ogni giorno progetti di vita nella ricerca della verità e dell’amore per l’uomo”. 4 La ricerca di Dio è ricerca della felicità

“Siamo cercatori di felicità, appassionati e mai sazi. Questa inquietudine ci accomuna tutti. Sembra quasi che sia la dimensione più forte e consistente dell’esistenza, il punto di incontro e di convergenza delle differenze. Non può essere che così: è la nostra vita quotidiana il luogo da cui sale la sete di felicità. Nasce con il primo anelito di vita e si spegne con l’ultimo. Nel cammino tra la nascita e la morte, siamo tutti cercatori di felicità. […] Nei momenti più felici, come in quelli più profondi, anche quando sono sofferti, sogniamo una speranza che crede e che ama: la speranza di chi si sente amato, cercato, sostenuto nel quotidiano, in un crescendo di senso, di gioia, di operosità costruttiva, che va oltre la fine di tutto. È questa la speranza che viene da Dio?” 5 “Constatiamo la presenza di una diffusa attesa di qualcosa – o di Qualcuno – cui si possa affidare il proprio desiderio di felicità e di futuro, e che sia in grado di dischiuderci un senso, tale da rendere la nostra vita buona e degna di essere vissuta. Non possiamo certamente dimenticare che questo sogno di felicità e di futuro viene percepito in modi diversissimi e si manifesta con tanti nomi. Dobbiamo cercare di decifrarlo, organizzandolo intorno ad alcune domande concrete. […] Si tratta delle domande che riguardano la nostra esistenza, il nostro destino e il senso di ciò che siamo e facciamo, oltre che di tutto ciò che ci circonda. Sono interrogativi che, per essere veramente affrontati, richiedono il coraggio della ricerca della verità e la libertà del cuore e della mente. Come discepoli di Gesù, ci 4 CEI, Catechismo di ragazzi: VI HO CHIAMATO AMICI, Cap. I, “Il nostro cuore è inquieto” N. 21 5 CEI, Lettera ai cercatori di Dio, 2009., Parte I, N° 1

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sembra di poter discernere in queste molteplici attese una forte domanda di incontro con il Dio che lui ci ha rivelato”. 6 Le “vie” per conoscere l’esistenza di Dio “Creato a immagine di Dio, chiamato a conoscere e ad amare Dio, l'uomo che cerca Dio scopre alcune “vie” per arrivare alla conoscenza di Dio. Vengono anche chiamate “prove dell'esistenza di Dio”, non nel senso delle prove ricercate nel campo delle scienze naturali, ma nel senso di “argomenti convergenti e convincenti” che permettono di raggiungere vere certezze. Queste “vie” per avvicinarsi a Dio hanno come punto di partenza la creazione: il mondo materiale e la persona umana”. 7 “C’è, innanzitutto, una vita, una Terra, un Universo. E ciò pone la prima domanda, quella davvero radicale, espressa da Albert Einstein: « Perché c’è il mondo e non il nulla? ». Prima dell’ordine dell’Universo, sta il problema dell’esistenza dell’Universo stesso, dell’origine dell’immensa massa di materia di cui siamo fatti e di cui è ripieno il cosmo. Se non ci fosse nessuno all’origine, non ci sarebbe niente. Dicono l’evoluzione? Se ne può discutere, scoprendo che, se ben intesa, non mette affatto in difficoltà il credente: ma vogliamo prima spiegare perché c’è – e da dove è venuto, e quando – “qualcosa” che potesse evolvere? Ma subito dopo questa domanda che non ha risposta, se non con la superstizione alla marxista che rifiuta un Dio ragionevole per una altro irragionevole (« La Materia si autocrea e si autoevolve, è infinita, eterna, onnisciente e onnipotente », così lo pseudo-profeta di Treviri), solo dopo questa domanda, sta quella sull’evidenza di un ordine che, tra l’altro, ha dato origine ad infinite forme di vita e che ci appare sempre più prodigioso quanto più la scienza avanza”8 Fiducia nella ragione

“L’esperienza religiosa è solo un sentimento, un’intuizione, o anche una conoscenza razionale? Può il nostro ragionamento elevarsi fino a Dio? La Chiesa crede e insegna che “Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale dell’umana ragione a partire dalle cose create”. […]

Per chi è ben disposto, l’eterna Potenza invisibile si lascia quasi intravedere attraverso il panorama della creazione. Purtroppo gli uomini, nella loro superbia, si chiudono davanti al mistero di Dio, si lasciano trascinare da passioni vergognose, precipitano nella corruzione morale”. [ CdA 26]

“Secondo la fede della Chiesa, la ragione può conoscere con certezza l’esistenza di Dio. Ma come mettere in atto concretamente questa capacità? Dio non è un contenuto di esperienza accanto ad altri. Viene conosciuto indirettamente, attraverso il mondo e l’uomo, come fondamento

6 CEI, Lettera ai cercatori di Dio, dalla introduzione, prima parte. 7 CCC, 31 8 Vittorio Messori con Andrea Tornielli, Perché credo, Piemme Betseller, 2012, pp. 301-302; cfr. anche le pagine seguenti.

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e orizzonte di ogni cosa. La sua conoscenza viene esplicitata per via di riflessione razionale, secondo diverse prospettive”. [CdA 28] Dalla precarietà a Dio

“Il limite e la precarietà delle cose, il loro iniziare, mutare e finire, il fatto che esistono e possono non esistere, tutto indica che il mondo non è autosufficiente e in definitiva riceve esistenza e vita da un Altro, il quale a sua volta basta pienamente a se stesso e non ha bisogno di ricevere da nessuno. Se una catena pende dall’alto, ogni anello è sostenuto dal precedente; ma poi ci vuole un perno che li sostenga tutti. Senza un ancoraggio definitivo, la contingenza non solo sarebbe irrazionale, ma anche invivibile. Non potremmo sopportare con lucida coerenza il continuo morire di ogni cosa, il continuo precipitare nel nulla. Niente avrebbe valore”. [CdA 29]

“Innanzi tutto intendiamoci sui termini per evitare ogni confusione. Col nome di Dio vogliamo indicare l’Essere assoluto, eterno, spirito perfettissimo, autore dell’universo e trascendente. Dicendo assoluto, vogliamo dire che è un essere indipendente, cioè che non ha bisogno di altri per esistere; dicendo eterno vogliamo di re che Egli non ha né inizio né fine nella sua durata; inoltre, che è una entità spirituale e non materiale; perfettissimo, perché dotato di ogni perfezione; è la causa prima di tutte le cose; e infine è trascendente, nel senso che non si identifica con l’universo da Lui prodotto. Domanderete giustamente: come la nostra mente così imperfetta può conoscere il perfetto, e come la nostra intelligenza così limitata può comprendere l’Infinito? Non si tratta di conoscere la natura di Dio, bensì di dimostrarne l’esistenza. Noi non dimostriamo chi è Dio ma che c’è Dio. Della natura divina possiamo raggiungere solo una cognizione indiretta, inadeguata, e per analogia, cioè attraverso le sue opere, che sono una vaga e lontana immagine di Lui. Come avviene quando conosciamo un grande artista non direttamente o personalmente, ma attraverso i suoi capolavori; tenute presenti sempre le distanze infinite che intercorrono fra noi e Dio. Inoltre il termine di prova non va qui inteso nel senso delle scienze sperimentali, nelle quali si dimostra l’esistenza di un corpo o di una energia o di un fatto per mezzo dell’esperienza immediata o mediata. Perché Dio non è un oggetto che cade sotto i nostri sensi, né è riscontrabile con i nostri apparecchi scientifici, essendo fatti questi per conoscere e riscontare realtà materiali determinate e determinabili. Ma Dio, se c’è, deve essere come si è detto, al di là di tutte queste categorie, fuori di ogni determinazione, e fuori di ogni serie. Egli è totalmente diverso dalle realtà naturali. Pertanto non è afferrabile direttamente, non è costatabile con apparecchi, non è oggetto di sperimentazione. Non è detto però che la prova propria del metodo scientifico sia l’unica prova. C’è anche la prova logica, razionale, con la quale si può stabilire con certezza l’esistenza di un essere mediante un ragionamento rigoroso e partendo da premesse evidenti, quindi certe. La conseguenza di tale ragionamento ne discende necessariamente e perciò innegabilmente. In conclusione, noi con le nostre facoltà naturali possiamo giungere con certezza alla conoscenza di Dio, ma solo in quanto prima causa, cioè come autore di tutte le cose. Vediamo dunque in che modo. Pariamo da un dato di fatto da tutti costatabile, il divenire degli esseri. E’ un fatto evidente: essere che non erano oggi sono, o che erano in una forma si sono mutati in un’altra. Dobbiamo dedurne che la loro esistenza e i vari modi di essere non sono loro propri, ma sono ricevuti. Se fossero propri, li avrebbero sempre avuti. Sono dunque derivati. Da chi? Non certo dal nulla, perché dal nulla nulla proviene, dunque da altri esseri. Ma se anche questi a loro volta sono provenuti e hanno ricevuto da altri le varie forme di esistenza, non costituiscono essi la fonte, l’origine vera di quelle esistenze, bensì soltanto i tramiti. Non sono gli autori ma soltanto i trasmettitori di esistenze. E se anche prolunghiamo

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indefinitamente la serie di questi tramiti, il problema (sapere cioè chi sia la fonte prima di quelle esistenze) non si risolve ma si sposta a tutta la serie. La quale a sua volta non può derivare dal nulla, ma da un essere. E se anche questo è derivato, il problema rimane, non è risolto. L’unica soluzione ammissibile è che in partenza, al di là di tutta la serie, sia pure indefinita degli esseri derivati, c’è un Essere non-derivato, non in divenire ma eterno. Il quale dunque non ha ricevuto l’esistenza da un altro, ma l’ha sempre avuta in se stesso e da se stesso. Da costui i primi esseri in divenire hanno ricevuto l’esistenza e l’hanno trasmessa. Da ciò si comprende come non ha senso l’obiezione di alcuni che dicono: « Se tutto è stato creato da Dio, Dio chi lo ha creato? ». Tale domanda dimostra che non s’è capito quanto detto dianzi. Perché in tanto arriviamo ad ammettere Dio, in quanto si richiede logicamente che deve esistere qualcuno da sempre. Perché se anch’egli fosse creato con tutto l’universo, tutto sarebbe derivato dal nulla, il che è assurdo. E’ appunto per evitare di cadere in tale assurdità che si conclude ammettendo l’esistenza di un Increato, prima dell’esistenza del creato. Perciò quando si dice che tutto è stato creato, si intende tutto tranne Colui che ha creato. Così soltanto il problema è risolto. Se un bimbo, trovandosi presso la ferrovia, vedesse partire un lungo convoglio e ci chiedesse: chi tira l’ultima vettura? Noi non risolviamo il problema dicendogli: è la penultima, o la terzultima, o la quartultima … Perché il bimbo può sempre giustamente obiettarci: ma anche la penultima, ecc. è tirata, chi dunque la tira? E il problema rimane sempre, anche prolungando il convoglio all’infinito e continuando a dire che la vettura precedente trascina la vettura successiva. Il bimbo può riproporre legittimamente all’infinito la sua obiezione. Non c’è che una soluzione: in testa al convoglio, anche se lunghissimo, non c’è una vettura, ma una cosa diversa, c’è una locomotiva, la quale non è trainata, ma è capace di produrre energia, e quindi di muoversi da sé, e di trasmettere il moto alla prima vettura a da questa fino all’ultima. Solo allora la mente del bambino rimarrà soddisfatta. Il primo Essere dunque, poiché è fuori della serie di quelli derivati, non si identifica con le cose dell’universo, immerse nel divenire, ma le trascende; vale a dire che l’autore dell’universo è trascendente ad esso. Inoltre, poiché in ultima analisi tutti gli essere ricevono da Lui l’esistenza e le perfezioni che posseggono, vuol dire che in Lui tali perfezioni ci sono tutte (nessuno infatti può dare ciò che non ha). Ora, un Essere che ha in sé tutte le perfezioni come autore (quindi senza limite) si dice perfettissimo. Tale autore non può essere la materia, perché questa risulta la più povera di perfezioni, la meno dotata. Come potrebbe la materia priva di coscienza, priva di sentimento, priva di ogni dote morale, essere l’origine, la causa prima di esseri intelligenti, dotati di coscienza e ricchi di sentimenti? Come potrebbe la materia determinata e priva di libertà essere la fonte prima della libertà umana; la materia incapace di spiritualità essere la causa di ogni ricchezza dello spirito umano? Nessuno può dare ciò che non ha: rimane sempre vero. L’autore d’ogni cosa e d’ogni uomo dev’essere dunque di natura spirituale, non materiale. Concludendo, il primo Essere da cui tutto deriva è spirito assoluto, eterno, perfettissimo e trascendente”. 9 Dall’ordine a Dio Beato chi sa meravigliarsi! “La bellezza, la varietà, l’ordine mirabile delle cose, la complessità delle strutture viventi, il mistero della persona umana, intelligente e libera, che torna a sbocciare in

9 Givanni Albanese, Alla ricerca della fede, Cittadella Editrice, 1984, pp. 52-55.

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ogni bambino che nasce, il semplice fatto che la natura sia intelligibile alla nostra mente: tutto rinvia a una Intelligenza creatrice. Se nel corso dell’evoluzione il più emerge dal meno, non può trattarsi di un fatto automatico o casuale. Gli elementi naturali, sebbene abbiano un ruolo attivo, non spiegano tutto. Per convergere in una nuova e più perfetta unità, devono essere assunti da un’Intelligenza ordinatrice e creatrice. Questa causa suprema fa emergere la novità dalla continuità dello sviluppo. Sostiene le cause naturali, non interferisce, non si pone accanto, come se fosse una di esse, magari la più potente. Si colloca a un livello diverso, trascendente e immanente nello stesso tempo”. [CdA 30] Dallo spirito umano a Dio

“Si può risalire a Dio non solo a partire dal mondo, ma anche dallo spirito umano. […]

Siamo aperti su un orizzonte infinito con l’intuizione e il desiderio;; tutte le cose intorno a noi sembrano sussurrare: “Non siamo noi il tuo Dio. Cerca sopra di noi”. La nostra mente è polarizzata e, per dir così, programmata sull’infinito, come la vista è fatta per la luce. E, come non vediamo la luce in se stessa, ma solo attraverso gli oggetti illuminati, così non conosciamo l’Infinito in se stesso, ma solo attraverso i contenuti particolari della nostra esperienza. L’Infinito, “vita che vivifica ogni vita, luce che illumina ogni luce”, è sempre davanti a noi, anche se non ce ne rendiamo conto: non si tratta di una proiezione illusoria, ma di un presupposto oggettivo del nostro conoscere e volere. Ci attrae a sé con la sua presenza velata e implicita, attraverso le creature; mette in moto e sostiene tutto il nostro agire spirituale”. [CdA 31] Verità sapienziale

“Nell’universo siamo un granello di polvere, ma dotato di pensiero e di volontà, aperto al mistero infinito. Siamo una minuscola goccia, in cui però si riflette il cielo. Dio ci ha creati capaci di ricevere la sua comunicazione e ora ci offre “nelle cose create una perenne testimonianza di sé”. Ci parla senza fare rumore, con il suo stesso operare. Per udire Dio non basta essere intelligenti; bisogna avere il cuore ben disposto. Può senz’altro essere conosciuto dalla ragione;; ma la ragione viene resa disponibile alla ricerca e all’adesione solo quando assumiamo, con l’aiuto della grazia, un atteggiamento umile e rispettoso di meraviglia, fiducia e accoglienza”. [CdA 32] “Secondo la fede della Chiesa, fondata sulla Bibbia, la ragione umana attraverso la mediazione delle cose create può conoscere con certezza Dio, principio primo e fine ultimo di tutta la realtà. La riflessione razionale è valida in se stessa, ma il suo sviluppo è favorito dalle buone disposizioni morali. La conoscenza che si ottiene è vera, ma indiretta e limitata”. [CdA 35] La coscienza morale rimanda al mistero di Dio La presenza nell’uomo della coscienza, che lo spinge ad assumersi le sue responsabilità nella scelta tra il bene e il male, è un indizio che rimanda a Dio attraverso una serie di interrogativi che la coscienza pone: perché bisogna fare il bene ed evitare il male? Perché ci si sente responsabili e si sente il rimorso per il male commesso, anche quando nessuno è testimone di quel male

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commesso? In ultima analisi, di fronte a Chi si è responsabili? Chi è l’autore della voce della coscienza? “Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo. Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può dire quando l'uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato”. (GS 16) “L' uomo: con la sua apertura alla verità e alla bellezza, con il suo senso del bene morale, con la sua libertà e la voce della coscienza, con la sua aspirazione all'infinito e alla felicità, l'uomo si interroga sull'esistenza di Dio. In queste aperture egli percepisce segni della propria anima spirituale. “Germe dell'eternità che porta in sé, irriducibile alla sola materia”, [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 18;; cf 14] la sua anima non può avere la propria origine che in Dio solo”. (CCC, 33) “Con la sua ragione l'uomo conosce la voce di Dio che lo “chiama sempre. . . a fare il bene e a fuggire il male” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 14]. Ciascuno è tenuto a seguire questa legge che risuona nella coscienza e che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo. L'esercizio della vita morale attesta la dignità della persona”. (CCC, 1706) “Presente nell'intimo della persona, la coscienza morale [Cf ⇒ Rm 2,14-16 ] le ingiunge, al momento opportuno, di compiere il bene e di evitare il male. Essa giudica anche le scelte concrete, approvando quelle che sono buone, denunciando quelle cattive [Cf ⇒ Rm 1,32 ]. Attesta l'autorità della verità in riferimento al Bene supremo, di cui la persona umana avverte l'attrattiva ed accoglie i comandi. Quando ascolta la coscienza morale, l'uomo prudente può sentire Dio che parla”. (CCC, 1777) “E' attraverso il giudizio della propria coscienza che l'uomo percepisce e riconosce i precetti della legge divina: La coscienza è una legge del nostro spirito, ma che lo supera, che ci dà degli ordini, che indica responsabilità e dovere, timore e speranza. . . la messaggera di Colui che, nel mondo della natura come in quello della grazia, ci parla velatamente, ci istruisce e ci guida. La coscienza è il primo di tutti i vicari di Cristo [J. Henry Newman, Lettera al Duca di Norfolk, 5]”. (CCC, 1778) “La coscienza deve essere educata e il giudizio morale illuminato. Una coscienza ben formata è retta e veritiera. Essa formula i suoi giudizi seguendo la ragione, in conformità al vero bene voluto dalla sapienza del Creatore. L'educazione della coscienza è indispensabile per esseri umani esposti a influenze negative e tentati dal peccato a preferire il loro proprio giudizio e a rifiutare gli insegnamenti certi”. (CCC, 1783)

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Dio, fondamento della speranza, per una vita sensata “Dalle piccole e più banali esperienze di ogni giorno, fino alle scelte più gravi ed impegnative della vita, la speranza appare come il pane quotidiano di cui l’uomo ha bisogno. Ma che cos’è la speranza? Molti sembrano confermare questa tesi amara proposta da alcuni interpreti della vicenda umana: la speranza è il nome solenne che nasconde l’inganno dell’illusione. Tutto in noi si ribella a questa conclusione. La volontà di vivere risorge al di là di ogni delusione dissolta. La speranza dell’uomo invoca un esaudimento, che sembra sfuggire ad ogni esperienza e ad ogni riflessione. Come quando si cammina nel deserto, giunti alla cima della duna che pareva chiudere l’orizzonte, un’altra duna appare, così accade dell’avventura umana. La scelta di vivere, anziché di abbandonarsi alla forza della morte, testimonia la certezza, forse inconsapevole, che il cammino dell’uomo ha una meta, che il suo desiderio inquieto conoscerà alla fine un esaudimento. In questo quadro acquista un senso parlare di Dio: come colui che è più grande dell’uomo, che supera la misura di ogni realtà che ci è data sotto il sole e che pure ha lasciato una traccia di sé nel nostro cuore. La speranza inspiegabile di cui l’uomo vive, attraverso i suoi mille volti, più veri e più distorti, manifesta questa nostalgia dell’Assoluto. Ora si comprende meglio: l’uomo vive “di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Dove ascoltare questa parola? Dove trovarla viva e comprensibile, non più nascosta sotto il segno enigmatico del nostro desiderio di vivere? Gesù non si limita ad affermare la necessità di una parola di Dio per nutrire la vita umana; egli insieme promette di pronunciare una tale parola. La nostalgia di Dio ha sempre in qualche modo inquietato e illuminato il cammino umano; ogni positiva religione, esistita nella storia, ogni senso religioso avvertito dal singolo uomo è sintomo di questa nostalgia. Ma la certezza di venti secoli è un’altra: Dio non è più soltanto nostalgia, reminiscenza confusa di una patria sconosciuta; Dio ha pronunciato la sua parola nella nostra storia, l’ha mandata a noi come compagna del nostro cammino. Gesù è questa parola di Dio fatta carne”. 10 E’ l’amore, soprattutto, che da senso alla vita “L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente”. 11 L’esigenza di amare e di essere amati è legata al senso stesso della vita! Anche l’esperienza dell’amore pone l’interrogativo: qual è la sorgente dell’amore? Ogni esperienza umana di amore, anche quella tra i più innamorati, non colma pienamente il bisogno infinito di amore che c’è nel cuore dell’uomo. Perché l’uomo sperimenta il bisogno infinito di amore? C’è un Amore Infinito capace di appagare completamente il bisogno di amare e di essere amati? “Nella maggior parte degli esseri umani grande è la capacità d’amare ed insaziabile il desiderio d’amore. E’ dubbio se anche i più felici innamorati che si possano immaginare mai sentano d’amare o d’essere amati abbastanza. Rimane un margine di struggimento” 12

10 CEI, Catechismo dei giovani, Non di solo pane, (edizione sperimentale) 1979, pp.33-36 11 Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 1979, n.10 12 G.W.Allport, L’individuo e la sua religione, Ed. La Scuola, Brescia, pag.50

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“Un ragazzo e una ragazza si incontrano, si conoscono, si amano: scoprono di intendersi con semplicità e immediatezza, di trovare l’uno nell’altro il senso e la pienezza di vita che andavano inconsapevolmente cercando. “Sono sorpresi e riconoscenti per quello che sta loro accadendo. Progettano il loro futuro, la loro vita comune; ed essa appare ricca di promesse e quasi senza ombre. Quando però il futuro diventa presente, quando la vita a due si fa esperienza quotidiana, e il progetto nel quale confluivano tutte le speranze comincia a tradursi nella trama complicata dei rapporti sociali, emerge anche l’aspetto faticoso e incerto dell’amore. Si presentano ostacoli imprevisti che si oppongono ad una piena e incondizionata trasparenza reciproca; e qualche volta c’è anche la tentazione del dubbio e del sospetto reciproco. Che dire allora? Che il tempo della vigilia era tempo di illusione, un sabato a cui non è concesso mai di conoscere il giorno di festa? Questa conclusione scettica e cinica è soltanto una variante di quel detto che spesso si ripete: il matrimonio è la tomba dell’amore. La conseguenza pratica di questo modo di vedere è l’evasione verso l’esperienza astratta e sognante dell’amore romantico, verso la relazione irresponsabile coltivata accanto alla cosiddetta vita normale, verso il gioco sentimentale a cui manca il coraggio di tradursi in scelte storiche e sociali precise. Ma non è questa l’unica possibilità. L’altra è quella di riconoscere che la vita comune tra l’uomo e la donna, pur essendo un’esperienza tra le più significative e arricchenti, non è ancora quella pienezza ultima di cui gli uomini vanno in cerca; la vita comune, come la vita umana in genere, è un’avventura in cui tutto è rimesso continuamente in gioco. Per trovare il coraggio di ricominciare ogni giorno da capo, l’amore tra l’uomo e la donna deve rinunciare all’illusione d’essere la realtà ultima capace di giustificare tutta l’esistenza;; al contrario deve essere vissuto come inizio parziale sì, ma suggestivo e reale, di una promessa e di una speranza, nella quale si trova la forza per superare ogni prova”. 13

“Siamo fatti per amare. L’amore dà la vita e vince la morte: “Se c’è in me una certezza incrollabile, essa è quella che un mondo che viene abbandonato dall’amore deve sprofondare nella morte, ma che là dove l’amore perdura, dove trionfa su tutto ciò che vorrebbe avvilire, la morte è definitivamente vinta” (Gabriel Marcel). […] L’amore è irradiante, contagioso, origine prima e sempre nuova della vita. Per amore siamo nati. Per amore viviamo. Essere amati è gioia. Senza amore la vita resta triste e vuota. L’amore è uscita coraggiosa da sé, per andare verso gli altri e accogliere il dono della loro diversità dal nostro io, superando nell’incontro l’incertezza della nostra identità e la solitudine delle nostre sicurezze. […] Sì: c’è in noi un immenso bisogno di amare e di essere amati. Davvero, “è l’amore che fa esistere” (Maurice Blondel). È l’amore che vince la morte: “Amare qualcuno significa dirgli: tu non morirai!” (Gabriel Marcel). […] In questo bisogno di rinascere sempre di nuovo nell’amore ci sembra riconoscibile una nostalgia: quella di un amore infinito …”. 14 La ricerca guidata da Dio 13 CEI, Catechismo dei giovani, Non di solo pane, pp.33-34 14 CEI, Lettera ai cercatori di Dio, parte I, n° 2

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“A motivo del senso religioso che la pervade, la storia dei popoli procede come un immenso pellegrinaggio verso il santuario di un possibile incontro con Dio. […] Dio non cessa di attirare a sé le persone e conduce il cammino dei popoli: “Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,26-28).

[…] Pertanto le religioni, pur segnate in varia misura da errori dottrinali e pratici, “non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini”. I loro innumerevoli seguaci sono aiutati dallo Spirito Santo a viverne i valori autentici, in preparazione a un incontro più perfetto. Le molte strade vanno verso una sola direzione: gli uomini le percorrono “come a tentoni”, ma non abbandonati a se stessi”. [CdA 24] “Il senso religioso è l’apertura piena di fiducia dell’uomo al mistero divino, fondamento originario e meta ultima di tutta la realtà. Si esprime nell’adesione a una dottrina, a una pratica di culto e a una legge morale all’interno di una comunità. L’esperienza religiosa si attua concretamente, presso tutti i popoli della terra, in numerose religioni, che presentano convergenze e divergenze di grande rilievo .Lo Spirito Santo veglia sul cammino religioso dell’umanità, per purificarlo dall’errore e dal male e per orientarlo verso la pienezza della verità e del bene”. [CdA 25]

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CAPITOLO II FEDE E RAGIONE, IN DIALOGO, NELLA RICERCA DELLA VERITA’ E DELLA FEDE

L’uomo, dotato di intelligenza, è capace di conoscere la verità attraverso la sua ragione, ma la verità del senso della sua vita e di tutta la realtà non può essere colta pienamente soltanto con la ragione, è necessario che ad essa si affianchi la fede. Fede e ragione in dialogo sono distinte e complementari nella ricerca della verità. “La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità. E’ Dio ad aver posto nel cuore dell'uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso (cfr Es 33, 18; Sal 27 [26], 8-9; 63 [62], 2-3; Gv 14, 8; 1 Gv 3, 2)”. (Giovanni Paolo II, Fides et Ratio [FR], 1998: indirizzo iniziale).15

Con la ragione l’uomo può conoscere con certezza l’esistenza di Dio, anche se, secondo la fede cristiana (quella cattolica in particolare), deve essere integrata ed arricchita dalla Rivelazione.

“L’esperienza religiosa è solo un sentimento, un’intuizione, o anche una conoscenza razionale? Può il nostro ragionamento elevarsi fino a Dio? La Chiesa crede e insegna che “Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale dell’umana ragione a partire dalle cose create”. Questa dichiarazione del Concilio Vaticano I, ripresa dal Concilio Vaticano II, è un’affermazione di fede, ma costituisce un caposaldo a difesa della ragione e della sua dignità. Il nostro accesso a Dio passa anche per la via dell’intelligenza. “La Chiesa rimane ferma, anche se dovesse rimanere sola, nel rivendicare alla ragione questa suprema possibilità”: la sua convinzione deriva dalla rivelazione dell’Antico e del Nuovo Testamento”. (CdA 26)16 Il rapporto tra fede e ragione, che si concretizza nella fede autentica di ogni cristiano, si realizza anche nel rapporto indispensabile che ci deve essere tra filosofia e teologia nella riflessione sistematica e critica sull’esperienza religiosa. La fede non è il risultato della ragionamento, ma dono gratuito di Dio che si è rivelato nella storia della salvezza che trova il suo centro e il suo culmine in Gesù Cristo. Nondimeno, secondo l’insegnamento della Chiesa cattolica, la ragione è essenziale per l’autenticità e la maturazione della fede.

“Il Concilio Vaticano I insegna che la verità raggiunta per via di riflessione filosofica e la verità della Rivelazione non si confondono, né l'una rende superflua l'altra: « Esistono due ordini di conoscenza, distinti non solo per il loro principio, ma anche per il loro oggetto: per il loro principio, perché nell'uno conosciamo con la ragione naturale, nell'altro con la fede divina; per l'oggetto, perché oltre le verità che la ragione naturale può capire, ci è proposto di vedere i misteri nascosti in Dio, che non possono essere conosciuti se non sono rivelati dall'alto ». La fede, che si fonda sulla testimonianza di Dio e si avvale dell'aiuto soprannaturale della grazia, è effettivamente di un ordine diverso da quello della conoscenza filosofica. Questa, infatti, poggia sulla percezione dei sensi, sull'esperienza e si muove alla luce del solo intelletto. La filosofia e le scienze spaziano nell'ordine della ragione naturale, mentre la fede, illuminata e guidata dallo Spirito, riconosce nel messaggio della salvezza la « pienezza di grazia e di verità » (cfr Gv 1, 14) che Dio ha voluto rivelare nella storia e in maniera definitiva per mezzo di suo Figlio Gesù Cristo (cfr 1 Gv 5, 9; Gv 5, 31-32)”. (FR 9)

15 Tutta l’enciclica di Giovanni Paolo II “Fides et ratio” (FR) è di grande importanza per il tema del rapporto tra fede e ragione! 16 Con la sigla “CdA” intendiamo il catechismo degli adulti del Progetto Catechistico Italiano: “La Verità vi farà liberi”

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“La verità che la Rivelazione ci fa conoscere non è il frutto maturo o il punto culminante di un pensiero elaborato dalla ragione. Essa, invece, si presenta con la caratteristica della gratuità, produce pensiero e chiede di essere accolta come espressione di amore. Questa verità rivelata è anticipo, posto nella nostra storia, di quella visione ultima e definitiva di Dio che è riservata a quanti credono in lui o lo ricercano con cuore sincero. Il fine ultimo dell'esistenza personale, dunque, è oggetto di studio sia della filosofia che della teologia. Ambedue, anche se con mezzi e contenuti diversi, prospettano questo « sentiero della vita » (Sal 16 [15], 11) che, come la fede ci dice, ha il suo sbocco ultimo nella gioia piena e duratura della contemplazione del Dio Uno e Trino”. (FR 15) La fede non soltanto non si oppone alla ragione, che anzi la suppone, così come la grazia suppone la natura, come evidenzia mirabilmente S. Tommaso D’Aquino.

“Tommaso riconosce che la natura, oggetto proprio della filosofia, può contribuire alla comprensione della rivelazione divina. La fede, dunque, non teme la ragione, ma la ricerca e in essa confida. Come la grazia suppone la natura e la porta a compimento, così la fede suppone e perfeziona la ragione”. (FR 43)

“La teologia fondamentale, per il suo carattere proprio di disciplina che ha il compito di rendere ragione della fede (cfr 1 Pt 3, 15), dovrà farsi carico di giustificare ed esplicitare la relazione tra la fede e la riflessione filosofica. Già il Concilio Vaticano I, recuperando l'insegnamento paolino (cfr Rm 1, 19-20), aveva richiamato l'attenzione sul fatto che esistono verità conoscibili naturalmente, e quindi filosoficamente. La loro conoscenza costituisce un presupposto necessario per accogliere la rivelazione di Dio. Nello studiare la Rivelazione e la sua credibilità insieme con il corrispondente atto di fede, la teologia fondamentale dovrà mostrare come, alla luce della conoscenza per fede, emergano alcune verità che la ragione già coglie nel suo autonomo cammino di ricerca. A queste la Rivelazione conferisce pienezza di senso, orientandole verso la ricchezza del mistero rivelato, nel quale trovano il loro ultimo fine. Si pensi, ad esempio, alla conoscenza naturale di Dio, alla possibilità di discernere la rivelazione divina da altri fenomeni o al riconoscimento della sua credibilità, all'attitudine del linguaggio umano a parlare in modo significativo e vero anche di ciò che eccede ogni esperienza umana. Da tutte queste verità, la mente è condotta a riconoscere l'esistenza di una via realmente propedeutica alla fede, che può sfociare nell'accoglienza della rivelazione, senza in nulla venire meno ai propri principi e alla propria autonomia. Alla stessa stregua, la teologia fondamentale dovrà mostrare l'intima compatibilità tra la fede e la sua esigenza essenziale di esplicitarsi mediante una ragione in grado di dare in piena libertà il proprio assenso. La fede saprà così « mostrare in pienezza il cammino ad una ragione in ricerca sincera della verità. In tal modo la fede, dono di Dio, pur non fondandosi sulla ragione, non può certamente fare a meno di essa; al tempo stesso, appare la necessità per la ragione di farsi forte della fede, per scoprire gli orizzonti ai quali da sola non potrebbe giungere ».” (FR 67)

“La Chiesa permane nella più profonda convinzione che fede e ragione « si recano un aiuto scambievole », (122) esercitando l'una per l'altra una funzione sia di vaglio critico e purificatore, sia di stimolo a progredire nella ricerca e nell'approfondimento”. (FR 100)

“La fede è una scelta responsabile e ragionevole. Da una parte prende avvio da un’adesione ragionevole alla rivelazione; dall’altra schiude alla ragione l’orizzonte di una comprensione più profonda della realtà, perché il mistero, anche se rimane in se stesso oscuro, illumina e dà significato e valore a tutto. La fede va oltre la ragione; ma la conoscenza “genera, nutre, difende e fortifica” la fede. Non per nulla Gesù faceva spesso appello all’intelligenza dei suoi ascoltatori. È opinione abbastanza diffusa che la fede sia un atteggiamento immaturo e una rinuncia a pensare: se si vuol credere - si dice -, non bisogna fare troppe domande. Non si può negare che a volte il comportamento dei credenti possa dare adito a questa impressione. Ma di per sé la fede cristiana è apertura coraggiosa e sottomissione incondizionata alla verità e pertanto costituisce lo spazio vitale più adatto per lo sviluppo della ricerca razionale e del senso critico. Esige solo la rinuncia, anch’essa ragionevole, alla pretesa di capire tutto”. [CdA 92]

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La fede dà alla ragione la possibilità di una conoscenza più grande della verità (“credo ut intelligam”), mentre, a sua volta la ricerca razionale della verità predispone alla fede (“intelligo ut credam”) Il rapporto tra fede e ragione lo si può paragonare a quello tra amore e conoscenza. Per chi ama una persona, l’amore gli consente di conoscerla più profondamente;; d’altra parte quanto più si ama tanto più si vuole conoscere la persona amata, e quanto più la si conosce tanto più la si può amare.

“La fede trasforma la persona intera, appunto in quanto essa si apre all’amore. È in questo intreccio della fede con l’amore che si comprende la forma di conoscenza propria della fede, la sua forza di convinzione, la sua capacità di illuminare i nostri passi. La fede conosce in quanto è legata all’amore, in quanto l’amore stesso porta una luce. La comprensione della fede è quella che nasce quando riceviamo il grande amore di Dio che ci trasforma interiormente e ci dona occhi nuovi per vedere la realtà”. (LF 26)

“La fede cristiana, in quanto annuncia la verità dell’amore totale di Dio e apre alla potenza di questo amore, arriva al centro più profondo dell’esperienza di ogni uomo, che viene alla luce grazie all’amore ed è chiamato ad amare per rimanere nella luce”. (LF 32) “La luce dell’amore, propria della fede, può illuminare gli interrogativi del nostro tempo sulla verità. La verità oggi è ridotta spesso ad autenticità soggettiva del singolo, valida solo per la vita individuale. Una verità comune ci fa paura, perché la identifichiamo con l’imposizione intransigente dei totalitarismi. Se però la verità è la verità dell’amore, se è la verità che si schiude nell’incontro personale con l’Altro e con gli altri, allora resta liberata dalla chiusura nel singolo e può fare parte del bene comune. Essendo la verità di un amore, non è verità che s’imponga con la violenza, non è verità che schiaccia il singolo. Nascendo dall’amore può arrivare al cuore, al centro personale di ogni uomo. Risulta chiaro così che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti. D’altra parte, la luce della fede, in quanto unita alla verità dell’amore, non è aliena al mondo materiale, perché l’amore si vive sempre in corpo e anima; la luce della fede è luce incarnata, che procede dalla vita luminosa di Gesù. Essa illumina anche la materia, confida nel suo ordine, conosce che in essa si apre un cammino di armonia e di comprensione sempre più ampio. Lo sguardo della scienza riceve così un beneficio dalla fede: questa invita lo scienziato a rimanere aperto alla realtà, in tutta la sua ricchezza inesauribile. La fede risveglia il senso critico, in quanto impedisce alla ricerca di essere soddisfatta nelle sue formule e la aiuta a capire che la natura è sempre più grande. Invitando alla meraviglia davanti al mistero del creato, la fede allarga gli orizzonti della ragione per illuminare meglio il mondo che si schiude agli studi della scienza”. (LF 34)

“ Quanto profondo sia il legame tra la conoscenza di fede e quella di ragione è indicato già nella Sacra Scrittura con spunti di sorprendente chiarezza. Lo documentano soprattutto i Libri sapienziali. […] Non è un caso che, nel momento in cui l'autore sacro vuole descrivere l'uomo saggio, lo dipinga come colui che ama e ricerca la verità: « Beato l'uomo che medita sulla sapienza e ragiona con l'intelligenza, considera nel cuore le sue vie, ne penetra con la mente i segreti. […] Per l'autore ispirato, come si vede, il desiderio di conoscere è una caratteristica che accomuna tutti gli uomini. Grazie all'intelligenza è data a tutti, sia credenti che non credenti, la possibilità di « attingere alle acque profonde » della conoscenza (cfr Pro 20, 5). […] La peculiarità che distingue il testo biblico consiste nella convinzione che esista una profonda e inscindibile unità tra la conoscenza della ragione e quella della fede. Il mondo e ciò che accade in esso, come pure la storia e le diverse vicende del popolo, sono realtà che vengono guardate, analizzate e giudicate con i mezzi propri della ragione, ma senza che la fede resti estranea a questo processo. Essa non interviene per umiliare l'autonomia della ragione o per ridurne lo

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spazio di azione, ma solo per far comprendere all'uomo che in questi eventi si rende visibile e agisce il Dio di Israele. Conoscere a fondo il mondo e gli avvenimenti della storia non è, pertanto, possibile senza confessare al contempo la fede in Dio che in essi opera. La fede affina lo sguardo interiore aprendo la mente a scoprire, nel fluire degli eventi, la presenza operante della Provvidenza. Un'espressione del libro dei Proverbi è significativa in proposito: « La mente dell'uomo pensa molto alla sua via, ma il Signore dirige i suoi passi » (16, 9). Come dire, l'uomo con la luce della ragione sa riconoscere la sua strada, ma la può percorrere in maniera spedita, senza ostacoli e fino alla fine, se con animo retto inserisce la sua ricerca nell'orizzonte della fede. La ragione e la fede, pertanto, non possono essere separate senza che venga meno per l'uomo la possibilità di conoscere in modo adeguato se stesso, il mondo e Dio. “ (FR 16)

“L'uomo con la ragione raggiunge la verità, perché illuminato dalla fede scopre il senso profondo di ogni cosa e, in particolare, della propria esistenza”. (FR 20) Il dramma della separazione tra fede e ragione Si possono addebitare alla separazione tra fede e ragione alcune situazioni e rischi disastrosi per l’umanità, come:

il materialismo e le connesse ideologie atee disumanizzanti; il positivismo chiuso alla dimensione metafisica e trascendente della realtà; il nichilismo, senza speranza di poter raggiungere la verità oggettiva, con il conseguente

primato dell’effimero sul piano esistenziale;; la tentazione di manipolare la natura, senza il dovuto rispetto della persona e del

significato globale della realtà aperta al mistero di Dio … “Con il sorgere delle prime università, la teologia veniva a confrontarsi più direttamente con altre forme della ricerca e del sapere scientifico. Sant'Alberto Magno e san Tommaso, pur mantenendo un legame organico tra la teologia e la filosofia, furono i primi a riconoscere la necessaria autonomia di cui la filosofia e le scienze avevano bisogno, per applicarsi efficacemente ai rispettivi campi di ricerca. A partire dal tardo Medio Evo, tuttavia, la legittima distinzione tra i due saperi si trasformò progressivamente in una nefasta separazione”. (FR 45) “Le radicalizzazioni più influenti sono note e ben visibili, soprattutto nella storia dell'Occidente. Non è esagerato affermare che buona parte del pensiero filosofico moderno si è sviluppato allontanandosi progressivamente dalla Rivelazione cristiana, fino a raggiungere contrapposizioni esplicite. Nel secolo scorso, questo movimento ha toccato il suo apogeo. Alcuni rappresentanti dell'idealismo hanno cercato in diversi modi di trasformare la fede e i suoi contenuti, perfino il mistero della morte e risurrezione di Gesù Cristo, in strutture dialettiche razionalmente concepibili. A questo pensiero si sono opposte diverse forme di umanesimo ateo, elaborate filosoficamente, che hanno prospettato la fede come dannosa e alienante per lo sviluppo della piena razionalità. Non hanno avuto timore di presentarsi come nuove religioni formando la base di progetti che, sul piano politico e sociale, sono sfociati in sistemi totalitari traumatici per l'umanità. Nell'ambito della ricerca scientifica si è venuta imponendo una mentalità positivista che non soltanto si è allontanata da ogni riferimento alla visione cristiana del mondo, ma ha anche, e soprattutto, lasciato cadere ogni richiamo alla visione metafisica e morale. La conseguenza di ciò è che certi scienziati, privi di ogni riferimento etico, rischiano di non avere più al centro del loro interesse la persona e la globalità della sua vita. Di più: alcuni di essi, consapevoli delle potenzialità insite nel progresso tecnologico, sembrano cedere, oltre che alla logica del mercato, alla tentazione di un potere demiurgico sulla natura e sullo stesso essere umano. Come conseguenza della crisi del razionalismo ha preso corpo, infine, il nichilismo. Quale filosofia del nulla, esso riesce ad esercitare un suo fascino sui nostri contemporanei. I suoi seguaci teorizzano la ricerca

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come fine a se stessa, senza speranza né possibilità alcuna di raggiungere la meta della verità. Nell'interpretazione nichilista, l'esistenza è solo un'opportunità per sensazioni ed esperienze in cui l'effimero ha il primato. Il nichilismo è all'origine di quella diffusa mentalità secondo cui non si deve assumere più nessun impegno definitivo, perché tutto è fugace e provvisorio”. (FR 46)

“Richiamare la connessione della fede con la verità è oggi più che mai necessario, proprio per la crisi di verità in cui viviamo. Nella cultura contemporanea si tende spesso ad accettare come verità solo quella della tecnologia: è vero ciò che l’uomo riesce a costruire e misurare con la sua scienza, vero perché funziona, e così rende più comoda e agevole la vita. Questa sembra oggi l’unica verità certa, l’unica condivisibile con altri, l’unica su cui si può discutere e impegnarsi insieme. Dall’altra parte vi sarebbero poi le verità del singolo, che consistono nell’essere autentici davanti a quello che ognuno sente nel suo interno, valide solo per l’individuo e che non possono essere proposte agli altri con la pretesa di servire il bene comune. La verità grande, la verità che spiega l’insieme della vita personale e sociale, è guardata con sospetto. Non è stata forse questa — ci si domanda — la verità pretesa dai grandi totalitarismi del secolo scorso, una verità che imponeva la propria concezione globale per schiacciare la storia concreta del singolo? Rimane allora solo un relativismo in cui la domanda sulla verità di tutto, che è in fondo anche la domanda su Dio, non interessa più. È logico, in questa prospettiva, che si voglia togliere la connessione della religione con la verità, perché questo nesso sarebbe alla radice del fanatismo, che vuole sopraffare chi non condivide la propria credenza. Possiamo parlare, a questo riguardo, di un grande oblio nel nostro mondo contemporaneo. La domanda sulla verità è, infatti, una questione di memoria, di memoria profonda, perché si rivolge a qualcosa che ci precede e, in questo modo, può riuscire a unirci oltre il nostro “io” piccolo e limitato. È una domanda sull’origine di tutto, alla cui luce si può vedere la meta e così anche il senso della strada comune”. (LF 25)

Nella continua ricerca della verità sono da evitare sia il razionalismo che il fideismo

“Se guardiamo alla nostra condizione odierna, vediamo che i problemi di un tempo ritornano, ma con peculiarità nuove. Non si tratta più solamente di questioni che interessano singole persone o gruppi, ma di convinzioni diffuse nell'ambiente al punto da divenire in qualche misura mentalità comune. Tale è, ad esempio, la radicale sfiducia nella ragione che rivelano i più recenti sviluppi di molti studi filosofici. Da più parti si è sentito parlare, a questo riguardo, di « fine della metafisica »: si vuole che la filosofia si accontenti di compiti più modesti, quali la sola interpretazione del fattuale o la sola indagine su campi determinati del sapere umano o sulle sue strutture. Nella stessa teologia tornano ad affacciarsi le tentazioni di un tempo. In alcune teologie contemporanee, ad esempio, si fa nuovamente strada un certo razionalismo, soprattutto quando asserti ritenuti filosoficamente fondati sono assunti come normativi per la ricerca teologica. Ciò accade soprattutto quando il teologo, per mancanza di competenza filosofica, si lascia condizionare in modo acritico da affermazioni entrate ormai nel linguaggio e nella cultura corrente, ma prive di sufficiente base razionale.

Non mancano neppure pericolosi ripiegamenti sul fideismo, che non riconosce l'importanza della conoscenza razionale e del discorso filosofico per l'intelligenza della fede, anzi per la stessa possibilità di credere in Dio. Un'espressione oggi diffusa di tale tendenza fideistica è il « biblicismo », che tende a fare della lettura della Sacra Scrittura o della sua esegesi l'unico punto di riferimento veritativo. Accade così che si identifichi la parola di Dio con la sola Sacra Scrittura, vanificando in tal modo la dottrina della Chiesa che il Concilio Ecumenico Vaticano II ha ribadito espressamente. La Costituzione Dei Verbum, dopo aver ricordato che la parola di Dio è presente sia nei testi sacri che nella Tradizione, afferma con forza: « La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa. Aderendo ad esso tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori, persevera costantemente nell'insegnamento

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degli Apostoli ». La Sacra Scrittura, pertanto, non è il solo riferimento per la Chiesa. La « regola suprema della propria fede », infatti, le proviene dall'unità che lo Spirito ha posto tra la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa in una reciprocità tale per cui i tre non possono sussistere in maniera indipendente. Non è da sottovalutare, inoltre, il pericolo insito nel voler derivare la verità della Sacra Scrittura dall'applicazione di una sola metodologia, dimenticando la necessità di una esegesi più ampia che consenta di accedere, insieme con tutta la Chiesa, al senso pieno dei testi. Quanti si dedicano allo studio delle Sacre Scritture devono sempre tener presente che le diverse metodologie ermeneutiche hanno anch'esse alla base una concezione filosofica: occorre vagliarla con discernimento prima di applicarla ai testi sacri. Altre forme di latente fideismo sono riconoscibili nella poca considerazione che viene riservata alla teologia speculativa, come pure nel disprezzo per la filosofia classica, alle cui nozioni sia l'intelligenza della fede sia le stesse formulazioni dogmatiche hanno attinto i loro termini. Il Papa Pio XII, di venerata memoria, ha messo in guardia contro tale oblio della tradizione filosofica e contro l'abbandono delle terminologie tradizionali”. (Fides et Ratio 55)

L’INCONTRO DELL’APOSTOLO TOMMASO CON GESU’ RISORTO, UN’ICONA DEL RAPPORTO TRA FEDE E RAGIONE

“«Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù» (Gv 20’24). Questo solo discepolo era assente. Quando ritornò udì il racconto dei fatti accaduti, ma rifiutò di credere a quello che aveva sentito. Venne ancora il Signore e al discepolo incredulo offrì il costato da toccare, mostrò le mani e, indicando la cicatrice delle sue ferite, guarì quella della sua incredulità. Che cosa, fratelli, intravvedete in tutto questo? Attribuite forse a un puro caso che quel discepolo scelto da Signore sia stato assente, e venendo poi abbia udito il fatto, e udendo abbia dubitato, e dubitando abbia toccato, e toccando abbia creduto? No, questo non avvenne a caso, ma per divina disposizione. La clemenza del Signore ha agito in modo meraviglioso, poiché quel discepolo, con i suoi dubbi, mentre nel suo maestro toccava le ferite del corpo, guariva in noi le ferite dell’incredulità. L’incredulità di Tommaso ha giovato a noi molto più, riguardo alla fede, che non la fede degli altri discepoli. Mentre infatti quello viene ricondotto alla fede col toccare, la nostra mente viene consolidata nella fede con il superamento di ogni dubbio. Così il discepolo, che ha dubitato e toccato, è divenuto testimone della verità della risurrezione. Toccò ed esclamò: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto » (Gv 20,28-29). Siccome l’apostolo Paolo dice: «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono», è chiaro che la fede è prova di quelle cose che non si possono vedere. Le cose che si vedono non richiedono più la fede, ma sono oggetto di conoscenza. Ma se Tommaso vide e toccò, come mai gli vien detto: «perché mi hai veduto, hai creduto»? Altro però fu ciò che vide e altro ciò in cui credette. La divinità infatti non può essere vista da uomo mortale. Vide dunque un uomo e disse che era quel Dio che non poteva vedere. Ci reca grande gioia quello che segue: «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno» (G v 20,28). Con queste parole senza dubbio veniamo indicati specialmente noi, che crediamo in colui che non abbiamo veduto con i nostri sensi. Siamo stati designati noi, se però alla nostra fede facciamo seguire le opere. Crede infatti davvero colui che mette in pratica con la vita la verità in cui crede. Dice invece S. Paolo di coloro che hanno la fede soltanto a parole: «Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti» (Tt 1,16). E Giacomo scrive: «La fede senza le opere è morta» 2,26)” (Dalle «Omelie sui vangeli» di S. Gregorio Magno, papa, lettura del breviario di S. Tommaso Apostolo, 3 Luglio.

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LE MOTIVAZIONI DELLA FEDE CRISTIANA, NELL’INSEGNAMENTO DELLA CHIESA, TRA RAGIONE E FEDE IN DIALOGO

(Traccia per il laboratorio)

Domande per la condivisione, la ricerca e il dialogo di gruppo:

1. Avverti il bisogno di avere per te stesso e per gli altri motivazioni per cui sei un credente cristiano? Perché?

2. Quali sono le motivazioni della tua fede personale? (Brevemente, chi vuole è invitato ad esprimere le motivazioni della sua fede … Eventuali esperienze di crisi della propria fede e del loro superamento …).

3. Che posto occupa la ragione nell’adesione e nell’esperienza di fede cristiana secondo l’insegnamento della Chiesa? Qual è il rapporto tra fede e ragione?

4. Dubbio e fede sono “alleati” o “nemici” tra loro? Perché?

5. Il contesto socioculturale di oggi pone qualche difficoltà all’adesione di fede cristiana? Eventualmente, quali?

6. Nell’educazione alla fede in genere, e nella catechesi in particolare, che importanza ha offrire le motivazioni «oggettive» della fede?

7. …

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CAPITOLO III LA SPECIFICITA’ DELLA FEDE CRISTIANA, FONDATA SULLA RIVELAZIONE INCENTRATA IN GESU’ Dall’uomo che cerca Dio, a Dio che cerca l’uomo La specificità della fede cristiana è fondata sulla divina Rivelazione che Dio ha fatto di sé attraverso la storia del popolo eletto, il popolo di Israele. Questa storia è chiamata “Storia della salvezza” perché è la storia di Dio che entra nella storia dell’uomo per riportarlo alla comunione con sé. Questa rivelazione ha il suo vertice e il suo centro in Gesù Cristo, la Parola di Dio incarnata. La Parola di Dio è contenuta in maniera speciale nella bibbia, anche se non in esclusiva in quanto essa si trova anche nella Tradizione vivente della Chiesa. Tradizione e Sacra Scrittura, indissolubilmente congiunte, sono le due vie attraverso le quali viene trasmessa la Rivelazione. “La ricerca di Dio per la via delle religioni e della ragione procede con molte incertezze e deviazioni. Dio, benché sia vicinissimo, sembra lontano, senza volto e senza nome: il “Dio ignoto” (At 17,27). Ma l’apertura razionale al mistero infinito è il presupposto per poter ricevere il dono incomparabilmente più grande della rivelazione storica: “Dio non avrebbe potuto rivelarsi all’uomo, se questi non fosse già stato naturalmente capace di conoscere qualcosa di vero a suo riguardo””. (CdA 38)

“Chi è questo Dio invocato in tutti i popoli, con nomi diversi? Chi è questo “Tu”, in cui ogni uomo cerca il fondamento ultimo delle sue speranze? Dio non è rimasto estraneo alla nostra ricerca, ma ci è venuto incontro. La storia dell’uomo è segnata dalla sua presenza. Egli per primo si è rivelato, quando ha scelto un popolo, Israele, e gli ha promesso una terra, protezione, libertà e pace. Da allora il popolo di Dio ha vissuto sorretto dalla speranza. La testimonianza di Israele, narrata nei libri della Bibbia, è parola di Dio per noi. Rivela che Dio viene incontro a noi per primo, ci parla, ci invita, ci chiama a vivere in comunione con lui. A tutta l’umanità dunque la storia di Israele indica qual è il cammino dell’uomo incontro a Dio. L’uomo non può vivere senza la ricerca appassionata di una piena felicità, che solo Dio può dare. Nella speranza di Israele, vediamo riflessa la nostra speranza, nella fatica della sua ricerca, la nostra fatica e i nostri dubbi; nel suo guardare al futuro, il nostro desiderio di crescere.” (CEI, Catechismo di ragazzi: VI HO CHIAMATO AMICI, Cap. I, “Il Dio che si rivela” p.25)

“La fede cristiana assume i valori positivi della religiosità umana, ma ha una sua specificità. È’ la risposta, altamente impegnativa, a una più perfetta comunicazione di Dio, alla quale viene riservato il nome di rivelazione in senso proprio”. (CdA) Una definizione sintetica della Rivelazione, nel documento “Dei verbum” “Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. […]. La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione”. (DV 2)

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Schema delle grandi tappe della storia della salvezza, cammino verso Cristo

Con il grafico che segue vengono richiamate le grandi tappe della storia di Israele, storia della salvezza testimoniata dalla bibbia, che trova il suo culmine e il suo fulcro in Gesù di Nazareth.

1800 1700 1600 1300 1200 Abramo Isacco Giacobbe Giuseppe Ebrei in EgittoIII Mosè (Esodo) Insediamento in Palestina 1100 1000 900 800 Samuele Davide Salomone Divisione del Regno Elia Eliseo Amos Osea Isaia 721 587 538 Caduta del Regno del Nord Caduta del Regno del Sud Geremia Ritorno dall’esilio Deportazione assira Esilio babilonese Ezechiele 300 63 1 Dominazione persiana IIII Dominazione ellenistica IIII Dominazione romana GESU’ CRISTO Gesù Cristo è il centro e il culmine della storia della salvezza

AT, cammino verso Cristo Î [GESU’ CRISTO] Í La Chiesa, continuazione di Gesù Cristo Gesù Cristo porta a compimento la Rivelazione che Dio aveva fatto di sé nell’A.T.

“Dopo aver a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, Dio « alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2). Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio (cfr. Gv 1,1-18). Gesù Cristo dunque, Verbo fatto carne, mandato come «uomo agli uomini », « parla le parole di Dio » (Gv 3,34) e porta a compimento l'opera di salvezza affidatagli dal Padre (cfr. Gv 5,36; 17,4). Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre (cfr. Gv 14,9), col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l'invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna”. (DV 4)

LA PAROLA DI DIO È UNA PERSONA: è GESÙ, la parola di Dio che si è incarnata In Gesù, la Parola di Dio che si è fatta carne, trova luce il mistero dell’uomo

“In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm5,14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. […] Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato. Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che

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ognuno di noi può dire con l'Apostolo: il Figlio di Dio « mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me» (Gal2,20). […] Così grande è il mistero dell'uomo, questo mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Con la sua morte egli ha distrutto la morte, con la sua risurrezione ci ha fatto dono della vita, perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abbà, Padre!”. (GS 22)

E’ in Gesù Cristo morto e risorto che l’uomo trova una risposta adeguata agli interrogativi profondi dell’esistenza, che riguardano il destino stesso della vita. L’identità e il massaggio di Gesù sono testimoniati soprattutto dai QUATTRO VANGELI Il cuore sella Sacra Scrittura è costituito dai quattro vangeli, che i cristiani sono chiamati a leggere e meditare per farne la guida della loro vita.

“A nessuno sfugge che tra tutte le Scritture, anche quelle del Nuovo Testamento, i Vangeli possiedono una superiorità meritata, in quanto costituiscono la principale testimonianza relativa alla vita e alla dottrina del Verbo incarnato, nostro Salvatore. La Chiesa ha sempre e in ogni luogo ritenuto e ritiene che i quattro Vangeli sono di origine apostolica. Infatti, ciò che gli apostoli per mandato di Cristo predicarono, in seguito, per ispirazione dello Spirito Santo, fu dagli stessi e da uomini della loro cerchia tramandato in scritti che sono il fondamento della fede, cioè l'Evangelo quadriforme, secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni”. (DV 18)

Dal Vangelo predicato da Gesù ai vangeli: il cuore della Rivelazione Il Vangelo per eccellenza è la stessa persona di Gesù: l’amore di Dio che si è incarnato e manifestato in Gesù. Gesù è venuto a predicare il Vangelo, cioè la bella notizia dell’amore re di Dio che ci salva. Questo Vangelo è il regno di Dio, che costituisce il centro del messaggio di Gesù. Gesù inizia la sua predicazione proprio dicendo che “il regno di Dio è vicino”. “Dopo che Giovanni fu arrestato Gesù venne in Galilea, predicando il vangelo di Dio. Diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è giunto: convertitevi e credete al vangelo»” (Mc 1, 14-15).

Dopo la risurrezione di Gesù gli Apostoli annunciarono il Vangelo

Per mandato di Gesù gli Apostoli annunciarono il Vangelo che è la persona stessa di Gesù, quello che egli ha detto e fatto, soprattutto la sua morte e risurrezione (Kerigma) come evento centrale della salvezza. La formazione dei vangeli

I vangeli scritti sono successivi alla predicazione orale degli Apostoli a seguito della risurrezione di Gesù.

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“Gli Apostoli, dopo l’ascensione del Signore, trasmisero ai lori ascoltatori ciò che egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dallo Spirito di verità, godevano. E gli autori sacri scrissero i quattro vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte che erano tramandate a voce o anche in scritto, alcune altre sintetizzando, altre spiegando con riguardo alla situazione delle chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù con sincerità e verità. Essi, infatti, attingendo sia ai propri ricordi sia alla testimonianza di coloro, i quali « fin da principio furono testimoni oculari e ministri della Parola», scrissero con l’intenzione di farci conoscere la “verità” (cfr. Lc 1, 2-4) delle cose sulle quali siamo stati istruiti” (DV 19)

I vangeli non sono una biografia di Gesù, ma annuncio di salvezza, a partire da ciò che realmente ha detto e fatto Gesù.

Nella formazione dei vangeli vi sone tre tappe (cfr. CCC 126)

1. L’EVENTO GESU’ Î Gesù predica il Regno di Dio…

Tre tappe: 2. La PREDICAZIONE DELLA COMUNITA’ APOSTOLICAÎ il Kerygma

3. I VANGELI SCRITTI, preceduti da scritti parziali di detti e fatti di Gesù

Il Vangelo, prima e più che i vangeli scritti, è il messaggio di Gesù, la buona novella della salvezza.

Il cuore dell’annuncio di Gesù Cristo è IL REGNO DI DIO (cfr. Mc 1, 14ss.; Mt 4, 23. 9, 35; Lc 4,43). Lo stesso termine “Regno di Dio”, infatti, lo troviamo nei vangeli sinottici (quello di Matteo, Marco e Luca) una settantina di volte.

“La santa madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e con la più grande costanza che i quattro suindicati Vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza, fino al giorno in cui fu assunto in cielo (cfr At 1,1-2)”. (DV 19)

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CAPITOLO IV CREDIBILITA’ DELLA RIVELAZIONE, DI GESU’ E DEI VANGELI IN PARTICOLARE

La Rivelazione di Dio testimoniata dalla bibbia e dalla Tradizione vivente delle Chiesa, è portatrice della Bella Notizia di Dio che ci ama e ci salva per mezzo di Gesù Cristo, nel suo Spirito. Il cristiano adulto vive l’obbedienza a Dio che si rivela, ma legittimamente e doverosamente deve cercare i motivi della credibilità di ciò che afferma la Sacra Scrittura. In particolare, essendo Gesù Cristo il centro e il vertice della Rivelazione, occorre cercare i motivi per sostenere la sua reale esistenza storica, la verità e storicità del suo messaggio, l’autenticità delle fonti storiche su cui, insieme all’ininterrotta testimonianza della Tradizione, è fondata la fede della Chiesa.

Il grande segno [CdA 74] In fatto di fede c’è chi si contenta di un sottile pragmatismo: afferma di credere semplicemente perché lo trova bello, significativo, gratificante. Non basta però che un messaggio sia funzionale ai nostri bisogni, perché sia vero. La fede cristiana è risposta motivata e ragionevole a Dio che ci viene incontro e in qualche modo lascia trasparire la sua presenza nella storia. Ma cosa ha di così rilevante la vicenda di Israele e della Chiesa, perché si possa vedere in essa una speciale manifestazione di Dio? Non presenta forse luci e ombre come ogni altra vicenda umana? [CdA 75] È vero: in questa storia, per chi non vuol vedere, c’è abbastanza oscurità; ma c’è anche abbastanza luce per chi vuol vedere. Al centro di essa sta la figura di Gesù di Nàzaret, che irradia in ogni direzione la forza della verità e dell’amore: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14). Cristo è il grande segno di Dio; egli è il rivelatore e nello stesso tempo il motivo di credibilità della rivelazione. Egli completa la rivelazione e ne conferma l’autenticità con la sua stessa presenza, con le parole e le opere, con i miracoli, con la sua morte e risurrezione, con la manifestazione dello Spirito Santo nella comunità dei credenti. Storicità di Gesù [CdA 76] Riguardo al carattere storico della rivelazione cristiana, occorre innanzitutto sottolineare che Gesù di Nàzaret non è un’idea, ma una persona concreta. Lo confermano anche documenti di provenienza ebraica e pagana. Ma sono in sostanza i quattro Vangeli a farcelo conoscere nella sua vicenda personale, nella sua azione e nel suo insegnamento. Occorre allora chiedersi se ci si può fidare dei Vangeli: non potrebbe trattarsi di racconti leggendari? I quattro Vangeli hanno valore storico, in quanto riferiscono fedelmente le opere e le parole di Gesù, ripensate alla luce degli eventi pasquali sotto l’influsso dello Spirito Santo. Essi sono espressione della fede degli evangelisti e della prima comunità cristiana; ma questo non impedisce di considerarli fonte sicura di informazione, perché la fede cristiana si caratterizza proprio per il suo radicarsi nella storia. I documenti che parlano di Gesù La storicità di Gesù è ben documentata attraverso documenti che distinguiamo in:

x Documenti cristiani: Il NT, in particolare i 4 vangeli canonici;

x Documenti pagani (alcuni accenni a Gesù ed ai cristiani): gli storici Tacito, Svetonio, Plinio il giovane;

x Documenti ebraici: Giuseppe Flavio. I documenti più ampi e significativi per la conoscenza di Gesù e del suo messaggio sono i vangeli canonici, dei quali – attraverso studi critici approfonditi – si sostiene la loro storicità ed autenticità.

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I vangeli che abbiamo oggi sono nella sostanza identici a quelli scritti dai loro autori; ciò è fondato sul confronto delle numerosissime copie (codici di pergamena o di papiro), dal quale si ricava l’autenticità dei vangeli stessi.

I Vangeli sono autentici 17

I Vangeli che noi abbiamo in mano sono quelli stessi che furono scritti duemila anni fa. Il severo confronto critico fra tutti i manoscritti ci offre questa sicurezza”.

Confronto tra i codici profani e quelli del NT

C’è da rilevare, anzitutto, come sulla storicità di Gesù esista una documentazione superiore a quella di qualunque altro personaggio storico. Così, ad esempio, mentre gli autori che parlano di Gesù sono suoi contemporanei o coevi, ecco la situazione dei biografi di alcuni grandi personaggi dell’antichità (dei quali, peraltro, nessuno dubita): Cicerone ebbe, come biografo, Plutarco (70 anni dopo); Augusto ebbe 4 biografi: Plutarco (80 anni dopo), Tacito (102 anni dopo), Svetonio (105 anni dopo), Appiano (120 anni dopo); Tiberio ebbe 2 biografi: Tacito (79 anni dopo), Svetonio (82 anni dopo).

Particolarmente significativo è il confronto fra i codici.

a) Codici profani x Di Orazio, che è tra i più fortunati, abbiamo 250 codici; di Omero 110; di Virgilio circa 100; di

Sofocle circa 100; di Eschilo 50; di Platone 11; di Euripide 2; della maggior parte degli Annali di Tacito 1.

x La distanza di tempo che passa tra l’autografo e le prime copie rimaste, per Virgilio è di 400 anni; per Orazio, 800; per Giulio Cesare, 900; per Cornelio Nepote, 1200; per Platone, 1300; per Sofocle, 1400; per Eschilo, 1500; per Euripide, 1600; per Omero, circa 2000. Riassumendo: come quantità di codici si va da 1 a 250; come distanza di tempo tra autografo e codici, da 400 anni a 2000 circa. Eppure nessuno ragionevolmente dubita della loro autenticità!

b) Codici sacri del Nuovo Testamento ¾ Possediamo ben 4680 codici, dei quali 53 contengono tutto il Nuovo Testamento e gli altri

una parte più o meno considerevole, senza contare le traduzioni e i codici o copie delle traduzioni, che il De Bruine calcola a quasi 30.000.

¾ Alcuni frammenti di papiri sono importantissimi: quello di Chester-Beatty del 200 d.C.; quello di Egerton del 130-150 (scoperto nel 1934); quello di Ryland degli anni 120-130 (scoperto nel 1920 e pubblicato nel 1935). Gli ultimi due provano in modo sicuro che al principio del II secolo già esisteva il Vangelo di Giovanni, come lo leggiamo noi.

Inoltre, da tutto questo immenso materiale balza fuori una costatazione che ha dello straordinario: la perfetta concordanza, fra tante migliaia di codici, traduzioni e relative copie, distanti fra loro nel tempo e nello spazio”.

17 Giuseppe Cionchi, Studiare religione, volume 1 per il biennio, LDC 1995, pp.116-118; 121-122; 133.

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La credibilità della fede cristiana è fondata in maniera speciale sulla credibilità di Gesù Cristo, del suo messaggio, del suo mistero18 I motivi di credibilità della fede cristiana (la sua ragionevolezza) sono legati essenzialmente al problema dell’esistenza storica, della verità ed autenticità di Gesù Cristo e del suo messaggio testimoniato soprattutto attraverso i quattro vangeli canonici. Essenziale inoltre è la storicità e veridicità dei testimoni di Gesù, gli Apostoli in particolare, sui quali trovano fondamento gli stessi vangeli. I Vangeli, sulla base della più seria e attendibile riflessione scientifica su di essi, sono fonte sicura per sostenere la storicità di Gesù, la verità del suo messaggio, la credibilità del suo mistero.

“Alla figura storica di Gesù si risale attraverso una verifica attenta, articolata in fasi successive: confronto tra le edizioni antiche dei Vangeli, nei papiri e nei codici, per stabilire il testo autentico; studio delle redazioni, per mettere in luce la forma letteraria e la teologia degli evangelisti; esame delle tradizioni utilizzate, per individuare la loro forma più arcaica; controllo delle informazioni in base ad alcuni criteri di attendibilità storica. Si tratta di un cammino a ritroso, attraverso il quale ci si rende conto di come i dati originari furono selezionati, sintetizzati, interpretati e ordinati secondo le esigenze della predicazione nelle varie comunità, ma sempre con la preoccupazione e la convinzione di essere fedeli alla memoria di Gesù e con la garanzia dei responsabili e dei testimoni oculari. Prima di scrivere, si avvertiva l’esigenza di compiere accurate ricerche e di vagliare le testimonianze: questa preoccupazione di fedeltà trova riscontri nell’esattezza del quadro geografico, storico e sociale. Si sapeva distinguere l’insegnamento di Gesù da quello dei discepoli: così si spiega perché siano stati conservati modi espressivi del Maestro non più usati dalla Chiesa, come “regno di Dio” e “Figlio dell’uomo”, e viceversa non siano stati posti sulla sua bocca problemi molto sentiti nella Chiesa primitiva, ma da lui non trattati esplicitamente, come ad esempio il rapporto tra cristiani di origine ebraica e cristiani di origine pagana. Possiamo essere sicuri che i Vangeli ci consentono di raggiungere la figura storica di Gesù nei suoi lineamenti principali, nelle costanti del suo insegnamento e della sua prassi, nei momenti cruciali della sua vita pubblica, nella sua assoluta originalità”. [CdA 77]

I Vangeli sono storici

L’affermazione poggia tra l’altro, su questi argomenti: I fatti citati sono confrontabili con la storia civile (il censimento, la morte di Erode, le testimonianze

pagane su Gesù …).

C’è concordanza perfetta sui nomi dei personaggi storici sia romani che palestinesi (Cesare Augusto, Erode, Tiberio, Ponzio Pilato, Anna e Caifa …).

Le città e i monumenti citati sono stati rinvenuti esatti dalla storia e dalle scoperte archeologiche (Cafarnao, Betsaida, la sinagoga di Cafarnao, la piscina dai cinque portici …).

18 Per questa tematica, confronta in particolare: Giuseppe De Rosa, Gesù di Nazaret: la vita, il messaggio, il mistero, Editrice ELLE DI CI – LA CIVILTA’ CATTOLICA, 1996.

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Quando gli apostoli parlano, si riferiscono a fatti incontrovertibili, perché conosciuti da tutti. […]

Tutti i riferimenti alla vita sociale, politica, economica e religiosa del popolo ebraico sono confrontabili con le fonti.

I Vangeli sono veri Ecco brevemente le principali ragioni della verità dei vangeli. Il modo di scrivere degli evangelisti non è fantasioso, impreciso o vago, ma asciutto, rigoroso e

preciso. Ci sono a volte dei particolari, poco onorevoli per gli apostoli (che pure, quando sono stati scritti i vangeli sono venerati come le colonne della Chiesa) che non vengono affatto taciuti (la loro incomprensione, i loro difetti, la loro pusillanimità, i rimproveri che Gesù rivolge loro, per es., la disputa fra di loro per vedere chi fosse il più importante: cf. Mc 9,32-33; Mc 10,35-45; Gesù che chiama Pietro Satana: cf Mt 16,23; il tradimento di Giuda; il rinnegamento di Pietro …).

I Vangeli, nonostante il loro carattere catechetico (non sono biografie di Gesù, ma annuncio della salvezza operata da Gesù), la visione teologica di questo o quell’evangelista e il riferimento alle caratteristiche delle comunità di riferimento (ad esempio, Matteo si rivolge ai cristiani provenienti dal giudaismo, diversamente da Marco e Luca che si rivolgono ai pagani), hanno un innegabile e documentato valore storico. Possiamo affermare con sicurezza che la trasmissione delle parole e delle opere compiute da Gesù è stata fatta con «fedeltà» - da Gesù agli Apostoli, dagli Apostoli alle primitive comunità cristiane e da queste agli autori dei Vangeli – cosicché nei Vangeli che oggi possediamo abbiamo l’eco fedele di quanto Gesù ha fatto e detto nella sua vita terrena.

Quando gli evangelisti scrivono il loro Vangelo, Gesù è adorato come Signore e Figlio di Dio; eppure i Vangeli riferiscono fatti che potevano sembrare in contrasto con la divinità di Gesù: che Gesù si è fatto battezzare da Giovanni e si è collocato in tal modo tra i peccatori, è stato tentato da Satana, nell’Orto degli Ulivi ha avuto paura di fronte alla morte e sulla croce ha sentito l’abbandono di Dio, ha detto di non conoscere l’ora della fine del mondo. Evidentemente, se Gesù Figlio di Dio fosse il risultato di un processo di mitizzazione o addirittura un personaggio inventato, gli evangelisti non avrebbero potuto inventare tali fatti. Inoltre, quando gli evangelisti scrivono, la fede cristiana si è diffusa nel mondo pagano; eppure nei Vangeli si riporta l’ordine di Gesù agli Apostoli di non predicare ai samaritani e ai pagani.

Al tempo della redazione dei Vangeli, la teologia, soprattutto per merito di S. Paolo, si è molto sviluppata e termini come «Regno dei cieli», «Regno di Dio» e «Figlio dell’uomo» non sono più usati; invece nei Vangeli Gesù parla continuamente del «Regno di Dio» e abitualmente chiama se stesso «il Figlio dell’uomo».

Quando sono composti i Vangeli, il mondo palestinese in cui Gesù è vissuto è del tutto scomparso, con la distruzione di Gerusalemme; eppure i Vangeli danno un quadro di quel mondo estremamente esatto e preciso, che essi non potevano conoscere se non attraverso antiche testimonianze.

La «catena» che congiunge Gesù ai Vangeli è estremamente solida: da Gesù agli Apostoli; dagli Apostoli ai primi scritti, che riportavano la predicazione apostolica; da questi primi scritti e della

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tradizione orale ai Vangeli. Gli evangelisti intendono essere fedeli ai fatti accaduti ed alla tradizione apostolica. Luca dice espressamente di aver fatto delle ricerche, prima di scrivere: «Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della Parola, così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato » (Lc 1,1-3)

Gesù, nell’affermare di essere il Messia e il Figlio di Dio, ha detto quello che egli riteneva essere la verità sulla sua persona. In tutta la sua vita ha mostrato di essere non un esaltato né un megalomane, ma una persona psicologicamente sana, dotata di grande realismo e capace di non illudersi: incapace, quindi, di attribuirsi qualità che non aveva, di autoingannarsi sulla propria persona. Non si è dunque ingannato quando ha detto di essere il Messia e il Figlio di Dio.

L’annuncio degli scrittori sacri non è un generico appello alla fratellanza umana, che molti potevano accettare; è invece l’annuncio di un fatto storico che oltrepassa ogni previsione. Essi sono testimoni del Cristo morto e risorto. Ma la morte in croce è scandalo e orrore per gli ebrei e stoltezza per gli altri popoli (1 Cor 1,23).

Il fatto di annunciare e di testimoniare determinate verità, che hanno sempre come riferimento la persona di Cristo, non ha certo comportato vantaggi umani né onori terreni: piuttosto ha procurato agli annunciatori derisioni, percosse, prigionie, umiliazioni di ogni genere e - per quasi tutti – il martirio.

La risurrezione di Gesù, fondamento della fede cristiana La risurrezione di Gesù è l’avvenimento fondante del Cristianesimo. E’ ragionevole credere nella risurrezione di Gesù Cristo? La risurrezione di Gesù non è come quella di Lazzaro, che poi è morto di nuovo, ma è la glorificazione di Gesù che in tal modo è il Signore, il Vivente per sempre. La risurrezione di Gesù perciò è avvenuta in questo mondo (e come tale è rintracciabile storicamente), ma non è di questo mondo (e come tale è oggetto di fede).

“Dobbiamo distinguere tra ciò che è storico e direttamente verificato, e ciò che è storico anche se non direttamente verificato. La risurrezione di Gesù è un fatto storico, anche se non direttamente verificato. E ciò per il fatto che essa, anche se è avvenuta in questo mondo, non è un avvenimento di questo mondo, perché Gesù non è tornato alla vita di prima; la sua risurrezione non si è realizzata nelle coordinate di spazio e di tempo proprie di un avvenimento «storico», ma è un avvenimento «escatologico», definitivo, perché è l’entrata di Gesù nella vita eterna e definitiva di Dio. Ma dire che la risurrezione di Gesù è un fatto storico non direttamente verificato non significa che non sia un fatto «oggettivo» e «reale». Infatti Gesù è realmente risorto, anche se, mediante i metodi propri della ricerca storica, non possiamo attingere il fatto reale della risurrezione direttamente in se stesso: in questo senso, la risurrezione si pone al di sopra delle categorie della storia umana: è «metastorica» e «trans-storica».

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Dobbiamo quindi affermare che la risurrezione è un fatto storico, anche se non direttamente verificato. Infatti, riflettendo sui fatti storici del sepolcro trovato vuoto, delle apparizioni di Gesù ai suoi discepoli, del mutamento avvenuto in questi rispetto a ciò che erano stati durante la vita di Gesù e, soprattutto, durante e dopo la sua passione e la sua morte, della nascita e dell’espansione della Chiesa primitiva, noi possiamo avere la certezza morale del fatto storico della risurrezione. Cioè questa ha lasciato nella nostra storia «tracce», «segni», riflettendo sui quali noi possiamo avere la certezza morale, e quindi storica, che Gesù è realmente risorto. La certezza morale che si ottiene dalla riflessione sui «segni» della risurrezione costituisce la giustificazione della fede sul piano razionale, facendo sì che l’adesione alla fede nella risurrezione sia non assurda né infondata, ma ragionevole, razionalmente valida.

Le «tracce» della risurrezione

I vangeli ci offrono dei segni (delle tracce) che rendono razionalmente credibile il mistero della risurrezione di Gesù. Questi segni sono:

x La tomba vuota; x Le apparizioni di Gesù risorto ai suoi discepoli; x La trasformazione del modo di pensare e di agire degli Apostoli dopo la risurrezione di

Gesù e il dono dello Spirito Santo a Pentecoste. Il ritrovamento della tomba vuota è un fatto storico ben fondato: non ci sono motivi seri per negarlo. Ma qual è il suo significato? Esso non è una prova storica della risurrezione di Gesù, perché si potrebbe sempre pensare, sia pure a torto, che la scomparsa del cadavere di Gesù fosse dovuta ad altre cause; è tuttavia una «traccia», un «segno» che, pur ambiguo in se stesso, «orienta» verso la risurrezione.

Ma il «segno» storico più importante, più chiaro e più evidente che la risurrezione di Gesù ha lasciato nella storia è costituito dalle sue «apparizioni». Se infatti nessuno ha visto risorgere Gesù, i suoi discepoli lo hanno visto risorto. In realtà, Gesù è apparso ai suoi discepoli molte volte, in circostanze diverse e in luoghi diversi. E’ notevole che, per parlare di queste apparizioni di Gesù, san Paolo usi il verbo ophthé (aoristo passivo di horào), che dev’essere tradotto non con «fu visto» (senso passivo), ma con «apparve» (senso medio), «si fece vedere», «si lasciò vedere», perché è costruito col dativo («a Cefa», «ai Dodici», «ai 500», «a Giacomo»). Usando tale verbo «apparve», san Paolo vuol dire che non furono Cefa, Giacomo e gli altri a «vedere» Gesù risorto, ma fu Gesù che «apparve» loro: non si trattò cioè di una «visione» soggettiva dei discepoli, ma di un’«apparizione» oggettiva, reale, di Gesù che s’impose a loro. In altre parole, Cefa e gli altri, e lo stesso Paolo, hanno visto non una creazione della loro fantasia, ma il corpo reale di Gesù, sebbene spiritualizzato. La seconda testimonianza delle apparizioni di Gesù si trova nei Vangeli, i quali narrano che Gesù si è fatto vedere molte volte dai suoi discepoli. Per quanto i racconti delle apparizioni siano diversi, in tutti si possono rilevare due elementi essenziali e costanti. Anzitutto, l’iniziativa è sempre e solo di Gesù. Le sue apparizioni non avvengono in seguito a un’attesa spasmodica dei discepoli: infatti appare loro nei modi e nelle forme più impensate e quando meno se lo aspettano. Non sono loro che gli vanno incontro, ma è sempre e solo lui che va incontro ad essi. Ciò mette in rilievo il carattere non-soggettivo, ma reàle delle apparizioni. Certo, sono i discepoli che «vedono» Gesù, ma perché egli «si fa vedere».

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Questa libertà d’iniziativa da parte di Gesù mostra quanto sia inaccettabile la tesi di coloro che attribuiscono le apparizioni di Gesù al desiderio intenso dei discepoli di vederlo: egli infatti appare quando essi non pensano a lui e scompare quando vorrebbero continuare a vederlo. Un secondo elemento costante delle apparizioni di Gesù è il riconoscimento. In Colui che si mostra loro in forme diverse, i discepoli riconoscono il Gesù che era stato con loro e che era stato crocifisso, ma non subito e spontaneamente, bensì lentamente e con molta difficoltà. Tanto che Gesù stesso deve rimproverarli della loro lentezza nel credere che si tratti di lui e deve convincerli che non è un fantasma, un’allucinazione, mostrando le mani e i piedi trafitti dai chiodi e il costato trapassato dalla lancia e chiedendo loro di mangiare. Anzi, gli Apostoli sono talmente sconcertati di fronte alle apparizioni di Gesù, che, anche di fronte alle prove più evidenti che è proprio lui, ancora dubitano o fanno fatica a credere: sentono di trovarsi di fronte a un mistero, perché il Gesù che sperimentano è, certo, il Gesù col quale sono vissuti per oltre due anni, ma è anche qualcosa di più e di diverso. Un di «più» e un «diverso» che essi non riescono a cogliere in pienezza, ma in cui intravedono, sia pure a fatica, la presenza di Dio. Così essi esprimono quello che sentono con le parole del discepolo Tommaso: «Mio Signore e mio Dio» (Gv 20,28) o con quelle del « discepolo che Gesù amava»: «E’ il Signore» (Gv 21,7).

Il terzo «segno» che la risurrezione di Gesù ha lasciato nella storia è la radicale trasformazione avvenuta nei suoi discepoli immediatamente dopo la risurrezione. Durante la vita di Gesù essi appaiono meschini e interessati; durante la passione hanno paura di condividere il destino di Gesù e lo abbandonano, fuggendo; Pietro, che lo segue fin nel palazzo di Caifa, per ben tre volte nega di conoscerlo; nessuno di essi è presente sul Calvario, a parte il «discepolo che Gesù amava»; nei giorni che seguirono la morte di Gesù, restano chiusi in una casa «per timore dei giudei» (Gv 20,19), tanto che a deporre Gesù dalla croce e a seppellirlo non sono i Dodici, ma Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, due discepoli di Gesù ma non conosciuti come tali. Immediatamente dopo la risurrezione, avviene nei discepoli un inspiegabile mutamento. Anzitutto, contro tutto il loro passato, accettano l’idea, per loro assolutamente inconcepibile e anzi assurda, di un Messia crocifisso; poi accettano l’idea, che per ebrei rigidamente monoteisti era una bestemmia, che Gesù è il «Signore», innalzato alla destra di Dio, e il Giudice dei vivi e dei morti; e ancora, si mettono a predicare Gesù come colui che i giudei hanno crocifisso, ma che Dio ha risuscitato da morte e ha costituito Signore e Salvatore degli uomini, dandogli ogni potere in cielo e in Terra, e lo fanno con estremo coraggio, affrontando i capi del popolo d’Israele, subendo torture e prigionie e avendo l’ardire di uscire dalla Palestina per portare a tutto il mondo il Vangelo di Gesù. Come si spiega questo mutamento dei discepoli di Gesù, che ha portato alla nascita della Chiesa e alla rapida diffusione del cristianesimo in tutto il mondo allora conosciuto? L’unica spiegazione possibile è che essi hanno fatto l’esperienza sconvolgente e trasformante della risurrezione di Gesù. Quel Gesù che avevano visto crocifisso, lo hanno visto risorto, e questo fatto ha trasformato la loro esistenza e ha dato loro il coraggio di annunziare Cristo risorto al mondo intero e di farsi garanti e «testimoni» della risurrezione”. 19 “Al di là di tutte le dottrine e di tutte le discussioni, c’è un fatto. Per la sua descrizione basterà sempre un francobollo: Christòs ànesti. Tutto il cristianesimo vi è condensato. Un fatto: non si può niente contro di esso. C’è uno squarcio nella storia dell’umanità: in un giorno preciso, in un luogo

19 Giuseppe De Rosa, Gesù di Nazaret: la vita, il messaggio, il mistero, o. c., pp. 280-287

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ben conosciuto. I filosofi possono disinteressarsi del fatto. Ma non esistono altre parole capaci di dar slancio all’umanità: Gesù è risorto. I primi cristiani, pur volendo far credere alla risurrezione, non la raccontano mai. E’ scontata, sicura, certa. Anche i più scettici, anche gli avversari più acerrimi sono costretti ad ammettere che qualcosa di straordinario e unico ha cambiato le carte in tavola ed ha sconvolto i piani umani. Senza la risurrezione resta difficile spiegare: come gli apostoli siano ritornati a credere a Gesù dopo la catastrofe della sua morte; come gli apostoli si siano impegnati così a fondo per dire che Gesù è risorto. Il fatto stesso che, quando Gesù è morto, l’abbiano abbandonato, dice che non erano fanatici o plagiati da Gesù. Senza la risurrezione non si può spiegare come gli apostoli, da giovani, non abbiano avuto il coraggio di morire per Gesù e poi l’abbiano avuto da vecchi. Come spiegare la conversione di Paolo, dopo quello che egli ha fatto per diffondere il Cristianesimo, senza accettare che fosse convinto di aver veramente visto Gesù risorto? Il «fatto» che molte persone, dopo averli conosciuti, abbiano accettato la loro parola ed abbiano creduto a loro, vuol dire che li hanno giudicati credibili. «Cosa accadde di così sconvolgente da trasformare dei poveri individui terrorizzati, che si sentivano braccati, in temerari che sfidano apertamente le autorità nelle piazze, senza più paura di nulla, pronti a tutto? Cosa vissero di così enorme da capovolgere il loro terrore in ardente e tenace coraggio? Cosa si verificò per produrre in loro un così clamoroso cambiamento, da renderli tutti pronti a subire, con semplicità e decisione, il martirio? Conoscevano bene infatti le conseguenze a cui andavano incontro. Avevano visto il bestiale macello di Gesù. E cionondimeno il loro terrore sparì di colpo. Infatti furono ripetutamente arrestati, malmenati e avvertiti. L’unica ipotesi plausibile è che davvero Gesù sia tornato, vivo, risorto fra loro. Questo è l’unico fatto che può spiegare un così repentino e stupefacente mutamento. Se non hanno mai voluto rinnegare ciò che affermavano di aver visto e toccato con mano, se non se lo sono rimanciato neanche di fronte ai tormenti degli aguzzini, significa che dovevano esserne ben certi e che doveva essere tutto vero. Vuole dire pure che tutti loro ritenevano ciò che era accaduto e la missione che avevano ricevuto più importante di tutti i loro beni, dei loro stessi affetti familiari e financo della loro vita personale (perfino della vita dei loro cari che comunque, a causa di quel loro annuncio e di quella loro azione, in qualche modo esponevano al rischio, alla precarietà e alle prove). E’ difficile trovare una conferma fattuale più grande e più indiscutibile di questa alle loro testimonianze concordi. Bisogna riconoscere che la statura morale di cui hanno dato prova questi testimoni è un argomento di credibilità senza uguali. La storiografia comune ( e perfino i processi penali, la giustizia umana) si fonda sulle testimonianze e giudica “sicuri, veri, certi” quegli eventi che sono suffragati da testimonianze concordi. Ripeto: gli amici di Gesù hanno testimoniato concordemente, pagando con la vita, “contro” la loro stessa reputazione. Contro se stessi. Cosa che obiettivamente ingigantisce la loro credibilità e la rende pressoché indiscutibile. Non c’è un solo evento storico, fra quelli ritenuti certi dalla manualistica e dagli storici, che sia stato testimoniato con argomenti e garanzie così formidabili. Da nessuno, mai» (Antonio Socci, Indagine su Gesù, pp. 268-269)”. 20

20 Bruno Ferrero, Dieci buoni motivi per essere cristiani (e cattolici), LDC 2010, pp. 37-39.

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******** “ In conclusione, la risurrezione di Gesù, pur essendo avvenuta nel più profondo mistero, ha lasciato nella storia umana tre «segni»: il sepolcro vuoto, le apparizioni ai discepoli, la radicale trasformazione di questi. Riflettendo su tali «segni», noi possiamo avere la certezza morale – che è la certezza propria della storia – che Gesù di Nazaret, il crocifisso, è veramente risorto. La risurrezione è dunque un fatto reale, non «mitico», né «soggettivo», perché Gesù è risorto nella «realtà» del suo essere corporeo, non nella «fede» o nel «desiderio» dei suoi discepoli”21 .

La ragionevolezza della storicità di Gesù Cristo, nel confronto sereno con quanti oggi la negano o contestano la fede “ortodossa” della Chiesa

Nel corso dei duemila anni del Cristianesimo, ed anche ai nostri giorni, ci sono state diverse interpretazioni della figura di Gesù, fino a negare la sua stessa esistenza storica. Ai nostri giorni ci sono vari tentativi di screditare la visione “ortodossa” di Gesù, come se la sua divinità fosse il frutto di un processo di mitizzazione, che deve essere smascherato per cogliere la vera identità di Gesù e delle stesse origini storiche del Cristianesimo. Ci si appella, per questo, tra l’altro, a fonti diverse dai vangeli canonici, dando a queste - a motivo di pregiudizi ideologici - erroneamente un valore di probazione storica che in realtà non hanno. Recenti opere letterarie, come ad esempio Il Codice da Vinci di Dan Brown, raccolgono acriticamente estesi consensi. Parallelamente, anche nei credenti, vi è poca conoscenza degli studi approfonditi e critici relativi ai vangeli canonici, che offrono motivi di credibilità non solo della storicità di Gesù, ma anche della sua identità di uomo e Figlio di Dio, che costituisce l’essenza stessa del Cristianesimo.

“Vi è da una parte “il fiorire di romanzi, di studi, di film che riguardano il soprannaturale e, in modo specifico, il personaggio Gesù (emblematico, a livello mondiale, il successo del Codice da Vinci di Dan Brown e, nel nostro paese, del libro di Corrado Augias e Mauro Pesce Inchiesta su Gesù), dall’altra il fatto che la stragrande maggioranza di queste opere non solo non si inserisce nell’alveo della visione tradizionale, ma la contesta esplicitamente, offrendo dell’identità e del messaggio di Cristo una interpretazione fortemente alternativa. Un vero e proprio «processo» ha, così, messo sotto accusa quel Gesù Cristo, Figlio di Dio, in cui hanno creduto per secoli milioni di uomini e donne. Ogni indizio, ogni nuova scoperta, che lascino supporre di poter rimettere in discussione quella immagine, vengono accolti con interesse e simpatia. Il Gesù divino delle chiese – e, bisogna ripeterlo, di quella cattolica soprattutto – è diventato sospetto. Significativo di questo atteggiamento più o meno larvatamente inquisitorio è già il titolo dell’opera di Augias e Pesce, che la presenta come una «Inchiesta» su Gesù. Ancora più esplicita la conclusione del libro di Piergiorgio Odifreddi Perché non possiamo essere cristiani ( e meno che mai cattolici ): «E’ finalmente giunta l’ora di emettere un verdetto sul Cristianesimo. Che, ovviamente, è la condanna capitale» (Odifreddi P., Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici), Longanesi, Milano 2007, p. 223)”22.

21 Giuseppe De Rosa, o. c., p. 287. 22 Giuseppe Savagnone, PROCESSO A GESU’. E’ ancora ragionevole credere nella divinità di Cristo?, LDC 2007, p. 10.

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Le interpretazioni di questi Autori e di altri simili, al vaglio delle fonti storiche di Gesù e del Cristianesimo, risultano delle interpretazioni tendenziose e distorte, debitrici di presupposti ideologici. Il professore e storico Giuseppe Savagnone, nel suo libro Processo a Gesù23, affronta il problema della ragionevolezza della fede cristiana in Gesù, Figlio di Dio, confrontandosi criticamente con le diverse interpretazioni di Gesù, comprese quelle mitiche, sfatando pregiudizi ed interpretazioni riduttive, ideologicamente condizionate. L’Autore è consapevole che ogni conoscenza è in parte soggettivamente condizionata, ma può, alle dovute condizioni, superare i pregiudizi cercando di cogliere il più possibile la verità oggettiva dell’identità di Gesù e del Cristianesimo, nel confronto sereno e critico con il nuovo attuale contesto culturale e le più recenti scoperte relative alla figura storica di Gesù. Dopo aver serenamente e criticamente preso in esame le diverse interpretazioni relative alla figura di Gesù, soprattutto quelle attuali, comprese le interpretazioni che vedono in Gesù un personaggio mitico, mai storicamente esistito, il nostro Autore (Giuseppe Savagnone), al termine del suo libro “Processo a Gesù”, offre il “verdetto” del processo, che conferma la ragionevolezza della fede cristiana fondata sull’umanità e la divinità di Gesù Cristo, inscindibilmente unite.

“Attraverso un paziente confronto, e attingendo a piene mani alla letteratura scientifica, senza preclusioni di sorta – nel nostro percorso abbiamo considerato e in parte accolto le opinioni di tutti: ebrei, cattolici, protestanti, “laici”, - ci sembra di essere giunti ad alcune conclusioni che possono essere ragionevolmente sostenute e che smentiscono la «condanna capitale» del Cristianesimo (secondo la sentenza di Odifreddi)

¾ Non è vero che «quasi tutto ciò che i nostri padri ci hanno insegnato a proposito di Cristo è falso» (Brown, pp. 275-276).24 In realtà, i vangeli canonici risalgono a pochi decenni e non a circa trecento anni dalla morte di Gesù, non nacquero da oscuri intrighi politici, ma dalla tradizione fedelmente custodita dalla comunità e, pur non essendo opere scritte con uno specifico intento storico, ma di annuncio, sono in grado di darci una conoscenza di Gesù che non è affatto inferiore a quella che abbiamo di altri personaggi dell’antichità, come Alessandro Magno.

¾ Non è vero neppure, di conseguenza, che «l’esistenza di Gesù non è assolutamente accertata sul piano storico» (Onfray, p. 113),25 e che «il Gesù dei Vangeli non è altro che una costruzione letteraria, alla pari degli altri grandi miti sacri e profani della storia» (Odifreddi, p. 104). La concretezza storica che rende la figura di Gesù irriducibile a qualunque schema mitologico è emersa con chiarezza dalla nostra ricerca e oggi non è più negata da nessun critico serio.

¾ Non è vero che, tra i diversi “vangeli” in circolazione nel II secolo, «a un certo punto si decise di

sceglierne alcuni» per il solo motivo che «quei testi apparivano dottrinalmente sicuri secondo l’idea di ortodossia che le Chiese avevano in quel momento» (Augias-Pesce, pp. 9 e 19).26

¾ Non è vero che Gesù era solo «un ebreo che non voleva fondare una nuova religione» (Augias –

Pesce, p.237) e che egli «non trascese mai i limiti del giudaismo» (Roloff, p. 117).27 Gesù certamente condivise la cultura e le tradizioni religiose del suo popolo e vide nel suo messaggio non un rinnegamento dell’una e delle altre, ma il loro compimento; ma sia la sua figura che il suo

23 Giuseppe Savagnone, PROCESSO A GESU’. E’ ancora ragionevole credere nella divinità di Cristo?, LDC 2007. 24 Brown D., Il Codice da Vinci, tr. It. R. Valla, Mondadori, Milano 2003. 25 Onfray M., Trattato di ateologia. Fisica della metafisica, tr. It. G. De Paola, Fazi Editore, Roma 2005. 26 Augias C. – Pesce M., Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo, Mondadori, Milano 2006. 27 Roloff J., Gesù, tr. It. P. Massardi, Einaudi, Torino 2002.

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messaggio che le sue azioni non si lasciano racchiudere nell’orizzonte né della Legge mosaica né del giudaismo del suo tempo, e di questo i suoi discepoli ebbero chiara consapevolezza, costituendo ben presto delle comunità a sé stanti.

¾ Non è vero che Gesù «non attribuisce a sé alcun ruolo» (Augias-Pesce, p. 221). Anche se rifiuta il

titolo di “Messia”, egli si comporta con la consapevolezza e l’autorità di chi collega strettamente alla propria persona l’avvento del regno di Dio, fino a coincidere con esso. Esprime inoltre la propria coscienza messianica identificandosi con la figura trascendente del “Figlio dell’uomo”. Di più: nel suo rapporto con Dio si attribuisce, in modo unico ed esclusivo, il titolo di “Figlio”, evidenziando un’assoluta intimità col Padre, fino a una piena reciprocità di conoscenza e di amore che nessuna creatura potrebbe avere. A conferma di ciò, subito dopo la sua morte (e la sua resurrezione) i suoi discepoli lo considerano «di natura divina», gli attribuiscono una «uguaglianza con Dio» (fil 2,6ss.), lo indicano col titolo di Kyrios e lo invocano con la preghiera maranatha.

¾ Non è vero, infine, che «la risurrezione di Cristo non è un evento che riguardi la storia» e che

«come evento storico possiamo concepire solo la fede pasquale dei primi discepoli» (Bultmann 1973, p. 170).28 Così come non è vero, viceversa, che la resurrezione significa soltanto che «la “causa di Gesù” prosegue» (Marxen, p. 171)29 e non dà «un’informazione aggiuntiva rispetto a ciò che la vita e la morte di Gesù avevano reso manifesto» (Verwayin, p. 439).30 In entrambi i casi si cade in una prospettiva unilaterale, privilegiando in modo esclusivo la fede della comunità post-pasquale, a scapito della storia, o la storia pre-pasquale di Gesù, a scapito di ciò che la sua comunità ha potuto leggere in questa storia solo dopo la pasqua. Le testimonianze in nostro possesso ci parlano invece di una fede pasquale che si fondò su un evento che in se stesso non si lascia racchiudere nelle categorie del tempo e dello spazio, ma la cui realtà va ammessa per spiegare ragionevolmente una serie di effetti constatati dallo storico. […]

Al termine del nostro “processo”, come in ogni buon dibattito giudiziario, delle false affermazioni sono state confutate e delle verità sono venute alla luce. Ora che abbiamo liberato il volto dell’ “imputato” dalla maschera che lo ricopriva, scopriamo con una certa sorpresa che l’immagine che ci sta di fronte non è quella, proposta da tanti critici, di un rabbi idealista o, viceversa, l’altra, diffusa nella pietà di tanti credenti, di un essere divino separato dalla nostra umanità, ma riunisce in modo inscindibile i tratti dell’uomo e quelli di Dio. E comprendiamo perché questo volto sia stato ridotto, tanto spesso, ad una caricatura celeste contro cui si è reagito contrapponendogliene altre, di segno opposto, non meno mistificanti: è difficile mantenere il senso della differenza e accettare Gesù in tutto lo spessore del suo mistero, senza ricadere in soluzioni semplici che valorizzano esclusivamente la sua umanità o la sua divinità. Probabilmente la storia successiva delle cosiddette “eresie”, con le loro opposte estremizzazioni dell’uno o dell’altro aspetto, non è altro che il frutto di questa irriducibile e sconcertante complessità”.31

28 Bultmann R., (1973), Nuovo Testamento e mitologia. Il manifesto della demitizzazione, intr. I. Mancini, tr. It. L. Tosti e F. Bianco, Queriniana, Brescia 1973. 29 Marxen W, La resurrezione di Gesù di Nazareth, tr. It. B. Liverani, ed. it.. a c. di C. Benincasa, Edizioni Dehoniane, Bologna 1970. 30 Verwayin H. J., La parola definitiva di Dio. Compendio di teologia fondamentale, tr. It. C. Danna, Queriniana, Brescia 2001. 31 Giuseppe Savagnone, PROCESSO A GESU’. E’ ancora ragionevole credere nella divinità di Cristo?, LDC 2007, pp. 173-175, 177.

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CAPITOLO V LA VISIONE DELL’UOMO SECONDO LA FEDE CRISTIANA:

GESU’, L’UOMO NUOVO, MODELLO PERFETTO DI UMANITA’

In ultima analisi, il motivo fondamentale per cui nella vita delle persone e delle società si ritiene che qualcosa è un valore o un disvalore, un bene o un male, un motivo per cui è un bene o persino doveroso impegnarsi, dipende dalla visione che si ha dell’uomo, dipende cioè dalla risposta alla domanda: « Chi è l’uomo? ». Se osserviamo criticamente il contesto socio-culturale nel quale viviamo, ci rendiamo conto che la risposta alla domanda « chi è l’uomo? », anche se non sempre consapevole, è molteplice e persino a volte contraddittoria. Il soggettivismo ed il relativismo diffusi nell’attuale società sono dovuti anche ad una crisi antropologica, cioè ad una confusione relativa alla « visione globale dell’uomo », sganciata dalla verità fondata sulla natura e sulla Rivelazione. Esistono perciò oggi tante antropologie (visioni della vita) per cui ciò che è bene per alcuni è male per altri, ciò che è vero e giusto per alcuni è falso e ingiusto per altri … Il Cristianesimo ha una specifica antropologia, cioè una specifica risposta alla domanda: « chi è l’uomo? », che accoglie dalla Rivelazione testimoniata dalla bibbia. Quando nella bibbia, nel libro della Genesi, si parla della creazione dell’uomo-donna si usa l’espressione simbolica : « immagine di Dio »; si dice: « Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza ». L’ «immagine e somiglianza con Dio», deformata nell’uomo dal peccato originale, risplende in pienezza in Gesù, « l’Uomo nuovo», il « nuovo Adamo », seguendo il quale si diventa più uomo. Chi vive secondo la visione dell’uomo cristianamente intesa, alla luce della Rivelazione e dell’insegnamento della Chiesa, vive una vita autenticamente umana, e contribuisce anche all’umanizzazione del mondo in cui viviamo! Il documento del Concilio Vaticano II « Gaudium et spes » dedica un capitolo alla « Dignità della persona umana », che resta un’ottima sintesi dell’antropologia cristiana, cioè della risposta cristiana alla domanda « chi è l’uomo? ». La riportiamo di seguito perché sia luce per comprendere la grandezza dell’uomo secondo il progetto di Dio, e perché vivendo secondo questa visione ognuno possa vivere una vita pienamente umana ed umanizzante.

LA DIGNITÀ DELLA PERSONA UMANA (CAPITOLO I DELLA GAUDIUM ET SPES)

12. L'uomo ad immagine di Dio.

Credenti e non credenti sono generalmente d'accordo nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all'uomo, come a suo centro e a suo vertice. Ma che cos'è l'uomo?

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Molte opinioni egli ha espresso ed esprime sul proprio conto, opinioni varie ed anche contrarie, secondo le quali spesso o si esalta così da fare di sé una regola assoluta, o si abbassa fino alla disperazione, finendo in tal modo nel dubbio e nell'angoscia. Queste difficoltà la Chiesa le sente profondamente e ad esse può dare una risposta che le viene dall'insegnamento della divina Rivelazione, risposta che descrive la vera condizione dell'uomo, dà una ragione delle sue miserie, ma in cui possono al tempo stesso essere giustamente riconosciute la sua dignità e vocazione. La Bibbia, infatti, insegna che l'uomo è stato creato « ad immagine di Dio » capace di conoscere e di amare il suo Creatore, e che fu costituito da lui sopra tutte le creature terrene quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio. « Che cosa è l'uomo, che tu ti ricordi di lui? o il figlio dell'uomo che tu ti prenda cura di lui? L'hai fatto di poco inferiore agli angeli, l'hai coronato di gloria e di onore, e l'hai costituito sopra le opere delle tue mani. Tutto hai sottoposto ai suoi piedi » (Sal8,5). Ma Dio non creò l'uomo lasciandolo solo: fin da principio « uomo e donna li creò » (Gen1,27) e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone. L'uomo, infatti, per sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti. Perciò Iddio, ancora come si legge nella Bibbia, vide « tutte quante le cose che aveva fatte, ed erano buone assai» (Gen1,31).

13. Il peccato.

Costituito da Dio in uno stato di giustizia, l'uomo però, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia abusò della libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di lui. Pur avendo conosciuto Dio, gli uomini « non gli hanno reso l'onore dovuto... ma si è ottenebrato il loro cuore insipiente »... e preferirono servire la creatura piuttosto che il Creatore. Quel che ci viene manifestato dalla rivelazione divina concorda con la stessa esperienza. Infatti l'uomo, se guarda dentro al suo cuore, si scopre inclinato anche al male e immerso in tante miserie, che non possono certo derivare dal Creatore, che è buono. Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l'uomo ha infranto il debito ordine in rapporto al suo fine ultimo, e al tempo stesso tutta l'armonia, sia in rapporto a se stesso, sia in rapporto agli altri uomini e a tutta la creazione. Così l'uomo si trova diviso in se stesso. Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Anzi l'uomo si trova incapace di superare efficacemente da sé medesimo gli assalti del male, così che ognuno si sente come incatenato. Ma il Signore stesso è venuto a liberare l'uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell'intimo e scacciando fuori « il principe di questo mondo » (Gv12,31), che lo teneva schiavo del peccato. Il peccato è, del resto, una diminuzione per l'uomo stesso, in quanto gli impedisce di conseguire la propria pienezza. Nella luce di questa Rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima sia la sublime vocazione, sia la profonda miseria, di cui gli uomini fanno l'esperienza.

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14. Costituzione dell'uomo.

Unità di anima e di corpo, l'uomo sintetizza in sé, per la stessa sua condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore . Non è lecito dunque disprezzare la vita corporale dell'uomo. Al contrario, questi è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell'ultimo giorno. E tuttavia, ferito dal peccato, l'uomo sperimenta le ribellioni del corpo. Perciò è la dignità stessa dell'uomo che postula che egli glorifichi Dio nel proprio corpo e che non permetta che esso si renda schiavo delle perverse inclinazioni del cuore. L'uomo, in verità, non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più che soltanto una particella della natura o un elemento anonimo della città umana. Infatti, nella sua interiorità, egli trascende l'universo delle cose: in quelle profondità egli torna, quando fa ritorno a se stesso, là dove lo aspetta quel Dio che scruta i cuori là dove sotto lo sguardo di Dio egli decide del suo destino. Perciò, riconoscendo di avere un'anima spirituale e immortale, non si lascia illudere da una creazione immaginaria che si spiegherebbe solamente mediante le condizioni fisiche e sociali, ma invece va a toccare in profondo la verità stessa delle cose. 15. Dignità dell'intelligenza, verità e saggezza.

L'uomo ha ragione di ritenersi superiore a tutto l'universo delle cose, a motivo della sua intelligenza, con cui partecipa della luce della mente di Dio. Con l'esercizio appassionato dell'ingegno lungo i secoli egli ha fatto certamente dei progressi nelle scienze empiriche, nelle tecniche e nelle discipline liberali. Nell'epoca nostra, poi, ha conseguito successi notevoli particolarmente nella investigazione e nel dominio del mondo materiale. E tuttavia egli ha sempre cercato e trovato una verità più profonda. L'intelligenza, infatti, non si restringe all'ambito dei soli fenomeni, ma può conquistare con vera certezza la realtà intelligibile, anche se, per conseguenza del peccato, si trova in parte oscurata e debilitata. Infine, la natura intelligente della persona umana può e deve raggiungere la perfezione. Questa mediante la sapienza attrae con dolcezza la mente a cercare e ad amare il vero e il bene; l'uomo che se ne nutre è condotto attraverso il visibile all'invisibile. L'epoca nostra, più ancora che i secoli passati, ha bisogno di questa sapienza per umanizzare tutte le sue nuove scoperte. È in pericolo, di fatto, il futuro del mondo, a meno che non vengano suscitati uomini più saggi. Inoltre va notato come molte nazioni, economicamente più povere rispetto ad altre, ma più ricche di saggezza, potranno aiutare potentemente le altre. Col dono, poi, dello Spirito Santo, l'uomo può arrivare nella fede a contemplare e a gustare il mistero del piano divino.

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16. Dignità della coscienza morale.

Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo. Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può dire quando l'uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato.

17. Grandezza della libertà.

Ma l'uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà. I nostri contemporanei stimano grandemente e perseguono con ardore tale libertà, e a ragione. Spesso però la coltivano in modo sbagliato quasi sia lecito tutto quel che piace, compreso il male. La vera libertà, invece, è nell'uomo un segno privilegiato dell'immagine divina. Dio volle, infatti, lasciare l'uomo « in mano al suo consiglio » che cerchi spontaneamente il suo Creatore e giunga liberamente, aderendo a lui, alla piena e beata perfezione. Perciò la dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e determinato da convinzioni personali, e non per un cieco impulso istintivo o per mera coazione esterna. L'uomo perviene a tale dignità quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine mediante la scelta libera del bene e se ne procura con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti. Questa ordinazione verso Dio, la libertà dell'uomo, realmente ferita dal peccato, non può renderla effettiva in pieno se non mediante l'aiuto della grazia divina. Ogni singolo uomo, poi, dovrà rendere conto della propria vita davanti al tribunale di Dio, per tutto quel che avrà fatto di bene e di male. 18. Il mistero della morte.

In faccia alla morte l'enigma della condizione umana raggiunge il culmine. L'uomo non è tormentato solo dalla sofferenza e dalla decadenza progressiva del corpo, ma anche, ed anzi, più ancora, dal timore di una distruzione definitiva. Ma l'istinto del cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l'idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona.

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Il germe dell'eternità che porta in sé, irriducibile com'è alla sola materia, insorge contro la morte. Tutti i tentativi della tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a calmare le ansietà dell'uomo: il prolungamento di vita che procura la biologia non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore, invincibilmente ancorato nel suo cuore. Se qualsiasi immaginazione vien meno di fronte alla morte, la Chiesa invece, istruita dalla Rivelazione divina, afferma che l'uomo è stato creato da Dio per un fine di felicità oltre i confini delle miserie terrene. Inoltre la fede cristiana insegna che la morte corporale, dalla quale l'uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato, sarà vinta un giorno, quando l'onnipotenza e la misericordia del Salvatore restituiranno all'uomo la salvezza perduta per sua colpa. Dio infatti ha chiamato e chiama l'uomo ad aderire a lui con tutto il suo essere, in una comunione perpetua con la incorruttibile vita divina. Questa vittoria l'ha conquistata il Cristo risorgendo alla vita, liberando l'uomo dalla morte mediante la sua morte. Pertanto la fede, offrendosi con solidi argomenti a chiunque voglia riflettere, dà una risposta alle sue ansietà circa la sorte futura; e al tempo stesso dà la possibilità di una comunione nel Cristo con i propri cari già strappati dalla morte, dandoci la speranza che essi abbiano già raggiunto la vera vita presso Dio.

19. Forme e radici dell'ateismo.

L'aspetto più sublime della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio. Se l'uomo esiste, infatti, è perché Dio lo ha creato per amore e, per amore, non cessa di dargli l'esistenza; e l'uomo non vive pienamente secondo verità se non riconosce liberamente quell'amore e se non si abbandona al suo Creatore. Molti nostri contemporanei, tuttavia, non percepiscono affatto o esplicitamente rigettano questo intimo e vitale legame con Dio: a tal punto che l'ateismo va annoverato fra le realtà più gravi del nostro tempo e va esaminato con diligenza ancor maggiore. Con il termine « ateismo » vengono designati fenomeni assai diversi tra loro. Alcuni atei, infatti, negano esplicitamente Dio; altri ritengono che l'uomo non possa dir niente di lui; altri poi prendono in esame i problemi relativi a Dio con un metodo tale che questi sembrano non aver senso. Molti, oltrepassando indebitamente i confini delle scienze positive, o pretendono di spiegare tutto solo da questo punto di vista scientifico, oppure al contrario non ammettono ormai più alcuna verità assoluta. Alcuni tanto esaltano l'uomo, che la fede in Dio ne risulta quasi snervata, inclini come sono, a quanto sembra, ad affermare l'uomo più che a negare Dio. Altri si creano una tale rappresentazione di Dio che, respingendolo, rifiutano un Dio che non è affatto quello del Vangelo. Altri nemmeno si pongono il problema di Dio: non sembrano sentire alcuna inquietudine religiosa, né riescono a capire perché dovrebbero interessarsi di religione. L'ateismo inoltre ha origine sovente, o dalla protesta violenta contro il male nel mondo, o dall'aver attribuito indebitamente i caratteri propri dell'assoluto a qualche valore umano, così che questo prende il posto di Dio. Perfino la civiltà moderna, non per sua essenza, ma in quanto troppo irretita nella realtà terrena, può rendere spesso più difficile l'accesso a Dio. Senza dubbio coloro che volontariamente cercano di tenere lontano Dio dal proprio cuore e di evitare i problemi religiosi, non seguendo l'imperativo della loro coscienza, non sono esenti da colpa; tuttavia in questo campo anche i credenti spesso hanno una certa responsabilità.

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Infatti l'ateismo, considerato nel suo insieme, non è qualcosa di originario, bensì deriva da cause diverse, e tra queste va annoverata anche una reazione critica contro le religioni, anzi in alcune regioni, specialmente contro la religione cristiana. Per questo nella genesi dell'ateismo possono contribuire non poco i credenti, nella misura in cui, per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione ingannevole della dottrina, od anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione. 20. L'ateismo sistematico.

L'ateismo moderno si presenta spesso anche in una forma sistematica, secondo cui, oltre ad altre cause, l'aspirazione all'autonomia dell'uomo viene spinta a un tal punto, da far ostacolo a qualunque dipendenza da Dio. Quelli che professano un tale ateismo sostengono che la libertà consista nel fatto che l'uomo sia fine a se stesso, unico artefice e demiurgo della propria storia; cosa che non può comporsi, così essi pensano, con il riconoscimento di un Signore, autore e fine di tutte le cose, o che almeno rende semplicemente superflua tale affermazione. Una tale dottrina può essere favorita da quel senso di potenza che l'odierno progresso tecnico ispira al- l’uomo. Tra le forme dell'ateismo moderno non va trascurata quella che si aspetta la liberazione dell'uomo soprattutto dalla sua liberazione economica e sociale. La religione sarebbe di ostacolo, per natura sua, a tale liberazione, in quanto, elevando la speranza dell'uomo verso il miraggio di una vita futura, la distoglierebbe dall'edificazione della città terrena. Perciò i fautori di tale dottrina, là dove accedono al potere, combattono con violenza la religione e diffondono l'ateismo anche ricorrendo agli strumenti di pressione di cui dispone il potere pubblico, specialmente nel campo dell'educazione dei giovani. 21. Atteggiamento della Chiesa di fronte all'ateismo.

La Chiesa, fedele ai suoi doveri verso Dio e verso gli uomini, non può fare a meno di riprovare, come ha fatto in passato, con tutta fermezza e con dolore, quelle dottrine e quelle azioni funeste che contrastano con la ragione e con l'esperienza comune degli uomini e che degradano l'uomo dalla sua innata grandezza. Si sforza tuttavia di scoprire le ragioni della negazione di Dio che si nascondono nella mente degli atei e, consapevole della gravità delle questioni suscitate dall'ateismo, mossa dal suo amore verso tutti gli uomini, ritiene che esse debbano meritare un esame più serio e più profondo. La Chiesa crede che il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell'uomo, dato che questa dignità trova proprio in Dio il suo fondamento e la sua perfezione. L'uomo infatti riceve da Dio Creatore le doti di intelligenza e di libertà ed è costituito nella società; ma soprattutto è chiamato alla comunione con Dio stesso in qualità di figlio e a partecipare alla sua stessa felicità. Inoltre la Chiesa insegna che la speranza escatologica non diminuisce l'importanza degli impegni terreni, ma anzi dà nuovi motivi a sostegno dell'attuazione di essi. Al contrario, invece, se manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave, come si constata spesso al giorno d'oggi, e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione. E intanto ciascun uomo rimane ai suoi propri occhi un problema insoluto, confusamente

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percepito. Nessuno, infatti, in certe ore e particolarmente in occasione dei grandi avvenimenti della vita può evitare totalmente quel tipo di interrogativi sopra ricordato. A questi problemi soltanto Dio dà una risposta piena e certa, lui che chiama l'uomo a una riflessione più profonda e a una ricerca più umile. Quanto al rimedio all'ateismo, lo si deve attendere sia dall'esposizione adeguata della dottrina della Chiesa, sia dalla purezza della vita di essa e dei suoi membri. La Chiesa infatti ha il compito di rendere presenti e quasi visibili Dio Padre e il Figlio suo incarnato, rinnovando se stessa e purificandosi senza posa sotto la guida dello Spirito Santo. Ciò si otterrà anzi tutto con la testimonianza di una fede viva e adulta, vale a dire opportunamente formata a riconoscere in maniera lucida le difficoltà e capace di superarle. Di una fede simile han dato e danno testimonianza sublime moltissimi martiri. Questa fede deve manifestare la sua fecondità, col penetrare l'intera vita dei credenti, compresa la loro vita profana, e col muoverli alla giustizia e all'amore, specialmente verso i bisognosi. Ciò che contribuisce di più, infine, a rivelare la presenza di Dio, è la carità fraterna dei fedeli che unanimi nello spirito lavorano insieme per la fede del Vangelo e si presentano quale segno di unità. La Chiesa, poi, pur respingendo in maniera assoluta l'ateismo, tuttavia riconosce sinceramente che tutti gli uomini, credenti e non credenti, devono contribuire alla giusta costruzione di questo mondo, entro il quale si trovano a vivere insieme: ciò, sicuramente, non può avvenire senza un leale e prudente dialogo. Essa pertanto deplora la discriminazione tra credenti e non credenti che alcune autorità civili ingiustamente introducono, a danno dei diritti fondamentali della persona umana. Rivendica poi, in favore dei credenti, una effettiva libertà, perché sia loro consentito di edificare in questo mondo anche il tempio di Dio. Quanto agli atei, essa li invita cortesemente a volere prendere in considerazione il Vangelo di Cristo con animo aperto. La Chiesa sa perfettamente che il suo messaggio è in armonia con le aspirazioni più segrete del cuore umano quando essa difende la dignità della vocazione umana, e così ridona la speranza a quanti ormai non osano più credere alla grandezza del loro destino. Il suo messaggio non toglie alcunché all'uomo, infonde invece luce, vita e libertà per il suo progresso, e all'infuori di esso, niente può soddisfare il cuore dell'uomo: « Ci hai fatto per te », o Signore, «e il nostro cuore è senza pace finché non riposa in te».

22. Cristo, l'uomo nuovo.

In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm5,14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice. Egli è « l'immagine dell'invisibile Iddio » (Col1,15) è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto

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simile a noi fuorché il peccato. Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l'Apostolo: il Figlio di Dio « mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me» (Gal2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l'esempio perché seguiamo le sue orme ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato. Il cristiano poi, reso conforme all'immagine del Figlio che è il primogenito tra molti fratelli riceve «le primizie dello Spirito» (Rm8,23) per cui diventa capace di adempiere la legge nuova dell'amore. In virtù di questo Spirito, che è il «pegno della eredità» (Ef1,14), tutto l'uomo viene interiormente rinnovato, nell'attesa della « redenzione del corpo » (Rm8,23): « Se in voi dimora lo Spirito di colui che risuscitò Gesù da morte, egli che ha risuscitato Gesù Cristo da morte darà vita anche ai vostri corpi mortali, mediante il suo Spirito che abita in voi» (Rm8,11). Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte; ma, associato al mistero pasquale, diventando conforme al Cristo nella morte, così anche andrà incontro alla risurrezione fortificato dalla speranza. E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale. Tale e così grande è il mistero dell'uomo, questo mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Con la sua morte egli ha distrutto la morte, con la sua risurrezione ci ha fatto dono della vita, perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abba, Padre!.

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41. L'aiuto che la Chiesa intende offrire agli individui.

L'uomo d'oggi procede sulla strada di un più pieno sviluppo della sua personalità e di una progressiva scoperta e affermazione dei propri diritti. Poiché la Chiesa ha ricevuto la missione di manifestare il mistero di Dio, il quale è il fine ultimo dell'uomo, essa al tempo stesso svela all'uomo il senso della sua propria esistenza, vale a dire la verità profonda sull'uomo. Essa sa bene che soltanto Dio, al cui servizio è dedita, dà risposta ai più profondi desideri del cuore umano, che mai può essere pienamente saziato dagli elementi terreni. Sa ancora che l'uomo, sollecitato incessantemente dallo Spirito di Dio, non potrà mai essere del tutto indifferente davanti al problema religioso, come dimostrano non solo l'esperienza dei secoli passati, ma anche molteplici testimonianze dei tempi nostri. L'uomo, infatti, avrà sempre desiderio di sapere, almeno confusamente, quale sia il significato della sua vita, della sua attività e della sua morte. E la Chiesa, con la sua sola presenza nel mondo, gli richiama alla mente questi problemi. Ma soltanto Dio, che ha creato l'uomo a sua immagine e che lo ha redento dal

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peccato, può offrire a tali problemi una risposta pienamente adeguata; cose che egli fa per mezzo della rivelazione compiuta nel Cristo, Figlio suo, che si è fatto uomo.

Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa anch'egli più uomo.

Partendo da questa fede, la Chiesa può sottrarre la dignità della natura umana al fluttuare di tutte le opinioni che, per esempio, abbassano troppo il corpo umano, oppure lo esaltano troppo. Nessuna legge umana è in grado di assicurare la dignità personale e la libertà dell'uomo, quanto il Vangelo di Cristo, affidato alla Chiesa. Questo Vangelo, infatti, annunzia e proclama la libertà dei figli di Dio, respinge ogni schiavitù che deriva in ultima analisi dal peccato onora come sacra la dignità della coscienza e la sua libera decisione, ammonisce senza posa a raddoppiare tutti i talenti umani a servizio di Dio e per il bene degli uomini, infine raccomanda tutti alla carità di tutti. Ciò corrisponde alla legge fondamentale della economia cristiana. Benché, infatti, il Dio Salvatore e il Dio Creatore siano sempre lo stesso Dio, e così pure si identifichino il Signore della storia umana e il Signore della storia della salvezza, tuttavia in questo stesso ordine divino la giusta autonomia della creatura, specialmente dell'uomo, lungi dall'essere soppressa, viene piuttosto restituita alla sua dignità e in essa consolidata. Perciò la Chiesa, in forza del Vangelo affidatole, proclama i diritti umani, e riconosce e apprezza molto il dinamismo con cui ai giorni nostri tali diritti vengono promossi ovunque. Questo movimento tuttavia deve essere impregnato dallo spirito del Vangelo e dev'essere protetto contro ogni specie di falsa autonomia. Siamo, infatti, esposti alla tentazione di pensare che i nostri diritti personali sono pienamente salvi solo quando veniamo sciolti da ogni norma di legge divina. Ma per questa strada la dignità della persona umana non si salva e va piuttosto perduta.

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CAPITOLO VI IL CRISTIANO E’ COLUI CHE FA DI GESU, « L’UOMO NUOVO »,

IL CENTRO DEL SUO PROGETTO DI VITA

Ogni uomo, più o meno consapevolmente, vive di un “progetto di senso”. Il cristiano è colui che fa di Gesù Cristo il centro del suo progetto di vita: trova in Gesù morto e risorto il senso della sua vita e il senso della storia e dell’intero universo.

Dare un senso alla vita: un bisogno psicologico fondamentale di ogni essere umano

Nell’uomo vi sono tanti bisogni, da quelli materiali e più immediati a quelli spirituali, tra i quali quello fondamentale di dare un senso ultimo alla vita. E’ Dio colui che è la risposta al bisogno di infinito che l’uomo sperimenta? Jung sostiene che al progressivo decadere della vita religiosa si associa un aumento delle nevrosi. Lo psicologo Victor Frankl, fondatore della logoterapia (dove logos significa «senso»), sottolinea in maniera particolare il problema psicologico-vitale del senso della vita, come condizione necessaria per una vita psicologicamente sana, capace di affrontare e superare i disagi esistenziali, introducendo anche la dimensione dell’esperienza religiosa: la religione può dare un senso alla vita … Il bisogno di integrare la personalità attorno ad un progetto di vita L’uomo ha bisogno di unificare la propria esistenza attorno a dei valori centrali capaci di integrare la personalità; da questi valori centrali prendono significato subordinatamente tutti gli altri valori. In altre parole, l’uomo ha bisogno di un progetto di vita che è dato da una gerarchia di valori che danno senso alla vita e sono motivo di unità armonica della personalità.

Fa parte della maturità umana avere una filosofia di vita, una visione unificante dell’esistenza, un progetto di senso per cui vivere. Il progetto di vita non riguarda in primo luogo il “CHE COSA FARE” nella vita (la professione), quanto il “CHI ESSERE ”, cioè il senso che si dà alla propria vita.

x Per il suo stesso equilibrio psicologico e per la maturazione della sua personalità l’uomo ha bisogno di vivere per degli ideali, che possono essere quelli legati ad una visione religiosa della vita (i valori della fede), ma possono essere anche dei valori laici che non si fondano direttamente ed esplicitamente sulla fede religiosa, come ad esempio vivere per la causa della giustizia sociale, lo sviluppo della scienza, l’impegno politico o altri valori d’ordine estetico, etico o filosofico.

x Anche gli ideali laici in qualche modo possono funzionare come una religione, offrendo significato alla vita e conferendo unità ed integrazione alla personalità, ma non sono in grado di offrire una risposta soddisfacente a tutti i perché della vita come invece fa la religione.

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Il cristiano è chiamato a fare di Gesù Cristo il centro del suo progetto di vita

Il progetto di vita varia a seconda della visione che si ha della vita. Il cristianesimo ha una specifica visione della vita, uno specifico modo di intendere il senso della vita dell’uomo in base al quale vengono fatte le scelte di vita e viene impostata anche l’opera educativa.

Secondo la visione cristiana della vita l’uomo è un essere creato da Dio per amore ed è chiamato a vivere nella comunione con Dio già su questa terra e in pienezza nella vita al di là della morte. La paternità di Dio nei riguardi di ogni uomo è il fondamento della fraternità universale da vivere ogni giorno.

Il progetto di Dio sull’uomo ci è stato rivelato attraverso Gesù Cristo, Figlio di Dio e Salvatore dell’uomo. “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato (cioè di Gesù Cristo) trova luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era « figura di quello futuro » (Rom 5,14) e cioè di Cristo Signore. Cristo che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del Suo Amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (GS 22)

Il progetto di vita cristiano è risposta alla propria vocazione

Mentre in un progetto di vita che prescinde da Dio, l’uomo cerca la sua autorealizzazione, nel progetto di vita cristiano l’uomo cerca la sua realizzazione rispondendo alla vocazione. La vocazione fondamentale di ogni cristiano è la conformazione della propria vita a quella di Gesù Cristo.

Gesù è il modello dell’uomo pienamente riuscito, sul quale conformare la propria vita per viverla in pienezza secondo il progetto di Dio. “Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uomo” (GS 41 ) Gesù è venuto perché gli uomini abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza (cfr. Gv 10, 7-11).

Gesù è la vocazione dell’uomo: vivendo come Gesù, l’uomo vive in pienezza la sua umanità, in conformità al progetto salvifico di Dio. “A questa relazione (relazione dell’uomo con Gesù Cristo) noi siamo preordinati da sempre: costituisce la nostra vocazione a quella pienezza di vita che è stata pensata da Dio per noi sin dal principio e che ci sarà data nel Regno, quando tutte le realtà saranno ricapitolate in Cristo (Cfr. Ef 1,1-10)” (CVMC12).

Dal Concilio Vatìcano II (cfr. GS 14; DV 4) Soltanto nel mistero di Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, trova luce il mistero dell'uomo.

Gesù Cristo è l’uomo nuovo. Rivelandoci il mistero del Padre e del suo amore, ci rivela pienamente a noi stessi e ci fa conoscere il meraviglioso destino a cui Dio ci chiama.

In Gesù Cristo ogni nostra verità trova la sua sorgente e raggiunge il suo splendore. Dio, che molte volte e in molte maniere, aveva parlato agli uomini per mezzo dei profeti, in questi tempi che sono gli ultimi ha parlato a noi per mezzo del Figlio. Dio ha mandato il suo Figlio, la Parola eterna che rischiara ogni uomo: egli è vissuto fra noi e ci ha fatto conoscere i segreti di Dio. Con la sua persona e la sua storia, con le parole e le azioni, con la morte e la gloriosa risurrezione, con il dono dello Spirito di verità, Gesù Cristo, il Figlio dì Dio, ci rivela in maniera autorevole e definitiva che Dio ci ama, ci offre gratuitamente la libertà dal male e dalla morte e la gioia eterna della risurrezione. Ciò che Gesù ci ha rivelato e donato è il patto di amicizia nuovo e definitivo offerto da Dio all'umanità. Perciò non sarà

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mai "superato".

Gesù Cristo, crocifisso e risorto, vero uomo e vero Dio, è il centro della fede che da senso alla vita e alla morte dell’uomo « Il centro vivo della fede è Gesù Cristo. Solo per mezzo di Lui gli uomini possono salvarsi; da Lui ricevono il fondamento e la sintesi di ogni verità;; in Lui trovano la “chiave, il centro e il fine dell’uomo nonché di tutta la storia umana“. Cristiano è chi ha scelto Cristo e lo segue. In questa decisione fondamentale per Gesù, è contenuta e compiuta ogni altra esigenza di conoscenza e di azione della fede » (RdC 57).

Gesù è vero uomo. I vangeli ci testimoniano la ricchezza umana di Gesù: verità, bontà, compassione, misericordia, libertà, equilibrio, contemplativo-attivo…

Gesù suscita stupore, che porta le persone ad interrogarsi sulla sua vera identità. Gesù è potente in parole (stupiva con il suo insegnamento…) ed in opere (grande stupore suscitava con i suoi miracoli…). In Gesù trovano compimento le promesse di Dio al popolo d’Israele. Gesù è la Parola incarnata di Dio, è vero Dio e vero uomo…

Gesù è l’Amato del Padre (così viene proclamato nel battesimo e nella trasfigurazione),

che si fa solidale con i peccatori per la cui salvezza è venuto nel mondo. Gesù è il nuovo Adamo (cfr. Rm 5, 12-21; 1Cor 15, 21-22): è vittorioso sulle tentazioni

perché è totalmente obbediente al Padre con il quale vive un rapporto di totale fiducia ed intimità. Gesù infatti si rivolge a Dio chiamandolo abbà, coltivando la comunione con Lui nella preghiera…

L’identità di Gesù si manifesta soprattutto nella la sua morte e risurrezione, che è

l’evento centrale della fede cristiana, il centro delle celebrazioni cristiane… Morte e risurrezione di Gesù sono inseparabili, se si vuole comprendere la sua vera identità.

Gesù è la sorgente e la ragione della nostra speranza. La nostra fede e la nostra

speranza, infatti, sono fondate sulla risurrezione di Gesù: se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede!… In Gesù risorto trova luce il mistero dell'uomo: è in Gesù morto e risorto che l’uomo trova il senso pieno della sua vita e della sua morte... La risurrezione di Gesù è sorgente della nostra risurrezione: se Cristo è risorto, anche noi risorgeremo… La vita ha senso, è degna di essere vissuta perché è dono dell’amore di Dio che ci ha creati per la felicità eterna…

Gesù risorto ha effuso sull’umanità il suo Spirito, grazie al quale anche noi possiamo vivere da risorti, facendo nostre le scelte di Gesù, nel dono vicendevole dell’amore e del perdono.

Per camminare verso la felicità eterna, siamo chiamati a percorrere la stessa strada di Gesù, quella dell’umiltà e dell’obbedienza al Padre fino alla morte di croce, per partecipare anche alla gloria della sua risurrezione . La risurrezione è la garanzia che la via vissuta ed indicata da Gesù, la totale fedeltà al Padre e il dono totale di sé fino alla sua morte sulla croce, è la via della vita piena, la via della felicità.

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“Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome;; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”. (Fil 2, 5-11)

Con il battesimo siamo resi partecipi della morte e risurrezione di Gesù. Vivere il

battesimo significa conformare la propria vita a quella di Gesù Cristo, vivendo come Lui nell’amore di Dio e del prossimo…

Gesù ha posto l’amore al centro della sua vita e del suo insegnamento L’amore è il centro della vita e dell’insegnamento di Gesù… (Primato dell’amore di Dio e del

prossimo, sintesi di tutta la Legge ed i Profeti…;; Il nuovo comandamento: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”… “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri (Gv 13, 35)”…).

La morte di Gesù sulla croce è il risultato della crescente ostilità verso di lui da parte degli Scribi e dei Farisei, ma è soprattutto segno della totale fedeltà al Padre e del totale amore per gli uomini (“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici…”).

Nell’ultima cena Gesù esprime il senso della sua vita e della sua morte per amore di ogni

uomo. “ Nell’istituzione dell’Eucaristia, egli spiega e rende presente la Nuova Alleanza che sta per siglare con il suo sangue: non più i sacrifici di un tempo, bensì il totale dono di sé, il totale affidamento alla volontà del Padre, l’amore ‘sino alla fine’, sul suo esempio. Commenterà san Paolo: “il culto spirituale” dei cristiani consiste nell’offrire a Dio tutta la vita (Cfr. Rm 12,1-3), per farne una narrazione dell’amore di Dio per gli uomini”. (CVMC 23)

Vivere da cristiani significa pensare come Gesù, vivere come Gesù, amare come Gesù,

nell’esperienza concreta della comunità cristiana, nella quale inserirsi attivamente.

Il cristiano è l’uomo della speranza e dell’attesa, che vive tra il “GIA’ ” della redenzione operata da Gesù Cristo e il “NON ANCORA” dei cieli nuovi e della terra nuova. La vita cristiana sulla terra è racchiusa tra il già della redenzione operata da Gesù Cristo e il non ancora dei cieli nuovi e terra nuova che attendiamo per il ritorno glorioso di Gesù Cristo (parusia), quando Dio sarà tutto in tutti e non ci sarà più né morte né dolore né lamento, perché le cose di prima sono passate. “Noi viviamo tra il giorno della risurrezione di Cristo e quello della sua venuta. Egli è colui che verrà alla fine dei tempi, per portare a compimento in tutto il creato la volontà del Padre. Per questo il cristianesimo vive nell’attesa, nella costante tensione verso il compimento;; e dove tale

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attesa viene meno c’è da chiedersi quanto la fede sia viva, la carità possibile, la speranza fondata. Gesù è colui che è venuto, viene e verrà”. (CVMC 29)

I cristiani, animati dalla speranza nella vita eterna, sono chiamati ad impegnarsi ad umanizzare questo mondo, per l’attuazione del Regno di Dio che si realizzerà in pienezza alla fine della storia… “I cristiani, in cammino verso la città celeste devono ricercare e gustare le cose di lassù;; questo tuttavia non diminuisce, ma anzi aumenta l’importanza del loro dovere di collaborare con tutti gli uomini per la costruzione di un mondo più umano” (GS 57)

Nell’attesa del ritorno glorioso di Cristo, i cristiani sono chiamati a vivere nell’amore, che sarà anche il criterio di giudizio dopo la morte… (Cfr. parabola del giudizio finale in Mt 25, 31-46).

Seguendo Gesù Cristo si diventa più uomini (Cfr. GS 41), attuando quella pienezza di

umanità che corrisponde al progetto di Dio rivelato ed attuato in Gesù Cristo. “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era “figura di quello futuro” (Rom 5, 14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del Suo Amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”. (GS 22).

I cristiani sono chiamati ad essere annunciatori e promotori di speranza. E’ Gesù Cristo la

sorgente della speranza e della gioia. Speranza che va al di là della storia perché, in Gesù Cristo morto e risorto, la storia è incamminata verso una pienezza di vita che va al di là di essa (speranza escatologica).

E’ nell’accoglienza di Gesù Cristo attraverso l’ascolto della Parola, la celebrazione dei

sacramenti e la vita di carità che il cristiano trova la sorgente e la forza per vivere nella speranza e nella gioia, che sono da condividere con gli altri con spirito missionario…(cfr CVMC 4)

I cristiani, facendo di Gesù Cristo il centro della propria vita e tenendo lo sguardo fisso su di

Lui, sono chiamati a vivere e promuovere quella pienezza di vita per la quale Gesù Cristo si è incarnato, è morto ed è risorto!

Un rinnovato impegno di evangelizzazione e catechesi è condizione indispensabile per

essere nel mondo di oggi costruttori di speranza… “La Chiesa può affrontare il compito dell’evangelizzazione solo ponendosi, anzitutto e sempre, di fronte a Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne. … Solo il continuo e rinnovato ascolto del Verbo della vita, solo la contemplazione costante del suo volto permetteranno ancora una volta alla Chiesa di comprendere chi è il Dio vivo e vero, ma anche chi è l’uomo. (…) Perciò la Chiesa medita anzitutto e sempre “sul mistero di Cristo, fondamento assoluto di ogni nostra azione pastorale”. (CVMC 10)

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Gesù Cristo è il centro della missione educativa dei cristiani e dei catechisti (“Il messaggio della Chiesa è Gesù Cristo”. Cfr. RdC, capitolo 4;; EVBV cap. II; IG 27)

Gesù Cristo non solo è il centro del progetto di vita cristiano, ma è anche il centro della catechesi, cioè dell’educazione cristiana. L’educazione è dipendente in ultima analisi, consapevolmente o inconsapevolmente, dalla visione che si ha della vita, dalla risposta alla domanda: « Chi è l’uomo »?

A fondamento di un tipo di educazione rispetto ad un altro tipo, vi è una determinata «antropologia», cioè un determinato modo di intendere la vita e il senso della vita dell’uomo.

Il cristianesimo ha una specifica visione della vita, che trova la sua luce e il suo centro in

Gesù Cristo, l’«uomo nuovo», l’uomo perfetto, seguendo il quale si diventa più uomo (cfr. GS 41). “Tra i compiti affidati dal Maestro alla Chiesa c’è la cura del bene delle persone, nella prospettiva di un umanesimo integrale e trascendente” (EVBV 5).

L’educazione cristiana (la catechesi) perciò è educare a pensare e vivere come Gesù! I catechisti sono coloro che hanno incontrato Gesù Cristo e che, attraverso la loro testimonianza di vita e il loro servizio della catechesi, aiutano altri fratelli ad incontrarLo

1Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita 2 (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), 3quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. 4Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta. (1 Gv 1, 1-4)

Prima e più che trasmettere la dottrina della fede cristiana, i catechisti sono chiamati a fare incontrare Gesù…

“Nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o “ kerygma ”, che deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di rinnovamento ecclesiale. Il kerygma è trinitario. E’ il fuoco dello Spirito che si dona sotto forma di lingue e ci fa credere in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione ci rivela e ci comunica l’infinita misericordia del Padre. Sulla bocca del catechista torna sempre a risuonare il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”. Quando diciamo che questo annuncio è “il primo”, ciò non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. E’ il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti. Per questo anche «il sacerdote, come la Chiesa, deve crescere nella coscienza del suo permanente bisogno di essere evangelizzato»32” (EG 164)

32 Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 1992, N. 26.

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Gesù è il centro vivo della catechesi

“La catechesi è diretta a formare nel cristiano una matura mentalità di fede; a rendere la sua fede sicura, esplicita, fattiva. Occorre, per questo, che i fedeli accolgano il messaggio rivelato, ordinandolo attorno a un centro vivo, ben assimilato e operante. Essi debbono compiere questo fondamentale atto di fede, dal quale far scaturire e al quale ricondurre ogni altro atto di fede” (RdC 56)

”Scegliendo Gesù Cristo come centro vivo, la catechesi non intende proporre semplicemente un nucleo essenziale di verità da credere; ma intende soprattutto far accogliere la sua persona vivente, nella pienezza della sua umanità e divinità, come Salvatore e Capo della Chiesa e di tutto il creato” (RdC 58).

Il Progetto Catechistico Italiano è cristocentrico, come già evidenziano gli stessi titoli degli 8 volumi del “Catechismo per la vita cristiana”

Attraverso la catechesi, occorre educare ad una mentalità di fede “Con la catechesi, la Chiesa si rivolge a chi è già sul cammino della fede e gli presenta la

parola di Dio in adeguata pienezza, “con tutta longanimità e dottrina”, perché, mentre si apre alla grazia divina, maturi in lui la sapienza di Cristo. Educare al pensiero di Cristo, a vedere la storia come Lui, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo. In una parola, nutrire e guidare la mentalità di fede: questa è la missione fondamentale di chi fa catechesi a nome della Chiesa. In modo vario, ma sempre organico, tale missione riguarda unitariamente tutta la vita del cristiano: la conoscenza sempre più profonda e personale della sua fede; la sua appartenenza a Cristo nella Chiesa; la sua apertura agli altri; il suo comportamento nella vita”(RdC 38).

Gesù è l’educatore per eccellenza “Gesù è per noi non « un » maestro, ma « il » Maestro. La sua autorità, grazie alla presenza

dinamica dello Spirito, raggiunge il cuore e ci forma interiormente, aiutandoci a gestire, nei modi e nelle forme più idonee, anche i problemi educativi” (EVBV 16).

Gesù educa il suo popolo, mosso da compassione, facendosi “interprete delle attese profonde dei presenti”. (cfr. EVBV 17). “la prima azione di Gesù è l’insegnamento: «si mise a insegnare loro molte cose». Il dono della sua parola “si completa in quello del pane: «spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero». … Nel gesto della moltiplicazione dei pani e dei pesci è condensata la vita intera di Gesù che si dona per amore, per dare pienezza di vita”. (EVBV 18)

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Nel Vangelo sono tanti gli episodi in cui Gesù mostra il suo volto di educatore. “Anche nel racconto dei discepoli di Emmaus, ad esempio, Gesù è il Maestro che apre la mente dei discepoli e scalda loro il cuore spiegando « in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24,27). Nella prima moltiplicazione dei pani, però, Gesù è presentato come il pastore del tempo ultimo, il depositario della premura di Dio per il suo popolo. Alla luce di Cristo, compimento di tutta la rivelazione, possiamo leggere nella storia della salvezza il progetto di Dio che educa il suo popolo. … Nella storia della salvezza, dunque, si manifestano la guida provvidenziale di Dio e la sua pedagogia misericordiosa, che raggiungono la pienezza in Gesù Cristo; in lui trovano compimento e risplendono la legge e i profeti (cfr. Mc 9, 2-10). «E’ Lui il Maestro alla cui scuola riscoprire il compito educativo come un’altissima vocazione alla quale ogni fedele, con diverse modalità, è chiamato» ” (EVBV 19).

Gesù, via, verità e vita “Gesù Cristo è la via, che conduce ciascuno alla piena realizzazione di sé secondo il

disegno di Dio. E’ la verità, che rivela l’uomo a se stesso e ne guida il cammino di crescita nella libertà. E’ la vita, perché in lui ogni uomo trova il senso ultimo del suo esistere e del suo operare: la piena comunione di amore con Dio nell’eternità” (EVBV 19).

I catechisti, chiamati come tutti i battezzati alla santità, devono qualificarsi sempre più come autentici educatori, sull’esempio dei santi educatori « Nell’opera dei grandi testimoni dell’educazione cristiana, secondo la genialità e la

creatività di ciascuno, troviamo i tratti fondamentali dell’azione educativa: l’autorevolezza dell’educatore, la centralità della relazione personale, l’educazione come atto di amore, una visione di fede che dà fondamento ed orizzonte alla ricerca di senso dei giovani, la formazione integrale della persona, la corresponsabilità per la costruzione del bene comune » (EVBV 34).

I catechisti, nonostante le accresciute odierne difficoltà nell’educazione, sono chiamati a realizzare il loro servizio catechistico nel segno della speranza, radicata in Gesù morto e risorto “« Anima dell’educazione, come dell’intera vita, può essere solo una speranza affidabile ».

La sua sorgente è Cristo risuscitato da morte. Dalla fede in Lui nasce una grande speranza per l’uomo, per la sua vita, per la sua capacità di amare. In questo noi individuiamo il contributo specifico che dalla visione cristiana giunge all’educazione, perchè « dall’essere ‘DI’ Gesù deriva il profilo di un cristiano capace di offrire speranza, teso a dare un di più di umanità alla storia e pronto a mettere con umiltà se stesso e i propri progetti sotto il giudizio di una verità e di una promessa che supera ogni attesa umana ».

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Mentre dunque avvertiamo le difficoltà nel processo di trasmissione dei valori alle giovani generazioni e di formazione permanente degli adulti, conserviamo la speranza, sapendo di essere chiamati a sostenere un compito arduo ed entusiasmante : riconoscere nei segni dei tempi le tracce dell’azione dello Spirito, che apre orizzonti impensati, suggerisce e mette a disposizione strumenti nuovi per rilanciare con coraggio il servizio educativo”.

(EVBV 5)

--------------------------------------------------------------------------------- Domande-stimolo per la ricerca e l’approfondimento personale e di gruppo (laboratorio).

x Conosci veramente Gesù? In che modo puoi conoscerlo meglio?

x Quali sono le qualità umane che apprezzi in Gesù?

x Che rapporto c’è nella tua vita tra Gesù Cristo e la ricerca della felicità? Gesù può rendere felici? Perché?

x Quali sono i segni per cui i cristiani credono che Gesù è Dio, oltre che uomo?

x Che rapporto c’è tra il senso della vita e la morte e risurrezione di Gesù?

x Provate a raccontare un’esperienza significativa che si possa definire “incontro con Cristo” o incontro di fede”…

x Gesù Cristo è il centro del tuo progetto di vita?

x Nella catechesi, fino a che punto si mira prioritariamente a fare incontrare Gesù?

x Perché la catechesi deve essere centrata su Gesù?

x Qual è lo specifico dell’educazione cristiana?

x Qual è il “di più” di pienezza di vita che viene proposto ed offerto attraverso l’educazione cristiana?

x Cosa può sostenere, dal punto di vista delle motivazioni, l’impegno educativo anche quando spesso è piuttosto difficile e gravoso come nel nostro tempo?

x Dalla partecipazione a questo incontro-laboratorio, quali orientamenti per i contenuti e le modalità della catechesi si possono ricavare, in vista dei concreti incontri di catechesi?

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CAPITOLO VII L’ECCLESIALITA’ DELLA FEDE CRISTIANA:

L’INCONTRO CON GESU’ CRISTO NELLA CHIESA

La fede cristiana è incontro con Gesù Cristo nella Chiesa. Nella vita cristiana non c’è incontro autentico e pieno con Gesù senza il rapporto vitale con la sua Chiesa. La Chiesa infatti è la continuazione di Gesù Cristo, il suo “corpo”, il suo sacramento. « La rivelazione di Dio, culminata in Gesù Cristo è destinata a tutta l’umanità … Per adempiere questo disegno divino, Gesù Cristo istituì la Chiesa sul fondamento degli Apostoli e, inviando loro lo Spirito Santo da parte del Padre, li mandò a predicare il Vangelo in tutto il mondo. … La Chiesa « sacramento universale di salvezza », mossa dallo Spirito Santo, trasmette la Rivelazione mediante l’evangelizzazione: annuncia la buona novella del disegno salvifico del Padre e, nei sacramenti, comunica i doni divini ». (Direttorio Generale per la catechesi, nn.42-45. cfr. anche i numeri 77-79, 90-91; 167-170. Vedi anche RdC 4; 7; 42-48; 86-90; 166 ).

Gesù Cristo è il sacramento del Padre

Dio nessuno lo ha mai visto: Gesù Cristo ce lo ha rivelato. Gesù Cristo perciò è il sacramento del Padre, cioè colui che ha rivelato e reso presente nella storia l’amore di Dio Padre e ci ha fatto dono del suo Spirito. Dio non si vede, ma è possibile credere in lui per i segni della sua presenza. Il primo segno di Dio è il mondo. “Il mondo è come un grande simbolo della grandezza di Dio e della sua vicinanza”. Ma, è Gesù Cristo il segno più grande di Dio. “Egli (Gesù) è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili” (Col 1, 15) Alla domanda di Filippo: “Mostraci il Padre e ci basta”, Gesù risponde: “Chi ha visto me ha visto il Padre: io e il Padre siamo una cosa sola” (cf. Gv 12). “Gesù Cristo porta a compimento gli eventi e i riti dell’antica alleanza. Nella sua persona Dio stesso si rivela, si comunica e ci salva. Il Signore, crocifisso e risorto, è il sacramento primordiale, in cui il Padre si è fatto definitivamente vicino, per donarci lo Spirito Santo e la vita eterna”. (CdA) La Chiesa è il sacramento di Cristo

Gesù Cristo ha fondato la Chiesa, che è il suo corpo mistico, per continuare nel tempo la sua opera di salvezza. In una visione autentica della fede cristiana non c’è Chiesa senza Gesù Cristo e non c’è Gesù Cristo senza Chiesa. La Chiesa è il sacramento di Cristo, come Cristo è il sacramento di Dio: Dio ci salva per mezzo di Gesù Cristo e per mezzo della Chiesa. Il rapporto dell’uomo con Dio, perciò, passa attraverso la Chiesa, sacramento di Cristo. “Il Signore, crocifisso e risorto, è il sacramento primordiale, in cui il Padre si è fatto definitivamente vicino, per donarci lo Spirito Santo e la vita eterna. La Chiesa è il sacramento permanente della sua presenza salvifica nel mondo.

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I sette sacramenti sono la massima attuazione della sacramentalità della Chiesa, il compimento delle figure dell’Antico Testamento, il vertice di una sacramentalità generale diffusa nella storia e nel mondo. “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19;; 1Cor 11,24): nella liturgia della Chiesa viene attualizzato mediante azioni simboliche il mistero pasquale, fulcro di tutta la storia della salvezza, perché i credenti siano inseriti in esso e vengano salvati”. (Catechismo degli Adulti: “La verità vi farà liberi”, cfr. nn. 635;; 637;; 641-642; cfr. anche nn. 409-459, 558-580). La salvezza operata da Gesù Cristo morto e risorto continua ad attuarsi nel tempo attraverso la Chiesa L’incontro vivo con Gesù Cristo avviene attraverso la Chiesa, comunità convocata ed inviata

per essere “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (cf. LG 1)

I cristiani, con il loro stile di vita evangelico, sono chiamati, personalmente e comunitariamente, ad attuare l’identità e la missione della Chiesa di essere “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1)…

Il modello della primitiva comunità cristiana di Gerusalemme (cfr. Atti 2,42-48) è il punto di

riferimento per l’attuazione della Chiesa, oggi e in ogni tempo della storia, come comunità di fede, di culto e di carità.

La Chiesa è comunità di fede, di culto e di carità: l’armonica interdipendenza, vissuta, di queste

tre dimensioni realizza la globalità della vita cristiana. C’è vita autentica di Chiesa e vita cristiana autentica quando si vivono in maniera armonica ed

interdipendente l’ascolto della Parola di Dio, la celebrazione della salvezza attraverso la liturgia e i sacramenti (centralità dell’Eucaristia), la comunione fraterna e la vita vissuta con stile di servizio, facendo particolare attenzione ai poveri.

Di seguito riportiamo l’identità e la missione della Chiesa, come in maniera essenziale è descritta nella “Lettera ai cercatori di Dio”33

LA CHIESA DI DIO

La vita del Dio Trinità, che è amore, si partecipa agli uomini radunandoli in una comunità, che è la Chiesa. L’espressione “Chiesa di Dio” viene dalla tradizione biblica, dove designa l’assemblea di Israele convocata da Dio ai piedi del monte Sinai per ricevere lo statuto dell’alleanza. Nella tradizione paolina la “Chiesa di Dio” è l’insieme dei credenti battezzati, dispersi nelle piccole comunità del mondo greco-romano. Gli autori dei Vangeli partono dall’esperienza della Chiesa nata nella prima missione cristiana per cercarne le radici e le ragioni nelle parole e nelle azioni di Gesù. Nella tradizione evangelica il gruppo dei dodici e dei discepoli è presentato come il prototipo della comunità cristiana o Chiesa, alla quale sono destinati i quattro Vangeli.

33 CEI, Lettera ai cercatori di Dio, 2009, parte II, cap. 9 (La Chiesa di Dio)

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La comunità dei fratelli Nel Vangelo di Matteo, Gesù parla esplicitamente della sua “Chiesa”, che egli fonderà sulla fede di Pietro. La Chiesa è la comunità dei credenti che riconoscono Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente. In essa Chiesa l’autorità è esercitata nel nome di Gesù per la salvezza dei credenti, che sono tutti fratelli, perché figli del Padre che è nei cieli. L’accoglienza dei piccoli, la correzione fraterna e il perdono stanno alla base dei rapporti nella comunità ecclesiale. Alla Chiesa Dio affida il suo regno e chiede l’attuazione della sua volontà come l’ha rivelata Gesù, il Figlio. Essa è aperta a tutti i popoli della terra, chiamati a diventare discepoli di Gesù. Secondo Luca, autore del terzo Vangelo e degli Atti degli Apostoli, la Chiesa è una comunità “apostolica”, perché fondata sui dodici apostoli, rappresentanti di tutto Israele: nella sua vita e nella sua storia trovano compimento le promesse di salvezza fatte da Dio al popolo eletto. Con la forza dello Spirito Santo i discepoli sono inviati a rendere testimonianza a Gesù sino agli estremi confini della terra. Nella festa di Pentecoste, il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua di Risurrezione, mediante il dono dello Spirito Santo, che era stato promesso da Gesù risorto, si manifesta la Chiesa. L’autore degli Atti degli Apostoli ne traccia un quadro ideale. Tutti quelli che accolgono la Parola di Dio, proclamata dagli apostoli, e si fanno battezzare nel nome del Signore Gesù formano la comunità dei credenti, che sono “perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (2,42), e realizzano una comunità di amici e fratelli, che forma “un cuore solo e un’anima sola” (4,32). La comunità inviata in missione L’autore degli Atti degli Apostoli ricostruisce le tappe della prima missione della Chiesa nel mondo ebraico, presentandone i protagonisti e il metodo. Dio sta all’origine della missione cristiana. Per mezzo di Gesù Cristo, il Figlio “inviato” dal Padre, il dono dello Spirito Santo abilita tutti i credenti a proclamare il Vangelo della salvezza a ogni creatura umana, senza distinzione di religione, etnia e cultura. Destinatari della missione sono tutti gli esseri umani, da Israele ai popoli pagani. La missione si attua mediante l’annuncio e la testimonianza resa con la parola e con la vita. Essa corrisponde alla volontà di Dio, che è stata profeticamente annunciata nella storia di Israele - testimoniata nei libri dell’Antico Testamento - e si compie per mezzo di Gesù Cristo e il dono dello Spirito Santo. Il contenuto dell’annuncio è Gesù di Nazaret, condannato a morte dagli uomini, ma risuscitato da Dio: in lui si compiono le promesse divine, presenti nelle Sacre Scritture, e si apre l’accesso alla salvezza a tutti i possibili cercatori di Dio. L’annuncio sfocia nell’invito alla conversione per ricevere il perdono dei peccati e il dono dello Spirito Santo, garanzia della salvezza definitiva, cioè di una vita piena e felice nel tempo e per l’eternità. La comunità dei credenti in Gesù Cristo La Chiesa di Dio è la “santa convocazione” di quanti hanno accolto il Vangelo di Gesù Cristo e vivono, grazie all’azione interiore dello Spirito Santo, nella fede, nella carità e nella speranza, in attesa della manifestazione gloriosa del Signore. Partendo dall’esperienza della “cena del Signore”, dove i cristiani fanno memoria di Gesù morto e risorto, san Paolo presenta la comunità dei cristiani come “corpo di Cristo”. Tutti i credenti che mangiano l’unico pane che è Cristo, formano, nella comunione con lui, un solo corpo. Essi sono stati battezzati in un solo Spirito per formare l’unico corpo di Cristo. Lo Spirito donato da Dio per mezzo di Gesù risorto è la fonte dei diversi carismi e compiti, che esprimono e realizzano la vitalità dell’unica Chiesa, corpo di Cristo. L’amore comunicato dallo Spirito Santo tiene uniti tutti i membri della Chiesa. Per la nascita e la crescita della Chiesa, Dio ha stabilito il ministero degli apostoli, dei profeti e dei maestri. Nella tradizione di san Paolo questa

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varietà di ministeri al servizio della Parola e della guida della Chiesa è donata dal Signore risorto perché tutti i credenti partecipino alla crescita del suo corpo nell’unità e nell’amore. Nella vita della Chiesa la fede dei suoi membri assume diverse forme, legate agli stati di vita e ai doni ricevuti da Dio. Queste forme manifestano la ricchezza e la varietà dell’esperienza cristiana, radicata nella partecipazione alla vita dell’unico Signore Gesù, il Cristo, capo della Chiesa edificata sulla parola degli “apostoli e profeti”. Mediante la proclamazione del Vangelo tutti i popoli sono chiamati a far parte di questa Chiesa, corpo di Cristo. Nella stessa tradizione di san Paolo si vive l’esperienza della Chiesa come famiglia di Dio, guidata dai pastori che rendono viva e attuale la tradizione dell’apostolo. Essi esercitano un ruolo di sorveglianza (“episcopé”) e saranno chiamati vescovi, con caratteristiche che si preciseranno sempre di più sul fondamento di ciò che è già presente nelle comunità apostoliche delle origini. Entrare nella Chiesa mediante la fede in Gesù e la conversione del proprio cuore, testimoniate nel battesimo, acquisendo atteggiamenti di amore verso tutti; accettare la guida dei pastori che annunciano la Parola di Dio e offrono il dono dei sacramenti, in cui scorre per noi la vita divina offerta in Gesù Cristo, ci garantisce una vita salvata, cioè libera dalle idolatrie di questo mondo e partecipe nella fede e nella speranza della gioia dell’eternità divina. La comunità di amici e la “sposa dell’Agnello” Secondo il Vangelo di Giovanni i credenti in Gesù Cristo, Figlio di Dio, formano una comunità di amici, tenuti insieme, come tralci nella vite, dal comandamento nuovo dell’amore, che ha la fonte e il modello nel dono che Gesù fa della sua vita. Come Gesù i discepoli sono consacrati mediante l’amore e lo Spirito Santo, per essere inviati nel mondo. L’unità di tutti i credenti si fonda sulla preghiera di Gesù, che chiede al Padre che essi siano una cosa sola, partecipando allo stesso dinamismo di amore che costituisce la comunione tra lui e il Padre. Per l’autore dell’Apocalisse la comunità dei fedeli segue Gesù, l’Agnello ucciso ma ora vivo, senza compromessi con il potere idolatrico, fino al martirio. Sullo sfondo della nuova creazione, il profeta di Patmos immagina la Chiesa come una sposa pronta per le nozze dell’Agnello. Essa è paragonata alla nuova Gerusalemme che scende dal cielo, per essere la dimora di Dio tra gli uomini. Proprio in quanto è la sposa dell’Agnello, la Chiesa è necessaria per incontrare e accogliere Cristo nel cuore e nella vita. Nella comunità che ascolta e proclama la sua parola, che celebra i sacramenti della salvezza, che vive e testimonia la carità, è lui a rendersi presente, nonostante i peccati e le contro-testimonianze dei figli della Chiesa. Una comunità dal volto umano, accogliente, viva nella fede e tale da irradiare la gioia del Vangelo è veramente, in rapporto al Signore Gesù, come la luna nei confronti del sole: essa raccoglie da Cristo, vero Sole, i raggi della luce che illumina il mondo e li offre generosamente nella notte del tempo. Così la percepiva e la rappresentava la fede dei più antichi scrittori cristiani:

Questa è la vera luna. Dall’intramontabile luce dell’astro fraterno ottiene la luce dell’immortalità e della grazia. Infatti la Chiesa non rifulge di luce propria, ma della luce di Cristo. Trae il suo splendore dal sole della giustizia, per poter poi dire: Io vivo, però non son più io che vivo, ma vive in me Cristo!

(Sant’Ambrogio, Hexaemeron 4, 8, 32).

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“L’‛incontro con Gesù Cristo nella comunità cristiana (nella Chiesa), nella vita e nel servizio catechistico …”

(Laboratorio: scambio del vissuto in sottogruppi e successiva condivisione assembleare) Domande per la condivisione, la ricerca e il dialogo di gruppo:

1. In che modo concretamente la comunità cristiana, nella tua esperienza personale di fede, è stata e/o è mediazione dell’incontro con Gesù Cristo? Puoi eventualmente individuare esperienze e/o persone particolari?...

2. Hai incontrato persone per le quali gli “uomini di chiesa” hanno costituito un ostacolo per la loro adesione di fede? Se si, per quali motivi sono stati un ostacolo?

3. A quali condizioni una comunità cristiana è attrattiva in modo da favorire, in chi è indifferente o “lontano”, l’incontro con Gesù Cristo nella Chiesa?

4. Al di là delle contro testimonianze dei cristiani, vi sono pregiudizi e condizionamenti culturali che non favoriscono l’adesione di fede? Se si, quali?

5. L’incontro con Gesù Cristo nella Chiesa si realizza attraverso l’esperienza globale della vita cristiana, data dall’armonica interdipendenza dell’ascolto-accoglienza della Parola di Dio [catechesi], liturgia-sacramenti e carità: come vivi nella concretezza della tua vita questa globalità della vita cristiana?

6. Sei solo fruitore o anche costruttore della comunità cristiana? Se sei anche costruttore, in che modo lo sei?

7. Quali contenuti, criteri e modalità nella catechesi sono da rafforzare, migliorare o cambiare, per favorire nei catechizzandi di ogni età l’incontro con Gesù Cristo nella Chiesa?

8. A quali condizioni l’utilizzazione dei testi di catechismo del Progetto Catechistico Italiano sono sussidi utili a favorire l’incontro con Gesù Cristo nella Chiesa?

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CAPITOLO VIII I QUATTRO PILASTRI DELLA VITA CRISTIANA:

LA FEDE CREDUTA, CELEBRATA, VISSUTA E PREGATA

L’incontro con Gesù Cristo nella Chiesa si realizza vivendo la globalità della vita cristiana che è data dall’intreccio armonico ed interdipendente di Parola di Dio, liturgia e carità, secondo la dinamica: dalla Parola al sacramento alla vita nuova. E’ necessario “ricomporre l’unità tra dimensioni complementari dell’esistenza cristiana, che nella storia si sono staccate e quasi inaridite. Le esperienze fortemente unitarie delle comunità apostoliche (cf At 2,42-47) e dell’antico catecumenato, modello di ogni catechesi, e la tradizione dei Padri stanno a dimostrare la fecondità di una sintesi vitale tra celebrazione, ascolto, professione di fede e testimonianza cristiana, che lungi dall’essere momenti slegati e quasi indipendenti, costituiscono un’unica e maturante esperienza”. (E. Alberich)

La globalità della vita cristiana è fondata sui quattro pilastri della fede, che sono tematizzati anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica: la fede creduta, celebrata, vissuta e pregata. “La fede, professata nel Credo, celebrata nella liturgia e nei sacramenti, vissuta alla luce dei comandamenti e del Vangelo, richiede una relazione personale con Dio: tale relazione è la preghiera. Credere significa anzitutto fare esperienza del Dio di Gesù, non conoscere delle formule di fede o essere edotti in una dottrina, ma diventare discepoli del Signore, il solo che ci può parlare in pienezza di Dio e condurci a lui. Forse anche noi, come gli apostoli, siamo rimasti affascinati dalla predicazione del Maestro che giunge a noi attraverso la Scrittura e la testimonianza appassionata e credibile di alcuni cristiani che abbiamo incontrato nel nostro percorso di vita. Così, mettendoci alla scuola della Chiesa, abbiamo conosciuto e amato il Signore e deciso di diventare o di ri-diventare suoi discepoli con verità e gioia. In questo percorso ci sono alcuni punti essenziali che ogni cercatore di Dio affronta: in chi credere (nel Dio di Gesù), in cosa credere (il contenuto della fede), come incontrare Dio (la liturgia e i sacramenti), come cambia la nostra vita dopo l’incontro (la vita morale), come restare in comunione e in contatto col Signore (la preghiera personale).34

La fede «cercata», «creduta», «celebrata», «vissuta» e «pregata», è condizione della vita cristiana vissuta nella sua globalità ed autenticità L’invito di Benedetto XVI nel documento per l’indizione dell’Anno della fede «Porta fidei », conserva tutto il suo valore, al di là della circostanza: “Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un'occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia, che è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia”. Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua

34 Paolo Curtaz, La preghiera, San Paolo 2012, pp. 5; 7.

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credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata, e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in questo Anno”. (PF 9) “Per accedere a una conoscenza sistematica dei contenuti della fede, tutti possono trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica un sussidio prezioso ed indispensabile. […] L’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica. […] Nella sua stessa struttura, il Catechismo della Chiesa Cattolica presenta lo sviluppo della fede fino a toccare i grandi temi della vita quotidiana. Pagina dopo pagina si scopre che quanto viene presentato non è una teoria, ma l’incontro con una Persona che vive nella Chiesa. Alla professione di fede, infatti, segue la spiegazione della vita sacramentale, nella quale Cristo è presente, operante e continua a costruire la sua Chiesa. Senza la liturgia e i Sacramenti, la professione di fede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che sostiene la testimonianza dei cristiani. Alla stessa stregua, l’insegnamento del Catechismo sulla vita morale acquista tutto il suo significato se posto in relazione con la fede, la liturgia e la preghiera”. (PF 11)

Ai quattro pilastri della fede cristiana (Credo, liturgia e sacramenti, vita morale, preghiera) è opportuno premettere anche la dimensione della ricerca della fede, aiutando a scoprire le motivazioni della fede e la sua ragionevolezza.

La fede “CERCATA”

E’ connaturale alla natura umana la ricerca del senso della vita, che oggi è presente anche in non credenti. Favorire la ricerca del senso della vita e far cogliere la ragionevolezza della fede, può favorire l’apertura alla proposta della fede cristiana. “ Non possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un autentico “preambolo” alla fede, perché muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio. La stessa ragione dell’uomo, infatti, porta insita l’esigenza di “ciò che vale e permane sempre”. Tale esigenza costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nel cuore umano, a mettersi in cammino per trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto incontro. Proprio a questo incontro la fede ci invita e ci apre in pienezza”. (PF 10)

“La nostra esistenza è attraversata da domande inquietanti, personali e collettive. […] Ci sembra che alla radice di ogni esistenza ci sia una domanda di senso e di speranza, particolarmente drammatica oggi, perché si sono infranti quei processi attraverso cui il contesto culturale e sociale suggeriva piuttosto facilmente il significato dell’esistenza. Siamo diventati più maturi e insieme più soli. Resta il bisogno di organizzare i frammenti, come le tessere di un mosaico. […] Nel profondo della domanda di senso e di speranza, qualcosa ci orienta verso il mistero: Dio, chi sei? Dove sei? Come possiamo vedere il tuo volto? […] Crede chi si lascia far prigioniero dell’invisibile Dio, chi accetta di essere posseduto da lui nell’ascolto obbediente e nella docilità del più profondo di sé. Fede è resa, consegna, abbandono, accoglienza di Dio, che per primo ci cerca e si dona …” 35

35 Lettera ai cercatori di Dio, cap. I°, 5

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“Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell'uomo, perché l'uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l'uomo e soltanto in Dio l'uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa. La ragione più alta della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e se non si affida al suo Creatore [Conc. Ecum. Vat. II, GS, 19]”.36

“Il mistero della vita abbraccia l’esistenza di uomini e cose. […] La realtà non finisce dove arriva il nostro sguardo: al di là degli avvenimenti, sopra di noi, c’è Qualcuno che dispensa la vita a tutti gli esseri. Possiamo conoscerlo? Possiamo comunicare con lui? Questi interrogativi sono all’origine della ricerca religiosa tra gli uomini. Essa ha trovato mille forme per esprimersi. La storia di un popolo è anche la storia della sua religiosità, con i suoi riti, le sue feste e i suoi sacrifici. Il centro delle città antiche era spesso occupato dal tempio, dove la gente andava ad adorare. Le statue degli dei decoravano le strade di Atene e i fori di Roma. Da quando è nata la scrittura, sono apparsi libri sacri che raccolgono preghiere, regole di comportamento e tentativi di spiegare il mistero della vita”. 37

Fede e ragione nella catechesi La ricerca della fede è un elemento importante dell’educazione alla fede, cioè della catechesi. La fede è ragionevolmente al di là della ragione, non è in contrasto con essa. La fede autentica, perciò, deve essere razionalmente fondata, e deve comprendere armonicamente tutte le dimensioni dell’esperienza della fede, tra le quali, appunto, la ricerca delle ragioni per credere.

La fede “CREDUTA” CHE COSA SIGNIFICA CREDERE?

“«Io credo». E’ questa la prima ed essenziale parola di un cristiano. Essere cristiano significa appunto essere uno che crede. «Credenti» è forse anche il primo nome che venne dato ai cristiani. … [“Credere”] significa che uno, pur non sapendo qualcosa di scienza propria e diretta, tuttavia la afferma con certezza come vera. Egli può agire in questo modo perché si fida di un altro che garantisce che le cose stanno così. In questo caso colui che crede ha soprattutto a che fare con una persona della quale si fida, e il suo credere è anzitutto un rapporto di fiducia fra un io e un tu. Nella nostra vita facciamo tanti atti di fede in questo senso: crediamo al medico, all’avvocato, a un esperto, a un amico. […] Questo comportamento umano può introdurci al significato che un cristiano attribuisce alle parole «io credo». Esse significano precisamente: fidarsi di Dio che si è manifestato agli uomini per mezzo del suo Figlio, Gesù Cristo. […] In senso cristiano si tratta di credere a Dio che ci parla per mezzo di Gesù Cristo, e di credere a Gesù Cristo per mezzo del quale Dio si è manifestato a noi. L’atto di fede è essenzialmente fiducia, confidenza, abbandono nei confronti di Dio e di Gesù Cristo. […]

36 Catechismo della Chiesa Cattolica, 27 37 CEI, Catechismo dei ragazzi: VI HO CHIAMATO AMICI, Cap. I, “Alla ricerca di Dio” N.17

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Oltre che rapporto di fiducia fra persone, la fede comporta un contenuto di verità da credere e di disposizioni da mettere in pratica. E questo contenuto lo possiamo, anzi lo dobbiamo esprimere mediante le nostre parole nella «confessione di fede» o «credo»”. (F. Ardusso – G. Brambilla, IL CREDO, LDC 2003, pp. 11-13)

“La parola di Dio, incarnata in Gesù di Nazareth, Figlio di Maria vergine, è la Parola del Padre, che parla al mondo per mezzo del suo Spirito. Gesù rimanda costantemente al Padre, di cui si sa Figlio Unico, e allo Spirito Santo, di cui si sa Unto. Egli è la « via » che introduce nel mistero intimo di Dio. […] «Il mistero della Santissima Trinità è il mistero centrale della fede e della vita cristiana [che professiamo nel «credo»]». (DGC 99) La fede è anzitutto un rapporto personale con Gesù Cristo, ed in Lui con il Padre e lo

Spirito Santo; allo stesso tempo occorre conoscere i contenuti della fede, che sono riassunti nel Credo. “La fede cristiana, per la quale una persona pronuncia il suo « sì » a Gesù Cristo, può essere considerata come adesione a Dio che si rivela, data sotto l'influsso della grazia, e come contenuto della Rivelazione e del messaggio evangelico sintetizzati nel “credo”. ( cfr. DGC 92)

Dalle «Catechesi» di S. Cirillo di Gerusalemme (La fede cristiana è riassunta nel «Credo»)

“Nell’apprendere e professare la fede, abbraccia e ritieni soltanto quella che ora ti viene proposta dalla Chiesa ed è garantita da tutte le Scritture. […] Tutto il dogma della nostra fede viene sintetizzato in poche frasi. Io ti consiglio di portare questa fede con te come provvista da viaggio per tutti i giorni della tua vita e non prenderne mai altra fuori di essa […] Cerca di tenere bene a memoria il simbolo della fede. Esso non è stato fatto secondo capricci umani, ma è il risultato di una scelta dei punti più importanti di tutta la Scrittura. Essi compongono e formano l’unica dottrina della fede. E come un granellino di senapa, pur nella sua piccolezza, contiene in germe tutti i ramoscelli, così il simbolo della fede contiene, nelle sue brevi formule, tutta la somma di dottrina che si trova tanto nell’Antico quanto nel Nuovo Testamento. Perciò, fratelli, conservate con ogni impegno la tradizione che vi viene trasmessa e scrivetene gli insegnamenti nel più profondo del cuore”

La fede “CELEBRATA”

Il CCC tratta della liturgia nella seconda parte, dopo il “Credo” (di cui si tratta nella prima parte), per indicare che la fede che i cristiani professano nel “Credo”, si “trasforma” in incontro vivo con Gesù Cristo nella Chiesa attraverso la celebrazione della fede, al cui centro e vertice ci sta la celebrazione eucaristica. Dalla fede “creduta” alla fede “celebrata”

- La fede “celebrata” è una dimensioni essenziale e costitutiva dell’esperienza di fede: è il culmine e la fonte della vita cristiana …

- La storia della salvezza, che ha in Gesù Cristo il suo centro e il suo vertice, si rende presente attraverso la liturgia, che è il memoriale dell’incontro con Dio in Gesù Cristo. Nella liturgia, attraverso i riti si rendono presenti gli eventi della storia della salvezza, in special modo la morte e risurrezione di Gesù (mistero pasquale).

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- La storia della salvezza è riassunta nel “Credo”, che ogni domenica i fedeli recitano durante la messa per professare la loro fede. L’anno liturgico, sintesi e celebrazione della storia della salvezza, è altresì collegato con il “Credo”, nel quale sono elencati tutti gli avvenimenti principali della salvezza, nello stesso ordine delle feste dell’anno liturgico. “Durante tutto l’anno la Chiesa non fa che meditare e rivivere con azioni liturgiche ciò che essa crede”.38

Dalla «Sacrosanctum Concilium» del Concilio Vaticano II sulla Liturgia

“Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che, «offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti », sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. E’ presente con la sua virtù nei sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. E’ presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura. È presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro » (Mt 18,20). Effettivamente per il compimento di quest'opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale l'invoca come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all'eterno Padre. Giustamente perciò la liturgia è considerata come l'esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell'uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado. Nella Liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste, che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini e dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo. […] Secondo la tradizione apostolica, che ha origine dallo stesso giorno della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente «giorno del Signore» o «domenica». In questo giorno infatti i fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare la parola di Dio e partecipare all’Eucaristia, e così far memoria della passione, della risurrezione e della gloria del Signore Gesù e rendere grazie a Dio che li «ha rigenerati nella speranza viva della risurrezione di Gesù Cristo dai morti» ( 1 Pt 1, 3). La domenica è dunque la festa primordiale che dev’essere proposta e inculcata alla pietà dei fedeli, in modo che risulti anche giorno di gioia e di riposo dal lavoro. Non le vengano anteposte altre celebrazioni, a meno che siano di grandissima importanza, perché la domenica è il fondamento e il nucleo di tutto l’anno liturgico”. (SC 7-8. 106) Liturgia e vita

38 P. Chianglia, Natura e finalità della catechesi, LDC p. 16.

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“La liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. […] La liturgia spinge i fedeli, nutriti dei « sacramenti pasquali », a vivere « in perfetta unione »; prega affinché « esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede »; la rinnovazione poi dell'alleanza di Dio con gli uomini nell'eucaristia introduce i fedeli nella pressante carità di Cristo e li infiamma con essa” (SC 10). Occorre, come già hanno insegnato i profeti e Gesù, superare il culto rituale e formalista e vivere l’autentico culto della vita, che si esprime nell’amore di Dio e del prossimo.

Superare lo scollamento tra la fede “creduta” e quella “celebrata”: molti cristiani, pur

chiedendo i sacramenti per sé o per i figli, purtroppo abitualmente non partecipano alla celebrazione eucaristica domenicale, come se questa avesse poco a che fare con l’essere cristiani. Molti ragazzi che frequentano il catechismo, inoltre, il più delle volte non partecipano a messa la domenica. Ancor meno comprensibile è, a volte, lo scollamento che vivono alcuni catechisti tra il loro essere cristiani e catechisti e la partecipazione alla messa della domenica!...

La fede “VISSUTA”

La fede creduta e celebrata, si concretizza nella vita vissuta nell’amore. Il segno distintivo dei cristiani, infatti, è l’amore reciproco in Gesù Cristo e come ci ha amato Gesù Cristo (cfr. Gv 13,34). “Da questo riconosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Gv, 13, 35)

“ Ricorda san Paolo: “Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!” (1Cor 13,13). Con parole ancora più forti - che da sempre impegnano i cristiani - l’apostolo Giacomo affermava: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? […] La fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio. Fede e carità si esigono a vicenda, così che l’una permette all’altra di attuare il suo cammino. […] Grazie alla fede possiamo riconoscere in quanti chiedono il nostro amore il volto del Signore risorto. “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40): queste sue parole sono un monito da non dimenticare ed un invito perenne a ridonare quell’amore con cui Egli si prende cura di noi. E’ la fede che permette di riconoscere Cristo ed è il suo stesso amore che spinge a soccorrerlo ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della vita. Sostenuti dalla fede, guardiamo con speranza al nostro impegno nel mondo, in attesa di “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt 3,13; cfr Ap 21,1)”. (PF 14) La fede opera attraverso la carità, che è ciò che resta anche al di là della morte (Cfr. 1 Cor 13). La vita vissuta nell’amore di Dio e del prossimo trova nei comandamenti la segnaletica che indica ciò che è bene e ciò che è male. Gesù ha portato a compimento il decalogo con la proposta delle beatitudini e del comandamento nuovo: “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi”. La fede vissuta è la «vita nuova» vissuta nell’amore, frutto della fede e della grazia sacramentale. “Il Simbolo della fede ha professato la grandezza dei doni di Dio all’uomo nell’opera della creazione e ancor più mediante la redenzione e la santificazione. Ciò che la fede confessa, i sacramenti lo

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comunicano: per mezzo dei «sacramenti che li hanno fatto rinascere», i cristiani sono diventati «figli di Dio» (Gv 1,12; 1Gv 3,1), «partecipi della natura divina» (2Pt 1,4). Riconoscendo nella fede la loro nuova dignità, i cristiani sono chiamati a comportarsi ormai «da cittadini degni del Vangelo» (Fil 1,27). Mediante i sacramenti e la preghiera, essi ricevono la grazia di Cristo e i doni dello Spirito, che li rendono capaci di questa vita nuova” (CCC 1692). La catechesi educa alla carità Uno dei compiti della catechesi è quello di educare alla carità, che è l’essenza stessa della vita cristiana. “La fede opera nella carità. Educare alla maturità cristiana significa, pertanto, insegnare che la fede, senza le opere, è morta. Tutta la vita dell’uomo deve apparire come vocazione a conoscere e ad amare Dio e il prossimo nelle concrete situazioni dell’impegno cristiano e, alla fine, nella beatitudine della comunione eterna. Dio stesso è il fondamento della carità: “se Dio ci ha amato così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo a vicenda, Dio rimane in noi e l’amore di Lui è perfetto in noi. Mostrando in sommo grado l’amore del Padre, Cristo, “per mezzo della sua croce, ha riconciliato tutti gli uomini con Dio e, ristabilendo l’unità di tutti in un solo popolo e in un solo corpo, ha ucciso nella sua carne l’odio e, nella gloria della sua risurrezione, ha diffuso lo Spirito di amore nel cuore degli uomini”. Santificati dallo Spirito Santo, i cristiani formano il popolo di Dio, la sua famiglia, il sacramento del suo amore universale. Il mondo li può riconoscere, se amano Dio e osservano i suoi comandamenti, fino a dare la vita per i fratelli. La catechesi educa a conoscere “la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi”, perché i fedeli crescano nella comunione e la loro comunione sia con il Padre, con il Figlio, con lo Spirito Santo. Mostra nella Chiesa la comunità di coloro che si amano in un solo Spirito e che sono “perseveranti nell’insegnamento degli Apostoli e nella unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere”. Supera ogni confine, svelando in tutti gli uomini e in ciascuno di loro l’immagine stessa di Cristo. Ricorda i comandamenti di Dio e proclama lo spirito delle beatitudini. Invita ad essere pazienti e benevoli, ad eliminare l’invidia, l’orgoglio, la maldicenza, il sopruso; sprona a tutto Credere, a tutto sperare, a tutto soffrire, perché l’amore mai tramonterà. Così il cristiano viene ad assumere in sé le aspirazioni di tutti gli uomini, per dedicarsi con spirito di povertà al loro servizio. Non pura filantropia, dunque, ma impulso a edificare sulla terra la famiglia di Dio, nella verità, nella giustizia, nella speranza”. (RdC 47)

L'indole comunitaria dell'umana vocazione nel piano di Dio.

Iddio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che tutti gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro come fratelli. Tutti, infatti, creati ad immagine di Dio « che da un solo uomo ha prodotto l'intero genere umano affinché popolasse tutta la terra » (At17,26), sono chiamati al medesimo fine, che è Dio stesso. Perciò l'amor di Dio e del prossimo è il primo e più grande comandamento. La sacra Scrittura, da parte sua, insegna che l'amor di Dio non può essere disgiunto dall'amor del prossimo, «e tutti gli altri precetti sono compendiati in questa frase: amerai il prossimo tuo come te stesso. La pienezza perciò della legge è l'amore » (Rm13,9); (1Gv4,20). È evidente che ciò è di grande importanza per degli uomini sempre più dipendenti gli uni dagli altri e per un mondo che va sempre più verso l'unificazione.

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Anzi, il Signore Gesù, quando prega il Padre perché « tutti siano una cosa sola, come io e tu siamo una cosa sola » (Gv17,21), aprendoci prospettive inaccessibili alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nell'amore. Questa similitudine manifesta che l'uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé. (GS 24)

La fede “PREGATA”

La preghiera è un’altra dimensione costitutiva della vita cristiana, che esprime ed allo stesso tempo nutre la vita di fede … La preghiera è amare Colui che ci ama per primo! La preghiera esprime e realizza il rapporto di amore con Dio, che il cristiano deve continuamente alimentare. La preghiera ha diverse dimensioni: ascolto della Parola di Dio (anche il “silenzio” è preghiera!), adorazione, lode, ringraziamento, domanda, intercessione, richiesta di perdono, offerta di sé. La preghiera può essere vocale o mentale, personale e comunitaria. Pregare vuol dire vivere la propria vita alla presenza di Dio, traendo dal rapporto di a more con Lui luce e forza per vivere l’amore per il prossimo nelle concrete situazioni di vita. La vita tuttavia diventa preghiera a condizione che si dedichino spazi e tempi specifici alla preghiera esplicita. “ La preghiera è la vita del cuore nuovo. Deve animarci in ogni momento. Noi, invece, dimentichiamo colui che è la nostra Vita e il nostro Tutto. Per questo i Padri della vita spirituale, nella tradizione del Deuteronomio e dei profeti, insistono sulla preghiera come « ricordo di Dio », risveglio frequente della «memoria del cuore»: «E’ necessario ricordarsi di Dio più spesso di quanto si respiri». Ma non si può pregare «in ogni tempo» se non si prega in determinati momenti, volendolo: sono i tempi forti della preghiera cristiana, per intensità e durata”. (CCC 2697) “La preghiera cristiana è una relazione di Alleanza tra Dio e l’uomo in Cristo. E’ azione di Dio e dell’uomo; sgorga dallo Spirito Santo e da noi, interamente rivolta al Padre, in unione con la volontà umana del Figlio di Dio fatto uomo”. (CCC 2564)

“La preghiera è cristiana in quanto è comunione con Cristo e si dilata nella Chiesa, che è il suo corpo. Le sue dimensioni sono quelle dell’Amore di Cristo (cf Ef 3,18-21)”. (CCC 2565)

Non sempre dire preghiere significa pregare La preghiera è autentica nella misura in cui è espressione della fede professata e vissuta. Il recitare preghiere senza che la vita diventi una preghiera, cioè sia vissuta nell’amore secondo la volontà di Dio, è un vuoto formalismo, come frequentemente hanno denunciato i profeti e Gesù.

Critica del falso culto nei profeti (Isaia ad esempio)

10Udite la parola del Signore, voi capi di Sòdoma; ascoltate la dottrina del nostro Dio, popolo di Gomorra!

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11“Che m’importa dei vostri sacrifici senza numero?” dice il Signore. “Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. 12Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri? 13Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me;; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. 14I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli. 15Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. 16Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, 17imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”. 18“Su, venite e discutiamo” dice il Signore. “Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana. 19Se sarete docili e ascolterete, mangerete i frutti della terra. 20Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del Signore ha parlato”. (Isaia 1, 10-20)

Denuncia del falso culto da parte di Gesù

I vangeli ci offrono molte testimonianze della denuncia del falso culto da parte di Gesù, in particolare relativamente all’osservanza del sabato. Il vero culto per Gesù è il primato di Dio e la centralità della persona (“Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”!)

****************** “1Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. … 3Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, 4perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. 5Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 7Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. 8Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. 6E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 17Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, 18perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. (Dal capitolo 6 di Matteo)

“1In quel tempo Gesù passò tra le messi in giorno di sabato, e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere spighe e le mangiavano. 2Ciò vedendo, i farisei gli dissero: “Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare in giorno di sabato”. 3Ed egli rispose: “Non avete letto quello che fece Davide quando ebbe fame insieme ai suoi compagni? 4Come entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell’offerta, che non era lecito mangiare né a lui né ai suoi compagni, ma solo ai sacerdoti? 5O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio infrangono il sabato e tuttavia sono senza colpa? 6Ora io vi dico che qui c’è qualcosa più grande del tempio. 7Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa. 8Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato”. (Mt 12, 1-8) Cfr. anche Mt 15,10-20; Mt 23, 13-32

“23In giorno di sabato Gesù passava per i campi di grano, e i discepoli, camminando, cominciarono a strappare le spighe. 24I farisei gli dissero: “Vedi, perché essi fanno di sabato quel che non è permesso?”. 25Ma egli rispose loro: “Non avete mai letto che cosa fece Davide quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni? 26Come entrò nella casa di Dio, sotto il sommo sacerdote Abiatàr, e mangiò i pani dell’offerta, che soltanto ai sacerdoti è lecito mangiare, e ne diede anche ai suoi compagni?”. 27E diceva loro: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! 28Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato”.

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Gesù è il maestro di preghiera per eccellenza Per i cristiani il motivo più significativo per cui pregare è l’esempio stesso di Gesù, che non solo ha insegnato a pregare, ma ha pregato lui stesso, anzi i suoi discepoli gli hanno chiesto di insegnar loro a pregare proprio a partire dal vedere come Gesù pregava (cf Lc 11,1). Gesù ha vissuto un rapporto filiale con il Padre (lo chiamava abbà) in tutta la sua vita, ed ha dedicato tempi alla preghiera, anche prolungati, particolarmente in momenti decisivi della sua vita e della sua missione.

“Il Figlio di Dio diventato Figlio della Vergine ha imparato a pregare secondo il suo cuore d’uomo. Lo apprende da sua Madre, che serbava e meditava nel suo cuore tutte «le grandi cose» fatte dall’Onnipotente. Lo apprende nelle parole e nei ritmi della preghiera del suo popolo, nella sinagoga di Nazaret e al Tempio. Ma la sua preghiera sgorga da una sorgente ben più segreta, come lascia presagire già all’età di dodici anni: «Io devo occuparmi delle cose del Padre mio» (Lc 2,49). Qui comincia a rivelarsi la novità della preghiera nella pienezza dei tempi: la preghiera filiale, che il Padre aspettava dai suoi figli, viene finalmente vissuta dallo stesso Figlio unigenito nella sua Umanità, con e per gli uomini”. (CCC 2599)

“Il Vangelo secondo san Luca sottolinea l’azione dello Spirito Santo e il senso della preghiera nel ministero di Cristo. Gesù prega prima dei momenti decisivi della sua missione: prima che il Padre gli renda testimonianza al momento del Battesimo (cf Lc 3,21) e della Trasfigurazione (cf Lc 9,28), e prima di realizzare, mediante la sua Passione, il Disegno di amore del Padre (cf Lc22, 41-44). Egli prega anche prima dei momenti decisivi che danno inizio alla missione dei suoi Apostoli: prima di scegliere e chiamare i Dodici (cf Lc 6,12), prima che Pietro lo confessi come «il Cristo di Dio» (cf Lc 9,18-20) e affinché la fede del capo degli Apostoli non venga meno nella tentazione (cf Lc 22,32). La preghiera di Gesù prima delle azioni salvifiche che il Padre gli chiede di compiere, è un’adesione umile e fiduciosa della sua volontà umana alla volontà piena d’amore del Padre”. (CCC 2600) La preghiera del «Padre nostro », sintesi del Vangelo e modello di ogni preghiera Su richiesta dei suoi discepoli Gesù ha insegnato la preghiera del «Padre nostro», che non è solo una formula di preghiera, ma il modello di ogni preghiera cristiana, e costituisce anche la sintesi del Vangelo di Gesù. “«L’Orazione domenicale è veramente la sintesi di tutto il Vangelo». «Dopo che il Signore ci ebbe trasmesso questa formula di preghiera, aggiunse: “Chiedete e vi sarà dato” (Lc11,9). Ognuno può, dunque, innalzare al cielo preghiere diverse secondo i suoi propri bisogni, oerò incominciando sempre con la Preghiera del Signore, la quale resta la preghiera fondamentale»”. ( CCC 2761)

“L’espressione tradizionale «Orazione domenicale» [cioè «preghiera del Signore»] significa che la preghiera al Padre nostro ci è insegnata e donata dal Signore Gesù. Questa preghiera che ci viene da Gesù è veramente unica: è «del Signore». Da una parte, infatti, con le parole di questa preghiera, il Figlio Unigenito ci dà le parole che il Padre ha dato a lui: è il Maestro della nostra preghiera. Dall’altra, Verbo incarnato, egli

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conosce nel suo cuore di uomo i bisogni dei suoi fratelli e delle sue sorelle di umanità, e ce li manifesta: è il Modello della nostra preghiera”. (CCC 2765)

“Ma Gesù non ci lascia una formula da ripetere meccanicamente. Come per qualsiasi preghiera vocale, è attraverso la Parola di Dio che lo Spirito Santo insegna ai figli di Dio a pregare il loro Padre. Gesù non ci dà soltanto le parole della nostra preghiera filiale: ci dà al tempo stesso lo Spirito, per mezzo del quale quelle parole diventano in noi «spirito e vita» (Gv 6,63). Di più: la prova e la possibilità della nostra preghiera filiale è che il Padre «ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! » (Gal 4,6). Poiché la nostra preghiera interpreta i nostri desideri presso Dio, è ancora «colui che scruta i cuori», il Padre, che «sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i desiferi di Dio» (Rm 8,27). La preghiera al Padre nostro si inerisce nella missione misteriosa del Figlio e dello Spirito”. (CCC 2788)

Il «Padre nostro», nel corso della storia del cristianesimo, dai primi secoli ad oggi, è stato da tanti commentato ampiamente, proprio per il suo valore particolare di modello di ogni preghiera cristiana e sintesi del Vangelo. Il Catechismo della Chiesa Cattolica nella sua quarta parte dedicata alla “preghiera cristiana”, nella sezione seconda commenta ampiamente la preghiera del Signore: il «Padre nostro». E’ compito della catechesi insegnare a pregare “La comunione con Gesù Cristo conduce i discepoli ad assumere l'atteggiamento orante e contemplativo che ebbe il Maestro. Imparare a pregare con Gesù è pregare con i medesimi sentimenti con i quali Egli si rivolgeva al Padre: l'adorazione, la lode, il ringraziamento, la confidenza filiale, la supplica, l'ammirazione per la sua gloria. Questi sentimenti si riflettono nel Padre Nostro, la preghiera che Gesù insegnò ai discepoli e che è modello di ogni preghiera cristiana. La « consegna del Padre Nostro », (262) sintesi di tutto il Vangelo, (263) è, pertanto, vera espressione della realizzazione di questo compito. Quando la catechesi è permeata da un clima di preghiera, l'apprendimento di tutta la vita cristiana raggiunge la sua profondità. Questo clima si fa particolarmente necessario quando il catecumeno e i catechizzandi si trovano di fronte agli aspetti più esigenti del Vangelo e si sentono deboli, o quando scoprono — meravigliati — l'azione di Dio nella loro vita”. (DGC 85)

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I pilastri della vita cristiana, la fede «creduta » «celebrata » «vissuta » e «pregata », sono tematizzati nel Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) Il CCC presenta la dottrina ufficiale della Chiesa cattolica sulla fede e la morale, nella sua integrità.

“ LA « CARTA DI IDENTITA’ » DEL CCC

Natura Il testo si qualifica:

x «Come strumento per trasmettere i contenuti essenziali e fondamentali della fede e della morale cattolica (“tam de fide quam de moralibus”), in modo completo e sintetico (non omnia sed totum”);;

x Come punto di riferimento dei catechismi nazionali o diocesani, la cui mediazione è indispensabile;

x Come esposizione positiva e serena della dottrina cattolica; x Come testo che si colloca nel solco della tradizione catechistica, e in particolare in quella

che si esprime nel “catechismus maior” cioè nel catechismo destinato ai soggetti-operatori della catechesi (Pastores), aventi la missione di catechizzare (rispetto al “catechismus minor” che è per i destinatari, adulti, giovani e bambini, della catechesi);;

x Come testo magisteriale, nel senso che, suggerito da un Sinodo dei Vescovi, voluto dal Santo Padre, preparato redazionalmente da Vescovi, frutto della consultazione dell’episcopato, è approvato dal Santo Padre, come suo magistero ordinario». 39

Stile “Si caratterizza per l’essenzialità, la concisione, la sobrietà, l’incisività, la chiarezza. Nell’offrire un’ordinata e organica strutturazione della materia, è anche attento al contesto socio-culturale-ecclesiale attuale, ma solo per quei tratti riconosciuti universalmente validi, mentre è demandata ai catechismi nazionali l’attenzione agli aspetti più particolari. In esso si evitano le indicazioni pedagogiche e le applicazioni metodologico-didattiche, in quanto, essendo diverse a seconda dei destinatari e dei contesti culturali, vengono affidati ai catechismi nazionali e diocesani. Il suo stile, più che argomentativo, è attestativo: intende annunciare la verità cristiana con la certezza propria della Chiesa, cercando da un lato di rispettare i diversi gradi di certezza che la Chiesa ha nelle varie tematiche, dall’altro di evitare le opinioni teologiche”. 40

39 Dossier informativo, p. 21 40 Ivi, pp. 21-22.

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Struttura del CCC I contenuti del CCC sono distribuiti in 4 parti, secondo i 4 pilastri interconnessi della fede cristiana e della catechesi: ¾ La fede creduta (prima parte);

¾ La fede celebrata (seconda parte);

¾ La fede vissuta (terza parte);

¾ La fede pregata (quarta parte). Si tratta di uno schema antico e nuovo, che ha le sue origini nei Padri della Chiesa, in particolare nell’istituzione del Catecumenato41, e arriva ai nostri giorni, anche in tanti catechismi nazionali attuali, redatti prima del CCC. Molto simile alla struttura del CCC è il catechismo del Concilio di Trento: Catechismo ad Parochos. Nei Catechismi locali tuttavia i contenuti possono essere legittimamente organizzati in altro modo. 42

“Il piano di questo catechismo si ispira alla grande tradizione dei catechismi che articolano la catechesi attorno a quattro «pilastri»: la professione della fede battesimale (il Simbolo), i sacramenti della fede, la vita di fede (i comandamenti), la preghiera del credente (il «Padre nostro» ). 43

L’ispirazione del CCC è cristicentrico-trinitaria e rivela la sublimità della vocazione della persona umana. “L'asse portante del Catechismo della Chiesa Cattolica è Gesù Cristo, « la via, la verità e la vita » (Gv 14,6). Il Catechismo della Chiesa Cattolica, incentrato in Gesù Cristo, si orienta in due direzioni: verso Dio e verso la persona umana. – Il mistero di Dio, Uno e Trino, e la sua economia salvifica, ispira e gerarchizza dall'interno il Catechismo della Chiesa Cattolica nel suo insieme e nelle sue parti. La professione di fede, la liturgia, la morale evangelica, la preghiera, hanno nel Catechismo della Chiesa Cattolica un'ispirazione trinitaria, che attraversa tutta l'opera come filo conduttore. Questo elemento ispiratore centrale contribuisce a dare al testo un profondo carattere religioso. – Il mistero della persona umana è presentato dal Catechismo della Chiesa Cattolica nelle sue pagine e, soprattutto, in alcuni capitoli particolarmente significativi: « L'uomo è capace di Dio », « La creazione dell'uomo », « Il Figlio di Dio si è fatto uomo », « La vocazione dell'uomo è la vita nello Spirito »... e altri ancora.44 Questa dottrina, contemplata alla luce della natura umana di Gesù, uomo perfetto, mostra l'altissima vocazione e l'ideale di perfezione a cui ogni persona umana è chiamata. In verità, tutta la dottrina del Catechismo della Chiesa Cattolica si può sintetizzare in questo pensiero conciliare: « Gesù Cristo,... rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione (GS 22 a) »” DGC 123

41 Cf. DGC 129 42 “In merito alla strutturazione dei contenuti, i diversi Episcopati pubblicano, di fatto, Catechismi con diverse articolazioni o configurazioni. Come già si è detto, il Catechismo della Chiesa Cattolica è stato proposto come riferimento dottrinale, ma non si vuole con esso imporre a tutta la Chiesa una configurazione determinata di catechismo. Così esistono Catechismi con una configurazione trinitaria, altri sono strutturati secondo le tappe della salvezza, altri secondo un tema biblico e teologico di grande densità (Alleanza, Regno di Dio, ecc..), altri secondo la dimensione della fede, altri seguendo l'anno liturgico” (DGC 135; Cf. anche 122). 43 CCC, 13 44 Cfr. CCC 189-190; 1077-1109; 1693-1695; 2564; ecc.

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Il CCC ha bisogno della mediazione dei « catechismi locali »

Il CCC per sua natura ha il limite di non essere adatto immediatamente per la catechesi viva e per la catechesi in tutte le Chiese particolari (nazionali ecc.), in quanto per questi scopi è necessario che venga mediato ed inculturato in forme adatte nei diversi contesti socio-culturali; inoltre è necessario che venga mediato dai catechismi locali anche in riferimento alle esigenze psicopedagogiche e metodologiche dei destinatari.

“L’accento di questo catechismo è posto sull’esposizione dottrinale. Infatti, esso vuole aiutare ad approfondire la conoscenza della fede. Proprio per questo è orientato alla maturazione di questa fede, al suo radicamento nella vita ed alla sua irradiazione attraverso la testimonianza (cf Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Catechesi tradendae, 20-22; 25)” 45

“Per la sua intrinseca finalità, questo catechismo non si propone di attuare gli adattamenti dell’esposizione e dei metodi catechetici che sono richiesti dalle differenze di cultura, di età, di vita spirituale e di situazione sociale ed ecclesiale di coloro cui la catechesi è rivolta. Questi indispensabili adattamenti sono lasciati a catechismi appropriati e, ancor più, a coloro che istruiscono i fedeli: «Colui che insegna deve «farsi tutto a tutti» (1 Cor 9,22) per guadagnare tutti a Gesù Cristo … In primo luogo non pensi che le anime a lui affidate abbiano tutte lo stesso livello. Non si può perciò con un metodo unico ed invariabile istruire e formare i fedeli alla vera devozione. Taluni sono come bambini appena nati, altri cominciano appena a crescere in Cristo, altri infine appaiono effettivamente già adulti … Coloro che sono chiamati al ministero della predicazione devono, nel trasmettere l’insegnamento dei misteri della fede e delle norme dei costumi, adattare opportunamente la propria personale cultura all’intelligenza e alle facoltà degli ascoltatori» (Catechismo Romano, Prefazione 11)”. 46

Il genere letterario del Catechismo della Chiesa Cattolica

“È importante scoprire il genere letterario del Catechismo della Chiesa Cattolica per rispettare la funzione che l'autorità della Chiesa gli attribuisce nell'esercizio e nel rinnovamento dell'attività catechistica del nostro tempo. I tratti principali che definiscono il genere letterario del Catechismo della Chiesa Cattolica sono: – Il Catechismo della Chiesa Cattolica è, innanzitutto, un catechismo; vale a dire, un testo ufficiale del Magistero della Chiesa che, con autorevolezza, raccoglie in forma precisa, a modo di sintesi organica, gli eventi e le verità salvifiche fondamentali, che esprimono la fede comune del popolo di Dio e che costituiscono l'indispensabile riferimento di base per la catechesi. – Per il fatto di essere un catechismo, il Catechismo della Chiesa Cattolica raccoglie ciò che è basilare e comune nella vita cristiana, senza presentare come appartenenti alla fede interpretazioni particolari, che non sono altro che ipotesi personali od opinioni di qualche scuola teologica. 47 – Il Catechismo della Chiesa Cattolica è, inoltre, un Catechismo di carattere universale, offerto a tutta la Chiesa. In esso si presenta una sintesi attualizzata della fede, che incorpora la dottrina del Concilio Vaticano II e gli interrogativi religiosi e morali della nostra epoca. Tuttavia, « per la sua intrinseca finalità, questo Catechismo non si propone di attuare gli adattamenti dell'esposizione e dei metodi catechistici che sono richiesti dalle differenze di cultura, di età, di vita spirituale e di situazione sociale ed ecclesiale di coloro cui la catechesi è rivolta. Questi indispensabili adattamenti sono lasciati a catechismi appropriati e, ancor più, a coloro che istruiscono i fedeli 48 » (DGC 124)

45 CCC, Prefazione, N. 23 46 Ivi, N. 24 47 Cf DCG (1971) 119 48 CCC 24

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Rapporto complementare tra il CCC e i catechismi del Progetto Catechistico Italiano

Poiché il CCC ha bisogno di necessarie mediazioni - come esplicitamente è dichiarato nella sua Prefazione e nella costituzione apostolica Fidei Depositum – non solo non c’è contrapposizione tra i testi di Catechismo della CEI e il CCC, che anzi c’è un’intrinseca complementarità. “Il Catechismo della Chiesa Cattolica non è stato pensato, per esplicita dichiarazione di intendi degli

estensori, come un testo destinato all’utilizzazione diretta nella catechesi viva: esso è «destinato principalmente ai responsabili della catechesi», cioè ai vescovi e, attraverso loro, ai redattori dei catechismi, ai preti e ai catechisti; a tutti costoro viene offerto come un repertorio «organico e sintetico dei contenuti essenziali e fondamentali della dottrina cattolica, sia sulla fede che sulla morale»; a tutti costoro esso deve servire come quadro di riferimento per i catechismi o «compendi» che si elaboreranno nei vari paesi, e attraverso essi, come guida per la catechesi viva”. 49

Oltre all’indispensabile mediazione della catechesi viva, occorre la mediazione pedagogica e metodologica nei diversi contesti socio-culturali, che può avvenire con la redazione dei Catechismi locali, come ad esempio quelli del Progetto Catechistico Italiano. “La catechesi viva è caratterizzata dalla gradualità, dal rispetto dei ritmi e delle modalità di

apprendimento e di maturazione della fede dei destinatari, dalla attenzione alle diverse realtà sociali e culturali in cui la catechesi si attua: i catechismi ne devono tenere debito conto e mediare il CCC con tutta quella intelligente libertà che le specifiche esigenze dei loro destinatari e la loro particolare disponibilità e apertura alle verità della fede richiedono”. 50

I Catechismi locali: loro necessità

“Il Catechismo della Chiesa Cattolica è offerto a tutti i fedeli e a ogni uomo che voglia conoscere ciò che la Chiesa cattolica crede e, in modo tutto particolare, « è destinato a incoraggiare e aiutare la redazione di nuovi Catechismi locali, che tengano conto delle diverse situazioni e culture, ma che custodiscano con cura l'unità della fede e la fedeltà alla dottrina cattolica». I Catechismi locali, infatti, elaborati o approvati dai Vescovi diocesani o dalle Conferenze Episcopali, sono strumenti inestimabili per la catechesi « chiamata a portare la forza del Vangelo nel cuore della cultura e delle culture». Per questa ragione, Giovanni Paolo II ha rivolto un fervido incoraggiamento alle Conferenze Episcopali di tutto il mondo affinché intraprendano con pazienza, ma anche con ferma risolutezza, l'imponente lavoro, da compiere d'intesa con la Sede Apostolica, per approntare Catechismi ben fatti, fedeli ai contenuti essenziali della Rivelazione ed aggiornati per quanto riguarda la metodologia, capaci di educare ad una fede solida le generazioni cristiane dei tempi nuovi. Per mezzo dei Catechismi locali, la Chiesa attualizza la « pedagogia divina » che Dio utilizzò nella Rivelazione, adattando il suo linguaggio alla nostra natura con provvida sollecitudine. Nei Catechismi locali, la Chiesa comunica il Vangelo in maniera accessibile alla persona umana, affinché questa possa realmente percepirlo come buona notizia di salvezza. I Catechismi locali si convertono, così, in espressione palpabile dell'« ammirabile condiscendenza » di Dio e del suo amore ineffabile per il mondo” (DGC 131;; cf. anche 132-136)

49 Guido Gatti in: AA.VV. (Chiarinelli, Biancardi, Bissoli, Caviglia, Conte, Damu, Gatti, Gianetto, Guglielmoni), GUIDA AL

CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA. Orientamenti per la conoscenza e l’utilizzazione, LDC, 1993, p. 139. 50 Ibid. p. 140; Cf. anche DGC 132, in particolare la nota 42 in questo numero.

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Tenere insieme, nella vita cristiana e nella catechesi, la globalità della vita cristiana Alla luce di quanto detto dei «pilastri» della vita cristiana, anche alla luce dei contenuti del CCC, occorre tenere insieme la globalità della fede cristiana, cioè la fede « creduta », « celebrata », « vissuta » e « pregata ». La circolarità ed interdipendenza tra Parola di Dio, liturgia e carità, è da tenere presente particolarmente nel processo di iniziazione cristiana, cioè nell’apprendistato di vita cristiana.

“Per iniziazione cristiana si può intendere il processo globale attraverso il quale si diventa cristiani. Si tratta di un cammino diffuso nel tempo e scandito dall’ascolto della Parola, dalla celebrazione e dalla testimonianza dei discepoli del Signore attraverso il quale il credente compie un apprendistato globale

della vita cristiana e si impegna ad una scelta di fede e a vivere come figli di Dio, ed è assimilato con il battesimo, la confermazione e l’eucaristia, al mistero pasquale di Cristo nella Chiesa”. (UCN, Catechismo per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e ragazzi, 1991, N.7)

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CAPITOLO IX UNA FEDE SEMPRE IN CAMMINO, IN STATO DI CONTINUA CONVERSIONE

E APERTA ALLA RICERCA DELLA VERITA’ “TUTTA INTERA”

La fede autentica è un cammino sempre aperto, sia dal punto di vista della coerenza di vita con la fede la quale esige una continua conversione, sia dal punto di vista della comprensione della fede, che esige un atteggiamento di continua ricerca per camminare verso quella «Verità tutta intera », che Gesù risorto ha promesso agli apostoli con la luce e la forza dello Spirito Santo. “Molte cose ho ancora da dirvi (dice Gesù promettendo lo Spirito Santo), ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Anche quando si ha il dono della fede, Dio resta sempre mistero incomprensibile: Dio è sempre al di là di ogni immaginazione e di ogni parola che parla di Lui! Di Dio siamo in grado di dire ciò che non è, piuttosto che ciò che è ( come sostiene la cosiddetta “Teologia negativa”). Sottolineando ancora una volta la necessità quotidiana della conversione, di seguito metteremo in evidenza soprattutto l’importanza di non chiudere la fede entro schemi rigidi e culturalmente condizionati, ma di cercarla continuamente in una incessante ricerca della Verità, attuando la preghiera: «A quanti cercano la verità, concedi la gioia di trovarla, e il desiderio di cercarla ancora, dopo averla trovata »51. Nella continua ricerca della Verità e di una più profonda conoscenza della fede, gioca un ruolo importante anche il dubbio euristico (dubbio di ricerca). Il senso del mistero, che supera ogni ricerca, è anche psicologicamente e vitalmente salutare, perché impedisce di cadere nel fanatismo e nel fondamentalismo religioso! “La religione della maturità proclama: «Dio è»; però soltanto la religione dell’immaturo seguiterà a dire: «Dio è esattamente quanto io asserisco »”. 52 Restando sempre Dio un mistero per l’uomo, il linguaggio della fede deve essere sempre purificato e rinnovato

“Secondo la fede della Chiesa, fondata sulla Bibbia, la ragione umana attraverso la mediazione delle cose create può conoscere con certezza Dio, principio primo e fine ultimo di tutta la realtà. La riflessione razionale è valida in se stessa, ma il suo sviluppo è favorito dalle buone disposizioni morali. La conoscenza che si ottiene è vera, ma indiretta e limitata. […] Le creature ricevono tutto da lui e quindi hanno con lui una certa somiglianza; ma la dissomiglianza è ancora maggiore”. [CdA 33]

“In che misura possiamo conoscere Dio? Possiamo riferire a lui i nostri concetti, che più o meno direttamente derivano dall’esperienza sensibile? Possiamo parlare di lui o dobbiamo tacere? La ragione umana attinge Dio in maniera indiretta e inadeguata; […] Quanto al modo di rappresentare, i nostri concetti non sono mai idonei per indicare Dio, né quelli concreti né quelli astratti. […]

51 Liturgia delle ore, Intercessioni (terza invocazione) dei Vespri di lunedì della terza settimana. 52 G.W.Allport, L’individuo e la sua religione, Ed. La Scuola, 1972

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Possiamo conoscerlo indirettamente e limitatamente. Il discorso teologico rimane in ogni caso un balbettare al limite del silenzio, un preludio all’adorazione: “Ti supplico, Signore Dio mio, insegna al mio cuore dove e come abbia a cercarti, dove e come possa trovarti. Signore, se tu non sei qui, dove andrò a cercarti? Se poi sei dappertutto, perché non ti vedo qui presente? Tu certo abiti una luce inaccessibile”. [CdA 34] Come parlare di Dio? La consapevolezza che Dio è mistero ineffabile, porta ad evitare di pretendere di dire esattamente chi è Dio: ogni espressione della fede, anche le formulazioni dogmatiche che esprimono l’identità della fede cristiana cattolica, è sempre e solo approssimativa rispetto alla realtà di Dio che sfugge ad ogni immaginazione e ad ogni parola o altro linguaggio umano. Ciò porta a purificare continuamente il linguaggio su Dio e ad essere aperti a riformulare le espressioni della fede adeguandole ai mutevoli contesti culturali, proprio per dire le stesse verità in modi diversi, e con la consapevolezza che di Dio possiamo dire ciò che non è piuttosto che ciò che è. 53 “La catechesi dovrà servirsi di un linguaggio, che corrisponda alla cultura odierna e sappia far comprendere la Rivelazione agli uomini di oggi. “Altro, infatti, è il deposito o le verità di fede, altro è il modo con cui vengono enunciate, rimanendo pur sempre lo stesso il significato e il senso profondo”. La Chiesa, “sin dagli inizi della sua storia, imparò ad esprimere il messaggio di Cristo ricorrendo ai concetti e alle lingue dei diversi popoli, e inoltre si sforzò di illustrarlo con la sapienza dei filosofi: allo scopo cioè di adattare, quanto si conviene, il Vangelo sia alla capacità di tutti, sia alle esigenze dei sapienti. E tale adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere legge di ogni evangelizzazione”. La preoccupazione di un linguaggio adatto alla mentalità contemporanea deve essere presente nell’elaborazione dei catechismi, dei testi didattici e più ancora nella catechesi viva”. (RdC 76)

“Che cosa dunque diremo di Dio, fratelli? Se infatti ciò che vuoi dire lo hai capito, non è Dio. Se sei stato capace di capirlo, hai compreso una realtà diversa da quella di Dio. Se ti pare di essere stato capace di comprenderlo, ti sei ingannato a causa della tua immaginazione. Se dunque lo hai compreso, Dio non è così; se invece è così, non lo hai compreso”. 54 “Il rischio di «antropormorfizzare» Dio è sempre immanente a ogni tentativo di conoscerlo e di esprimerlo: tutta la storia delle religioni è piena di antropomorfismi e anzi si può dire che senza antropomorfismi la nostra conoscenza di Dio e il nostro stesso rapporto personale con lui rimarrebbero molto astratti e per così dire «esangui». Abbiamo tuttavia una strada non per eliminare questo rischio ma per tenerlo a bada e non lasciarci travolgere da esso. E’ la via dell’affermazione, della negazione e del trascendimento (o della sovreminenza). Essa vale anche per quanto riguarda il nostro essere simili a Dio e il nostro conoscerlo a partire dalla riflessione su noi stessi: riconosciuto cioè che Dio è intelligente, libero e santo, dobbiamo subito precisare che non lo è nel modo in cui lo siamo o possiamo esserlo noi, bensì in un modo che ci supera infinitamente e che rimane per noi inafferrabile, nascosto in quel mistero di luce che è Dio stesso”.55

53 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, capitolo I, § IV 54 Agostino di Ippona, Discorsi LII,6,16, a cura di L. Carrozzi, Città Nuova, Roma 1982, vol. II/1, p. 75 55 Camillo Ruini – Andrea Galli, Intervista su Dio, Mondadori 2012, pp. 182-183

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Il dubbio, strumento di ricerca e di dialogo fecondo tra fede e ragione

La ricerca della verità progredisce cercando risposte ad interrogativi che sorgono nella mente. Il dubbio è legato agli interrogativi che ci si pone, e come tale è uno stimolo per la ricerca della verità. Il dubbio non contraddice la fede, ma al contrario è una risorsa per la sua stessa maturazione. Inoltre il dubbio svolge una funzione positiva nel dialogo tra credenti e non credenti, impedendo agli uni e agli altri di chiudersi nella certezza fanatica della propria posizione.

“Chissà mai che proprio il dubbio, il quale preserva tanto l’uno quanto l’altro dalla chiusura nel proprio isolazionismo, non divenga d’ora in poi la sede per intavolare delle conversazioni, per scambiare e comunicarsi qualche idea. Esso infatti impedisce ad ambedue gli interlocutori di barricarsi completamente in se stessi, portando il credente a rompere il ghiaccio col dubbioso e il dubbioso ad aprirsi col credente; per il primo rappresenta una partecipazione al destino dell’incredulo, per il secondo una forma sotto cui la fede resta – nonostante tutto – una provocazione permanente”56. La ricerca di Dio è una continua lotta di chi ogni giorno si sforza di “cominciare” a credere “In questa lotta con l’invisibile il credente vive la sua più alta prossimità all’inquieto cercatore di Dio: si potrebbe perfino dire che il credente è un ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere. In realtà, chi crede ha bisogno di rinnovare ogni giorno il suo incontro con Dio, nutrendosi alle sorgenti della preghiera, nell’ascolto della Parola rivelata. Analogamente, si può pensare che il non credente pensoso nient’altro sia che un credente che ogni giorno vive la lotta inversa, la lotta di cominciare a non credere: non l’ateo superficiale, ma chi, avendo cercato e non avendo trovato, patisce il dolore dell’assenza di Dio, e si pone come l’altra parte del cuore di chi crede. Se c’è una differenza da marcare, allora, non sarà forse tanto quella tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti, tra uomini e donne che hanno il coraggio di cercare incessantemente Dio e uomini e donne che hanno rinunciato alla lotta, che sembrano essersi accontentati dell’orizzonte penultimo e non sanno più accendersi di desiderio al pensiero dell’ultima patria. Qualunque atto, anche il più costoso, sarebbe degno di essere vissuto per riaccendere in noi il desiderio della patria vera e il coraggio di tendere a essa, sino alla fine, oltre la fine, sulle vie del Dio vivo.”. 57

“Ho sempre constatato che aveva ragione Jean Guitton: «La critica filosofica e biblica può mettere in crisi la fede. Ma la critica di quella critica è sempre possibile e può ricondurre a credere». Sempre, naturalmente, che non dimentichiamo che, per volontà divina, tutto avviene all’insegna del chiaroscuro e, dunque, della libertà: « Assez de lumière pour croire, assez d’ombre pour douter », abbastanza luce per credere, abbastanza ombra per dubitare. Dunque, mai inquietarsi per i “dubbi”: sono fisiologici, fanno parte del gioco, tanto che un antico adagio cristiano ammonisce, addirittura, che fides sine dubiis, dubia fides. Ma fisiologica è anche la capacità di reazione: la fede “pensata” è possibile in ogni caso. E non delude. Inoltre, visto che siamo alle grandi frasi, ricordarsi di un altro ammonimento, questa volta di Bossuet: «La fede comporta delle oscurità. Ma l’ateismo comporta delle assurdità». E, per ricitare il “nostro” Ratzinger, non dimentichiamo che «chi pretende di sfuggire all’incertezza

56 Joseph Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia, 5 edizione, maggio 1974, p.18. 57 CEI, Lettera ai cercatori di Dio, parte I, N° 5

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della fede, dovrà fare i conti – ogni giorno, ogni ora – con la incertezza della incredulità». Abbiamo dei problemi? E’ normale, è previsto nella dinamica stessa del credere. Ma chi crede di contrastarci a colpi di Ragione – con la Maiuscola, s’intende – ne ha ancora di più”.58

Il dubbio di ricerca (dubbio euristico) è condizione per una fede matura Il dubbio euristico (di ricerca) non solo è compatibile, ma è espressione e condizione di una fede matura. La fede matura infatti è euristica nel senso che è in stato di continua ricerca di una verità sempre più profonda, rimane sempre un «compito aperto» per l’individuo. La fede matura cioè, è in stato di continua ricerca di una verità sempre più piena che non finirà mai di comprendere ed esprimere adeguatamente il mistero di Dio; essa è sempre alla ricerca di migliori e più esaurienti risposte. “L’attributo finale della religione matura è il suo carattere essenzialmente euristico. […] La sua fede è la sua ipotesi di lavoro. Egli sa perfettamente che il dubbio ad essa relativo è ancora teoricamente possibile. E’ tipico dell’intelletto maturo il fatto che possa operare generosamente, pur senza certezza assoluta. Può essere sicuro anche senza esserlo in grado superlativo. […] Scrittori di formazione così diversa come Descartes, Pascal, Newman, James hanno fatto il punto. La fede è un rischio ma ciascuno, in un modo o in un altro, è tenuto a correrlo. […] Possiamo allora dire che il sentimento religioso maturo è solitamente elaborato nell’officina del dubbio. Sebbene abbia intimamente conosciuto «la cupa notte dell’anima», è giunto a stabilire che lo scetticismo teoretico non è incompatibile con l’assolutismo pratico. Sebbene sia edotto di tutte le ragioni giustificanti lo scetticismo, serenamente riconferma la propria scommessa. Così facendo si accorge che i successivi atti dell’impegno assunto, con le loro benefiche conseguenze, lentamente rafforzano la fede e provocano la graduale scomparsa dei momenti di dubbio”. 59 Il “forse” è connaturale alla condizione umana Essendoci un divario tra i fatti e l’interpretazione religiosa dei fatti stessi, il dubbio religioso è non solo possibile, ma naturale. Il “forse” è connaturale alla condizione umana, e non è ordinariamente evitabile né dal credente né dall’ateo.

“Se è vero che il credente può realizzare la sua fede unicamente e sempre librandosi sull’oceano del nulla, della tentazione e del dubbio, trovandosi assegnato il mare dell’incertezza come unica ambientazione possibile per la sua fede, è però altrettanto vero, reciprocamente, che nemmeno l’incredulo va immaginato immune dal processo dialettico, ossia come un uomo assolutamente privo di fede. […] Come succede al credente, sempre mezzo soffocato dall’acqua salmastra del dubbio spruzzatagli continuamente in bocca dall’oceano, così sussiste sempre anche per l’incredulo il dubbio sulla sua incredulità, sulla reale totalità di quel mondo che egli ha fermamente deciso di dichiarare il tutto per antonomasia. Egli non sarà mai assolutamente sicuro dell’ermetico isolamento di ciò che ha intravisto e

58 Vittorio Messori con Andrea Tornielli, PERCHE’ CREDO – una vita per rendere ragione della fede, Piemme Betseller 2012, pp. 318-319 59 G.W.Allport, L’individuo e la sua religione, Ed. La Scuola, Brescia, 1972, pp.130-133

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dichiarato come un tutto, ma rimarrà invece sempre assillato dall’interrogativo se la fede non sia davvero la realtà, e l’unico elemento capace di esprimerla. Sicché, allo stesso modo in cui il credente ha la netta consapevolezza di essere continuamente minacciato dall’incredulità, che è costretto a subire come perenne tentazione, così la fede resta per l’incredulo una continua minaccia e una incessante tentazione, incombente nel suo mondo apparentemente compatto ed ermeticamente chiuso. In una parola: non si sfugge al dilemma dell’essere uomini. Chi pretende di sfuggire l’incertezza della fede, dovrà fare i conti con l’incertezza dell’incredulità, la quale, dal canto suo, non potrà mai nemmeno dire con inoppugnabile certezza se la fede non sia realmente la verità. […] Nessuno è in grado di porgere agli altri Dio e il suo Regno, nemmeno il credente a se stesso. Ma per quanto da ciò possa sentirsi giustificata anche l’incredulità, ad essa resta sempre appiccicata addosso l’inquietudine del «forse però è vero ». Il «forse» è l’ineluttabile tentazione alla quale l’uomo non può assolutamente sottrarsi, nella quale anche rifiutando la fede egli deve sperimentarne l’irrefutabilità. Per dirla in altri termini: tanto il credente, quanto l’incredulo, ognuno a suo modo, condividono dubbio e fede, sempre beninteso che non cerchino di sfuggire a se stessi e alla verità della loro esistenza. Nessuno può sfuggire completamente al dubbio, ma nemmeno alla fede; per l’uno la fede si rende presente contro il dubbio, per l’altro attraverso il dubbio e sotto forma di dubbio. E’ tipico della stessa impostazione fondamentale del destino umano, il fatto di poter trovare l’assetto definitivo dell’esistenza unicamente in questa interminabile rivalità fra dubbio e fede, fra tentazione e certezza. 60 Una fede eccessivamente sicura, desta sospetto Una fede che mai è attraversata dal dubbio, oltre a rischiare di portare al fanatismo e all’intolleranza, è una fede sospetta. Nel “cercare e trovare Dio in tutte le cose resta sempre una zona di incertezza. Deve esserci. Se una persona dice che ha incontrato Dio con certezza totale e non è sfiorata da un margine di incertezza, allora non va bene. Per me questa è una chiave importante. Se uno ha le risposte a tutte le domande, ecco che questa è la prova che Dio non è con lui. Vuol dire che è un falso profeta, che usa la religione per se stesso. Le grandi guide del popolo di Dio, come Mosè, hanno sempre lasciato spazio al dubbio”61.

IL SALTO DELLA FEDE, che esige la «conversione» ed impegna l’assenso della volontà

La fede è razionalmente fondata, ma l’atto di fede non è una conseguenza necessitata dalle ragioni della fede; questa cioè non è frutto di una dimostrazione matematica data dalla ragione (si tratterebbe in questo caso di conoscenza e non di fede). L’adesione di fede, pur fondata razionalmente, è un affidarsi che esige la «conversione», cioè la svolta e il «salto» nell’accogliere Dio, che resta sempre mistero umanamente incomprensibile.

60 Joseph Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo, Queriniana-Brescia, 1974, pp. 16-18 61 Papa Francesco, La mia porta è sempre aperta. Una conversazione con Antonio Spadaro, Rizzoli 2013, p. 97.

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“Tra Dio e l’uomo si spalanca un infinito abisso; sì, perché l’uomo è creato in modo tale, che i suoi occhi sono in grado di vedere unicamente ciò che Dio non è, per cui Dio è e sarà sempre per l’uomo l’essenzialmente Invisibile, collocato fuori dal suo campo visivo. […] Assodato questo, si delinea ora già un primo abbozzo dell’atteggiamento prospettato dalla piccola parola ‘credo’. Essa ci viene a dire che l’uomo non considera il vedere, l’udire e il toccare come la totalità delle cose che lo riguardino, che non ritiene fissati i limiti del suo mondo solo da quanto può vedere e toccare, ma cerca invece una seconda forma di accostamento alla realtà, forma alla quale dà appunto il nome di fede, trovando addirittura in essa l’apertura più decisiva della sua visuale mondana. […] Tale atteggiamento però risulta conseguibile unicamente tramite quella svolta, che il linguaggio biblico chiama ‘cambiamento di mentalità’, ‘conversione’. La forza di gravità naturale insita nell’uomo lo spinge sempre al visibile, a ciò che può prendere in mano e afferrare facendolo suo. Egli deve quindi invertire interiormente la rotta, per riuscire a vedere sino a qual segno trascura i suoi veri interessi, lasciandosi trascinare senza oppor resistenza dal suo baricentro naturale. Deve svoltare decisamente, se vuol riconoscere quanto sia cieco allorché confida solo in ciò che i suoi occhi vedono. Senza tale conversione di rotta dell’esistenza, senza inversione della tendenza naturale, non esiste fede. […] Si comprende così come la fede … comporta sin da sempre una trasvolata, un balzo spiccato su un abisso infinito, vale a dire fuori dal mondo afferrabile che si presenta all’uomo. La fede ha rappresentato sin da sempre qualcosa come uno slancio, come un balzo avventuroso, perché esprime in ogni tempo il rischio di accettare un valore invisibile, accogliendolo come genuinamente reale e basilare. La fede non è mai stata semplicemente un adattamento spontaneo all’inclinazione dell’esistenza umana; è stata invece sempre una decisione che chiama in causa il nucleo più profondo dell’esistenza, che esige dall’uomo una conversione di rotta ottenibile unicamente tramite una risoluta determinazione”62 L’adesione di fede richiede l’assenso della volontà La ragionevolezza della fede non costringe a credere, ma solo dà la possibilità di credere come atto libero che esige la decisione con l’apporto della volontà. L’atto di fede perciò è anche un atto voluto. “Credo d’aver capito meglio una verità sulla quale non avevo riflettuto abbastanza fino ad allora: la dimensione decisionale del credere. Di tutti i credo. Ne ho preso coscienza grazie al filosofo israeliano Yeshayahu Leibowitz, scomparso nel 1994. Secondo la sua tesi è il carattere volontario del credere che distingue questo dal conoscere. Si crede anche perché lo si è scelto. La fede presuppone una fede deliberata, un salto personale e soggettivo che permette di superare il baratro del dubbio. E’ un errore presentare la fede religiosa o il credo filosofico come qualcosa dato dall’esterno, tramite una logica sulla quale il credente non avrebbe nessuna presa. Tale visione che elimina qualunque idea di scelta, di impegno, è ingannevole. In realtà, il credere – come la fede – non è deduzione ma volere. Non si impone di per se stessa quando si è terminato l’inventario delle ragioni del credere o del non credere. Non è – o non solo – il prodotto di una valutazione contabile: tot argomenti a favore, tot argomenti contro. Il «più», necessario perché esista, fa parte della decisione. E non è tutto. Pensandoci bene, si finisce per comprendere che quel «più» della decisione non interviene al termine di un’argomentazione ma la precede. E’ all’inizio e non all’arrivo. Una bella espressione di Yeshayahu Leibowitz dice che il credere non è conclusivo ma inaugurale. In questo

62 Joseph Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo, Queriniana-Brescia, 1974, pp. 20-22.

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senso è parente dell’amore. Non è tanto il conoscere un essere che mi porta ad amarlo quanto piuttosto l’inverso: l’amore, esso solo, mi dispone alla vera conoscenza. In tema di credo religioso o di fede (che se ne differenzia), questa riflessione non è senza conseguenze. Mi riporta a ciò che un teologo britannico del XIX secolo, John Henry Newman (1801-1890), chiamava l’assenso. Credere, è anche dare il proprio assenso. La fede si accompagna a un impegno che, anche pensato e argomentato, contiene sempre una parte di irrazionale. Se così non fosse, il credere si confonderebbe con il sapere e la fede non si distinguerebbe dalla ragione. Per Newman, tuttavia, il libero assenso del credente non può ridursi all’accettazione passiva di un dogma, di una «verità» scolpita nel marmo. Consiste nel mettersi in cammino, nell’impegnarsi in una direzione con la speranza - e solamente con la speranza – di arrivare a buon fine. Definendo in tal modo l’assenso al cristianesimo, si può escludere qualsiasi rischio di chiusura dogmatica, qualsiasi arroganza clericale. Scegliendo di credere in questo modo non ci si consegna mani e piedi a una verità confezionata. Ci si propone più modestamente di andare a incontrarla. Tale scoperta mi ha aiutato ad accettare meglio ciò che io stesso stavo vivendo. Ho smesso di lasciarmi paralizzare dal dubbio come in precedenza. Il dubbio, anche il più radicale, è parte integrante del credere e, in una minima misura, della fede. La volontà è l’arbitro finale”63. Rapporto tra la Rivelazione e la ricerca della felicità

“Siamo cercatori di felicità, appassionati e mai sazi. Nei momenti più felici, come in quelli più profondi, sogniamo una speranza che crede e che ama. Soltanto in Dio l’uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa …” (Lettera ai cercatori di Dio) “Agli occhi del credente la vita si illumina di nuovo significato e appare pienamente degna di essere vissuta. Cristo “rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”. Ogni persona acquista valore assoluto, in quanto è chiamata alla comunione con Dio nell’eternità. Ogni dimensione della persona - spirito, corpo, famiglia, società, cultura, lavoro - si mostra nella sua autenticità, orientata allo sviluppo integrale. La fede “opera per mezzo della carità” (Gal 5,6); non solo manifesta il senso delle cose, ma dà la forza di attuarlo. Il cristiano, mentre anela alla perfezione definitiva oltre la storia, sperimenta già nella vita presente un anticipo di essa, si sente risanato o almeno in via di guarigione, assapora la bellezza di vivere, anche nella fatica e nella sofferenza. Mentre pregusta nella speranza la salvezza eterna, ne pone i segni nella città terrena: libertà, giustizia, solidarietà, sobrio benessere nel rispetto della natura, pace. “Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa anche lui più uomo”; scopre di essere infinitamente amato e di poter egli stesso amare sempre più”.[CdA 93] “[Nel]dialogo con Dio comprendiamo noi stessi e troviamo risposta alle domande più profonde che albergano nel nostro cuore. La Parola di Dio, infatti, non si contrappone all’uomo, non mortifica i suoi desideri autentici, anzi li illumina, purificandoli e portandoli a compimento. Come è importante per il nostro tempo scoprire che solo Dio risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo! Nella nostra epoca purtroppo si è diffusa, soprattutto in Occidente, l’idea che Dio sia estraneo alla vita ed ai problemi dell’uomo e che, anzi, la sua presenza possa essere una minaccia alla sua autonomia. In realtà, tutta l’economia della salvezza ci mostra che Dio parla ed interviene nella storia a favore dell’uomo e della

63 Jean-Claude Guillebaud, Come sono ridiventato cristiano, Lindau s.r.l. corso Re Umberto 37 – Torino 2008, pp. 133-135.

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sua salvezza integrale. Quindi è decisivo, dal punto di vista pastorale, presentare la Parola di Dio nella sua capacità di dialogare con i problemi che l’uomo deve affrontare nella vita quotidiana. Proprio Gesù si presenta a noi come colui che è venuto perché possiamo avere la vita in abbondanza (cfr Gv 10,10). Per questo, dobbiamo impiegare ogni sforzo per mostrare la Parola di Dio come apertura ai propri problemi, come risposta alle proprie domande, un allargamento dei propri valori ed insieme come una soddisfazione alle proprie aspirazioni. La pastorale della Chiesa deve illustrare bene come Dio ascolti il bisogno dell’uomo ed il suo grido. San Bonaventura afferma nel Breviloquium: «Il frutto della sacra Scrittura non è uno qualsiasi, ma addirittura la pienezza della felicità eterna. Infatti la sacra Scrittura è appunto il libro nel quale sono scritte parole di vita eterna perché, non solo crediamo, ma anche possediamo la vita eterna, in cui vedremo, ameremo e saranno realizzati tutti i nostri desideri»”.64

---------------------------------------------------------------- Segnalazioni bibliografiche essenziali per l’approfondimento: Conferenza Episcopale Italiana, LETTERA AI CERCATORI DI DIO, 2009 CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, nn. 27-184 CEI, Catechismo degli adulti: LA VERITA’ VI FARA’ LIBERI, capitoli 1-2 CEI, Catechismo dei giovani/1: IO HO SCELTO VOI, capitolo 1 CEI, Catechismo dei ragazzi: VI HO CHIAMATO AMICI, capitolo 1 Bruno Ferrero, DIECI BUONI MOTIVI PER ESSERE CRISTIANI (e cattolici), LDC, 2010

64 Benedetto XVI, Verbum Domini, 23.

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APPENDICE

Corso di formazione di base dei catechisti INTRODUZIONE ALLA FEDE CRISTIANA

LA RICERCA DELLA FEDE NELL’ESPERIENZA UMANA, TRA FEDE E RAGIONE IN DIALOGO, SECONDO L’INSEGNAMENTO DELLA CHIESA

(Traccia per il laboratorio N.1)

Domande per la condivisione, la ricerca e il dialogo di gruppo:

1. Sembra che oggi molti siano indifferenti dal punto di vista religioso: quali sono secondo voi le cause di questa indifferenza, e quali i possibili rimedi?

2. Avverti il bisogno di avere per te stesso e per gli altri motivazioni per cui sei un credente cristiano? Perché?

3. Quali sono le motivazioni della tua fede personale? (Brevemente, chi vuole è invitato ad esprimere le motivazioni della sua fede … Eventuali esperienze di crisi della propria fede e del loro superamento …).

4. Che rapporto c’è tra la fede e le domande che riguardano il senso della vita (Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? …)?

5. Ci sono dei motivi razionali per credere che Dio esiste? Eventualmente, quali?

6. Che posto occupa la ragione nell’adesione e nell’esperienza di fede cristiana secondo l’insegnamento della Chiesa?

7. Dubbio e fede sono “alleati” o “nemici” tra loro? Perché?

8. Il contesto socioculturale di oggi pone qualche difficoltà all’adesione di fede

cristiana? Eventualmente, quali?

9. Nell’educazione alla fede in genere, e nella catechesi in particolare, che importanza ha offrire le motivazioni «oggettive» della fede?

10. …

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Corso di formazione di base dei catechisti INTRODUZIONE ALLA FEDE CRISTIANA

L’INCONTRO CON GESU’ CRISTO NELLA CHIESA, NELLA VITA E NELLA MISSIONE EDUCATIVA DEI CATECHISTI

(Traccia per il laboratorio N.2)

Domande per la condivisione, la ricerca e il dialogo di gruppo:

1. Conosci veramente Gesù? In che modo puoi conoscerlo meglio?

2. Che rapporto c’è nella tua vita tra Gesù Cristo e la ricerca della felicità? Gesù può rendere felici? Perché?

3. Quando si può dire che Gesù Cristo è il centro del progetto di vita di una persona?

4. Che rapporto c’è tra il senso della vita e la morte e risurrezione di Gesù?

5. Qual è il “di più” di umanità che proviene dall’accoglienza di Gesù Cristo e del suo

Vangelo?

6. In che modo concretamente la comunità cristiana, nella tua esperienza personale di fede, è stata o è mediazione dell’incontro con Gesù Cristo? Puoi eventualmente individuare esperienze o persone particolari?...

7. Hai incontrato persone per le quali gli “uomini di chiesa” hanno costituito un

ostacolo per la loro adesione di fede? Se si, per quali motivi sono stati un ostacolo?

8. Perché Gesù è il centro della catechesi?

9. Nella catechesi, fino a che punto si mira a fare incontrare Gesù Cristo nella Chiesa? Ad esempio, l’‛obiettivo della maggioranza dei genitori che vogliono che i figli facciano la Prima Comunione e la Cresima, è quello dell’‛incontro con Gesù Cristo nella Chiesa? Se in genere non è così, cosa si potrebbe tentare perché ciò (l’‛incontro con Gesù Cristo nella Chiesa) si realizzi?

10. A quali condizioni una comunità cristiana è attrattiva, tale da favorire in chi è

indifferente o “lontano”, l’incontro con Gesù Cristo nella Chiesa?