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9.1 I RISCHI NATURALI : IL DISSESTO IDROGEOLOGICO La Campania è una regione dove l’esposizione al rischio naturale è molto elevata sia per le peculiarità fisiografiche del territorio che per l’intensa antropizzazione. Il dissennato uso del suolo, nonché l’urbanizzazione incontrollata, hanno compromesso le naturali condizioni di equilibrio del sistema uomo-ambiente. L’assetto morfologico-strutturale del territorio favorisce tipologie di fenomeni naturali quali: dissesto idrogeologico, terremoti ed eruzioni vulcaniche. Qui di seguito ci si propone di analizzare lo stato del dissesto nel territorio campano e di evidenziare i programmi di azione per la previsione e la prevenzione dai rischi naturali. Capitolo 9 Fattori di Rischio 1.I RISCHI NATURALI : I L DISSESTO IDROGEOLOGICO FONTE: Archivio ARPAC 571

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9.1 I RISCHI NATURALI: IL DISSESTO IDROGEOLOGICO

La Campania è una regione dove l’esposizione al rischio naturale è molto elevata sia per le peculiarità fisiografiche del territorio che per l’intensa antropizzazione. Il dissennato uso del suolo, nonché l’urbanizzazione incontrollata, hanno compromesso le naturali condizioni di equilibrio del sistema uomo-ambiente. L’assetto morfologico-strutturale del territorio favorisce tipologie di fenomeni naturali quali: dissesto idrogeologico, terremoti ed eruzioni vulcaniche. Qui di seguito ci si propone di analizzare lo stato del dissesto nel territorio campano e di evidenziare i programmi di azione per la previsione e la prevenzione dai rischi naturali.

Capitolo

9

Fattori di Rischio

1.I RISCHI NATURALI:IL DISSESTO IDROGEOLOGICO

FON

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AR

PA

C

571

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Seconda Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Campania

9.1.1 Inquadramento e rilevanza del problema

I gravi eventi di dissesto idrogeologico che hanno colpito la regione Campania, nel maggio 1998 (Sarno; Bracigliano; Siano; Quindici; S. Felice a Cancello) e nel dicembre 1999 (Cervinara e S. Martino Valle Caudina), hanno provocato 201 vittime e danni economici (per i soli eventi alluvionali di Sarno) per circa 28 milioni di euro. Tali eventi, hanno evidenziato la precarietà di alcune aree del territorio, riportando alla ribalta uno dei temi più discussi: la mancanza di una vera azione di difesa del suolo intesa come parte integrante della politica di governo del territorio. La legge quadro n.183/89, che introduce nuovi criteri per l’elaborazione di efficaci politiche di gestione e difesa del territorio, rappresenta da questo punto di vista una novità normativa nel quadro legislativo di settore. Di fatto viene introdotta una nuova unità fisiografica di riferimento, il Bacino Idrografico, e vengono istituite le competenti Autorità (Autorità di Bacino). Il Piano di Bacino rappresenta uno strumento di governo del territorio, finalizzato alla prevenzione dei rischi ed alla valorizzazione, mantenimento e ripristino delle condizioni di equilibrio naturale sul territorio; esso individua il programma di azioni e gli strumenti di prevenzione e mitigazione dei rischi. Il Piano di Bacino viene elaborato attraverso Piani Stralcio di settore. In Regione Campania sono state istituite: • 1 Autorità di Bacino di interesse Nazionale (Liri – Garigliano – Volturno); • 3 Autorità di Bacino di interesse Interregionale ( Sele; Fortore; Ofanto); • 6 Autorità di Bacino di interesse Regionale (Nord – Occidentale; Sarno; Destra Sele;

Sinistra Sele; Calaggio; Cervaro). Ai Bacini del Calaggio e Cervaro (regionali residuali) si applicano le disposizioni dell' art. 20, c. 2 della legge 183/89: “Qualora in un bacino di rilievo regionale siano compresi territori d'altra regione, il piano è elaborato dalla regione il cui territorio è maggiormente interessato e all'approvazione provvedono le singole regioni, ciascuna per la parte di rispettiva competenza territoriale”. Ad oggi, sul territorio regionale, nessun Piano di Bacino è stato redatto in forma completa mentre è stata elaborata la pianificazione specifica per la prevenzione del rischio idraulico ed idrogeologico. Dall’analisi dei dati ricavati dai Piani di Assetto Idrogeologico (P.A.I.) redatti dalle Autorità di Bacino, emerge che sono a rischio idrogeologico molto elevato, per le frane, circa 430 comuni pari al 73 % del territorio regionale.

9.1.2 Gli indicatori fondamentali

Nome indicatore DPSIR Target/obiettivo di qualità ambientale Stato Trend

Stato di applicazione della normativa ordinaria e straordinaria in materia di difesa del suolo

R

Assicurare la difesa del suolo finalizzata al raggiungimento della “sostenibilità” territoriale in termini di disponibilità di risorse e di prevenzione dai rischi naturali(art.1, c.1 L.183/89)

Superfici a rischio idrogeologico a scala di bacino idrografico (dato aggregato per Provincia) S

Adottare i Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) ed applicare idonee misure di salvaguardia volte a perseguire azioni di difesa del suolo e di riduzione dell’esposizione al rischio(art. 1, c. 1 D.L. 180/98)

☺ ↑

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Fattori di Rischio

Distribuzione areale dei principali fenomeni di dissesto idrogeologico ed idraulico sul territorio regionale

S

Individuare le aree che presentino il maggior grado di vulnerabilità e di pericolosità, al fine di evitare un incremento delle situazioni di rischio ☺ ↑

Numero dei principali strumenti di pianificazione di area vasta presenti sul territorio regionale (interazione e condivisione tra i diversi contenuti .

R

Sviluppare efficaci politiche di tutela del territorio ai differenti livelli di governo (Stato-Regioni-Enti locali) attraverso azioni di programmazione e pianificazione integrate e sussidiarie. →

Finanziamenti (risorse stanziate) per azioni di mitigazione del rischio attraverso leggi nazionali, regionali ed ordinanze commissariali

R

Programmare interventi organici di protezione e riassetto del territorio per la riduzione del rischio idrogeologico nelle aree dove la maggiore vulnerabilità è legata al pericolo per le persone, le cose ed il patrimonio ambientale (art. 1, c.2 .D.L. 180/98)

Numero di interventi programmati e finanziati per la riduzione del rischio idrogeologico e stato di avanzamento dei lavori

R

Programmare interventi organici di protezione e riassetto del territorio, per la riduzione del rischio idrogeologico nelle aree dove la maggiore vulnerabilità è legata al pericolo per le persone, le cose ed il patrimonio ambientale (art. 1, c.2 D.L. 180/98)

9.1.3 Le politiche in Regione Campania sulla difesa del suolo

La legge quadro n. 183/89, così come modificata ed integrata dalle leggi n. 253/90 e n. 493/93, definisce su scala nazionale una vera e propria azione di difesa del suolo, predisponendo un sistema organico di soggetti, enti e procedure di pianificazione e programmazione ed operando un riordino delle strutture e delle competenze in materia. Sulla scorta delle disposizioni introdotte dalla legge quadro, ovvero:

− la ripartizione dell’intero territorio nazionale in bacini di rilievo nazionale, interregionale e regionale;

− l’istituzione delle Autorità di Bacino;

− la definizione del Piano di Bacino per piani stralcio.

nel territorio della regione Campania sono stati individuati i seguenti bacini idrografici:

1. Liri – Garigliano – Volturno (Abruzzo, Campania, Lazio, Molise) di interesse nazionale;

2. Sele (Campania, Basilicata); Fortore (Campania, Molise, Puglia); Ofanto (Campania, Basilicata, Puglia) di interesse interregionale;

Con la legge regionale n. 8/94 la Campania ha definito i bacini idrografici di interesse regionale, istituendo le competenti Autorità:

1. Bacino Nord - occidentale della Campania; 2. Bacino del Sarno; 3. Bacino in destra Sele; 4. Bacino in sinistra Sele; 5. Bacini Cervaro e Calaggio per i quali si applica il disposto dell' art. 20, c. 2 della

legge 183/89.

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Seconda Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Campania

Oggi, a circa quattordici anni dall’emanazione della L. n. 183/89 e nove dalla L.R. 8/94 lo stato di attuazione sul territorio regionale è ancora carente. Gli eventi calamitosi del 1998 (movimenti franosi di Sarno; Bracigliano; Siano; Quindici; S. Felice a Cancello) e del 1999 (eventi alluvionali di Cervinara e S. Martino Valle Caudina), hanno fatto scattare lo stato di emergenza sul territorio campano, prorogato con successivi D.P.C.M. fino al 31 dicembre 2003. In questo periodo sono state emanate numerose Ordinanze Ministeriali, che hanno disciplinato e definito le modalità degli interventi di emergenza, gli interventi stessi e le iniziative di somma urgenza, nonché appositi piani esecutivi di misure ed opere prioritarie di sistemazione idrogeologica delle aree colpite (Piano degli Interventi Infrastrutturali di emergenza e di prima sistemazione idrogeologica). Per la realizzazione degli interventi previsti nel suddetto Piano è stata costituita con Ordinanza del Presidente Consiglio dei Ministri n. 2787/98 apposita Struttura Commissariale, presieduta dal Presidente della Giunta Regionale della Campania, quale Commissario Delegato per il coordinamento delle attività. In seguito alla frana di Sarno, vengono emanati il D.L. n. 180/98, convertito nella L. 267/98 e modificato dalla L. 226/99, nonché la L. 365/00. Tale normativa, seppur con logica di carattere emergenziale, ha accelerato notevolmente, su tutto il territorio sia regionale che nazionale, gli adempimenti della legge quadro 183/89. A cinque anni dal “dopo Sarno” lo stato di attuazione della pianificazione specifica per la difesa dal rischio idrogeologico, sul territorio regionale, è in fase di rapido sviluppo.

Tabella 1- Stato di applicazione della Legge n. 183/89, sul territorio regionale

Autorità di Bacino

Istituite e

operanti

RedazionePiani di bacino

Piano approvato

Progetto di Piano

predisposto

Progetto di Piano in

elaborazione

Programmi di

interventi L 183/89 definiti

Piano stralcio per la tutela ambientale zona le Mortine

Piano stralcio difesa aree in frana

Liri, Garigliano e Volturno Si No

Piano stralcio per la difesa delle alluvioni per il Bacino del Volturno

Piano stralcio per la difesa delle alluvioni per il Bacino del Liri - Garigliano

Piano stralcio per la protezione delle risorse idriche (superficiali e sotterranee)

Si

Sele Si No No

Fortore Si No No

Ofanto No No Si

Cervaro No No No

Calaggio No No No

Nord – Occidentale della Campania

Si No Si

Sarno Si No Si

Destra Sele Si No Si

Sinistra Sele Si No Si

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Fattori di Rischio

Tabella 2 - Stato di applicazione del D.L. 180/98 e successive modifiche ed integrazioni

Piani Progetto di Piano Autorità di bacino

Approvati Adottati Adottato Predisposto

Norme di attuazione dei

PAI

Autorità di Bacino Liri, Garigliano e Volturno

Piano Straordinario PAI Si

Piano Straordinario Autorità di Bacino Sele

PAI

Si

Autorità di Bacino Fortore

Autorità di Bacino Ofanto

Autorità di Bacino Cervaro

Autorità di Bacino Calaggio

Piano Straordinario Autorità di Bacino Nord – Occidentale della Campania

PAI

Si

Piano Straordinario Autorità di Bacino del Sarno

PAI

Si

Piano Straordinario Autorità di Bacino Destra Sele

PAI

Si

Piano Straordinario Autorità di Bacino Sinistra Sele

PAI

Si

FONTE: Autorità di Bacino di interesse nazionale e regionali (2002)

Risultano approvati i programmi di interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico, (art. 1, comma 2 D.L. 180/98) nel periodo 1998 – 2001. La legge Finanziaria n. 448/01 ha stanziato, per le medesime finalità, ulteriori fondi per il 2002 e programmato fondi per il 2003 e 2004 da destinare alle regioni in base ai vigenti criteri di riparto.

9.1.4 Il rischio idrogeologico a scala di Bacino Idrografico ed i principali fenomeni di dissesto idrogeologico ed idraulico

Con la redazione dei Piani per l'Assetto Idrogeologico (PAI), le Autorità di Bacino hanno provveduto all’individuazione delle aree con diverso livello di rischio sul territorio di bacino ed all’applicazione di idonee misure di salvaguardia. In tali strumenti sono considerate quattro classi di rischio a gravosità crescente, ovvero, R1 (moderato); R2 (medio); R3 (elevato); R4 (molto elevato). È da aggiungere che l’Autorità di Bacino Nazionale Liri, Garigliano e Volturno, oltre le suddette aree di rischio ha provveduto ad individuare e perimetrale le “aree di attenzione” cioè aree non urbanizzate interessate fa frane e da indicatori di franosità potenziale a massima intensità e alta attesa. Esse in analogia alla classificazione del rischio sono state distinte in: A1 (Moderata), A2 (Media), A3 (Medio-Alta) e A4 (Alta). Il PAI costituisce uno stralcio funzionale del Piano di Bacino, indirizzato alla difesa del territorio dai dissesti di tipo geologico ed idraulico, nonché alla tutela degli aspetti ambientali e naturalistici ad esso connessi.

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Seconda Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Campania

Nella tabella 3 sono riportati i dati relativi all’estensione delle superfici a rischio per le frane, i valori delle classi di attenzione si riferiscono al territorio delle Autorità di Bacino Liri – Garigliano – Volturno e Destra Sele.

Tabella 3 - Superficie interessata da dissesto franoso nella Regione Campania (dati in Kmq)

Classe Rischio Classe di Attenzione Provincia

Moderato R1 Medio

R2 Elevato R3 Molto

Elevato R4 Moderata A1Media

A2 Medio-Alta

A3 Alta A4

Avellino 196.56 48.99 35.88 161.09 39.15 79.24 79.35 98.34

Benevento 2.53 21.05 10.22 91.31 14 129 72 89

Caserta 4.54 9.18 14.13 95.96 4 20 1 220

Napoli 234.1 23.2 21.33 67.8 125.08 27.52 27.73 64.1

Salerno 2318.04 487.88 77.52 73.44 53.08 18.58 49.97 36.64

Totale 2755.77 590.3 159.08 489.6 235.31 274.34 230.05 508.08

FONTE: Piani di Assetto Idrogeologico delle Autorità di Bacino di interesse nazionale e regionali (2001 -2002)

Dall’analisi dei valori emerge che le aree a rischio R4, per le frane, interessano complessivamente una superficie di 489.6 Kmq, corrispondenti a circa 430 comuni, localizzati nella totalità delle cinque province. In tabella 4 sono state inserite le superfici interessate da dissesto alluvionale.

Tabella 4 - Superficie interessata da dissesto alluvionale nella Regione Campania (dati in Kmq)

Provincia Moderato R1 Medio R2 Elevato R3 Molto Elevato R4

Avellino 7.94 5.81 3.59 3.54

Benevento 1.3 0.74 0.73 0.31

Caserta 100.02 6.69 3.73 2.85

Napoli 71.5 15.91 6.8 7.3

Salerno 156.47 34.98 7.43 4.38

Totale 337.41 64.13 22.28 18.38

FONTE: Piani di Assetto Idrogeologico delle Autorità di Bacino di interesse nazionale e regionali (2001 -2002)

Le figure 1 e 2 mostrano il numero dei comuni, per provincia, ricadenti nella classe di rischio R4, rispettivamente per le frane e per le alluvioni.

ARPA Campania 576

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Fattori di Rischio

Figura 1 -Numero dei comuni per Provincia ricadenti in aree a rischio R4 per le frane

FONTE: Piani di Assetto Idrogeologico delle Autorità di Bacino di interesse nazionale e regionali (2001 -2002)

Figura 2 -Numero dei comuni per provincia ricadenti in aree a rischio R4 per le alluvioni

FONTE: Piani di Assetto Idrogeologico delle Autorità di Bacino di interesse nazionale e regionali (2001 -2002)

La caratterizzazione dei fenomeni di dissesto idrogeologico ed idraulico sul territorio regionale, è avvenuta attraverso l’individuazione delle principali tipologie di fenomeni e della loro distribuzione areale. A tale fine si è tenuto conto del complesso assetto morfologico della regione Campania caratterizzato da tre differenti tipologie strutturali:

1) la Fascia tirrenica delle piane costiere (aree caratterizzate da fenomeni di abbassamento tettonico) corrispondenti all’estesa Piana campana ed alla Piana del fiume Sele;

2) la Fascia appenninica (caratterizzata da sollevamenti tettonici ancora in atto);

3) la Fascia collinare corrispondente all’entroterra Sannico-Irpino e all’area Cilentana.

Nel territorio regionale si ritrovano importanti centri vulcanici localizzati lungo la fascia costiera: il Vesuvio, i Campi Flegrei ed il Roccamonfina.

0

20

40

60

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Num

ero

Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno

0

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20

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70

Num

ero

Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno

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Seconda Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Campania

In termini di suddivisione percentuale, il territorio è costituito per il 35% da aree montuose, per il 51% da aree collinari e dal restante 15% da zone pianeggianti. Ai diversi ambienti morfologici corrispondono differenti tipologie di fenomeni franosi. La tabella 5 riporta, su scala provinciale, la distribuzione delle principali tipologie di frana diffuse in Regione Campania; i dati in realtà non risultano completi in quanto non sono pervenute le informazioni specifiche relative al Bacino del Sarno. Nonostante ciò, la distribuzione delle tipologie di frana risulta rappresentativa dato che la superficie della suddetta Autorità rappresenta solamente il 10% circa dell’intera superficie regionale.

Tabella 5 -Estensione dell'area di frana suddivisa per tipo di movimenti (dati in Kmq)

Provincia Crollo e/o Ribaltamento

Colata rapida

Colata lenta Scorrimento Miste Espansione

laterale DGVP Creep

Avellino(*) 5.56 32.2 51.17 25.21 59.2 0.46 1 38

Benevento 15 46 87 68 79.6 2 6 15

Caserta 44 24 8 8 8.12 0.44 8

Napoli (*) 0.23 0.76 0.42 0.44 0.37

Salerno(*) 44.13 24.64 101.87 62.79 94.44 1.14 4.39 20.91

Totale 108.92 127.6 248.46 164.44 241.73 3.6 11.83 81.91

* Dati parziali, in quanto non sono pervenute informazioni specifiche relative al territorio di Bacino del Sarno.

FONTE: Piani di Assetto Idrogeologico delle Autorità di Bacino di interesse nazionale e regionali (2001 -2002)

Dall’analisi dei dati in tabella si evince che le tipologie di frane più diffuse sono rappresentate dalle colate lente. In figura 3 è stato rappresentato, per ciascuna delle cinque province campane, il numero di comuni interessati dai fenomeni franosi.

Figura 3 -Numero dei comuni interessati dai fenomeni franosi

FONTE: Piani di Assetto Idrogeologico delle Autorità di Bacino di interesse nazionale e regionali (2001 -2002)

L’elaborazione dei dati, anche se parziali in quanto non sono pervenute informazioni specifiche relative al territorio di Bacino del Sarno, evidenzia che il maggior numero di comuni è concentrato in Provincia di Salerno.

0

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40

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Num

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Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno

Crollo e/o RibaltamentoColata rapidaColamentoScorrimentoMisteEspansione lateraleDGVPCreep

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9.1.5 La pianificazione territoriale di area vasta e difesa del suolo.

Il controllo del territorio attraverso una pianificazione coerente ed integrata rappresenta, in una realtà come quella della Regione Campania, una delle sfide più ardue. In tale ottica è stata svolta un'indagine conoscitiva sulla compresenza nel territorio regionale dei diversi strumenti di pianificazione di area vasta: Piani paesistici, Piani Straordinari per le aree a rischio molto elevato, Piani per l'Assetto Idrogeologico, Piani territoriali di coordinamento provinciale. I risultati di tale indagine hanno consentito di verificare l’integrazione tra le azioni di pianificazione e gestione del territorio attuate ai differenti livelli di governo. Ad oggi il quadro generale della pianificazione di area vasta in Campania può essere così sintetizzato:

Tabella 6 -Pianificazione in Campania

Piani Paesistici

DD. MM. 28.03.85 Piano Straordinario

L. 267/98 PAI PTCP

Numero di Piani approvati 14 6 6

Numero di Piani adottati 1

Numero di Piani in elaborazione 4

FONTE: Regione Campania; Autorità di Bacino di interesse nazionale e regionali; Province (aggiornamento al 2002)

Il D.Lgs. 112/98 (art. 57, c.1) prevede che il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) assuma il valore di piano di tutela anche per la difesa del suolo, mentre il D. Lgs. 267/00 (art. 20, c.2) dispone che il piano territoriale di coordinamento contenga indirizzi generali di assetto del territorio anche per il rischio idrogeologico ed idraulico forestale.

Alla luce delle suddette disposizioni normative emerge il ruolo strategico che la pianificazione provinciale potrebbe assumere, in considerazione che i territori delle cinque province campane ricadono in aree perimetrate a rischio. Da un’analisi sui contenuti dei PTCP (elaborati o in corso di elaborazione), relativamente ad aspetti propri della difesa del suolo, emerge che la Provincia di Salerno (l’unica che ha adottato il piano) prevede limitazioni alle trasformazioni nelle aree interessate da:

− fenomeni franosi (tipo crollo; colata detritica; colate rapide fangoso detritiche; scorrimento e/o colata);

− fenomeni di erosione costiera; − nonché, nelle aree di pertinenza fluviale per il rischio idraulico.

Per le altre 4 province, almeno allo stato delle attuali elaborazioni dei PTCP, sono previste disposizioni in materia di difesa suolo.

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9.1.6 Le risorse per la mitigazione del rischio

La presenza di vaste aree a rischio idrogeologico sul territorio nazionale ha determinato la realizzazione di interventi organici di protezione e riassetto del territorio, per la riduzione del rischio. Va ricordato che già la legge quadro n. 183/89 disponeva lo stanziamento di risorse per la definizione di programmi triennali di intervento, finalizzati al raggiungimento della “sostenibilità” territoriale ( disponibilità di risorse e di prevenzione dai rischi naturali). Con l'attuazione del D.L. 180/1998, sono stati trasferiti alle Regioni fondi per la realizzazione di programmi di interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico. Per le stesse finalità sono stati stanziati fondi nell'ambito delle Leggi Finanziarie dal 1999 ad oggi; tali risorse vengono assegnate alle regioni in base ai vigenti criteri di riparto. Nella tabella 7 sono state riportate le risorse finanziarie stanziate in Campania per la realizzazione di programmi di interventi di riduzione del rischio idrogeologico, attraverso la L. 183/89, il D.L. 180/1998 convertito nella L. 267/98 e specifiche Delibere di Giunta Regionale.

Tabella 7 -Gli interventi di riduzione del rischio idrogeologico finanziati dal 1997 al 2001

Normativa di riferimento Finanziamento (€) Numero di interventi programmati e

finanziati

Rischio Frana Rischio Idraulico Rischio Frana Rischio Idraulico

L. 183/89 52134539,86 68650349,07 89 50

L. 267/98 24596940,51 7622387,374 35 11

DGR 9090291,643 6613011,615 47 32

Totale 85821772,02 82885748,06 171 93

FONTE : Regione Campania – Servizio Difesa del Suolo

A fronte degli interventi di emergenza (dopo Sarno), gestiti dalla apposita Struttura Commissariale, è stato predisposto il “Piano generale degli Interventi Infrastrutturali di emergenza e di prima sistemazione idrogeologica”. Tale Piano, che ha avuto nel tempo successive rimodulazioni ed approvazioni, prevede interventi per complessivi 1.092,292 mld di lire, di cui 37 miliardi finanziati con fondi diversi da quelli attribuiti alla Struttura Commissariale. Le risorse finanziarie disponibili al 31/12/01 per gli interventi del Piano summenzionato ammontano a circa 452 milioni di euro e sono così suddivise:

Tabella 8 -Le risorse finanziarie

Fonte finanziamento Risorse finanziarie €

Ordinanze Ministeriali 119463195

D.L. 180/98 38502761,60

L. 226/99 157002897,32

Ex L. 187/87 68735200,66

Finanziamenti Comunitari 67801360,34

Totale 451505414,90

FONTE: Commissario di Governo per l’emergenza idrogeologica in Regione Campania – Struttura Commissariale (aggiornamento al 2001)

ARPA Campania 580

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Fattori di Rischio

I fondi relativi al cofinanziamento europeo, al dicembre 2001, ammontano a circa 136 milioni di €, mentre risultano proposti al cofinanziamento interventi per circa 117 milioni di €. Nella tabella 9 si riporta lo stato di attuazione degli interventi di emergenza previsti dal Piano rimodulato delle aree colpite dagli eventi calamitosi del 5 e 6 maggio 1998 (art. 2 Ord. 2787/98), approvato con Ordinanza Commissariale n. 71/1998 e successive rimodulazioni (Ord. 415/99) che hanno incluso ulteriori Comuni ed emergenze.

Tabella 9 -Piano rimodulato degli interventi infrastrutturali di emergenza e di prima sistemazione idrogeologica (art. 2 Ord. 2787/98).

Interventi in corso di progettazione

Interventi con parere favorevole

Interventi in corso di approvazione o in corso di appalto

Interventi in corso di esecuzione Interventi ultimati

N. Importo (€) N. Importo (€) N. Importo (€) N. Importo (€) N. Importo (€)

53 228273949,40 136 145947620,94 10 9244578,49 50 72820422,77 101 89708563,37

FONTE: Commissario di Governo per l’emergenza idrogeologica in Regione Campania – Struttura Commissariale (aggiornamento al 2001).

9.1.7 Conclusioni

I recenti eventi calamitosi hanno evidenziato il ruolo essenziale della pianificazione territoriale. E’ necessario favorire un processo di coinvolgimento dei soggetti istituzionali ai differenti livelli di governo del territorio, per giungere ad una pianificazione integrata e coerente. Il Piano di Bacino, strumento specifico della difesa del suolo, definisce le politiche di intervento sul territorio di bacino attraverso i piani stralcio. Tali strumenti sono sovraordinati agli strumenti di pianificazione e programmazione di Regione ed Enti locali, e le norme attuative sono immediatamente vincolanti per le stesse amministrazioni ed i soggetti privati. Ad oggi, nessun Piano di Bacino è stato redatto in forma completa, ma un notevole impulso alla attività di pianificazione delle Autorità di bacino è stato innescato dal D.L. 180/1998. La grande presenza di aree a rischio idrogeologico sul territorio regionale rappresenta un pericolo per la sicurezza delle persone e dei beni esposti e costituisce un limite alle potenzialità di utilizzazione del territorio e del suo sviluppo. Per tale motivo è stata avviata sul territorio una azione concreta di riduzione del rischio attraverso programmi di interventi di protezione e riassetto del territorio stesso, finanziati da apposita normativa nazionale e regionale. Dall’analisi della situazione attuale appare evidente la necessità di ulteriori stanziamenti finanziari per nuovi interventi organici di riassetto di un territorio ampiamente fragile

581

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9.2 I RISCHI NATURALI: IL RISCHIO SISMICO

9.2.1 Inquadramento e rilevanza del problema

La Regione Campania è caratterizzata da una elevata sismicità principalmente lungo la dorsale appenninica (Appennino Campano – Lucano). I maggiori eventi sismici che hanno colpito storicamente l’area sono collegati alla presenza di un sistema di faglie estensionali con andamento longitudinale. La storia sismica passata, caratterizzata da episodi anche molto violenti (terremoto dell’Irpinia del 1980), ha indotto la Giunta Regionale della Campania ad aggiornare, con Deliberazione n. 5447/2002, la classificazione sismica di tutti i Comuni, così come formulata dal Gruppo di esperti, istituito dalla Commissione Nazionale di Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi nel 1997. La riclassificazione sismica del territorio regionale, che ha comportato per un gran numero di comuni un aumento della categoria di rischio, si basa su studi scientifici approfonditi e sarà

Capitolo

9

Fattori di Rischio

2.I RISCHI NATURALI:IL RISCHIO SISMICO

FON

TE: C

ontro

luce

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Seconda Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Campania

sottoposta ad una successiva fase di verifica da parte del Settore Programmazione Interventi di Protezione Civile sul territorio. La Regione Campania ha avviato, nel 2001 (Deliberazione Giunta Regionale n. 6930/2001), una imponente opera di riorganizzazione del Sistema di Protezione Civile sul territorio che ha portato, tra l’altro, alla realizzazione di due importanti strutture di controllo e gestione dei rischi: la Sala Operativa Unificata (S.O.R.U.) ed il Centro Funzionale per la previsione metereologica e per il monitoraggio meteo- idropluviometrico e delle frane, che assorbe l’ufficio di Napoli del Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale (S.I.M.N).. Sulla scorta dei risultati del censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici, strategici e speciali, realizzato dal Dipartimento della Protezione Civile nel 1997, la Regione ha messo a punto programmi di interventi di tipo urbanistico e tecnico – strutturali, mirati al miglioramento del patrimonio edilizio esistente. Le risorse disponibili sono tuttavia molto modeste a fronte del gran numero di edifici pubblici e privati ad elevata vulnerabilità della regione. Solo successivamente nel marzo 2003, con Ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3274, sono stati approvati i “Criteri per l’individuazione delle zone sismiche e l’individuazione, formazione e aggiornamento degli elenchi nelle medesime zone”, nonché le connesse “Norme tecniche per il progetto, la valutazione e l’adeguamento sismico degli edifici”; “Norme tecniche per il progetto sismico dei ponti”; “Norme tecniche per il progetto sismico delle opere di fondazione e sostegno dei terreni”. I criteri per la classificazione sono gli stessi già adottati dalla Regione Campania nella Deliberazione n 5447 e pertanto non vi sono modifiche rispetto a quanto da essa disciplinato. La stessa Ordinanza stabilisce anche, entro tempi brevi ( 6 mesi dalla pubblicazione dell’ordinanza), il censimento degli edifici esistenti strategici o caratterizzati da alto affollamento per poi procedere al loro adeguamento sismico in tempi più lunghi (5 anni). Con Deliberazione della Giunta Regionale n. 2322 del 18 luglio 2003 è stata approvata una procedura tecnico – amministrativa per la verifica strutturale del patrimonio pubblico e l’analisi geologica in prospettiva sismica del territorio campano.

9.2.2 Gli indicatori fondamentali

Nome indicatore DPSIR Target/obiettivo di qualità ambientale Stato Trend

Numero dei principali eventi sismici in Campania S

Evidenziare La Distribuzione Epicentrale Dei Maggiori Terremoti Che hanno interessato la Regione Campania nell’ultimo secolo.

☺ ↑

Stato di attuazione della normativa regionale per la difesa del territorio dal rischio sismico

R Favorire un corretto governo del territorio su cui impostare politiche di difesa dal rischio sismico, di protezione civile e di prevenzione del rischio.

☺ ↑

Numero comuni ricadenti nelle differenti categorie di rischio (nuova classificazione sismica regionale)

S

Inserire nella nuova classificazione sismica i Comuni che prima non vi erano compresi ed attribuire a quelli già classificati sismici dallo Stato una diversa categoria sismica (deliberazione Giunta Regionale n. 5447/02).

☺ ↑

Numero di edifici strategici vulnerabili per il rischio sismico S

Ridurre il rischio sismico con priorità per gli edifici strategici (ospedali, scuole, caserme e prefetture) attraverso l'adeguamento alle norme antisismiche ( D.L. n. 323/95)

☺ ↑

Azioni di prevenzione per la riduzione del rischio sismico R

Promuovere efficaci politiche di difesa dal rischio sismico e di protezione civile attraverso specifiche azioni di riduzione del rischio. ↑

ARPA Campania 584

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Fattori di Rischio

9.2.3 Le politiche regionali in materia di difesa del territorio dal rischio sismico

La storia sismica della Regione Campania è ricca di eventi anche di forte intensità. La tabella. 10 riporta i maggiori terremoti che hanno interessato l’Appennino Meridionale ed in particolare il territorio campano nell’ultimo millennio. Il sisma del 23 novembre del 1980 ha rappresentato uno dei terremoti più devastanti dell’ultimo mezzo secolo sia per l’intero paese che per la Regione Campania. L’evento, con origine nella dorsale appenninica tra l'Irpinia ed il Potentino, si manifestò con una scossa di magnitudo 6,8 Ms, pari ad una intensità all’epicentro del X grado della scala Mercalli . L'epicentro fu localizzato ai confini tra le province di Avellino e Potenza, nell’area tra Conza (Avellino), Laviano (Potenza), Castelnuovo di Conza (Avellino). Il sisma, che ha gravemente colpito le province di Avellino, Benevento, Napoli, Salerno, Matera, Potenza, devastando interi paesi (come Lioni; Teora, Balvano; Sant'Angelo dei Lombardi; Conza; Valva; Colliano; Laviano; Pescopagano), provocò 2.735 vittime, novemila feriti e centinaia di migliaia di senzatetto. A seguito del terremoto dell’Irpinia (1980), la Campania con la L.R. n. 9/83 disciplina le funzioni regionali in materia di difesa del territorio dal rischio sismico, definendo norme per le costruzioni in zone sismiche (fermo restando i criteri costruttivi stabiliti nella legge n. 64/74) e per l'adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti ed i criteri per l’elaborazione dei nuovi. L’applicazione della suddetta normativa sull’intero territorio regionale ha costituito una premessa indispensabile per un corretto governo del territorio.

Tabella 10 -Elenco dei maggiori terremoti nell’ultimo millennio

Data Intensità (MCS) Aree interessate dal sisma

5 maggio 1456 XI Italia Centro – Meridionale

19 agosto 1561 IX – X Vallo di Diano (tra le province di Salerno e Potenza).

5 giugno 1688 XI Campania – Molise ( tra le province di Benevento, Caserta, Avellino, Campobasso, Isernia)

8 settembre 1694 X - XI Irpinia-Basilicata (tra le province di Avellino e Potenza)

14 marzo 1702 X Sannio – Irpinia (tra le province di Benevento ed Avellino)

29 novembre 1732 X –XI Irpinia

9 aprile 1853 X Irpinia e le alte valli dei fiumi Sele ed Ofanto

28 luglio 1883 X Casamicciola – Isola d’Ischia

23 luglio 1930 X Irpinia

23 novembre 1980 X Irpinia-Basilicata

FONTE: “Catalogo dei forti terremoti in Italia dal 461ac al 1900” (Boschi et al., 1997)

L’insieme di leggi, delibere e norme tecniche successive, hanno disciplinato i programmi di attività regionale in materia di protezione civile e di previsione dei rischi, come la Delibera di Giunta Regionale n. 6930/2001 con la quale vengono approvate le “Linee per un programma di attività della regione Campania in materia di Protezione Civile e di revisione e prevenzione dei rischi.”

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L’oggetto di tale documento è la riorganizzazione di tutte le attività di protezione civile sul territorio regionale attraverso: • la predisposizione ed attuazione di un programma di previsione e prevenzione dei rischi

con interventi mirati alla riduzione della vulnerabilità di centri abitati, infrastrutture territoriali primarie ed insediamenti produttivi, nonché alla diffusione di una cultura di protezione civile tra gli amministratori, gli operatori tecnici pubblici o privati ed i cittadini;

• la deliberazione di atti di indirizzo e coordinamento agli Enti Locali per la predisposizione dei piani di emergenza;

• la partecipazione ad ogni attività relativa ad eventi calamitosi naturali (dissesti idrogeologici, eventi sismici e vulcanici) ed antropici che per intensità ed estensione vanno fronteggiati con mezzi e poteri straordinari;

• la gestione degli interventi di emergenza e post emergenza (attraverso la Sala Operativa regionale Unificata ed il Centro Funzionale per la previsione metereologica e per il monitoraggio meteo- idropluviometrico e delle frane).

Nel novembre 2002, con deliberazione n. 5447, la Regione ha definito uno strumento decisivo per l’attuazione di politiche di previsione e prevenzione del rischio sismico, approvando l’aggiornamento della classificazione sismica dei Comuni campani. Tale classificazione è stata formulata sulla base dei criteri generali e delle risultanze del Gruppo di Lavoro di esperti costituito, nel 1997, in base alla risoluzione approvata dalla Commissione Nazionale di Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi. Nel luglio 2003, con Deliberazione della Giunta Regionale n. 2322, è stata approvata la procedura tecnico – amministrativa per la verifica strutturale del patrimonio pubblico e l’analisi geologica in prospettiva sismica del territorio campano, al fine di rendere operative azioni mirate alla mitigazione del rischio sismico, nonché di programmare ed attuare interventi mirati alla salvaguardia, al recupero e/o all’adeguamento sismico del patrimonio edilizio ed infrastrutturale pubblico. Con l’aggiornamento della classificazione sismica di tutti i comuni campani, la Regione ha compiuto un importante passo in avanti nel perseguimento degli obiettivi di sicurezza e di prevenzione dai rischi naturali. Va sottolineato, infatti, che la Campania è la prima regione italiana a varare questo importante strumento. La riclassificazione, basata su studi approfonditi e su moderni strumenti scientifici, include anche gli 81 comuni non compresi nella precedente classificazione sismica del 1981 ed attribuisce a comuni già classificati una diversa categoria di sismicità. Il quadro che emerge dalla nuova mappa sismica (tabella 11, figura 4) è il seguente:

− 129 comuni, circa il 24 % dei comuni campani, risultano classificati di I categoria; − 360 comuni, circa il 65 %, di II categoria; − 62 comuni, circa l’11 %, di III categoria.

Alle categorie di rischio summenzionate, corrispondono gradi di sismicità (S) decrescenti ovvero:

− S=12 per la I categoria; − S= 9 per la II categoria; − S=6 per III categoria.

ARPA Campania 586

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Fattori di Rischio

Tabella 11 -Classificazione sismica dei comuni campani per provincia

Numero di Comuni Popolazione residente Provincia Categoria I

(S=12) Categoria II (

S=9) Categoria III

(S=6) Categoria I

(S=12) Categoria II (

S=9) Categoria III (S=6)

Avellino 58 60 \ 163910 264404 \

Benevento 48 30 \ 27745 258295 \

Caserta 5 96 3 17688 783889 49533

Napoli \ 76 16 \ 2772303 237375

Salerno 18 98 43 60808 816539 198104

Totale 129 360 62 270151 4895430 485012

FONTE: Regione Campania – Settore regionale “Programmazione Interventi Protezione Civile sul Territorio (2002)

L’elaborazione dei dati evidenzia che il 92% della popolazione della provincia di Napoli, risiede in un area di II categoria. Nella mappa del Rischio sismico si evidenzia come l’area ad elevata sismicità (zona rossa) è localizzata in corrispondenza della fascia appenninica meridionale (Appennino Campano–Lucano) e comprende vaste aree delle Province di Avellino e Benevento. L’area a media sismicità (zona azzurra) è situata, con andamento appenninico, nella porzione centrale del territorio regionale; essa presenta un’estensione maggiore rispetto alle altre aree e comprende il resto delle province di Avellino e Benevento e la quasi totalità delle province di Caserta, Salerno e Napoli. Dall’analisi dei dati, riportati in tabella 12 ed elaborati in figura 5, si evince che 101 comuni campani, localizzati principalmente nelle province di Avellino, Benevento e Salerno, passano dalla II alla I categoria, mentre un totale di 81 comuni precedentemente non classificati vengono riclassificati in II e III categoria.

Figura 4 -Numero di comuni ricadenti nelle differenti categorie di sismicità (nuova classificazione)

FONTE: Regione Campania – Settore regionale “Programmazione Interventi Protezione Civile sul Territorio (2002)

0

20

40

60

80

100

Num

ero

Avellino Caserta Salerno

Categoria I

Categoria II

Categoria III

587

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Seconda Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Campania

Tabella 12 -Variazioni delle classi di sismicità dei comuni campani, per provincia.

Classificazione sismica Provincia

Categoria I Categoria II Categoria III Non Classificato

Vecchia class.

Nuova class.

Vecchia class.

Nuova class.

Vecchia class.

Nuova class.

Vecchia class.

Nuova class.

Avellino 21 58 98 61 0 0 0 0

Benevento 9 48 69 30 0 0 0 0

Caserta 0 5 74 96 11 3 19 0

Napoli 0 0 41 76 35 16 16 0

Salerno 0 18 69 97 43 43 46 0

FONTE: Regione Campania – Settore regionale “Programmazione Interventi Protezione Civile sul Territorio (2002)

Figura 5 - Variazione tra vecchia e nuova classificazione sismica dei comuni campani per provincia

FONTE: Regione Campania – Settore regionale “Programmazione Interventi Protezione Civile sul Territorio (2002)

Tabella 13 - Variazioni della classificazione sismica

Classificazione Sismica (C) Capoluoghi di Provincia

Vecchia Nuova

Avellino C 2 C 2

Benevento C 2 C 1

Caserta C 2 C 2

Napoli C 3 C 2

Salerno C 3 C 2

FONTE: Regione Campania – Settore regionale “Programmazione Interventi Protezione Civile sul Territorio (2002)

Con l’Ordinanza Presidenza del Consiglio dei Ministri del 20 marzo 2003, n. 3274 vengono approvati i criteri per l’individuazione delle zone sismiche e le norme tecniche di progettazione per edifici, ponti ed opere di fondazione e di sostegno dei terreni. E’ demandato alle Regioni il compito di predisporre l’elenco dei comuni sismici ai sensi dell’art. 94 del D.Lgs. 112/98. Sulla scorta dei suddetti criteri, tutto il territorio nazionale viene classificato come sismico e suddiviso in quattro zone. Le zone n. 1 e 2 rappresentano zone sismiche ad alta pericolosità, mentre quelle n 3 e 4 zone sismiche a bassa pericolosità. La nuova normativa sismica nazionale prevede l’equivalenza tra zone e classi, rispettivamente, tra C1 e zona 1, C2 e zona 2, C3 e zona 3 e l’introduzione della nuova zona 4 per i territori che non risultavano classificati nemmeno in C3, lasciando alle regioni la facoltà di introdurla o meno.

05

10152025303540

Num

ero

Avellino Benevento Caserta Napoli Salerno

da NonClassificato a C III

da NonClassificato a C II

da C II a C I

da C III a C II

ARPA Campania 588

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Fattori di Rischio

Il problema non riguarda la Campania, dove tutti i comuni risultano classificati da C1 a C3.

Tabella 14 - Confronto tra le diverse classificazioni sismiche

Grado di sismicità* Categoria sismica** Zone***

S=12 I 1

S=9 II 2

S=6 III 3

- N.C. 4

* Classificazione definita dai Decreti emessi fino al 1984. ** Proposta di riclassificazione elaborata dal Gruppo di esperti, istituito dalla Commissione Nazionale di Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi nel 1997. *** Classificazione elaborata dal Gruppo di lavoro, costituito con decreto 4485 del 4/12/2002 del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

FONTE: Regione Campania – Settore regionale “Programmazione Interventi Protezione Civile sul Territorio (2002)

9.2.4 La valutazione della vulnerabilità sismica del patrimonio edilizio pubblico e strategico

Una delle componenti principali nella valutazione del rischio sismico di un’area è la conoscenza della vulnerabilità sismica del patrimonio edilizio esistente, ai fini della stima del danno atteso e della riduzione del livello di rischio sul territorio. In quest’ottica il Dipartimento della Protezione Civile ha promosso e realizzato, con il supporto tecnico – scientifico del Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti (GNDT), una serie di progetti per la rilevazione della vulnerabilità sismica del patrimonio edilizio in sette regioni dell'Italia meridionale: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia (per la sola provincia di Foggia), Sicilia (per le province di Catania, Messina, Siracusa e Ragusa). Tali progetti, realizzati nell'ambito dei Lavori Socialmente Utili (LSU), sono stati pubblicati a cura del Dipartimento della Protezione Civile e dello stesso GNDT e rappresentano uno strumento estremamente importante per l’attuazione di politiche di prevenzione e mitigazione del rischio sismico. La raccolta ed elaborazione dei dati, riportati nelle tabelle successive si riferiscono in particolare al primo progetto attuato (Progetto – 96), inerente il censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici, strategici e speciali pubblicato nel 1999. Il patrimonio dei dati acquisiti, nell’ambito di tale progetto, ha consentito di avviare la messa in sicurezza del patrimonio edilizio pubblico e del contesto urbano di riferimento, attraverso idonee misure di intervento. Questa linea di azione, è volta a rafforzare non solo la conoscenza del rischio associato al singolo edificio "strategico", ma anche quella della struttura urbana di contesto (vie di accesso, organizzazione delle funzioni in ambito urbano, ecc.). Le tabelle 15 e 16 e le figure 6 e 7, mostrano la valutazione del livello di vulnerabilità sismica del patrimonio edilizio pubblico, distinto per tipologia di edilizia prevalente (muratura, cemento

589

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Seconda Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Campania

armato, altro) e destinazione d’uso. Esse sono state costruite, elaborando i dati pubblicati nel Progetto – 96.

Tabella 15 -Numero di edifici strategici, in muratura, vulnerabili per il rischio sismico

Edifici in muratura

Classe di vulnerabilità Uso

0 - 9 10 - 19 20 - 29 30 - 39 40 - 49 50 - 59 60 - 69 70 - 79 80 - 89 90 - 99

Istruzione 525 825 538 300 150 38 25 - - -

Sanità 37 75 70 62 25 5 - - - -

Militare 50 88 25 25 10 - - - - -

Totale 612 988 633 387 185 43 25 - - -

FONTE: C.D. Rom “Censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici, strategici e speciali nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia” Dipartimento Protezione Civile – Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti – CNR (1999).

Tabella 16 - Numero di edifici strategici, in cemento armato, vulnerabili per il rischio sismico

Edifici in cemento armato

Classe di vulnerabilità Uso

B - Bassa MB - Medio Bassa M - Media MA - Medio Alta A - Alta N. I.

Istruzione 116 790 912 1853 749 26

Sanità 20 177 109 248 118 -

Militare 9 109 57 130 30 4

Totale 145 1076 1078 2231 897 30

FONTE: C.D. Rom “Censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici, strategici e speciali nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia” Dipartimento Protezione Civile – Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti – CNR (1999).

Figura 6 - Distribuzione degli edifici in muratura, per distribuzione d’uso e classe di vulnerabilità

FONTE: C.D. Rom “Censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici, strategici e speciali nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia” Dipartimento Protezione Civile – Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti – CNR (1999).

ARPA Campania 590

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Fattori di Rischio

Figura 7 - Distribuzione degli edifici in cemento armato, per distribuzione d’uso e classe di vulnerabilità

FONTE: C.D. Rom “Censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici, strategici e speciali nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia” Dipartimento Protezione Civile – Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti – CNR (1999).

Va ricordato che la Deliberazione di Giunta Regionale n. 2322/03 ha promosso nuove indagini sugli edifici pubblici strategici e infrastrutture volte a valutare in modo più approfondito la loro vulnerabilità sismica.

9.2.5 Le azioni e gli strumenti per la riduzione e la prevenzione del rischio sismico

9.2.5.1 Gli Interventi tecnico – strutturali

Con la L. R. n. 27 del 2002 la Campania ha approvato un nuovo strumento finalizzato allo sviluppo di azioni di prevenzione e sicurezza sul territorio: il “Registro storico-tecnico-urbanistico” dei fabbricati pubblici e privati. Tale strumento contiene le informazioni sullo stato conservativo dell’edificio (situazione progettuale, urbanistica, edilizia, catastale, di sicurezza, ecc.) ed ha il fine di tutelare e salvaguardare la pubblica e privata incolumità. Il Registro, che rappresenta un provvedimento primo nel suo genere in Italia, diventerà obbligatorio entro due anni; è prevista, comunque, l’emanazione di un regolamento di attuazione. La Regione, con la già citata Delibera di Giunta n. 6930/2001, ha attuato una imponente opera di riorganizzazione della Protezione Civile, sul territorio regionale, attivando tra l’altro:

− il Centro funzionale per la previsione meteorologica ed il monitoraggio meteo-idro-pluviometrico e delle frane;

− la Sala Operativa Unificata per la gestione delle operazione di soccorso. Per la realizzazione di tali strutture sono stati investiti 5 miliardi e 293 milioni delle vecchie lire derivanti dalla struttura commissariale per l'emergenza idro-geologica (1 miliardo e mezzo), dal bilancio regionale (3 miliardi e 53 milioni), dal governo centrale (740 milioni). Altresì, sono state stanziate ed impegnate risorse per la realizzazione di interventi di riduzione del rischio:

− 183 milioni di euro per l'eliminazione definitiva dei prefabbricati e la costruzione di oltre tremila nuovi alloggi, con fondi alle famiglie fino al completamento delle case in 124 comuni;

591

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Seconda Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Campania

− un fondo di rotazione per la progettazione di opere pubbliche nei piccoli comuni, e per l'abbattimento dei manufatti abusivi;

− 465 mila euro per la nuova carta tecnica regionale; − 1 milione di euro per il sistema informativo territoriale − per quanto riguarda i fondi relativi agli interventi di prevenzione per l’edilizia scolastica

ed ospedaliera, vi sono impegni normativi che comportano una delibera del CIPE, sentita la Conferenza Unificata, per lo stanziamento della risorsa da adottare entro il 31/12/03.

9.2.5.2 L’informazione e la formazione

Una concreta ed efficace politica di prevenzione è volta alla divulgazione delle informazioni sulla sismicità di un territorio e sulle sue conseguenze in termini di pianificazione territoriale e di protezione civile. La costante azione di informazione dei cittadini rappresenta, infatti, uno degli obiettivi prioritari delle politiche di prevenzione. In quest’ottica, la Regione Campania ha avviato una campagna di sensibilizzazione della popolazione ed in particolare degli studenti, per la diffusione e lo sviluppo di una cultura sul rischio sismico. A tal fine, infatti, sono stati promossi i progetti “Scuola sicura”, rivolti agli studenti delle scuole medie inferiori e superiori, sia per una corretta conoscenza del territorio e dei rischi con i quali si convive che, per favorire comportamenti corretti nelle situazioni di emergenza. Contestualmente, sono stai intrapresi programmi di formazione rivolti ad amministratori ed operatori pubblici, finalizzati ad accrescere e migliorare le competenze tecniche, specialistiche ed organizzative nel settore della protezione civile. Dal 1995, il Dipartimento Nazionale della Protezione Civile ha avviato una serie di corsi per Disaster Manager (Gestione Disastri) rivolti prevalentemente a funzionari pubblici, ad oggi sono stati formati in Regione Campania 60 Disaster Manager. Altresì, nell’ambito del Progetto – 96 “Censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici, strategici e speciali nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia” sono stati avviati corsi per la formazione di tecnici in materia di prevenzione dal rischio sismico. Dal 2001 (Delibera n. 6930/2001) la Giunta Regionale della Campania ha attivato una serie di programmi di attività per la formazione e l’informazione. A tal proposito vanno ricordati,: • l’istituzione della scuola regionale di protezione civile per la formazione teorico-pratica del

volontariato; • la realizzazione di corsi regionali di formazione per dirigenti di associazioni di protezione

civile, (ANPAS); • la promozione di forum e seminari sul territorio per diffondere una corretta cultura del

rischio sismico in Campania (Benevento 03/12/02; Salerno21/01/03) • l’istituzione di un Centro di Competenza Regionale per l’Analisi ed il Monitoraggio del

Rischio Ambientale che integra le conoscenze scientifiche sviluppate nell’ambito dei progetti di ricerca e trasferisce tali conoscenze alle politiche di gestione del territorio. Una componente essenziale del Centro è la Sezione Rischio Sismico, che ha in fase di allestimento un Laboratorio integrato con attrezzature sperimentali uniche in Europa nei settori della Geofisica, della Geotecnica e dell’Ingegneria Sismica.

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Fattori di Rischio

9.2.5.3 La Sala Operativa Regionale Unificata di Protezione Civile (S.O.R.U.)

Nel dicembre 2002 viene inaugurata, la Sala Operativa Regionale Unificata di Protezione Civile (S.O.R.U.), per il controllo, la gestione e la riduzione dei rischi naturali ed antropici sul territorio regionale. L'inaugurazione di tale Struttura rappresenta una vera e propria svolta nella riorganizzazione del sistema di protezione civile regionale e nella realizzazione di efficaci programmi di intervento per la riduzione del rischio. E’ ormai diffusa la consapevolezza che a fronte di qualsiasi calamità naturale, è importante che istituzioni (Prefetture, Comandi dei Vigili del Fuoco, Province, Comunità montane ecc.) e volontariato intervengano in maniera unitaria e coordinata . La Sala Operativa Unificata, infatti, collegata con il servizio 118, rappresenta il centro di raccolta, coordinamento e smistamento delle informazioni, nonché, il braccio operativo dell'Unita' di Crisi nella gestione delle emergenze. All'interno della struttura, presidiata 24 ore su 24, trova collocazione un moderno sistema informatico di telecomunicazioni, di video-sorveglianza e di cartografia del territorio in continuo aggiornamento. La Sala Operativa è altresì collegata, attraverso hyperlink, alla Rete Sismica dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ed alla rete MEDNET per la visualizzazione di segnali sismici, in tempo reale, nel Bacino del Mediterraneo. In stretta contiguità fisica con la Sala Operativa Unificata, e' attivo il “Centro Funzionale per la previsione metereologica e per il monitoraggio meteo- idropluviometrico e delle frane”. Il Centro di previsione, effettua attraverso la rete di stazioni idrometriche e pluviometriche dell’ex SIMN di Napoli e le reti già attivate dagli interventi nazionali (D.L. Sarno e Soverato; Ordinanze Ministeriali) il controllo delle situazioni di potenziale rischio legate a condizioni meteorologiche avverse e fornisce dati per l'attivazione tempestiva dello stato di preallarme o di allarme. Il sistema di reti idro – pluviometrico citato è attualmente in fase di integrazione e potenziamento.

9.2.5.4 Il volontariato nel nuovo sistema di Protezione Civile

In un moderno sistema di protezione civile, il Volontariato rappresenta una risorsa di eccellenza nelle attività di previsione, prevenzione e soccorso, così come stabilito dalla legge n.225/92 all’art.11 (“le organizzazioni di volontariato costituiscono una delle strutture operative del Servizio Nazionale di Protezione Civile”). Del resto, sono ancora nitide le immagini dell'impegno profuso dalle numerose Associazioni di volontari nella partecipazione attiva alle ultime emergenze che hanno interessato il territorio nazionale(Sarno; San Giuliano di Puglia ecc). Il volontariato rappresenta una realtà, una certezza, un valore aggiunto al patrimonio storico, morale e di solidarietà del nostro Paese. In quest’ottica la Regione Campania ha dato avvio ad una serie di azioni volte alla valorizzazione del volontariato, che oggi vede impegnate nel settore della protezione civile circa 4.500 persone e 150 associazioni. E’ stato, infatti, istituito il Comitato regionale di volontariato per la Protezione Civile (primo in Italia) con l'importante compito di favorire la partecipazione dei volontari all'attività di protezione civile della Regione e degli Enti locali. Altresì, è stata, realizzata la scuola regionale di protezione civile per la formazione teorico-pratica dei volontari. Contestualmente è stato avviato, d'intesa con le Province, un censimento per quantificare le risorse (forze, mezzi, competenze, ecc.) del volontariato campano .

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Seconda Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Campania

A tale proposito, va evidenziato l’investimento di appositi fondi regionali ed europei per il potenziamento delle dotazioni dei volontari e la costituzione di colonne mobili provinciali, con precisi compiti in caso di emergenza.

9.2.6 Conclusioni

La valutazione del rischio sismico rappresenta una premessa indispensabile per l’applicazione di efficaci politiche di prevenzione. La Regione Campania ha approvato l’aggiornamento della classificazione sismica dei Comuni campani, proposto dal Servizio Sismico nazionale, contestualmente ad una imponente opera di riorganizzazione della protezione civile. I gravi eventi sismici che hanno colpito il Paese, per ultimo il Molise, hanno dimostrato come la mancanza di una concreta politica di prevenzione abbia provocato un gran numero di vittime ed ingenti danni al patrimonio abitativo ed ambientale. Il rischio sismico, che interessa gran parte del territorio nazionale e soprattutto le aree urbane, è stato fino ad oggi affrontato come “risposta all’emergenza”. In termini di prevenzione, la Regione Campania ha messo a punto programmi di interventi di mitigazione, mirati soprattutto alla realizzazione di strutture per il controllo e la gestione dei rischi naturali ed antropici (sala Operativa Unificata; Centro Meteo –Idro – Pluviometrico),nonché ad azioni di tipo urbanistico e tecnico – strutturali sul patrimonio edilizio esistente.

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9.3 I RISCHI NATURALI: IL RISCHIO VULCANICO

9.3.1 Inquadramento e rilevanza del problema

Il territorio napoletano rappresenta a livello nazionale una delle aree a maggiore rischio vulcanico, sia per la concentrazione di tre vulcani attivi il Somma - Vesuvio, i Campi Flegrei ed Ischia, sia per l’elevata densità abitativa dello stesso territorio.

FON

TE: A

rchi

vio

Par

isio

Capitolo

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3.I RISCHI NATURALI:IL RISCHIO VULCANICO

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Seconda Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Campania

La storia eruttiva dei vulcani rappresenta un elemento indispensabile per effettuare una previsione a lungo termine in quanto, è altamente probabile che le fenomenologie eruttive già occorse in passato, si verificheranno in futuro (Orsi et al. 2001). Allo scopo di consentire una previsione a breve termine della ripresa dell’attività, di uno dei vulcani dell’area napoletana, l’Osservatorio Vesuviano gestisce un sistema di sorveglianza, costituito da reti di monitoraggio sia geofisiche che geochimiche, per il controllo, dell’attività sismica delle deformazioni del suolo, delle variazioni del campo gravimetrico e delle alterazioni nella composizione chimica dei gas emessi dalle fumarole e dal suolo. Tali fenomeni, infatti, sono strettamente connessi ad una ripresa dell’attività eruttiva. La valutazione del rischio vulcanico nell’area napoletana costituisce il presupposto di una corretta politica di prevenzione e mitigazione del rischio stesso. Tale politica deve mirare ad un uso sostenibile del territorio e prevedere azioni che vadano soprattutto a contenere e tutelare il valore esposto. Tra gli strumenti indispensabili per le politiche di mitigazione del rischio vanno ricordati i Piani Nazionali di Emergenza per l’Area Vesuviana e Flegrea.

9.3.2 Gli indicatori fondamentali

Nome indicatore DPSIR Target/obiettivo di qualità ambientale Stato Trend

Indice di esplosività vulcanica (V.E.I.) S

Valutare la pericolosità vulcanica dell’area partenopea per la definizione del rischio, inteso come prodotto della pericolosità del vulcano per la vulnerabilità e per il valore degli elementi esposti.

☺ ↑

Morfologia dell’area

S

Valutare la pericolosità vulcanica dell’area partenopea per la definizione del rischio, inteso come prodotto della pericolosità del vulcano per la vulnerabilità e per il valore degli elementi esposti.

Densità abitativa delle aree a rischio vulcanico P

Ridurre la pressione insediativa nelle aree vulnerabili ↓

Aree a diversa pericolosità vulcanica S

Definire lo scenario dei fenomeni attesi, in caso di ripresa dell’attività ai fini della pianificazione di emergenza.

☺ ↑

Precursori geofisici e geochimici S

Monitorare le variazioni dei parametri fisico – chimici dei sistemi vulcanici profondi ai fini del preannuncio dell’eruzione.

☺ ↑

Educazione nella scuola R

Promuovere campagne di educazione e sensibilizzazione tra le popolazione delle aree a rischio.

☺ ↑

Interventi per la riduzione del rischio R

Incentivi volti a favorire la riduzione dei resisdenti nelle zone a più elevato rischio ☺ ↑

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Fattori di Rischio

9.3.3 Il sistema vulcanico attivo nell'area napoletana

9.3.3.1 Il Somma-Vesuvio

Il Somma- Vesuvio è un complesso vulcanico formato da un vulcano più antico il Monte Somma e da un cono recente, il Vesuvio. L’attività di questo vulcano, è stata caratterizzata da una grande variabilità sia del tipo di eruzioni che della composizione chimica dei magmi. Il Vesuvio, rivela uno spettro di attività completo che va dal cono di scorie ai flussi lavici (tipo 1944) fino alle eruzioni catastrofiche di tipo subpliniano (tipo 1631) e pliniano (tipo 79 A.D.). Le eruzioni attese nell’area vesuviana possono essere sia di tipo esplosivo che effusivo e il centro di emissione può essere sia nella parte sommitale del vulcano (eruzione tipo 1944) che lungo i fianchi, anche a quote basse (eruzioni 1760 e 1794). Va rilevato che allo stato attuale non è ancora possibile prevedere quale tipo di eruzione possa verificarsi, in quanto le sole analisi statistiche non permettono di far luce sulla struttura e sulla dinamica del vulcano. Studi scientifici hanno indicato che negli ultimi 2-3000 anni, il tasso di alimentazione della camera magmatica profonda (alimentazione profonda) si mantiene grossolanamente costante. Sulla scorta di tali risultati, nonché della distribuzione dei prodotti e di ricostruzioni al calcolatore, è stato definito lo scenario del massimo evento atteso (MEA) a medio-breve termine (15-20 anni). Per l’eruzione massima attesa al Vesuvio è stata presa come riferimento l’eruzione del 1631, ovvero l’evento più violento e distruttivo della storia recente del Vesuvio. Attualmente il vulcano è caratterizzato dalla presenza di attività idrotermale e fumarolica all’interno del cratere.

9.3.3.2 I Campi Flegrei

I Campi Flegrei costituiscono un’area vulcanica complessa la cui struttura principale è rappresentata da una caldera originata da due episodi di collasso connessi con le eruzioni dell’Ignimbrite campana ( 39000 anni fa) e del Tufo Giallo napoletano (15000 anni fa). Il magmatismo della struttura vulcanica dei Campi Flegrei è connesso con le fasi tettoniche distensive che hanno interessato il margine tirrenico dell’Appennino, generando faglie normali ad andamento NW–SE e NE–SW (Ippolito et al. 1973; D’Argenio et al. 1973 Bartole et al. 1984). Le eruzioni sono state per la maggior parte esplosive e caratterizzate dall’alternanza di esplosioni magmatiche e freatomagmatiche. Tra le eruzioni più violente connesse all’attività dei Campi Flegrei, successivamente all’eruzione del Tufo Giallo Napoletano e al relativo collasso calderico, si ricordano: • l’eruzione delle Pomici Principali (10700 anni fa); • l’eruzione di Agnano Monte Spina (4.100 anni fa); • l’ultima eruzione è avvenuta nel 1538 (Monte Nuovo). Un aspetto rilevante nella dinamica dei Campi Flegrei è il fenomeno del bradisismo caratterizzato da moti verticali e deformazioni del suolo, sismicità elevata e attività fumarolica della Solfatara. Tale fenomeno è dovuto a variazioni chimico – fisiche legate all’attività dei Campi Flegrei, che producono un aumento della temperatura e della pressione nelle rocce sovrastanti il serbatoio magmatico. Lo stato attuale di attività dei Campi Flegrei è caratterizzato da bassa sismicità, valori costanti nella composizione dei gas fumarolici, nonché valori decrescenti della temperatura.

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9.3.3.3 L’isola di Ischia

L’isola di Ischia rappresenta la porzione sommitale di un apparato vulcanico con una estensione di circa 42 Kmq ed una altezza massima di 787 mt, in corrispondenza del monte Epomeo, situato nella parte centrale dell’isola stessa. Quest’ultimo non è un edificio vulcanico ma è costituito dai prodotti di diversi apparati vulcanici e da edifici vulcanici che lo bordano. L’attività vulcanica dell’isola, così come l’intero Distretto Vulcanico Flegreo, è connessa con le fasi tettoniche distensive che hanno interessato il margine tirrenico dell’Appennino. La storia vulcanica evidenzia che la fase di attività più recente è stata caratterizzata da eruzioni di energia più bassa rispetto a quella liberata nelle grandi eruzioni esplosive che hanno preceduto i collassi calderici. L’eruzione storica più recente è quella dell’Arso del 1301-1302 che diede luogo ad una colata lavica che investì la parte orientale dell’Isola. Il sistema magmatico dell’isola è tuttora attivo, come dimostrato dalla presenza di sorgenti termali e dalla intensa attività fumarolica e sismica (POSTPISCHL, 1985).

9.3.4 La valutazione del rischio vulcanico

La storia eruttiva di un vulcano e la conoscenza del suo stato di attività costituiscono gli elementi fondamentali per la valutazione della pericolosità del vulcano stesso. Quest’ultima consente di: • definire la massima eruzione prodotta nel passato da un vulcano; • valutare i tempi di ricorrenza della sua attività; • formulare ipotesi circa la massima eruzione attesa ed il possibile comportamento futuro

del vulcano. La conoscenza della pericolosità vulcanica di un’area, nonché la zonazione del territorio sulla base dei pericoli attesi, consente la stima del rischio, inteso come il prodotto di tre fattori: la pericolosità del vulcano, la vulnerabilità ed il valore degli elementi esposti. Sono stati considerati quali parametri di valutazione degli scenari di pericolosità per i tre vulcani attivi presenti nell’area napoletana: • la storia eruttiva passata e la formulazione di modelli di “comportamento” del vulcano; • l’indice di esplosività vulcanica per la caratterizzazione dell’evento vulcanico atteso; • la morfologia dell’area vulcanica; • la simulazione fisico – numerica degli eventi attesi.

9.3.4.1 L’indice di esplosività vulcanica

L’Indice di Esplosività Vulcanica (V.E.I.) è il risultato dell’interazione di più fattori di natura sia qualitativa (descrizione generale dell’eruzione) che quantitativa (altezza della colonna eruttiva e volume dei prodotti emessi). Con il V.E.I. si è in grado di classificare le eruzioni vulcaniche e fornire indicazioni sul grado di esplosività di un evento eruttivo. Il valore del V.E.I. è direttamente proporzionale all’ intensità eruttiva ovvero, ai valori più elevati corrispondono eruzioni di maggiore energia.

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Fattori di Rischio

Figura.8 -Fattori di calcolo del V.E.I.

FONTE: “Volcanoes of the world” Simkin T., Siebert L.

In tabella 17 sono stati riportate le eruzioni vulcaniche caratterizzate dallo stesso V.E.I. indicando anche il rapporto prodotto lavico/prodotto esplosivo (L/T).

Tabella.17 - Eruzioni caratterizzate dallo stesso valore del VEI

Vulcano V.E.I. Numero eruzioni con lo stesso V.E.I. L/T Caratteristiche eruttive

1 1 flusso di lava

2 9 7/- ; 6/- esplosione, flusso di lava; lahar

3 29 7/-; 7/8; -/8; 7/7; 8/7

esplosione, flusso di lava; lahar; distruzione

4 3 -/8; 8/8 esplosione, flusso piroclastico; flusso di lava; lahar; tsunami; distruzione; morte

5 2 -/9 esplosione, flusso piroclastico; lahar; tsunami;

Vesuvio

6 1 -/10 esplosione, flusso piroclastico; flusso di lava; lahar; tsunami; distruzione; morte

1 1 attività freatica

2 1 7/- esplosione; duomo lavico

3 7 -/7; -/9 esplosione; flusso piroclastico;attività freatica;flusso di lava, lago di lava; distruzione e morte

Campi Flegrei

4 4 -/8 esplosione; flusso piroclastico

FONTE: “Volcanoes of the world” Simkin T., Siebert L.

Dall’analisi dei dati sintetizzati in tabella emerge che il VEI registrato al Monte Somma-Vesuvio ricade in un range (raggio) compreso tra 1 e 6, mentre quello relativo ai Campi Flegrei in un range da 1 a 4. Per le eruzioni di Ischia, il valore del V.E.I. non è facilmente individuabile, in quanto la distribuzione dei prodotti emessi è da ricercare sul fondo marino. Ad un elevato valore del V.E.I. corrispondono valori molto bassi del rapporto L/T.

9.3.4.2 La morfologia dell’area

La distribuzione sul suolo dei prodotti da flusso di un’eruzione vulcanica (colata lavica, corrente piroclastica; colata di fango o lahar) è strettamente connessa alla morfologia dell’area.

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Seconda Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Campania

Individuare su un’area vulcanica le zone di recapito di acqua o di materiale eruttivo sin e post deposizionale e gli alti morfologici, significa poter azzardare una previsione sulla pericolosità dell’area stessa. Tali prodotti tendono ad incanalarsi nei valloni già preesistenti e ad arrestarsi sia nelle zone più depresse che ai piedi di baluardi naturali. Nell’area vesuviana gli alti morfologici rappresentati dalla collina dei Camaldoli e dalla caldera del Somma, hanno condizionato la propagazione dei flussi piroclastici.. Il ruolo di ostacolo esercitato dal Somma è confermato da alcune simulazioni effettuate con un flusso di massa simile a quello del 1631 (1.5-5 107 kg/s) (Baxter, 1998). Le aree più depresse intorno al Vesuvio, si configurano con la Valle del Sebeto (settore occidentale), la Fossa di Nola (settore settentrionale), la Valle del Sarno (settore orientale); tutte ricadenti nella zona gialla entro un raggio di 20 km dal cono. La morfologia dei Campi Flegrei fa presumere che i flussi piroclastici relativi alle eruzioni flegree, si muoveranno ad alta velocità all’interno della stessa depressione. Solamente i flussi più energetici riusciranno a sormontare le scarpate che bordano la depressione calderica.

9.3.4.3 Il monitoraggio geofisico e geochimico

Da campagne di misurazione del degassamento diffuso della Solfatara (DDS, Diffuse Degassing Structure) è emerso che il valore del flusso di CO2 è variato negli anni, fra 137 t/giorno e 340 t/giorno. In particolare le emissioni di CO2 risultano leggermente più alte del flusso di CO2 prodotto da 20 vulcani attivi (1436 t/d) (Chiodini et al., 2001). Si stima che le emissioni di CO2 della Solfatara sono paragonabili alle emissioni di CO2 di una città di circa 50000 abitanti. Tali valori di CO2 naturali sommati alle concentrazioni di CO2 di origine antropica, costituiscono un fattore di pressione rilevante per la qualità dell’aria nella zona flegrea.(Chiodini et al., 2001)

9.3.5 La Pianificazione di Emergenza

La valutazione e la zonazione della pericolosità vulcanica costituiscono la premessa fondamentale per una corretta programmazione e pianificazione del territorio, per l'elaborazione dei “Piani di Emergenza” e la definizione di strategie di controllo dei fenomeni vulcanici. Nella stima del rischio vulcanico dell’area napoletana giocano un ruolo determinante sia l’elevata densità abitativa dell’area vesuviana e flegrea che il valore del patrimonio (abitativo e naturale) esposto. Tali fattori contribuiscono a rendere estremamente elevato il valore di rischio. Allo scopo di mitigare il rischio connesso ad una possibile ripresa dell’attività vulcanica sia per il Vesuvio che per i Campi Flegrei, il Dipartimento Nazionale di Protezione Civile ha elaborato appositi “Piani Nazionali di Emergenza” per la gestione delle situazioni di emergenza e di rischio elevato. Tali Piani rappresentano uno strumento essenziale per le politiche di mitigazione del rischio e sono elaborati in funzione di parametri quali: lo scenario eruttivo ed i livelli di pericolosità definiti per ogni singolo vulcano; la distribuzione della popolazione sul territorio; la presenza di infrastrutture e la loro vulnerabilità. Ad oggi non è ancora stato elaborato un “Piano di Emergenza” per l’Isola d’Ischia.

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Fattori di Rischio

9.3.5.1 Il Piano Nazionale di Emergenza dell’area vesuviana

Il Piano elaborato da una Commissione istituita dal Ministro per il coordinamento della Protezione Civile nel 1993, assume come scenario di riferimento un’eruzione con caratteristiche simili a quella subpliniana avvenuta nel 1631 e considerata come il massimo evento atteso. Lo scenario di riferimento del massimo evento atteso è stato elaborato dal Gruppo Nazionale per la Vulcanologia del CNR, sulla base della storia eruttiva, del comportamento del sistema magmatico nel tempo e dello stato attuale di attività del Vesuvio. Il piano è attualmente in via di aggiornamento da parte della "Commissione incaricata di provvedere all'aggiornamento dei piani di emergenza dell'area flegrea e dell'area vesuviana". Il piano di emergenza Vesuvio, prevede varie fasi in funzione dei livelli di di allerta progressivamente crescenti definiti dalla comunità scientifica (Gruppo Nazionale per la Vulcanologia, Osservatorio Vesuviano, Gruppo Nazionale Difesa dai Terremoti) in base a variazioni registrate nello stato del vulcano (sismicità, deformazioni, variazione del campo gravimetrico, temperatura e composizione delle fumarole). Nel Piano sono individuate, sulla base della pericolosità (hazard), tre specifiche aree di intervento: • Zona Rossa; • Zona Gialla; • Zona Blu. La zona rossa è quella immediatamente circostante il vulcano ha un'estensione radiale di circa 200 Kmq e comprende i 18 Comuni della provincia di Napoli, citati nel decreto istitutivo della Commissione n. 516 del 9/8/1993. Tale area ha geometria circolare, in quanto la parete del Monte Somma (che negli ultimi secoli ha protetto i centri abitati ubicati a Nord, dalle colate laviche) potrebbe non essere alta abbastanza da impedire lo scavalcamento da parte dei flussi piroclastici. La Zona Gialla, che potrebbe essere interessata da caduta di particelle, ha un'estensione di 1.100 Kmq e comprende 59 Comuni delle province di Napoli, Avellino, Salerno e marginalmente Benevento. Il settore della zona gialla che sarà interessato dalla caduta di particelle non può essere individuato in anticipo perché esso sarà definito dall'altezza che la colonna eruttiva raggiungerà e dalla direzione e velocità dei venti in quota al momento dell'eruzione. Pertanto, solo una parte degli abitanti della zona gialla dovrà allontanarsi durante l'eruzione. La Zona Blu è l'area che, oltre ad essere esposta a caduta di particelle, potrebbe essere invasa da colate di fango ed essere interessata da inondazioni e alluvioni. Essa ha un'estensione di circa 100 Kmq, coincide con la Fossa di Nola e comprende 14 comuni della provincia di Napoli.

9.3.5.2 Il Piano Nazionale di Emergenza per l’area flegrea

Anche per l’Area Flegrea, la Protezione Civile ha istituito una Commissione Nazionale incaricata di provvedere all'aggiornamento del Piano di Emergenza già esistente; il lavoro della Commissione è tutt’ora in corso. La storia vulcanologica della caldera dei Campi Flegrei negli ultimi 10.000 anni, pone dei vincoli nella definizione dello scenario eruttivo in caso di ripresa dell'attività vulcanica in tempi medio-brevi; pertanto, ai fini della valutazione della pericolosità dell’area sono stati presi in considerazione l’attività degli ultimi 5.000 anni e lo stato attuale dell’intero sistema vulcanico. Per l’elaborazione del Piano di Emergenza dei Campi Flegrei, è stata presa come riferimento, un’eruzione con caratteristiche simili a quelle di tipo esplosivo che più frequentemente si sono manifestate.

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Seconda Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Campania

Queste ultime sono fondamentalmente caratterizzate da alternanze di esplosioni magmatiche e freatomagmatiche. In relazione allo scenario eruttivo ipotizzato dalla comunità scientifica, (Gruppo Nazionale per la Vulcanologia,) ed alle carte di pericolosità prodotte, la Protezione Civile ha definito l'area a più alto rischio. Quest'ultima, individuata come Zona Rossa, comprende l'area esposta al pericolo di scorrimento di correnti piroclastiche e comprende i comuni di Monte di Procida e Bacoli e parte di quelli di Pozzuoli e Napoli. Il Piano di Emergenza per l’Area Flegrea prevede quattro livelli di allerta definiti sulla base delle variazioni nello stato fisico e chimico del sistema vulcanico, registrate dall'Osservatorio Vesuviano. A fronte degli eventi bradisismici, più volte manifestatisi negli ultimi trent'anni, è in elaborazione un Piano Stralcio per l'emergenza bradisismica, per la porzione di zona rossa che potrebbe esserne interessata; altresì è in elaborazione anche una dettagliata zonazione dell' area napoletano-flegrea, denominata Zona Gialla, esposta al pericolo di caduta di materiale piroclastico. Nelle tabelle 18 e 19 sono state riportate le densità abitative delle aree vesuviana e flegrea.

Tabella 18 -Densità abitativa nella Zona Rossa (alto rischio vulcanico) - Area Vesuviana

Comuni Popolazione - 1999 Area (kmq) Densità

Boscoreale 29.363 11,20 2621,70

Boscotrecase 11.191 7,49 1494,13

Cercola 19.486 3,74 5210,16

Ercolano 57.983 19,64 2952,29

Massa di Somma 6.098 3,50 1742,29

Ottaviano 24.728 19,85 1245,74

Pollena Trocchia 13.240 8,11 1632,55

Pompei 26.019 12,41 2096,62

Portici 61.822 4,52 13677,43

SanGiorgio a Cremano 60.173 4,11 14640,63

San Giuseppe Vesuviano 26.820 4,09 6557,46

San Sebastiano al Vesuvio 10.320 2,60 3969,23

Sant'Anastasia 28.888 18,76 1539,87

Somma Vesuviana 33.673 30,74 1095,41

Terzino 15.954 23,51 678,60

Torre Annunziata 47.360 7,33 6461,12

Torre del Greco 95.243 30,66 3106,43

Trecase 9.814 6,14 1598,37

Totale 578175 218 2647,32

FONTE: “Reporting per ampliare la base conoscitiva occorrente per la revisione della Valutazione Ambientale ex – ante del POR Campania (2000 – 2006) – ARPAC 2002

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Fattori di Rischio

Tabella 19 -Densità abitativa nella Zona Rossa (alto rischio vulcanico) - Area Campi Flegrei

Comuni Circoscrizione Popolazione - 1999 Area (kmq) Densità

I Bagnoli 27.201 7,96 3417,21

II Fuorigrotta 82.137 6,2 13247,90

III Soccavo 51.992 5,11 10174,56

IV Pianura 60.505 11,45 5284,28

54 sezioni censuarie di:

V S.Ferdinando-Chiaia-Posillipo (quartiere Posillipo) 0 0,13 0

V S.Ferdinando-Chiaia-Posillipo (quartiere Chiaia) 323 0,04 8075,00

X Vomero 10.938 0,44 24859,09

NAPOLI

XIArenella 15.751 1,37 11497,08

I 28.888 15,88 1819,14

II 18.984 5,69 3336,38 POZZUOLI

7 sezioni censuarie della III 1.907 1,44 1324,31

BACOLI 27.936 13,29 2102,03

MONTE DI PROCIDA 13.715 3,65 3757,53

TOTALE 340.277 72,65 4684

FONTE: “Reporting per ampliare la base conoscitiva occorrente per la revisione della Valutazione Ambientale ex – ante del POR Campania (2000 – 2006) – ARPAC 2002

9.3.5.3 Le azioni di prevenzione per la riduzione del rischio vulcanico

Mitigare il rischio vulcanico nell’area partenopea, significa non solo favorire una pianificazione coerente ed integrata con la naturale vocazione del territorio, che vada a contenere il valore esposto (uno dei principali fattori di rischio) ma anche promuovere e diffondere una cultura di prevenzione del rischio vulcanico, tra la popolazione. La costante sensibilizzazione dei cittadini sulla pericolosità dei vulcani concentrati nel territorio napoletano, consente una maggiore consapevolezza e partecipazione alle azioni pianificate nei Piani di Emergenza Nazionali. A tale fine il Dipartimento di Protezione Civile ha il compito di svolgere periodiche esercitazioni relative ai Piani Nazionali di emergenza, promuovere attività di informazione e formazione dei cittadini e coordinare le organizzazioni locali di volontariato. Ad oggi sono state svolte tre esercitazioni nazionali per l’area vesuviana denominate: • Vesuvio 1999 che ha coinvolto il comune di Somma Vesuviana; • Vesuvio 2000 che ha interessato il comune di Trecase; • Vesuvio 2001 che ha interessato il comune di Portici. Vanno inoltre ricordate le numerose campagne di sensibilizzazione della popolazione ed in particolare degli studenti, per la diffusione e lo sviluppo di una cultura sul rischio sismico. A tal fine, infatti, sono stati promossi i progetti “Scuola sicura”, rivolti agli studenti delle scuole medie inferiori e superiori, sia per una corretta conoscenza del territorio e dei rischi con i quali si convive che, per favorire comportamenti corretti nelle situazioni di emergenza. Tali progetti, nonché le attività divulgative e centri espositivi sul Vesuvio e campi Flegrei, sono state affidate all’Osservatorio Vesuviano.

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Seconda Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Campania

Con Delibera n. 2139 del 20 giugno 2003, la Giunta Regionale della Campania ha avviato una serie di interventi di grande rilevanza mirati alla riduzione del rischio nell’area vesuviana attraverso incentivi economici volti a favorire la riduzione del numero di residenti nei comuni della zona rossa. Trattasi di un investimento importante (2700 milioni di Euro) che si prefigge di delocalizzare dalla zona a rischio circa 120000 abitanti in cinque anni. Nella stessa delibera vengono anche stanziati fondi e dettate procedure per la lotta all’abusivismo edilizio sul Vesuvio.

9.3.6 Conclusioni

Il territorio napoletano comprende tre vulcani attivi: il Somma–Vesuvio, i Campi Flegrei ed Ischia che possono riprendere la loro attività eruttiva e dare luogo ad eruzioni di tipo esplosivo. L’elevata pericolosità di ogni singolo vulcano, l’alto valore esposto e la sua vulnerabilità contribuiscono a rendere estremamente elevato il valore di rischio dell’area. La definizione del rischio vulcanico si basa sulla zonizzazione del territorio in funzione della pericolosità (hazard) attesa; tale zonizzazione viene rappresentata attraverso carte di pericolosità vulcanica. Tali carte se non rientrano rigorosamente in un piano più generale di sviluppo e assetto territoriale, non servono, però, ad evitare le catastrofi. A tale fine, per lo sviluppo di politiche di mitigazione del rischio è necessario pianificare l’uso del territorio in maniera coerente con la sua vocazione naturale attraverso azioni che vadano soprattutto a contenere il valore esposto. Alle politiche di pianificazione e programmazione del territorio va affiancata una efficace azione di sensibilizzazione della popolazione, soprattutto dei giovani, per sviluppare una cultura di prevenzione del rischio vulcanico. A questo proposito vanno utilizzati tutti i canali di informazione: scuola, mezzi di comunicazione di massa tra cui le Esercitazioni Nazionali di Protezione Civile, relative ai Piani Nazionali di Emergenza per l’Area Vesuviana e Flegrea. Tali piani costituiscono lo strumento indispensabile per le politiche di mitigazione del rischio.

ARPA Campania 606

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9.4 I RISCHI INDUSTRIALI

L’uso industriale di sostanze chimiche può originare rischio di incidenti quali: scoppio di serbatoi, rottura di contenitori o tubazioni, dispersione di sostanze tossiche, accensione di una miscela, eventi indotti (causati da agenti esterni quali un fulmine, un sisma, un’inondazione,ecc.), con possibili conseguenze anche all’esterno delle aree produttive. In tabella 20 sono elencate le possibili conseguenze associate ai diversi eventi.

Tabella 20 - Conseguenze legate ad incidenti industriali

Evento Conseguenze

Incendio fiamme, produzione di calore, sviluppo di prodotti di combustione (gas tossici, gas corrosivi)

Esplosione onde di pressione, proiezione di frammenti, calore, sviluppo di gas tossici o corrosivi.

Rilascio di sostanze tossiche concentrazione pericolosa in aria o in acqua, inquinamento ambientale, pericolo per la popolazione o per la fauna

La prevenzione degli incidenti industriali rilevanti è regolamentata da una consistente normativa di settore. Il primo passo è stato il D.P.R. n° 175 del 17 maggio 1988 (SEVESO I) in attuazione della direttiva 82/501/CE relativa ai rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali. Successivamente, in data 17 agosto 1999, in recepimento della direttiva 96/82/CE, è stato emanato il D.Lgs. n. 334 (SEVESO BIS) che detta “disposizioni finalizzate a prevenire gli incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose e a limitarne le conseguenze per l’uomo e per l’ambiente”. Un’azienda è classificata a rischio di incidente rilevante se fa uso di una o più sostanze riportate nell’Allegato I del D.Lgs. 334/99 e se supera le soglie previste nelle Colonna 2 e 3 dello stesso Allegato. L’emanazione del Decreto si è resa necessaria per le seguenti principali ragioni:

− l’evoluzione tecnologica con la produzione di nuove sostanze e l’approfondimento degli studi sugli effetti tossici delle sostanze esistenti, hanno comportato la necessità e l’adeguamento della classificazione e dei quantitativi delle sostanze pericolose;

− l’analisi statistica degli incidenti rilevanti e dei quasi incidenti ha evidenziato carenze nel sistema organizzativo e gestionale della sicurezza, a causa di una scarsa informazione e formazione dei lavoratori.

Capitolo

9

Fattori di Rischio

4.I RISCHI INDUSTRIALI

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Seconda Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Campania

Ne risulta un notevole ampliamento del campo di applicazione che, oltre all’abbassamento delle soglie delle quantità di sostanze che possono essere stoccate e/o trattate rispetto al DPR 175/88, include anche altre sostanze non contemplate precedentemente, ad esempio le sostanze per l’ambiente tossiche per l’ambiente acquatico, contrassegnate da frasi di rischio R50 e R51/53 (es. Gasolio) e introduce per il gestore anche una serie di adempimenti dipendenti dalla classificazione delle industrie. Le novità introdotte amplificano le competenze delle ARPA e delle Regioni. Il Decreto, attraverso l’art. 18, assegna alle Regioni specifiche competenze riguardo la facoltà legislativa sulla valutazione dei rischi derivanti da stabilimenti nuovi e già esistenti, con particolare riferimento all’individuazione dell’autorità e delle modalità per l’attuazione dei provvedimenti derivanti dall’istruttoria. Le competenze consistono nel:

− valutare, a cura dell’autorità competente (ARPA), i Rapporti di Sicurezza (RdS) e adottare le relative conclusioni;

− individuare, a cura dell’autorità competente (ARPA) preposta, le visite ispettive per le industrie soggette a notifica;

− stabilire le modalità per l’adozione dei provvedimenti discendenti dall’istruttoria; − definire le modalità per il coordinamento dei soggetti che procedono all’istruttoria

tecnica, raccordando le funzioni dell’ARPA con quelle del CTR (Comitato Tecnico Regionale) e degli altri organismi tecnici coinvolti (ISPESL, ASL, VV. F) e, nel rispetto dell’art. 25, identificare le modalità per l’esercizio della vigilanza e del controllo;

− definire le procedure per l’adozione degli interventi di salvaguardia dell’ambiente e del territorio (predisposizione dei Piani di Emergenza Esterni), in relazione alla presenza di industrie a RIR (Rischio di Incidenti Rilevanti).

Le competenze squisitamente tecniche sono trasferite dalla Regione all’ARPAC mediante apposita convenzione. La Regione Campania, in attuazione dell’art. 18, ha predisposto un disegno di legge, attualmente all’esame degli organi competenti per la sua approvazione. Altre novità introdotte sono:

1. l’effetto domino: 2. il sistema di gestione della sicurezza; 3. il controllo dell’urbanizzazione: 4. La classificazione delle industrie

1. L’effetto domino L’effetto “domino”, o a catena, consiste nella possibile sequenza di eventi incidentali, anche di natura diversa, originati in un componente di un impianto ed in grado di estendersi a componenti vicini, (presenti nello stesso impianto o al di fuori) a causa di elevati valori di proiezioni di frammenti o di sovrappressioni e/o di radiazioni termiche. La gravità degli incidenti, a causa dell’effetto domino, è ben nota ed il Decreto nel riconoscerne l’importanza, richiede un analisi del rischio, anche al di fuori dei confini del singolo stabilimento, in particolare in aree ad elevata concentrazione di attività a RIR. 2. Il Sistema di Gestione della Sicurezza (SGS) Il SGS è un complesso di norme e di comportamenti atti a prevenire e/o limitare incidenti rilevanti. Con la pubblicazione del D. M. 9 agosto 2000 si dà attuazione all’art. 7 del Decreto il quale prevede che le aziende che ricadono nell’art. 2 comma 1 si dotino di un SGS. Gli obblighi a cui viene sottoposto il gestore nel SGS sono:

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Fattori di Rischio

1) stesura del documento che descrive la politica di prevenzione degli incidenti rilevanti; 2) individuazione dei principi generali su cui intende basare la politica di prevenzione degli

incidenti rilevanti, comprese eventuali adesioni volontarie a normative tecniche, regolamenti, accordi e iniziative;

3) impegno a realizzare, adottare e mantenere un SGS; 4) indicazione dei principi e dei criteri di progettazione ed attuazione del SGS; 5) articolazione dettagliata e descrizione delle parti e voci che costituiscono il SGS; 6) riferimento a guide o norme tecniche nazionali o internazionali in accordo alle quali

l’SGS verrà progettato; 7) programma temporale di attuazione del SGS.

3. Il controllo dell’urbanizzazione Il D. M. 9 maggio 2001 in attuazione dell’art. 14 del Decreto, affronta il problema del rapporto tra industria – territorio – ambiente, con elementi di forte innovazione per la gestione della sicurezza dell’impianto e la compatibilità territoriale riguardante sia la localizzazione che i processi produttivi. In questa prospettiva il Decreto prevede:

− introduzione di più efficaci SGS; − inserimento di criteri guida per la pianificazione territoriale ed urbanistica in relazione agli

insediamenti abitativi, sistemi infrastrutturali e industrie a rischio; − previsione del possibile effetto domino; − coinvolgimento attivo della popolazione nella fase di realizzazione di nuovi impianti e/o

modifiche sostanziali degli stessi. Pertanto i Sindaci dovranno verificare che gli strumenti urbanistici siano congruenti con la sicurezza dell’ambiente e della popolazione; e adottare appropriati provvedimenti affinché siano mantenute opportune distanze tra gli impianti a rischio e le zone residenziali e tra quelle particolarmente sensibili o frequentate dal pubblico ecc. 4. La classificazione delle industrie Il Decreto classifica le industrie in cinque categorie; per convenzione esse vengono suddivise in: CLASSE D, (art. 2, comma 3) sono definite le industrie solo in senso tecnico e non soggette

ad alcun obbligo se non alla legge 626/94; CLASSE C, (art. 5 comma 2) le industrie sono tenute a identificare i rischi integrando la

valutazione di cui al D. Lgs. 626/94; CLASSE B, (art. 5 comma 3)le industrie sono tenute a predisporre il Piano di Emergenza

Interno (PEI) e a presentare alla Regione ed al Prefetto: − una relazione; − la scheda di informazione alla popolazione.

CLASSE A2, (art. 6) sono tenute a: − presentare la notifica al Ministero dell’Ambiente, alla Regione, alla Provincia, al

Comune, al Prefetto e al CTR; − presentare la scheda di informazione alla popolazione, al Ministero dell’Ambiente,

alla Regione, al Comune ed al Prefetto; − predisporre il PEI e inviarlo al Prefetto ed alla Provincia; − redigere il documento di politica della prevenzione e predisporre ed attuare il Sistema

di Gestione della Sicurezza (SGS).

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Seconda Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Campania

CLASSE A1, (art. 8) oltre a tutti gli adempimenti della classe A2 devono predisporre: − il Rapporto di Sicurezza (RDS) e inviarlo al CTR; − fornire informazioni per la redazione del PEE al Prefetto ed alla Provincia.

Il Decreto sottopone le industrie di classe A ad una serie di ispezioni da parte di Ispettori qualificati:

− per le industrie appartenenti alla classe A2 (art. 6) la cadenza sarà periodica, secondo un calendario predisposto dalla Regione in base alla valutazione del grado di pericolosità;

− per le industrie appartenenti alla classe A1(art. 8) la cadenza sarà annuale, secondo un calendario predisposto dal Ministero dell’Ambiente.

9.4.1 Gli indicatori fondamentali

Nome indicatore DPSIR Target/obiettivo di qualità ambientale Stato Trend

Tipologia di stabilimenti a RIR soggetti al D.Lgs. 334/99.

P

Inventario degli stabilimenti soggetti agli artt. 6 e 8, 5 comma 3 del D.Lgs 334/99. ☺ _

Numero di impianti a RIR soggetti al Lgs. 334/99.

P

Inventario degli stabilimenti soggetti agli artt. 6 e 8, 5 comma 3 del D.Lgs 334/99..

☺ _

Comuni interessati da insediamenti a RIR

P

Individuazione delle aree ad elevata concentrazione di stabilimenti industriali a rischio di incidente rilevante ai sensi dell’art.13 del D.Lgs 334/99. ☺ _

Attività di controllo degli impianti a RIR (istruttorie, visite ispettive, piani di emergenza esterni)

R

Svolgimento di istruttorie per gli stabilimenti soggetti alla presentazione del rapporto di sicurezza (art. 19). Accertamento attraverso visite ispettive dell’adeguatezza della politica di prevenzione degli incidenti rilevanti attuata dal gestore e dei relativi SGS (art. 25) Predisposizione del Piano di Emergenza Esterno per gli stabilimenti di cui all’art. 8 (art. 20).

☺ _

9.4.2 Le attività a rischio di incidente rilevante (RIR) in Regione Campania

L’esame degli stabilimenti soggetti al D.Lgs. 334/99 fornisce un quadro generale delle pressioni esercitate dalle attività a rischio di incidente rilevante su un determinato contesto territoriale di riferimento. Le tipologie di attività industriali più diffuse tra gli stabilimenti/depositi a rischio di incidente rilevante in Regione Campania sono rappresentate da depositi di GPL (42,7%) e di prodotti petroliferi (17,3%), con il restante 40% di impianti la cui tipologia non è stata specificata, come

ARPA Campania 612

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Fattori di Rischio

riportato in tabella 21. In tabella 22 è stata evidenziata la differenziazione di tali impianti sulla base dei soggetti a sola notifica (art. 6) o a rapporto di sicurezza (art. 8) secondo il D.Lgs. 334/99. In particolare 48 impianti risultano soggetti a sola notifica (art. 6) e 26 impianti a rapporto di sicurezza (art. 8). In tabella 23 si è riportato il numero di impianti soggetti esclusivamente alla presentazione di una relazione (art. 5 comma 3), corrispondenti a 4, di cui due a Benevento, uno a Napoli ed uno a Caivano (NA).

Tabella 21 -Classificazione delle attività per tipologia di impianti in Regione Campania

Tipologia di impianti Numero

depositi di GPL 32

Depositi di prodotti petroliferi 13

Altri 29

TOTALE 74

FONTE: CTR – Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio

Tabella 22 -Numero di impianti soggetti a sola notifica (art. 6) o a rapporto di sicurezza (art.8 ) in Regione Campania

Tipologia di soggetti Numero

soggetti a sola notifica (art. 6) 48

soggetti a rapporto di sicurezza (art. 8) 26

TOTALE 74

FONTE: CTR – Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio

Tabella 23 - Numero di impianti soggetti a sola relazione (art. 5 comma 3) in Regione Campania

Comune Provincia Numero

Benevento Benevento 2

Napoli Napoli 1

Caivano Napoli 1

FONTE: Regione Campania

La ripartizione su scala provinciale degli impianti soggetti agli artt. 6 e 8 (24) indica che il numero maggiore di stabilimenti a RIR è localizzato in provincia di Napoli (40), cui fanno seguito le province di Salerno (15), Caserta (14) ed infine Avellino (5) e Benevento (1).

Tabella 24 -Numero di impianti soggetti a sola notifica (art. 6) o a rapporto di sicurezza (art.8), ripartiti per Provincia (Elenco aggiornato ad ottobre 2002)

Provincia Art. 6 Art. 8 Totale

Avellino 5 0 5

Benevento 1 0 1

Caserta 9 5 14

Napoli 23 16 39

Salerno 10 5 15

TOTALE 48 26 74

FONTE: CTR – Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio

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Seconda Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Campania

Il dettaglio comunale degli insediamenti a RIR (Tabella 25 e relativa cartografia) indica che i comuni con la più elevata concentrazione di stabilimenti sono quelli di Napoli e Marcianise.

Tabella 25 - Elenco dei comuni interessati da insediamenti a RIR (artt. 6 e 8)

Comune Provincia Art. 6 Art. 8

NAPOLI1 2 10

ALTAVILLA IRPINA AV 1 0

AVELLINO AV 3 0

MONTEFORTE IRPINO AV 1 0

BENEVENTO BN 1 0

CASAL DI PRINCIPE CE 0 1

CASERTA CE 1 0

CESA CE 1 0

CURTI CE 0 1

GRAZZANISE CE 1 0

MADDALONI CE 1 0

MARCIANISE CE 2 3

PIGNATARO MAGGIORE CE 1 0

SANTA MARIA CAPUA VETERE CE 1 0

TEANO CE 1 0

ACERRA NA 0 1

AGEROLA NA 1 0

BACOLI NA 1 0

BOSCOTRECASE NA 1 0

CAIVANO NA 1 1

CAPRI NA 1 0

CASALNUOVO NA 2 1

CASAVATORE NA 1 0

CASTELLO DI CISTERNA NA 1 1

GIUGLIANO NA 1 1

NOLA NA 1 0

OTTAVIANO NA 1 0

PALMA CAMPANIA NA 1 0

1 Consorzio Operatori GPL di Napoli

ARPA Campania 614

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Fattori di Rischio

POGGIOMARINO NA 1 0

POMIGLIANO D’ARCO NA 1 0

POMPEI NA 1 0

PROCIDA NA 1 0

QUALIANO NA 1 1

SAN GIORGIO A CREMANO NA 1 0

TERZIGNO NA 1 0

TORRE ANNUNZIATA NA 1 0

ALBANELLA SA 1 0

ANGRI SA 1 0

BUCCINO SA 0 1

CAVA DEI TIRRENI SA 1 0

EBOLI SA 0 1

MERCATO SAN SEVERINO SA 2 0

PADULA SA 1 1

PAGANI SA 0 1

SAN CIPRIANO PICENTINO SA 1 0

SAN GIOVANNI A PIRO SA 1 0

SALERNO SA 2 0

SIANO SA 0 1

TOTALE 48 26

Fonte: CTR – Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio

Di seguito è infine riportato l’elenco delle sostanze coinvolte in attività a RIR. Sostanze coinvolte in attività a RIR metano; formaldeide 36%; acetone; acetato di etile; acetato di butile; acetato di isobutile; acetato di amile acetato di etossipropanolo acido acetico; acido cromico acido fluoridrico acido fluoridrico in soluzione acquosa al 40%; acido cloridrico;

acido solforico; acqua ragia vegetale; alcol metilico; alcol etilico; alcol isopropilico; alcol butilico; alcol isobutilico; paraxilolo; acetilene; alocrom 20ra 9,022 ton; alocrom 20m 0,2 ton; nitrato di potassio; nitrato di bario; perclorato di potassio; carbonato di stronzio;

ossido di rame; zolfo; carbonio; titanio; arsenico; tellurio selenio piombo; ossigeno; idrogeno; ossido di carbonio bicromato di sodio; sali di kolene

Fonte: Rapporti di sicurezza.

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9.4.3 La situazione di controllo nella Regione Campania

Il controllo delle attività a Rischio di incidenti Rilevanti avviene attraverso: istruttorie visite ispettive piani di emergenza esterni

9.4.3.1 Le istruttorie

L’art. 19 del Decreto affida al CTR, in via transitoria, il compito di provvedere alle fasi istruttorie per le attività degli stabilimenti soggetti alla presentazione del rapporto di sicurezza ed a formulare le relative conclusioni. Pertanto i compiti del CTR possono così riassumersi: svolgimento delle istruttorie e sopralluoghi per gli stabilimenti esistenti e nuovi, soggetti alla

presentazione del Rapporto di sicurezza, quelli cioè previsti dall’art.8 del Decreto; svolgimento delle istruttorie e sopralluoghi per gli stabilimenti interessati alle modifiche con

aggravio di rischio; adozione del provvedimento conclusivo dell’istruttoria; rilascio Nulla Osta di Fattibilità (NOF) per nuovi stabilimenti; svolgimento di funzioni consultive; rilascio di parere tecnico in merito alle concessioni e autorizzazioni di cui all’art. 14 del Decreto,

cioè parere ai Sindaci circa la compatibilità territoriale sui rischi connessi alla presenza di uno stabilimento a RIR.

Altra importante innovazione del Decreto è di avere previsto un CTR dinamico, ovvero che oltre ai componenti fissi (ispettore regionale dei VVF, 2 componenti ISPESL, componente del Ministero del Lavoro, componente della Regione) vengono affiancati, due esponenti dell’ ARPAC nonché: il sindaco del comune ove è ubicata l’attività; un rappresentante della provincia in cui è ubicata l’attività; un comandante provinciale dei VV. F. sotto la cui giurisdizione ricade l’attività.

Allo stato attuale risultano concluse da parte del Comitato Tecnico Regionale tutte le istruttorie (corrispondenti a 26) delle attività che hanno presentato il Rapporto di Sicurezza.

9.4.3.2 Le visite ispettive

Le visite ispettive, previste dall’art. 25 del Decreto, sono finalizzate ad accertare l’adeguatezza della politica di prevenzione degli incidenti rilevanti posta in atto dal gestore e dei relativi sistemi di gestione della sicurezza. Sono limitate solo alle attività che ricadono negli artt. 6 e 8 del Decreto ed effettuate dalla Regione. In attesa dell’attuazione di quanto previsto dall’art. 18 dello stesso decreto, per gli stabilimenti ricadenti nell’ art. 8, le visite ispettive sono predisposte dal Ministero dell’Ambiente ai sensi del D M 5 novembre 1997. I criteri sulla base dei quali compiere le verifiche ispettive sono state individuati dal Decreto del Ministero dell’Ambiente 9 Agosto 2000 il cui obiettivo è di verificare: la conformità del Sistema di Gestione della Sicurezza (SGS) sia ai requisiti strutturali che ai

contenuti richiesti dalle normative; l’ attuazione della politica di sicurezza dichiarata dal gestore nel documento di politica di

prevenzione degli incidenti rilevanti, anche attraverso la considerazione degli obiettivi e dei principi, nonché dei risultai effettivamente raggiunti;

ARPA Campania 616

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Fattori di Rischio

le misure di prevenzione degli incidenti rilevanti da un punto di vista organizzativo e gestionale, la funzionalità del sistema di gestione, le modalità di attuazione, la comprensione e il grado di coinvolgimento delle persone che sono chiamate a svolgere funzioni o azioni rilevanti ai fini della sicurezza, ad ogni livello del sistema

Per identificare gli elementi gestionali critici è necessario prendere visione della seguente documentazione: documento di politica di prevenzione degli incidenti rilevanti; documenti che descrivono e sostanziano il sistema di gestione della sicurezza; eventuali verbali di precedenti visite ispettive; atti e prescrizioni derivanti dall’eventuale conclusione dell’istruttoria del Rapporto di Sicurezza; studio della valutazione dei rischi; piano di emergenza esterno o stralcio significativo di esso presso la Prefettura territorialmente

competente; esperienza storica propria dello stabilimento e di impianti e stabilimenti analoghi.

La visita ispettiva si conclude con un dettagliato rapporto all’autorità commissionaria (M. A. e/o Regione) la quale provvederà alle prescrizioni del caso.

9.4.3.3 La composizione delle commissioni.

La composizione delle commissioni è regolata dall’art. 20 del DPR 175/88 e successive modifiche e integrazioni che ne prevede figure e compiti. Di norma esse sono composte da: un ispettore ARPAC o APAT che funge da presidente; un ispettore dell’ISPESL; un ispettore del Ministero dell’Interno.

Gli ispettori possono accedere a tutti gli impianti e sedi di attività e richiedere tutti i dati, le informazioni e i documenti necessari per l’espletamento delle loro funzioni. Per quanto attiene al controllo delle attività circa il mantenimento degli standard di sicurezza in riferimento alle aziende di cui all’art. 8 sono state effettuate, su mandato del M. A. nel biennio 2001 – 2002, n. 10 visite ispettive di cui n. 8 con presidenza ARPAC e n° 2 con presidenza APAT. In riferimento invece al controllo delle attività di cui all’art. 6 è in corso di perfezionamento un protocollo di intesa tra la Regione e l’ ARPAC per la effettuazione di n. 20 visite ispettive entro l’anno 2003. Tali visite saranno condotte sulla base delle notifiche presentate, ed individuate a secondo del grado di pericolosità presentato. Le commissioni ispettive avranno la stessa composizione di quelle di cui all’art. 8 ed il rapporto finale sarà presentata alla Regione per i provvedimenti di conseguenza.

9.4.3.4 I Piani di Emergenza Esterni (PEE)

L’art. 20 del Decreto delega al Prefetto la predispostone del Piano di Emergenza Esterno (PEE) per gli stabilimenti di cui all’art. 8, al fine di limitare gli effetti dannosi derivanti da incidenti rilevanti. Per la predisposizione del PEE il Prefetto si avvale della seguente documentazione: informazioni fornite dal gestore ai sensi degli artt. 11 e 12 del Decreto; conclusioni dell’istruttoria del rapporto di sicurezza; linee guida del Dipartimento della Protezione Civile.

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Seconda Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Campania

e delle figure professionali provenienti da: ARPA; Enti Locali (Regione, Province, Comuni); Comando Provinciale dei VV.F.

Le finalità del piano sono volte essenzialmente a: controllare e circoscrivere gli incidenti in modo da minimizzarne gli effetti e limitarne i danni per

l’uomo e per l’ambiente; mettere in atto le misure necessarie per proteggere l’uomo e l’ambiente dalle conseguenze di

incidenti rilevanti; informare adeguatamente la popolazione e le autorità locali competenti; provvedere sulla base delle disposizioni vigenti al ripristino e al disinquinamento dell’ambente

dopo un incidente rilevante. Ad oggi, alla luce della nuova normativa introdotta dal Decreto, è stato redatto il Piano di Emergenza Esterno della zona orientale di Napoli considerata area ad elevata concentrazione industriale, anche se il relativo decreto ancora non è stato emanato. Per le altre attività i Prefetti hanno predisposto piani di emergenza esterna a seguito dell’Ordinanza del Ministero dell’Ambiente, di concerto con il Ministero dell’Interno, n° 682/AMB/2.1.20.1 del 10.02.1992. Questi, mediamente più conservativi, dovranno essere aggiornati alla luce della nuova normativa, nonché delle conclusioni delle istruttorie dei rapporti di sicurezza.

9.4.4 Conclusioni

L’aumento di interesse rispetto al tema dello sviluppo sostenibile ha portato negli ultimi anni ad una maggiore attenzione sul settore industriale per incentivare l’uso di tecnologie più rispettose per l’ambiente. Fondamentale è il ruolo svolto dall’informazione che secondo il decreto 334/99 deve essere “tempestiva, resa comprensibile, aggiornata e diffusa” (art.22 comma 4) in modo da assolvere efficacemente l’obbligo di legge e facilitare le scelte operative. Anche la popolazione è coinvolta nei processi decisionali (art.23) riferiti alla costruzione di nuovi stabilimenti, a modifiche sostanziali degli stabilimenti esistenti e alla costruzione di insediamenti ed infrastrutture attorno agli stessi. Il parere, non vincolante, è espresso nell’ambito della progettazione dello strumento urbanistico o del procedimento di valutazione di impatto ambientale, eventualmente mediante la conferenza di servizi.

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Page 49: Fattori di Rischio Capitolo - arpacampania.itdi+rischio.pdf · dissesto idrogeologico, terremoti ed eruzioni vulcaniche. ... fino al 31 dicembre 2003. In questo periodo sono state

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