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1 STORIE IN CORSO VI. Seminario nazionale dottorandi Catania, 26-28 maggio 2011 www.sissco.it FARE STORIA ATTRAVERSO UNA BIOGRAFIA: RICCARDO LOMBARDI E LA SINISTRA ITALIANA DEL NOVECENTO di Luca Bufarale (Università degli studi di Padova - Scuola di dottorato in scienze storiche) Tutor: prof. Silvio Lanaro Oggetto, motivazioni della ricerca e contesto storiografico di riferimento “Scrivere storia è un atto di amicizia tra gli uomini; scrivere una biografia ne è forse l’esempio maggiore” 1 . L’incipit del recente libro di Piero Graglia dedicato alla vita di Altiero Spinelli ben si adatta anche al mio lavoro, che consiste in una biografia del dirigente azionista e poi socialista Riccardo Lombardi. Figura tra le più influenti del socialismo del dopoguerra anche se spesso più sul piano culturale che su quello dell’agone politico – Lombardi (Regalbuto 1901 Roma 1984) è stato spesso descritto come un “irregolare” della sinistra italiana o come la sua “coscienza critica” 2 . Nato in Sicilia da padre di origini toscane e madre siciliana, ingegnere di professione, Lombardi inizia la sua militanza giovanissimo nelle file della sinistra cattolica, prima nel Partito popolare e poi, dal 1921, nel piccolo Partito cristiano del lavoro. Antifascista della prima ora, collabora con la rete clandestina comunista, senza però mai iscriversi ufficialmente al partito, si avvicina successivamente a Giustizia e Libertà. Attivo nella Resistenza, diventa prefetto di Milano dopo il 25 aprile e nel dicembre 1946 entra nel primo governo De Gasperi come ministro dei Trasporti. Tra i fondatori del Partito d’Azione, vi tiene una linea considerata “centrista” (rispetto all’ala liberale di Parri e La Malfa e a quella socialista di Lussu) e ne diventa segretario nella sua ultima fase, dal congresso del febbraio 1946 sino allo scioglimento nell’ottobre 1947. Anziché disperdersi, come molti ex-azionisti, in formazioni minori, aderisce al Partito socialista di cui diventa, specialmente 1 Piero S. Graglia, Altiero Spinelli, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 9. 2 Si veda ad es. il giudizio che ne dà Sircana: “per le sue posizioni spesso fuori dagli schemi e comunque mai condizionate dalle convenienze e dalle compatibilità del momento politico, il L. venne rappresentato come un «socialista inquieto» e «coscienza critica della sinistra»”. Cfr. Giuseppe Sircana, Lombardi Riccardo, in AA. VV., Dizionario biografico degli italiani, vol. 65°, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1995, pp. 485 – 487.

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STORIE IN CORSO VI.

Seminario nazionale dottorandi

Catania, 26-28 maggio 2011

www.sissco.it

FARE STORIA ATTRAVERSO UNA BIOGRAFIA: RICCARDO LOMBARDI

E LA SINISTRA ITALIANA DEL NOVECENTO

di Luca Bufarale (Università degli studi di Padova - Scuola di dottorato in scienze storiche)

Tutor: prof. Silvio Lanaro

Oggetto, motivazioni della ricerca e contesto storiografico di riferimento

“Scrivere storia è un atto di amicizia tra gli uomini; scrivere una biografia ne è forse l’esempio

maggiore”1. L’incipit del recente libro di Piero Graglia dedicato alla vita di Altiero Spinelli ben si

adatta anche al mio lavoro, che consiste in una biografia del dirigente azionista e poi socialista

Riccardo Lombardi. Figura tra le più influenti del socialismo del dopoguerra – anche se spesso più

sul piano culturale che su quello dell’agone politico – Lombardi (Regalbuto 1901 – Roma 1984) è

stato spesso descritto come un “irregolare” della sinistra italiana o come la sua “coscienza critica”2.

Nato in Sicilia da padre di origini toscane e madre siciliana, ingegnere di professione, Lombardi

inizia la sua militanza giovanissimo nelle file della sinistra cattolica, prima nel Partito popolare e

poi, dal 1921, nel piccolo Partito cristiano del lavoro. Antifascista della prima ora, collabora con la

rete clandestina comunista, senza però mai iscriversi ufficialmente al partito, si avvicina

successivamente a Giustizia e Libertà. Attivo nella Resistenza, diventa prefetto di Milano dopo il 25

aprile e nel dicembre 1946 entra nel primo governo De Gasperi come ministro dei Trasporti. Tra i

fondatori del Partito d’Azione, vi tiene una linea considerata “centrista” (rispetto all’ala liberale di

Parri e La Malfa e a quella socialista di Lussu) e ne diventa segretario nella sua ultima fase, dal

congresso del febbraio 1946 sino allo scioglimento nell’ottobre 1947. Anziché disperdersi, come

molti ex-azionisti, in formazioni minori, aderisce al Partito socialista di cui diventa, specialmente

1 Piero S. Graglia, Altiero Spinelli, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 9.

2 Si veda ad es. il giudizio che ne dà Sircana: “per le sue posizioni spesso fuori dagli schemi e comunque mai

condizionate dalle convenienze e dalle compatibilità del momento politico, il L. venne rappresentato come un

«socialista inquieto» e «coscienza critica della sinistra»”. Cfr. Giuseppe Sircana, Lombardi Riccardo, in AA. VV.,

Dizionario biografico degli italiani, vol. 65°, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1995, pp. 485 – 487.

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dopo la svolta “autonomista” del 1956, uno dei leader principali. Considerato spesso all’inizio degli

anni sessanta un “destro” per la sua linea favorevole al centro-sinistra e per il suo autonomismo

rispetto al Partito comunista (ma duramente attaccato anche dalla destra economica per la

nazionalizzazione dell’energia elettrica e la riforma urbanistica da lui sostenute), verrà poi

etichettato come “sinistro” quando, come animatore della corrente della “sinistra socialista”, oppone

alla linea del compromesso storico seguita dal PCI di Berlinguer quella di un’alternativa di sinistra

nel segno di un socialismo “autogestionario” in risposta alla crisi del capitalismo degli anni settanta.

Sempre più isolato, di fatto, all’interno del PSI in seguito al consolidamento della leadership di

Craxi, Lombardi continua però ad essere sino alla fine un punto di riferimento per il dibattito sul

futuro della sinistra italiana ed europea.

Il mio interesse per questo personaggio, maturato a partire da una ricerca sul periodo del centro-

sinistra, si è concretizzato con la tesi di laurea specialistica, incentrata sul suo operato negli anni tra

il 1956 e il 19663, e prosegue ora con il lavoro di dottorato che mira ad una ricostruzione

complessiva del suo pensiero e della sua azione politica. Se si eccettua una biografia della Mafai4,

scritta quando Lombardi era ancora vivente, e un libro di carattere soprattutto encomiastico uscito

di recente5, non esistono ancora studi complessivi su di lui. A partire, però, da un convegno del

2002 i cui atti sono stati pubblicati6, è rinato un certo interesse per la sua figura che ha coinvolto

studiosi come Andrea Ricciardi e Giovanni Scirocco, già impegnati in ricostruzioni sull’azionismo,

il centro-sinistra e la storia del PSI. Alla fine del 2009, in occasione del 25esimo anniversario dalla

scomparsa, si è tenuto un nuovo convegno a Torino7, al quale ho preso parte. Attualmente è in corso

anche un’altra tesi di dottorato su Lombardi, centrata sul periodo 1947 – 19668.

Il lavoro che sto svolgendo si caratterizza per focalizzarsi, più che sugli aspetti propriamente

politici, sull’evoluzione del pensiero di Lombardi. E’ mio intento, in particolare, ricostruire

soprattutto la formazione politico-culturale e l’attività nel periodo che va dagli anni venti agli anni

quaranta, una fase che risulta – se si eccettua un pregevole studio di Emanuele Tortoreto e un

3 Luca Bufarale, Riccardo Lombardi e il centro-sinistra, tesi di laurea in Storia d’Europa, Università degli studi di

Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2007/08, relatore prof.ssa Mariuccia Salvati, correlatore prof.ssa Francesca

Sofia. 4 Miriam Mafai, Lombardi, Milano, Feltrinelli, 1976. Il libro è stato ristampato nel 2009 a cura della casa editrice

romana Ediesse. 5 Carlo Patrignani, Lombardi e il fenicottero, Roma, L’Asino d’oro, 2009.

6 Andrea Ricciardi – Giovanni Scirocco (cur.), Per una società diversamente ricca. Scritti in onore di Riccardo

Lombardi, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2004. 7 Riccardo Lombardi nel 25esimo anniversario della sua scomparsa, Torino, Camera del Lavoro, 7 novembre 2009. Gli

atti del convegno, organizzato dall’Associazione nazionale Riccardo Lombardi presieduta da Nerio Nesi, sono in corso

di pubblicazione. 8 Si tratta del lavoro del dott. Tommaso Nencioni, dottorando della facoltà di Scienze politiche dell’Università degli

studi di Bologna (tutor prof. Piero Craveri).

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contributo di Giovanni De Luna9 – assai meno studiata rispetto al centro-sinistra

10, anche a causa

della difficoltà, come spiegherò meglio successivamente, di reperire il materiale documentario.

Ciò che mi ha da subito affascinato di Lombardi è stata la sensazione della sua irriducibilità ai

filoni prevalenti nella sinistra dell’Italia repubblicana, che rende la sua figura difficilmente

descrivibile sulla base di molte categorie consolidate dell’analisi politica corrente11

.

Schematizzando un poco potremmo dire che la sinistra italiana dal dopoguerra almeno sino agli

anni settanta è essenzialmente riconducibile a quattro tradizioni: il filone comunista del “partito

nuovo” togliattiano, la tradizione del socialismo riformista che si rifà a Turati e a Prampolini (anche

nella sua accezione più “giacobina” di Pietro Nenni), l’area del “liberalismo di sinistra” di

ascendenza salveminiana (ad es. Ernesto Rossi) e, infine, un filone “rivoluzionario” che trae origine

spesso dal socialismo di sinistra (Panzieri) o da esperienze eretiche del comunismo (l’USI di

Magnani) per poi confluire in vario modo nella “nuova sinistra” emersa con il Sessantotto.

L’esperienza politica di Lombardi ha in un certo senso incrociato tutti e quattro i filoni di pensiero,

senza poter essere ricondotta ad uno solo di questi. La definizione di “atipico” cui si fa riferimento

nel titolo della tesi si giustifica in vari modi. Innanzitutto per il suo stesso percorso politico, che lo

9 Emanuele Tortoreto, La politica di Riccardo Lombardi dal 1944 al 1949, Genova, Edizioni di Movimento operaio e

socialista, 1972. Per una riflessione generale su Lombardi e il Pda cfr. Giovanni De Luna, Riccardo Lombardi e il

Partito d’Azione, in Ricciardi – Scirocco, op. cit., pp. 29 – 37. Lo stesso De Luna, però, nella sua fondamentale storia

dell’azionismo dedica relativamente poco spazio a Lombardi e, in generale, a tutta la fase finale del partito in cui

Lombardi è segretario (ossia dal congresso del febbraio 1946 allo scioglimento nell’ottobre 1947), ritenendo che il PdA

fosse già virtualmente “finito” nel febbraio 1946 con la scissione dell’ala di Parri e La Malfa. Cfr. De Luna, Storia del

Partito d’Azione, Torino, UTET, 2006 (1a ediz. Milano, Feltrinelli, 1982). 10

Sull’operato di Lombardi durante il centro-sinistra cfr. soprattutto Bruno Becchi, Lombardi e il centro-sinistra, in Id.

(cur.), Riccardo Lombardi, l’ingegnere del socialismo italiano, in “Quaderni del Circolo Rosselli”, Milano, Angeli,

1992; Andrea Ricciardi, Riccardo Lombardi e l’apertura a sinistra 1956 – 1964, in Ricciardi – Scirocco, op. cit., pp. 61

– 110. Sugli anni cinquanta cfr. Bruno Becchi, Riccardo Lombardi negli anni di superamento della politica unitaria, in

Id., Figure del socialismo italiano, Firenze, Pagnini, 2010, pp. 71 – 103. 11

Cfr. a titolo esemplificativo le analisi su Lombardi nelle seguenti opere sulla storia del PSI: Maurizio Degl’Innocenti,

Dal dopoguerra ad oggi, vol. 3° della Storia del PSI a cura di Zeffiro Ciuffoletti, Maurizio Degl’Innocenti, Giovanni

Sabbatucci, Roma – Bari, Laterza, 1993, soprattutto pp. 111 – 120, 308 – 367, 411 – 420; Giovanni Sabbatucci, Il

riformismo impossibile. Storie del socialismo italiano, Roma – Bari, Laterza, 1991; Paolo Mattera, Il partito inquieto.

Organizzazione, passioni e politica dei socialisti italiani dalla Resistenza al miracolo economico, Roma, Carocci, 2004.

Vedi anche Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Torino, Einaudi, 1989, p. 355 e pp. 359 – 362;

Silvio Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana, Venezia, Marsilio, 1992, pp. 94 – 96, 146, 330 – 333; Enzo Santarelli,

Storia critica della Repubblica. L’Italia dal 1945 al 1994, Milano, Feltrinelli, 1996, p. 125. Per fare un esempio forse

un po’ banale, la consueta dicotomia riformismo-rivoluzione male si adatta a chi come Lombardi, specie a partire

dall’esperienza del centro-sinistra degli anni sessanta, ha lanciato le parole d’ordine del “riformismo rivoluzionario” e

della “conquista dei poteri” come via per realizzare un socialismo “autogestionario” in grado di misurarsi con il

“capitalismo maturo” in crisi degli anni settanta e di costituire una netta alternativa al socialismo burocratico dei paesi

dell’Europa dell’Est Cfr. su questo punto Riccardo Lombardi, Riforme e rivoluzione dopo la seconda guerra mondiale,

lezione tenuta al seminario di storia contemporanea organizzato dall’Istituto di storia della facoltà di magistero di

Torino, dal Centro studi Piero Godetti e dal Circolo della Resistenza, Torino, 20 marzo 1974. in Guido Quazza (cur.),

Riforme e rivoluzione nella storia contemporanea, Torino, Einaudi, 1977, pp. 311 – 335. Vedi anche Lombardi e il

socialismo italiano, tavola rotonda con Gaetano Arfé, Gianni Baget Bozzo, Federico Coen, Enzo. Forcella, Francesco

Forte, Paolo Spriano, in “Mondo Operaio”, novembre 1978, pp. 108 – 12 e le prefazioni di Lombardi a Gilles Martinet,

La conquista dei poteri, Venezia, Marsilio, 1969, pp. XI – XVI (ediz. orig., La conquĕte des pouvoirs, Paris, Editions

du Seuil, 1968) e a Michele Achilli – Francesco Dambrosio, L’alternativa socialista. Autogestione e riforme di

struttura, Milano, Mazzotta, 1976, pp. 9 – 12

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porta a contatto con tendenze della sinistra anche molto diverse tra loro: piuttosto peculiare è ad

esempio il suo passaggio dalla sinistra cattolica a Giustizia e Libertà, dopo un avvicinamento al

Partito comunista12

. In secondo luogo per l’eterogeneità di una formazione culturale fondata su una

commistione di interessi scientifici e filosofico-letterari – piuttosto peculiare in un paese come

l’Italia dominato da una sorta di “frattura” tra il campo umanistico e quello delle scienze – e che va

da Marx a Keynes, dal trockismo al cristianesimo sociale13

. Infine per le scelte compiute di volta in

volta che lo hanno portato spesso a sostenere posizioni “scomode” e a intraprendere battaglie su due

fronti, come avviene ad esempio nel 1948-49 quando sostiene in politica estera una posizione

neutralista combattendo l’entrata dell’Italia nel Patto Atlantico, senza però allinearsi alla linea filo-

URSS del PCI e della corrente “frontista” del PSI14

. Lo studio di una figura come Lombardi mi

sembra quindi l’ideale per porre alcune questioni di più ampia portata sulla storia della sinistra e del

movimento operaio in Italia.

Negli ultimi anni, del resto, sono stati vari gli storici ad essersi cimentati in biografie di dirigenti

politici dell’Italia repubblicana quali De Gasperi, La Malfa, Berlinguer, Parri, Valiani, Spinelli,

Berlinguer15

… Molti di questi lavori (il volume di Remaggi su Parri, quello di Ricciardi su Valiani

o quello di Soddu su La Malfa) rendono evidente, sin dal titolo e dalla scansione cronologica scelta,

una problematica di carattere generale: nel caso della biografia di Parri il tema dell’edificazione

della democrazia e il nodo antifascismo/anticomunismo, in quella su Valiani il passaggio dal

comunismo all’azionismo all’interno dell’antifascismo militante, nel libro su La Malfa la

costruzione di una sinistra “riformista” e “occidentale” relativamente alla politica economica e a

quella estera. Non tutti gli autori, naturalmente, desiderano esplicitare sin dall’inizio le tematiche di

fondo. Al di là delle diverse impostazioni, comunque, mi sembra di poter ritrovare in questi lavori

un denominatore comune: il tentativo di partire dalla storia individuale di un personaggio per porre

degli interrogativi che riguardino la storia più generale dell’Italia in un determinato periodo. La

12

Cfr. Raffaele Colapietra, La lotta politica in Italia. Dalla liberazione di Roma alla Costituente, Bologna, Patron,

1969, p. 278. Colapietra parla di “esemplarità” dell’iter politico e umano di Lombardi, “dal cattolicesimo di estrema

sinistra al comunismo e all’azionismo, su uno sfondo ingegneristico ed ambrosiano tipicamente produttivista,

tendenzialmente liberista”. A parziale correzione della definizione di Colapietra, si può aggiungere che Lombardi si

avvicinò al Partito comunista negli anni 1925 – 30 collaborando alla rete clandestina, anche per via della militanza

comunista dell’allora compagna (che poi diventerà sua moglie) Ena Viatto, senza però mai esservi iscritto ufficialmente. 13

Cfr. Sergio Dalmasso, Riccardo Lombardi: lo scacco del riformismo rivoluzionario, in Ricciardi – Scirocco, op. cit.,

p. 15. Interessante è la perifrasi usata dallo storico Marino, il quale per descrivere il Lombardi della fine degli anni

sessanta parla di “posizioni libertario-marxiste-radicali”. Cfr. Giuseppe Carlo Marino, Biografia del Sessantotto.

Utopie, conquiste, sbandamenti, Milano, Bompiani, 2004. 14

Cfr. Emanuele Tortoreto, Riccardo Lombardi e le relazioni internazionali dalla Resistenza al 1957, in Ricciardi –

Scirocco, op. cit., pp. 39 – 60. 15

Luca Polese Remaggi, La nazione perduta. Ferruccio Parri nel Novecento italiano, Bologna, Il Mulino, 2004; Piero

Craveri, De Gasperi, Bologna, Il Mulino, 2006; Francesco Barbagallo, Enrico Berlinguer, Roma, Carocci, 2007;

Andrea Ricciardi, Leo Valiani. Gli anni della formazione: tra socialismo, comunismo e rivoluzione democratica,

Milano, Angeli, 2007; Paolo Soddu, Ugo La Malfa. Il riformista moderno, Roma, Carocci, 2008; Piero S. Graglia,

Altiero Spinelli, Bologna, Il Mulino, 2008.

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biografia diventa così il mezzo privilegiato per trattare degli argomenti che vanno molto al di là del

singolo e che, tuttavia, possono essere sviscerati meglio attraverso un approccio che parte da una

storia individuale. Del resto, a prescindere dall’oggetto studiato, il compito di qualsiasi storico non

consiste proprio nel generalizzare delle domande che abbiano sempre delle risposte locali?16

Scrivere una biografia: alcune questioni epistemologiche e di metodo

La realizzazione di un lavoro storiografico, di ogni tipo e su qualsiasi tema esso sia, pone sempre

delle questioni di carattere metodologico ed epistemologico, riguardanti, ad esempio, il rapporto tra

il singolo individuo e il contesto in cui opera oppure il peso dei condizionamenti dell’epoca in cui lo

storico vive rispetto alla definizione del suo oggetto di studio. Nel caso della biografia, però, ho

l’impressione che tali problematiche si avvertano ad un livello più alto. Prima di illustrare i

problemi relativi alle fonti e alla struttura del lavoro, mi sembra utile, quindi, proporre qualche

riflessione su ciò che comporta in termini di metodo il “fare storia” attraverso lo strumento

biografico.

Nell’introduzione ad una tavola rotonda sul rapporto tra storici e biografia apparsa recentemente

sull’American Historical Review lo studioso americano David Nasaw fa notare come ciò che

distingue l’approccio dello storico al genere biografico è il valore attribuito alle interrelazioni tra la

vita della persona oggetto della ricerca e il mondo politico, sociale e culturale in cui si svolgono le

sue vicende17

. L’individualità ineliminabile del singolo non costituisce dunque per lui un a priori

ma, al contrario, un qualcosa che si definisce in base ad uno scarto rispetto alle idee prevalenti, alle

strutture politiche e all’ambiente sociale di un certo periodo. Il soggetto individuale, insomma, è sì

il prodotto di un’epoca storica ma è anche colui che si distacca in qualche maniera dal suo tempo e

che, all’interno delle circostanze in cui gli è dato operare, aggiunge sempre un elemento di novità.

Nasaw riprende a questo proposito una celebre frase dell’Ideologia tedesca di Marx ed Engels: “le

circostanze creano gli uomini allo stesso modo in cui gli uomini creano le circostanze”18

.

Il tipo di rapporto tra il singolo e il contesto così come esso emerge da una biografia dipende da

vari fattori. In primo luogo, naturalmente, vi sono le caratteristiche dell’epoca analizzata e del

materiale usato come fonte. Una componente fondamentale, però, è dovuta allo stesso approccio

scelto, in modo più o meno consapevole, dallo storico. In uno studio apparso sulle Annales nel 1989

Giovanni Levi, uno dei fondatori in Italia della “microstoria”, distingue almeno quattro tipi di

biografia, utilizzando come criterio principale il differente rapporto che si instaura tra il

16

Devo questa indicazione di metodo ad una lezione del prof. Giovanni Levi durante il ciclo di seminari del dottorato in

scienze storiche dell’Università degli studi di Padova. 17

David Nasaw, Introduction to Historians and Biography, AHR Roundtable, in “American Historical Review”, june

2009, pp. 573 – 578. Ringrazio la prof.ssa Carlotta Sorba dell’Università di Padova per avermi segnalato il testo. 18

Ibid., p. 578.

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“particolare” del caso singolo e il “generale” dell’epoca storica19

. Nel primo tipo, la biografia

modale, lo studio di un individuo ha soprattutto lo scopo di fornire dati che mostrino i

comportamenti statisticamente più frequenti in un dato periodo e in un determinato gruppo sociale:

in questo caso la biografia sconfina nella prosopografia. Il secondo livello è costituito dai lavori

fondati primariamente sull’analisi del contesto, del milieu socio-culturale di appartenenza del

personaggio studiato. In certe situazioni tale analisi si rivela necessaria per comprendere alcuni

atteggiamenti del singolo che apparirebbero inesplicabili senza un riferimento alle pratiche culturali

dell’epoca: è il caso di molti studi di “microstoria” (l’autore cita il volume di Nathalie Zemon-

Davies su Martin Guerre, il contadino-impostore della Francia del XVI secolo20

) In altri, lo studio

del contesto serve a colmare vere e proprie lacune documentarie: Levi fa, a questo proposito,

l’esempio del libro di Franco Venturi sugli anni giovanili di Diderot, in cui lo storico ha dovuto

procedere quasi sempre senza l’ausilio di documentazione diretta21

. Nei due casi,

indipendentemente dall’originalità del singolo, è il sistema sociale nel suo insieme a prevalere

sull’individualità. La situazione cambia per quelle biografie che si concentrano sui cosiddetti casi-

limite: qui il contesto non appare più come qualcosa di esaustivo o di totalizzante, ma come un

campo di relazioni “aperto” che lascia al singolo dei margini a prima vista insospettabili di libertà.

Non sempre un approccio di questo tipo conduce per forza ad una restaurazione di quella storia

delle “grandi individualità” o, per dirla con Hegel, del ruolo dei “personaggi cosmico-storici” che la

storiografia dell’ultimo secolo e mezzo, concentratasi più sui “sistemi” istituzionali, socio-

economici o culturali, ha giustamente ridimensionato. In certi autori il caso-limite può servire,

molto meglio del caso-tipo, a ricostruire un aspetto “generale” di una società, come avviene per la

bizzarra visione del cosmo del mugnaio friulano Menocchio che, nella ricostruzione storica operata

da Carlo Ginzburg, permette di comprendere meglio la cultura popolare contadina del

Cinquecento22

. Nell’ultimo tipo di biografia preso in considerazione, ad essere centrale è l’atto

interpretativo stesso dello storico, ovvero l’ “attribuzione di un senso ad un atto biografico che

poteva riceverne un’infinità di altri”: mentre nel primo esempio la biografia sfocia nella

prosopografia, qui tende a sconfinare nell’ermeneutica, con risultati, secondo Levi, spesso

pericolosamente relativistici23

.

19

Giovanni Levi, Les usages de la biographie, in “Annales E. S. C.”, novémbre-decémbre 1989, pp. 1325 – 1336. 20

Natalie Zemon-Davies, Il ritorno di Martin Guerre: un caso di doppia identità nella Francia del Cinquecento,

Torino, Einaudi, 1984, con una postfazione di Carlo Ginzburg (ediz. orig. The return of Martin Guerre, Cambridge,

MA, Harvard University Press, 1983). 21

Franco Venturi, La giovinezza di Diderot 1713-1753, Palermo, Sellerio, 1988 (ediz. orig. Jeunesse de Diderot de

1713 à 1753, Paris, Skira, 1939). 22

Carlo Ginzburg, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del Cinquecento, Torino, Einaudi, 1976. 23

Levi, art. cit., p. 1332.

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La conclusione a cui perviene lo studioso italiano è che la biografia costituisce “il luogo ideale per

verificare il carattere interstiziale – e nondimeno importante – della libertà di cui dispongono gli

agenti, così come per osservare il modo in cui funzionano concretamente dei sistemi normativi che

non sono mai esenti da contraddizioni”24

. Il problema del rapporto tra il singolo e le strutture

politiche o sociali in cui è inserito non dipenderà tuttavia solo dal soggetto studiato e dalla

documentazione disponibile ma anche dal punto di vista adottato dallo storico, il quale, a seconda

sia del fine che si ripromette sia del suo sguardo rispetto al periodo storico studiato e delle fonti

utilizzate, potrà accentuare maggiormente la dipendenza del soggetto dal suo contesto di riferimento

o viceversa. Nel caso della biografia su Lombardi il tentativo sarà proprio quello di appurare volta

per volta che tipo di relazione si instaura tra le vicissitudini del singolo, le vicende dei partiti di cui

ha fatto parte e gli avvenimenti del quadro politico e sociale, evitando sia di slegare Lombardi dal

contesto sia di schiacciarlo troppo su di esso rischiando così di togliergli qualsiasi “atipicità”.

Torniamo ora per un momento all’interrogativo iniziale. Se il rapporto singolo-contesto non è

definito a priori ma si costruisce a posteriori sulla base delle domande poste dallo storico, occorre

chiedersi che tipo di relazione si instaura tra quest’ultimo e l’oggetto studiato. Sappiamo bene come

la storiografia dei due secoli passati abbia continuamente oscillato tra una posizione “positivista”

che persegue, almeno tendenzialmente, l’annullamento dell’intervento soggettivo dello storico in

modo da riportare documenti ed eventi “tali quali essi sono”, e un’attitudine più “idealista” o

“storicista” che sottolinea il ruolo imprescindibile della soggettività nell’atto di comprendere

(verstehen) e di ricostruire la realtà storica. Negli anni sessanta e settanta del Novecento il dibattito

tra le due posizioni si è incarnato, in un certo senso, nella contesa tra strutturalismo e storia

quantitativa da un lato e metahistory, ermeneutica e storia orale dall’altro. Michel De Certeau, forse

uno degli studiosi che ha maggiormente cercato di uscire dall’impasse proponendo le basi per una

nuova epistemologia storica, ha mostrato come la storia sia costitutivamente una disciplina a metà

strada tra science (nella misura in cui istituisce una frattura, una coupure, tra lo studioso e ciò che è

sottoposto ad analisi) e fiction (dal latino fingere inteso nel suo significato proprio di “foggiare” o

“fabbricare”): se da un lato si tende comprensibilmente a minimizzare la portata dell’intervento

dello storico nella ricostruzione degli eventi, dall’altro tale coupure tra soggetto e oggetto non è mai

assoluta e l’aspetto soggettivo tende comunque a ripresentarsi. La storiografia, insomma, non

costituirà mai lo “specchio” della realtà esterna, né potrà fare a meno di interrogarsi sul “luogo” da

cui sta parlando: se lo facesse, finirebbe col negare i suoi stessi principi costitutivi lasciando una

“zona d’ombra” nella sua attività e rischiando di ricadere nella “falsa coscienza” dell’ideologia25

.

24

Ibid., pp. 1333 – 1334. 25

Espongo qui, in estrema sintesi, solo alcune delle tesi sostenute dallo storico e antropologo francese. Cfr. Michel De

Certeau, La scrittura della storia, Roma, Il pensiero scientifico, 1977 (ediz. orig. L’écriture de l’histoire, Paris,

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Forse niente meglio di una biografia dimostra non soltanto l’impossibilità ma anche l’inutilità di

fare storia in modo puramente oggettivo, senza un intervento attivo del soggetto. Ricostruire la

vicenda complessiva di un personaggio politico come Lombardi porta inevitabilmente ad avere una

certa simpatia nei suoi confronti (nel senso greco di συν-πάζω, condivisione di sentimenti): ciò

avviene anche indipendentemente dal fatto che vi sia o meno una condivisione da parte dello storico

degli ideali della persona in questione. Esistono, però, a mio avviso due pericoli da evitare se si

vuole mantenere il rapporto soggetto-oggetto sui giusti binari. Un primo rischio può generarsi a

partire da un eccessivo schiacciamento dello storico rispetto all’oggetto di studi. Si arriva così a

“monumentalizzare” il personaggio in esame o a fare una storia “antiquaria”, aneddotica, incapace

di “interrogare” le vicende del personaggio a partire da alcune problematiche di fondo e dunque di

restituire al personaggio stesso il necessario spessore. Tale rischio è presente soprattutto quando si

maneggiano fonti come memorie o diari e diventa anche più forte in presenza delle autobiografie in

cui l’autore ricostruisce, quasi sempre ex post, le vicende di cui è stato protagonista fornendo la sua

personale versione dei fatti. Questo materiale, se non confrontato con documenti di altro tipo, oltre a

fornire ricostruzioni degli eventi non sempre attendibili al cento per cento, può indurre lo storico a

limitarsi ad una ricezione passiva di ciò che il personaggio ha voluto tramandare di sé. Il secondo

tipo di problema scaturisce, all’opposto, dalla propensione ad usare la biografia del personaggio

quasi come un pretesto per rispondere ad alcuni interrogativi più generali, accentuando oltremisura

il protagonismo dello storico. Il difetto di questa impostazione è una malcelata tendenza a giudicare,

a “fare il processo” al personaggio stesso, confrontandolo con altre personalità e mettendo in luce la

supposta maggiore o minore arretratezza del suo atteggiamento rispetto a un dato evento o processo

storico26

.

Nella ricerca su Lombardi mi è capitato spesso di fare i conti con questi due rischi. Se il primo

risulta almeno parzialmente neutralizzato, come dirò poi, dalla mancanza di una fonte come

l’autobiografia, non altrettanto posso dire per il secondo.

Le fonti

Condurre una ricerca su Lombardi implica affrontare alcune difficoltà innanzitutto nel reperimento

del materiale, specialmente per il periodo che va dagli anni venti alla prima metà degli anni

cinquanta. Nel fondo Riccardo Lombardi, depositato in parte da lui stesso e in parte dai figli dopo la

Gallimard, 1975); Id., Storia e psicoanalisi: tra scienza e finzione, Torino, Boringhieri, 2006 (ediz. orig Histoire et

psycanalyse entre science et fiction, Paris, Gallimard, 1987). Cfr. su questi temi anche il recente libro di Sabina Loriga,

Le petit X. De la biographie à l’histoire, Paris, Éditions du Seuil, 2010, soprattutto pp. 247 – 272. 26

Ho ripreso qui la categorizzazione operata da Nietzsche nella “seconda inattuale” sulla differenza tra storia

monumentale, antiquaria e critica. Cfr. Friedrich Nietzsche, Sull' utilità e il danno della storia per la vita, Milano,

Adelphi, 1974.

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sua morte e conservato presso la Fondazione di Studi storici Filippo Turati di Firenze, la maggior

parte della documentazione risale infatti agli anni successivi al 1964. Del periodo precedente sono

conservati soltanto alcuni discorsi inediti, vari appunti, materiale a stampa ed un epistolario non

molto cospicuo (una scelta di documenti relativa agli anni 1943-1947 è stata pubblicata a cura di

Andrea Ragusa27

). Ho dovuto procedere, quindi, ad un’ampia ricognizione di fondi di personaggi o

enti che abbiano avuto rapporti particolari con Lombardi e nei quali sia reperibile documentazione

da lui prodotta o che lo riguardi. Oltre all’Archivio di Stato (Casellario politico centrale e altre fonti

di polizia) prezioso specialmente per gli anni trenta, ho consultato soprattutto archivi di personalità

politiche del Partito socialista, come il fondo Nenni dell’Archivio centrale dello Stato o il fondo

Francesco De Martino all’Archivio storico del Senato o archivi di partito come il fondo della

Direzione del PSI conservato alla Fondazione Turati. Vi ho potuto reperire lettere, interventi di

Lombardi alla Direzione del partito, circolari ecc. Per il periodo del primo centro-sinistra e, in

particolare, per le vicende della nazionalizzazione dell’energia elettrica ho utilizzato anche il fondo

Ugo La Malfa all’ACS e il fondo Fanfani all’Archivio del Senato. Per la fase successiva al 1964 ho

integrato il materiale del fondo Lombardi con quello del fondo privato di Nerio Nesi (che ringrazio

per la cortesia e la fiducia accordatami) e dei fondi Arialdo Banfi ed Emanuele Tortoreto conservati

all’Istituto storico dell’età contemporanea di Sesto S. Giovanni. Più laboriosa è stata la ricerca per il

periodo del Partito d’Azione data la dispersione del materiale in un vari archivi differenti, dai fondi

Canetta, Rollier e Pischel dell’INSMLI di Milano ai fondi Schiavetti Ramat e Codignola all’ISRT

di Firenze sino all’archivio del PdA conservato presso l’ISTORETO di Torino.

Lombardi, del resto, non ha lasciato diari o memorie autobiografiche né si è mai peritato di

conservare sistematicamente un epistolario. Alla giornalista Miriam Mafai, che lo intervista alla

metà degli anni settanta, confida di aver rifiutato le proposte, pervenutegli da più parti, di scrivere la

sua autobiografia.

Sono cose turpi i ricordi […] non tengo nemmeno diari. Mai tenuti. E’ una vecchia abitudine cospirativa,

quella di non lasciare mai traccia di niente28

In realtà Lombardi si è spesso soffermato a rievocare, specialmente in interviste e relazioni ai

convegni, singoli episodi di vicende che lo riguardano negli anni giovanili e non si è mai sottratto

alle richieste da parte di compagni di partito o di storici di fornire puntuali resoconti che potessero

far luce su determinati eventi difficilmente ricostruibili con la sola documentazione archivistica. La

27

Riccardo Lombardi. Lettere e documenti (1943 – 1948), a cura di Andrea Ragusa, Manduria – Bari – Roma, Lacaita,

1998. 28

Mafai, op. cit., p. 12.

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sua propensione a rilasciare soltanto testimonianze su singoli avvenimenti evitando di cimentarsi in

una biografia complessiva non è affatto, quindi, il segno di un disinteresse nei confronti della

ricerca storiografica o di una resistenza personale a rievocare il proprio passato, ma è dovuta

probabilmente alla sua radicata antipatia per ogni forma di retorica autocelebrativa. Ai nostri fini,

tuttavia, la mancanza di un profilo biografico per il periodo pre-1943 non costituisce

necessariamente un male: se da un lato ciò rende senza dubbio difficile o impossibile ricostruire

alcuni eventi su cui la documentazione archivistica è scarsa o inesistente, dall’altro permette di

avere un’immagine di Lombardi forse più autentica e soprattutto più interessante storiograficamente

di quella che si avrebbe in presenza di una sua autobiografia, proprio perché meno vincolata ad una

rievocazione ex post dello stesso protagonista. Come accennavo prima, infatti, le autobiografie,

specialmente se scritte a distanza di molto tempo, sono spesso influenzate da giudizi espressi “col

senno di poi” dall’autore, con il rischio che ciò si rifletta anche nel lavoro dello storico che le

esamini come fonte primaria.

Un problema simile, del resto, mi si è presentato per quel tipo di fonte costituito dalle

testimonianze su Lombardi rilasciate da persone che lo hanno conosciuto o che hanno collaborato

con lui. In alcuni casi si tratta di interviste o interventi specifici su Lombardi o su alcuni aspetti

delle vicende che lo riguardano (la Resistenza, il centro-sinistra ecc.), in altri di notizie reperite in

libri o memorie a carattere autobiografico, come per “Il cavallo e la torre” di Foa29

o per le “Lettere

a Marta” di Antonio Giolitti30

. Questa documentazione è spesso molto preziosa: in alcuni casi si

rivela addirittura indispensabile per ricostruire eventi su cui non esistono fonti di altro tipo (ad

esempio un’intervista di Adolfo Tino del 1967 apparsa poi sugli “Annali dell’Istituto La Malfa” è

uno dei pochi documenti che attestino la partecipazione di Lombardi alle prime riunioni del Partito

d’Azione milanese nel 194231

); in altri, è utile nella misura in cui fornisce un giudizio esterno su

determinate scelte e idee del personaggio studiato che aiutano a problematizzare meglio la sua

figura (è il caso delle interviste curate da Ricciardi a protagonisti del centro-sinistra quali Foa,

Trentin, Ruffolo, Giolitti e Nesi32

). Anche questo tipo di fonti, però, non è esente dai limiti

riscontrati in precedenza nelle memorie e negli scritti autobiografici, ovvero la tendenza agli

anacronismi e alle valutazioni “col senno di poi”. Talvolta può capitare che testimonianze di diversi

autori riportino dati difformi su uno stesso avvenimento, come avviene, ad esempio, per la

29

Vittorio Foa, Il cavallo e la torre: riflessioni su una vita, Torino, Einaudi, 1991. 30

Antonio Giolitti, Lettere a Marta: ricordi e riflessioni, Bologna , Il mulino, 1992. 31

Adolfo Tino, Intervista sul Partito d’Azione, a cura di Ugo La Malfa e Luisa La Malfa Calogero, in “Annali

dell’Istituto Ugo La Malfa”, vol. 1°, 1985, p. 533. L’intervista risale al 2 gennaio 1967. 32 Giorgio Ruffolo, Centro-sinistra anni sessanta. Le avanguardie sconfitte, intervista a cura di Andrea Ricciardi, “Il

Ponte”, marzo 2000; Antonio Giolitti, Genesi e declino del primo centro-sinistra, ibid., aprile 2000, pp. 85 – 115;

Vittorio Foa – Pino Ferraris, Figure e discrasie nel socialismo degli anni cinquanta-sessanta, ibid, maggio 2000, pp. 95

– 124; Nerio Nesi, Riccardo Lombardi e il centro-sinistra, ibid., dicembre 2001.

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partecipazione di Lombardi al congresso clandestino del Partito d’Azione a Firenze il 5 e il 6

novembre, confermata da Ragghianti ma non da Enriquez Agnoletti e negata da Lussu33

. In altri, il

problema riguarda le spiegazioni che vengono date degli eventi stessi. Una fonte preziosa ma da

prendere in considerazione con cautela è costituita dalla memorialistica di Vittorio Foa,

specialmente di quella dagli anni ottanta in poi. In molti di questi libri, scritti dopo un periodo di

crisi politica e personale seguita alla stagione del terrorismo e del riflusso delle lotte operaie in cui

l’autore ha rivisto molte sue posizioni, si ritrovano ricostruzioni e valutazioni di eventi passati che

risentono fortemente del suo mutato giudizio. Per fare un esempio, nel già citato “Il cavallo e la

torre” Foa spiega la decisione sua e di Lombardi di far confluire ciò che restava del Partito

d’Azione nel Partito socialista ricordando il fascino che esercitava in loro Lelio Basso, sostenitore

in quel periodo di una linea anti-socialdemocratica (ovvero contro il PSLI di Saragat staccatosi in

seguito alla scissione del gennaio 1947) ma al tempo stesso antistalinista34

. In realtà, se si

analizzano le fonti primarie, e in particolare i verbali della Direzione del PSI e del Comitato

esecutivo del PdA si vede come le posizioni di Lombardi e di Foa sono in generale molto diverse da

quelle di Basso e come i due fossero assai più dubbiosi sulla strada da prendere di quanto non lasci

trasparire Foa, mentre è proprio Basso, pur consapevole delle differenza di vedute rispetto agli

azionisti, a favorirne l’entrata nel PSI in modo da evitare che se ne avvantaggiassero i

socialdemocratici. Ciò non toglie nulla, naturalmente, alla serietà della ricostruzione di Foa e

all’interesse che essa può presentare per un lavoro su Lombardi, a condizione, però, che la si utilizzi

come testimonianza (e non come analisi storica compiuta) e che non si scambi la sua maggiore

“completezza” rispetto ad altri tipi di fonti come sinonimo di maggiore attendibilità. Per lo stesso

motivo ho cercato di usare con parsimonia anche le testimonianze orali che ho raccolto da vari

collaboratori di Lombardi e di verificarne l’attendibilità confrontandole con altri tipi di fonti.

Avendo come obiettivo soprattutto un’analisi complessiva del pensiero di Lombardi e non solo

della sua vita, le fonti a stampa hanno giocato un ruolo essenziale, spesso anche più rilevante delle

fonti archivistiche. A differenza di altri leader socialisti italiani come Basso Foa o Giolitti,

Lombardi non ha mai redatto un’opera di carattere teorico, se si eccettua un libro-intervista a cura di

Carlo Vallauri del 1976 dal titolo “L’alternativa socialista”35

. Il suo pensiero va quindi ricostruito a

partire da articoli su quotidiani, interventi a convegni, interviste, prefazioni di libri ecc., in altre

parole utilizzando del materiale redatto senza pretese di sistematicità ma principalmente per fini

33

Carlo Ludovico Ragghianti, Disegno storico della liberazione italiana, Pisa, Nistri – Lischi, 1962, p. 336; Emilio

Lussu, Sul Partito d’Azione e gli altri: note critiche, Milano, Mursia, 1968, p. 32; Enzo Enriquez Agnoletti, Il convegno

di Firenze settembre 1943, in AA. VV; Il PdA dalle origini all’inizio della lotta armata, Atti del Convegno di Bologna,

23 – 25 marzo 1984, Archivio Trimestrale, Roma 1985, p. 651. 34

Foa, op. cit., pp. 199 – 200. 35

Riccardo Lombardi, L’alternativa socialista, a cura di Carlo Vallauri, Cosenza, Lerici, 1977 (nuova ediz. Roma,

Ediesse, 2009).

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occasionali. Per questo tipo di fonti vale un po’ lo stesso discorso che si faceva per l’autobiografia:

basandosi su materiale scritto soprattutto per scopi legati a circostanze del passato, lo storico può

sentirsi più libero di seguire il pensiero dell’autore nella sua evoluzione, senza i condizionamenti

che impone la presenza di un’opera di carattere più “strutturato” in genere redatta con l’intenzione

di sistematizzare una teoria per il futuro. Ciò risulta importante specialmente quando si tratta di un

leader politico il cui pensiero è per forza di cose influenzato dalle posizioni che egli prende nel

susseguirsi degli eventi.

E’ bene ricordare che manca a tutt’oggi una raccolta completa delle opere di Lombardi. I due

volumi degli “Scritti politici” usciti nel 1978 a cura di Simona Colarizi costituiscono una silloge

molto limitata, ancorché significativa36

. Nel 2001 sono stati pubblicati i discorsi parlamentari37

e,

recentemente, è uscita un’antologia degli articoli di Lombardi usciti sulla rivista “Il Ponte” del

periodo 1965-197338

. Una gran parte dei suoi scritti, però, resta sparsa in una miriade di quotidiani,

riviste e volumi. Mi sono riproposto di colmare le lacune costituendo una bibliografia che aspira ad

essere il più possibile completa.

In alcuni casi le fonti a stampa si sono rivelate indispensabili anche per ricostruire alcune fasi in

cui è stato impossibile ricorrere all’ausilio della documentazione archivistica, come per il periodo

della militanza giovanile di Lombardi nella sinistra cattolica, ben documentata da un periodico

come “Il Lavoratore” di Catania, diretto per un certo periodo dallo stesso Lombardi, e da altre

pubblicazioni della sinistra popolare quali “Conquista popolare”, “Bandiera Bianca”, “Conquista

sindacale”, “La Battaglia”, “Il Domani d’Italia”. Per i periodi successivi gli articoli di Lombardi

apparsi su “Italia Libera”, “Italia socialista”, “Avanti!”, “Mondo operaio”, “Il Mondo”,

“L’Astrolabio” e su numerosissimi altri giornali e riviste hanno integrato il materiale archivistico, in

molti casi fornendo rispetto a quest’ultimo non solo maggiori spunti di riflessione ma anche notizie

più attendibili. Spesso, insomma, nulla si rivela più “segreto” del pubblicato!39

.

Struttura della tesi e linee interpretative del discorso

Una delle peculiarità della biografia è che essa impone già in partenza i limiti cronologici del

discorso40

. Allo storico resta il compito, per nulla scontato, di definirne la scansione interna.

Quest’ultima deve tenere conto sia delle vicende del personaggio che si studia, sia dei

condizionamenti del contesto, sia, infine, delle relazioni tra i due aspetti. In alcune situazioni può

36

Riccardo Lombardi, Scritti politici, 2 voll, a cura di Simona Colarizi, Venezia, Marsilio, 1978. 37

Id., Discorsi parlamentari, 2 voll, a cura di Mario Baccianini, Roma, Edizioni Camera dei Deputati, 2001. 38

Id., Antologia da “Il Ponte” (1965 – 1973), a cura di Giulio Laroni, Milano, Biblion, 2009. 39

Devo questa indicazione di metodo alla mia relatrice della tesi di laurea, la prof.ssa Mariuccia Salvati dell’Università

di Bologna. 40

Si dà per acquisito che si sta parlando di biografie in senso proprio, che coprano quindi l’intera vita del personaggio.

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essere preferibile una struttura fondata su eventi che riguardano essenzialmente il protagonista, ad

esempio suddividendo il racconto a seconda delle varie formazioni partitiche nelle quali il

personaggio ha militato. In altre, può essere meglio optare per una scansione basata su eventi che

assumono un ruolo periodizzante a prescindere dalle vicende del singolo. Lo schema (suscettibile di

ulteriori modificazioni) che presento prova a percorrere, in un certo senso, entrambe le vie,

cercando in più di fornire, come spiegherò meglio dopo, una chiave di lettura complessiva della

vicende di Lombardi.

Introduzione

PARTE PRIMA: LA BATTAGLIA ANTIFASCISTA

1. La formazione culturale e politica: dalla sinistra cattolica al socialismo

1.1 Tra Catania e Milano: l’esperienza nel sindacalismo cattolico

1.2 Antifascista nella sinistra popolare: la collaborazione a “Il Domani d’Italia”

1.3 L’attività clandestina e l’incontro con Ena Viatto

2. La Resistenza e il dopoguerra: la militanza nel Partito d’Azione (1942 – 1947)

2.1 Il Partito d’Azione e la Resistenza

2.2 La prospettiva della “rivoluzione democratica”

2.3 Da prefetto a ministro

2.4 Un partito “finito”? Lombardi e la segreteria del PdA

2.5 Idee per una politica economica

2.6 La scissione socialista e la confluenza nel PSI

PARTE SECONDA: IL CONSOLIDAMENTO DELLA DEMOCRAZIA REPUBBLICANA

3. Il frontismo e la guerra fredda (1948 – 1955)

3.1 Una “sconfitta annunciata”: il Fronte popolare

3.2 La breve direzione “centrista”: una battaglia su diversi fronti

3.3Lo scontro tra i blocchi e l’ “inverno” frontista: il Movimento dei Partigiani della Pace

3.4 Dalle elezioni del 1953 al congresso di Torino: verso l’autonomia

3.5 La battaglia contro i monopoli elettrici

4. L’autonomismo socialista (1956 – 1961)

4.1 La svolta del 1956

4.2 Da Venezia a Napoli: l’autonomismo e i rapporti con la sinistra

4.3 L’adesione al Mercato Comune Europeo

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4.4 Le riforme di struttura come via al socialismo

4.5 Dalla crisi di Tambroni alle “convergenze” di Fanfani

4.6 Tra Washington e Mosca: distensione e apertura a sinistra

5. L’esperienza del centro-sinistra (1962– 1964)

5.1 Un centro-sinistra lungo un anno

5.2 Una vittoria dimezzata: la nazionalizzazione dell’energia elettrica

5.3 Dalla “notte di San Gregorio” alla scissione del PSIUP

5.4 La direzione dell’ “Avanti!”: Lombardi osservatore critico del primo governo Moro

5.5 “Tintinnare di sciabole?”: manovre golpiste e caduta del centro-sinistra “riformatore”

PARTE TERZA: LA LOTTA PER IL SOCIALISMO

6. Dopo il centro-sinistra. Nuove prospettive (1965 – 1972)

6.1 L’opposizione all’unificazione con i socialdemocratici e la nascita della sinistra socialista

6.2 “Stop Vietnam!”: l’impegno contro l’imperialismo statunitense

6.3 Il Sessantotto: radicalizzazione e rinnovamento della sinistra

6.4 Nel PSI e oltre: i rapporti con il PCI, le ACLI e la sinistra rivoluzionaria

6.5 Autoritarismo e “strategia della tensione”

7. Mutamenti del capitalismo e alternativa di sinistra (1973 – 1978)

7.1 Crisi economica e sgretolamento del “patto sociale”

7.2 La sinistra a un bivio: compromesso storico o alternativa

7.3 Dal Midas al programma di Torino: una ritrovata autonomia?

7.4L’autogestione: una nuova prospettiva del socialismo

7.5 L’affaire Moro e la fine della “solidarietà nazionale”

8. Le ultime battaglie (1979 – 1984)

8.1 L’opposizione a Craxi

8.2 Neutralismo e pacifismo: l’opposizione agli “euromissili”

8.3 “Il più giovane della sinistra italiana”

Conclusioni

Una prima preoccupazione è stata quella di conciliare le esigenze della narrazione documentata con

quelle della spiegazione ragionata di alcune questioni – che è poi forse una delle principali

difficoltà della biografia storica – intercalando, ad esempio, capitoli più narrativi ad altri più

esplicativi. L’indicazione degli estremi cronologici nei titoli di ogni capitolo, tranne che nel primo,

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ha lo scopo di fornire una maggiore “visualizzazione” del discorso attraverso delle date “chiave”.

Quasi tutti i capitoli abbracciano un arco temporale grosso modo uniforme che va dai cinque agli

otto anni: fa eccezione, oltre che il capitolo sugli anni venti e trenta, quello sul primo centro-sinistra

del 1962 – 64 poiché si tratta di un’esperienza fortemente concentrata nel tempo e nella quale il

ruolo di Lombardi ha avuto una risonanza probabilmente maggiore rispetto a qualsiasi altro periodo.

Mi è sembrato, inoltre, necessario individuare un filo conduttore del lavoro, indicando alcune

problematiche che potessero fornire una chiave di lettura di tutto il percorso di Lombardi, del modo

con il quale egli ha vissuto gli eventi (indipendentemente dal peso avuto nel determinarli) ed,

eventualmente, anche della maniera con cui li ha, a distanza di tempo, interpretati. E’ per questo

motivo che ho pensato di dividere la tesi in tre parti: la battaglia antifascista (dagli anni venti alla

vicenda del Partito d’Azione), il consolidamento della democrazia repubblicana (dalla confluenza

nel PSI, che coincide con l’inizio del centrismo, al primo centro-sinistra), e la lotta per il socialismo

(da quella che Lombardi giudicava come l’involuzione moderata del centro-sinistra nel 1964 ai

primi anni ottanta)41

. Spiegare i motivi di questa tripartizione mi permette di esporre anche alcune

linee interpretative della tesi.

E’ possibile, innanzitutto, individuare qualche fil rouge che permetta di leggere storicamente

l’attività di Lombardi in quel settantennio compreso tra la fine degli anni dieci e l’inizio degli

ottanta? A mio avviso un elemento che accomuna la storia italiana di questo lungo e diversificato

periodo e che rende decodificabili, quindi, anche molte scelte compiute da Lombardi è la

permanenza di una situazione fortemente conflittuale dal punto di vista sociale, che si traduce in una

instabilità sul piano istituzionale e in una marcata asprezza del confronto politico e ideologico. Il

periodo 1919 – 1979 (e, per certi aspetti, 1919 – 1993), sembra coincidere in Italia, più che in

qualsiasi altra nazione europea (tranne forse la Germania), con quella age of extremes di cui parla

Hobsbawm nel suo celebre libro sul “secolo breve”42

. Leggendo tanta storiografia degli ultimi

quindici o venti anni si ha quasi l’impressione che questa caratteristica sia evocata di continuo

(perlopiù in termini negativi) senza però venire spiegata, quasi la si volesse esorcizzare. Quante

volte abbiamo sentito descrivere le vicende dell’Italia nel Novecento come la storia di un “paese

che ha sempre pagato prezzi esagerati per diventare normale”43

, o definire il cinquantennio della

“Prima Repubblica” nei termini di una modernizzazione “incompiuta”, di una democrazia

41

Una simile tripartizione del lavoro viene adottata nel lavoro su Parri di Polese Remaggi, che distingue appunto tre fasi

nella vita del protagonista: la rivoluzione antigiolittiana, la rivoluzione antifascista, la formazione della nazione

repubblicana. Cfr. Polese Remaggi, op. cit., pp. 9 – 15. 42

Eric J. Hobsbawm, Il secolo breve, Milano, Rizzoli, 1995 (ediz. orig. Age of extremes: the short twentieth century

1914-1991, London, Michael Joseph, 1994). 43

Lanaro, op. cit., p. 481.

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“anomala” e “imperfetta” caratterizzata da una “ideologizzazione” estrema della lotta politica e,

soprattutto, dalla mancanza di una sinistra “riformista” moderna?

La questione della “modernità” delle sinistre in Italia è, in particolare, quella che più interessa il

nostro lavoro. Nella maggior parte degli storici degli ultimi venti o trenta anni, anche di diverso

orientamento culturale, è riscontrabile, infatti, la tendenza ad interpretare la storia della sinistra

italiana sulla base di uno schema che la vede come “in ritardo”, rispetto alle “più avanzate” sinistre

europee, facendo riferimento, in particolare, alla SPD tedesca e al Labour Party. Il percorso di

partiti come il PCI o il PSI consisterebbe, pertanto, in un progressivo, faticoso e mai del tutto

raggiunto adeguamento ad un idealtipo di sinistra “socialdemocratica” o “riformista” basato

essenzialmente sulla rinuncia alla socializzazione dei mezzi di produzione e sull’adesione

all’europeismo e al blocco atlantico. Non a caso Lombardi viene spesso presentato o come troppo

“avanzato” rispetto alle cultura politica dominante della sinistra italiana (soprattutto quando nel

1956 promuove il distacco del PSI dal PCI, la strategia delle “riforme di struttura” e l’ingresso

dell’Italia nel Mercato comune europeo) o come eccessivamente “arretrato” rispetto alle sinistre di

altri paesi (a causa del suo anti-atlantismo o laddove contesta la svolta della SPD a Bad Godesberg,

oppure quando negli anni settanta porta avanti le idee del “socialismo autogestionario”)44

.

E’ sin troppo facile notare, naturalmente, come un’interpretazione storiografica del genere sia

radicata nell’evoluzione profonda della situazione italiana e internazionale dagli anni ottanta in poi

(crisi del marxismo e delle culture rivoluzionarie in genere, caduta dei regimi comunisti e fine del

sistema bipolare da un lato; trasformazione del PCI, crollo del PSI e mutamento del sistema politico

italiano dall’altro). Ciò che qui ci interessa, però, sono soprattutto le ricadute sul piano

storiografico. Ancora una volta si rischia, infatti, di limitarsi a descrivere un fenomeno senza

riuscire a spiegarlo, oltretutto accentuando il protagonismo dello storico che finisce per ergersi a

“giudice” e per mettere in prima linea le proprie ragioni anziché problematizzare quelle del

personaggio studiato.

Il percorso politico di Lombardi, le diverse contaminazioni del suo pensiero, la sua stessa maniera

di leggere gli avvenimenti o di rileggerli a distanza di tempo, mi sembrano difficilmente

comprensibili se non vengono situati all’interno di quel settantennio “degli estremi” a cui si

44

Oltre ai giudizio che di Lombardi danno Sabbatucci e Degl’Innocenti o, più recentemente Mattera (cfr. supra p. 3,

nota 11) vedi ad es. rispetto alle tematiche della NATO e dell’Europa Sante Cruciani, L’Europa delle sinistre. La

nascita del Mercato comune europeo attraverso i casi francese e italiano (1955 – 1957), Roma, Carocci, 2007. Su Bad

Godesberg come “pietra di paragone” dell’ “arretratezza” dei socialisti italiani cfr. Francesca Trialdi, Il Psi di fronte a

Bad Godesberg, in “Ventunesimo secolo”, febbraio 2009. Sull’azionismo come “impossibile terzietà” tra URSS e USA

(e, dunque, tra comunismo e “mondo libero”) cfr. Luca Polese Remaggi, Guerra civile, continuità dello Stato e

rivoluzione tradita. Per una storia dell’azionismo culturale, in “Ventunesimo secolo”, aprile 2005, pp. 45 – 59. Per la

riproposizione del problema della mancanza di una sinistra riformista consistente in Italia cfr. Carmine Pinto, Il

riformismo possibile. La grande stagione delle riforme: utopie, speranze, realtà, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008.

Contribuisce a sfatare alcuni miti sulla “comparazione delle sinistre” il confronto tra PSI e Labour Party proposto da

Favretto in Ilaria Faretto, PSI e Labour Party: due vicende parallele 1956 – 1970, Roma, Carocci, 2003.

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accennava prima. Basta ricordare le tappe della sua vicenda. Lombardi fa il suo esordio in politica

come sindacalista ed esponente del popolarismo di sinistra all’indomani del primo conflitto

mondiale, in una situazione caratterizzata da acute lotte sociali e in cui persino forze moderate come

il PPI di Sturzo manifestano una volontà di superamento del vecchio assetto dello Stato liberale.

Tiene i suoi ultimi comizi nel 1984, dopo un decennio come quello degli anni settanta in cui aveva

radicalizzato molte sue posizioni diventando un punto di riferimento anche per una parte della

“nuova sinistra”. La sua esperienza politica giovanile è fortemente marcata dalla lotta contro il

fascismo che egli interpreta, nella migliore tradizione dell’azionismo, come il risultato della

debolezza di uno Stato unitario rigidamente classista, liberale ma non democratico (nel senso che

pur garantendo certe libertà individuali non si fondava su un’ampia partecipazione popolare) e

come il prodotto della reazione delle classi privilegiate alle lotte contadine e operaie del 1919-20.

La sua stessa idea di democrazia repubblicana si fonda su un difficile connubio tra una concezione

che oggi si direbbe procedurale della democrazia stessa (il che lo avvicina al gruppo della rivista

“Stato moderno” e lo porta a sostenere inizialmente il modello presidenzialista all’americana) e una

visione di classe della società, per cui la garanzia dello sviluppo democratico viene riposta

soprattutto nel riscatto dei ceti oppressi.

Nel periodo che va dalla militanza nella sinistra cattolica sino alla vicenda del Partito d’Azione la

preoccupazione della lotta contro il fascismo risulta prevalente. Lombardi vi approda inizialmente

non da posizioni socialiste o liberali ma partendo da quel “massimalismo cristiano” che lo aveva

spinto da giovanissimo alla critica delle ingiustizie sociali dello Stato liberale e del nazionalismo

bellicista manifestatosi con la guerra.

Il mio antifascismo – afferma Lombardi in uno scritto del 1960 – nacque da una riflessione e da

un’esperienza: la riflessione sulla guerra (la prima guerra mondiale) e l’esperienza delle lotte sociali che ne

seguirono la fine. […] Il fascismo esprimendosi tutto e senza residui nella sua valutazione retorica,

provinciale, ipocrita e reazionaria della guerra, il mio giudizio su di esso fu immediato e obbligatorio.

Al negativo giudizio intellettuale si accompagnò la rivolta morale di fronte allo squadrismo fascista, specie

quello di cui ebbi occasione di fare esperienza diretta, lo squadrismo agrario. Assistere (e anche subire) alle

violenze bestiali dei figli degli agrari esercitate in nome della patria, equivalse per me a un corso molto

celere di sociologia.45

La battaglia antifascista è il filo conduttore anche della parabola azionista di Lombardi e ne spiega

in qualche modo anche le continue oscillazioni tra le spinte “rivoluzionarie” (l’intransigenza anti-

45

Riccardo Lombardi, intervento in La mia opposizione al fascismo, testimonianze raccolte a cura di Aldo Capitini, in

“Il Ponte”, gennaio 1960, pp. 37 – 38.

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monarchica, i CLN come organi della “rivoluzione democratica”, i progetti di riforme sociali in

senso laburista) da un lato, e la tendenza “moderata” a limitarsi alla difesa delle “basi minime” della

democrazia, anche a costo di rinunciare a programmi più avanzati, dall’altro.

Che cosa è essenziale – scrive in una lettera all’amico Giuseppe Speranzini del 7 novembre 1945 – per la

nascita di una democrazia in Italia? E’ essenziale che il paese sia attivizzato, che il più grande numero

possibile di lavoratori di tutti i ceti sia interessato politicamente ed economicamente a uno stato democratico,

al punto che tutti si sentano minacciati quando la democrazia è in pericolo […]

Oggi è decisivo portare tutte le forze disponibili sul terreno della repubblica e se anche, per ottenere questo

scopo, fosse necessario frenare energicamente ogni altra riforma, questa – alla situazione politica che si è

formata oggi in Italia – è la premessa indispensabile per qualunque riforma radicale, aggiungo anzi: è la sola

garanzia contro la guerra civile. 46

I pesanti riflessi della “guerra fredda” nella vita politica interna e l’offensiva contro le sinistre

seguita alla sconfitta elettorale del 1948 inducono il Lombardi degli anni cinquanta e della prima

metà degli anni sessanta a indirizzarsi ad una dura “guerra di posizione “ per consolidare gli istituti

della democrazia repubblicana attraverso una azione “dall’alto” (riforme) e “dal basso” (il

rafforzamento delle posizioni del movimento operaio). Le stesse “riforme di struttura” (lotta ai

monopoli elettrici, programmazione economica, riforma urbanistica…) non vengono mai concepite

soltanto come fini a sé stesse ma principalmente come strumento per mutare i rapporti di forza nella

società, anche sfruttando la fase di crescita economica. Avvenimenti come il tentativo di imporre la

nuova legge elettorale, la svolta a destra con il governo Tambroni del 1960 o le manovre golpiste di

De Lorenzo nel 1964 vengono letti come tentativi di frenare questo processo, spingendo le forze

della sinistra – come lui stesso ammetterà – “sulla difensiva”, ad una politica “di tempi lunghi”47

.

Tra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta, però, il riaccendersi della conflittualità sociale

da una parte, e la crisi economica e lo sgretolamento del “compromesso sociale” keynesiano

dall’altra, inducono Lombardi a “radicalizzare” le sue posizioni e a mettere addirittura all’ordine del

giorno la lotta per un socialismo di tipo nuovo, nella duplice convinzione dell’irreversibilità della

crisi del capitalismo e della mancanza in tutte la sinistra, in quella moderata come in quella

rivoluzionaria (o sedicente tale), di un pensiero e di una prassi politica all’altezza dei cambiamenti

in corso48

.

46

Lettera di Riccardo Lombardi a Giuseppe Speranzini, Milano, 7 novembre 1945, riportata in Riccardo Lombardi.

Lettere e documenti, cit., pp. 63 – 64. 47

Cfr. Lombardi, Riforme e rivoluzione dopo la seconda guerra mondiale, cit., pp. 311 – 316. 48

Cfr. gli articoli raccolti in Id., Antologia da “Il Ponte”, cit., soprattutto pp. 62 – 82. Mi permetto di rinviare anche a

Luca Bufarale, Riccardo Lombardi e “Il Ponte”: un’antologia di scritti (1965 – 1973), in “Il Ponte”, anno LXVI, n. 3,

marzo 2010, pp. 85 – 92.

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Tutti questi passaggi dell’esperienza di Lombardi risultano difficilmente spiegabili attraverso

contrapposizioni oggi particolarmente in voga quali economia di mercato vs. statalizzazione,

democrazia liberale “procedurale” vs. democrazia “sostanziale” o riformismo vs. massimalismo ecc.

Tali clivages sono concepibili, infatti, all’interno di una visione tendenzialmente “pacificata” del

sistema politico e della situazione sociale, in cui le contrapposizioni del passato tendono ad apparire

superate o in via di superamento. Assai più difficilmente, però, gli stessi clivages risultano

adottabili nell’approccio con una realtà come quella del “secolo breve” italiano, con le sue

esperienze quali il ventennio fascista, la Resistenza, i condizionamenti dell’egemonia statunitense e,

soprattutto, la lotta di un movimento contadino e operaio che vive in una situazione probabilmente

più simile, per la durezza di condizioni materiali e l’asprezza della reazione della controparte

“padronale”, a quella dell’Inghilterra o della Francia dell’Ottocento piuttosto che a quella, poniamo,

della Svezia socialdemocratica.

Non si tratta, beninteso, di “difendere” Lombardi, quanto piuttosto di ricollocarlo nel suo proprio

tempo, evitando di giudicarlo sulla base della presunta vicinanza o lontananza rispetto ad una serie

di categorie appartenenti più alla nostra epoca che alla sua. Del resto, i mutamenti cui stiamo

assistendo ultimamente, soprattutto nel quadro economico internazionale, danno adito a più di un

dubbio sulla validità di molte categorie interpretative della politica e della società date negli ultimi

tempi per assodate …