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1 FACOLTÀ TEOLOGICA DEL TRIVENETO La mediazione penale Tesina di attestato in Teologia Pastorale Studente: Lucia Michielin Relatore: Prof. Agostino Zenere Padova, 2013-14

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FACOLTÀ TEOLOGICA DEL TRIVENETO

La mediazione penale

Tesina di attestato in Teologia Pastorale

Studente: Lucia Michielin

Relatore: Prof. Agostino Zenere

Padova, 2013-14

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SOMMARIO

INTRODUZIONE 6

CAPITOLO PRIMO La mediazione penale 9

1. La giustizia riparativa 9

1.1. Breve excursus storico 9 1.2. Che cos’è la giustizia riparativa 11 1.3. La giustizia riparativa come teoria “sociale” della giustizia 12

2. Che cos’è la mediazione penale 13

3. Dove è utilizzata, in Italia, la mediazione penale 15

4. Riconoscimento normativo della mediazione penale 15

4.1. Un D.P.R. che garantisce un processo educativo 17

4.2. D. Lgs. 274/2000 17

5. Caratteristiche della mediazione penale 18

5.1. Difende la dignità della persona 18

5.2. È volontaria, consensuale, confidenziale e gratuita 19

5.3. È un incontro/racconto 20

6. Le fasi della mediazione penale 20

7. L’esito della mediazione 22

7.1. Mediazione positiva 22

7.2. Esito giudiziario della mediazione penale 22

8. Differenza tra il processo penale minorile e la mediazione 23

9. I mediatori 24

9.1. Il lavoro dei mediatori 24

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9.2. La formazione 25

9.3. A mo’ di conclusione 26

10. Casi inviati in mediazione 26

11. Alcuni dati su cui riflettere 26

12. Alcuni problemi aperti 27

13. Il limite: strumenti nuovi con una mentalità antica 28

CAPITOLO SECONDO La giustizia nella bibbia 29

1. Alcuni spunti terminologici 29

1.1 Origine del termine giustizia 29

1.2 Giustizia come relazione con Dio 27

2. Che cosa è giustizia 31

2.1. Giustizia e amore 31

2.2. Giustizia e fede 32

2.3. Giustizia e sapienza 32

3. Il concetto di giustizia in rapporto a Dio 33

3.1 La giustizia: rapporto tra esseri spirituali 33

4. La giustizia nel Nuovo Testamento 34

4.1 Il battesimo di Gesù 34

4.2. Il discorso della montagna 35

4.2.1 La giustizia cristiana 35

4.2.2 La giustizia e il Regno 36

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5. Due tipi di giustizia 37

5.1 La giustizia umana 38

5.2 La giustizia evangelica 38

6. Gesù e la giustizia 39

7. La giustizia e il perdono 40

7.1. Il difficile perdono 41

7.2. “Ri-orientarsi” verso il bene 42

8. Rapporto tra giustizia divina e giustizia riparativa 43

CAPITOLO TERZO L’Ufficio di mediazione penale minorile di Milano 45

1. La nascita 45

2. La composizione 46

3. I mediatori 47

3.1. L’attività dei mediatori 47

3.2. La formazione dei mediatori 48

4. L’attività dell’Ufficio 48

4.1. Sede dell’Ufficio 48

4.2. Competenza dell’Ufficio 49

4.3. I finanziamenti 49

4.4. Attività dell’Ufficio 49

5. I casi dal 1998 al 2003 51

6. Le tipologie 52

6.1. Dei reati 52

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6.2. Dei rei e delle vittime 52

7. Rapporto tra i casi in mediazione e i casi presi a caricao dal Tribunale 53

8. Bilancio dell’esperienza dell’Ufficio per la mediazione di Milano 54

CONCLUSIONE 57

BIBLIOGRAFIA 58

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INTRODUZIONE

Durante la ricerca di un tema su cui svolgere la mia tesi, sono venuta a conoscenza di un tipo di

giustizia, quella riparativa, ed in particolare di un suo strumento: la mediazione penale.

Mi ha colpito questo argomento perché mi sembra che risponda ad un’idea di giustizia che non parla

solo di temi come la certezza della pena, la sicurezza o la costruzione di nuovi carceri, ma che sappia

ridare dignità alle persone coinvolte in un reato, riconoscendo l’umanità e la verità che abita in

ciascuna di esse.

A titolo esemplificativo ho trovato molto interessante un articolo pubblicato sulla rivista “L’eco

di Bergamo” di Giovedì 26 maggio 2011.

Lo riporto di seguito: “Sette facciate di altrettante abitazioni lungo la stessa via imbrattate con spray

indelebile da un minorenne sbronzo di ritorno da una festa con gli amici.

Scatta la denuncia e il caso finisce sul tavolo della Procura della Repubblica e poi al Tribunale dei

minori di Brescia.

Il Pubblico Ministero avvia il procedimento: per il reato di danneggiamento il minore potrebbe

rischiare il carcere fino a un anno (misura che di solito non viene adottata per reati minori) oppure

riparare con una sanzione pecuniaria.

Sei proprietari delle case imbrattate accettano di buon grado il denaro offerto dalla mamma del

ragazzo per liquidare velocemente la pendenza giudiziaria. La settima proprietaria no.

Per il normale iter processuale la faccenda si chiuderebbe così: una vittima risarcita economicamente,

ma non pienamente soddisfatta e un ragazzino che forse non si renderebbe neppure conto della

gravità del reato commesso grazie all’intervento riparatore del genitore.

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Ma il giudice decide di attivare l’Ufficio di mediazione penale minorile istituito presso lo stesso

tribunale da ormai tre anni. I mediatori avviano una serie di colloqui individuali con il reo e la vittima.

Se entrambi lo desiderano, potranno incontrarsi alla presenza di un mediatore per un confronto.

Tutto cambia.

L’indagato e l’imputato hanno un nome e una storia: Alberto ha 16 anni, non ha mai conosciuto il

papà, e vive con la mamma. Lucia si è appena sposata e da poco è andata a vivere nella casa ereditata

dalla nonna. L’ha ristrutturata investendo tutte le sue risorse perché quella è la casa delle sue radici.

Proprio non riesce ad accettare che Alberto possa aver compiuto un gesto così oltraggioso alla

memoria della nonna. Quello che per l’iter processuale viene liquidato come un reato minore per lei

invece ha un grande peso.

Proprio sulle radici però Alberto e Lucia trovano un punto di dialogo. Alberto si rende conto di quanto

la casa è importante per Lucia: capisce che il suo gesto ha causato in lei molto dolore e chiede scusa”.

Da questo articolo emergono alcune caratteristiche interessanti della mediazione penale:

Il reo deve incontrare la vittima.

In questa maniera il reo non si confronta solo con una sanzione ma comprende ciò che il suo gesto

ha comportato sulle persone offese.

Il reo è aiutato ad assumersi la responsabilità di ciò che ha compiuto.

Elemento che permette, dicono gli esperti, di ridurre la recidiva, la possibilità cioè che lo stesso

giovane commetta ancora questi atti.

La vittima può vedere in faccia chi l’ha danneggiata, confrontarsi, comprendere.

Di solito invece non è parte attiva del processo.

Questa parte in rosso è necessaria o diventa una ripetizione di ciò che spiegherò dopo?

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In questa mia ricerca mi sono resa conto che la mediazione penale è uno strumento molto

interessante e innovativo, ma anche poco conosciuto. Per questo ho deciso di approfondirne la

conoscenza.

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CAPITOLO PRIMO

La mediazione penale

1. LA GIUSTIZIA RIPARATIVA

Ho scelto di iniziare questo mio lavoro spiegando che cosa si intenda per giustizia riparativa,

dato che la mediazione penale è uno degli strumenti fondamentali di questa forma di giustizia.

1.1. Breve excursus storico

Dalla storia del Diritto penale, emerge un elemento in particolare: il lento processo di umanizzazione

delle pene, che è avvenuto attraverso il progressivo abbandono delle forme più crudeli di repressione.

Infatti, sebbene la pena di morte continui ad essere applicata in molti ordinamenti giuridici, almeno in

Europa sono state da tempo abbandonate le pene corporali e infamanti.

Questo processo di umanizzazione del diritto penale1 è caratterizzato, a seconda del momento

storico, da diverse logiche sanzionatorie: quella retributiva, quella general-preventiva, quella

rieducativa, quella riparativa.

Mi sembra importante passare velocemente in rassegna le diverse logiche sanzionatorie.

Sin dall’Antico Testamento, in particolare nella legge del taglione2, la logica sanzionatoria era

quella retributiva, che ha come scopo quello di combattere il male con un altro male, ossia con la

pena.

1 Tema molto attuale, basti pensare alla recente circolare, inviata dal Ministero della Giustizia agli Istituti penali, per

un’applicazione interna ad essi. Documento visionato presso l’Ufficio Educatori della Casa Circondariale di Treviso.

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Poi è subentrata la logica general-preventiva, che ha come scopo quello di scoraggiare il

compimento del reato o di rafforzare gli standard morali dei cittadini.

Altra logica è quella rieducativa, che mira al reinserimento sociale del reo e che trova

fondamento, nel nostro ordinamento, nell’art. 273 della Costituzione. Come possiamo ben notare

anche dalle notizie che leggiamo nei giornali, questa logica è abbastanza in crisi.

L’ultima fase, che è quella che mi interessa di più, di questo cammino tortuoso verso risposte

meno afflittive e più efficaci nel controllo del crimine, può essere considerata quella che vede la

nascita della cosiddetta giustizia riparativa.

La giustizia ripartiva cerca di risolvere i conflitti non attraverso la pena, ma attraverso degli strumenti

che hanno come scopo quello di riparare il danno provocato dal fatto delittuoso e, soprattutto, di

aiutare la riconciliazione tra autore e vittima.

Un dato di fatto è che questa nuova forma di giustizia è nata in un periodo storico, il nostro, in

cui le logiche retributiva e general-preventiva trovano più consensi, soprattutto dal punto di vista

politico.

Probabilmente questo spiega, in parte, le molte resistenze che la giustizia riparativa ha incontrato e

continua ad incontrare.

2 In ambito teologico è aperto un profondissimo dibattito sulla coincidenza della lex talionis quale forma di giustizia del Dio del Vecchio Testamento. Cfr. A. ACERBI, L. EUSEBI, La colpa e la pena. La teologia di fronte alla questione criminale, Vita e Pensiero, Milano 1998.

3 Art 27 della Costituzione: “La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”, reperibile in internet all’indirizzo www.senato.it.

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1.2. Che cos’è la giustizia riparativa

Dal breve excursus storico, risulta che il modello riparativo è quello che più ha contribuito allo

sviluppo del processo di umanizzazione della pena.

Questo modello ha riscosso interesse crescente sia in Europa sia nell’area giuridica della common law,

dove si è sviluppato in maniera più articolata e approfondita che non in Italia.

La giustizia riparativa prevede il coinvolgimento della vittima, del reo e della comunità, per

poter cercare, insieme, delle soluzioni al conflitto generato dal reato, per poter riparare il danno, per

poter riconciliare le parti e per poter rafforzare il senso di sicurezza collettivo.

Una prima sottolineatura importante da fare, per comprendere la vera novità che la giustizia

ripartiva ha introdotto, è il fatto che, cercando di raggiungere la riconciliazione tra reo e vittima,

venga data voce a coloro che hanno subito il fatto delittuoso.

Nella storia del Diritto penale, infatti, la vittima (che è co-protagonista del fatto delittuoso nonché

soggetto che risente maggiormente del crimine) non ha mai ricevuto la giusta considerazione prima,

durante e dopo lo svolgersi del processo.

Spesso non viene soddisfatto il suo diritto al risarcimento del danno, e altrettanto spesso, per non dire

mai, non viene presa in considerazione la dimensione emozionale dell’offesa.

Trovo conferma a questa mia riflessione nel pensiero di Federica Brunelli, mediatrice penale

dell’Ufficio di Milano, che osserva: “I sistemi di giustizia che caratterizzano le società occidentali

hanno privato le vittime della parola, lasciandole ai margini della scena processuale, nonostante,

proprio attraverso il processo penale, si attui la tutela e la presa in carico di tutte le ragioni della

vittima”4.

4 F. BRUNELLI, La mediazione penale nel sistema penale minorile e l’esperienza dell’Ufficio di Milano, in PISAPIA G.V. (a cura di), Prassi e teoria della mediazione, Cedam, Padova 2000, p. 63.

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Un altro elemento che caratterizza la giustizia riparativa è l’intenzione di superare la logica del

castigo, presentando il fenomeno criminoso come, prima di tutto, una “relazione” tra due o più

persone, che ha portato alla violazione di aspettative sociali condivise da tutti.

Il reato viene considerato non soltanto come un illecito commesso contro la società, o un

comportamento che incrina l’ordine costituito e che richiede una pena da espiare, bensì come una

condotta intrinsecamente dannosa e offensiva, che può provocare alle vittime privazioni, sofferenze,

dolore e persino morte, e che richiede, da parte del reo, l’attivazione di forme di riparazione del

danno provocato.

Questo pensiero si trova esplicitato nelle risoluzioni 27 e 28 della “Dichiarazione di Vienna”, adottate

a conclusione dei lavori del Decimo Congresso Internazionale delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del

Crimine e sul Trattamento dei Rei, tenutosi a Vienna dal 10 al 17 Aprile 20005.

1.3. La giustizia riparativa come teoria “sociale” della giustizia

La giustizia riparativa si caratterizza per essere una teoria “sociale” della giustizia, cioè ha come

scopo quello di presentare un modello di giustizia che sia in grado di soddisfare le aspettative dei vari

gruppi sociali presenti in un determinato territorio6, avendo come obiettivo principale quello di curare

anziché punire.

5 Risoluzione n. 27: “Noi decidiamo di introdurre, laddove risulti opportuno, strategie di intervento a livello nazionale, regionale e internazionale a supporto delle vittime, come tecniche di mediazione e di giustizia riparativa, e fissiamo nel 2002 il termine entro il quali gli Stati sono chiamati a valutare le pratiche essenziali per promuovere ulteriori servizi di supporto alle vittime e campagne di sensibilizzazione sui diritti delle stesse, e a prendere in considerazione l’adozione di fondi per le vittime, nonché a predisporre e sviluppare programmi di protezione dei testimoni”. Risoluzione n. 28: “Noi incoraggiamo lo sviluppo di politiche di giustizia riparativa, procedure e programmi che promuovono il rispetto dei diritti, dei bisogni e degli interessi delle vittime, degli autori di reato, della comunità e di tutte le altri parti”,reperibile in internet all’indirizzo www.sestaopera.it/DOCUMENTI/ARTICOLI/Ceretti_Mannozzi.htm

6 Per una lettura filosofico-politica di questo progetto cfr J. RAWIS, Liberalismo politico, Edizioni di Comunità, Milano 1994, pp. 58 ss.

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Per questo motivo le domande fondamentali a cui cerca di rispondere non sono più: “chi merita di

essere punito?” e “con quali sanzioni?” bensì “cosa può essere fatto per riparare il danno?”.

Interessante sottolineare che, in questo caso, riparare non significa solo controbilanciare in termini

economici il danno cagionato: la riparazione prevede un “giusto” risarcimento che non è solo quello

economico.

A questo punto ritengo necessario accennare al concetto di mediazione penale, che analizzerò

dettagliatamente nei paragrafi successivi, in quanto solo ricorrendo a questo strumento è possibile

spiegare che cosa si intenda per “giusto” risarcimento.

La mediazione penale, infatti, prevede, alla fine del percorso, due tipi di risarcimento: quello

materiale e quello simbolico. Proprio il risarcimento simbolo risponde alle caratteristiche del “giusto”

risarcimento.

Tutto questo è affermato nei documenti preparatori del già citato Decimo Congresso Internazionale

delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del Crimine e Trattamento dei Rei7, che ha portato, come si è

visto, alla “Dichiarazione di Vienna”.

2. CHE COS’E’ LA MEDIAZIONE PENALE

Dopo aver spiegato che cosa si intenda per giustizia riparativa, passo ad analizzare uno dei suoi

strumenti: la mediazione penale.

Vorrei iniziare questo paragrafo con le seguenti parole: “Mediazione è uno dei nomi assegnati,

in questo momento storico e in questo contesto culturale, a qualcosa che è sempre avvenuto,

continua e probabilmente continuerà ad avvenire, pur con altri nomi ed in altre forme: che cioè degli

uomini siedano con le spalle verso l’esterno e i petti e i visi verso l’interno di una struttura più o meno

7 Reperibile in internet all’indirizzo www.liberante.net/2012/11/che-cose-la-mediazione-dei-conflitti.html

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somigliante a un cerchio, e che si guardino e si parlino, al cospetto dei valori fondamentali, specie

quando questi valori sono stati discussi, violati, feriti”.8

Questa citazione di Leonardo Lenzi, Docente di Teologia morale e mediatore dell’Ufficio di Bergamo,

dice molto riguardo alla giustizia riparativa e al fatto che la mediazione penale corrisponda ad una

funzione tipica dell’umano, che consiste nel quotidiano confrontarsi di ciascun individuo con l’altro.

In altre parole, la mediazione è un elemento che fa parte dell’essere umano e quindi non può che

essere sempre valido, in ogni epoca, cultura, società.

Questa affermazione, dal punto di vista teorico, è sicuramente valida. Però, guardando al nostro

contesto socio-culturale, mi sembra di poterla, almeno in parte, smentire.

Infatti, nel nostro contesto sociale così frenetico, dove i rapporti umani sono molte volte mediati dalla

tecnologia (sms, facebook, internet, ecc.), non è facile che due persone si incontrino per parlare e per

confrontarsi; devono credere profondamente nel confronto per poter dedicare del tempo al dialogo.

Di conseguenza, la disponibilità a confrontarsi, atteggiamento che sta alla base della mediazione

penale, è vissuto non tanto come un’inclinazione naturale, bensì come il frutto di un impegno, di una

scelta.

Dopo questa piccola premessa, secondo me necessaria, mi accingo a spiegare che cosa si

intenda per mediazione penale.

Si tratta di un processo nel quale l’autore e la vittima di un fatto delittuoso, guidati da uno o più

mediatori, si incontrano, in maniera volontaria, e discutono sul conflitto causato dal reato e sugli

effetti generati dal medesimo. Gli effetti possono riguardare non solo le singole persone ma anche

coinvolgere tutta la collettività, soprattutto perché un fatto delittuoso può diminuire il senso di

sicurezza collettivo.

8 L. LENZI, Mediazione e verità: oltre-passare le emozioni, in Dignitas - percorsi di carcere e di giustizia, Marzo 2004.

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3. DOVE È UTILIZZATA LA MEDIAZIONE PENALE

In Italia, diversamente da quanto accaduto in molti altri Paesi Europei ed Extraeuropei, lo

strumento della mediazione penale è divenuto oggetto di riflessione, studio e di applicazione concreta

solo dalla seconda metà degli anni ‘90, unicamente in campo minorile e solo in alcune ristrette aree

geografiche.

Infatti, a partire dal 1995, a Torino, Bari, Milano, Trento, Venezia, Roma, Catanzaro, Salerno e

Cagliari, sono state avviate, su impulso dei Tribunali per i minorenni, esperienze di mediazione penale.

4. RICONOSCIMENTO NORMATIVO DELLA MEDIAZIONE PENALE

I principi generali sanciti dal D.P.R. 448/88 (Decreto del Presidente della Repubblica), relativi

alla finalità educativa e alla personalizzazione della risposta al reato del minorenne9, hanno reso

possibili le prime esperienze di mediazione penale.

Lo strumento della mediazione non è previsto esplicitamente dallo stesso D.P.R. ma

quest’ultimo ne ha permesso l’ideazione e l’applicazione, in quanto la mediazione è in linea con le

finalità tipiche del processo penale a carico di imputati minorenni, prima fra tutte quella di recuperare

dal punto di vista educativo il giovane autore di reato.

Si deve inoltre riconoscere che questo D.P.R. ha cambiato completamente la convinzione che solo la

“pesantezza” e la natura della sanzione sono in grado di far capire al reo i danni (morali, fisici,

economici) che ha provocato il fatto criminoso da lui commesso.

Del D.P.R. sono particolarmente importanti gli articoli 9, 27 e 28:

9 AA.VV., La mediazione in ambito minorile: applicazioni e prospettive, Atti del Seminario di Studi a cura dell’Ufficio Centrale Giustizia Minorile, Milano, Franco Angeli 1999.

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L’art. 9 è importante perché consente all’autorità giudiziaria minorile di acquisire informazioni

utili per capire la personalità del minore, e questo permette agli operatori dell’Ufficio di

mediazione di verificare, rapidamente, la fattibilità di un incontro tra l’autore del reato e la

vittima.

Questa rapidità nel valutare la possibilità di ricorrere alla mediazione penale risulta spesso

importante.

Infatti, come evidenzia, Federica Brunelli, mediatrice dell’Ufficio di Milano: “Si è convinti che

l'immediatezza dell'incontro garantisca una risposta tempestiva alla situazione di disagio e di

conflitto suscitata dal reato e consenta un incontro tra un minore, che è ancora quello che ha

commesso il reato, e una vittima, che ha ancora desiderio di lavorare sulle angosce provocate

dal comportamento deviante”10.

L’art 27 prevede la possibilità di pronunciare la sentenza di non luogo a procedere per

irrilevanza del fatto.

In questo caso, un’eventuale mediazione può aiutare il minore a prendere coscienza della

responsabilità del fatto commesso che, anche se tenue e occasionale, può essere indice di un

pericoloso disagio.

L’art. 28, che riguarda l’istituto della “messa alla prova”, prevede che il giudice, nel

provvedimento attraverso il quale dispone la prova, possa impartire prescrizioni “dirette a

riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del reo con la persona

offesa dal reato”.

10

F. BRUNELLI, La parola nella mediazione penale, in Dignitas - percorsi di carcere e di giustizia, novembre 2003.

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4.1. Un D.P.R. che garantisce un processo educativo

Risulta molto interessante notare che la logica del D.P.R. è quella di sostituire, alla pena da

subire, un cammino educativo personalizzato per il minorenne, a vantaggio sia della sua persona sia

della collettività.

Il legislatore del 1988 e il Giudice costituzionale11 hanno mostrato di preferire, alla detenzione in

carcere, la possibilità di mantenere l’adolescente nella vita libera e nel contesto affettivo-educativo

della famiglia e della cerchia degli amici.

Come affermano Pisapia e Antonucci: “In questa maniera il giudice minorile non sottolinea il 'per

quello che hai fatto verrai punito', ma piuttosto 'ciò che è accaduto non sarebbe dovuto accadere

e non dovrà più accadere e ti è richiesto di impegnare tutte le tue capacità in questa direzione'12.

L’esperienza insegna che, in questa maniera, viene garantita anche la sicurezza dei cittadini e il

contrasto alla delinquenza giovanile.

4.2. D. Lgs. 274/2000

Finora ho discusso del D.P.R. 448/88, che si riferisce al processo penale di soggetti minori.

Mi sembra, tuttavia, importante sottolineare come anche nell’ambito penale ordinario, cioè degli

adulti, in particolare nell’ambito del giudice di pace, emerga un sempre maggior interesse verso le

pratiche di mediazione quali nuove risorse da sperimentare.

Per esempio, nella legge istitutiva della competenza penale del giudice di pace, il D. Lgs. (Decreto

Legge) 274/200013, viene attribuito un ruolo importante e significativo ad una giustizia di prossimità,

11

Per un’attenta analisi della giurisprudenza costituzionale in materia, cfr. S. LARIZZA, Corte costituzionale e sistema di giustizia minorile, Studi in ricordo di Giandomenico Pisapia, Vol I Diritto penale, Giuffré, Milano 2000, p. 89 ss. 12

G.V. PISAPIA, D. ANTONUCCI (a cura di), La sfida della mediazione, Cedam, Padova 1997, pp. 91.

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che cerchi di guardare agli interessi della collettività e anche al sostegno della vittima: chiaro è

l’aggancio con la mediazione penale.

In particolare, l’art. 29 co. IV espressamente prevede la possibilità di ricorrere a “centri e strutture

pubbliche o private di mediazione per gli illeciti procedibili a querela di parte, nonché una nuova

ipotesi di definizione anticipata del procedimento penale e di causa estintiva del reato in seguito a

condotte riparatorie”.

5. CARATTERISTICHE DELLA MEDIAZIONE PENALE

Per poter capire sempre di più questo importante strumento, diventa molto interessante

considerare quali siano le sue caratteristiche particolari.

5.1. Difende la dignità della persona

Una prima caratteristica è quella di difendere la dignità della persona.

Mi viene in aiuto una riflessione di Adolfo Ceretti: “La mediazione propone di riconoscere che il reato

è qualcosa di più di un’offesa contro lo Stato14 o la violazione di una norma del codice penale, ma è

innanzitutto un’esperienza di ingiustizia che rompe profondamente la relazione con l’altro e più in

generale frattura un patto di cittadinanza, il patto che lega implicitamente coloro che abitano una

comunità nella reciproca attesa di rispetto, fiducia, riconoscimento, pacifica convivenza. […]. Il

tradimento di ciò che 'mi aspetto di ricevere dagli altri', vale a dire, l’aspettativa di 'essere chiamati da

13

Si conferma la natura di “fucina” di novità svolta di fatto nel nostro ordinamento penale dalla giustizia minorile; cfr. G. FIANDACA, Il diritto penale tra legge e giudice, Cedam, Padova 2002. In particolare il capitolo IX significativamente intitolato La giustizia minorile come laboratorio sperimentale di innovazioni estensibili al diritto penale comune. 14

A. CRAWFORD, The state community and ristorative justice: heresy, nostalgia and butterfly colecting, in L. WALGRAVE (a cura di ), Restorative Justice and the Law, in Willan Publishing, 2002, pp. 101-129.

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altri con il proprio nome e di essere guardati nel modo atteso' rappresenta un’esperienza esistenziale

molto complicata che merita di non essere vissuta in silenzio […]. Lo spirito delle pratiche di

mediazione va infatti individuato nel fatto che a ogni gesto afasico, a ogni atto che provoca in altri

sofferenza, dolore, può fare da contrappunto un luogo in cui tale dolore può essere detto e

ascoltato”15.

5.2. E’ volontaria, consensuale, confidenziale e gratuita

Dalla riflessione fatta fino ad ora, emerge che i programmi di giustizia riparativa hanno

un’aspirazione molto grande: ripensare il sistema sanzionatorio per contribuire a rendere la giustizia

“più costruttiva e meno repressiva”16.

Per poter raggiungere concretamente questo obiettivo si è cercato di seguire una strada maestra:

garantire appieno il principio cardine, affermato dal Consiglio d’Europa, della partecipazione libera,

volontaria e consensuale alle proposte di mediazione penale.

Nella Raccomandazione (99)19 del Consiglio d’Europa si afferma: “La partecipazione volontaria è un

elemento indispensabile della mediazione in tutte le sue forme poiché essa non può aver luogo se le

parti non vi consentono liberamente e volontariamente”17.

La mediazione è volontaria perché l’intero programma si regge completamente sulla sola

volontà collaborativa delle parti (vittima e reo), in quanto il mediatore non può imporsi e decidere al

posto delle altre due parti.

15

A. CERETTI, F. DI CIO’, G. MANNOZZI, Giustizia riparativa e mediazione penale: esperienze e pratiche di confronto, in F. SCAPARRO (a cura di), Il coraggio di mediare, Guerini e Associati, 2001, pp. 307 ss. 16

Cfr. CONSIGLIO D’EUROPA, COMITATO DEI MINISTRI, Raccomandazione relativa alla Mediazione in materia penale n. R (99) 19, adottata il 15/09/1999, reperibile in internet all’indirizzo www.progettofiducia.it/documents/RACC_99_5_ Com_Ministri.pdf 17

Cfr. CONSIGLIO D’EUROPA, COMITATO DEI MINISTRI, Raccomandazione relativa alla mediazione in materia penale n. R(99) 19.

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20

È consensuale perché ogni esito, materiale o simbolico, positivo o negativo, è frutto

dell’incontro e dello scambio interpersonale; proprio il consenso individua uno spazio originale della

giustizia riparativa.

È confidenziale perché quanto emerge durante gli incontri rimane a conoscenza solo dei diretti

interessati.

A tutte queste caratteristiche è da aggiungerne un’altra: è un’attività completamente gratuita

per i due attori del reato, in quanto in nessun momento viene richiesto loro di pagare questo

“servizio”.

5.3. E’ un incontro/racconto

Nella mediazione penale vi è un elemento che riveste un ruolo del tutto particolare: il

racconto.

Infatti questo strumento dà la possibilità al reo e alla vittima di poter raccontare il proprio punto di

vista, il proprio vissuto di fronte al reato, che porta ad una comprensione condivisa della realtà. Ciò

che sta al centro del racconto è la realtà soggettivamente vissuta.

Proprio per garantire questo elemento fondamentale della mediazione, prima dell’incontro di

mediazione vero e proprio, le parti sono ascoltate individualmente.

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6. LE FASI DELLA MEDIAZIONE PENALE18

Per poter capire in maniera più pratica e concreta in che cosa consista il processo di

mediazione è importante sottolineare che è caratterizzato da alcune fasi.

Una premessa necessaria è che, durante il primo interrogatorio, l’indagato/imputato abbia ammesso

la propria responsabilità.

Questo perché il mediatore, per poter intervenire, ha bisogno di essere sicuro che il fatto sussiste e

che l’autore del reato se ne sia dichiarato responsabile.

Una volta verificato ciò, il Giudice propone l’attività di mediazione e il mediatore responsabile del

fascicolo dà informazioni alle parti, attraverso lettere e opuscoli, sul processo di mediazione.

A questo punto il mediatore responsabile prende i primi contatti telefonici con le parti e le

invita a dei colloqui preliminari individuali.

Durante questi colloqui la vittima può essere restia, impaurita o ostile all’idea di incontrare il reo e per

questo è fondamentale che il mediatore sia in grado di ascoltare.

Se la proposta di mediazione viene accettata da entrambi le parti si procede e viene creata

un’equipe di tre mediatori.

In questa fase l’obiettivo è di trasformare il conflitto attraverso l’incontro con l’altro. Per la prima

volta il reo e la parte offesa hanno la possibilità di ascoltarsi e di ricostruire, se lo ritengono

importante, una versione condivisa dei fatti. E questo avviene se il mediatore fa emergere i sentimenti

e le emozioni.

A questo punto i mediatori redigono la comunicazione sintetica dell'esito della mediazione da

inviare all'Autorità giudiziaria.

18

C. MAZZUCATO, Una testimonianza e qualche riflessione a partire dall’esperienza milanese, in Dignitas - percorsi di carcere e di giustizia, Dicembre 2002, p. 68-70.

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22

L’ultima fase del percorso di mediazione è un'attività di riparazione, simbolica o materiale.

La riparazione simbolica è il momento nel quale l’autore del reato ha la possibilità di scusarsi con

l’altra parte ma soprattutto di riscattarsi, di vedersi restituita un’immagine positiva, riparando dove è

possibile anche la comunità di appartenenza (svolgendo, per esempio, giornate di attività socialmente

utili presso servizi sociali e culturali).

Diversa è invece la questione della riparazione materiale, che consiste sostanzialmente nel

risarcimento monetario dei danni subiti.

7. L’ESITO DELLA MEDIAZIONE

Terminato il processo di mediazione si può giungere a tre esiti: positivo, negativo o di

mediazione non effettuata, qualora non si sia raggiunto il consenso degli interessati a partecipare

all’incontro.

7.1. Mediazione positiva

Si può dire che la mediazione ha avuto esito positivo quando:

I mediatori hanno la chiara percezione che le parti abbiano avuto la possibilità di esprimere a

fondo i proprio sentimenti.

Le parti sono giunte a una diversa visione l’una dell’altra.

Si giunge ad una riparazione simbolica e/o materiale.

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23

7.2. Esiti giudiziari della mediazione penale

Se una mediazione è riuscita, si possono avere diversi esiti giudiziari: l’irrilevanza del fatto (art.

27 D.P.R. 448/88), il perdono giudiziale (art 169 C.p.), l’esito positivo di un più ampio programma di

messa alla prova (artt. 28-29 D.P.R. 448/78) e, in generale, qualsiasi misura di favore, non detentiva.

A questo proposito Claudia Mazzucato scrive: “Non si finirà mai abbastanza di sottolineare come la

mediazione riuscita deve avere effettive ricadute positive sul piano giuridico, processuale e

sostanziale (pur lasciando integra la discrezionalità del giudice nella scelta dello strumento che meglio

risponde alle esigenze educative del minore); la mediazione non effettuata o dall'esito negativo non

deve invece in nessun modo produrre effetti sfavorevoli al reo: deve cioè rimanere sempre la

possibilità concreta per il giudice di adottare provvedimenti di 'irrilevanza del fatto', perdono

giudiziale, messa alla prova o comunque di misure non detentive”19.

8. DIFFERENZA TRA IL PROCESSO PENALE MINORILE E LA MEDIAZIONE

In base a tutte le osservazioni fatte fino ad ora, si potrebbe pensare che la mediazione possa

sostituire il processo penale.

In realtà, questo strumento della giustizia riparativa non è in grado e, soprattutto, non ha come scopo

quello di sostituire la giustizia penale e neppure di superare la necessità di far ricorso alla pena. Anzi,

diversi autori sottolineano l’importanza del raccordo tra la mediazione penale e la giustizia penale20.

L’esperienza ha però insegnato quanto sia importante che i programmi riparativi, avendo obiettivi

diversi, siano autonomi dal sistema giudiziario.

19

C. MAZZUCATO, Una testimonianza e qualche riflessione a partire dall’esperienza milanese, p. 63. 20

Cfr. A. CERETTI, Mediazione penale e giustizia. In-contrare una norma, in Scritti in ricordo di Giandomenico Pisapia, Volume III: Criminologia, Giuffrè, Milano 2000.

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24

Basti pensare a ciò che il reo e la vittima devono raccontare nel processo penale e a ciò che

raccontano nella mediazione.

Nel primo caso raccontare significa organizzare un’esatta messa a fuoco degli avvenimenti, rispettare

un ordine temporale, una logica consequenziale, ricordare ed evocare solo quegli aspetti del reato

che risultano fondamentali per stabilire i termini “oggettivi” della ragione e del torto.

Nella mediazione, invece, la parola viene usata per comunicare sentimenti, emozioni. È importante

che chi parla si senta ascoltato e accolto.

Risultano interessanti le parole di Adolfo Ceretti, Francesco Di Ciò e Grazia Mannozzi: “La mediazione

è uno spazio altro rispetto al processo, un luogo dove poter comunicare, chiarire ed esprimere i propri

sentimenti rispetto a quanto accaduto. Le uniche regole che vigono in mediazione sono quelle legate

alla comunicazione, al rispetto della parola dell’altro, alla possibilità di poter esprimere in libertà il

proprio vissuto e il proprio punto di vista”21.

9. I MEDIATORI

È importante dedicare alcune righe alla figura dei mediatori, poiché essi sono persone

fondamentali per una buona riuscita del processo di mediazione.

9.1. Il lavoro dei mediatori

Il lavoro del mediatore ha diverse caratteristiche e richiede diverse competenze.

21

A. CERETTI, F. DI CIO’, G. MANNOZZI, Giustizia riparativa e mediazione penale: esperienze e pratiche a confronto, in F. SCAPARRO, Il coraggio di mediare. Contesti, teorie e pratiche di risoluzioni alternative delle controversie, Guerini e associati, Milano 2001.

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25

Prima e fondamentale caratteristica è quella di mantenere la confidenzialità: l’iter mediatorio non è

strumento di indagine, né i mediatori sono fonti di informazioni come possono essere gli assistenti

sociali o gli educatori.

Il mediatore è anche colui che si mette in mezzo ai confliggenti e quindi diventa il “facilitatore

della comunicazione”22.

Altra caratteristica è che il mediatore non è colui che giudichi o che imponga soluzioni, ma crea

uno spazio dove le parti in conflitto si sentano accolte. Questo spazio permette a ciascuno di sentirsi a

suo agio e di poter incontrare l’altro.

Il mediatore ricerca, insieme con le parti, forme di riparazione simbolica, prima ancora che

materiale, che dimostrino che la domanda individuale di giustizia espressa dalla vittima o dal reo è

stata ascoltata, accolta e compresa.

9.2. La formazione

I mediatori italiani sono stati formati alla scuola del Centre de Médiation et de Formation à la

Médiation di Parigi23.

Questo Centro segue un modello umanistico, particolarmente attento alle implicazioni emotive-

esistenziali del conflitto, ed è particolarmente efficace in ambito penale dove, più che raggiungere un

accordo, è indispensabile lavorare sugli effetti del reato per poter aprire una possibilità di reciproco

riconoscimento tra le parti.

22

A. CERETTI, F. DI CIO’, G. MANNOZZI, Giustizia riparativa e mediazione penale: esperienze e pratiche a confronto, p. 101. 23

La maggior parte degli Uffici per la Mediazione in Italia sembrano ispirarsi, seppur con alcune differenze, a quel modello di mediazione volto alla trasformazione del conflitto attraverso l’incontro con l’altro, più centrato su dimensioni relazionali, emotive e umane. Modello che fa riferimento al Centre de Médiation et de Formation à la Médiation di Parigi presieduto da Jacqueline Morineau.

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26

La formazione dei mediatori è continua e permanente; questo viene garantito dalla

partecipazione a corsi di aggiornamento e seminari.

Nonostante in Italia sia stato adottato il modello umanistico di mediazione, molti esperti

sottolineano quanto sia importante giungere ad un vero e proprio codice deontologico dei mediatori

in ambito penale e sociale, anche al fine di vedere garantita un’adeguata formazione degli operatori, a

prescindere dalla loro formazione di base.

9.3. A mo’ di conclusione

Per concludere mi sembra di poter affermare che il lavoro dei mediatori sia sulla linea di

proporre una “ricerca di umanità”.

Interessante da questo punto di vista è l’affermazione presente in un articolo di un esponente del

movimento Peace Now24. L’autore, riflettendo sul conflitto arabo-israeliano, afferma: “…. la nostra

salvezza reciproca sta nell’abbracciare la nostra reciproca umanità”25.

In mediazione è proprio l’umanità dell’avversario che si cerca di toccare; si è interessati, prima di ogni

altra cosa, a questa umanità.

10. CASI INVIATI IN MEDIAZIONE

I casi inviati in mediazione riguardano diversi reati, lievi, gravi e gravissimi, che fanno emergere

un notevole allarme sociale e spesso denotano una componente violenta: furti, danneggiamenti,

ingiurie, minacce, risse, lesioni personali, lesioni gravissime, violenza sessuale, estorsione, rapine e

24

Peace Now è un movimento progressista pacifista non-governativo israeliano. 25

M. SCHWEITZER, Quel lampo nella notte, “Diario”, 20-26 giugno, 2003, pp. 78-80.

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27

reati con l’aggravante razziale, sia ai danni di compagni di scuola, di amici, di condomini, ecc., sia ai

danni di sconosciuti.

11. ALCUNI DATI SU CUI RIFLETTERE

I dati26 a cui faccio riferimento fotografano la situazione italiana nell’anno 2002.

Notando la data di questi documenti, emerge chiaro già un elemento: il poco interesse intorno alla

mediazione penale, testimoniato dal fatto che è molto difficile, quasi impossibile, trovare dati

successivi al 2002.

In ogni caso, da questi dati nascono alcuni interessanti spunti di riflessione molto attuali.

La mediazione viene proposta prevalentemente nella fase delle indagini preliminari, o comunque

quasi mai oltre l’udienza preliminare. In questa maniera si cerca di rendere operativo il criterio della

mediazione della minima offensività del processo sul minore.

I risultati delle mediazioni effettivamente realizzate descrivono un quadro positivo: “Dei 321

casi inviati nel 2002, sono state portate a termine 133 mediazioni di cui 114 con esito positivo, 17 con

esito negativo e 2 con esito incerto”27.

Il quadro è positivo ma si nota anche che la mediazione rappresenta ancora un percorso consentito a

pochi28.

26

Cfr. DIREZIONE GENERALE PER GLI INTERVENTI DI GIUSTIZIA MINORILE E L’ATTUAZIONE DEI PROVVEDIMENTI GIUDIZIARI, DIPARTIMENTO DI GIUSTIZIA MINORILE, “Rilevazione sulle attività di mediazione penale minorile per l’anno 2002”, trasmesso nel dicembre 2003, reperibile in internet all’indirizzo http: // www.giustiziaminorile.it / rsi/monitoraggi/Rilevazione_2002.pdf. 27

DIREZIONE GENERALE PER GLI INTERVENTI DI GIUSTIZIA MINORILE E L’ATTUAZIONE DEI PROVVEDIMENTI GIUDIZIARI, DIPARTIMENTO DI GIUSTIZIA MINORILE, “Rilevazione sulle attività di mediazione penale minorile per l’anno 2002”, p. 30, reperibile in internet all’indirizzo http://www.giustiziaminorile.it/rsi/monitoraggi/Rilevazione_2002.pdf 28

Per quanto riguarda la nazionalità, ad esempio, sono state realizzate mediazioni con autori di reato e vittime quasi esclusivamente di cittadinanza italiana, considerando che in soli 13 casi su 321 sono stati coinvolti ragazzi stranieri prevalentemente provenienti dai paesi del Nord Africa e dai Paesi Balcani.

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28

12. ALCUNI PROBLEMI APERTI

In Italia rimangono aperte alcune questioni che necessitano un confronto, come ad esempio

quelle relative ai criteri e alle modalità per l’invio dei casi, quelle relative all’influenza dell’esito della

mediazione sul processo, e quelle relative alla modalità e ai criteri di valutazione dell’esito dei casi

trattati.

Per quanto riguarda, invece, gli aspetti più organizzativi e professionali, emerge con forza una

questione: l’amministrazione, il finanziamento e la definizione dei programmi di giustizia riparativa e

di mediazione.

13. IL LIMITE: STRUMENTI NUOVI CON UNA MENTALITA’ ANTICA

Da più parti è stato messo in risalto “che si ha l’impressione che l’esperienza abbia preso il via

prima della diffusione e della sedimentazione della cultura riparativa, con il concreto e grave pericolo

che si usino strumenti nuovi con una mentalità antica”29.

Infatti se il modello di giustizia è, e continua ad essere, la ritorsione retributiva, è facile cadere nella

trappola di un’applicazione repressiva della giustizia riparativa.

Concretamente questo significa che si può correre il rischio che l’incontro tra reo e vittima non abbia

nessuna rilevanza giudiziaria, che le attività di utilità sociale siano imposte, e magari anche poco

pensate, per quella determinata persona e con significative differenze tra un Tribunale e l’altro.

29

A. CERETTI, F. DI CIO’, G. MANNOZZI, Giustizia riparativa e mediazione penale: esperienze e pratiche a confronto, p. 103.

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29

CAPITOLO SECONDO

La giustizia nella bibbia

Fino ad ora ho spiegato che cosa si intende per giustizia riparativa e mediazione penale.

A questo punto del mio lavoro diventa interessante considerare se l’idea di giustizia riparativa,

concetto del tutto laico, corrisponda, anche solo in parte, a ciò che la Bibbia indica con la parola

giustizia.

Per questo motivo ho scelto di analizzare che cosa si intende per “giustizia divina” e confrontarlo con

la giustizia riparativa.

Per questo approfondimento faccio riferimento ad un articolo di don Sergio Passeri30, offerto ai

cappellani penitenziari in un Convegno.

1. ALCUNI SPUNTI TERMINOLOGICI

1.1. Origine del termine giustizia

Per poter capire che cosa la Bibbia intenda con la parola giustizia, diventa importante fare una

premessa di ordine terminologico, cioè rispondere alla domanda: “Qual è l’origine della parola

giustizia?”.

30

Testo manoscritto di una relazione tenuta dal professor Sergio Passeri al convegno dei cappellani delle carceri di Lombardia e Triveneto, Ome 2 giugno 2012, dal titolo “La giustizia nel Nuovo Testamento”, reperibile in internet all’indirizzo www.caritasbergamo.it/giustiziariparativa/uploads/TDMDDownloads/downloads/downloads_4c1f606a4 d8e7.pdf.

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30

La parola giustizia è la traduzione dal greco classico del termine dikaiosýnê: “Alla radice del termine

dikaiosýnê (giustizia) nel greco classico vi è la parola dikê, che richiama la dea Dikê, figlia di Zeus, che

partecipa al governo del mondo. Si tratta della divinità preposta all’ordinato funzionamento della vita

civile e religiosa della collettività (il sostantivo dikê, infatti, significa colei che indica e quindi anche

direttiva, indicazione, ordine). Pian piano questo vocabolo ha acquistato il significato di 'costume',

'diritto', quindi 'equità' e 'giustizia', nelle sue varie forme: distributiva, commutativa e punitiva […]. Si

possono ritenere come derivanti di dikê i seguenti termini: díkaios (giusto), dikaiosýne (giustizia),

dikaióō (giudicare, giustificare), dikaíôma (azione giusta, giudizio) e dikaíôsis (giustificazione)”31.

1.2. Giustizia come relazione con Dio

Normalmente quando parliamo di giustizia intendiamo il rispetto verso gli altri uomini; ma da

questo piccolo approfondimento terminologico emerge che, quando si parla di giustizia, sia

nell’Antico che Nuovo Testamento, si intende sempre una relazione con Colui che governa il mondo,

cioè con Dio.

Nell’Antico Testamento sono soprattutto i profeti che ci ricordano che l’uomo vive in una società il cui

Signore è Dio. Quindi la società, per essere equa e retta, deve avere un rapporto rispettoso con Dio.

Il termine díkaios, che significa giusto, mi viene in aiuto; infatti spesso significa “davanti a Dio”.

Quindi l’uomo è giusto quando si mette “davanti a Dio” e cerca di capire e mettere in pratica ciò che

Dio gli dice, mentre Dio è giusto perché salva nonostante la debolezza o la cattiveria umana.

Per questo, giustizia in Lui è sinonimo di grazia, misericordia, fedeltà, verità.

31

S. PASSERI, La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 1.

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31

2. CHE COSA È GIUSTIZIA

Un errore in cui si rischia di cadere, analizzando il concetto di giustizia secondo la Bibbia, è

quello di “[…] dire che la giustizia, come categoria forense, appartiene all’Antico Testamento e come

caritas divina al Nuovo Testamento”32.

Questo errore può portare a pensare che la giustizia non sia intrinsecamente connessa ad alcuni

concetti molto importanti come l’amore, la fede e la sapienza, con l’effetto di “falsare” il concetto

stesso di giustizia divina.

2.1. Giustizia e amore

Molto spesso si contrappone il termine giustizia a quello di amore intendendo per giustizia

l’aspetto umano, della legalità, e per amore qualcosa che va oltre in quanto basato sulla gratuità, che

ha come riferimento ultimo Dio; cioè si percepisce la giustizia come qualcosa di parziale, di limitato.

In questa maniera non si mette in risalto la relazione che c’è tra giustizia e carità, ma si afferma la

superiorità della carità, arrivando a trascurare il dovere di giustizia.

Mi sembra interessante, a questo proposito, la concretizzazione che ha fatto don Sergio:

“Questo ha delle ripercussioni anche sul modo di intendere il rapporto Stato-Chiesa (il primo regola la

giustizia, la seconda esercita la carità)”33.

32

S. PASSERI, La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 2. 33

S. PASSERI, La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 2.

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32

2.2. Giustizia e fede

Altra contrapposizione è tra giustizia e fede.

La giustizia viene vista come l’aspetto orizzontale e storico dell’esistenza; mentre la fede assicura il

rapporto con Dio, la dimensione verticale. Nulla di più lontano da quanto afferma la Bibbia.

Infatti, dal testo sacro emerge in maniera chiara che vi è un legame intimo e fondamentale tra fede e

giustizia, tra relazione con Dio e storia.

La fede in Dio permette al cristiano di leggere la realtà storica in cui vive, e la storia gli permette di

rendere più vera la propria fede.

Il rischio di questa contrapposizione è che il cristiano sia schizofrenico in quanto tende a contrapporre

preghiera e azione, servizio a Dio e servizio all’uomo.

Mi sembrano illuminanti queste parole di don Sergio “La vera giustizia consiste nell’interna

articolazione di questi due aspetti, servendo Dio e l’uomo nell’unità di un solo progetto”34.

2.3. Giustizia e sapienza

Ultima contrapposizione è tra giustizia e sapienza.

In questo caso la giustizia viene intesa come impegno concreto ed efficace, mentre la sapienza viene

intesa come studio, riflessione. In altre parole è l’opposizione tra prassi e teoria.

Anche qui le parole di don Sergio mi sembrano molto chiare e sintetiche: “Ma leggendo la Bibbia si

vede che non vi è giustizia senza intelligenza. Anzi è proprio nel saper far giustizia che risiede la

suprema sapienza”35.

34

S. PASSERI, La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 3. 35

S. PASSERI, La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 3.

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33

3. IL CONCETTO DI GIUSTIZIA IN RAPPORTO A DIO

Nel paragrafo precedente ho spiegato che l’uomo è giusto quando sta “davanti a Dio”, cioè

quando cerca di capire e mettere in pratica la volontà di Dio e Dio è giusto perché è misericordioso.

Approfondisco il tema della giustizia in relazione a Dio.

3.1. La giustizia: rapporto tra esseri spirituali

Quando si parla di giustizia si presuppone l’esistenza di una relazione fra due o più soggetti

spirituali liberi, capaci di prendersi la responsabilità delle proprie azioni.

Quindi, come sottolinea don Sergio “[…] il concetto di alterità (la relazione con l’altro da me, proprio

in quanto non assimilabile a me medesimo) è fondamentale per ogni discorso sulla giustizia”36.

In altre parole, si vive la giustizia nel momento in cui due esseri liberi e diversi si mettono in relazione,

e questa relazione si basa sul rispetto di entrambi. Quindi, il punto di riferimento per parlare di

giustizia non è la legge ma l’altro.

“In questa situazione di alterità, che è differenza e asimmetria, l’istanza della giustizia non è solo

quella di rispettare la verità fattuale (dare a ciascuno il suo), ma anche di affermare e realizzare la

verità superiore in ogni soggetto, cioè la sua natura spirituale”37.

Da tutto ciò derivano tre conseguenze:

1. La prima relazione di diversità e somiglianza tra due esseri è quella tra l’uomo e Dio.

2. La giustizia non è facile in quanto è difficile mettere insieme l’alterità e l’uguaglianza.

36

S. PASSERI, La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 3. 37

S. PASSERI, La giustizia nel Nuovo Testamento, p.3.

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34

Questa constatazione porta ad affermare che la famosa frase “La legge è uguale per tutti” non

sia di per sé giusta. Infatti, in questa maniera si tratta tutti allo stesso modo, non tenendo

conto delle diverse situazioni.

3. “La giustizia è divina di natura sua. Non solo a Dio spetta sommamente l’attributo di giusto, ma

anche Egli è l’origine e il fondamento di ogni giustizia. L’uomo è giusto nella sua storia quando

si lascia attraversare dalla volontà efficace del Padre, diventando strumento divino di

comunione, frutto supremo di giustizia”38.

4. LA GIUSTIZIA NEL NUOVO TESTAMENTO

Per capire che cosa si intende per giustizia divina nel Nuovo Testamento, prendo in

considerazione due brani del vangelo di Matteo: il battesimo di Gesù (Mt 3,13-17) e il discorso della

montagna (Mt 5,1-7,23).

4.1. Il battesimo di Gesù

Nel racconto del battesimo di Gesù diventa molto interessante, per il nostro tema, il versetto

3,15.

Mentre Giovanni Battista afferma di aver lui bisogno di essere battezzato, Gesù risponde con una

frase misteriosa: “Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia”.

Le parole “ogni giustizia” (pâsan dikaiosýnên) si riferiscono al piano stabilito da Dio per la salvezza di

tutti gli uomini.

38

S. PASSERI, La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 3.

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35

In altre parole, per arrivare alla salvezza, l’uomo deve rispettare delle regole ed è questa “ogni

giustizia” che Gesù invita a rispettare; cioè l’uomo è giusto quando rispetta la volontà di Dio.

Più avanti, nel capitolo 21 versetto 32, afferma che: “Giovanni infatti venne a voi sulla via della

giustizia, e non gli avete creduto”.

“La via della giustizia non è la via della rettitudine, ma la via di Dio (Gesù adempie ogni giustizia

perché realizza perfettamente il piano salvifico di Dio)39.

Per Matteo, Gesù e Giovanni sono giusti in quanto cercano la volontà di Dio con tutte le loro forze e si

sottomettono a questa volontà.

4.2. Il discorso della montagna

All’interno del discorso della montagna, troviamo le Beatitudini, nel capitolo 5 del Vangelo di

Matteo40, dove, per due volte, si parla di giustizia ma con significati diversi:

Nel versetto 6, dove si parla di giustizia di cui uno ha fame e sete.

Nel versetto 10, dove si parla di giustizia per la quale uno è perseguitato.

Per capire quale significato dà Matteo a questo termine, per lui molto importante, è necessario tener

conto del contesto più ampio del discorso della montagna.

Infatti questo termine compare in altri tre versetti: Mt 5,20, Mt 6,1 e Mt 6,33.

4.2.1. La giustizia cristiana

Nel primo brano, due sono le parole chiave: “la vostra giustizia” e “più abbondante”.

39

S. PASSERI, La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 4. 40

Cfr. J. DUPONT, Le Beatitudini. Gli evangelisti/2, Edizioni Paoline, Roma 1974.

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36

“La vostra giustizia” si riferisce a ciò che i discepoli fanno per essere giusti, cioè quali buone opere

compiono.

“Più abbondante” indica un confronto tra la giustizia dei discepoli e quella degli scribi e farisei,

cioè per quanto riguarda la giustizia, “I discepoli di Gesù sono tenuti a fare più dei professionisti della

giustizia del giudaismo”41.

Matteo è preoccupato di affermare che la giustizia cristiana deve essere il superamento di quella

giudaica, in quanto la giustizia giudaica consiste nella stretta osservanza dei comandamenti, mentre

quella cristiana deve preoccuparsi di capire e mettere in pratica la volontà di Dio.

Dal capitolo 6 versetto 1, emerge che le pratiche di pietà sono apprezzate da Dio solo se sono

compiute con l’intenzione di fare una cosa gradita a Dio stesso e non per accattivarsi le simpatie degli

uomini.

Un’azione religiosa, se non è accompagnata da un’intenzione profondamente religiosa, “non può

produrre giustizia autentica, capace di piacere a Dio e di riscuotere la sua approvazione”42.

Interessanti sono le parole di Dupont: “La giustizia, in questi versetti, qualifica un comportamento

conforme alla volontà divina ed enuncia nel medesimo tempo la condizione in base alla quale uno

sarà ammesso a godere della felicità del regno di Dio”43.

4.2.2. La giustizia e il Regno

Dai vari brani presi in considerazione fino ad ora emerge che, anche per Matteo, la giustizia è

ascoltare e mettere in pratica la volontà di Dio.

41 Cfr. J. DUPONT, Le Beatitudini. Gli evangelisti/2, p. 383. 42

S. PASSERI, La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 5. 43

J. DUPONT, Le beatitudini. Il problema letterario. La buona novella. Gli evangelisti, Ed San Paolo (collana Reprint) 1992, p. 420-421.

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Questo viene confermato anche dall’ultimo brano che ho citato: “Cercate prima di tutto il regno di Dio

e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in più”.

Sorge spontanea una domanda: che relazione c’è tra giustizia e Regno di Dio?

Sembra che Matteo voglia rispondere a questa domanda affermando che “la giustizia costituisce la

condizione per entrare nel Regno”44; cioè cercando la giustizia si trova anche il Regno, o in altre

parole, mettendo in pratica la volontà di Dio, possiamo arrivare a conoscere il Regno.

“Matteo si mostra preoccupato di una giustizia vissuta”45, cioè di una giustizia che si trasformi

in opere nella vita del discepolo; rendendolo in questo modo giusto.

“I cristiani saranno giudicati in base ai soli atti, esattamente come gli altri, e solo coloro che avranno

praticato la giustizia saranno ammessi nel Regno. Nella beatitudine che rinvia alla persecuzione a

causa della giustizia, ciò diventa ancor più evidente. Bisogna ricordare ai cristiani, pensa Matteo, che il

fatto di trovarsi nella sala del banchetto non è ancora una garanzia per partecipare a questo. Neppure

il fatto d’aver sofferto la persecuzione a causa di Cristo basterebbe a garantir loro la salvezza, se non

hanno praticato la giustizia e sofferto a causa della giustizia, a causa di un modo di vivere

autenticamente cristiano”46.

5. DUE TIPI DI GIUSTIZIA

Sempre dal Vangelo di Matteo emergono due tipi di giustizia: quella umana e quella

evangelica.

44

S. PASSERI, La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 6. 45

S. PASSERI, La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 6. 46

S. PASSERI, La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 6.

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5.1. La giustizia umana

Quella umana consiste fondamentalmente nel rispetto reciproco; questo comporta dei diritti e

dei doveri.

Infatti, i Vangeli ci ricordano che “è giusto avere il pane quotidiano (Mt 6,11), come è giusto ricevere il

salario per le prestazioni assolte ed è doveroso darlo da parte di chi ne ha ricevuto il beneficio (Mt

20,4)”47.

La giustizia permette agli uomini di poter vivere insieme, altrimenti ciò sarebbe impossibile, in quanto

regnerebbe il caos.

Infatti, quando le relazioni all’interno di un insieme di persone (Stato, club, gruppi, ecc...) sono basate

sull’ingiustizia, prima o dopo la situazione diventa ingestibile.

Tuttavia, nonostante l’uomo sia consapevole dell’importanza del rispetto della giustizia, tutti

sperimentiamo che praticare la giustizia non è né semplice né facile.

Emerge sia dal Vangelo (Gv 7,24) sia dall’esperienza di ogni giorno la difficoltà del vivere la giustizia.

Inoltre, l’uomo vive una profonda contraddizione: da un lato la giustizia è la sua prima e più

importante aspirazione, ma dall’altro è ciò che vede calpestata quotidianamente.

Quindi, mi sembra di poter dire che nel Vangelo di Matteo si dà valore alla dimensione umana della

giustizia, intuendo però che non è questo ciò che va sotto il nome di giustizia evangelica.

5.2. La giustizia evangelica

Uno dei brani del Vangelo che più permettono di intuire che cosa sia la giustizia evangelica è la

parabola dei lavoratori della Vigna (Mt 20,1-16).

47

S. PASSERI, La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 7.

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Da questa parabola emerge chiaramente che la giustizia evangelica non è quella umana.

Infatti, il padrone della vigna, cioè Dio, mette in atto un comportamento apparentemente ingiusto,

paradossale.

In realtà, è giusto “perché ordinato proprio a non rifiutare a nessuno ciò di cui ha bisogno e per

questo in un certo modo gli è dovuto. Matteo ricorda che Dio è perfetto non quando dà all’uomo ciò

che si merita, ma ciò di cui ha bisogno (Mt 5,45-48). L’ingiustizia si sarebbe verificata se fosse stato

negato ai primi quanto era pattuito, non se lo stesso favore si accorda benevolmente anche agli

ultimi”48.

Mi sembra molto importante sottolineare che, quando Matteo parla della giustizia, non ha come

scopo quello di arrivare a definire chi sono i giusti, ma di far capire che l’unico giusto è il Padre.

Concludendo questa riflessione, posso affermare che il giusto è l’uomo impegnato a compiere

la volontà del Padre e la “misura della giustizia cristiana è la perfezione di Dio” (Matteo 5,48).

Il cristiano è all’apice della giustizia, quando tratta il prossimo con la comprensione e la benevolenza

che gli usa Dio (Matteo 5,43-48)”49.

Emerge in maniera chiara che non si può arrivare alla vera giustizia senza la fede.

6. GESÙ E LA GIUSTIZIA

Dopo aver visto che la giustizia nell’Antico Testamento indica l’osservanza della volontà di Dio,

e dopo averlo confermato analizzando il concetto di giustizia umana ed evangelica nel Vangelo di

Matteo, diventa interessante capire come Gesù viveva e intendeva la giustizia.

48

S. PASSERI S., La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 7. 49

S. PASSERI S., La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 7.

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40

“L’appellativo più antico che la predicazione cristiana assegna a Gesù è giusto abbinato a

santo”50.

La parola giusto riferito a Gesù ha fondamentalmente due significati:

Il primo è quello di innocente, come ci ricorda la moglie di Pilato quando avvisa il marito dicendo:

“Non avere nulla a che fare con quel giusto” (Mt 27,19).

Il secondo è che “Gesù è giusto perché vive nella giustizia e per la giustizia, cioè per l’attuazione

che il Padre gli ha assegnato, il Regno di Dio”51.

7. LA GIUSTIZIA E IL PERDONO

A questo punto della mia riflessione mi sembra opportuno analizzare la relazione che esiste tra

giustizia e perdono.

Il perdono è un tema molto caro a noi cristiani. Infatti, per noi credenti non può esistere la giustizia

senza il perdono.

Il perdono è un atteggiamento sicuramente difficile da mettere in pratica: “Perdonare è un

atto limite, molto difficile, che non significa solo rinunciare alla punizione, ma comporta

un’asimmetria essenziale: al posto del male per il male, restituisce il bene per il male”.52

Capiamo bene che tutto ciò è contro ogni logica umana e comporta un alto rischio: quello di diventare

vulnerabili, “feribili”, in quanto si “restituisce il bene per il male”.

È chiaro che il perdono rimanda all’immagine di Dio53; un Dio che è una persona con cui instaurare un

rapporto; un Dio che per primo mi perdona; solo così l’uomo è capace di perdonare e di correre l’alto

rischio di perdonare.

50

S. PASSERI S., La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 6. 51

S. PASSERI S., La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 7. 52

E. MORIN, Etica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2005, p. 123.

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41

Mi viene in aiuto, per spiegare meglio ciò che ho scritto fino ad ora, una frase di Guardini: “Il

significato vero e proprio insito nel bisogno di perdono è concepibile solo a partire da Dio”54.

7.1. Il difficile perdono

“Il perdono è difficile: né facile, né impossibile”55. Queste parole di Ricoeur fanno intuire

quanto sia impegnativo affrontare questo tema.

Tema faticoso perché il perdono non è solo difficile da dare o da ricevere ma anche da concepire.

Perché il perdono è difficile da concepire?

Perché quando si compie un’azione sbagliata, colpa e perdono sono i due estremi di quest’azione e

questi due estremi non si possono avvicinare, in quanto si rischierebbero due eccessi: o si facilita il

perdono, però svilendo la colpa (rischiando l’ingiustizia storica e morale), o si dà troppo spazio al

senso di colpa limitando così la possibilità del perdono.

Ci verrebbe quasi da dire che il perdono è impossibile. In realtà il perdono esiste, appartiene “[…] alla

famiglia dell’amore, della gioia, della saggezza e della follia”56.

L’unica maniera per superare questo empasse è “Separare il colpevole dal suo atto, altrimenti detto:

perdonare il colpevole pur condannando la sua azione. […]. Tu vali molto di più delle tue azioni”57; in

53

Cfr. J. FUCHS, Immagine di Dio e morale dell'agire intramondano, in “Rassegna di Teologia” 25/4 (1984), pp. 289-313. 54

R. GUARDINI, Etica, Morcelliana, Brescia 2001, p. 448. 55

P. RICOEUR, La memoria, la storia, l'oblio, Cortina Raffaello, Milano 2003, p. 649. Sul tema del perdono in Ricoeur cfr.

P. RICOEUR, Il Giusto, Editore Effatà 2005, pp. 167-180; P. RICOEUR, Il perdono può guarire?, Esprit, n. 210, marzo-aprile 1995, pp. 77-82; P. PAGLIACCI, Il tempo di perdonare. L'enigma del perdono, in M. SIGNORE, G. SCARAFILE, Libertà, evento, storia, Edizioni Messaggero, Padova 2006, pp. 287-303.

56 S. PASSERI, La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 11.

57 P. RICOEUR, La memoria, la storia, l’oblio, p. 697.

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42

altre parole “[…] non identificare il colpevole con il suo concreto essere-così ma permettergli di

ridefinirsi rispetto a ciò che egli ha fatto”58.

Solo così è possibile perdonare. Infatti, come Dio perdona, perché sa che l’uomo non è solo ciò che fa,

anche l’uomo deve perdonare il suo simile. Ecco la peculiarità e la forza del perdono cristiano.

7.2. “Ri-orientarsi” verso il bene

Quanto ho scritto sopra richiede una fiducia nella possibilità che ogni persona colpevole ha di

“ri-orientarsi” verso il bene.

Questa fiducia si basa su due elementi:

Da un lato l’esperienza ci insegna che l’uomo è capace di cambiare vita, di scegliere il bene

dopo aver scelto il male.

Dall’altro, l’uomo è stato creato da Dio per il bene, quindi anche con la capacità di sceglierlo.

Certo, la possibilità di “ri-orientare” la propria vita verso il bene, prevede che la persona scelga di “ri-

orientarsi”. Ma l’uomo, essendo libero, non sempre effettua questa scelta.

Ecco perché il perdono ha senso.

Infatti, nel momento in cui l’uomo non rimane fedele alla sua capacità di “ri-orientarsi”, non ha altro

mezzo “per ritornare uomo”, che quello del perdono.

Tutto ciò che ho scritto viene sintetizzato da don Sergio: “L’espressione che Gesù pronuncia

sulla croce: “perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34), commenta ogni azione

58

R. SPAEMANN, Persone. Sulla differenza tra “qualcosa” e “qualcuno”, Laterza (Collana Biblioteca Universale Laterza), Bari 2007, p. 226.

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43

umana. Non si tratta di un’ignoranza che scusa, ma di un’ignoranza ontologica”59 e “noi viviamo,

pertanto, del perdono che diamo e che riceviamo”60.

In sintesi, posso affermare che per poter cercare di amare il nemico e perdonare il colpevole, il

cristiano deve incontrare il Dio di Gesù Cristo.61.

In altre parole: “Se nella relazione con l’altro, come abbiamo visto, si dischiude la 'plausibilità' del

perdono, nella relazione spirituale con Dio si dischiude la 'possibilità' del perdono”62.

Solo la relazione con Dio ci aiuta ad aprirci al perdono, che umanamente parlando è difficile e quasi

impossibile (soprattutto in alcune occasioni).

“La fede porta al perdono, il perdono provoca l’amore”63.

8. RAPPORTO TRA GIUSTIZIA DIVINA E GIUSTIZIA RIPARATIVA

Dopo aver visto che cosa si intende per giustizia divina e averla confrontata con quella

riparativa, è possibile notare la presenza di diversi punti di contatto fra le due forme di giustizia; in

altre parole, la giustizia riparativa, strumento del tutto laico, mette in atto un concetto di giustizia che

corrisponde a quella divina.

Infatti, secondo la Bibbia essere giusti significa cercare e mettere in pratica la volontà di Dio,

cercare e mettere in pratica i valori che la Bibbia ci suggerisce.

59

S. PASSERI, La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 12. 60

Robert Spaemann riporta l’aneddoto di Sant Ambrogio: “Alla domanda perche Dio dopo la caduta degli angeli avesse

creato l’uomo, Sant’Ambrogio rispose: dopo quell’esperienza Dio voleva avere a che fare con esseri ai quali potesse perdonare”, R. SPAEMANN, Felicità e benevolenza, op. cit., p. 242. 61

Cfr. S. BASTIANEL, Teologia morale fondamentale. Moralità personale, ethos, etica cristiana, PUG, Roma 1992. 62

S. PASSERI, La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 14. 63

C. BROCCARDO, La fede emarginata, Edizioni Cittadella, Assisi 2006, p. 230.

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44

Sappiamo che possiamo trovare la sintesi della Bibbia nella cosiddetta regola d’oro: “Ama il Signore e

il prossimo tuo come te stesso” (Lc 10,27). Ogni persona, in quanto figlio di Dio, è degna di essere

amata e, in questa maniera, viene rispettata la sua dignità di persona.

È chiaro il collegamento con la giustizia riparativa, che ha tra i suoi obiettivi principali quello di non

dividere il mondo in rei e vittime, ma in persone che hanno sbagliato e persone che hanno subito un

torto e che quindi hanno il diritto di essere ascoltate e “risarcite”. Ma sempre di persone si parla.

Quindi, la preoccupazione non è di punire ma di instaurare un nuovo rapporto tra le due parti.

Tutto questo è sintetizzato dalla frase “Il cristiano è all’apice della giustizia, quando tratta il prossimo

con la comprensione e la benevolenza che gli usa Dio (Matteo 5,43-48)” 64.

La giustizia divina e riparativa si attuano nel momento in cui due esseri liberi e diversi si mettono in

relazione; questa relazione si basa sul rispetto di entrambi.

Sia per la giustizia divina sia per quella riparativa il punto di riferimento non è la legge ma l’altro,

l’altro come persona, con la sua dignità.

Matteo, inoltre, ci ricorda che Dio è giusto non quando dà all’uomo ciò che si merita, ma ciò di cui ha

bisogno (Mt 5,45-48).

Questa è un’altra caratteristica che troviamo nella giustizia riparativa.

Infine, la giustizia riparativa prevede la capacità della vittima di “perdonare” il reo, cioè di ritenere che

il reo possa cambiare, possa ri-orientare la propria vita al bene.

Si tratta dello stesso concetto di perdono che troviamo nella Bibbia.

64

S. PASSERI S., La giustizia nel Nuovo Testamento, p. 7.

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CAPITOLO TERZO

L’Ufficio di mediazione penale minorile di Milano

1. LA NASCITA

Dopo aver spiegato in che cosa consiste la mediazione penale e dopo aver analizzato quale

concetto di giustizia emerge dalla Bibbia e averlo confrontato con il concetto di giustizia che sta alla

base della mediazione penale, mi sembra opportuno e interessante analizzare l’attività concreta di un

Ufficio di mediazione.

Ho scelto l’Ufficio di Milano perché è ben organizzato ed efficiente.

Nel 1996 un gruppo di studiosi e operatori esperti di giustizia minorile, il cosiddetto “gruppo di

promotori65”, ha elaborato il “Progetto per l’istituzione di un Ufficio di mediazione penale presso il

Tribunale per minorenni di Milano”.

Questo progetto viene attuato, “Il 29 aprile del 1998, mediante la firma di un Protocollo d'intesa

interistituzionale tra Ministero di Grazia e Giustizia (CGM della Lombardia e della Liguria), Comune di

Milano, Comune di Cinisello Balsamo, e Provincia di Milano (ASL n. 1 di Legnano), sotto il patrocinio

del Presidente del Tribunale per i minorenni e del Procuratore della Repubblica per i minorenni del

capoluogo lombardo”66.

Volutamente ho riportato tutti gli enti coinvolti in questo protocollo di intesa perché l’esperienza di

Milano ha dimostrato che una delle condizioni principali per la riuscita di una mediazione penale è

proprio il lavoro in rete.

65

Lo stesso gruppo di promotori nel maggio del 2001 ha fondato l'Associazione Dike sulla mediazione dei conflitti. 66

C. MAZZUCATO, Una testimonianza e qualche riflessione a partire dall’esperienza milanese, p. 65.

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46

Prima della nascita dell’Ufficio di mediazione di Milano ci sono stati una serie di incontri sul

tema della mediazione penale minorile.

Questi incontri avevano lo scopo di diffondere una cultura della mediazione penale e di mettere a

confronto e far collaborare tutti i soggetti coinvolti, sia istituzionali sia del privato sociale.

L’opera di consolidamento culturale delle pratiche di mediazione è proseguita anche dopo la prima

fase di istituzione dell’Ufficio, con incontri periodici con la magistratura, i servizi minorili e con i

difensori d’ufficio nei processi a carico di minorenni.

2. LA COMPOSIZIONE

Claudia Mazzucato, mediatrice dell’Ufficio di Milano, ci spiega la composizione dell’Ufficio: “I

mediatori milanesi sono fin dall'origine quattordici: i sette componenti del 'gruppo promotore' e altre

sette persone funzionari pubblici, dipendenti dalle Amministrazioni sottoscrittrici il protocollo d'intesa

e 'distaccati' presso l'ufficio per la mediazione. I mediatori sono eterogenei per sesso, età e

competenze scientifiche e/o professionali: uomini e donne, giovani e meno giovani, con marcate

diversità culturali (quattro educatori, tre assistenti sociali, due giuristi, due pedagogisti, un

criminologo, un sociologo, un teologo)”67.

Attualmente l’Ufficio di mediazione milanese è composto da nove mediatori, due provengono

dal Comune di Milano, uno dai Servizi della giustizia minorile, tre sono insegnanti, di cui uno docente

universitario esperto in materie giuridiche, due esperti in discipline sociali e pedagogiche, e un

avvocato.

67

C. MAZZUCATO, Una testimonianza e qualche riflessione a partire dall’esperienza milanese, pp. 65-66.

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3. I MEDIATORI

Dopo aver presentato la nascita e la composizione dell’Ufficio di Milano, risulta interessante

analizzare la figura dei mediatori, che sono i facilitatori nel processo di mediazione penale.

3.1. L’attività dei mediatori

Dall’esperienza di Milano emerge che un elemento sicuramente importante è che tutto ciò che

ha a che fare con la mediazione è gratuito: colloqui preliminari, incontri di mediazione, incontri per

definire aspetti risarcitori e/o di riparazione, possibile accompagnamento per la remissione della

querela.

Questa è sicuramente una caratteristica positiva in quanto permette a tutti di accedere a questo

importante strumento della giustizia riparativa.

Essendo gratuita la mediazione penale, i mediatori devono continuare a svolgere la loro precedente

attività professionale (docenti universitari, insegnanti, educatori/assistenti sociali presso i servizi

dell’Amministrazione, ecc...) e quindi il servizio di mediatore è a tempo parziale.

Questo però non costituisce un problema particolare. Infatti con una buona organizzazione interna

dei turni, viene garantito sia l’orario di apertura dell’Ufficio sia la formazione delle èquipe di

mediazione.

Un altro elemento che caratterizza il gruppo dei mediatori dell’Ufficio milanese è la diversità

culturale e professionale dei componenti.

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48

I mediatori lavorano sempre in gruppi multidisciplinari in cui si mescolano saperi teorici e pratici, che

garantisce per ogni “caso di mediazione” un’attenzione globale ai molti, complessi, intrecciati aspetti

coinvolti (educativi, giuridici, ecc…).

3.2. La formazione dei mediatori

I mediatori milanesi, come la maggior parte dei mediatori italiani, sono stati formati alla scuola

del Centre de Médiation et de Formation à la Médiation di Parigi.

4. L’ATTIVITÀ DELL’UFFICIO

4.1. Sede dell’Ufficio

L’Ufficio ha sede presso il Servizio Educativo Adolescenti in Difficoltà (SEAD Settore

Educazione) del Comune di Milano.

Come si può notare la sede dell’Ufficio di mediazione non coincide con la sede del Tribunale per i

minorenni per due motivi:

Si è voluto evitare di confondere il ruolo del giudice con quello del mediatore

Si è voluto sottolineare la diversità tra mediazione e procedimento penale giudiziario.

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4.2. Competenza dell’Ufficio

L'Ufficio per la mediazione di Milano offre il suo servizio in tutto il distretto di competenza del

Tribunale per i minorenni di Milano che comprende le province di Milano, Varese, Como, Lecco,

Sondrio, Pavia, Lodi.

4.3. I finanziamenti

Il progetto dell’Ufficio di mediazione riceve diversi finanziamenti: sia dai fondi stanziati dalla

Legge 285/9768 (cd Legge Turco), sia attraverso gli oneri assunti dagli organi ed enti partner del

Protocollo d’intesa.

Anche il finanziamento per la formazione iniziale e permanente dei mediatori è pubblico.

4.4. Attività dell’Ufficio

Come ho già precedentemente accennato, l’attività di mediazione penale si svolge quasi

esclusivamente in seno alla giustizia minorile, che è più attenta al recupero educativo del reo e

dunque più aperta a percorsi flessibili, personalizzati, rapidi, significati e non repressivi.

A questo riguardo mi sembrano molto interessanti quanto ha scritto Claudia Mazzucato: “L’esperienza

ci insegna che si ricorre allo strumento della mediazione soprattutto durante l’accertamento della

personalità del giovane imputato, vero perno di tutto il sistema minorile. Infatti il giudice, per

68

L. 28.8.1997 n. 285, Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 207 del 5 settembre 1997, reperibile in internet all’indirizzo http://www.camera.it/parlam/

leggi/97285l.htm

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intervenire dal punto di vista penale, deve tener conto della maturità e delle risorse personali,

familiari e sociali del ragazzo”69.

La stessa Mazzucato, in un altro articolo, afferma: “Il processo penale a carico del minorenne è

dunque costruito come un luogo 'ardito' di progettazione pedagogica al fine di tentare in ogni modo la

promozione di percorsi di educazione e inserimento sociale. La legge considera dinamicamente la

personalità dell’adolescente: dentro tale dinamismo è fattore fecondo e giuridicamente rilevante la

possibilità di un incontro volontario responsabilizzante e costruttivo con la persona offesa dal

reato”70.

L’attività dell’Ufficio di mediazione inizia solo su mandato dell’autorità giudiziaria minorile

(Pubblico Ministero nella fase delle indagini preliminari, Giudice dell’Udienza preliminare, o – in casi

rari – Giudice del dibattimento), eventualmente stimolata da una possibile richiesta delle parti.

Il soggetto che seleziona i “casi” adatti alla mediazione è la magistratura.

I criteri seguiti per capire quali ”casi” prendere in considerazione sono decisi assieme ai mediatori; si

cerca di tener conto delle caratteristiche del reato, della responsabilità e personalità del minore, della

vittima, della relazione tra le parti, del contesto comunitario in cui l’illecito ha avuto luogo.

L’esperienza insegna che la mediazione è molto più efficace quanto più il reato ha mosso forti

sentimenti e ha violato (nella vittima e nel reo) valori fondamentali.

A questo proposito sempre la Mazzucato dice: “L’incontro di mediazione, infatti, diventa lo spazio-

tempo in cui i sentimenti e valori universali sono richiamati e si impongono allo sguardo delle parti

spingendole verso una convergenza e un mutuo riconoscimento. Sono quindi proprio i reati

oggettivamente più gravi, o soggettivamente vissuti come gravi e traumatizzanti a essere più adatti

alla mediazione” […]. A differenza del procedimento giudiziario, fondato sulla separazione del

69

C. MAZZUCATO, Mediazione e riparazione, in Dignitas - percorsi di carcere e di giustizia, Giugno 2003, p. 68. 70

C. MAZZUCATO, Una testimonianza e qualche riflessione a partire dall’esperienza milanese, p. 63.

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51

colpevole dall’innocente, della pretesa legittima dalla pretesa illegittima, la mediazione concepisce la

giustizia come “forma della ri-unione di ciò che era separato”71.

5. I CASI DAL 1998 AL 2003

Per poter capire la reale incidenza del percorso di mediazione all’interno del sistema penale

minorile riporto alcune statistiche che riguardano l’Ufficio di Milano.

Il Centro di mediazione penale minorile di Milano dall’anno di apertura dell'Ufficio di

mediazione, cioè dal 1998, fino al 31 dicembre 2003, ha ricevuto l’invio in mediazione di 218 casi72.

Figura 1- Casi inviati in mediazione per anno. Periodo 1998- 2003. Percentuale73

A questo proposito è interessante la figura 1 che mostra la distribuzione percentuale di questi casi

per ciascun anno di attività dell'Ufficio.

71

C. MAZZUCATO, Una testimonianza e qualche riflessione a partire dall’esperienza milanese, p. 67-68. 72

N. IMPERIALE, “La mediazione penale minorile. Aspetti giuridici e sociologici”, cap. 4, in L’altro diritto, Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità, 2004. 73

CENTRO DI DOCUMENTAZIONE SU CARCERE, DEVIANZA E MARGINALITÁ, La mediazione penale minorile, in L'altro Diritto, 2007, reperibile in internet all’indirizzo http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/Minori/imperial/index.htm

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Da questo grafico emergono due dati contrapposti: l’anno 2000 è stato quello in cui sono stati inviati il

maggior numero di casi (48 casi inviati), mentre nel 2002 è stato l’anno in cui sono stati inviati il minor

numero di casi (solo 26).

6. LE TIPOLOGIE

6.1. Dei reati

L’Ufficio di mediazione milanese è stato coinvolto, dall’Autorità giudiziaria minorile, nella

maggior parte dei casi, in reati che, anche se non gravi, potevano essere oggetto di allarme sociale.

6.2. Dei rei e delle vittime

Per quanto riguarda gli autori di reato è interessante sottolineare che dai dati raccolti74

emerge che la mediazione è stata applicata a rei di sesso maschile nel 91,5% dei casi.

Prendendo in considerazione le parti offese, la percentuale diminuisce al 71%: le donne

rappresentano infatti il 29% delle vittime.

Per quanto riguarda l’età possiamo dire che:

L’età degli autori del reato è compresa per quasi il 50% dei casi, tra il 15 e i 16 anni.

L’età delle parti offese è, nel 50% dei casi, rappresentata da persone di età compresa tra i 15 e i

19 anni.

74

Ibidem.

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53

Nel restante 50% dei casi registrati risultano ben rappresentate le vittime con più di quattordici

anni (15,5% del totale) e con più di cinquant’anni (13,2% del totale).

Per quanto riguarda la nazionalità sono state realizzate mediazioni con autori di reato e vittime

in maggior parte di cittadinanza italiana, ma in non pochi casi sono stati coinvolti rei e vittime

immigrati di seconda generazione.

A tale proposito, e nella prospettiva di offrire questa opportunità anche a minori stranieri, l’Ufficio ha

collaborato alla sensibilizzazione e formazione di mediatori linguistico-culturali per una eventuale

ipotesi di affiancamento di questi ultimi ai mediatori penali.

7. RAPPORTO TRA I CASI INVIATI IN MEDIAZIONE E I CASI PRESI A CARICO DAL

TRIBUNALE

Dai dati della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Milano emerge

che dal 1998 al 2002 le denunce a carico di minori con più di 14 anni sono state 28.647.

In particolare: 5.639 nel 1998, 6.382 nel 1999, 5.893 nel 2000, 5.298 nel 2001 e 5.435 nel 200275.

Dai dati che sono noti non è possibile sapere in quanti di questi casi c’erano le condizioni per poter

accedere all’Ufficio di mediazione.

Invece è possibile avere un'indicazione circa l'incidenza dei casi inviati in mediazione sul totale delle

denunce a carico di minori con più di 14 anni.

Mi sembra utile questo raffronto per poter capire se lo strumento della mediazione penale è uno

strumento utilizzato o meno.

75

Ibidem

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54

Nel periodo 1998-2002 i casi inviati in mediazione costituiscono circa lo 0,6% delle denunce a

carico di minori ultraquattordicenni pervenute alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i

minorenni di Milano.

La tabella 3, invece, riporta dati che riguardano gli esiti processuali dei casi inviati all'Ufficio di

mediazione milanese nel periodo gennaio 1998- maggio 2004.

Sintetizzando questi dati mi sembra di poter dire che si ricorre poco alla mediazione penale ma,

quando si ricorre, nel 50% la mediazione porta ad un esito processuale positivo.

Tabella 3- Esito delle mediazioni per anno. Percentuale

1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004

Positivo 50,0 52,4 54,6 36,6 50,0 41,9

Negativo

2,4 2,1

3,8

Incerto 6,7 4,8 10,4 2,4

Non effettuabile 43,3 40,5 31,3 61,0 46,2 48,4 14,3

In corso

9,7 85,7

Non rilevato

2,1

Totale 100 100 100 100 100 100 100

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8. BILANCIO DELL’ESPERIENZA DELL’UFFICIO PER LA MEDIAZIONE DI MILANO

Questo bilancio è degli anni che vanno dall’inizio dell’attività fino al 2004.

Nei primi anni di lavoro, i mediatori dell’Ufficio di Milano hanno incontrato molte centinaia di

persone, tra imputati, vittime e loro familiari.

In questa maniera hanno conosciuto una piccola parte, se paragonata al carico complessivo dell’Intero

Tribunale per i Minorenni di Milano, ma estremamente significativa della cosiddetta delinquenza

minorile e dell’universo umano che vi gravita attorno.

Proprio per questa vicinanza alle vittime e ai rei, i mediatori, in prima persona, hanno sperimentato

l’utilità della mediazione, ben consapevoli delle iniziali difficoltà per gli attori del reato a ricorrere a

questo strumento.

Scrive la Mazzucato: “I numeri ancora a tre cifre dei nostri procedimenti ci hanno consentito di

dedicarci appieno – al meglio delle nostre capacità, al massimo delle nostre risorse – alle persone che

coraggiosamente e non senza fatica hanno scelto in libertà di intraprendere un percorso pionieristico

non facile e (costruttivamente) sofferto; ci hanno anche consentito un costante confronto teorico-

pratico per il continuo affinamento e miglioramento dell’attività”76.

Il bilancio nei primi anni di vita dell’Ufficio è buono in quanto emerge dai dati che la maggior

parte dei casi inviati alla mediazione hanno esito positivo e il giudizio di chi è intervenuto è stato

soddisfacente.

Il bilancio è positivo ma, secondo i mediatori, c’è ancora molto lavoro da fare soprattutto a livello

culturale.

Infatti troppi, anche tra gli addetti ai lavori, non conoscono la mediazione e la giustizia riparativa.

76

C. MAZZUCATO, Una testimonianza e qualche riflessione a partire dall’esperienza milanese, p.65.

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Tra i pochi che hanno sentito parlare della mediazione, molti si accontentano di conoscenze

superficiali e si improvvisano mediatori, causando problemi.

Ciò che risulta interessante e che mi permette di intuire perché questo strumento non si è

ancora diffuso e sviluppato è un’affermazione della Mazzucato: “Altri continuano a rimanere sordi e

ciechi davanti a un’esperienza internazionale che, se non altro, ha l’indubbio merito di aver ri-aperto

domande fondamentali sulla giustizia, superando la fossilizzazione del sistema penale fermo e diviso

tra la 'crisi' dell’idea rieducativa e la nuova, talvolta spaventosa, vitalità di logiche repressive-

retributive (vedi le politiche di 'tolleranza zero', i 'pacchetti sicurezza' e le proposte di riforma del

sistema minorile)”77.

Alla fine di questa mio percorso di approfondimento posso affermare, senza timore di

smentita, che la maniera più giusta per valorizzare la giustizia riparativa, e tutti i suoi strumenti, è

quello di inquadrare le nuove esperienze riparative nel contesto di un ripensamento della politica

criminale e di una seria riforma del sistema sanzionatorio.

Questo pensiero viene valorizzato dalla constatazione del fallimento della pura repressione per

garantire la sicurezza dei cittadini; sembra che la strada più giusta sia quella di aprire un dibattito sui

modi di dare risposte democratiche alle domande di giustizia.

77

C. MAZZUCATO, Una testimonianza e qualche riflessione a partire dall’esperienza milanese, p.65.

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CONCLUSIONE

Sono stata molto contenta di aver appreso in che cosa consista la giustizia riparativa e in

particolare un suo strumento, la mediazione penale.

Dopo una prima lettura, abbastanza pessimistica, sulla possibilità di utilizzare questo strumento, mi

sono ricreduta e mi sono resa conto che è possibile non considerare gli “attori” di un reato

semplicemente come reo e vittima ma come delle persone con le loro emozioni, i loro sentimenti.

È da sei anni che presto servizio nella Casa Circondariale di Treviso. Il mio servizio è soprattutto

ascoltare e rispondere alle richieste molto materiali dei detenuti (telefonare a casa, fornire un

maglione, delle scarpe, dei colori,…..).

Ciò che ho constatato molte volte è la difficoltà di coloro che compiono un reato di riconoscere la loro

responsabilità.

Dopo la ricerca che ho fatto per stendere questo lavoro, mi viene da dire che forse i detenuti fanno

fatica a riconoscersi colpevoli perché si sono sempre confrontati con un avvenimento materiale (furto,

spaccio…) e non con la persona, o le persone, o la comunità che ne è stata colpita.

Forse, solo capendo che con il loro atto hanno ferito (fisicamente, moralmente) una persona, essi

potrebbero anche riconoscersi colpevoli.

Altrimenti il rischio è che i colpevoli sono sempre gli altri: la società, lo Stato, la Chiesa.

Un altro aspetto della mediazione penale, che ritengo molto interessante e che mi ha fatto

riflettere, è l’importanza della possibilità, per la vittima, di esprimere quello che ha vissuto, ciò che ha

provocato in lei l’azione del reo.

Questo ha il duplice effetto di permettere alla vittima di sentirsi accolta e capita, e al reo di rendersi

conto di ciò che ha causato la sua azione.

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BIBLIOGRAFIA

1. FONTI E DOCUMENTI

ALTRI DOCUMENTI

CENTRO DI DOCUMENTAZIONE SU CARCERE, DEVIANZA E MARGINALITÁ, La mediazione penale minorile, in L'altro diritto, 2007. CONSIGLIO D’EUROPA, COMITATO DEI MINISTRI, “Raccomandazione relativa alla Mediazione in materia penale n. R (99) 19, reperibile in internet all’indirizzo www.progettofiducia.it / documents/ DECIMO CONGRESSO INTERNAZIONALE DELLE NAZIONI UNITE SULLA PREVENZIONE DEL CRIMINE E TRATTAMENTO DEI REI, reperibile in internet all’indirizzo www.liberante.net/2012/11/che-cose-la-mediazione-dei-conflitti.htmldownloads_4c1f606a4d8e7.pdf.

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2. STUDI

LIBRI

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L’altro Diritto

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Diritto Penale e Processo

Prospettive Sociali e Sanitarie Rassegna di Teologia Esprit

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