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    «società civile» come identica allo Stato, distinto non dalla società civile madirettamente dalla famiglia, «società naturale [...] istituita direttamente da Dio»).2

    In 4,45 è nella costellazione di uomo, società civile, dialettica (contraddizione),che Gramsci ravvisa il debito profondo del marxismo nei confronti di Hegel. Ed èinvece nel non aver saputo o voluto spingersi fino in fondo su questa via che sonoindicati i suoi limiti, quelli che ne fanno pur sempre un «‘romanzo filosofico’». Questaespressione dobbiamo tenerla a mente: essa segna il punto di congiunzione tra il pensiero di Hegel e la «filosofia intesa nel modo tradizionale»; e dunque il punto dirottura del marxismo (della filosofia della praxis) rispetto a «tutte le filosofie finoraesistite», anche quella hegeliana; e perciò il punto in cui filosofia e religione siuniscono, e filosofia tradizionale e filosofia della praxis si dividono.

    L’espressione ‘romanzo filosofico’ è rivelatrice: come mostrerò, Gramsci la usanell’analisi dell’utopia . Non si tratterà dunque di ricostruire l’analisi del fenomenoreligioso come tale, ma di evidenziare l’intreccio tra religione e utopia, facendo quindiemergere il modo in cui questo intreccio diventa agli occhi di Gramsci via via piú

    importante per pensare il concetto di filosofia tradizionale e quindi la stessa filosofiadella praxis.

    1. Religione e utopiaLa riflessione di Gramsci sulla religione non inizia certo neiQuaderni . Già in

    precedenza è rintracciabile un approccio non riduttivo al fenomeno religioso e alla suaserietà, al suo essere non una sovrastruttura posticcia, eliminabile con i metodiilluministici della propaganda (passati nel movimento operaio nella forma dianticlericalismo), ma un sentimento radicato che ha profonde motivazioni. Non importaqui scendere nei dettagli, quanto piuttosto sottolineare due aspetti che assumono granderilevanza neiQuaderni e sono un diretto prolungamento di questo approccio. Il primo èla distinzione tra religione popolare e religione del clero, che dà luogo all’altra,importantissima distinzione tra religione come forma di controllo politico delle masse(cattolicesimo) e religione come «sentimento» di queste stesse masse(cri|28| stianesimo). Il secondo aspetto è la ricerca di una connessione specifica trasentimento religioso e società. Ora, il primo aspetto lo si ritrova in particolare nelleconsiderazioni sul «diritto naturale», nel suo rapporto con il folklore e nella suacontrapposizione alla religione ufficiale. Il secondo, nei tentativi di formulare unconcetto di ideologia che tenga conto della divisione in classi della società, quindi nella

    formulazione di un rapporto specifico tra religione e senso comune.Questo duplice interesse si evidenzia anche nelladefinizione di religione , cheGramsci ritiene di poter fissare in un «concetto» articolato in tre punti: 1) «credenza»nell’esistenza di «divinità personali trascendenti le condizioni terrestri e tem porali», 2)«sentimento degli uomini di dipendere da questi esseri superiori», 3) «esistenza di unsistema di rapporti (culto)» (6 ,41 [Q 715]).3 Se il terzo punto rientra nell’ambito dellostudio specifico della Chiesa come ‘apparato egemonico’, e il primo in quello

    2 6 , 24 [Q 703]: citazione da «Lettera enciclica del Santissimo Signor Nostro Pio per Divina ProvvidenzaPapa XI. Nella Cristiana educazione della gioventú», in: La Civiltà Cattolica , LXXXI (1930), n. 1, pp.193-230, qui 196.3 Gramsci si basa su Nicola Turchi, Manuale di storia delle religioni , Torino, Bocca 19222. Cf Note altesto , nell’apparato dell’edizione critica, p. 2711.

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    tecnicamente teologico, è la connessione tra il secondo e il primo che interessa particolarmente a Gramsci: capire perché il ‘sentimento’ delle classi subalterne si prestiad essere formalizzato nei termini del pensiero della trascendenza, perché gli uomini‘sentano’ di dipendere da esseri che sono per un verso «personali» e per un altro ‘liberi’dal determinismo spazio-temporale: potenzeantropomorfiche e al tempo stessotrascendenti il mondo, esseri superumani, legati all’umano da un rapporto di potenziamento, che sono però al contempo del tuttoaltri rispetto al mondo e alla sualogica, e ne costituiscono quindi lanegazione piú radicale.

    Il concetto nel quale Gramsci sintetizza la natura contraddittoria della religione è,come si vedrà, quello di «utopia». Si tratta di una scelta — anche terminologicamente — oculata: utopia contiene infatti una ricchezza semantica che egli sfrutta a fondo perrendere la complessità reale del fenomeno religioso, complessità che ne rivela anche ilcarattere essenzialmente politico; ma, insieme, la basilare inversione dalla quale parte eche la segna. Vuoi come genere letterario ‘dotto’, vuoi come espressione religiosa emistica delle esigenze piú elementari degli ‘umili’, l’utopia assume in Gramsci il

    significato di una presa di posizione che non tiene conto delle condizioni del propriosorgere e della propria possibile realizzazione: un pensiero individuale e astratto,dunque, ma astratto in un senso specifico, come reazione cieca a determinate condizionireali, reazione un mondo ingiusto come fuga, evasione da questo mondo.4

    |29| 2. «Studiare se c’è un ritmo». Utopia e modernità È comunque il nesso specifico tra utopia ‘alta’ e ‘bassa’ che a un certo momento

    — prima ancora di porre la questione della religione e probabilmente poco prima di4,45, in cui l’idealismo hegeliano viene presentato come «‘romanzo filosofico’» [Q 471] — interessa Gramsci, non a lungo né a fondo, è vero, ma in un modo che piú avanti sirivelerà tutt’altro che secondario. In pochi testi telegrafici (3,69, 71, 75, 113) vieneformulata la questione «Utopie e romanzi filosofici »:5

    «Utopie e romanzi filosofici e loro rapporti con lo sviluppo della critica politica, maspecialmente con le aspirazioni piú elementari e profonde delle moltitudini. Studiarese c’èun ritmo nell’apparizione di questi prodotti letterari: coincidono con determinati periodi,con i sintomi di profonde mutazioni storiche? Compilare un elenco di questi lavori, utopie propriamente dette, romanzi filosofici, libri che attribuiscono a determinati paesi lontani esconosciuti [ma esistenti] determinate usanze e istituzioni che si vogliono contrapporre aquelle del proprio paese. L’Utopia di T. Moro, la Nuova Atlantide di Bacone, l’ Isola dei

    Piaceri e la Salento di Fénelon (ma anche ilTelemaco ), i Viaggi di Gulliver dello Swift»

    (3,69 [Q 347 s.]).L’ipotesi (da verificare) è che utopie e romanzi filosofici esprimano non

    solamente il primitivo sorgere di un progetto politico alternativo a quello aristocratico,ma anche («inconsapevolmente», «sia pure attraverso il cervello di intellettuali dominatida altre preoccupazioni», come si precisa nel testo C),6 riflettano le esigenze piú

    4 Si noti che negli scritti del periodo 1913-1920 lo stesso termine indica invece un piano cervelloticoordito a tavolino, derivante dalla credenza — errata — di poter pre-determinare gli eventi futuri, ecoincide tendenzialmente con il ‘giacobinismo’, su cuicf Gramsci, Filosofia e politica. Antologia dei«Quaderni del carcere» , a c. di F. Consiglio e F. Frosini, Firenze, La Nuova Italia 1997, nota 76 a pp. 279s. Questa accezione di ‘utopia’ è ancora presente neiQuaderni , ma viene affiancata e arricchita dall’altra. 5 È il titolo di questi testi, tranne l’ultimo: «Utopie ».6 25 ,7 [Q 2290].

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    moderno;12 ma ciò facendo parlano anche a nome degli esclusi, di chi non ha voce, nérientra tra gli interlocutori diretti di quel progetto. Di piú: questa presa di parola essendosolo implicita, questo stesso rapporto sta in modo determinante sotto il segnodell’ambiguità: la critica utopistica è al contempo distruzione del vecchio mondo erepressione preventiva di un mondo nuovo che stenta a nascere. Infatti l’aspirazione aun mondo politico completamente trasparente e solare, completamente ‘esplicitato’, èinsieme un’espressione essa stessa dell’utopia millenaristica e una reazione al pericolo proveniente dall’esistenza di masse tanto sterminate quanto incontrollabili e socialmente‘instabili’ e ribellistiche, che vanno appunto rese controllabili mediante unarazionalizzazione del sistema politico.

    3. Controriforma come ‘Restaurazione’ Questa strutturale ambiguità viene fissata, ma anche semplificata, nel secondo dei

    testi del Q3 dedicati all’utopia. In3,71 un occasionale confronto con un’interpretazionedell’utopia in chiave di opposizione all’irrompere della mentalità ‘individualistica’ dellaRiforma, e di solidarietà con la Controriforma,13 dà luogo, all’opposto, all’idea dellastessa come modo specifico di affermazione della ‘modernità’:

    «Bisogna [...] vedere se queste iniziative [le utopie] non siano l’unica forma in cui la‘modernità’ poteva vivere nell’ambiente della Controriforma: la Controriforma,come tuttele Restaurazioni , non poté non essere che un compromesso e una combinazione sostanziale,se non formale, tra il vecchio e il nuovo» ([Q 348]; cors. mio).

    Certo, l’espressione della ‘modernità’ (che per Gramsci è rappresentatahegelianamente dalla Riforma luterana) in un’epoca di trionfo della reazione ad essa,non poteva che vestire i panni dell’alterità, e si potrebbe addirittura pensare che lavera utopia sia quella del mondo riformato. È quanto fa Gramsci con una varianteinstaurativa nel testo C: «Si può sostenere, a maggior ragione, che le Utopie piú famosesono nate nei paesi protestantici e che anche nei paesi della Controriforma le utopiesono piuttosto una manifestazione, la sola possibile e in certe for |32| me, dello spirito‘moderno’» ecc. (25 , 7 [Q 2291]). Ma in questo modo si perde il filo della riflessione, perché già il testo A dice molto di piú: con la distinzione tra forma e sostanza dellaControriforma, Gramsci distingue la sua vera natura dalle apparenze retoriche.Collegando chiaramente l’interpretazione della Controriforma a quella della«Restaurazione» nei termini della quinetiana «rivoluzione-restaurazione» (presente giànel Q1 e piú tardi assimilata all’idea della «rivoluzione passiva»),14 Gramsci interpreta

    l’utopia come la forma specifica in cui si afferma lo Stato moderno nei paesicontroriformati, o meglio, il modo in cui in essi si realizza la peculiare unificazionedelle masse su base geo-nazionale, in cui si fondano strutturalmente la vita e lalegittimità dello Stato moderno. Ne segue che ben poco senso avrebbe una storiagenerale dell’utopia ‘da Platone in avanti’: si tratta di una formamoderna , che trova ilsuo ruolo sí nell’esprimere il momento del ‘rinnovamento’ contrapposto a quello della‘conservazione’, ma, piú specificamente, nell’esprimereil rinnovamento come unaconservazione , in quanto ‘rinnovamento’ costitutivamente formulato in modo da potersi

    12 Su questo aspetto insiste a ragione Pierre-François Moreau, Le récit utopique. Droit naturel et romande l’État , Paris, PUF 1982.13 Si tratta di Giuseppe Gabrieli, «Federico Cesi Linceo», in: Nuova Antologia , LXV (1930), n. 1401.14 Rinvio per i dettagli a: Filosofia e politica , cit., note 130 e 132 a pp. 137-39.

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    integrare in modo subalterno alla ‘conservazione’ (la ‘rivoluzione-restaurazione’, piúancora che un ‘compromesso’, è appunto la piú intelligentenegazione dellarivoluzione). L’utopia controriformata esprime e costituisce una ‘situazione egemonica’,una struttura dei ‘rapporti di forza’ che si car atterizza per il fatto di unire masse eintellettualinella forma della loro separazione .

    Insomma, inquadrando l’intera questione alla luce della coppiaRiforma/Controriforma, Gramsci insiste in3,71 anzitutto sulla funzione repressivasvolta dagli intellettuali nella formazione ‘passiva’ dello Stato, tralasciando l’ambiguaemersione delle istanze provenienti dal basso nelle parole dei vari Campanella, Moro,Bacon. La loro funzione è qui pensata essenzialmente come ‘modernizzatrice’.15 Maquesto presuppone che gli ‘intellettuali’accettino la condizione di reale separazione incui si trovano rispetto alle ‘masse’, perpetuando un rapporto che si attua solo nellaforma dell’influsso e del controllo esteriore (‘politico’, dice Gramsci).16 Anzi:accettazione dellacondizione di separatezza, carattere episodico dell’influsso, e struttura‘combinatoria’ (vecchio/nuovo) del|33| l’ideologia sociale sono tre modi per dire la

    stessa cosa. Dunque la stessa ‘distanza’ tra utopie dotte e utopie popolari è un modo perdisarticolare ed eludere le istanze e i bisogni profondi delle masse.Certo, ciò non vuol dire che l’utopia non aspirasse a riorganizzare la società: un

    elemento ‘progressivo’ è senz’altro presente in essa, e corrisponde alle «scopertescientifiche del tempo» e allo«spirito ‘scientifista’ che si diffuse»; insomma a quel«certo ‘razionalismo’avant la lettre » [Q 348] che era pur presente tra gli strati coltidella società dell’epoca. Ma appunto questo spirito nuovo non viene fatto interagirecriticamente con la storia presente (o questo avviene solo in modo ‘subdolo’), il cheavrebbe significato, nello specifico universo della Controriforma: con la potenzaideologica della Chiesa. Insomma: illibertinismo non aveva ancora indossato le vesti (ele pretese) universalistiche della Aufklärung e lasciava alla Chiesa libero camponell’esercizio del controllo ideologico delle masse. La deviazione delle istanzeriformatrici della ‘ragione’ in un ‘altrove’ purificato è dunque doppiamente tale: sia nelcontenuto della forma letteraria, sia in quanto ricerca di un sostituto fantastico delrapporto con le diffuse esigenze di giustizia che esso pur tende a registrare eamplificare.17

    4. Il ciclo dell’utopia dalla Controriforma ai Lumi Uno scarto sensibile rispetto a questo giudizio Gramsci lo introduce solo piú tardi,

    in un altro testo, meno rapido degli altri finora citati, anch’esso intitolato « Romanzi filosofici, utopie ecc .» e stranamente non trascritto in seconda stesura. Si tratta di6 ,157,

    15 Ciò è rispecchiato anche da una variante instaurativa del testo C: «tutta l’opera di Campanella è undocumento di questo lavoro ‘subdolo’ di scalzare dall’interno la Controriforma» (25 ,7 [Q 2291 s.]).16 «Il rapporto tra filosofia ‘superiore’ e senso comune è assicurato dalla ‘politica’, cosí come è assicuratodalla politica il rapporto tra il cattolicismo degli intellettuali e quello dei ‘semplici’» (11 ,12 [Q 1383 s.]).17 È significativo che i citati testi del Q3 siano stati trascritti proprio nel Q25 , «Ai margini della storia

    (Storia dei gruppi sociali subalterni)», e valgano dunque per quanto lasciano ‘involontariamente’trasparire del punto di vista di chinon ha esistenza storica e dunque nemmeno, propriamente, un punto divista.Cf Q 299 s.: «La storia delle classi subalterne è necessariamente disgregata ed episodica» ecc.

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    del 1931 (probabilmente dell’autunno).18 Qui l’attenzione si focalizza sullo sviluppo delgenere utopistico dalla Controriforma all’Illuminismo, iniziando col riprendere eamplificare lo spunto di lettura in chiave ‘razionalistica’ di3,71:

    «Controriforma e utopie: desiderio di ricostruire la civiltà europea secondo un pianorazionale. Altra origine e forse la piú frequente: modo di esporre un pensiero eterodosso,non conformista e ciò specialmente prima della Rivoluzione francese» (Q 811 s.).

    |34| L’utopia come stimolo al rinnovamento della società si sdoppia, qui, realmentein due filoni, e mentre il primo prosegue la lettura in chiave di innovazione‘combinatoria’, il secondo riprende la domanda inizialmente posta (3,69) circa il nessocon le aspirazioni popolari, riformulandola grazie al collegamento con gli sviluppisettecenteschi del genere utopistico.

    «Dalle Utopie — prosegue Gramsci — sarebbe nata [...] la moda di esaltare i popoli primitivi, selvaggi (il buon selvaggio), presunti piú vicini alla natura. (Ciò si ripeterebbenell’esaltazione del ‘contadino’, idealizzato, da parte dei movimenti populisti). Tutta questaletteratura ha avuto non piccola importanza nella storia della diffusione delle opinioni

    politico-sociali fra determinate masse e quindi nella storia della cultura» [Q 812].Questa letteratura«indica [...] il passaggio dall’esaltazione di un tipo sociale feudale all’esaltazione dellemasse popolari, genericamente, con tutti i loro bisogni elementari (nutrirsi, vestirsi,ripararsi, riprodursi) ai quali si cerca di dare razionalmente una soddisfazione» [Q 812].

    Lo snodo dell’Illuminismo è dunque quello che permette a Gramsci di dare unsenso alla sua stessa domanda iniziale: il ‘nesso’ tra intellettuali e popolo. Il rinvio al‘populismo’, come corrente in fin dei conti ancora ‘illuministica’ (nel senso specifico di‘tendente a creare una saldatura tra intellettuali e masse popolari’), è significativo.19 Ilgenere utopistico entra in un rapporto di comunicazione storicamente specifico con il patrimonio ideologico delle classi subalterne quando gli intellettuali — per la primavolta nella storia — mettono in questione la separatezza del proprio ruolo (dunque lostatuto del sapere, i rapporti di forza...) volgendosi al ‘popolo’ non piú come a qualcosadi «estraneo», di cui occorre «diffidare » e «avere paura».20 Per questa ragione gliilluministi sono recettivi nei confronti dei miti popolari, di quella mitologia che esprimele pulsioni piú immediate ma anche piú profonde delle masse degli esclusi dalla storia.

    |35| 6 ,157 è dell’autunno 1931: a metàstrada, dunque, tra la prima e la secondastesura di un altro testo, rispettivamente1,48 (1930) e 13 ,37 (1932-33), che nel passaggio esibisce varianti instaurative e destitutive spiegabili proprio grazie aglisviluppi delle riflessioni sul nesso Illuminismo-utopia. Parlando di Charles Maurras, in

    18 Cf la Descrizione dei quaderni , nell’apparato dell’edizione critica, p. 2388, e Gianni Francioni, L’officina gramsciana. Ipotesi sulla struttura dei «Quaderni del carcere», Napoli, Bibliopolis 1984, pp.61-63.19 In un testo di poco posteriore (6 ,168), la lettura di un saggio su «Populismo e nuove tendenze dellaletteratura francese» (di Alberto Consiglio, in: Nuova Antologia , 1° aprile 1931) dà occasione a ulterioririflessioni su questo tema: «L’avvicinamento al popolo significherebbe quindi una ripresa del pensiero borghese che non vuole perdere la sua egemonia sulle classi popolari e che, per esercitare meglio questaegemonia, accoglie una parte dell’ideologia proletaria. Sarebbe un ritorno a forme ‘democratiche’ piúsostanziali del corrente ‘democratismo’ formale» [Q 820]. 20 3,82 [Q 362]. Il testo, intitolato «Cultura storica italiana e francese », è uno di quelli in cui vieneimpostata la problematica del «popolare-nazionale» opponendo la situazione italiana a quella francese, le

    cui radici vengono ravvisate nella Rivoluzione del 1789. Su questocf Giorgio Baratta, «Popolo, nazione,masse nel pensiero di Gramsci»; in: Baratta, G., Catone, A. (a cura di): Antonio Gramsci e il «progressointellettuale di massa» , Milano, Unicopli 1995, pp. 9-42.

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    1,48 Gramscicontrappone il giacobinismo storico al «giacobinismo alla rovescia»(quello diventato vuota formula) di questi, e lo accosta alle «banalità massoniche» e ingenerale alla

    «ragione ragionante da cui èsorto l’enciclopedismo, l’illuminismo e tutta la culturamassonica francese. Gli illuministi — prosegue Gramsci — avevano creato il mito del buonselvaggio o che so io, Maurras crea il mito del passato monarchico francese» [Q 61].

    Siamo sul terreno della ripetizione quasi letterale del giudizio di Croce, conl’unica differenza che per quest’ultimo non solo Illuminismo, enciclopedismo emassoneria, ma anche tutti questi e il giacobinismo erano una cosa sola.21 È Croce cheiscrive d’ufficio Marx nella scuola del «principio della forza» contrapposta «alleinsipidezze giusnaturalistiche, antistoriche e democratiche, ai cosiddetti idealidell’89».22 La stessa posizione è espressa da Gramsci in1,4 (1929): «Sarebbeinteressante una ricerca che dimostrasse lo stretto rapporto tra la religione e gli‘immortali principii’» [Q 7]. Questa virgolettatura dei diritti dell’uomo e del cittadino,questa virgolettatura della democrazia è in Gramsci un retaggio crociano e soreliano,che viene superato neiQuaderni proprio graziealle riflessioni sull’utopia.

    Se ora esaminiamo il testo C di1,48, vediamo questa tesi confermata dallenotevoli modifiche apportate. Rimane la valutazione positiva dei giacobini storici, iquali però non vengono piú contrapposti all’Illuminismo, ma solo a quello «triviale» [Q1642]. Inoltre il passo citato viene cosí riscritto: il metodo di Maurras è quello della

    «ragione ragionante da cui è nato l’enciclopedismo, e tutta la tradizione culturale massonicafrancese. L’illuminismo creò una serie di miti po polari, che erano solo la proiezione nelfuturo delle piú profonde e millenarie aspirazioni delle grandi masse, aspirazioni legate alcristianesimo e alla filosofia del senso comune, miti semplicistici quanto si vuole, ma cheavevano un’origine realmente r adicata nei sentimenti e che, in ogni caso, non potevanoessere controllati sperimentalmente (storicamente)» [Q 1643].

    |36| L’Illuminismo scompare dal catalogo negativo (lasciando come ultimo residuo — chissà perché — l’enciclopedismo), e corrispondentemente lo sbrigativo giudizio sulmito del buon selvaggio trova articolato sviluppo: il democratismo viene riletto alla lucedell’utopismo, ed entrambi sono collocati in un luogo cruciale della modernità europea,quello in cui i ‘senza storia’, gli ‘incontrollabili’ emergono, trovando ‘reale’ espressionenel «mito popolare» cristiano-democratico dell’egualitarismo. Questa istanza egualitariaconta dunque proprio in quanto è tutt’altro che ‘astratta’, ma affonda le sue ragioni e lasua forza nella struttura millenaria dell’oppressione e della violenza di classe.

    Ecco perché Gramsci neiQuaderni riarticola il concetto di ‘democrazia’, comeanche quello di ‘diritto naturale’, proprio nella loro comune matrice ‘religiosa’, attorno aun progetto emancipativo che ne sappiasfruttare l’enorme energia e non si limiti, alcontrario, a distruggerli ‘sarcasticamente’, come fa invece Croce.23 Non soltantoGramsci si emancipa progressivamente dal giudizio crociano, rovesciando in positivo prima il concetto di giacobinismo, poi anche quelli di democrazia e di Illuminismo, ma

    21 Cf B. Croce, «La mentalità massonica», [1910], in:id ., Cultura e vita morale. Intermezzi polemici , 2a ed. raddoppiata, Bari, Laterza 1926, pp. 143-50, partic. 145 s.22 «Nella concezione politica, poi, il marxismo mi riportava alle migliori tradizioni della scienza politicaitaliana, mercé la ferma asserzione del principio della forza, della lotta, della potenza, e la satirica ecaustica opposizione alle insipidezze giusnaturalistiche, antistoriche e democratiche, ai cosiddetti idealidell’89». (Croce, «Prefazione» 1917 in:id ., Materalismo storico , cit., p. 13).23 Si vedano in particolare le varianti tra4,24 e 16 ,9 e tra 1,29 e 26 ,5, su cuicf Paolo Cristofolini,«Gramsci e il diritto naturale», in:Critica marxista , 1976, n. 3/4, pp. 105-16.

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    rilegge lo stesso ‘sarcasmo’ crociano, per gli effetti che produce, come una forma di‘utopia’ (nel senso qui specificato) inconsapevole e involontaria. In un testo B del Q10 la funzione di Croce viene equiparata — per il suo rapporto col ‘popolo’ — a quelladegli utopisti controriformati! (e quindi implicitamente contrapposta a quella degliutopisti settecenteschi):

    «Che il Croce si proponga l’educazione delle classi dirigenti non mi par dubbio. Ma comeeffettivamente viene accolta la sua opera educativa [...]? Quali sentimenti positivi fanascere? [...] Il Croce ha un bel corazzarsi di sarcasmo per l’eguaglianza, la fratellanza, edesaltare la libertà — sia pure speculativa — . Essa sarà compresa come eguaglianza efratellanza e i suoi libri appariranno come l’espressione e la giustificazione implicita di uncostituentismo che trapela da tutti i pori di quell’Italia ‘qu’on ne voit pas’ e che solo dadieci anni sta facendo il suo apprendissaggio politico» (10 , II,22 [Q 1260]).

    L’immagine di un Croceutopista suo malgrado colpisce, forse è, storicamente esociologicamente, una forzatura.24 Ma ciò che conta sta in una duplice implicazione: in primo luogo, essa serve a rendere l’idea della pervasività — oltre ogni illusione di‘purezza’ razionale — delle mitologie religiose della pena e del riscatto nel mondomoderno, in quello stesso mondo che il giovane Gramsci aveva crocianamente eidealisticamente dipinto come il luogo dell’emancipazione universale dal|37| servaggioreligioso. Insomma nel momento in cui si esce fuori della ristrettissima cerchia degliuomini di cultura, si è immediatamente precipitati in un tessuto di senso fortementespurio, in cui dominano i punti di riferimento religiosi. La dimensione politica dellafilosofia è dunque la sua dimensione religiosa.

    In secondo luogo, essa dà un giudizio sul rapporto di Croce con il popolo cheimplicitamente lo oppone al livello raggiunto dagli illuministi-giacobini: egli retrocedenuovamente al livello della Controriforma (in questa luce va letta la pregnanteimmagine di Croce come Erasmo), spezzando quel pur debole filo tessuto nel corso delSettecento. Il popolo è per lui di nuovo qualcosa di cuidiffidare e da integrare solo informa negativa: per questo Gramsci può dire che Croce è il piú intelligente teorico della‘rivoluzione passiva’.

    5. La radice della libertàFermiamoci a considerare il risultato del lavoro svolto dal quaderno1 al 6 . Il

    democratismo, l’Illuminismo, il sentimento religioso, il diritto naturale, l’utopiavengono profondamente ridefiniti, non perché siano cambiati di posto nella strutturadella modernità, ma perché, pur conservando lo stesso posto, acquisiscono una funzionenuova, che come tale finisce per modificare quest’ultima. Certo l’idea di fondo dellamodernità rimane per Gramsci quella già delineata da Croce e da lui fatta propriadurante lo studio universitario: la Riforma luterana che mette capo nella filosofiaclassica tedesca; il Rinascimento come grande fioritura culturale che si attua a spese delcontatto con il popolo e dunque dell’unità nazionale. Tuttavia questa struttura vienedistorta profondamente. È in effetti già l’iniziale rivalutazione (sulla scorta di AlbertMathiez) del giacobinismo — prima smagliatura rispetto al magistero crociano — che‘costringe’ Gramsci a riprendere in mano via via tutta la questione dei ‘dirittidell’uomo’, e dunque il nesso tra democrazia e religione. La Rivoluzione francesediventa cosí il necessario pendant della filosofia classica tedesca, proprio perché in essa

    24 Macf anche il precedente6 ,112, intitolato « L’utopia crociana».

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    i miti religiosi vengono per la prima voltaconsapevolmente ‘tradotti’ in politica.25 L’ideologia democratica moderna è sí legata a filo doppio al cristianesimo, ma adesso è proprio questo nesso che ne fa, agli occhi di Gramsci, la forza, la con|27| cretezza. Omeglio: la concretezza del giacobinismo sta nell’aver saputo ‘investire’ in ‘energia politica’ il sogno religioso di massa, nell’aver creato insomma la ‘politica di massa’.26

    Ma questa ‘traduzione’ dell’utopia in politica è un compito mai concluso, unlavoro da riprendere di volta in volta. Lungo tutta la storia del pensiero democraticomoderno, ciò che per gli intellettuali, dopo un processo di ‘razionalizzazione’, si presenta come professione di fede nella pari dignità degli esseri umani di fronte allaRagione, per le masse di «‘umiliati e offesi’»27 da sempre esclusi dalla ‘storia’, continuadi norma ad essere un rifugio nell’utopia religiosa, nella rappresentazione chiliasticadella «repubblica» come avvento della «Legge del Diritto» (3,12 [Q 298]).28 La politicaè insomma sempre sull’orlo della regressione a fuga ‘carnevalesca’ nei vari «paesi diCuccagna» (1,65 [Q 74]) che coinvolge anzitutto le masse ma può contagiare gli stessiintellettuali.29

    Il processo può e deve tuttavia essere visto anche secondo ilverso opposto, datoche se ha luogo una ‘traduzione’ dell’energia religiosa in energia politica, la prima devegià contenere degli elementi capaci di diventare forza trasformatrice della realtà. Il‘sentimento religioso’ deve contenere (e imprigionare) insomma una reale caricaeversiva dei rapporti sociali. A differenza di ciò che spesso si dice, Gramsci è su questo punto pienamente spinoziano (e materialista), perché identifica questa carica in ciò cheresidua dall’impossibilità di ridurrecompletamente l’uomo a una ‘cosa’, diassoggettarlo totalmente al volere di un altro.30 Questo elemento, detto dai cattolici‘libero arbitrio’ e da loro pensato co|39| me volontà indeterminata e vuota, vieneridefinito da Gramsci come reazione a un rapporto di dominio. Ciò che dunque potrebbesembrare un postulato idealistico — l’uomo resta pur sempre libero, nonostante i legamidi servaggio in cui si trova — è invece la negazione di ogni semplificazione idealistica eliberale dell’uomo a ente ‘semplice’, circoscrivi bile e dunque perfettamentecontrollabile e dominabile.

    25 Gramsci trova in Croce, è vero, una serie di considerazioni sul rapporto Kant/Robespierre, che sonotuttavia pour cause fortemente riduttive. Egli lo noterà puntualmente in8,208/11 ,49.26 Un’odierna lettura di Robespierrea partire da Gramsci , che tiene perciò nel debito conto ladimensionereligiosa , è quella di Georges Labica, Robespierre. Une politique de la philosophie , Paris,PUF 1990, cap. 4: «Philosophie et religion».27 Cf 6 ,78 [Q 748] e la lettera a Tania Schucht del 7/3/1932 (in: Lettere dal carcere , a c. di S. Caprioglioe E. Fubini, Torino, Einaudi 1965, p. 585).28 Gramsci cita qui le ultime parole pronunciate da Davide Lazzaretti prima della sua uccisione. Su questoargomento cf Antonello Mattone, «Messianesimo e sovversivismo. Le note gramsciane su DavideLazzaretti», in:Studi storici , 1981, n. 2, pp. 371-85, in partic. (sul millenarismo dei gruppi socialisubalterni) 377-8229 Sopratutto il giovanissimo Gramsci ha un’opinione radicalmente negativa del carnevale, in un primomomento in senso letterale (cf Cronache torinesi. 1913-1917 , a c. di S. Caprioglio, Torino, Einaudi 1980, pp. 59 s., 187: «l’allegria rumorosa, la spensieratezza disinvolta e scema»), per poi caricarsimetaforicamente divenendo la sintesi degli storici difetti dello Stato-nazione italiano (cf Cronachetorinesi , cit., pp. 178, 294, 302, 428; e Il nostro Marx. 1918-1919 , a c. di S. Caprioglio, Torino, Einaudi1984, pp. 78, 256, 334).30 Mi riferisco a quanto argomentato nel cap. XX delTrattato teologico politico (a cura di E. GiancottiBoscherini e A. Droetto, Torino, Einaudi 1972, in partic. pp. 485 s.), su cuicf le illuminanti analisi di

    Étienne Balibar: «Spinoza: la crainte des masses»; in: Giancotti, E. (a cura di),Spinoza nel 350° dellanascita , Napoli, Bibliopolis 1985, partic. pp. 317 s.; eSpinoza et la politique , Paris, PUF 19902, pp. 38-40.

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    l’uomo in generale, creato simile a Dio e perciò fratello degli altri uomini, uguale agli altriuomini, libero fra gli altri uomini, e che tale egli si può concepire specchiandosi in Dio,‘autocoscienza’ dell’umanità, ma afferma anche che tutto ciò non è di questo mondo, ma diun altro. Ma intanto le idee di uguaglianza, di libertà, di fraternità fermentano in mezzoagli uomini, agli uomini che non sono uguali, né fratelli di altri uomini, né si vedono liberi

    fra di essi. E avviene nella storia, che ogni sommovimento generale delle moltitudini, in unmodo o nell’altro, sotto forme e con ideologie determinate, pone quest e rivendicazioni »(4,45 [Q 472]; cors. mio).

    Qui Gramsci riesce davvero ad additare la contraddizione latente tra ideologiareligiosa e sentimento religioso, tra natura decettiva del rinvio a un altromondo , e caricaaggressiva versoquesto mondo contenutanell’alterità di quel mondo rispetto a quelloreale. Volendo formulare in modo volutamente paradossale il complesso ragionamentodi Gramsci, si può dire: la religione, in quanto utopia, è ilvero idealismo , la verametafisica idealistica.34 Il comune carattere utopistico della religione po|41| polare edelle costruzioni razionalistiche degli intellettuali è spiegabile non partendo dagliintellettuali, ma dalla religione popolare: il «concetto della ‘natura umana’ astrattamente

    ottimistico e facilone» proprio dell’utopia democratica, utopia che è però oggi«implicita» nel «diritto moderno» (6 ,98 [Q 773 s.]), è di derivazione religiosa. Ma losono anche «le concezioni di ‘spirito’ delle filosofie tradizionali, come quella della‘natura umana’ trovata nella biologia» (7 ,35 [Q 885]). In tutti questi casi si ha unmovimento di ‘distruzione’ della realtà in quanto realtà contraddittoria (perché radicatain — e riferita a — una società divisa in classi), e la posizione al posto di essa diun’unità già compiuta . In tutti questi casi si parte da una base reale — l’educabilitàdell’uomo, la comune facoltà di pensare, il genere umano come entità biologica — e siassolutizza questa base, trascurando ciò che invecedifferenzia gli uomini. Si ha cosí il‘buon selvaggio’, l’isola di Utopia, lo Stato ideale, il Regno dei Fini, lo Spirito Assolutoovvero, popolarescamente, l’uguaglianza degli uomini in quanto «‘Siamo nati tuttinudi’» (7 ,38 [Q 888]).

    Si istituisce cosí una grande opposizione tra la filosofia della praxis da una parte, edall’altra tutto il complesso delle filosofie, delle religioni ecc., raccolte sotto il nome di‘utopia’. «Il filosofo attuale», vale a dire il filosofo della praxis, «non può evadere dalterreno attuale delle contraddizioni, non può affermare, piú che genericamente, unmondo senza contraddizioni, senza creare immediatamente una utopia» (4,45 [471 s.]).E tuttavia, coerentemente con la tesi spinoziana del «minimum di individualità, omaximum di comprimibilità dell’individuo»,35 è solo a questo punto che inizia, propriamente, il lavoro decisivo di distinzione, consistente nell’individuaredentro ilcampo dell’utopia quelli che potremmo chiamare ‘effetti di verità’.36 In questo senso va

    letta la prosecuzione del testo appena citato: «Ciò non significa che l’utopia non abbiaun valore filosofico, poiché essa ha un valore politico, e ogni politica è implicitamenteuna filosofia» [Q 472].

    In questo quadro il nesso storico Illuminismo-Rivoluzione assume un ruolo diimportanza decisiva, perché la specificità dell’utopia illuministica consiste proprio nel

    34 Ciò relativizza notevolmente quanto sostenuto da Emma Fattorini («Religione, morale e concezionedell’uomo», in:Critica marxista , 1987, n. 2/3, pp. 67-97, qui 90 s.), secondo la quale Gramsciidentificherebbe il cattolicesimo con la filosofia che sostiene il «concetto della ‘realtà’ [come]indipendente dall’uomo pensante» (7 ,47 [Q 894]), cioè con la neoscolastica.35 Balibar, «Spinoza: la crainte des masses», cit., p. 318.36 Cf Balibar, «Politique et vérité»; inid. , La crainte des masses. Philosophie et politique avant et après

    Marx , Paris, Galilée 1997, pp. 251-79.

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    fatto che gli intellettuali occidentali per la prima volta si ricongiungonoconsapevolmente , per via di complesse mediazioni, al ‘popolo’, e iniziano cosí a

    pensarne (cioè a sistematizzar |42| ne) l’ideologia piú profonda: la democrazia appunto,l’uguaglianza, la fratellanza, la libertà. Cosí, tutti questi sentimenti religiosi ricevonouna veste esplicitamente politica e giuridica e nasce, da questo connubio, la politicamoderna. È alla luce di questa congiuntura che acquista valore la lettura filosofica diHegel e Kant, come anche quella di Croce. È alla luce di questa congiuntura che l’utopiafa un salto di qualità: in quanto consaputa, riflettuta, è qualcosa di piú di una semplice (esia pure radicale) espressione, in forma invertita, di una volontà politica: diventa un patrimonio, quello deidroits de l’homme, in cui religione, filosofia e politica sonoinestricabilmente fuse, e perciò sempre disponibile a servire da mascheratura deirapporti di forza reali ma anche, inogni momento, passibile di essere ‘preso sul serio’ edivenire rivendicazione rivoluzionaria.37

    6. «Traducibilità» di culture nazionali e «rivoluzionepassiva»Alla luce di queste considerazioni acquisisce un’ulteriore determinazione

    l’iscrizione del pensiero crociano nel catalogo delle utopie: infatti l’idealismo ha unnesso intrinseco con quella politica democratica, con quella mentalità massonica a cui sivorrebbe opposto. La nozione di «spirito» in filosofia, come quella di «natura umana» in biologia

    «dovrebbero spiegarsi come ‘utopie scientifiche’ che sostituirono la maggior utopia della‘natura umana’ cercata in Dio (e gli uomini — figli di Dio) e servono a indicare il travaglio

    continuo della storia, un’aspirazione razionale o sentimentale ecc.» (7 ,35 [Q 885]).

    In questo modo l’utopia — in tutti i suoi gradi — è restituita alla storia: dallaconcezione religiosa a quella naturalistica, a quella filosofica spiritualistica dell’uomo,l’utopia è un ‘momento’ presente in tutti questi discorsi, nonostante la loro superficialeeterogeneità, perché in tutti questi casi si ha una ‘reazione’ alle contraddizioni chelacerano la società umana mediante il ricorso a rappresentazioni unitarie immaginarie,che al contempo occultano e rimuovono fantasticamente queste contraddizioni.

    «È vero che tanto le religioni che affermano l’eguaglianza degli uomini come figli di Dio ole filosofie che affermano la loro uguaglianza come partecipanti della facoltà di ragionaresono state espressioni di complessi movimenti rivoluzionari (la trasformazione del mondoclassico — la trasformazione del mondo medioevale) che hanno posto gli anelli piú potentidello sviluppo storico [...] Che la dialettica hegeliana sia sta|43| ta un riflesso di questi grandinodi storici e che la dialettica, da espressione delle contraddizioni sociali debba diventare,con la sparizione di queste contraddizioni, una pura dialettica concettuale, sarebbe alla basedelleultime filosofie a base utopistica come quella del Croce » (7 ,35 [Q 885 s.]; cors. mio).

    La filosofia tradizionale è un «mero romanzo filosofico» (8,217 [Q 1079]), dunqueun’utopia, ma proprio per questa ragione essa contiene una pulsione verso latrasformazione del mondo, che però distorce e vanifica (a ragion veduta) nel momentoin cui rifiuta la dialettica (o meglio la ‘riforma’ nella logica dei ‘distinti’), come faCroce. Hegel, al contrario, è il luogo in cui la filosofia si è maggiormente accostata alla

    37 Cf ancora Balibar, «‘Diritti dell’uomo’ e ‘diritti del cittadino’. La dialettica moderna di uguaglianza elibertà», in:id ., Le frontiere della democrazia , [1992], trad. it. di A. Catone, Roma, manifestolibri 1993,

    pp. 75-100.

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    traduzione dell’utopia in politica, perché ha accolto nella dialettica la politica, cioè laRivoluzione francese, in cui quella traduzione aveva avuto realmente luogo. È soltanto a partire dall’intreccio tra democrazia politica e religione nella cultura illuministica, poinella rivoluzione, e quindi nella ‘traduzione’ di politica e filosofia, che l’utopia-religione acquista il suo significato nell’idealismo filosofico, che si presenta appuntocome la ‘traduzione’ filosofica del livello teorico-pratico a cui è giunta la modernità, edunque come un’utopia realmente inscritta in essa, sua parte costitutiva fondamentale. Ilriferimento che Gramsci fa allo ‘Spirito’, come espressione dell’unità del genere umanoal di là delle (e a prescindere dalle) contraddizioni che lo lacerano, resterebbeincomprensibile senza la democrazia giacobina e i ‘diritti dell’uomo’, appunto perché lo‘spirito’ può nascere soltanto come ‘traduzione’ di quei concetti in un’altra lingua.

    Il rapporto di Hegel con la Rivoluzione francese è centrale per Gramsci da molti punti di vista, non ultimo il fatto che esso è fondamentale già per i giovani Marx edEngels, che nellaSacra famiglia postulano un rapporto di traducibilità tra politicafrancese e filosofia tedesca che viene ricordato a piú riprese con enfasi neiQuaderni (cf

    ad es. 4,42.) Ma una serie di riferimenti (da me puntualmente sottolineati) fannosupporre che Gramsci pensasse anche a un altro testo: quella Introduzione alla Criticahegeliana del diritto pubblico in cui Marx organizza un duplice nesso tra Francia eGermania, come nesso tra filosofia e politica, ma anche come nesso tra politica ereligione, vedendo quindi nella religione tanto «l’oppio del popolo» quanto il «gemitodella creatura oppressa».38

    Sulla base di questa ipotesi possono essere fatte alcune considerazioni ulteriori. Ladistruzione della realtà, il sogno el’evasione, proprie dell’utopia, se pensate all’internodello spazio differenziale dato dalla ‘tra|44| duzione’ tra culture nazionali(Francia/Germania, futuro/passato, politica/filosofia, realtà/sogno),ridiventano praxis ,rapporto attivo con il mondo, in quanto corrispondono alla forma specifica diintroduzione del futuro dentro il passato costituito dalla nazione ‘arretrata’. Se vista allaluce della traduzione tra culture nazionali, la religione èimmediatamente una politica, inquanto è la inversione (negazione) specifica nazionale. Ma allora una politica è anche lafilosofia in quanto filosofia-religione, cioè proprio in quanto filosofia speculativa,traduzione speculativa di una politica-religione. L’equazione di filosofia e politica‘produce’, per cosí dire, quella di filosofia e religione da un lato, e quella di politica ereligione dall’altro. In questo modo Gramsci persegue, da un lato, l’obiettivo di tradurrein rapporti storici pratici le manifestazioni del pensiero, dall’altro, quello di ricavare un posto, in questo spazio differenziale — spazio che, a ben vedere, delimita lo spazio politico della modernità, — al marxismo in quanto «filosofia della praxis». Quest’ultima

    infatti si definirà come teoriaradicalmente consapevole del proprio carattere pratico (della propria ‘situazione’), e dunque del proprio carattere politico , di contro allareligione, per definizione inconsapevole di ciò, e alla filosofia, che è in un rapporto di potenziamento con le istanze utopiche delle masse (nel momento in cui si pone in unrapporto dialettico con i sentimenti di uguaglianza e li assorbe), o che è addirittura ingrado, con Hegel, di pensare , nella ‘dialettica’, questo stesso rapporto tra teoria e pratica.

    È evidente che, pur parlando della ‘filosofia’ in genere, Gramsci ha presenteunacerta filosofia e, oltretutto, secondo una certa lettura, quella, di matrice hegeliana, del

    38 Karl Marx-Friedrich Engels,Werke , Bd. 1, Berlin, Dietz 1957, p. 378.

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    nesso Francia-Germania: Hegel, dunque, e la lettura che ne dà Marx.39 Ma l’esposizioneche precede dovrebbe aver chiarito, accanto a questo, anche il fatto che nel corso dellavoro volto alla definizione della filosofia della praxis e dell’utopia, Gramsci definiscein modo nuovo anche la «filosofia tradizionale» o «speculativa», riconoscendo, parallelamente alla forza politica dell’utopia, anchel a forza politica dell’astrazione,cioè la specifica validità politica (e perciò, nei termini gramsciani, filosofica) del ‘nontrarre tutte le conseguenze’, tipico della filosofia intesa in senso ‘tradizionale’. DopoHegel, è Benedetto Croce — appunto una delle «ultime filosofie a base utopistica » — ilfilosofo capace di tenersi all’altezza della contraddizione|45| ‘senza trarne leconseguenze’, e questo in un mondo già segnato dalla critica di Marx, dunque in modofortemente consapevole. La filosofia crociana dei ‘distinti’ definisce per questa ragioneun’idea ben precisa della modernità come civiltà della ‘rivoluzione passiva’, ed è laforma specifica (una forma ormai sovranazionale, europea) in cui la filosofia ‘fa politica’ entro questo spazio geo-politico, come del resto aveva ammesso lo stessoCroce quando aveva definito il proprio lavoro allaCritica come «opera politica , di

    politicain senso lato : opera di studioso e di cittadino insieme».40

    39 Di qui la centralità neiQuaderni della coppia categoriale ‘Riforma-Rinascimento’, come ho tentato dimostrare in «Riforma e Rinascimento. Il problema della ‘unità ideologica tra il basso e l’alto’», in:Capitani, L., Villa, R. (a c. di),Scuola, intellettuali e identità collettiva nel pensiero di Antonio Gramsci (Atti del convegno, Reggio Emilia 11 dicembre 1997), Roma, Gamberetti Editrice [in corso di stampa].40 Croce,Contributo alla critica di me stesso [1915, 19452]; in: id ., Etica e politica [1931], Roma-Bari,Laterza 1967, pp. 334 s. (il secondo corsivo è mio).