FABIAN NEGRIN orecchio acerbo...fascio di luce in cui muovere le agili dita, che sul muro apparivano...

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orecchio acerbo FABIAN NEGRIN

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    FABIAN NEGRIN

  • FABIAN NEGRIN

    orecchio acerbo

  • CAPITOLO 1

    L’amore e l’odio

    In un paese lontano, se pensiamo a quanto è vicina lapunta del nostro naso, ma vicino, se consideriamo la di-stanza che ci separa dalle stelle che vediamo nelle lim-pide notti d’estate, c’era una ragazza, famosa per lemeravigliose ombre cinesi che prendevano vita dallesue mani. Il suo nome era Zazà, e le bastava un piccolofascio di luce in cui muovere le agili dita, che sul muroapparivano orecchie e orchidee, orsi e oceani oscuri.

    I suoi capelli erano neri come le ali di un corvo… Macosa sto dicendo! Ancora più neri! Immaginate piutto-sto un pezzo di carbone. Sì, ecco! Un pezzo di carbonenella notte, ricoperto di catrame e nascosto nell’ango-lo più buio della più buia cantina. Riuscite a immagi-nare un nero così? Allora, e solo allora, avrete un’idea di

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  • com’erano neri i suoi capelli. Ma se i capelli parlavanoalle tenebre, il volto e gli occhi di Zazà parlavano la lin-gua della luce. Ah, signori miei, i suoi occhi! Allungati,a forma di falco in volo. Quando Zazà passeggiava a vol-to scoperto per le piazze della città, le case, i caffè, lepersone e tutte le cose intorno a lei sembravano spari-re, tale era lo splendore che si sprigionava dalle sue pu-pille. Ma la sua radiosa bellezza nascondeva un cuoreturbolento.

    Figlia, nipote e pronipote di streghe, Zazà appartene-va a un’antichissima stirpe di maghe creatrici di ombre.A differenza delle sue antenate, non era mai contenta dinulla. Che l’ombra fosse perfetta come un diamante ocomplicata come un labirinto greco, Zazà era sempre in-soddisfatta. Così, pian piano, il suo amore per la perfe-zione la spinse là dove nessun’altra strega aveva osato;persino le sue vecchie nonne, bisnonne e quadrisnonnecominciarono a guardarla con invidia, rispetto e un po’di timore.

    Mai un paio di nude mani aveva scatenato forme tan-to misteriose e complesse! Le sue ombre erano più buiedella morte e sembravano possedere vita propria, come

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    L’amore e l’odio

  • se volessero staccarsi dal muro e avvolgere il mondo inun gran lenzuolo nero.

    Stravinski, invece, veniva da una famiglia semplice. Ilsuo talento arrivò dal cielo quasi per caso, quando erabambino. Se ne stava seduto sul prato davanti a casa agiocare con il pongo, quando, anche se non si vedevaneppure una nuvola, all’improvviso un fulmine gli cad-de sulla testa.

    –Ahhhhhhhhhhh!– urlarono suo padre, sua madre e isuoi venti fratelli, arrivando di corsa. Cercarono nel fu-mo denso il bambino carbonizzato, ma con grande stu-pore lo trovarono illeso. Era lì che, col sorriso sullelabbra, continuava imperturbabile a impastare il pongo.

    La vita riprese come prima, fino alla gelida sera in cuiavvenne un secondo fatto straordinario. Il bambino siavvicinò al focolare per riscaldarsi, e, giocando e parlan-do da solo come faceva sempre, cominciò a muovere ledita vicino alle fiamme. Così, quasi senza renderseneconto, si mise a modellare il fumo come se fosse pongo.Presero forma forbici e formiche fumanti, fulmini e fu-nicolari di fuliggine e tutte le cose che quella notte sus-

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    L’amore e l’odio

    surrò a sé stesso. Serpeggiarono via dalle sue dita, nell’a-ria, volteggiarono intorno e sopra alla sua testa, disfa-cendosi contro il soffitto screpolato della cucina.Quando la madre entrò nella stanza, la sua bocca diven-ne una O grande come un’arancia. La ciotola che por-tava, piena fino all’orlo, le scivolò dalle mani rompendosiin mille pezzi.

    –Neanche a te piace la zuppa, eh mamma?– chiese ilbambino, e fra le sue dita prese forma un cono gelato difumo.

    I dottori vennero a esaminarlo e una folla di vicini cu-riosi riempì ogni giorno il cortile, per vedere Stravinskiall’opera. Col fumo che usciva da una sola sigaretta co-struiva un’intera foresta di farfalle. Poteva pigiare tuttolo smog di una città grande come Baghdad dentro un fi-co secco, e poi legarlo con un filo.

    Stravinski divenne il mago del fumo.

    Quando si fece grande lasciò il paese sperduto fra lemontagne e andò a vivere in città. Lì, un giorno, mentrese ne andava a spasso senza meta, proprio per caso e, sipotrebbe dire, perché così va la vita, vide su un terrazzo

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    una bellissima fanciulla che bagnava delle rose nere. Ilcuore di Stravinski fece un balzo in su e una capriola inavanti, il suo cervello risuonò di campane, la sua bocca siaprì per lasciar uscire cento fiori di fumo che, guizzandonell’aria, formarono la parola amore . S’innamoròperdutamente non appena la vide. Zazà, invece, (perchédi lei si trattava) lo odiava già da un minuto buono, daquando lo aveva visto girare l’angolo della strada conquell’aria da rozzo montanaro. L’odiò dal primo istante,ancor prima di conoscerlo. Perché, amici miei, la vita vaanche così.

    Mentre lui se ne stava col naso in su, lei lasciò cadereun getto d’acqua che gli finì dritto in faccia. E lo fece ap-posta. Odio a prima vista, potremmo chiamarlo. E nonchiedetemi perché. Infatti, se l’amore è cieco, neanchel’odio ci vede tanto bene. Zazà odiava Stravinski, l’odiavae basta. Di un odio assoluto come una pietra nera, solidocome una piramide, selvaggio come un orso polare colmal di denti.

  • CAPITOLO 2

    Banane

    La notte d’autunno in cui questa intricata vicenda co-minciò, Zazà se ne stava al chiaro di luna per allenare ledita con difficilissime ombre a forma di oranghi. Ap-profittando del passaggio di una nuvola che oscurò perun attimo il terrazzo, le scimmie curiose le sfuggironodi mano, salirono sulla balaustra e saltarono giù. Zazàfece per inseguirle, ma il profumo delle orchidee vele-nose la stordì per un attimo, e così gli animali si dile-guarono nel buio.

    –Oh, che peccato!– sussurrò la maga.Gli oranghi, più veloci dell’amore a prima vista, più

    avidi dei baci degli amanti, fecero la peggiore strage difrutta che il paese potesse ricordare. Il mattino dopo,centomila piantagioni di banane erano state spolpate fi-

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  • no alle radici. L’infinita distesa di fruscianti foglie verdimosse dal vento e di caschi di frutti profumati che fino aieri crescevano per la gioia e la borsa del re e dei suoi sud-diti, erano solo un ricordo. Bucce gialle tappezzavano laterra fino all’orizzonte; ovunque si vedevano mozziconid’alberi mangiucchiati, e un fortissimo odore di bananeimpregnava l’aria, facendo venire le lacrime agli occhi. E,per assurdo, l’odore era così forte da far sembrare insipi-di i pochi frutti scampati alla grande abbuffata. Il disa-stro era assoluto, e il paese cadde in miseria.

    Qualcuno aveva visto le scimmie uscire dalla casa diZazà e i giornali, che da sempre le erano ostili, se la pre-sero con lei. Scrissero che lavorava per potenze nemiche,che ce l’aveva con le banane perché preferiva le ciliegie,e mille altre bugie.

    Già all’alba la gente cominciò a radunarsi sotto il suoterrazzo.

    –Quella maledetta strega ci ha ridotto in miseria!–strillava laggiù una vecchia coperta di stracci, raccattan-do qualcosa nei bidoni della spazzatura.

    –Che ne sarà dei nostri ragazzi?!– urlava un signore al-to, accompagnato da due figli sulla sedia a rotelle. Il più

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  • grande aveva perso le gambe nella guerra del re, e l’altrosi fingeva paralitico per non andare sotto le armi.

    –Buttiamole le pietre! Facciamole a pezzi le finestre!–inveiva un omone che possedeva una piccola fabbrica divetri.

    In quel preciso istante, come chiamata in scena,Zazà fece la sua apparizione, più bella che mai. Sem-brava una dea malvagia scesa sulla terra a chiudere iconti. Un cupo silenzio cadde sulla strada e la folla lafissò ipnotizzata, come un uccello davanti al serpenteche sta per mangiarselo. Lei si mise a innaffiare i tuli-pani carnivori, come se la strada dove si accalcavanomigliaia di persone fosse deserta. Per lei, maga e figlia enipote di maghe, i comuni mortali erano meno inte-ressanti delle pietre e dei muri. Se a qualcuno il suo mo-do di fare sembrò sprezzante, non possiamo darglitorto. La collera montò come un’onda: ora la gente vo-leva sangue.

    –Streeeeeeegaaaaaaaaaaaaa…–Maledeeeettaaaaaaaaaaaaaa…

    Cominciarono a lanciare tutto quello che si trovava-no sotto mano: pietre, bastoni, un cagnetto, bottiglie,

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  • una ruota di tram. Sembrava che una tempesta si abbat-tesse sulla ragazza indifesa e indifferente, che continua-va a bagnare i fiori.

    Nel frattempo, a palazzo, il re faceva la siesta pomeri-diana. Il suo pisolino cominciava dopo pranzo, finivaprima di cena e non tollerava interruzioni. Tutte le volteche il re era stato svegliato di soprassalto, qualcuno ciaveva rimesso la testa.

    Dormiva nell’harem, circondato dalle mogli che, im-mobili e silenziose, vegliavano sulla sua pace. Ma il tram-busto esterno cominciava a farsi sentire, e una di lorochiuse le finestre. Il chiasso, però, cresceva di minuto inminuto.

    –M h m h m h m h h – farfugliò il re nel sonno.Un fremito di paura attraversò il gruppo delle regine.

    Appoggiarono delicatamente due cuscini di velluto sul-le orecchie del sovrano. Fuori il rumore non faceva cheaumentare.

    –G r g r g r g r g r – una palpebra del re si alzò, lasciandovedere il bianco dell’occhio.

    Le sovrane tremanti si coprirono il viso, aspettando ilpeggio. Da dietro le mura, urla e imprecazioni si faceva-

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  • no sempre più forti. Ormai il fracasso non poteva più es-sere ignorato.

    –Cosa…?– chiese il re, aprendo l’occhio sinistro.Le mogli si nascosero dietro i divani e sotto i tappeti,

    mentre dal letto volavano cuscini in tutte le direzioni: ilre si era svegliato.

    –C O S A - D I A V O L O - S T A - S U C C E D E N D O ? ! – urlò.Credendo che la vita del sovrano fosse in pericolo, le

    guardie entrarono con le armi in pugno. Nella confusio-ne decapitarono una statua e ruppero vasi, specchi anti-chi e il braccio di una delle regine. Trovarono il reaffacciato alla finestra, che guardava sbigottito lo scom-piglio giù in strada.

    –C O S A - D I A V O L O - S T A - S U C C E D E N D O ? ! – sussurrò. In uno dei suoi incubi ricorrenti, il popolo in rivolta

    lo decapitava in piazza. Doveva far puntare i cannoni sul-la folla?

    –Non vorranno per caso la mia testa, eh? –È per la maga, mio signore – rispose il capitano delle

    guardie. Il re tirò un sospiro di sollievo. La gente non ce l’aveva

    con lui! Si arricciò i baffi e a poco a poco un sorriso si di-

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    Banane

  • CAPITOLO 3

    Questa è la mia casa

    Appena seppe che Zazà era stata arrestata, Stravinski, inpreda alla più cupa disperazione, decise che doveva veder-la a tutti i costi. Dopo il loro unico e bagnatissimo incontronon si era mai più azzardato ad avvicinarla. Nemmeno un“Buongiorno, come va? Che tempo pazzo, eh?”. Niente.Pensò che la cosa migliore fosse rivelarle prima i suoi senti-menti, e poi convincerla a discolparsi con il popolo e con ilre, in modo da ottenere la libertà. Per riuscire a vederla cor-ruppe guardie e carcerieri con denaro che non possedeva.

    –Zazà, amore mio…– disse, affacciandosi attraverso lapiccola finestrella della porta della cella. Ma vi ho giàdetto che lei lo odiava così tanto, ma così tanto, che ap-pena lo vide ptuuuuù!gli sputò in faccia. Facendo fin-ta di niente, Stravinski si pulì col dorso della mano.

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    segnò sulla sua brutta faccia. Se il popolo era così occu-pato nel buttare pietre alla maga, a nessuno sarebbe ve-nuto in mente di gettarle su di lui.

    –Capitano– chiamò–Agli ordini, mio signore.–Arresta subito Zazà per alto tradimento!– strillò, met-

    tendo davanti alla bocca le mani a coppa in modo che lafolla lo sentisse.

    –Brrraaaaavoooooooooooooooo!– ulularono tutti.Come solo i grandi statisti sanno fare, il re diede al po-

    polo quello che il popolo voleva. Zazà finì in galera, lagente tornò alle sue faccende e il re al suo pisolino.

    Per assicurarsi che non creasse altri guai, la chiuseroin una cella senza luce nei sotterranei del palazzo, e in ungiorno di burrasca buttarono la chiave in mare.

    Zazà era perduta. Non sarebbe più uscita da quellaprigione, mai più.

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  • –Quest’anno le piogge sono in anticipo– osservò. Tirò fuori un fazzoletto e, passandolo attraverso la fi-

    nestrella, otturò una fessura sul soffitto basso e umido,dicendo: “Ecco, così la pioggia non potrà più filtrare at-traverso i muri”. Poi andò via, facendo un inchino cheZazà non vide perché fissava ostinatamente il muro in-crostato di muffa.

    Stravinski partì come un fulmine sul suo cavallo daidenti d’oro, per inseguire le ombre delle scimmie fuggi-tive. Così veloce, ma così veloce, che nessuno lo videpiangere.

    Cavalcò per giorni interi, incontrando soltanto pian-tagioni di banane rase al suolo. I contadini senza lavoro sidisperavano e imprecavano, alzando le braccia al cielo.

    –Maledetta strega! Odiosa e lunga sia la tua vita in ga-lera! Crepa lì, in mezzo ai topi!– urlavano sul bordo delfiume, insaponandosi l’un l’altro nel vano tentativo ditogliersi di dosso l’odore di frutta putrida che non li la-sciava dormire. Pensando all’amata chiusa nel buio del-la prigione, Stravinski si asciugò le lacrime e spronò ilcavallo lungo la traccia di bucce di banane che gli oran-

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  • ghi si lasciavano dietro, come tanti Hansel e Gretel pelo-si e tropicali.

    Tuttavia non fu un’impresa facile. Il mago dovetteperlustrare l’ultimo dei campi distrutti, giungere alla fi-ne di mille sentieri scivolosi, arrivare al di là delle foresteconosciute, prima di vedere ricompensati la fatica, l’o-stinazione, il coraggio. Senza dimenticare l’altro ele-mento che lo aiutò a trovare le scimmie, forse quellodecisivo: il puro e semplice caso. Stava cavalcando lungouna spiaggia deserta, ormai sul punto di darsi per vinto,quando una buccia di banana gli cadde sulla testa! Alzògli occhi e vide gli oranghi.

    Seduti sopra una fila di palme affacciate sul mare, so-migliavano a grossi frutti maturi, la pelle dorata dal soleal tramonto. Quasi tutti sonnecchiavano, le pance gon-fie fino all’inverosimile di frutta rubata. Stravinski sceseda cavallo e li osservò, meditando sul da farsi. Quasi tut-ti lo guardarono senza il minimo interesse. Erano unacinquantina.

    –Troppi per farli fuori– si disse Stravinski –Qui bisognausare il cervello.

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    Fumo negli occhi

  • –Visto che siamo a casa mia dovrei essere io a chieder-telo, non credi?– disse la voce.

    –Oh, scusi l’intrusione, maestà, non sapevo che questagalera fosse sua! Si figuri, credevo di essere finita in unacella del palazzo reale!– la canzonò la maga.

    –Sembri simpatica– disse la vecchia. –Se resti ci faremoun sacco di risate, vedrai. Non si sta poi così male, qui. Saigiocare a carte? No? Io amo le…

    –Perché non stai un po’ zitta?– la interruppe Zazà, checercava di finire l’esercizio di respirazione.

    –Oh, scusa… Parlo troppo… Comunque puoi esserecerta di una cosa: non sei in una cella del re. Questa è ca-sa mia – disse la vecchia.- Ci abito da prima che costruis-sero il palazzo. Anzi, questa era già casa mia parecchiotempo prima che la madre del re aprisse le gambe per farnascere quello stupido; e ancor prima che la trisnonnadel re aprisse le gambe per fare nascere il bisnonno delre, e quando…

    –Accidenti, vecchia! Ti hanno dato una condanna lun-ga come la tua lingua.– riuscì finalmente a interrrom-perla Zazà.

    –Meritatissima, cara; per il mio delitto non c’è perdo-

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    Questa è la mia casa

    Quando Stravinski si allontanò dalla la cella e la guardiachiuse la porta, Zazà si sedette per terra, respirandoprofondamente per far sbollire la rabbia. Quel mago daquattro soldi se l’era più che meritato, il suo sputo. Erariuscito a farle perdere le staffe. Ma lei sapeva come cal-marsi: ventiquattro respiri lunghi e sedici corti, in una se-quenza che aveva imparato da una zia zitella, grandeesperta in rabbia e furore da quando era stata piantatadue volte davanti all’altare, con gli invitati intorno e la fe-sta pronta.

    La sentinella che aveva accompagnato il mago era ri-masta nelle vicinanze, e la sua lampada mandava un leg-gerissimo chiarore che filtrava da sotto la porta, rasenteil pavimento.

    Si guardò attorno nell’oscurità, come per misurare lacella in cui l’avevano rinchiusa da poche ore, e scoprì dinon essere sola: là in fondo, nella piccola stanza infesta-ta di scarafaggi, c’era qualcosa.

    –Buongiorno, cara– disse la voce di una vecchia. Sembrava distesa per terra, forse coricata su un mate-

    rasso. Zazà non riuscì a vederla in faccia.–E tu chi sei, vecchia?

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  • CAPITOLO 4

    La paura del ssssssssssssss

    Il sole era sparito nel mare. Nella penombra crescente glioranghi si confondevano col fogliame. Stravinski non siera mosso di un centimetro e continuava a fissarli, me-ditando sulla strategia da seguire. Quando alla fine si de-cise era già notte fonda. Si schiarì la gola e fece uninchino verso le scimmie. Loro lo guardarono infastidi-te, non sarebbero certo scese dalle palme per il primostupido di passaggio.

    –Ha tutta l’aria di essere un montanaro ignorante– dis-se l’orango che la sapeva più lunga.

    Il montanaro accese un fiammifero e la magia ebbeinizio.

    – Fune di fumo! Ficusfocus!– gridò.Stravinski avvicinò il fiammifero al suo turbante, che

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    no, nemmeno se restassi qui per altri diecimila anni.–Saresti qui da diecimila anni?–Non uno di meno.–Allora sei la persona più vecchia che conosco– disse

    Zazà rabbrividendo.–Persona? Forse c’è un equivoco. Chi ha detto che sono

    una persona?– chiese il fantasma.

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    Fumo negli occhi

  • prese fuoco con un gran boato. BOOOOMMM! Dallefiamme uscì una colonna di fumo bianco, che una voltamodellato dalle esperte dita del mago prese la forma diun serpente.

    –Sssssssssssssss– faceva la lingua biforcuta del rettile –Ss-sssssssssssss.

    –Fluido di febbre! Ficusfocus!– disse Stravinski.Il corpo del serpente si spezzò in mille piccole vipere

    bianche che iniziarono a danzare freneticamente. Si tuf-favano nelle tasche del mago e saltavano fuori delle scar-pe, gli entravano da un orecchio e gli uscivano dallabocca.

    –Sssssssssssssss– facevano le lingue biforcute –Ssssssssss-ssssssssssssssss.

    –Fame di fiamme! Ficusfocus!– bisbigliò Stravinski.I serpenti cominciarono a salire verso l’alto, verso gli

    oranghi che ora guardavano giù, preoccupati. Fumo efuoco! Brutta combinazione! Una scintilla nella direzio-ne sbagliata e le palme dov’erano seduti sarebbero bru-ciate come bastoncini d’incenso. La loro più grandepaura, però, non era quella. E per spiegarlo è meglio apri-re una parentesi.

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    La paura del ssssssssssssss

  • visto un serpente, e così pensò che fosse unabanana. Il suo morso fu tanto brutale da stac-care un pezzo della coda di Wu. In origine i ser-penti erano abbastanza lunghi da poter strisciarein linea retta. È da quel primo morso di scimmiache procedono a zig-zag.Il serpente giurò vendetta e promise che per i tempi avenire avrebbe cercato di morsicare il didietro dellescimmie. Così, dal primo giorno del mondo, le scim-mie hanno una paura tremenda delle vipere, e si al-larmano non appena sentono il loro fischiossssssssssssinuoso. Chiusa parentesi.

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    La paura del ssssssssssssss

    Lasciamo lì le scimmie, immobili sulle palme,e il mago con le sue viperette, là sulla spiaggia,

    per raccontare una storia che risale al principiodei tempi, quando il mondo era ancora caldo e

    c’era un solo animale per ogni specie. Non si pote-va calpestare la terra perché, come vi ho appenadetto, era calda come pane appena sfornato. Pernon bruciarsi i piedi, tutti gli esseri stavano appe-si a Bio, l’unico albero esistente. Sembra dunque

    che Gaò, l’antenato di tutte le scimmie, quel pri-mo giorno abbia afferrato la coda di Wu, l’an-

    tenata di tutti i serpenti. Gaò non aveva mai

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    Fumo negli occhi

  • –Sssssssssssssss –facevano i serpenti di Stravinski– Ssssssss-sssssssssss.

    Per gli oranghi, e adesso sapete perché, il loro fischioera peggio dello stridere del gessetto sulla lavagna. I ret-tili erano già a metà delle palme, i loro denti non eranolontani dalle chiappe delle scimmie, e gli oranghi co-minciarono a tremare.

    –Questi serpenti non sono veri– disse il solito orangoperspicace –è solo un po’ di fumo. Cerchiamo di darciuna calmata.

    –Non sono veri! Non esistono! Non esistono!– urlaro-no in coro le altre scimmie, che si sarebbero aggrappatea qualsiasi cosa per vincere la paura.

    –Basta non ascoltare il loro stupido sssssssss e non po-tranno farci del male. Tappiamoci le orecchie e guardia-mo dall’altra parte– suggerì il cervellone.

    Niente di più facile. Agli oranghi l’idea sembrò eccel-lente, straordinaria, sublime. Un vero colpo di genio.

    –Tutto andrà a posto! Tutto andrà a posto!– dissero,tappandosi le orecchie con le dita, e voltarono la schienaal mago e ai suoi stupidi serpenti.

    E cosa c’era dall’altra parte della spiaggia? Il mare!

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    Fumo negli occhi

  • CAPITOLO 5

    Perdere i sensi

    Un fantasma? Doveva essere il giorno fortunato di Zazà.Nel ridottissimo spazio in cui si trovava, un fantasma erail compagno di cella ideale. Nessun corpo ingombrante,niente ossa spigolose. Sarebbe stato come avere tutto ilmaterasso per sé! Era cresciuta nel lusso, e non intende-va scendere a compromessi proprio adesso.

    –Quello dove sei coricata sarebbe il nostro letto?–s’informò Zazà.

    –Sì, cara, ma non sai che odoraccio ha, dopo diecimilaanni! Forse è meglio se dormi per terra.

    –Scordartelo, vecchia.–Via! Non vorrai dormire con un vecchio spettro pul-

    cioso!Non riusciva a vedere la faccia della vecchia. La sua sa-

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  • E a questo punto il collo e la testa del fantasma si al-lungarono a dismisura verso Zazà, finché i loro nasi sitoccarono. L’odore che la ragazza sentì non assomigliavaa nulla che avesse fiutato prima. Un freddo mai provatogelò anche i suoi pensieri più nascosti. E in quanto abruttezza, non ci sono parole per descrivere la creaturache le si presentò davanti. In realtà non si trattava nean-che di un vero fantasma. No! Questo doveva essere undemone, e di sicuro potentissimo, forse lo stesso Diavo-lo in persona.

    E Zazà svenne dall’emozione, come una fan davantialla sua rock star preferita.

    –Cerchiamo di allontanare le vipere dai nostri pensieri–disse il solito orango. –Forza! Guardiamo l’acqua!

    Le scimmie volsero lo sguardo verso le onde che lam-bivano la spiaggia. Bianche e leggere, sempre uguali masempre diverse, sembravano venire dal nulla per scom-parire nel nulla.

    Il mago, però, non era disposto a mollare la presa. Ac-cese un altro fiammifero e avvicinandolo al suo turban-te sussurrò: “Fiumi di fumo! Ficusfocus!”.

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    Perdere i sensi

    goma si distingueva appena dall’oscurità, e per scorger-la bisognava guardarla di sbieco.

    –Di sicuro non sarai più ripugnante di mia madre– dis-se la maga. –Allevava ragni e scarafaggi e li faceva dormi-re sul suo cuscino. Me li trovavo perfino nella minestra:facevano i tuffi buttandosi dall’orlo della scodella.

    –Oh, adoro la gente che ama gli animali!– rispose l’al-tra.

    Se la vecchia pensava di tenersi tutto il letto per sé,non sapeva con chi aveva a che fare, pensò Zazà.

    –E non sarai certo più orripilante della faccia di mianonna. Mi svegliava di soprassalto alle tre del mattinosfregando la guancia contro la mia. E la sua era ruvida esquamosa, piena di foruncoli, verruche e porri. Poi miportava al cimitero per insegnarmi il vudù.

    –È bello vedere una nonna che si preoccupa dell’edu-cazione della sua nipotina– commentò la vecchia.

    –E non devi essere più fredda di mia zia Berta. Una vol-ta mi pizzicò un orecchio e me lo fece diventare un cu-betto di ghiaccio.

    –La storia della tua vita è molto interessante, ma ades-so è ora di guardare in faccia la realtà.

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    Fumo negli occhi

  • I serpenti si tuffarono nell’acqua come pesci volanti.Il loro fumo si mescolò alla schiuma, dandole un aspet-to inquietante.

    Il mare continuava con la sua solita canzone: splash,splash, splash.

    –Cosa stai dicendo, mare?– chiesero le scimmie con ledita nelle orecchie.

    –Splash, splash, splash– rispose il mare, lascian-do sulla sabbia un po’ di bianca schiuma.

    – Cos’hai detto? Ripeti!– SPLASH, SPLASH, SPLASH. – Cosa dici, pozzanghera da quattro soldi?– urlarono le

    scimmie, sempre con le dita nelle orecchie.Adesso fu il mare a non credere alle proprie orecchie

    (anche se a dire il vero non ne aveva). Pozzanghera daquattro soldi? A quel branco di animali pelosi servivauna lezione. Aveva la schiuma alla bocca.

    SPLASH!

    SPLASH!

    SPLASH! – urlò il mare inferocito.

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    Perdere i sensi

  • 48

    Fumo negli occhi

    Tre onde, alte come piccole torri, investirono le scim-mie senza misericordia. Una dopo l’altra, in tre istantiche agli oranghi sembrarono interminabili, colpirono lepalme come una pioggia di manganelli. E un orango, chein quel momento sbadigliava, insieme all’acqua salatainghiottì una chiave portata dalle onde.

    Quando tutto fu finito si guardarono, bagnati fradicie storditi.

    –A questo mare è meglio non domandare più nulla,scimmie– disse l’orango che sapeva sempre tutto. –Piut-tosto mordiamoci la lingua, così non ci sarà più pericolodi fare domande sbagliate.

    Un’altra idea geniale! E le scimmie si morsero lalingua.

    Zazà non aveva paura di demoni e fantasmi, la sua fami-glia ne era piena. Questo, però, andava al di là della suaesperienza.

    Quando si svegliò, si ritrovò sul materasso. Ed era so-la. O almeno così le sembrò, giacché non distingueva lasagoma della vecchia. Si chiese se fosse stato tutto un so-gno, ma in fondo al cuore sapeva di no. Il demone era ve-

  • 50

    Fumo negli occhi

    –Vuoi fare silenzio, cara? Sto cercando di meditare–disse il demone alle sue spalle.

    –Ah– disse Zazà trasalendo– allora ci sei. Silenzio.–E su che cosa mediti, demone?

    Passò un po’ di tempo prima che la vecchia rispon-desse:

    –Medito sulla gentilezza.–E tu saresti un demone?– disse Zazà –Mi fai venire la

    nausea! Sto quasi per vomitare.

    51

    Perdere i sensi

    ro. Il suo puzzo si sprigionava dal materasso e aleggiavanell’aria della cella, coprendo l’odore di muffa e umidità.Faceva ancora freddo, e il respiro le usciva a nuvolettedalla bocca.

    Zazà era felice. Il destino, imbrogliando le carte, l’ave-va fatta finire in quella cella; qualcuno l’aveva presceltaper un destino straordinario. Cosa non avrebbe potutoimparare da Lui in persona? Quale perfezione avrebberomai raggiunto le sue ombre, con un simile Maestro?

    –Ehi, vecchia! Sei ancora qui?– sussurrò.Nessuna risposta. Che se ne fosse andata? Si era com-

    portata come una ragazzina sciocca, con quel suo sveni-mento.

    –Scusami! L’emozione di vederti è stata troppo forte. Niente.

    –Non sei poi così male, sai? Col tempo mi ci abituerò.Ne abbiamo di tempo.

    Nessunissima risposta. La vecchia-demone se n’eraandata. Maledizione!

    –So che sei qui, vecchia. Non scapperai mica per l’arri-vo di una dolce fanciulla come me, vero? Sento ancora latua puzza!– strillò Zazà pestando i piedi per terra.

  • CAPITOLO 6

    I kiwi in tasca

    Gli oranghi avevano i nervi a pezzi. Sotto di loro c’eranoi serpenti, davanti, il mare furioso e vendicativo. Non sa-pevano proprio da che parte girarsi! Uno di loro, quelloche aveva inghiottito la chiave, si schiarì la gola, e così fa-cendo guardò su. Gli altri, che non per niente eranoscimmie, lo imitarono. E, come se vedessero il cielo perprima volta, si misero a fissarlo ipnotizzate.

    Ma laggiù Stravinski non mollava. Aveva acceso unterzo fiammifero, e avvicinandolo al suo turbante disse:

    –Firmamento di fumo!Questa volta il fumo si levò in un filo sottilissimo, che

    passò attraverso le dita del mago e si levò in fretta versol’alto, dove sfiorò le stelle, facendole brillare di più.

    Dopo alcuni lunghi minuti, un orango disse:

    53

  • Era vero. Nel cielo, nero come la coca-cola, le piccoleluci si spostavano lentamente e il filo di fumo le collega-va tutte formando disegni d’argento. Che spettacolo! Leteste si inclinarono all’indietro, di più, di più, sempre dipiù. E alla fine gli oranghi caddero giù dalle palme tuttiinsieme, con un tonfo sordo POOOOOF!

    Con la schiena a terra, fradice, intontite dal colpo, del-le grosse scimmie che avevano sconvolto il paese restavasolo un mucchietto d’ombra.

    Maledizione! Nemmeno delle stelle ci si poteva fida-re. Non le avrebbero guardate mai, mai più, neanche pertutte le banane del mondo! Si morsero un’altra volta lalingua. Si ficcarono più a fondo le dita nelle orecchie echiusero gli occhi per sempre.

    55

    I kiwi in tasca

    –Ehi, ma cosa sono quegli affari lì? Quelli che luccica-no?

    –Sono le stelle- spiegò il solito orango intelligente.–Ah!–Brillano, così la gente le guarda.–Ah!–Alcuni le guardano per diletto e altri per lavoro. –Ah!–Per esempio i marinai le guardano attentamente per

    tornare a casa.–Io vorrei così tanto tornare a casa– sospirò una scim-

    mia.–Niente di più facile!– disse il cervellone –Guardiamo

    attentamente le stelle anche noi, e vedrete che ci riusci-remo.

    E così fecero, ma dopo un po’ la scimmia della chiavedisse:

    –Ma… si muovono! –Non dire sciocchezze. Ah, ah, ah, adesso le stelle si

    muovono, ha, ha, ha!– lo canzonò il cervellone.– Eppure si muovono. Guardatele bene– si ostinò il pri-

    mo orango.

    54

    Fumo negli occhi

  • Ora gli oranghi sembravano inoffensivi e piccoli, sem-pre più piccoli. Il mago li raccolse e li mise in un sac-chetto. Montò sul cavallo dai denti d’oro e tornò in città,dove li consegnò al re, che, pensando fossero kiwi, limangiò e li trovò buonissimi.

    –Sono squisiti. Mai assaggiati kiwi migliori di questi.Devi essere andato oltre i confini del regno per trovarli.Giorni e notti di strada fra mille pericoli! Sei il mio suddi-to più coraggioso, Stravinski. Chiedimi quello che vuoi eti sarà concesso– disse il re mangiandosi l’ultimo orango.

    –Oh, signore, padrone di tutte le terre e dei cieli che le co-prono. Grande è la tua bontà e infinita la tua potenza, maciò che voglio non puoi concedermelo– rispose Stravinski.

    –Ho detto “quello che vuoi” e, tranne la mia testa, tidarò qualunque cosa. Sono stato chiaro?

    –Voglio la libertà di Zazà, oh mio re– chiese il giovane.–Zazà? Libera?– ruggì il re, e qualcosa uscì dalla sua

    bocca, cadendo tintinnante ai piedi del mago.–Sì, mio signore– confermò Stravinski, raccogliendo la

    chiave della cella di Zazà, che dal mare era finita nellostomaco dell’orango, poi sulla lingua del re, e infine nel-le mani del mago.

    58

    Fumo negli occhi

  • –Non ti capisco. Potresti avere palazzi, donne, ric-chezze, e l’unica cosa che ti viene in mente è chiedere lalibertà di quella strega? Ma se mi hanno raccontato cheti odia e quando ti vede ti sputa in faccia!

    – Non si trattava di uno sputo, mio signore. Semplice-mente, le piogge erano in anticipo.

    –S t u p i d a g g i n i ! – urlò il Re.–La liberazione di Zazà è il mio unico desiderio, mae-

    stà, –ripeté Stravinski– ma se non si può fare…–Non c’è niente che il re non possa fare! Ho detto qua-

    lunque cosa, e qualunque cosa sarà. Rimettete la stregain libertà!– ordinò il re controvoglia.

    Ma Zazà continuava a odiarlo, e quando lo vide in attesafuori della prigione, attorniato della folla…ptuuuuù! gli sputò in faccia una seconda volta. Tuttirisero a crepapelle. Stravinski guardò il cielo azzurro, ter-so come uno specchio. Allungò la mano come si fa persentire se piove, e aprì l’ombrello che s’era portato dietro.

    – Quest’anno le piogge sono arrivate in…– S t u p i d a g g i n i ! – lo interruppe il re.

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    I kiwi in tasca

  • CAPITOLO 7

    Lacrime e perle

    Zazà intendeva tornare a tutti i costi dentro quella cella.Poco prima che la liberassero aveva capito che il demone sistava prendendo gioco di lei. Quella storia della gentilezzaera soltanto fumo negli occhi per non insegnarle niente.

    –Così crede che non sia all’altezza, eh? Pensa che ionon sia abbastanza cattiva!– si diceva, misurando la casaa grandi passi.

    L’immagine del demone la faceva ancora rabbrividi-re. Un tipo con quella faccia che parlava di gentilezza! Ildemone la stava mettendo alla prova.

    –Pensa di aver a che fare con una novellina. Gli dimo-strerò di cosa sono capace. Al demone e a quell’altro ma-go da strapazzo! Prenderò due piccioni con una fava.

    63

  • cuno chiedeva la carità mentre altri rubavano, e se certichiedevano l’elemosina ai ladri, c’erano quelli che ruba-vano ai mendicanti. La gente era costretta a rifugiarsi neiposti più strani: un bambino dormiva nella bocca di unleone imbalsamato, in una sala del Museo delle Scienze;una donna abitava sulla lancetta dell’orologio della tor-re, per non parlare dell’uomo che viveva in piedi sopraun aquilone legato a un treno. Il paese si ritrovò in unasituazione catastrofica.

    Se vogliamo raccontarla proprio tutta, la povera gentedella costa aveva fame già da molto prima dell’arrivo del-l’Ostrica, probabilmente da sempre. Ma adesso chi se nericordava? C’era un gran bisogno di credere che ieri la vi-ta fosse più bella, e che domani sarebbe stata addiritturameravigliosa. Per le disgrazie di oggi, però, bisognava tro-vare qualcuno che si prendesse tutta la colpa. E in fretta.

    –Maledetta strega. Dove sono le nostre perle?– urlava-no i mendicanti.

    –Cos’hai fatto a mio marito, Zazà? È partito con la bar-ca e non è più tornato– piangeva una vedova.

    –Zazà, strega del malaugurio, fai smettere di piovere–gridavano i bambini.

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    Lacrime e perle

    Per lei era terribilmente umiliante esser amata daStravinski. Mago da quattro soldi! Essere tirata fuori diprigione da uno che puzzava ancora di stalla! Come ave-va osato aspettarla là fuori con quel ridicolo sorrisettostampato sul viso! E il re e l’intera città le sghignazzava-no dietro!

    –Vendetta! Mille e ancora mille volte vendetta!– gridò.

    Quella stessa notte Zazà andò sulla spiaggia e alla lucedella luna piena creò l’ombra dell’Ostrica Orribile, poi lalasciò fuggire. Duecentomila battelli carichi di perlescomparvero dai sette mari, in silenzio e senza lasciaretracce. Il porto dove le navi attraccavano di solito era de-serto, e i pochi marinai rimasti piangevano lacrime sala-te. Le banchine erano così silenziose che si sentivano gliechi delle lacrime che cadevano a terra e scivolavano fragli ormeggi vuoti fino a scomparire… plic plic plic plic plicplic plic plic plic plic plic.

    La gente della costa, ridotta alla fame, si rifugiò nellacapitale che, già piena di contadini rovinati dagli oran-ghi, accolse una nuova fiumana di profughi scheletriciche dormivano per strada, in ogni angolo libero. Qual-

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    Fumo negli occhi

  • –Tutto andrà bene, vedrai che tuo marito tornerà – di-ceva Stravinski, cercando di consolare la donna – E le per-le, dopotutto, erano del re. Voi non le vedevate neancheda lontano. –ricordava agli straccioni, cercando di nonfarsi sentire dalle guardie– E poi mica piove- faceva no-tare ai bambini.

    Questa volta il re non fu colto alla sprovvista, sbattéZazà in cella prima che gli scontenti si riunissero per ti-rarle le pietre.

    –Ce la terrò per sempre –disse il re dal balcone– e per ilmio compleanno voglio che le siano tagliate quelle die-ci dita maledette.

    –Bravooo! Bravooooooooo! Bravooooooooooooooo!Le lacrime di Stravinski scesero lungo il suo grosso

    naso, inzupparono il pizzetto e colarono giù, formandouna pozzanghera nel cortile del palazzo, dove la sabbiale inghiottì.

    Allora si disse:–Non c’è tempo per piangere, Stravinski.

    Montò sul cavallo dai denti d’oro e partì.Dopo una corsa estenuante arrivò al porto, vuoto di

    navi e di gente. Tirò fuori dal taschino un lunghissimo si-

    67

    Lacrime e perle

  • garo cubano e lo accese. Lo conservava da anni per una si-tuazione difficile come quella.

    –Falò di fontane. Ficusfocus!– disse il mago.Dalla bocca gli uscì una profumata nuvola di fumo,

    che, una volta modellata dalle sue agili dita diventò unimmenso transatlantico pieno di luci.

    Sarebbe tornato con quell’ostrica, fosse stata l’ultimacosa che faceva in vita sua.

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    Fumo negli occhi

  • CAPITOLO 8

    La nave va

    La nave aveva posti per tutte le tasche. Tommasa e suo fi-glio Giuseppe erano riusciti a prendere una cabina diterza classe.

    Tommasa andava in America, dove l’aspettava suomarito. Tutto il suo bagaglio consisteva in una valigia dicartone con dentro le poche cose che possedeva. Le tassedel re l’avevano lasciata senza nulla, a parte i due dentid’oro che le brillavano in bocca.

    Quando il transatlantico partì, Tommasa e il figlio sa-lirono in coperta e ci rimasero fino a che la terra divenneuna striscia sottile, e anche dopo, quando tutto intornodiventò acqua e nuvole.

    Al ristorante del transatlantico c’era una festa in co-stume. Un uomo mascherato da orso polare e un altro ve-

    73

  • –Volevo vederti. Voglio sapere tutto di te. Voglio im-parare.

    –Voglio, voglio, voglio. Non capirai molto se continuicosì.

    Zazà rimase in silenzio. Le zanne che uscivano dallabocca della vecchia erano giallastre. Le molte corna cheaveva sopra la testa si curvavano verso l’alto e alcune graf-fiavano il soffitto. Questa volta una debole luminescenzal’avvolgeva, e così Zazà poté scorgere la pelle verdastradel demone, brulicante di vermi. Gli occhi erano due bu-chi neri, come se, considerandoli inutili, la vecchia se lifosse strappati. Le gambe erano mozziconi gelatinosi cheuscivano dal ventre. Bello spettacolo per l’ora di pranzo!

    –Demone, sarò la tua schiava– promise Zazà.–Ma cosa dici, cara? Nessuno dovrebbe essere servo di

    un altro.–Perché insisti a prendermi in giro?– gridò lei –Non so-

    no una stupida, sono cattiva anch’io.–No che non lo sei.–Devi credermi: sono cattivissima! L a - p i ù - c a t t i -

    v a - d i - t u t t i . O quasi. Non si può essere più cattiva diun demone.

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    La nave va

    stito come il pianeta Saturno fecero commenti entusia-stici sulla bella Tommasa, che li ignorò.

    Lei e Giuseppe tornarono in cabina, e lui si prese lacuccetta di sopra.

    –Dormi, luce dei miei occhi, dormi– disse Tommasa ba-ciandolo – che se dormi la nave va più svelta.

    –Mi comprerai dei giocattoli in America, mamma?–Vedrai che giocattoli, Giuseppe, vedrai! È tutto d’oro,

    in America. Ma adesso dormi.Per ottenere il visto avevano fatto la fila davanti al

    consolato americano per sette giorni. Morivano disonno, e appena appoggiata la testa sul materasso siaddormentarono. Dormirono, dormirono, e poi dor-mirono.

    Rientrata in cella, Zazà ritrovò il demone nello stessoposto in cui lo aveva lasciato. Sembrava che non si fossemosso. O forse era stato il tempo a fermarsi?

    –Ciao, vecchia! Ti sono mancata?– chiese appena laguardia se ne andò.

    –Ancora qui, cara? Ci hai preso gusto a fare la ragaz-zaccia, eh?

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    Fumo negli occhi

  • –Ma io non sono cattiva. Cerco di essere più gentile cheposso– rispose la vecchia.

    Dal soffitto, una goccia cadde sul volto di Zazà. Il faz-zoletto che ci aveva infilato Stravinski per tamponarel’infiltrazione era ormai zuppo.

    –E va bene, facciamo pure finta di essere due brave ra-gazze. Allora com’è che hai un aspetto così sinistro?

    Il demone sospirò. –Anch’io sono stata bella, una volta. Sono passati seco-

    li, però. Un giorno, mentre accendevo il fuoco per cuci-nare un demone è entrato in me e mi ha fatto compiereil delitto più orrendo– raccontò la vecchia-demone. –Hoavvelenato tutta la mia famiglia. La mia amatissima fa-miglia. Poi fui chiusa qui, in attesa della mia esecuzione,ma il giorno prima morii di tristezza. Non potendo piùuscire dagli occhi chiusi di una morta, il maligno rima-se dentro di me, imprigionato. Siamo fusi insieme inquesta cella, per sempre. In questi diecimila anni lui,con la sua forza, è riuscito a prevalere sull’aspetto este-riore. Lui è quello che vedi. Io, invece, sono quella chesenti. Lui è solo un corpo senza volontà, e io non sono al-tro che una voce.

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    La nave va

  • CAPITOLO 9

    Mal di mare

    Un’idea cominciò a prendere forma nella mente di Zazà:separare la vecchia da quel che restava del demone. E lui,riconoscente, le avrebbe trasmesso i suoi poteri. Ma pri-ma dovevano uscire entrambi dalla cella, perché lì la vec-chia era invincibile.

    Raccolse dal pavimento un vecchio chiodo arruggi-nito e lo raschiò contro la parete fino a far scoccare unascintilla con cui accese un pezzetto di stoffa strappatoalla sua gonna. Muovendo rapidamente una mano da-vanti a quella luce debolissima che già accennava a spe-gnersi, Zazà riuscì a creare la piccola ombra di uncucchiaino.

    –Facciamo merenda?– chiese il demone.–Se arriva la guardia, il cucchiaio non esiste. Intesi?

    79

    –Un grosso demone con dentro una vecchia fantasma–ricapitolò Zazà.

    –Proprio così– rispose la vecchia.–Cos’hai fatto fino ad oggi?–Ho meditato. E ho capito una cosa.–Dimmi, vecchia. Sono qui per questo.–Ho capito che l’unica cosa che veramente conta è la

    gentilezza, la capacità di mettersi nei panni degli altri.Zazà non sapeva più che pesci pigliare. Si trovava da-

    vanti a un demone che la prendeva in giro, o c’era qual-cosa di vero nel suo racconto? Su di lei cadde ancora unagoccia.

    –Tu, invece, chiusa dentro le tue ombre, non ti accorgidell’amore che hai attorno– disse il demone –Non capi-sci nemmeno cosa sono le gocce che ti cadono addosso.

    –Acqua piovana?– disse Zazà assaggiandone una con lalingua.

    –Lacrime d’amore, cara, che un mago versa per te.

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    Fumo negli occhi

  • La ragazza tolse il fazzoletto dal soffitto e cominciò aingrandire la fessura con il cucchiaino.

    –Certo non è difficile fare la gentile qui, tutta sola– dis-se Zazà alla vecchia –Dovresti provare là fuori, in mezzoalla gente…

    –Lo so, lo so, ho fatto poca pratica. Ogni tanto, però, c’èstato qualche prigioniero col quale fare esercizio, e ades-so ci sei tu, cara. Cosa fai col cucchiaino?

    –Me ne vado. Sono stufa.

    Alla terza notte di navigazione, Tommasa si svegliò esaltò giù dal letto, tossendo e starnutendo a più non pos-so. Mentre sognava di mangiare biscotti al pepe, una bri-ciola le era andata su per il naso.

    –Atciùùùùù! Cofff! Atciùùùùù!– non riusciva a smette-re –Giuseppe! Atciùùùùùcoofffff!

    –Cosa c’è?– rispose il bambino.–Acqua! Acqua!– riuscì a malapena a dire sua madre.

    In fondo al corridoio della terza classe, il bagno era so-lo un buco nel pavimento di legno. Niente acqua. Giu-seppe dovette correre fino al ristorante in coperta, dovela festa cominciata tre giorni prima sembrava non voler

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    Fumo negli occhi

  • finire. Le luci erano accese, l’orchestra suonava frenetica,coppie di pagliacci ubriachi e cow-girls assonnate balla-vano il cha-cha-cha; falsi pinguini e soldatesse dai baffifinti buttavano bottiglie di champagne in mare; un Ar-lecchino giaceva per terra, abbracciato a due signorinevestite da giraffe. Se voleva dell’acqua doveva oltrepassa-re quello zoo traballante.

    Provò e riprovò, sgomitando tra i danzatori, ma nem-meno così riuscì a passare. Né i calci, né i pugni lo avvici-narono al ristorante di un solo centimetro. Quando uscìdalla mischia si accorse che qualche ubriaco gli avevamesso in mano un bicchiere, purtroppo vuoto. Dovevaassolutamente trovare dell’acqua.

    Corse giù per le scale col bicchiere in mano, finché ar-rivò alla stiva. Probabilmente i marinai erano anche loroal ballo, perché non vide nessuno. Il transatlantico sem-brava abbandonato a se stesso. Aprì l’ultima porta ed en-trò. Il gigantesco spazio era pieno di tubi che vibravanoe di macchine che facevano un chiasso infernale. Nem-meno lì c’era anima viva. Guardò per terra e trovò ungrande rettangolo di ferro fissato al pavimento. C’erascritto a grandi caratteri bianchi:

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    Mal di mare

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    Fumo negli occhi

    VIETVIETAATOTO

    RIMUOVERERIMUOVERE

    SENZASENZA

    LL’AUTORIZZAZIONE’AUTORIZZAZIONE

    DEL COMANDANTEDEL COMANDANTE

    Ma siccome lui non era mai andato a scuola, fece solofinta di leggere: –Ac-qua-Po-ta-bi-le.

    Tirò fuori il suo coltellino tascabile e svitò la lastra dimetallo. Il transatlantico era nuovo di zecca, e le venti-quattro viti saltarono fuori in un battibaleno. L’acquacominciò a entrare, lui riempì il bicchiere e tornò dallamamma.

    Chi tra voi si è già trovato a dover scavare un tunnel ver-so l’alto, sa cosa significa: terra negli occhi, gambe chescivolano giù, perdita dell’orientamento. Tuttavia, se si ècostretti a svignarsela da una prigione sotterranea, nonci sono tante alternative.

    È proprio il caso di dire che la nostra maga se la stavacavando egregiamente. Procedeva spedita aiutandosi

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    Mal di mare

    col suo cucchiaino. Le lacrime di Stravinski avevano tal-mente ammorbidito il terreno che sembrava di scavarenel gelato alla panna. La fessura era diventata un buco,poi un tunnel vero e proprio in cui Zazà si era infilata. Isuoi piedi spuntavano dal soffitto, come una di quellestrane lampade moderne.

    Il demone la interruppe:–Attenzione: sta arrivando qualcuno!

    Zazà saltò giù. Sparpagliò la terra verso gli angolidella cella e nascose il cucchiaino in tasca. Così, quan-do la guardia aprì la porta, la trovò compostamente se-duta: impeccabile… tranne che per un capello chepuntava dritto verso l’alto. Sembrava quasi che il tradi-tore stesse indicando il buco aperto nel soffitto. Con unrapido gesto Zazà si mise a posto la pettinatura, ma so-lo un miracolo avrebbe potuto far scoprire il tunnel al-la guardia, perché il re, per paura della maga, avevaordinato che le lampade del carcere mandassero unaluce debolissima.

    –Ecco qua, lurida strega! Più di quanto ti meriti: paneduro e acqua sporca– disse la guardia, posando la cenaper terra.

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    Fumo negli occhi

    –Grazie– rispose Zazà, con voce melliflua –ma oggi so-no a dieta.

    Il secondino fece un ghigno feroce, sospettando d’es-sere preso in giro, e se ne andò dando un calcio al cibo.Appena fuori inciampò in qualcosa. Lo sentirono allon-tanarsi bestemmiando.

    –Hai visto che anche qui c’è bisogno di gentilezza, ca-ra?– disse il demone –Se tu fossi più gentile la guardia fa-rebbe altrettanto.

    –Mica posso cominciare a essere gentile dentro un sot-terraneo– rispose Zazà, rientrando nel buco.

    –Certo che puoi. Perfino se sei sola. Basta che la genti-lezza esista, e troverà il cammino verso gli altri– disse ildemone.

    –Comodo. Te ne stai seduta qua, in santa pace, mentresopra di te c’è un mondo difficile, anzi terribile– disseZazà, continuando a scavare. –Sei solo una vecchia me-schina.

    –Pensi che se tu ricambiassi l’amore del tuo mago, an-che dentro questa cella, lui non lo sentirebbe?

    –Certo che no– rispose Zazà irritata. –E in ogni caso sen-tirà soltanto i miei sputi.

  • Ormai il tunnel era diventato talmente lungo che do-veva urlare per farsi sentire. Se voleva convincere la vec-chia-demone a scappare, doveva farlo subito. Tornò giù.

    –Sono certa che là fuori le tue chiacchiere non resiste-rebbero un giorno, vecchia.

    –Credimi cara, le mie convinzioni sono salde.–Nessuno ti starebbe a sentire per più di due minuti.–Se il mio messaggio potesse arrivare alle persone,

    avrei bisogno solo di due secondi. Sarebbe addiritturatroppo facile. Chi non desidera un mondo dove tutti sivogliono bene?– disse la vecchia; la sua pelle verdastrasembrò brillare nell’oscurità.

    –Il buio ti ha annebbiato le idee. Svegliati! Alla gentepiace sbranarsi a vicenda.

    –So anch’io qualcosa sull’anima umana. Ma tu non co-nosci i poteri che ho ereditato dal demone. Se io uscissida qui, sarebbe l’inizio di un mondo nuovo!

    –Allora provaci. Vieni con me.–Purtroppo non posso. C’è un problema insormonta-

    bile.–Quale?–L’aspetto. L’unica cosa che non posso cambiare è il

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    Fumo negli occhi

  • CAPITOLO 10

    Giù, giù, sempre più giù

    La gigantesca nave aveva cominciato a inclinarsi e nonriusciva più a opporsi alla forza del mare, ma le coppieche ballavano il cha-cha-cha non si accorgevano di nulla.L’acqua cominciò a entrare anche dagli oblò, a bagnaretappeti persiani, sedie intarsiate in avorio, dipinti vitto-riani, vestiti ricamati d’oro e argenteria di Toledo. I gran-chi furono i primi a entrare e si sistemarono fra lacristalleria di Boemia. Un’onda più forte portò un pescespada che infilzò la pancia di un signore travestito damoschettiere.

    In pochi minuti la nave s’inclinò completamente sul-la poppa e affondò nell’oceano.

    I passeggeri si lasciarono trascinare dalle onde al rit-mo del ballo. Prima con l’acqua alle ginocchia, poi fino

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    Fumo negli occhi

    mio aspetto. Chi ascolterebbe qualcuno con una facciacome la mia? Scapperebbero prima che aprissi bocca.

    –Beh. Se è solo per questo, io potrei darti una mano. Conle mie ombre potrei confezionarti un travestimento.

    –Parli sul serio?–Altro che.–Fantastico! Andiamocene– disse la vecchia, alzandosi

    con fatica sopra i piedi gelatinosi. –Anch’io sono stufa diquesto posto.

  • alla vita, alla fine si vedevano solo le loro maschere, co-me quando una mandria di zebre attraversa un fiumeafricano.

    Giuseppe tornò da sua madre col bicchiere d’acquaormai pieno solo a metà, a forza di sbattere contro le pa-reti dei corridoi a ogni sobbalzo del transatlantico. Leibevve il liquido torbido e p u a h h h h h ! glielo risputòin faccia.

    –Ma è salata!– disse –Dove l’hai presa?La porta aperta lasciava entrare le prime onde nella

    loro cabina. Tommasa abbracciò il figlio e lo baciò forte.–Cos’ hai combinato questa volta?– chiese, mentre la

    nave andava a picco.

    Nel fondo scuro del mare, nel punto esatto in cui la navestava affondando, si trovava l’Ostrica Orribile. La pancia(in realtà la sacca melmosa di colore indefinito che ave-va sotto gli occhi) era ancora gonfia per via dei duecen-tomila carichi di battelli di perle che aveva ingurgitato.Le dimensioni di quel mostro erano così colossali che dasolo occupava metà dell’oceano.

    I ventisette occhi bianchi e minuscoli, attaccati uno

    92

    Fumo negli occhi

  • colpi frenetici. Immaginatevi come ci si deve sentire condentro un centinaio di donne che saltano e si agitano co-me pazze. È logico che dopo un po’ l’animale comincias-se a sentire un certo mal di stomaco.

    –Avrò mangiato troppo?– si chiese l’Ostrica Orribile,constatando che intorno a lei non era rimasto niente ec-cetto un’ultima donna che non smetteva di starnutire,mostrando due bellissimi denti d’oro. Oro! L’OstricaOrribile non resistette e g n a m m m m m m ! in un so-lo boccone la ingoiò tutta intera.

    Il corpo del demone pesava parecchio e dopo diecimilaanni d’immobilità non era quasi più capace di muover-si. Zazà lo strinse tra le braccia come fosse un bambino ecercò di alzarlo, ma la pelle scivolosa non facilitava le co-se. Se voleva portarselo dietro, Zazà doveva inventarsiqualcosa.

    –Non ti scoraggiare, cara– la spronò la vecchia.–Mhm!– rispose lei pensando sul da farsi.

    Zazà prese le robuste corna del demone e le puntò ver-so il buco. Poi, arrampicandosi su di esse risalì nel tunnel.Acchiappò saldamente le punte delle corna e, appoggian-

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    Giù, giù, sempre più giù

    all’altro come cipolle dentro un sacchetto, guardavanocon espressione stupida il transatlantico che scendevalento nell’acqua. L’ostrica guardò meglio: sembrava cifossero anche delle persone! Uomini in frac e ricche si-gnore che danzavano. In un altro momento sarebbe an-data di corsa a mangiarsi tutte quelle vecchie foche, maadesso! Con la pancia così piena! Alcune, però, sembra-vano appetitose, e più grasse erano, più numerose bril-lavano attorno ai loro grossi colli… lunghissime…collane… di… perle!

    L’Ostrica Orribile sentì la fame risvegliarsi, quasi fos-se a dieta da una settimana. L’animale si spinse verso l’al-to con imponenti scoregge che si lasciavano dietronebulose di bollicine nauseabonde. Grazie alla sua rapi-dissima andatura incrociò la nave in men che non si di-ca, e con le valve aperte cominciò a ingoiare tutte le perleche riusciva ad acchiappare, senza fermarsi a separarledelle signore che le indossavano. Le dame, tuttavia, con-tinuavano imperterrite col cha-cha-cha, anche dopo es-sere state inghiottite.

    Il cha-cha-cha, per quelli che non lo sanno, è un balloche consiste nel muovere le anche a destra e a manca con

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    Fumo negli occhi

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    Fumo negli occhi

    do i piedi contro le pareti, tirò verso l’alto più forte chepoté. Niente. Provò ancora, e a poco a poco la vecchia si sol-levò da terra e s’infilò dentro il tunnel. Stavano fuggendo.

    La salita fu una lunga agonia. Zazà non solo tirava lavecchia, ma continuava anche a scavare. Tutto questo nelbuio più profondo. La terra che le cadeva in faccia si me-scolava al sudore, e l’odore del demone le riempiva i pol-moni. Era sfinita, ma la voce della vecchia diceva: –Dai,cara, non mollare! Forza, Zazà!

    Lei riprendeva a scavare con nuova energia, ma la finedel tunnel non si vedeva.

    –Non ce la faccio più, vecchia.–Riposiamoci un momento, cara.–Sono morta.–Sbagli cara, sei viva. La morta sono io. Ce la possiamo

    ancora fare.–Un ultimo colpo di cucchiaio– chiese la vecchia.–L’ultimo ultimissimo?– chiese Zazà.–L’ultimo ultimissimo.

    P l i c ! Il cucchiaio colpì qualcosa di metallico.–Siamo arrivati– annunciò il demone.

  • 98

    Fumo negli occhi

    –La donna dai denti d’oro aveva uno strano sapore– sidisse l’Ostrica Orribile.

    Era un gusto come di… cardamomo? No! Qualcosadi più piccante. Red hot chili peppers, forse? No, non co-sì pungente! Un sapore più pepato. Sì, pepe! La donnaaveva un fortissimo sapore di pepe. All’Ostrica sembra-va di aver mangiato un veliero carico di spezie. Le stavavenendo la nausea. Oh, dio dei mari! Stava per… stavaper… stava per ATCIÙÙÙÙÙ! Starnutì come soloun’Ostrica Orribile può starnutire. Al primo starnutoun pezzo di corazza schizzò fuori dall’acqua, al secon-do ATCIÙÙÙÙÙ! partì un altro pezzo, e il terzoATCIÙÙÙÙÙ! la fece esplodere in mille pezzi. L’e-splosione creò onde gigantesche in tutte le spiagge delglobo, facendo scomparire ombrelloni, palme, bagnini,il braccio sinistro di Giuseppe all’altezza del gomito, e laparte di sopra dei bikini delle bagnanti. Un miliardo dimiliardi di trilioni di tonnellate di materia opalescentesi rovesciò dall’interno del mollusco sul fondo del ma-re, e quando fu completamente assorbita dalla sabbia,sul fondo dell’abisso restò solo una perla, nata dalla fu-sione di tutte le perle divorate dall’Ostrica Orribile. Era

  • immensa come l’occhio di un drago preistorico; neracome il catrame liquefatto della strada di casa mia amezzogiorno; dura come la testa di Stravinski. Acciden-ti! La madre di tutte le perle.

    Attorno alla gigantesca sfera c’erano decine di donneche continuavano a dimenarsi al ritmo del cha-cha-cha,ma a quel punto diventarono sottili colonne di fumo,che si sciolsero nell’acqua non appena Giuseppe, tratte-nendo le lacrime di dolore, nuotò fino a loro col braccioche gli restava e le toccò sul naso una per una. Giuseppesi tolse la maschera di fumo che gli copriva il volto, e…chi pensate si nascondesse là sotto? Stravinski, natural-mente! Che toccando il naso di Tommasa la fece ridi-ventare… indovinate chi? Il suo cavallo color fumo daidenti d’oro.

    Stravinski raccolse la perla nera e via sul suo destrie-ro! Riuscì ad arrivare a corte un giorno prima del com-pleanno del re. Fiuuuuuuu!

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    Giù, giù, sempre più giù

  • CAPITOLO 11

    Il cucchiaio della libertà

    Clic! Zazà e il demone erano arrivati a una vecchia e di-menticata botola nel cortile del palazzo.

    –Aprila piano, cara– disse il demone.La maga alzò lentamente la lastra di metallo e una lu-

    ce abbagliante le fece chiudere gli occhi. –Vedi qualcosa?– chiese il demone –Possiamo uscire?–Non lo so. C’è troppa luce– rispose lei.–Senti qualcosa?–No. O forse sì. Un cavallo! Si avvicina qualcuno!–Usciamo da qui prima, cara, mettiamoci al sicuro.–Metto al sole il cucchiaio d’ombra e lo faccio diventa-

    re una carrozza– disse Zazà.In quel momento Stravinski entrò al galoppo nel cor-

    tile addobbato per la festa di compleanno del re. Tavoli

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  • imbanditi con cibi raffinati e frutti esotici. Mele e perevenute dal Paese di Cascina Gobba, e castagne e mirtillidell’Impero della Buscerìa. Caraffe di vini pregiati e dol-ci profumati con spezie segrete. Migliaia di candelepronte per essere accese quella notte, e incenso balsami-co per inebriare l’aria, appena arrivati dalle Isole dell’O-ceano di Mergozzo. Il boia affilava l’ascia che avrebbedovuto tagliare di netto le dita della maga, non appenasi fosse stappato lo champagne. Era tutto pronto.

    Stravinski pensò che in mezzo a tutto quel ben didio il suo dono sarebbe passato inosservato. Non chefosse un regalo di poco conto. Una perla nera grossa co-me quella non si era mai vista. Ma forse mancava unacornice, qualcosa che mettesse in rilievo l’ecceziona-lità del dono.

    Davanti a lui un piccolo oggetto faceva capolino dal-la fessura fra una vecchia botola e il pavimento del corti-le. Stravinski guardò con più attenzione.

    –È solo un cucchiaio– si disse.Ma per essere solo un cucchiaio era parecchio scuro.

    Chissà perché, gli fece venire in mente la sua amata. Ecco!Perla + Cucchiaio = Zazà. Avrebbe messo la perla

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    Fumo negli occhi

  • nera sopra il cucchiaio scuro per poi piegarlo in tondofino a farlo diventare un anello, il re non avrebbe po-tuto fare a meno di apprezzare il regalo, e lui gli avreb-be chiesto la libertà della maga.

    Senza fermare il cavallo, Stravinski si chinò e prese ilcucchiaio. Gli zoccoli dell’animale calpestarono la bo-tola con forza, chiudendola con un tale fracassoPOOOOOMMMMM da coprire le grida di una maga edi un demone che cadevano giù per il lunghissimo tun-nel, fino a una buia cella sotterranea.

    Stravinski si presentò davanti al Sovrano e gli fecedono dell’enorme perla nera. Era perfettamente inca-stonata nel cucchiaio scuro, che sembrava fatto appo-sta per lei.

    –Ah, Stravinski, mai un re ha avuto suddito più fedelee generoso di te! Hai anche perso un braccio per me.Chiedimi quello che vuoi. Stavolta qualcosa di serio: unaminiera di diamanti, una provincia intera. Ti darò quel-lo che vorrai– disse il Re infilandosi l’anello.

    –Mio signore, voglio la libertà di Zazà.–N o o o o o ! Ancora! Tu sei malato, ragazzo mio, mala-

    to nella testa. Ti farò visitare dai miei dottori.

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    Fumo negli occhi

  • –La libertà di Zazà è il mio unico desiderio –insistetteStravinski– Ma se il re non può esaudirlo…

    –Non si tratta di questo, ragazzo impertinente! Per-ché non c’è niente che io non possa fare. Niente! Niente!Io faccio quello che voglioooooo! Q u e l l o c h e v o -g l i o o o o o o o o o o o o o ! – urlò il re, infuriato.

    Zazà fu liberata, ma quando trovò Stravinski ad aspet-tarla fuori dal carcere… ptuuuuù!

    Sì, sì, avete indovinato: le piogge in anticipo.

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    Fumo negli occhi

  • CAPITOLO 12

    Nella gola del diavolo

    Zazà era preoccupata. Cadendo giù lungo il tunnel, ildemone era rimbalzato qui e là, sbattendo parecchievolte contro le pareti, e poi l’impatto con il pavimentodella cella gli aveva fracassato la testa. Era rimasto perterra, coperto di sangue, immobile, e lei, che per fortu-na era caduta sul materasso, non era riuscita a svegliar-lo; sembrava morto. Ma un diavolo può morire? Zazànon lo sapeva, non lo credeva possibile. Era più proba-bile che fosse solo svenuto. Il colpo poteva addiritturaaver separato il demone dalla vecchia, e così, al suo ri-sveglio, il demone si sarebbe trovato di nuovo libero.Doveva tornare nella cella prima che si svegliasse escappasse! Voleva ottenere tutta la sua tenebrosa co-noscenza. Voleva un mondo fatto a sua immagine e so-

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  • notizia della scomparsa dei bambini, e a guardare nelvuoto. La tristezza si chiuse sopra il paese come il co-perchio di una bara.

    Per la strega fu chiesta, e immediatamente concessa,la pena di morte. Zazà venne portata in cella: il tempo diaffilare l’ascia, e l’avrebbero decapitata.

    Stravinski era affranto, e questa volta non aveva nean-che il tempo materiale di rimediare ai danni causati dal-la maga. Non c’era più niente da fare, e tuttavia noncredo di sorprendervi, adesso che conoscete la testar-daggine del mago, se vi racconto che Stravinski partì al-la ricerca dell’Orco senza pensarci due volte.

    Si diceva che l’Orco fosse nascosto nella Foresta degliAlberi Oscuri, dove la vegetazione era così fitta che cer-ti giorni nemmeno la volpe riusciva ad attraversarlasenza restare intrappolata. Si trovava oltre i monti ge-melli, dalla cima tonda come le teste calve di due frati.Sullo sfondo le colline, trasparenti come cipolle, con-fuse nel blu del cielo, racchiudevano la foresta e percontrasto la facevano sembrare più tenebrosa. Lì s’eranascosto l’Orco. Come un camaleonte verde che sulle

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    Nella gola del diavolo

    miglianza, dove le ombre coprissero le terre e i mari delmondo.

    Voglio, voglio, voglio… la vecchia avrebbe disap-provato.

    –Sì, vecchia, voglio tutto, e subito.Le guardie che l’avevano accompagnata fino alla so-

    glia di casa l’avevano avvertita: un nuovo incantesimo lesarebbe costato la testa. Un’altra stregoneria e z a c ! ad-dio mondo crudele. La testa di Zazà, però, era lontana,già concentrata sulla sua prossima ombra, che sarebbestata peggiore di tutte le altre. Gliel’avrebbe fatta vederelei, a quel mago da strapazzo! Chiusa la porta, Zazà nonperse tempo: salì sul terrazzo e liberò l’ombra dell’OrcoOdioso, che divorò trecentomila bambini nell’arco di untramonto.

    Ormai la gente era nella più nera miseria e a malape-na riusciva a trovare il cibo sufficiente per vivere, macon la scomparsa dei bambini se ne andava anche il fu-turo. Questa volta i cittadini non ebbero nemmeno laforza di reagire, di andare sotto la finestra di Zazà a in-sultarla o di piangere i propri figli. Si limitarono a re-stare immobili nel punto in cui avevano ricevuto la

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    Fumo negli occhi

  • Chissà se i diavoli hanno un cuore?–Ahhh– disse il demone –Ahhh.

    La maga gli prese la mano.–Demone. Ehi, demone! Svegliati!–Ciao, cara.–Sei tu, vecchia?–Chi credevi di trovare?–Il demone.–È morto. –Oh, no!–Delusa? Avresti preferito che morissi io, eh?–No– mentì Zazà.

    Era tornata in cella, perdendo la libertà e forse la vitaper un bel niente.

    –Io non posso morire, cara, perché sono già morta. Peril demone invece la caduta è stata fatale.

    –Adesso cosa ne sarà di te, vecchia?– chiese Zazà.–Resterò intrappolata qui, nel corpo del demone.–Posso aiutarti in qualche modo?–Cosa ti succede maga, stai diventando gentile?– chie-

    se la vecchia –Certo che mi puoi aiutare, se vuoi. Puoi ad-dirittura tirarmi fuori.

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    Nella gola del diavolo

    foglie verdi diventa invisibile, il gigante era vestito dapaesaggio: colline e foreste nelle gambe, montagne sul-le braccia e cielo sulla testa. Guai a chi l’avesse scoper-to! Ma soprattutto guai a chi non l’avesse scoperto. Cis’illudeva d’averla scampata, per poi ritrovarsi giù, giù,in fondo alla sua trachea.

    Eccolo lì, la faccia butterata, zitto zitto in attesa dellapreda. In effetti, sembrava proprio che lungo il sentierostesse arrivando qualcuno. L’Orco sentiva una canzon-cina portata dal vento che soffiava verso di lui. Era unavoce acuta e fievole, una voce infantile che gli fece veni-re l’acquolina in bocca. Un bambino saltellava sul sen-tiero verso di lui, trascinando qualcosa che galleggiavanell’aria ed era appeso a un filo. Un bambino a spassocon l’aquilone! L’Orco si passò la lingua sulle labbra,pregustando il sapore delicato del pasto che si avvicina-va cantando.

    Il corpo del demone era ancora per terra, immobile. Zazàlo fece rotolare fino al materasso e avvicinò l’orecchio alpetto. Il battito non si sentiva, ma non significava nulla.

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    Fumo negli occhi

  • CAPITOLO 13

    Nostalgia di casa

    Quell’aquilone, però, gli sembrava familiare. Somigliavaa quello con cui giocava da bambino. Sì, c’era stato untempo in cui anche lui era stato bambino. Non aveva an-cora né barba né denti aguzzi. Possibile fosse il suo vec-chio aquilone? Impossibile! Erano passati anni, forsesecoli. Gli tornarono in mente i giorni passati a correrecol suo giocattolo nella foresta, finché non sentiva il ri-chiamo della mamma: –Orcolino! Il pranzo è pronto!Amava i suoi genitori più della vita stessa ed entrando incasa li baciava e li abbracciava, anche se loro non lo ri-cambiavano. Ma si sa che gli orchi non vanno matti perla tenerezza!

    –Mangia, Orcolino!– diceva il padre levandoselo didosso.

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    –Come faccio? Dove sei esattamente?–Sono nella gola del diavolo. Dovrai aprirla e liberar-

    mi. Ti sto chiedendo troppo?–Ma cosa dici? È un piacere– disse Zazà.

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    Fumo negli occhi

  • –Mangia, Orcolino! Mangia!– ripeteva la mamma al-lungandogli un piatto stracolmo.

    Lui mangiava finché il piatto era vuoto e poi lo lecca-va con la lingua. Loro glielo riempivano ancora, e lui fi-niva anche quello. Ma loro insistevano:

    –Prendine ancora, Orcolino! Devi crescere!Come se lui non crescesse già abbastanza: i vestiti gli

    stavano sempre stretti, le cuciture si rompevano da tuttele parti lasciando vedere la pelle tesa come un tamburo. Ipiedi, poi, crescevano a un ritmo tale che, se non fosse an-dato in giro scalzo, un paio di scarpe gli sarebbe durato sìe no una settimana. Tuttavia non mangiava per quello: lofaceva soprattutto per i genitori. Perché così gli avrebbe-ro voluto bene, avrebbero finalmente risposto ai suoi ba-ci e abbracci. Ma quando aveva finito sedici piatti dizuppa ed era chiaro che nella sua pancia non entrava unagoccia di più, i genitori non s’interessavano più a lui.

    –Vai a giocare, vai!– dicevano, tornando alle loro fac-cende.

    Lui se ne tornava nella foresta col suo aquilone rossoe…

    Ehi! Dov’era finito il bambino che arrivava per il sen-

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    Fumo negli occhi

  • tiero? Maledizione! L’Orco odiava perdersi un buon boc-concino. Ma già si sentiva qualcun altro venire dalla stes-sa stradina. Questa volta era una bambina che giocavacon un bastone. Anche quel bastone gli sembrava fami-liare! Era uguale a quello che il suo babbo usava per suo-nargliele. Il medesimo nodo nel manico, identica lapunta incrinata che tante volte aveva segnato la suaschiena. Che fosse lo stesso? L’Orco allungò la mano perafferrare la bambina, ma si bloccò. C’era puzza di bru-ciato. Sapeva che Stravinski era sulle sue tracce, e le coin-cidenze erano troppe: prima il suo aquilone, poi ilbastone del babbo. Era una trappola… Oppure no?

    Nel dubbio lasciò che la bambina proseguisse la suastrada, e subito ne vide arrivare un’altra. Questa portavauna sedia.

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    Nostalgia di casa

  • CAPITOLO 14

    Luce dei miei occhi

    Zazà, cercando di respirare il meno possibile per via delterribile fetore che usciva dalla bocca del demone, ci in-filò dentro un braccio e cercò di arrivare più in fondo chepoteva. Ecco; c’era qualcosa! Tirò fuori un microscopicogrumo che mandava una debole luminescenza bluastra.

    –Sei tu, vecchia?–Non sono sicura, dopo diecimila anni che non mi

    guardo allo specchio, ma credo di sì.–Sei tu, questa è la tua voce.

    Il cervello di Zazà era una fabbrica d’idee, discorsi,congetture, supposizioni, ragionamenti. Il demone sen’era andato per sempre, e con lui le sue conoscenze. Erarimasta solo quella piccola luce. Forse debole, sì! ma ar-rivata pur sempre dalla gola del demonio. Doveva per

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  • ta e non arricciolata come il capello, doveva tenerlo perle estremità con ambedue le mani. Ma allora chi avrebbesostenuto la minuscola luce?

    La chiave entrò nella serratura e cominciò a girareuna… due… tre… quattro volte. Zazà fece la prima cosache le venne in mente: strizzò leggermente l’occhio sini-stro e immobilizzò la piccola luce fra le lunghe ciglia. Poiafferrò il capello per le due estremità, e sulla parete siformò una linea d’ombra che si allargò fino a diventareuna strada, e che una volta attraversato il muro pro-seguì dritta dritta nell’aria fino a raggiungere ilterrazzo di casa sua. La porta della cella si

    aprì e il boia entrò con l’ascia scintillante fra le

    mani:

    Luce dei miei occhi

    forza avere poteri incalcolabili. Sentì le vertigini, una vo-ragine di possibilità infinite aprirsi ai suoi piedi, e udìanche dei passi nel corridoio. Il boia arrivava in anticipo,impaziente di farle un bel taglio di capelli all’altezza delcollo.

    –Sarò da te non appena finisco d’affilare l’ascia, strega,e con i tuoi capelli ci imbottirò un cuscino– le aveva sus-surrato il carnefice mentre le guardie la portavano in cel-la. B r r r r r r !

    Avvicinò la piccola luce al muro e tentò di creare qual-che ombra. Non funzionava, il chiarore era troppo fievo-le e l’ombra della mano troppo grande. I passi del boia sifermarono davanti alla porta. Allora Zazà provò solo colmignolo, ma niente. Sentì il rumore delle chiavi chesbattevano l’una contro l’altra.

    –Vengo per i tuoi capelli, dolcezza!– disse il boia da die-tro la porta.

    I capelli! Ecco la soluzione! Si strappò ahi! un capellodalla testa e lo mise fra il muro e la luce. L’ombra lun-ghissima aveva la misura giusta per essere trasformatain una strada che la portasse a casa. C’era ancora un pro-blema da risolvere: se voleva che la strada fosse ben drit-

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    Fumo negli occhi

    127

  • scivolata giù mentre fuggiva, ma ormai la strada d’om-bra era scomparsa.

    Prima di entrare in casa si vide riflessa nella finestradel terrazzo, e notò con stupore che il suo occhio sinistroaveva cambiato colore. Adesso era azzurro.

    Neanche a dirlo, anche la sedia che portava la secondabambina gli era familiare: all’Orco Odioso fece venire inmente, come un lampo, una giornata della sua infanziache aveva quasi completamente cancellato dalla memo-ria, e che forse sarebbe stato meglio lasciare lì, visto chenon è possibile cambiare il passato.

    Aveva appena compiuto otto anni e i denti da latteavevano lasciato il posto a zanne appuntite. Le unghieerano diventate forti come ferro battuto, la pelle comin-ciava a impallidire e a riempirsi di asperità e di pustole.La sua mente, però, era ancora piena di giochi e fantasieda bambino. Quella mattina, giocando giocando, il go-mitolo di corda del suo aquilone era andato a finire sot-to la sedia. Si era appena inginocchiato per cercarlo,quando i genitori erano entrati in cucina. Parlavano dilui. Curioso, il piccolo orco rimase nascosto.

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    Luce dei miei occhi

    –Sei pronta,

    strega?Rabbrividendo, Zazà si lan-

    ciò in avanti lungo la linea d’ombra e in un istante, co-me se mai si fosse mossa da lì, si ritrovò sul terrazzo dicasa. Le sue dita veloci disfecero il passaggio, in modoche nessuno potesse seguirla o scoprire cosa fosse acca-duto. Era salva. Adesso doveva togliersi la piccola luce az-zurra dalle ciglia in modo che… La lucina azzurra!Dov’era? Tra le ciglia non c’era più. Non l’aveva neanchefra le mani, e nemmeno attaccata ai vestiti. Forse le era

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  • –Bisogna ucciderlo oggi– disse la madre, sedendosi.–Meglio aspettare ancora una settimana. È ogni giorno

    più grasso– rispose il padre.–Se aspettiamo ancora diventerà troppo forte e veloce.

    Ci darà del filo da torcere– avvertì la madre.–Forse hai ragione. Ormai ha le braccia grandi e pelose

    quanto le mie– convenne il padre. –Aspettiamolo fuori quando torna dalla foresta. Lo

    prenderemo a tradimento– concluse la madre.E i genitori se ne andarono, lasciandolo sotto il tavolo.La verità gli era caduta addosso come una casa che

    crolla. Il piccolo orco prese il nodoso bastone del padreappoggiato di fianco alla porta e uscì. I suoi genitoriguardavano verso gli alberi, dandogli le spalle. Primapicchiò la madre, non perché fosse più pericolosa, maperché con lei la delusione era stata maggiore. Quandola vide cadere sull’erba, il padre si avventò su di lui, riu-scendo ad afferrarlo per il collo, ma l’Orco Odioso si di-fese col bastone. Il padre cadde accanto alla madre e ilpiccolo orco scappò di corsa verso la foresta. Arrivato allimitare del bosco si voltò a guardare la sua casa un’ulti-ma volta. I genitori si stavano alzando, massaggiandosi i

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    Luce dei miei occhi

  • che gli restava le vecchie forbici della madre dell’Orco, econ quelle tagliò il sottilissimo collo.

    Poi andò a consegnare la testa dell’Orco al Re, che, ve-dendo quel globo biancastro e bucherellato, pensò fossela luna.

    –La Luna! Mi hai portato la Luna?– urlò di gioia il Re–Sì, sì, lo so, vuoi quella pazza assassina. Anche se credoche ormai le abbiano già tagliato la testa, eccoti qua lachiave. Questa volta non m’importa nulla: mi hai porta-to la Luna!

    Ma Zazà se l’era già svignata. Nella cella vuota il boiafissava il muro, grattandosi la testa e dicendo cose in-comprensibili: “mattoni fantasma… ombre azzurre…”

    Stravinski corse a casa della maga e la vide dietro laporta finestra del terrazzo. Lei lo guardò, e prima di chiu-dere le tende gli fece l’occhiolino. Stravinski, confuso eturbato, si lasciò cadere indietro in mezzo alla strada erestò lì, cercando di capire perché non avesse ricevuto ilsolito sputo.

    La gara, però, non era ancora conclusa.

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    Luce dei miei occhi

    grossi bernoccoli, più in là il bastone era rimasto per ter-ra, e dalla porta aperta si vedeva la sedia col gomitolo sulpavimento. Si girò e scomparve fra gli alberi, lasciandosil’infanzia alle spalle.

    La bambina della sedia era già andata oltre, lasciandolosolo coi suoi ricordi. Ma, neanche a dirlo, una nuova vo-cina canticchiava già per il sentiero, trascinando il suovecchio cavallo di legno e facendogli provare la più dol-ce e crudele nostalgia.

    E così, per tutto il pomeriggio, l’Orco vide comparirebambini che portavano oggetti sfuggiti alla sua memo-ria. C’era la mano di Stravinski dietro tutta la faccenda,non c’era dubbio, ma ormai all’Orco cosa poteva impor-tare? I ricordi gli attanagliavano il cuore, e la gola gli sistrinse fino a diventare un filo leggero, sottile, mosso dalvento come una serpentina. Immaginate quelle duegrandi masse di carne, la testa e il corpo dell’Orco, uniteda uno spago svolazzante, come due aquiloni legati agliestremi di una stessa corda. Quando la corda diventò sot-tile come un capello, per il sentiero arrivò l’ultimo vian-dante, fischiettando: Stravinski portava nell’unica mano

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    Fumo negli occhi

  • CAPITOLO 15

    Azzurro, troppo azzurro

    Perché mai aveva fatto l’occhiolino a quel mago da stra-pazzo? Zazà era davanti allo specchio del bagno e scru-tava con odio il suo nuovo occhio sinistro: era stato lui afarlo. Da solo, senza consultarla. Quando l’occhio azzur-ro aveva cominciato a occhiolinare, lei non era riuscitaad accostare le tende in tempo, e il mago era rimasto vi-sibilmente colpito.

    Era stata contagiata dalla disgustosa bontà della vec-chia? L’occhio azzurro voleva ammorbidire anche lei?Beh, sarebbe stato comodo scaricare tutta la colpa sul-l’occhio, ma le cose non stavano proprio così. C’entravaanche un sentimento già presente in lei, un’emozioneche a ogni nuova impresa del mago era cresciuta a pocoa poco. L’occhio l’aveva aiutata a vedere il mago senza i

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  • resta, l’aria diventò buia e fredda, le piante appassirono,gli animali rotearono gli occhi e morirono, le persone siammalarono e la loro pelle diventò grigia e unta. La ter-ra gelò e il cielo si riempì di mostri che stringevano gliuomini e le donne, ovunque si trovassero, in un abbrac-cio infernale.

    Le guardie del re si ripresero Zazà e la portarono al pa-tibolo, trascinandola per terra. Strada facendo, la magavide attorno a sé la distruzione che l’Ombra dell’Orroreaveva prodotto e, per la prima volta in vita sua, rimpian-se di aver fatto la cosa sbagliata. E una lacrima le solcò ilvolto, una lacrima azzurra che cadde e restò lì, sul selcia-to. Zazà sentì che la luce azzurra l’aveva lasciata, e capìche era arrivata la sua ora.

    Sotto l’Ombra dell’Orrore, nella città piena di demoniscatenati, Stravinski correva come un pazzo per le stradeverso la casa della maga. Questa nuova ombra non sape-va proprio come contrastarla, era di gran lunga superio-re alle sue forze.

    La casa di Zazà stava bruciando, ma non era la sola. Ap-profittando del caos, le guardie del re avevano comin-

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    Azzurro, troppo azzurro

    soliti pregiudizi. Lui aveva addirittura perso un braccioper salvarla! Doveva ammetterlo: era un pochino com-mossa. Non poteva dire di amarlo, ma ...

    Zazà era combattuta, quasi scandalizzata di se stessa.Se dopo un paio di minuti l’occhio azzurro aveva già tan-to potere su di lei, cosa mai le sarebbe accaduto andandoavanti? Ma allo stesso tempo, proprio grazie all’occhioazzurro, i suoi poteri erano immensamente cresciuti.Non si era mai sentita così forte.

    –O sarò soltanto innamorata?– si chiese.Ma che stava dicendo? Per tutti i demoni bruciac-

    chiati dell’inferno! Bisognava agire in fretta, fare un ul-timo incantesimo, il più terribile, anche a costo di esserebruciata in piazza il giorno dopo. Ci voleva qualcosa dispaventoso, adesso che aveva ancora la forza per oppor-si alla sensazione di bontà che dall’occhio sinistro s’irra-diava verso il cuore, con la forza di un mare in tempesta.

    Quella notte, usando i suoi nuovi poteri nel modo piùcrudele, Zazà liberò la creatura più nefasta che fosse maiesistita: l’Ombra dell’Orrore. Una nuvola senzaluce, come uno stormo di corvi senza occhi, coprì il cie-lo del paese. Dal fiume al mare, dalla montagna alla fo-

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    Fumo negli occhi

    ciato a comportarsi in modo non diverso dai demoni, edopo la casa della maga avevano continuato a saccheg-giare e incendiare. La gente doveva ormai difendersi dadue diversi e altrettanto terribili eserciti.

    Per terra Stravinski vide una piccolissima cosa azzur-ra e la raccolse.

    –Ciao, Stravinski– disse la piccola cosa azzurra con lavoce della vecchia.

    –Chi sei?– chiese il mago.–Non c’è più tempo per le spiegazioni, mago. Bruciami

    e col mio fumo fa qualcosa per fermare tutto questo.–Vuoi che ti butti nel fuoco?–E in fretta!

    Stravinski obbedì e in un attimo vide apparire un fu-mo azzurro.

    –Felix fumus, fumus fatato– sussurrò. Il fumo passò attraverso le dita dell’unica mano di Stra-vinski, ed ecco il Fumo della Felicità, sconosciu-to allo stesso mago. Era una nuvola che sprigionava unaluce azzurra e volava in spirali concentriche verso l’altoe fra le strade.

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    Azzurro, troppo azzurro

    La battaglia fra fumo e tenebre durò sette minuti e fu co-sì buia e confusa che nessuno ci capì un granché. Ma lagente stavolta non fu solo spettatrice del proprio desti-no: prese parte alla lotta contro i demoni.

    Spalla a spalla col fumo azzurro, gli uomini e le don-ne combatterono i demoni casa per casa, una strada do-po l’altra, approfittandone anche per regolare qualcheconto in sospeso con le guardie del re. Alla fine la scon-fitta dell’Ombra dell’Orrore fu totale, e di essa rimase sol-tanto il cappello, gettato per terra.

    Stravinski se lo mise in testa e corse al palazzo, per re-galarlo al re in cambio della vita della sua amata. Il po-polo lo seguì. Fu così, che strada dopo strada, la follastupefatta vide il mago sparire un pezzo per volta. Il cap-pello della potentissima Ombra dell’Orrore stava eserci-tando il suo oscuro influsso su Stravinski. Prima la testa,poi il corpo, poi gambe e braccia fino alle punta delle di-ta… quando la folla arrivò alle porte sbarrate del palaz-zo, del mago non restava altro che un’impalpabileombra.

    L’esecuzione era già cominciata. Il sovrano, profon-damente scosso dall’apparizione dell’Ombra dell’Orro-

  • re, aveva dato ordine di bruciare viva Zazà. La folla, te-nuta a bada dai soldati che le impedivano di entrare,premeva per assistere all’esecuzione nella piazza d’armidietro il palazzo. Nella calca, però, le guardie non si ac-corsero che un’ombra si faceva largo fra la gente ed en-trava nel cortile.

    La gente cominciò a urlare: –Vogliamo vedere il re! Già che ci siamo vorremo par-

    lare con lui di un paio di cosette!Il re diede immediatamente ordine di sparare coi can-

    noni PUM! PUM! PUM! Ma dopo i demoni, i solda-ti, la fame, le tasse, l’Ombra dell’Orrore, nessuno avevapaura di qualche pum pum pum in più, e così il popolosi lanciò contro le guardie ed entrò nel palazzo, rom-pendo le porte, dilagando per le stanze, guardando constupore le immense ricchezze accumulate, gli oggettipreziosi, i pavimenti lastricati d’oro. E quando arrivaro-no alla gigantesca sala degli specchi, uomini e donne si vi-dero riflessi e si accorsero di quanto fossero magri, con lecostole che sporgevano. Videro com’erano nere e profon-de le occhiaie sotto i loro occhi, com’erano ridotti dopotutta una vita vissuta in miseria.

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    Fumo negli occhi

  • lì in mezzo all’immondizia, e se ne dimenticarono persempre.

    Intanto, nella piazza d’armi, l’esecuzione procedeva spe-dita. Una ventina di soldati agli ordini di un capitano sta-vano finendo di ammucchiare un’alta catasta di legna.Là sopra, in piedi, c’era Zazà legata come un salame a unpalo che puntava verso il cielo. Le mani annodate dietrola schiena con ventisette diversi tipi di nodi da marinaio,in modo che non potesse tentare altri trucchi. Il boia an-naffiava la legna e la maga con secchiate di benzina.

    I capelli di Zazà danzavano nel vento come se avesse-ro già preso fuoco.

    –Più in fretta!– ordinò il capitano, sentendo avvicinar-si sordi rumori di rivolta.

    Dall’alto del rogo Zazà guardava gli uomini indaffa-rati nei preparativi, pensando che avrebbe voluto rive-dere Stravinski un’ultima volta. All’improvviso videun’ombra senza un braccio farsi largo fra il cerchio disoldati: era lui, il suo mago. A forza di combattere le om-bre era diventato un’ombra lui stesso. Aveva tante coseda dirgli, ma non c’era più tempo.

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    Azzurro, troppo azzurro

    E fu lì, nella sala degli specchi, che scoppiò la rivolu-zione.

    Il popolo occupò il palazzo e cominciò a saccheggiar-lo: si portò via divani foderati con piume di colibrì e tap-peti orlati con capelli di odalische; svuotò le dispense dimilioni di barattoli di banane in conserva e datteri sci-roppati; rubò nelle cucine pentole d’oro e fruttiere tem-pestate di pietre preziose; arraffò i duemila letti del re edelle sue mogli, con le lenzuola di seta e le trapunte dipelle di leopardo; le mamme confiscarono i giganteschiscatoloni strapieni di giocattoli nascosti nelle cantinedel palazzo; ognuno uscì con qualcosa che ripagasse inparte tutto quello che il re si era preso con le tasse e laviolenza; chi uno specchio, chi una delle migliaia dipiante di banane trovate nei vivai reali; uno con un bau-le pieno di perle, l’altro con un aquilone rosso. Alcuni,però, cercavano il re, insistendo che avevano ancora unpaio di cosette da dirgli. Lo trovarono nascosto in unodei bidoni della spazzatura, unto e macchiato da ognischifezza immaginabile.

    Alla fine, dopo mille discussioni, decisero che il reaveva trovato finalmente il suo posto, così lo lasciarono

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    Fumo negli occhi

  • Il boia gettò la torcia alla pira e immediatamente ilfuoco impazzì, saltò dalla torcia ai ceppi e da questibalzò ai vestiti della maga, fino a infiammarle i capelli.

    Zazà riuscì a urlare: –Stravinski, amore mio, adesso sono finalmente tua.

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    Fumo negli occhi

  • Alimentate dal vento, le fiamme trasformarono lacatasta di legna e la maga in una palla di fuoco incan-descente che costrinse le guardie a indietreggiare. Stra-vinski sentì la vampata di calore bruciargli il viso ecadde a terra, mentre il rogo continuava a soffiargli ad-dosso fumo rossiccio, cenere dorata e fuliggine.

    Quando l’incendio finì, sulla faccia del mago c’erauna macchia a forma di cuore.

    Le urla della folla inferocita si fecero vicinissime e isoldati fuggirono.

    Dopo aver forzato i portoni e saccheggiato il palazzo,il popolo si rovesciò nella piazza d’armi incustodita. Sul-l’immenso acciottolato c’era solo un’ombra. Sembravasaldata al selciato, come dipinta, e aveva un braccio soloe una macchia rossa all’altezza della guancia, come se al-l’ultimo momento qualcuno vi avesse posato un bacio.La gente fece cerchio attorno, in silenzio, guardando ilprodigio di un’ombra che nasceva dal nulla.

    –Adesso anche le ombre sono senza padrone– sussurròun bambino tra la folla.

    Ma la scena durò solo un istante, perché subito doposul cortile, sulla gente, sul palazzo, sul