F RUIRE LA CITTA ’ MANGA. Consumi e identità metropolitane ad Harajuku (Tokyo)

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LA CITTA MANGA Le grandi città del Giappone contemporaneo sembrano avere tratti in

comune con quella che è la lettura più diffusa e popolare fra la popolazione giapponese di ogni età, ovvero il manga, peculiare forma fumettistica di antiche origini ma diffusasi con maggiore ampiezza a partire dagli anni cinquanta del Novecento (Nitschke 1994). I parallelismi fra i grandi centri urbani giapponesi contemporanei e i manga sono molteplici e possono rintracciarsi principalmente, ma non esclusivamente, in aspetti di carattere formale che intrattengono, al contempo, stretti e suggestivi legami con il concetto di “fruizione”.

In primo luogo, in entrambi i casi vi è la presenza di proposte di intrattenimento diversificate e mirate a un determinato target di fruitori. Infatti, così come esistono manga dedicati a gruppi anagrafici e sociali distinti, così anche le grandi città giapponesi, e Tokyo in particolare, hanno assistito a una progressiva caratterizzazione dei diversi quartieri in modo tale che ciascuno acquistasse una propria caratterizzazione e connotazione e attraesse, in tal senso, non soltanto determinati residenti ma, anche e soprattutto, specifici gruppi di city users (Nitschke 1994 e Martinotti 1993).La fruizione della città giapponese contemporanea, inoltre, è assimilabile alla fruizione del manga in quanto esperienza di consumo “veloce” (Nitschke 1994).

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LA CITTA MANGA Un ulteriore aspetto comune al manga e ai grandi centri

urbani giapponesi è il fatto che entrambi sono, almeno in parte, forme di gendered space, in quanto, così come le narrazioni del manga coinvolgono un gran numero di protagoniste femminili, anche le downtowns giapponesi, con particolare riferimento ai suoi luoghi di consumo, sembrano essere non più territorio degli ormai desueti salary-man, una popolazione urbana sempre meno visibile(Nitschke 1994), ma, piuttosto, di nuove popolazioni urbane, spesso di genere femminile, che fanno delle proprie scelte di consumo un principio identitario ben preciso.

Questi elementi si ritrovano con tutta evidenza nel quartiere di Harajuku, Tokyo, dove le idee di

- città come luogo di fruizione e - del consumo come esercizio e costruzione dell’identità si fanno pratica quotidiana e manifesta..

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Individualismo e youth culture nel Giappone postbellico

1960s: si diffonde una nuova mentalità fra i giovani giapponesi

Nuovo modo di pensare e di essere che privilegia l’attenzione verso i desideri individuali e verso il consumo di nuove forme culturali rispetto alle tradizionali istanze della società giapponese, rigide e normative.

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Tale cambio di mentalità, identificato come INDIVIDUALISMO (KOJINSHUJI) viene avversato da istituzioni e studiosi dell’epoca

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Negli stessi anni si diffonde fra i giovani adulti istruiti delle grandi città la lettura dei MANGA come attività ricreativa e culturale.

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Al crocevia fra INDIVIDUALISMO e NUOVI CONSUMI CULTURALI iniziano a germogliare le prime forme di CULTURA GIOVANILE (wakamono bunka), che renderanno le PRATICHE CULTURALI sempre più PRATICHE IDENTITARIE.

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Vi era la paura da parte delle istutuzioni che tale INFANTILISMO GENERAZIONALE potesse provocare IRREGOLARITA’ IDEOLOGICHE nelle nuove generazioni

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1971-TAKEO DOI Generazioni postbelliche: desiderio di restare

bambini

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In particolare: RIVOLTE STUDENTESCHE e SOTTOCULTURE

Connotate da un “AMAE” INFANTILE

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1977: KEIGO OKONOGI riprende le teorie di DOI e parla espressamente di MORATORIUM NINGEN-GENERAZIONE DELLA MORATORIA

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MORATORIUM NINGEN (Keigo OKONOGI, 1977)

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Generazione della moratoria: Caratterizzata dal rifiuto degli obblighi

sociali propri dell’età adulta (lavoro, famiglia)

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DISTACCO GENERAZIONALE FRA NUOVI E VECCHI GIAPPONESI

1980s: si inizia a parlare di una NUOVA GENEALOGIA, una NUOVA UMANITA’

SHINJINRUII: contrappone alle vecchie generazioni e al loro sistema di valori un mondo giovanile che non ha più – o meglio, vuole credere di non avere quasi più – alcun punto di contatto culturale e ideologico con quello dei propri genitori

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SHINJINRUII o tribù dei RAGAZZI CRISTALLO (KURISUTARU ZOKU) dal titolo di un romanzo

di YASUO TANADA “Nantonaku Kurisutaru” (Somehow, crystal) del 1980

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Punti di contatto fra i RAGAZZI CRISTALLO e gli YUPPIES americani

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DECLINO DELLA FIGURA DELLO YUPPIE BRET EASTON ELLIS “AMERICAN PSYCHO”

(1991)

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LA CITTA MANGA Con gli Yuppies americani, così come descritti, ad

esempio, nei romanzi di Bret Easton Ellis i “ragazzi cristallo” hanno in comune non solo l’attenzione verso l’abbigliamento, le mode e il lifestyle ma anche il piacere nella semplice attività di naming ovvero il piacere che nasce dalla condivisione dei nomi di oggetti e merci utilizzati come “markers” al fine di tracciare le line delle relazioni sociali (Douglas e Isherwood 1980 cit. in Featherstone 1991). Tanto il libro di Tanaka quanto le opere di Ellis , infatti, sono piene di riferimenti a marche e prodotti la cui condivisione, oltre a essere un piacere i sé, testimonia di un’identità individuale e di un’appartenenza a un determinato gruppo (cfr. Featherstone 1991).

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SHINJINRUII come RAGAZZI CRISTALLO “SOMEHOWCRYSTAL” (YASUO TANAKA 1980) “LABEL DROPPIN’”: Condivisione di nomi di

marche e prodotti usati come markers atti a tracciare linee di relazioni interpersonali

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Incrocio fra le istanze dell’individualismo e dei consumi come pratica identitaria

Tramonto del CITTADINO SOCIALE e del SALARYMAN (uomo della produzione)

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Emersione di nuove generazioni che trascurano intenzionalmente gli interessi generali per concentrarsi sui propri hobby e sui propri consumi

Coordinate su cui si vanno a formare le identità contemporanee delle cosiddette MICROMASSE (Fujioka 1986)

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LA CITTA MANGA Con il declino della figura del “cittadino sociale” nasce il

Giappone delle “micromasse”i cui effetti saranno avvertibili anche e soprattutto nei consumi e negli stili di vita delle grandi città. Se da un lato, infatti, si diffonde una privatizzazione sempre più estrema dei consumi culturali e una tecnologicizzazione sempre più spinta delle interazioni sociali (le quali si basano sempre più sulla condivisione di informazioni su argomenti di interesse comune ai due o più attori impegnati nella comunicazione) con la nascita di fenomeni come l’hikikomori (ISOLAMENTO)e di figure come l’otaku, dall’altro si diffonde una tendenza, che potremmo definire di genere, in quanto coinvolge principalmente giovani donne urbane, alla affermazione di sé tramite un codice espressivo che passa per consumi e vestiario. Nasce così il “cittadino segno” nella “città-segno”.

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La privatizzazione delle vite si traduce nell’emersione di una figura tanto cruciale quanto controversa: l’otaku, appassionati di manga, anime e videogiochi che trovano identità nelle loro attività di fruizione e hanno relazioni sociali prevalentemente con persone che condividono i loro interessi e con cui possono scambiare informazioni. In questo senso, se le “persone cristallo” sono dei feticisti della marca, gli otaku possono essere definiti prede di una “ossessione classificatoria” “feticisti dell’informazione in quanto tale”, e dediti a “un culto dei dati o degli oggetti elevato a nevrosi”

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Alla confluenza di queste istanze emergono nuove figure di riferimento per i giovani giapponesi. Non più gli uomini della produzione ma le donne dei consumi, teenagers metropolitane, giovani consumatrici che all’etica del cittadino sociale oppongono l’estetica della “cittadina-segno”, favorite dal successo di un’estetica nata nelle scuole delle grandi città giapponesi e destinata a diventare un’industria: l’estetica KAWAII

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L’estetica KAWAII, strettamente collegata all’INFANTILISMO delle generazioni postbelliche, privilegia forme rotonde, infantili, rassicuranti, colori prevalentemente pastello ed estende la propria influenza a un amplissimo range merceologico, dall’abbigliamento al materiale scolastico

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Il kawaii non ha, però, solo una dimensione estetica e uno spiccato accento “iperconsumista” , ma va letto anche come “stile di pensiero giovanile” che si basa “su un atteggiamento infantilistico e su un rifiuto delle responsabilità”, un tipo di condotta, questo, “che si è riverberata su e nutrita di un vasto corpus di oggetti dal disegno accattivante, dai colori vivaci, corrispettivo stilistico di un regresso verso il mondo dell’infanzia”. Il fenomeno del kawaii ha assunto oggi una portata mondiale e non è più considerato, quanto meno in Giappone, una stranezza, poiché si tratta di uno stile, di scelte di consumo e, quindi, di vita, che connota ampiamente la capitale nipponica e, in particolare, il quartiere di Harajuku.

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Anche la lettura di manga da parte di giovani adulti a partire dagli anni ‘60 del ‘900 era un atto di INFANTILISMO COME RESISTENZA e proprio MANGA e KAWAII sono 2 fra le caratteristiche che definisconio la metropoli giapponese contemporanea

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Punti di contatto fra manga e metropoli (Nitschke 1994)

MANGA: LETTERATURA USA E GETTA LETTURA DI CONSUMO VELOCE Proprio come gran parte della ARCHITETTURA

URBANA CONTEMPORANEA nelle METROPOLI GIAPPONESI

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Atteggiamento disinvolto con cui i giapponesi costruiscono/abbattono/ricostruiscono

SCARSA SACRALITA’ che i giapponesi attribuiscono allo spazio costruito

MASS CITY (Ueda 1994): Scarso peso della religione Provenienza variegata dei suoi residenti Assenza di legami in comune di origini e

religione fra gli abitanti

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Mass City (Ueda 1994): Caratterizzata e attraversata da un’idea di flusso più che di accumulo.

FLOW vs. STOCK Cicli veloci di mutamento e consumo:

caratteristica comune a manga e metropoli a livello di spazio costruito e consumi (materiali e simbolico-culturali)

Libri/landmarks: vengono CONSERVATI Manga/edifici e mode metropolitane:

vengono FRUITI

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prima delle città europee: Kyoto divenne, infatti, “mass city” nel decimo secolo e la maggior parte delle grandi città giapponesi lo divennero intorno al diciassettesimo secolo. Per contrasto, Londra e Parigi non si secolarizzarono fino al diciottesimo secolo (Ueda 1994). Il diciassettesimo secolo vide, pertanto, quella che Ueda definisce la “deliberata secolarizzazione delle città giapponesi”. Fino a quel periodo le città giapponesi, di ogni misura e importanza, avevano mantenuto un qualche legame con templi e santuari mentre gli shift di potere che avvennero in quel periodo portarono a una progressiva eliminazione delle influenze religiose, anche a livello di spazio costruito. Non è un caso, pertanto, che oggi il termine più diffuso in Giappone per indicare la città sia toshi, un composto di “città” e “mercato”.

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FASHIONABLE: RAPIDA OBSOLESCENZA DEI FENOMENI

Si verifica con più facilità in luoghi con pedigree non troppo pesanti

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Inoltre, così come dal punto di vista visivo “anything goes” nei manga, la città manga offre grandi margini di sperimentazione in termini tanto di spazio costruito quanto di stili di vita, in un contesto non regolato da pedigree troppo precisi e lo stesso uso, nei manga, del kanji, uno dei tre sistemi di scrittura giapponesi (insieme a hiragana e katakana) nei manga così come nei billboards che affollano le strade della metropoli traccia delle linee comuni fra il fumetto e la città, in primis il fatto di poter essere letto in tutte le direzioni, e lo rende adatto ai bisogni in continuo mutamento della città manga

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Infine, i manga sono dominate da figure femminili, proprio come le città manga, le cui downtowns, un tempo appannaggio dei salary-men, sono oggi dominate, come vedremo, dalle teenagers, nuovi arbitri di stile nella metropoli di terza generazione

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A Tokyo, in particolare, i consumi sono intensi e veloci e le mode nascono e si esauriscono con grande rapidità e, così come le pagine dei manga, le strade della metropoli sono affollate di ragazzine, nuove tastemakers del mercato globale per quanto riguarda STILI URBANI e STREET FASHION

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STREET FAHION vs. MODA TRADIZIONALE STREET FASHION: CONSUMER-DRIVEN DINAMICA BOTTOM UP: sono le industrie a

chiedere alle ragazzine cosa è FASHIONABLE

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Dopo la Seconda Guerra Mondiale il vestire all’occidentale divenne rapidamente un fenomeno di massa ma Tokyo rimase nell’ombra come “fashion city” fino agli anni novanta del Novecento nonostante l’emergere a livello internazionale, già intorno al 1970, di una nuova generazione di grandi stilisti giapponesi come Kenzo Takada e Yohji Yamamoto

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Pur non essendo, a differenza di altri grandi centri urbani del continente asiatico, un centro manifatturiero di prestigio, Tokyo ha puntato sulla moda come prodotto culturale simbolico, diventando un luogo nel quale si consuma e si produce moda, le due caratteristiche che una “fashion capital” deve necessariamente possedere

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LA CITTA MANGA La street fashion esiste a Tokyo da molti anni, soprattutto

ad Harajuku, quartiere nel quale, a partire dalla fine degli anni settanta del Novecento, un gran numero di sottoculture giovanili nacquero e si diffusero, spesso in maniera estremamente veloce. A partire dagli anni novanta, però, vi fu una sorta di istituzionalizzazione e canalizzazione del potenziale, stilistico ed economico, delle teenagers di Tokyo, in grado di creare dei nuovi stili del tutto indipendenti dalla moda occidentale e dal circuito mainstream. Se negli anni settanta e ottanta del Novecento erano stati dei professionisti della moda, grandi designer, a portare il Giappone alla ribalta della scena mondiale, oggi sono le teenager metropolitane a svolgere questa funzione, come produttrici, consumatrici e tastemakers. L’industria si rivolge oggi alle teenagers di Tokyo per capire cosa va di moda in un mercato in cui il gusto è estremamente variabile.

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Ogni distretto di Tokyo, infatti, ospita il proprio stile di street fashion, i cui codici sono molto restrittivi e non vanno infranti. Il quartiere di Shibuya, ad esempio, ospita le Gyaru, ragazze vistose e curatissime dallo stile molto appariscente che si riuniscono intorno al centro commerciale Shibuya 109, che è il landmark del quartiere

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HARAJUKU è il quartiere storicamente più fecondo di nuovi stili giovanili

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Culla della cultura kawaii

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Noto anche come TEENAGE TOWN, fra il 1977 e il 1998 ospitò una zona che veniva chiusa al traffico durante i weekends, nota come HOKOTEN (paradiso pedonale).

Il quartiere divenne così un luogo di aggregazione per giovani, specialmente ragazze, che amavano SPERIMENTARE CON LA MODA

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La zona posteriore di Harajuku (URA-HARA) è oggi piena di piccole boutique gestite da giovani stilisti semiprofessionisti che collaborano spesso con artisti locali per creare pezzi unici e customizzare capi

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Presso il ponte Jingu, invece, si riuniscono i cosplayer, amanti di anime e manga che si vestono come i loro eroi e le Gothic Lolitas, simbolo di Harajuku

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Grande impulso all’ascesa di Harajuku come polo di creatività fu dato dall’opera del fotografo Aoki Shoichi che nel mensile FRUITS (a partire dal 1997) offrì ampia copertura fotografica degli stili in voga ad Harajuku

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Focus non sui designers, come nelle normali riviste di moda, ma sui CONSUMATORI che sono diventati produttori di STREET FASHION

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Lo stile di Harajuku è diventato un polo di attrazione per tutte le ragazzine giapponesi che i fine settimana si recano nella capitale per fare acquisti e tenersi aggiornate su ciò che va di moda in quanto l’intera industria della moda per teenagers in Giappone ruota intorno a ciò che le ragazze di Tokyo definiscono KAWAII. Solo le ragazzine possono decidere cosa è kawaii (e dunque fashionable) e cosa non lo è.

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Lo stile di Harajuku ha travalicato i confini nazionali in molti modi, non solo influenzando le collezioni di designer giapponesi che sfilano a Parigi ma anche diventando una sorta di marchio di garanzia di FASHIONABILITY

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La diffusione della cultura kawaii (nata e sviluppatasi come movimento prevalentemente femminile) ha stimolato la crescita di veri e propri fenomeni di pellegrinaggio e si è affermata come industria e come segno distintivo dell’intero Giappone

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Tokyo contemporanea: “gendered space” in cui la costruzione di

sempre nuovi significati e significanti, materiali e simbolici, è in gran parte opera di una parte della società a lungo tempo emarginata dai processi produttivi, ovvero le adolescenti metropolitane, oggi produttrici, consumatrici e intermediarie culturali di segni e merci che attraggono fruitrici di stile a livello nazionale e globale, ragazzine che della metropoli vogliono fruire innanzitutto lo STILE.

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Le nuove popolazioni metropolitane fanno delle proprie scelte di consumo un preciso principio identitario e la fruizione stessa della metropoli diventa una pratica di esercizio e costruzione dell’identità, cronotopo autoriflessivo e non vincolante, luogo privilegiato del flusso e del consumo, di merci e di segni.

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GRAZIE A TUTTI!!