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F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica 1 INTRODUZIONE Nelle lavorazioni per deformazione plastica un semilavorato di forma inizialmente semplice - ad esempio una billetta od una lamiera - viene deformato permanentemente mediante l'azione di stampi allo scopo di ottenere una configurazione finale anche piuttosto complessa. Pertanto la geometria dell'elemento viene modificata, da semplice a complessa, per effetto delle azioni scambiate all'interfaccia pezzo in lavorazione - stampi: questi ultimi sono evidentemente sagomati in modo tale da imprimere sul pezzo la forma finale desiderata. Le lavorazioni per deformazione plastica causano generalmente un limitato sfrido di materiale e permettono l'ottenimento della forma finale desiderata in un tempo complessivamente piuttosto contenuto: sono infatti sufficienti, di solito, alcune corse dell'elemento mobile della pressa per il completamento dell'operazione. Pertanto i processi di formatura offrono rilevanti vantaggi rispetto ad altre lavorazioni, dal punto di vista dei costi connessi al materiale ed all'energia in gioco, specialmente nel caso di lotti di produzione di media e grande dimensione in cui i costi relativi alla fabbricazione ed al set- up degli stampi possono essere facilmente ammortizzati. Inoltre i componenti prodotti per deformazione plastica presentano caratteristiche meccaniche e metallurgiche notevolmente migliori rispetto a quelli ottenuti con processi di fonderia o per asportazione di truciolo. I processi per deformazione plastica sono antichissimi: le prime testimonianze di lavorazioni di forgiatura risalgono addirittura al 5000 a.C.; tuttavia soltanto negli ultimi trenta - quaranta anni gli studi e le applicazioni industriali di processi di formatura hanno assunto un aspetto ed una valenza scientifica, grazie, in una prima fase, alla definizione delle leggi fondamentali che definiscono il comportamento dei materiali sottoposti a deformazioni permanenti, e successivamente allo sviluppo di accurate ed affidabili metodologie di analisi basate su tecniche di simulazione numerica. In altri termini mentre fino a pochi decenni or sono lo sviluppo di un processo di formatura rappresentava un'arte, ed i parametri operativi che caratterizzavano il processo venivano prescelti esclusivamente sulla base dell'esperienza e della pratica industriale, oggigiorno le

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F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

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INTRODUZIONE

Nelle lavorazioni per deformazione plastica un semilavorato di forma inizialmente semplice

- ad esempio una billetta od una lamiera - viene deformato permanentemente mediante

l'azione di stampi allo scopo di ottenere una configurazione finale anche piuttosto

complessa. Pertanto la geometria dell'elemento viene modificata, da semplice a complessa,

per effetto delle azioni scambiate all'interfaccia pezzo in lavorazione - stampi: questi ultimi

sono evidentemente sagomati in modo tale da imprimere sul pezzo la forma finale

desiderata.

Le lavorazioni per deformazione plastica causano generalmente un limitato sfrido di

materiale e permettono l'ottenimento della forma finale desiderata in un tempo

complessivamente piuttosto contenuto: sono infatti sufficienti, di solito, alcune corse

dell'elemento mobile della pressa per il completamento dell'operazione. Pertanto i processi

di formatura offrono rilevanti vantaggi rispetto ad altre lavorazioni, dal punto di vista dei

costi connessi al materiale ed all'energia in gioco, specialmente nel caso di lotti di

produzione di media e grande dimensione in cui i costi relativi alla fabbricazione ed al set-

up degli stampi possono essere facilmente ammortizzati. Inoltre i componenti prodotti per

deformazione plastica presentano caratteristiche meccaniche e metallurgiche notevolmente

migliori rispetto a quelli ottenuti con processi di fonderia o per asportazione di truciolo.

I processi per deformazione plastica sono antichissimi: le prime testimonianze di

lavorazioni di forgiatura risalgono addirittura al 5000 a.C.; tuttavia soltanto negli ultimi

trenta - quaranta anni gli studi e le applicazioni industriali di processi di formatura hanno

assunto un aspetto ed una valenza scientifica, grazie, in una prima fase, alla definizione

delle leggi fondamentali che definiscono il comportamento dei materiali sottoposti a

deformazioni permanenti, e successivamente allo sviluppo di accurate ed affidabili

metodologie di analisi basate su tecniche di simulazione numerica.

In altri termini mentre fino a pochi decenni or sono lo sviluppo di un processo di formatura

rappresentava un'arte, ed i parametri operativi che caratterizzavano il processo venivano

prescelti esclusivamente sulla base dell'esperienza e della pratica industriale, oggigiorno le

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metodologie di analisi disponibili permettono una progettazione del processo medesimo,

secondo le fasi e le procedure che saranno descritte nel seguito.

Il fine dell'analisi dei fenomeni che intervengono nelle lavorazioni per deformazione

plastica è quello di stabilire l’influenza di ciascuno dei parametri operativi sulla meccanica

del processo deformativo: solo questa conoscenza infatti, come meglio sarà spiegato nei

capitoli che seguono, potrà consentire di pervenire ad una progettazione ottimale dei

processi. Per condurre un analisi di questo tipo è ovviamente di fondamentale importanza la

conoscenza delle leggi che governano il comportamento dei materiali solidi soggetti a

deformazione plastica. Tale conoscenza, nel campo delle applicazioni pratiche, può essere

ottenuta mediante una analisi di tipo macroscopico, riferendosi ad un corpo ideale,

omogeneo e, nella maggior parte dei casi anche isotropo. Le semplificazioni introdotte in

questo modo, sempre nel campo delle applicazioni pratiche, non ledono la validità generale

dei risultati, ed offrono il vantaggio di poter condurre a modelli matematici relativamente

semplici.

Nel prosieguo della presente trattazione sarà inizialmente dato un cenno alle leggi che

governano il comportamento del materiale in campo plastico con particolare riferimento alle

condizioni di plasticità proposte in letteratura e maggiormente impiegate nella pratica.

Successivamente saranno descritte le principali lavorazioni per deformazione plastica,

analizzando per ciascuna di esse la meccanica del processo, i principali parametri operativi e

fornendo una stima dei carichi e delle potenze richieste alle macchine utensili sulle quali

dette lavorazioni verranno eseguite. Si avrà peraltro cura di evidenziare i limiti di ciascuna

di tali lavorazioni con particolare riferimento al pericolo di insorgenza dei difetti.

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1. CENNI SULLE LEGGI CHE GOVERNANO IL COMPORTA-

MENTO PLASTICO DEI MATERIALI METALLICI

1.1 DIAGRAMMI TENSIONI-DEFORMAZIONI

Le leggi che governano il comportamento dei materiali in campo plastico sono ottenute

facendo riferimento ad uno stato di sollecitazione unidirezionale eseguendo prove unificate

di trazione o di compressione.

I risultati di una prova di trazione possono essere riassunti in un diagramma tensioni

nominali-deformazioni convenzionali, usualmente chiamato diagramma ingegneristico, nel

quale le deformazioni sono definite come e = l/l0 = (l – l0)/l0 mentre le tensioni sono date

da n=P/A0.

Nelle espressioni ora riportate l0 ed A0 sono le dimensioni iniziali del provino cilindrico sul

quale viene condotta la prova, l la lunghezza attuale dello stesso ed infine P il carico

richiesto alla macchina di prova per vincere istante, per istante la resistenza alla

deformazione offerta dal materiale.

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Da un grafico di questo tipo, è possibile ottenere:

• la tensione limite di proporzionalità, p, che individua la fine del tratto di comportamento

elastico e lineare del materiale;

• la tensione limite di elasticità, e, in corrispondenza del limite delle deformazioni

reversibili;

• la tensione di snervamento, 0, in corrispondenza dell'inizio delle deformazioni plastiche;

• la tensione di rottura, R;

• l'allungamento e la strizione percentuale.

La differenza tra il limite di proporzionalità, il limite elastico ed il limite di snervamento è

in genere molto piccola e spesso si ricorre ad un unico valore della tensione di snervamento

0, assumendolo pari al carico specifico atto ad assicurare una deformazione permanente

assegnata (secondo le norme UNI, pari allo 0,2%). Pertanto, nel seguito della trattazione,

per ragioni di semplicità supporremo che il diagramma tensioni - deformazioni si possa

considerare suddiviso in due tratti: un primo tratto lineare al quale corrisponde un

comportamento elastico, cioè reversibile, del materiale, ed un secondo tratto, non lineare,

corrispondente alla fase delle deformazioni permanenti. Il valore della tensione di

scorrimento 0 segna il confine tra la zona delle deformazioni elastiche e quella delle

deformazioni plastiche.

E' da notare che precipua caratteristica del diagramma tensioni nominali - deformazioni

convenzionali è quella di presentare, in corrispondenza al verificarsi del fenomeno della

strizione, un andamento decrescente della tensione nominale. Va infatti sottolineato che il

carico richiesto alla macchina di prova per realizzare la deformazione dipende, non soltanto

dalla resistenza offerta dal materiale, la quale cresce a causa del fenomeno

dell’incrudimento, ma anche dalla sezione resistente del provino. Nel momento in cui si

verifica la strizione, la riduzione della sezione resistente determina una riduzione del carico

necessario, riduzione più ingente rispetto all'incremento di carico derivante

dall'incrudimento del materiale.

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Proprio per rendere i risultati della prova - indipendenti dal fenomeno della strizione, viene

introdotto un diverso tipo di diagramma, con il quale vengono correlate le tensioni e le

deformazioni reali, definite come =P/A dove A è l'area della sezione reale del provino

(variabile istante per istante) ed =ln(l/l0), relazione questa che si può facilmente ottenere

integrando tra la lunghezza iniziale e quella attuale gli incrementi infinitesimi di

deformazione d =dl/l .

Questo tipo di diagramma può essere ottenuto tramite una indagine sperimentale,

correlando, istante per istante, le tensioni in gioco e la sezione del provino a quell'istante,

oppure, si può procedere analiticamente partendo dalla curva tensioni nominali -

deformazioni convenzionali, supponendo nulle, come è usuale fare in campo plastico, le

variazioni di volume.

Indicando con n la tensione nominale e con la tensione reale od effettiva ed imponendo

la condizione di invariabilità del volume, A x l = A0 x l0 = cost, si può scrivere:

ed essendo, inoltre:

si ottiene facilmente:

relazione questa che consente di calcolare la tensione reale , una volta che siano note la

tensione nominale n e la deformazione convenzionale e. Si noti che, essendo e>0,

P

A

P

Ax

A

A0

0

el l

l

A

A

l

l

P

A n

0

0

0

0 0

, ,

n e( )1

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risulterà > n, anche se la differenza tra le due tensioni diventa apprezzabile solo per valori

relativamente elevati della deformazione.

E' ancora da osservare che il calcolo della tensione reale mediante la relazione appena

riportata è possibile solo per valori della deformazione inferiori a quelli per cui si manifesta

la strizione. Oltre tale punto infatti, nella zona soggetta a deformazione si stabilisce un

campo tensionale di tipo tridimensionale, sicché il calcolo della richiede l'impiego di un

coefficiente di correzione.

L'impiego delle tensioni reali, in luogo di quelle convenzionali permette di ottenere

diagrammi caratterizzati da un andamento sempre crescente della curva, i quali tengono in

conto esclusivamente del comportamento del materiale, mentre non sono influenzati dalle

caratteristiche geometriche del provino né dal verificarsi della strizione.

Con le considerazioni che precedono sono state introdotte due diverse metodologie per

definire le deformazioni, rispettivamente le deformazioni nominali o convenzionali e le

deformazioni reali o logaritmiche. In effetti l’impiego delle deformazioni reali presenta,

nelle applicazioni pratiche, alcuni rilevanti vantaggi. Innanzi tutto le deformazioni reali

possono essere sommate: se supponiamo di imprimere un certo livello di deformazione su di

un provino attraverso più fasi successive, la deformazione totale dovrà evidentemente essere

pari alla somma dei valori di deformazione impressi in ciascuno degli stadi; tale condizione

è verificata impiegando le deformazioni logaritmiche grazie alle note proprietà dei

logaritmi, mentre non è verificata utilizzando le deformazioni convenzionali.

Occorre inoltre aggiungere che solo le deformazioni reali o logaritmiche sono in grado di

fornire una rappresentazione efficace e fisicamente adeguata: tale considerazione può essere

giustificata mediante un semplice esempio. Si immagini di partire da un provino di

lunghezza l e di effettuare una lavorazione di trazione portando la lunghezza al valore finale

2l od una lavorazione di compressione annullando completamente l'altezza del provino,

lavorazione quest'ultima naturalmente impossibile. L'impiego delle deformazioni

convenzionali porterebbe alla valutazione di deformazioni pari a + 1 e –1 rispettivamente,

mentre, con le deformazioni reali, i valori sono pari a ln 2 e E’ evidente come

quest'ultima rappresentazione è certamente assai più adeguata ed efficace.

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1.2 EFFETTO BAUSHINGER

Su un diagramma di una prova di trazione si supponga di caricare il provino fino al

punto A della figura, al quale compete un valore di tensione pari a . A questo punto si

scarichi e si passi alla fase di compressione. In linea teorica, in compressione lo

snervamento potrebbe avvenire ad un valore di tensione pari a - (punto B della figura) ed

in questo caso avremmo uno incrudimento isotropo, oppure si potrebbe avere una

condizione di incrudimento cinematico per la quale, essendo il materiale caratterizzato da un

dominio di elasticità ( 0 0) costante, lo snervamento avverrebbe in corrispondenza del

punto C della figura, per un valore di tensione cioè pari a -2 0

In realtà si verifica una condizione intermedia tra i due limiti ora esposti, ovvero lo

snervamento avviene in un punto intermedio tra B e C (punto D). Si verifica cioè il

cosiddetto effetto Bauschinger, dal nome dello studioso che per primo si è occupato del

problema. Nelle condizioni reali l'incrudimento si manifesta secondo un comportamento

intermedio tra un modello completamente isotropo ed uno di tipo cinematico.

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1.3 DEFORMAZIONI PLASTICHE ED ELASTICHE

Le considerazioni prima esposte in merito ai diagrammi ottenibili eseguendo una prova di

trazione permettono di evidenziare due aspetti che differenziano in modo preciso il

comportamento elastico ed il comportamento plastico dei materiali:

• le deformazioni plastiche sono, per loro natura, permanenti, cioè non scompaiono al

cessare dell'applicazione del carico che le ha provocate, così come avviene per le

deformazioni elastiche;

• con riferimento a condizioni di tensione monoassiale, il legame tra le tensioni e le

deformazioni è lineare in campo elastico, =E (nella quale E è il modulo di Young o di

rigidezza longitudinale), mentre assume forma non lineare in campo plastico; ivi infatti, vale

una legge del tipo =C n, essendo C ed n due costanti caratteristiche del materiale.

L'esponente n viene chiamato indice di incrudimento e permette di rappresentare la

resistenza che il materiale offre nel subire ulteriori deformazioni permanenti dopo lo

snervamento. E' opportuno aggiungere che alcuni materiali (perfettamente plastici) non

esibiscono alcun incrudimento: per essi, quindi, n=0.

La legge =C n vale nelle condizioni di deformazione plastica a freddo; nelle lavorazioni a

caldo (caratterizzate per esempio da temperature dell'ordine di 1200°C nei primi passaggi

dei processi di laminazione dell'acciaio, o di 400-450°C nelle lavorazioni dell'alluminio)

infatti, i materiali non esibiscono in genere incrudimento, mentre il loro comportamento

dipende dalla temperatura e dalla velocità di deformazione; in questo caso il valore della

tensione di flusso plastico andrà quindi espresso mediante una funzione del tipo

Occorre inoltre aggiungere un ulteriore elemento che differenzia nettamente il

comportamento elastico da quello plastico dei materiali; in campo elastico esiste una

corrispondenza biunivoca tra tensioni e deformazioni: noto lo stato tensionale, da esso è

possibile ricavare in modo univoco il campo deformativo e viceversa. Tale circostanza non

è più vera in campo plastico, ove, al fine di valutare lo stato di deformazione non è più

sufficiente conoscere il campo tensionale, ma è necessario analizzare l'intera storia di carico

che ha portato allo stato tensionale finale.

f T)( ,

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Al fine di chiarire l'aspetto ora citato si osservi la figura: ad ogni assegnato valore di

tensione * possono corrispondere diversi valori di deformazione e ciò in dipendenza della

storia di carico subita dal materiale. In definitiva in campo plastico il comportamento del

materiale dipende dalla storia di deformazioni (deformation path) che il materiale stesso ha

subito; si suole dire, a tale proposito, che il materiale ha "memoria ' del suo passato. Nel

proseguo della trattazione, dopo che saranno state introdotte le condizioni di plasticità, verrà

proposto un ulteriore esempio (inizialmente riportato dal Mendelsson) atto a dimostrare

questo assunto.

1.4 PROVA Dl COMPRESSIONE

La prova di compressione viene eseguita comprimendo tra piatti piani e paralleli provini

assialsimmetrici o prismatici; il vantaggio fondamentale che la prova di compressione offre

rispetto alla prova di trazione sta nel fatto che il comportamento del materiale può essere

valutato per un campo di deformazione molto più ampio. Mentre infatti nella prova di

trazione la rottura del provino avviene per allungamenti talora anche piuttosto contenuti (in

genere il valore dell’allungamento percentuale a rottura è compreso tra il 10 ed il 30% per i

materiali metallici di comune impiego), a compressione il provino può essere teoricamente

sottoposto a valori di deformazione molto elevati senza che si manifestino fratture.

Ciò nonostante la prova di compressione è praticamente assai poco utilizzata: in questa

prova, infatti, non si ha più uno stato di tensione monoassiale, come invece si verifica nella

prova di trazione fino al manifestarsi del fenomeno della strizione, ma uno stato tensionale

molto più complesso, a causa dell'attrito tra i piatti della pressa ed il provino che determina

tensioni tangenziali all'interfaccia punzone-pezzo, e tensioni circonferenziali e radiali

all'interno del materiale. La prova di compressione può essere quindi validamente applicata

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solo se si riesce a ridurre sufficientemente l'attrito, tramite l'uso di un opportuno lubrificante

(teflon o bisolfuro di molibdeno): in tal caso la prova di compressione fornisce un risultato

più completo ed esauriente rispetto alla prova di trazione, e ciò appunto grazie al fatto che in

compressione i materiali riescono a sopportare deformazioni maggiori prima di giungere a

rottura.

1.5 CONDIZIONI Dl PLASTICITA’

Si è fino a questo momento esaminato il comportamento elasto-plastico di un provino

soggetto a carico unidirezionale: le soluzioni raggiunte sono pertanto applicabili a tutti quei

casi in cui si può supporre che il solido in esame sia soggetto ad una sola tensione. Nella

pratica, però, si presenta più spesso il caso di solidi soggetti a stati tensionali bidimensionali

o tridimensionali.

In questo caso si pone il problema di individuare sia gli stati tensionali che provocano

l'inizio del flusso plastico, che le relazioni esistenti tra tensioni e deformazioni in campo

plastico. Si tratta di problematiche che hanno suscitato l’interesse degli studiosi già a partire

dal XV secolo, portando alla formulazione di numerose teorie che hanno trovato un

riscontro sperimentale più o meno adeguato. Tra le principali teorie di plasticità vanno

ricordate:

1.5.1 Teoria di Galileo (o della massima tensione principale positiva)

Secondo questa teoria lo stato plastico è individuato esclusivamente dalla massima tensione

principale positiva: se la massima tensione principale positiva raggiunge il valore della

tensione di scorrimento, il materiale subisce deformazione plastica. E’ immediato apportare

alcune critiche a tale condizione: essa infatti non tiene in alcuna considerazione l’effetto

delle altre tensioni agenti e quindi non è in grado di analizzare correttamente gli stati di

tensione composti. Non sono inoltre limitati in alcun modo gli stati di compressione:

secondo Galileo una sollecitazione di compressione, qualunque sia il suo valore, non è in

grado di procurare deformazione plastica.

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1.5.2 Teoria della massima tensione principale positiva e negativa

Questa teoria costituisce l’immediato sviluppo della teoria di Galileo: in questo caso infatti

gli indici presi in considerazione sono la massima tensione principale positiva e la minima

tensione principale negativa, o meglio le tensioni principali massima e minima. Si avrà

deformazione plastica se la massima tensione principale supera la tensione di scorrimento o

se la minima tensione principale è minore di – 0. Rispetto alla teoria di Galileo, viene

definito un limite con riferimento agli stati tensionali di compressione; tuttavia anche in

questo caso non è considerato l’effetto complessivo dell’intero stato tensionale.

1.5.3 Teoria di Tresca (della massima tensione tangenziale)

Secondo questa teoria lo scorrimento plastico si verifica quando la massima sollecitazione

tangenziale raggiunge un valore limite, calcolabile facendo riferimento al caso della trazione

semplice monoassiale. Occorre anzitutto premettere che nel caso di uno stato tensionale

tridimensionale, ed ammettendo che 1< 2< 3, la tensione tangenziale massima può

essere espressa nella forma max=( 3- 1)/2, come sarebbe possibile dimostrare utilizzando la

teoria dei cerchi di Mohr.

Nel caso della prova di trazione, al momento dello snervamento 1= 2=0, 3= 0 e pertanto

0= 0/2. Sulla base di tali considerazioni, la condizione di Tresca va scritta nella forma:

per cui la condizione limite risulta

3 - 1 0

Nelle condizioni più generali, nelle quali non è noto l'ordine delle tensioni principali la

condizione di Tresca si traduce nelle sei equazioni che si ottengono dalla precedente

max

3 1

0

0

2 2

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permutando gli indici ed invertendone successivamente i segni, ovvero:

3 - 1 0

1 - 2 0

2 - 3 0

3 - 1 0

1 - 2 0

2 - 3 0

delle quali si sceglierà, di volta in volta, l'equazione che contiene la tensione principale

massima e quella minima, in modo da soddisfare la condizione alla base della teoria.

Nello spazio di Haigh-Westergaard (spazio 1, 2, 3), le sei equazioni ora scritte,

rappresentano un prisma a base esagonale con l'asse coincidente con la trisettrice

dell’ottante positivo. Tale prisma rappresenta quindi una superficie «aperta»: la condizione

di Tresca, quindi, non limita gli stati di trazione e di compressione idrostatica, aspetto sul

quale si avrà modo di tornare nel proseguo della presente trattazione. Occorre inoltre

sottolineare che il prisma rappresentativo della condizione di Tresca presenta degli spigoli,

certamente poco giustificabili dal punto di vista teorico, ed infine che la condizione è di

fatto indipendente dalla tensione intermedia.

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1.5.4 Teoria di Beltrami-Haigh (dell'energia di deformazione)

Gli autori propongono che la deformazione plastica si verifichi quando l'energia di

deformazione elastica raggiunge un valore limite. Con lo stesso ragionamento seguito in

precedenza detto valore limite può esser calcolato con riferimento al caso di sollecitazione

monoassiale, tipico, come si è visto della prova di trazione sino al manifestarsi della

strizione. In questo caso si raggiungono condizioni di deformazione plastica in

corrispondenza alla coppia di valori ( 0, 0); pertanto l'energia di deformazione elastica

limite vale W0= ½ 0 0, dal momento che l’area sottesa dalla curva - si riduce in questo

tratto ad un triangolo.

Nel caso di sollecitazione il più generale possibile, l'energia di deformazione elastica vale

invece

We = ½ ( 1 1 + 2 2 + 3 3), dove 1, 2, 3 e 1, 2, 3 sono le tensioni e le deformazioni

lungo le tre direzioni principali.

In campo elastico valgono le note relazioni tra tensione e deformazione:

Pertanto, ponendo l'uguaglianza W0=We si può facilmente ricavare la relazione che esprime

la condizione di plasticità, data da:

il cui dominio, sul piano di Haigh-Westergaard, è rappresentato da un ellissoide di

rivoluzione con asse coincidente con la trisettrice del primo ottante.

La teoria di Beltrami-Haigh consente quindi di prendere in considerazione lo stato

tensionale nella sua completezza: anche la tensione intermedia compare infatti nella

formulazione del criterio, a differenza di quanto accade nella condizione proposta dal

Tresca. Inoltre la formulazione di tipo energetico consente di ottenere una funzione di

plasticità quadratica, la cui rappresentazione grafica è costituita da una superficie continua,

esente da spigoli.

2133

1322

3211

1

1

1

E

E

E

0

2

1

2

2

2

3

2

1 2 2 3 3 12

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A fronte di tali vantaggi è necessario osservare che la superficie di plasticità proposta da

Beltrami ed Haigh è una superficie chiusa: pertanto se immaginiamo di caricare un cubetto

ideale con una sollecitazione di tipo idrostatico, sia essa positiva o negativa, (cioè con sei

trazioni o sei compressioni uguali in modulo, agenti sulle facce del cubetto), è possibile

raggiungere sul materiale condizioni di deformazione plastica.

Nello spazio di Haigh-Westergaard una sollecitazione di tipo idrostatico positivo si traduce

in un punto giacente sulla trisettrice dell'ottante positivo, così come una sollecitazione

idrostatica negativa è rappresentata da un punto sulla trisettrice dell'ottante negativo. Al

variare di tale sollecitazione il punto si sposta lungo la trisettrice. Se la superficie di

plasticità è chiusa, essa ammette un punto di intersezione con la trisettrice e pertanto esiste

un opportuno valore della sollecitazione idrostatica, sia positiva che negativa, per il quale è

possibile attingere condizioni di deformazione plastica.

La situazione è completamente diversa nel caso della condizione di plasticità proposta da

Tresca: ivi la superficie è un prisma indefinito a base esagonale, avente per asse la trisettrice

dell'ottante positivo ed aperta sia dal lato delle tensioni idrostatiche positive che da quello

delle tensioni idrostatiche negative. Non è quindi possibile, secondo Tresca, raggiungere

condizioni di deformazione plastica con sollecitazioni di tipo idrostatico.

Le verifiche sperimentali che sono state condotte hanno dimostrato che nel caso di

compressioni idrostatiche, anche in presenza di elevatissime pressioni, non si verificano

deformazioni permanenti; non si. hanno infatti né variazioni permanenti della forma del

provino sollecitato (le quali non potrebbero del resto verificarsi essendo lo stesso provino

caricato con pressioni uguali su tutte le facce), né si sono riscontrate variazioni permanenti

del volume. Pertanto uno stato tensionale idrostatico negativo non è in grado di causare

deformazioni permanenti, confermando in tal modo la validità dell'ipotesi del Tresca. La

superficie di plasticità deve quindi essere aperta dalla parte delle tensioni idrostatiche

negative.

Per quanto riguarda l’ottante positivo, occorre in primo luogo osservare che, mentre è

relativamente facile realizzare sperimentalmente compressioni idrostatiche (si pensi che un

siffatto stato tensionale si realizza ad esempio immergendo una sfera di metallo in un

liquido), è molto più complesso riprodurre condizioni di trazione idrostatica. Tuttavia, già

da un punto di vista semplicemente intuitivo, ammettere che un provino tirato con eguale

forza su tutte le facce resista indefinitamente senza subire deformazioni permanenti è assai

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arduo. L'ipotesi che gli studiosi che si sono occupati dell'argomento hanno proposto e che

viene ormai comunemente accettata prevede che nel caso di trazione idrostatica il materiale

resista in condizioni di deformazione elastica fino a rompersi con un meccanismo

tipicamente fragile, senza cioè esibire alcuna deformazione permanente precedente la

rottura.

In tale ipotesi la superficie di plasticità deve essere aperta anche dalla parte delle tensioni

idrostatiche positive ed ad essa va sovrapposta una ulteriore superficie, luogo dei punti per i

quali si verifica la rottura fragile del materiale.

1.5.5 Teoria di Von Mises (dell’energia di distorsione)

Le considerazioni esposte in precedenza mostrano che la superficie di plasticità deve essere

aperta sia dal lato delle tensioni idrostatiche positive che dal lato delle tensioni idrostatiche

negative, conferendo validità alla condizione proposta dal Tresca. Tale condizione, tuttavia,

presentava il limite di non tenere conto dell'intero stato tensionale, trascurando, di fatto,

l'effetto della tensione intermedia.

Il Von Mises, partendo dalla considerazione, validata sperimentalmente, che in campo

plastico non si ha variazione di volume, ma solo variazione di forma, propose che non tutta

l'energia di deformazione elastica per unità di volume dovesse essere presa in

considerazione - come era stato assunto da Beltrami ed Haigh - ma solo l'aliquota di energia

di deformazione correlata alla variazione di forma.

Egli, pertanto, suggerì che il tensore degli sforzi agenti sul cubetto ideale, fosse scomposto

in un tensore idrostatico, responsabile della variazione di volume, ed in un tensore

deviatorico, responsabile della variazione di forma.

Alla luce dei ragionamenti precedenti solo l'energia associata al tensore deviatorico,

denominata energia di distorsione, deve essere tenuta in considerazione al fine di valutare

l'instaurarsi di condizioni di deformazione plastica. E' quindi necessario procedere al calcolo

di tale termine di energia.

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Come già osservato lo stato tensionale, rappresentato dal seguente tensore:

si può considerare composto da due tensori: uno rappresentativo dello stato idrostatico, ed

uno rappresentativo di quello deviatorico. in altri termini, cioè, vale la seguente relazione:

nella quale la tensione media m è data da:

m = ( 1+ 2+ 3) / 3

L'energia, per unità di volume, associata allo stato idrostatico vale:

ed essendo sempre valide le

dalle quali si ottiene:

si può ricavare, in definitiva:

Ricordando l'espressione dell'energia di deformazione elastica totale, data da:

1

2

3

0 0

0 0

0 0

1

2

3

1

2

3

0 0

0 0

0 0

0 0

0 0

0 0

0 0

0 0

0 0

m

m

m

m

m

m

Wv m i i i

1

2

1

2

1

3

1 1 2 3

2 2 3 1

3 3 1 2

1

1

1

E

E

E

i iE

11 2

WE Ev i i i j

i j

1

61 2

1

61 2

22

1

3

,

WE Ev i i i j

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1

61 2

22

1

3

,

WEe i i

ii i

i jj

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1

2

1

21

3

2

1

3

1

3

,

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

17

l'energia responsabile della variazione di forma risulta:

Nel caso di tensione unidirezionale ( 2= 3=0), ed al limite di scorrimento ( 1= 0),

l'energia di distorsione vale:

Imponendo l'uguaglianza tra l'energia di distorsione nei due casi e sviluppando i calcoli, si

perviene alla nota relazione:

oppure alla analoga, scritta in funzione di tensioni non principali:

Queste ultime due relazioni rappresentano appunto la condizione di plasticità di Von Mises,

la cui rappresentazione nello spazio ( 1, 2, 3) è data da una superficie cilindrica indefinita

1 2

2

2 3

2

3 1

2

0

22

x y y z z x xy yz zx

2 2 22 2 2

0

26 2

W W WE E

E G

d e v ii

i ji j

ii

i ji j

ii

i ji j

1

2

1

61 2

1

62

1

12

2

1

3

1

3

2

1

3

1

3

2

1

3

1

3

1 2

2

2 3

2

3 1

2

, ,

,

WEd

1

62 0

2

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

18

(vedi pagina precedente) avente per asse la trisettrice del primo ottante, superficie aperta sia

dal lato delle tensioni idrostatiche positive che dal lato delle tensioni idrostatiche negative.

Tale cilindro risulta circoscritto al prisma a sezione retta esagonale che esprime la

condizione di Tresca.

L'espressione precedente è riferita ad una condizione di prima plasticizzazione, con il

materiale allo stato ricotto, pertanto in essa figura la tensione di snervamento 0. Se invece

la condizione di plasticità va impiegata per analizzare condizioni di deformazione riferite a

materiali già sottoposti a processi plastici, per i quali si è quindi avuto un fenomeno di

incrudimento, al posto della tensione 0 dovrà comparire la tensione di flusso plastico

calcolabile mediante la ben nota relazione Cn.

Nelle condizioni di taglio puro, ottenibili applicando, ad esempio, una pura torsione,

secondo la teoria di Von Mises la deformazione plastica si raggiunge quando la tensione

tangenziale raggiunge il valore limite 0=0,577 0, mentre secondo la teoria di Tresca

(massima tensione tangenziale) vale la relazione: 0=0,5 0.

1.5.6 Verifiche sperimentali delle condizioni di Plasticità

Nella realtà si è osservato sperimentalmente che alcuni materiali rispondono meglio alla

condizione di Von Mises, mentre altri sono meglio caratterizzati dalla condizione di Tresca.

Sulla base delle considerazioni esposte al termine del precedente paragrafo, al fine di

accertare a quale condizione risponde meglio il materiale, potrà essere sufficiente fare due

prove, una di trazione ed una di torsione e valutare il rapporto 0/ 0. Se esso dovesse

risultare più vicino a 0,577 varrà la condizione di Von Mises, nel caso in cui, invece, risulti

più prossimo a 0,5 varrà la condizione di Tresca.

Altre esperienze, finalizzate alla determinazione del criterio di plasticità più adeguato,

furono condotte dal Lode; quest'ultimo, osservando che nella condizione di Von Mises

viene tenuta in considerazione anche la tensione intermedia, di fatto trascurata dal Tresca,

ideò un esperimento nel quale un provino di grosso spessore è sottoposto a tensione assiale

e pressione interna. In tal modo è possibile far variare, in un range piuttosto ampio, la

tensione intermedia al fine di valutarne l'influenza sul determinarsi delle condizioni di

plasticizzazione.

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

19

Il Lode definì un parametro nella forma:

Le condizioni di Von Mises e di Tresca possono essere quindi espresse in funzione di ; in

particolare la condizione di Von Mises diviene:

mentre la condizione di Tresca, ( 3 - 1) / 0 = 1, è indipendente dalla tensione intermedia

2 e quindi anche da

Diagrammando ( 3 - 1) / 0 in funzione di si ottiene il grafico riportato in figura; è

possibile dimostrare che =0 equivale a condizioni di torsione pura, mentre per =±1 si ha

trazione o compressione. Si può osservare come la massima differenza tra i due criteri si

abbia per la torsione, come d'altra parte già osservato discutendo a proposito della tensione

tangenziale limite 0.

Facendo diverse prove sul materiale al variare del parametro si verifica se i punti

corrispondenti al manifestarsi di deformazioni permanenti si addensano sulla condizione di

Tresca oppure su quella di Von Mises. L’esperienza ha dimostrato che la condizione di Von

Mises interpreta meglio i risultati sperimentali, pur in presenza di una significativa

dispersione.

2

1 3

3 1

2

2

3 1

02

2

3

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

20

1.6 ESEMPIO DEL MENDELSSON

L'esempio che ora analizziamo, inizialmente proposto dal Mendelsson, consente di

sottolineare, ancora una volta, come in campo plastico gli stati di tensione e di deformazione

non rispettano una condizione di corrispondenza biunivoca, così come avviene in campo

elastico. In campo plastico, infatti, al fine di valutare lo stato di deformazione non è più

sufficiente conoscere lo stato tensionale, ma è necessario analizzare l'intera storia di carico

che ha portato allo stato tensionale finale.

Ammettiamo di essere in presenza di un provino tubolare di piccolo spessore sottoposto a

trazione od a torsione. Sul provino potranno pertanto destarsi solo tensioni normali x,

assiali, derivanti dalla trazione, o tensioni tangenziali xy, dovute alla torsione. In tali

condizioni il criterio di snervamento proposto dal Von Mises assume la forma x2

+ 3

xy2= 0

2 la quale, nel piano x, xy si traduce in una ellisse.

Iniziamo a caricare il provino a trazione pura; giunti nel punto A iniziano le deformazioni

permanenti e pertanto, continuando a caricare fino al punto B, il provino accumula

deformazioni normali permanenti (degli allungamenti, in altre parole). Il materiale si è

incrudito e, nell'ipotesi di incrudimento perfettamente isotropo, la nuova condizione di

plasticità sarà ancora una ellisse più allargata (curva FB in figura). Se adesso iniziamo a

scaricare, rientrando in campo elastico fino al punto C e successivamente cominciamo a

caricare a torsione fermandoci nel punto D, otterremo, alla fine della prova solo delle

deformazioni normali permanenti. Infatti per quanto riguarda la torsione, ci siamo fermati

nell'istante in cui stavano per raggiungersi condizioni di deformazione plastica, ma le

deformazioni impresse fino a questo punto sono esclusivamente elastiche.

Analizziamo ora un diverso ciclo di carico su di un materiale nuovamente allo stato ricotto,

iniziando questa volta a caricare a torsione. Giunti nel punto E entriamo in campo plastico e,

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

21

caricando fino al punto F accumuliamo sul pezzo deformazioni tangenziali permanenti

(degli scorrimenti, in questo caso). Se adesso scarichiamo sino al punto H e poi iniziamo a

caricare a trazione fino ad arrivare al punto D, avremo ottenuto sul pezzo alla fine della

prova solo delle deformazioni permanenti di tipo "scorrimenti", mentre gli allungamenti

sono soltanto elastici.

E' pertanto possibile concludere che, pur se con i due cicli di carico analizzati siamo arrivati

allo stesso stato tensionale finale, lo stato deformativo ottenuto è completamente differente,

appunto dipendentemente dal cammino di deformazione percorso. Tale risultato conferma la

validità dell'affermazione esposta in precedenza: in campo plastico il materiale conserva

"memoria" del suo passato e pertanto al fine di valutare lo stato deformativo del pezzo è

necessario ripercorrere l'intera storia di carico.

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

22

2. LAVORAZIONI PER DEFORMAZIONE PLASTICA

2.1 CLASSIFICAZIONE DEI PROCESSI DI FORMATURA

Una classificazione dei processi di formatura può essere condotta facendo riferimento a

numerosi elementi, tra i quali la temperatura alla quale il processo si svolge, le dimensioni e

la forma del pezzo in lavorazione, la tipologia del processo nell'ambito dell'intero ciclo di

lavorazioni, le caratteristiche del meccanismo di deformazione che si instaura nel

semilavorato durante il processo.

Per quanto riguarda la prima metodologia di classificazione, i processi di formatura

possono essere discriminati confrontando la temperatura alla quale vengono eseguiti con la

temperatura di ricristallizzazione, proprietà caratteristica di ogni materiale ed

approssimabile, in prima analisi, alla metà della temperatura di fusione.

Il fenomeno della ricristallizzazione, come pure il fenomeno del riassetto (recovery) che si

verifica a temperature leggermente inferiori (tra 0.3Tm e 0.5Tm), è legato alla mobilità

degli atomi all'interno del reticolo cristallino. In particolare nella prima fase del riassetto si

assiste ad un riarrangiamento delle dislocazioni secondo configurazioni più regolari, ciò che

comporta la crescita delle caratteristiche di duttilità del materiale e la riduzione della

tensione di flusso plastico (softening) senza tuttavia che la struttura granulare del materiale

venga a subire visibili trasformazioni.

Al contrario nella fase della ricristallizzazione, gli atomi hanno acquisito una mobilità ed

una capacità di diffusione tale da poter formare nuovi nuclei di cristallizzazione,

relativamente esenti da dislocazioni, e quindi una struttura granulare completamente nuova.

Normalmente la struttura cui si perviene è caratterizzata da grani orientati in modo casuale

nello spazio - il materiale pertanto assume caratteristiche isotrope -, con una dimensione dei

grani cristallini funzione della temperatura, del tempo in cui si permane a quella temperatura

e dell'esistenza di eventuale lavoro plastico a freddo compiuto su quel materiale.

Le considerazioni che precedono mostrano l'importanza della temperatura affinché si

verifichino i fenomeni del riassetto e della ricristallizzazione, fenomeni che conducono ad

un addolcimento (softening) delle caratteristiche del materiale, con la riduzione della

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

23

tensione di snervamento e di rottura e l'incremento della duttilità del materiale, della

capacità cioè di subire deformazioni permanenti prima che avvenga la frattura.

Pertanto una prima classificazione dei processi di lavorazione, per la verità piuttosto

approssimata, prevede una distinzione tra processi "a freddo" od "a caldo",

dipendentemente se la temperatura di lavorazione è minore o maggiore di 0.5Tm.

In realtà la classificazione che oggigiorno viene più frequentemente adottata distingue i

processi di formatura in processi "a freddo" (cold working), "a tiepido" (warm working) ed

"a caldo" (hot working).

Le lavorazioni per deformazione plastica a freddo sono quelle condotte a temperatura

ambiente, anche se, per la trasformazione dell'energia di deformazione in calore

(normalmente si ammette che almeno il 90-95% dell'energia di deformazione viene

trasformata in calore), la temperatura del pezzo in lavorazione può, in alcuni casi,

raggiungere anche i 100-200°C.

Lo scopo delle lavorazioni a freddo è quello di produrre componenti "finiti", in possesso

della forma e delle dimensioni richieste per la specifica applicazione cui sono destinati, i

quali pertanto non richiedono l'esecuzione di successive lavorazioni per asportazione di

truciolo, se non per alcune superfici particolari. Le lavorazioni a freddo consentono

infatti di raggiungere un livello di accuratezza dimensionale assai elevato.

Le prime applicazioni di processi a freddo risalgono al diciannovesimo secolo, ed erano

relative a componenti in materiali "teneri", quali il piombo e l'alluminio: la forgiatura di

pezzi in acciaio non era possibile sia per problemi connessi alla capacità di carico delle

macchine allora disponibile e soprattutto per l'assenza di efficaci metodologie di

lubrificazione, che comportavano problemi di aderenza al contatto stampi-pezzo in

lavorazione. Questi problemi furono risolti con lo sviluppo, in Germania, dei trattamenti

di fosfatazione superficiale, accompagnati dall'impiego di efficaci lubrificanti quali i

saponi metallici

Oggigiorno i processi per deformazione plastica a freddo sono largamente impiegati per

la produzione di componenti di dimensioni non molto elevate (in generale il cui peso è

inferiore ad un chilogrammo), costruiti in acciai a basso e medio tenore di carbonio. La

riduzione ed in alcuni casi la totale cancellazione di successive, costose, lavorazioni per

asportazione di truciolo, rendono questi processi assai attraenti dal punto di vista dei

costi, in una produzione su larga serie.

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

24

Tuttavia vi sono alcuni aspetti da tenere presente, che, in qualche modo, limitano le

possibilità di applicazione di questi processi. In primo luogo si è già osservato che le

lavorazioni a freddo richiedono una attenta ed efficace lubrificazione, lubrificazione che

va ripristinata tra una lavorazione e l'altra nel caso in cui, ed è certamente il caso più

frequente, la realizzazione di un pezzo richieda una sequenza di operazioni di formatura.

I problemi connessi alla lubrificazione coinvolgono peraltro aspetti di carattere

ambientale, dal momento che la scelta di adottare processi di formatura a freddo,

determina per l'azienda la necessità di dotarsi di consistenti e costosi impianti per lo

scarico od eventualmente per il riciclaggio dei liquidi esausti.

Occorre inoltre tenere in considerazione che il materiale, lavorato a freddo, incrudisce,

con un conseguente aumento della tensione di flusso plastico (e quindi del carico di

formatura richiesto alla macchina utensile perché la lavorazione possa svolgersi) ed una

riduzione della capacità di subire ulteriori deformazioni permanenti senza che si

manifestino fratture. Tutto ciò comporta che il processo produttivo deve essere

continuamente interrotto per effettuare processi intermedi di ricottura, con i quali

vengono annullati gli effetti del lavoro plastico condotto sul materiale.

In definitiva la necessità di frequenti interruzioni del processo produttivo, legata ad

operazioni di ricottura ed al ripristino della lubrificazione, limita la validità, dal punto di

vista economico, dei processi di formatura a freddo.

le lavorazioni per deformazione plastica a caldo vengono condotte a temperature al di

sopra della temperatura di ricristallizzazione 0.5Tm, generalmente a temperature

comprese tra 0.7Tm. e 0.9Tm. Per quanto riguarda gli acciai, il tipico processo di

forgiatura tra stampi semi-chiusi (largamente impiegato nell'industria automobilistica ad

esempio per la produzione delle bielle) è realizzato intorno ai 1200°C. A queste

temperature il materiale esibisce un notevole addolcimento (softening), dovuto ai

fenomeni di riassetto e di ricristallizzazione (talvolta indotti dalla stessa esecuzione del

processo di formatura, nel qual caso si parla di un riassetto o di una ricristallizzazione

dinamica), o, più in generale, dalla notevole mobilità e capacità di diffusione degli atomi

che rende più agevole il movimento delle dislocazioni.

Nei processi per deformazione plastica a caldo si ha quindi il notevole vantaggio di

dover lavorare un materiale caratterizzato da tensioni di flusso plastico alquanto

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

25

modeste e da elevata duttilità: è quindi possibile ottenere componenti anche di rilevanti

dimensioni con macchinari non troppo potenti, ed imprimere elevate deformazioni in

pochi passaggi. La lubrificazione, peraltro, non rappresenta un rilevante problema, dal

momento che viene di solito impiegata acqua allo scopo sia di lubrificare il pezzo in

lavorazione, che di raffreddare gli stampi.

Tuttavia i processi a caldo presentano notevoli inconvenienti dal punto di vista

dell'accuratezza dimensionale e della possibilità di formazione di ossidi sulle superfici

dei pezzi lavorati. Per quanto riguarda gli acciai i fenomeni di ossidazione assumono

particolare rilevanza al di sopra dei 900°C e determinano la necessità di un successivo

processo di asportazione dello strato superficiale decarburato: a tale problema, tuttavia,

si riesce almeno parzialmente ad ovviare rendendo più veloce il processo di

riscaldamento (riscaldamento ad induzione) o riducendo a 1000°C la temperatura alla

quale la lavorazione viene condotta, pur se, in tal modo, la tensione di flusso plastico è

leggermente maggiore. Da un punto di vista economico vanno infine evidentemente

tenuti nella dovuta considerazione i costi connessi al riscaldamento dei semilavorati alle

temperature di processo.

I principali difetti connessi alle lavorazioni di formatura a freddo ed a caldo sono,

almeno parzialmente, risolti ricorrendo alle lavorazioni di formatura "a tiepido"

(warm forming). Si tratta di una tipologia di processo in rapido sviluppo, in particolare

per quanto riguarda la produzione di pezzi in acciaio a medio ed alto tenore di carbonio

ed in acciaio legato per l'industria automobilistica.

I primi studi relativi alla formatura tiepida risalgono all'inizio degli anni '70, in

Giappone, in quanto essa fu vista come una metodologia potenzialmente in grado di

consentire la costruzione di pezzi caratterizzati da un livello di accuratezza

dimensionale prossimo a quella tipico del "cold forming", ma, rispetto a questo, molto

più complessi dal punto di vista della forma. Inoltre, aumentando la temperatura di

lavorazione rispetto alla temperatura ambiente, era possibile deformare plasticamente

materiali quali gli acciai a medio ed alto tenore di carbonio e gli acciai legati, i quali a

temperatura ambiente sono caratterizzati da una tensione di flusso plastico troppo

elevata e da una duttilità troppo limitata per poter essere sottoposti a deformazione.

La scelta della temperatura di processo deriva pertanto da un compromesso: da una

parte le esigenze di un elevato livello di accuratezza dimensionale e di una buona

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

26

finitura superficiale (ciò che evidentemente rende i fenomeni di ossidazione superficiale

assolutamente indesiderati e da evitare), nonchè evidenti considerazioni di carattere

economico-energetico, indurrebbero a tenere quanto più bassa possibile la temperatura

di preriscaldo del semilavorato prima del processo. Essa tuttavia deve essere

sufficientemente elevata da consentire una congrua riduzione della tensione di flusso

plastico e soprattutto una elevata duttilità tale da garantire il riempimento completo

dello stampo e quindi il corretto ottenimento della forma finale desiderata, naturalmente

senza che si manifestino fratture.

Per tale ragione gli acciai al carbonio e gli acciai legati sono normalmente forgiati a

tiepido nell'intervallo di temperature compreso tra i 600°C e gli 850°C. Recentemente la

forgiatura tiepida è stata applicata con successo anche su componenti in acciaio

inossidabile austenitico (AISI 304), per i quali la temperatura di preriscaldo è fissata

intorno a 200-300°C.

Le considerazioni precedenti mostrano i notevoli vantaggi offerti dalla formatura

tiepida, tra i quali va altresì annoverato il fatto che i processi di ricottura, da effettuare

frequentemente nella formatura a freddo, non sono più necessari. Tuttavia l'applicazione

a livello industriale di questi processi è tutt'oggi limitata dalla carenza di efficaci

tecniche di lubrificazione: i metodi impiegati nelle lavorazioni a freddo (fosfatazione

della superficie ed impiego di saponi metallici) non possono essere impiegati, in quanto

lo strato di rivestimento della superficie si distrugge intorno ai 300-400°C ed i

lubrificanti si decompongono intorno ai 200°C. I metodi maggiormente impiegati

prevedono l'impiego di finissime particelle di grafite che aderiscono al pezzo quando

questo, preventivamente riscaldato, viene immerso in una soluzione di acqua e grafite;

si tratta tuttavia di una metodologia fortemente inquinante.

In definitiva il "warm forming" rappresenta un settore non ancora sufficientemente

consolidato, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti connessi alla lubrificazione;

recentemente peraltro la formatura a tiepido è stata proposta per componenti in MMC

(compositi a matrice metallica) od in leghe di titanio per applicazioni aerospaziali. Si

tratta, in sostanza, di un settore nel quale è necessario un ulteriore, notevole, sforzo di

ricerca.

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

27

La seconda metodologia di classificazione dei processi di formatura fa riferimento alle

dimensioni ed alla forma del semilavorato: in questo caso i processi di formatura vengono

distinti in "processi di formatura di pezzi pieni" (bulk metal forming processes) e "processi

di formatura delle lamiere" (sheet metal forming processes).

I processi di formatura di pezzi pieni sono quelli relativi a semilavorati per i quali il

rapporto tra la superficie ed il volume è relativamente basso: in questi processi lo spessore

o, più in generale, la sezione trasversale del semilavorato subiscono notevoli variazioni

durante la lavorazione.

Di contro, i processi di formatura delle lamiere sono condotti su semilavorati (le lamiere,

per l'appunto), caratterizzati da una dimensione (lo spessore) molto più piccola rispetto alle

altre due e quindi da un rapporto tra la superficie ed il volume relativamente alto. In questi

processi la riduzione dello spessore della lamiera è generalmente un effetto indesiderato e

può portare alla frattura duttile del componente.

Stabilita questa prima fondamentale differenza, numerosi ulteriori aspetti distinguono i

processi di formatura di pezzi pieni da quelli eseguiti su lamiere:

in primo luogo nel "bulk forming" sul pezzo in lavorazione vengono impresse elevate

deformazioni (si tratta in larga parte di processi caratterizzati da uno stato tensionale

prevalentemente di compressione, nei quali vengono sovente raggiunti valori di

deformazione equivalente anche superiori a 2), deformazioni distribuite, in modo più o

meno uniforme, nell'intero volume del pezzo. Nel caso delle lavorazioni delle lamiere lo

stato tensionale è prevalentemente di trazione e le deformazioni impresse sono molto più

contenute: inoltre esse sono applicate nelle zone in cui gli stampi vengono a contatto con la

lamiera, mentre ampie zone della lamiera medesima subiscono esclusivamente moti rigidi

(si pensi, ad esempio al caso della piegatura libera in aria od alla stessa piegatura a V, prima

che intervenga il fenomeno della coniatura della lamiera contro la matrice);

a causa di ciò lo studio dei processi di formatura di pezzi pieni può essere condotto con

riferimento alla sola componente plastica della deformazione (di gran lunga preponderante

rispetto alla componente elastica, per cui quest'ultima può essere trascurata senza tema di

incorrere in rilevanti errori). Quest'assunzione non può essere invece effettuata nel caso

delle lavorazioni delle lamiere, in cui la componente elastica ha un ruolo rilevante e deve

essere necessariamente tenuta in considerazione: trascurare la parte elastica della

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

28

deformazione non permetterebbe, ad esempio, di spiegare e di analizzare il fenomeno del

ritorno elastico, estremamente importante, ad esempio, nel caso della piegatura;

le lavorazioni per deformazione plastica delle lamiere inoltre vengono condotte su

semilavorati ottenuti mediante precedenti processi di laminazione su tavola piana; tali

processi determinano notevoli fenomeni di incrudimento sul materiale, in particolare lungo

la direzione di laminazione. In generale, pertanto, le lamiere non presentano un

comportamento isotropo, ma le loro caratteristiche meccaniche sono fortemente anisotrope,

circostanza della quale è necessario tener conto durante la fase di progettazione del

processo. I semilavorati da utilizzare per i processi di "bulk forming", invece, vengono di

solito preliminarmente sottoposti a processi di ricottura, con i quali vengono annullati gli

effetti di eventuali precedenti lavorazioni di formatura ed il materiale riacquista proprietà

isotrope;

occorre infine tener conto del fatto che, mentre i processi di formatura di pezzi pieni sono

caratterizzati da uno stato tensionale prevalentemente di compressione (fatta eccezione per

la trafilatura di fili metallici), nelle lavorazioni delle lamiere lo stato tensionale è

generalmente di trazione: si pensi, ad esempio, al caso dell'imbutitura in cui è il punzone

che, agendo sul fondo dell'imbutito, "tira" la lamiera e determina la formazione del bossolo.

Pertanto è in queste ultime lavorazioni che il pericolo di fenomeni di localizzazione delle

deformazioni (necking) e di formazione di fratture duttili (tearing) deve essere

particolarmente tenuto in considerazione, scegliendo i parametri operativi atti a

scongiurarlo: nel "bulk forming" la formazione di fratture duttili dipende dal manifestarsi di

tensioni secondarie (ciò non direttamente dovute all'azione degli stampi) di trazione

(secondary tensile stresses), come, ad esempio, nel caso dello schiacciamento di masselli in

presenza di forte attrito all'interfaccia stampo-pezzo.

Le ultime due metodologie di classificazione dei processi di formatura (per la verità meno

frequentemente utilizzate) fanno riferimento rispettivamente alla "posizione" del processo

considerato nell'ambito dell'intero ciclo di lavorazione dei componente, ed alle

caratteristiche peculiari del meccanismo di deformazione.

In particolare nel primo caso le lavorazioni vengono distinte in lavorazioni primarie e

secondarie: sono lavorazioni primarie quelle eseguite nei primi stadi del ciclo di

lavorazione, allo scopo di ottenere semilavorati sui quali andranno successivamente

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

29

condotte le lavorazioni secondarie. A titolo di esempio, il già citato processo di laminazione

su tavola piana costituisce una lavorazione primaria, in quanto consente di ottenere

semilavorati (lamiere) sulle quali eseguire altre lavorazioni secondarie (l'imbutitura, lo

stampaggio) per l'ottenimento dei pezzi finali.

La distinzione è tuttavia piuttosto labile, in quanto molto frequentemente, le lavorazioni

primarie, condotte in condizioni e con parametri operativi opportuni, permettono di ottenere

pezzi finiti: è ancora il caso della laminazione su tavola piana, che, nei passaggi conclusivi

ed a freddo, consente di ottenere lamierini sottili caratterizzati da elevatissime tolleranze

dimensionali, sui quali non è necessario condurre alcuna ulteriore operazione prima

dell'impiego.

Infine i processi per deformazione plastica possono essere distinti in processi stazionari e

processi non stazionari. Nel primo caso tutte le parti del pezzo in lavorazione vengono

successivamente sottoposte allo stesso meccanismo di deformazione: tale circostanza è

tipica, ad esempio, dei processi di estrusione e trafilatura, nei quali le varie zone del

semilavorato sotto tutte costrette ad un flusso conico attraverso la matrice. Nei processi non

stazionari, invece, la geometria del pezzo in lavorazione e le stesse caratteristiche

meccaniche del materiale vanno cambiando nel corso del processo; è, ad esempio, il caso

dello schiacciamento di un massello tra due piatti piani e paralleli: man mano che il

processo si sviluppa, la geometria del provino si evolve (si riduce l'altezza ed aumenta la

sezione compressa tra i piatti in modo da rispettare l'invariabilità del volume) ed il materiale

sottoposto a deformazione incrudisce, con un conseguente progressivo aumento della

tensione di flusso plastico. Prendendo nuovamente in esame il processo di estrusione, non vi

è dubbio che la fase di imbocco e quella finale costituiscono fasi non stazionarie nell'ambito

di un processo prevalentemente stazionario.

E' evidente che dipendentemente dalla natura stazionaria o non stazionaria dei processi,

l'analisi dei processi medesimi dovrà essere condotta in modo diverso. I processi stazionari

possono essere studiati, infatti, con un approccio euleriano: si tratta cioè di individuare un

volume di riferimento (nel caso dell'estrusione il volume di riferimento sarà evidentemente

costituito dalla zona di deformazione, la porzione cioè della matrice nella quale viene

impressa la riduzione del diametro) e di analizzare il meccanismo di deformazione che si

verifica in questo volume, meccanismo di deformazione che sarà identico per tutto il

materiale che nel corso del processo passerà attraverso il volume di riferimento. L'approccio

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

30

da seguire per i processi non stazionari è invece di tipo lagrangiano: in questo caso l'intera

geometria del pezzo in lavorazione deve essere seguita durante il processo e l'analisi deve

essere condotta per via incrementale: la durata del processo deve essere cioè divisa in tanti

incrementi (è evidente che il livello di suddivisione influenza la precisione dell'analisi

condotta), all'inizio di ciascuno dei quali devono essere aggiornate sia la geometria del

pezzo che le caratteristiche meccaniche del materiale. Non è più sufficiente, quindi, una sola

analisi, ma essa va ripetuta con riferimento a ciascun incremento temporale.

2.2 PROGETTAZIONE DI UN PROCESSO DI FORMATURA

L'obiettivo di un processo di formatura è rappresentato dalla realizzazione, secondo la

metodologia economicamente più conveniente, di un pezzo di forma alquanto complessa

partendo da un semilavorato di geometria semplice. Naturalmente il pezzo finito deve essere

esente da difetti, siano essi difetti di forma o di mancato riempimento, cattiva qualità della

superficie, non adeguate caratteristiche meccaniche o microstrutturali od infine fratture

interne od esterne, che possano comprometterne l'impiego in esercizio.

Quasi sempre, peraltro, una sola lavorazione di formatura non è sufficiente per il

raggiungimento dell'obiettivo: di solito la produzione di un componente di interesse

industriale richiede l'esecuzione di una intera sequenza di lavorazioni per deformazione

plastica per trasformare la geometria iniziale "semplice" nella geometria finale "complessa",

sequenza della quale fanno parte, come si è detto in precedenza, anche processi intermedi di

ricottura del materiale ed operazioni di lubrificazione.

Conseguentemente il progetto di un processo di formatura consiste nella scelta della

sequenza di operazioni economicamente e tecnologicamente più conveniente per la

produzione del pezzo finito: il progettista dovrà cioè definire la migliore sequenza di

operazioni e per ciascuna di esse dovrà scegliere i parametri operativi più adatti.

Concentrando più in particolare l'attenzione su una singola lavorazione, il progettista

dispone di una serie di dati di input, conosce l'obiettivo da raggiungere ed i vincoli

collaterali da soddisfare ed il suo compito (in ciò appunto consiste il "progetto") è quello di

scegliere alcuni parametri operativi.

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

31

Entrando maggiormente nel dettaglio, i principali dati di input sono costituiti dalle

caratteristiche del materiale: deve essere evidentemente nota la legge reologica, e cioè il

legame costitutivo tra la tensione di flusso plastico, la deformazione, la velocità di

deformazione e la temperatura (nel caso di processi di deformazione a caldo od a tiepido) o

più semplicemente tra tensione di flusso plastico e deformazione nel caso di processi a

freddo; se il processo in esame è un processo di formatura delle lamiere, è altresì

fondamentale, alla luce di quanto si è detto in precedenza, conoscere le caratteristiche di

anisotropia del materiale; è inoltre essenziale disporre di dati relativi alla duttilità, o per

meglio dire, alla formabilità del materiale, relativi cioè alla capacità del materiale di subire

deformazioni permanenti senza pervenire alla frattura duttile.

L'obiettivo da raggiungere si concretizza naturalmente nel prodotto: di esso devono essere

note la geometria e le dimensioni desiderate, le tolleranze ammesse, la qualità superficiale

richiesta e, se necessario, le caratteristiche microstrutturali, dal punto di vista, ad esempio,

delle dimensioni dei grani cristallini. La progettazione peraltro va condotta nel rispetto dei

vincoli, tra i quali quelli relativi alle macchine ed alle attrezzature di stabilimento

disponibili, ad esempio per quanto riguarda la massima capacità di carico.

Ciò premesso la progettazione consiste nella scelta di una serie di parametri operativi,

riassumibili in:

parametri operativi relativi alla geometria degli stampi e del semilavorato:

facendo ad esempio riferimento ad una lavorazione di forgiatura a caldo tra stampi semi-

chiusi, il problema fondamentale da affrontare per ottenere il successo dell'operazione è

quello del completo riempimento della cavità tra gli stampi: in questo caso il progettista

deve definire la geometria del canale di bava ("flash"), nonchè le dimensioni, la forma e

la posizione iniziale del semilavorato all'interno della cavità;

analogamente in una lavorazione di stampaggio delle lamiere, ad esempio nel caso,

relativamente semplice, di imbutitura di una vaschetta rettangolare, il progettista dovrà

definire la geometria del "blank" di partenza, dovrà scegliere i raggi di raccordo del

punzone e della matrice, tra i quali, fondamentale, è il raggio di raccordo in pianta, ed

infine dovrà stabilire il giuoco tra punzone e matrice.

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32

parametri operativi relativi al processo:

si tratta di tutti quei parametri che definiscono, da un punto di vista tecnologico, le

modalità di svolgimento del processo, quali la temperatura di preriscaldo del

semilavorato, la temperatura iniziale degli stampi, le condizioni di lubrificazione

all'interfaccia stampo-pezzo, la velocità con la quale si muovono gli stampi, e, nel caso

dello "sheet metal forming", la pressione esercitata sulla lamiera dal premilamiera.

Sono questi i parametri operativi di processo per così dire tradizionali: lo sviluppo di

nuovi processi di formatura, o di modi innovativi di condurre processi tradizionali,

introduce nuovi parametri operativi. Si pensi, ancora con riferimento al processo di

imbutitura di vaschette quadrate, alla possibilità di impiegare premilamiera

(eventualmente segmentati) a comando oleodinamico gestibili tramite computer: in

questo caso l'intero andamento della pressione applicata dal premilamiera (o da ciascun

segmento del premilamiera) durante la corsa del punzone diventa un parametro

operativo da definire in modo opportuno per evitare i problemi opposti di formazione di

grinze nella flangia o di eccessivo assottigliamento fino alla formazione di fratture

duttili nell'imbutito.

E' evidente che la scelta di tali parametri potrà avvenire solo attraverso l'impiego di

potenti ed affidabili metodologie di analisi e di modellizzazione dei processi in grado di

assistere il progettista del processo produttivo evidenziando il ruolo di ciascun

parametro operativo sulla meccanica del processo di deformazione.

In altri termini la modellizzazione del processo, per ogni assegnato set di parametri

operativi geometrici e di processo prescelti, dovrà consentire di stabilire:

1. Il flusso plastico del materiale, e cioè le relazioni cinematiche, in termini di

spostamenti, velocità, geometria, deformazioni, velocità di deformazione, tra il

semilavorato ed il prodotto ottenuto;

2. i limiti di formabilità, cioè determinare se è possibile pervenire all'ottenimento per

deformazione della forma finale desiderata, senza che si manifestino fratture duttili

sulla superficie del pezzo od all'interno;

3. i carichi necessari per l'esecuzione della lavorazione e le sollecitazioni agenti sugli

stampi, in modo da verificare la compatibilità con le macchine e con le attrezzature

disponibili presso l'impianto;

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33

4. la microstruttura ottenuta sul pezzo prodotto, al fine di valutare le caratteristiche

meccaniche del prodotto finito e quindi verificarne la congruenza con le specifiche

progettuali.

Questo risultato è possibile solo mediante l'impiego di tecniche di simulazione numerica

agli elementi finiti, ormai largamente diffuse anche in ambiente industriale. La simulazione

ha raggiunto oggigiorno un livello di attendibilità e di affidabilità dei risultati, tale da

sostituirsi validamente alle tradizionali tecniche sperimentali "trial and error", comportando,

rispetto a queste ultime, un evidente risparmio in termini di tempi e di costi.

Occorre tuttavia far rilevare che la simulazione numerica costituisce una metodologia di

verifica e non di progetto: si tratta cioè di una tecnica in grado, una volta che sia stato

definito un set di parametri operativi, di verificarne la validità tramite il confronto tra il

prodotto ottenuto e le specifiche progettuali. E' evidente pertanto che la scelta del miglior

set di parametri operativi richiederebbe un numero di simulazioni praticamente infinito, al

fine di determinare l'efficacia di ciascuna combinazione.

Tutto ciò peraltro con riferimento ad una singola lavorazione: le cose si complicano se si

considera l'intera sequenza di processi di formatura generalmente necessaria per pervenire al

prodotto finito. Si pensi ad esempio al caso della forgiatura a caldo delle bielle nell'industria

automobilistica: questo processo richiede l'esecuzione di almeno tre o quattro passaggi di

forgiatura, necessari per portare la forma semplice del semilavorato alla forma complessa

desiderata. La progettazione del processo richiede pertanto la definizione della geometria

del prodotto finito di ciascun processo intermedio, il quale naturalmente costituisce il

semilavorato per l'operazione successivo. L'applicazione diretta di tecniche di simulazione

numerica risulta evidentemente impossibile in questo caso.

Per questa ragione, negli anni più recenti, è stata proposta l'applicazione di tecniche di

intelligenza artificiale, da affiancare alla simulazione numerica, per la progettazione di

processi di formatura.

Le tecniche di intelligenza artificiale hanno sostanzialmente il compito di codificare la

conoscenza disponibile. Ciò avviene, laddove possibile, attraverso la definizione di regole di

processo per ciascuna lavorazione: è il caratteristico modo di procedere dei sistemi esperti,

nei quali viene stabilita una "base di conoscenza" composta da un numero, il più possibile

elevato, di regole empiriche. Ad esempio, nel caso di un processo di imbutitura di pezzi

assialsimmetrici, le regole riguarderanno i valori limite del rapporto di imbutitura, le

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34

dimensioni della lamiera circolare da cui partire e così via. Se il processo richiede più

passaggi il sistema conterrà alcune regole relative al sequenziamento ed in particolare alla

più opportuna suddivisione della riduzione totale di diametro (tra la lamiera di partenza ed il

bossolo al quale si desidera pervenire) tra i vari passaggi.

Il secondo elemento caratteristico di un sistema esperto è il "motore inferenziale": è

quest'ultimo che, in fase di progettazione del processo produttivo, genera le possibili

sequenze e, sulla base delle regole contenute sulla base di conoscenza, analizza la loro

validità dal punto di vista tecnologico scartando quelle che non rispettano le regole

medesime.

Non sempre, però, la conoscenza disponibile è classificabile mediante regole: i processi di

formatura costituiscono in effetti una tecnologia largamente basata sull'esperienza:

attraverso gli anni si è accumulato un grandissimo ammontare di conoscenze e di

esperienze, principalmente grazie ad un approccio sperimentale di tipo "trial and error". La

codifica di questo bagaglio rappresenta un obiettivo certamente assai complesso e

probabilmente impossibile. Pertanto ai sistemi esperti si è affiancata una ulteriore tecnica di

intelligenza artificiale, quella basata sulle reti neuronali. In questo caso la conoscenza non è

codificata, ma è direttamente utilizzata per allenare una rete, opportunamente strutturata

(numero di neuroni di input, di output, numero degli strati intermedi nascosti e così via).

L'impiego di tecniche di intelligenza artificiale permette tuttavia solo una progettazione di

massima del processo di formatura: esso infatti è in ogni caso basato su un numero limitato

di regole empiriche o di casi industriali e consente pertanto solo di definire, nell'ambito di

tutte le possibili sequenze di lavorazione, quelle tecnologicamente ammissibili e cioè

compatibili con le regole. Il passo successivo, la scelta cioè della sequenza migliore, può

essere effettuata solo impiegando una metodologia di analisi in grado di analizzare nel

dettaglio la meccanica del processo di deformazione, calcolare il flusso plastico del

materiale, predire i carichi necessari e le sollecitazioni agenti sulle attrezzature, individuare

la possibilità di formazione di difetti. Ecco quindi che un approccio sinergico tra le tecniche

di intelligenza artificiale e le metodologie di simulazione numerica appare oggigiorno il più

efficace, affidabile e potente per la progettazione di processi di formatura dei metalli.

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35

2.3 METODOLOGIE DI ANALISI DEI PROCESSI DI FORMATURA

Si è visto, nel paragrafo che precede, che l'analisi di un processo di formatura per assegnate

condizioni operative deve fornire precise risposte in merito al flusso plastico del materiale,

ai carichi necessari, alle sollecitazioni agenti sulle attrezzature ed in fine, all'eventuale

insorgenza di difetti. In letteratura è possibile individuare alcune differenti metodologie: nel

seguito saranno prese in esame quelle maggiormente utilizzate nella pratica, avendo cura di

evidenziare, per ciascuna di esse, i risultati ottenibili ed i limiti caratteristici.

2.3.1 Lo slab method

Nello "slab method" o "elementary method" viene studiato l'equilibrio delle forze agenti su

di un elementino del corpo da deformare, utilizzando una distribuzione delle tensioni

semplificata. Il metodo considera le tensioni agenti sulla superficie di un elementino isolato

all'interno del pezzo in lavorazione, cui viene imposto l'equilibrio delle forze. Ciò conduce,

in genere, ad una equazione differenziale, che viene integrata, analiticamente o

numericamente, utilizzando la condizione di plasticità ed assumendo una legge di attrito.

L'integrazione dell'equazione differenziale conduce alla determinazione, sia pure

approssimata, della distribuzione delle tensioni agenti sul pezzo, della distribuzione delle

pressioni all'interfaccia stampo-pezzo e, conseguentemente ad una stima dei carichi

necessari.

L'integrazione dell'equazione differenziale richiede tuttavia, di solito, l'assunzione di ipotesi

semplificative sullo stato tensionale: in genere è necessario assumere quali principali

tensioni che in realtà principali non sono, non considerando, in altri termini, la presenza di

azioni tangenziali dovute all'attrito sulle superfici su cui esse agiscono. Ciò nonostante lo

"slab method" ha trovato un gran numero di applicazioni proprio perchè è facilmente

implementabile anche su piccoli elaboratori, ciò che consente di analizzare, rapidamente ed

a basso costo, l'influenza di alcuni parametri operativi sullo stato tensionale e sui carichi

richiesti per lo svolgimento del processo. Si tratta, in definitiva, di un metodo in grado di

suggerire solo alcune informazioni al progettista del processo produttivo, mentre, ad

esempio, non fornisce alcuna indicazione sul flusso plastico del materiale.

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36

2.3.2 L'upper bound method

Il metodo dell'"upper bound" è basato sul teorema omonimo e pertanto sulla individuazione

di un campo di velocità cinematicamente ammissibile in grado di descrivere lo scorrimento

plastico del materiale. Un campo di velocità è detto cinematicamente ammissibile quando

rispetta le condizioni cinematiche al contorno e la condizione di invariabilità del volume.

Sulla base del campo di velocità preso in considerazione è possibile calcolare i vari termini

della potenza di deformazione totale per unità di volume, quelli cioè associati alla

deformazione plastica interna, all'energia dissipata in corrispondenza di eventuali

discontinuità della componente tangenziale del vettore velocità (la componente normale non

può ammettere discontinuità dovendo essere rispettata la condizione di invariabilità del

volume) ed infine all'energia dissipata dalle forze esterne note, tra le quali vanno in primo

luogo considerate le forze di attrito agenti all'interfaccia stampi-pezzo in lavorazione. La

somma di tali termini fornisce la potenza totale necessaria per la formatura e

conseguentemente, nota la velocità di spostamento degli stampi, è possibile ricavare il

carico da applicare.

Ebbene il teorema del limite superiore garantisce che la potenza così calcolata costituisce, in

ogni caso, un limite superiore della potenza effettivamente necessaria. Esso infatti stabilisce

che tra tutti i campi di velocità cinematicamente ammissibili, il campo di velocità reale è

quello che minimizza la potenza totale di deformazione: al campo di velocità reale è

associato, tramite le leggi tensioni-deformazioni, lo stato tensionale reale il quale è

certamente staticamente ammissibile, cioè rispetta la condizione di equilibrio e le condizioni

statiche al contorno.

Un generico campo di velocità cinematicamente ammissibile fornisce quindi una stima per

eccesso, un "upper bound", della potenza e del carico richiesti per l'esecuzione di una

lavorazione: chiaramente, quanto più basso è questo "upper bound", tanto più la soluzione

ottenuta sarà vicina a quella reale.

Non è evidentemente possibile investigare tutti i campi di velocità cinematicamente

ammissibili: tuttavia se si considera una classe di campi di velocità dipendenti da uno o più

parametri, l'elemento migliore di questa classe potrà essere determinato minimizzando la

potenza totale di formatura rispetto al parametro od ai parametri. In generale quanto

maggiore è il numero di parametri, tanto più precisa sarà l'analisi, ma anche tanto più

complesso ed oneroso risulterà il processo di calcolo: conseguentemente l'applicazione

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

37

pratica del metodo richiede un intelligente compromesso nella scelta dei parametri utilizzati

per definire la classe di campi di velocità.

Il metodo dell'"upper bound", nelle sue varie versioni (metodo di Johnson-Kudo, metodo di

Avitzur etc.), è stato largamente utilizzato nella progettazione di processi di formatura. Il

concetto di upper-bound è infatti del tutto compatibile con la logica da seguire nella scelta

della macchina necessaria per l'esecuzione di un dato processo: nelle lavorazioni di

formatura viene infatti imposto il movimento agli stampi, mentre alla macchina è richiesto

un carico in grado di equilibrare, durante il processo, la resistenza opposta dal materiale alla

deformazione imposta. Pertanto la conoscenza, con assoluta precisione, del carico richiesto

istante per istante, ha una rilevanza piuttosto relativa; in genere è del tutto sufficiente

conoscere un upper bound del carico, un valore cioè che in ogni caso approssima per

eccesso il carico effettivamente richiesto. Il metodo dell'upper bound, inoltre, fornisce una

valutazione, sia pure approssimata, del flusso plastico del materiale rappresentato dalla

distribuzione di velocità cinematicamente ammissibile assunta.

Prima di passare al metodo degli elementi finiti si ritiene di dover fornire un cenno relativo

al metodo delle "slip-line" ed alla visioplasticità. Il primo approccio, piuttosto interessante

dal punto di vista teorico, è basato sull'individuazione della distribuzione delle "slip lines"

(linee di scorrimento), definite come le curve tangenti, punto per punto, alle direzioni delle

tensioni tangenziali massime e minime agenti nel pezzo in lavorazione. L'applicazione del

metodo, che in effetti è in grado di fornire soluzioni esatte, è tuttavia limitata a processi che

si svolgono in condizioni di deformazione piana su materiali aventi comportamento rigido-

perfettamente plastico, per i quali cioè la parte elastica della deformazione ed il fenomeno

dell'incrudimento siano trascurabili.

Il metodo della visioplasticità combina invece osservazioni sperimentali ed analisi: sul

pezzo in lavorazione sono impresse delle griglie, analizzando le quali è possibile ricavare, in

processi stazionari, la distribuzione reale delle velocità all'interno del pezzo. Dalla

distribuzione delle velocità si risale alle velocità di deformazione e da esse, tramite le

equazioni costitutive del materiale, alla distribuzione delle tensioni. L'applicabilità del

metodo è evidentemente limitata a processi stazionari per i quali la determinazione

sperimentale delle velocità sia possibile.

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38

2.3.3 Il metodo degli elementi finiti

Il metodo degli elementi finiti è basato sul concetto della "discretizzazione": il dominio

della funzione oggetto di studio (spostamento, velocità, temperatura) è suddiviso in

sottodomini ("elementi"), interconnessi nei "punti nodali". In tal modo la funzione è

approssimata localmente, all'interno di ciascun elemento, mediante una funzione continua

(funzione "forma" od "interpolatrice") descritta univocamente dai valori assunti dalla

funzione stessa nei punti nodali. Ad esempio l'impiego di una funzione forma consente di

esprimere il valore della velocità lungo l'asse x di un qualunque punto all'interno

dell'elemento in funzione dei valori assunti nei nodi.

La soluzione del problema analizzato non è quindi più costituita da una funzione agente in

un dominio, ma da un numero discreto di variabili, tramite le quali è possibile risalire ad una

valutazione, sia pure approssimata, dell'andamento della funzione nell'intero dominio.

Appare immediatamente evidente come il numero degli elementi impiegati nella

discretizzazione ed il grado della funzione forma (lineare, quadratica, cubica, etc.) influenza

notevolmente il livello di approssimazione dell'analisi e, di converso, la quantità di calcoli

necessaria e quindi, in ultima analisi, i tempi ed i costi dell'elaborazione.

Al fine di pervenire alla soluzione ad elementi finiti di un problema fisico, è quindi

necessario:

1. definire le equazioni fondamentali che governano il processo;

2. definire una discretizzazione in grado di garantire un buon compromesso tra la

qualità dei risultati ed i tempi (e quindi i costi) necessari per l'analisi;

3. per ciascun elemento scrivere le equazioni fondamentali "discretizzate", in

funzione cioè delle variabili nodali;

4. assemblare le equazioni elementari in un sistema globale;

5. risolvere numericamente il sistema di equazioni (sia esso lineare o non lineare) così

ottenuto.

Lo svolgimento delle fasi 1. e 3. appena citate può avvenire mediante l'impiego di diversi

tipi di approcci; in particolare è possibile seguire un approccio variazionale, un approccio

residuale od un approccio basato su un bilancio energetico.

Entrando maggiormente nel merito della simulazione ad elementi finiti di processi di

formatura, l'approccio variazionale consiste nella minimizzazione di un funzionale

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39

opportunamente definito e dipendente dalle equazioni costitutive del materiale in esame. In

particolare, come meglio sarà descritto nel prosieguo, detto funzionale è definito sulla base

del teorema dell'upper-bound ed è espresso localmente, per ciascun elemento, in funzione

delle variabili nodali; successivamente i funzionali elementari sono assemblati nel

funzionale globale, sul quale viene imposta la condizione di stazionarietà.

L'approccio residuale è invece basato sulla minimizzazione a livello globale (a livello cioè

dell'elemento finito) dei residui causati dal mancato soddisfacimento puntuale delle

equazioni fondamentali da parte della soluzione approssimata ad elementi finiti. Per rendere

più chiaro il precedente concetto è opportuno far ricorso ad un esempio. Nella meccanica

del continuo, le equazioni fondamentali che governano il processo sono le condizioni di

equilibrio statico le quali devono essere verificate puntualmente all'interno e sulla superficie

esterna del dominio preso in esame; l'impiego di funzioni forma e quindi l'ipotesi ad esso

connessa di un particolare andamento degli spostamenti (e di conseguenza delle

deformazioni e delle tensioni) all'interno dell'elemento, determina il mancato

soddisfacimento puntuale delle equazioni di equilibrio e quindi l'insorgere di un errore

puntuale (il "residuo"). La formulazione residuale consiste appunto nella minimizzazione

globale, condotta cioè con riferimento al volume dell'elemento, dei residui puntuali,

oppotunamente pesati.

E' infine possibile utilizzare un approccio di "tipo energetico", facendo riferimento al

principio dei lavori virtuali ed esprimendo in termini discreti le equazioni così ottenute. In

effetti sarebbe possibile dimostrare che le due ultime formulazioni sono praticamente

equivalenti dal punto di vista di una soluzione ad elementi finiti, dal momento che il

principio dei lavori virtuali costituisce una "forma debole", valida cioè a livello elementare,

delle equazioni di equilibrio.

2.3.4 Aspetti relativi alla simulazione ad elementi finiti di processi di formatura

Equazioni costitutive: formulazione "flow" e "solid"

Nel capitolo introduttivo si è osservato che nell'analisi dei processi di formatura, in

particolare per quanto riguarda i processi di "bulk forming", la componente elastica della

deformazione può essere ragionevolmente trascurata, senza che ciò infici il livello di

accuratezza dello studio. Tale assunzione conduce ad una caratterizzazione del materiale di

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

40

tipo rigido-plastico o rigido-viscoplastico, dipendentemente se l'influenza della velocità di

deformazione sulla tensione di flusso plastico sia o meno rilevante.

Dal punto di vista della simulazione il poter trascurare la parte elastica della deformazione

presenta notevole rilevanza, in quanto permette una notevole semplificazione delle

equazioni costitutive: le equazioni alle quali far riferimento sono le equazioni di Levy-

Mises, che legano direttamente le componenti del vettore deviatore delle tensioni con le

componenti del vettore velocità di deformazione.

La simulazione numerica dei processi di formatura di pezzi pieni, per i quali l'ipotesi di

comportamento rigido-plastico del materiale è assolutamente plausibile, è quindi condotta

assumendo le velocità nodali quali variabili del problema, calcolate le quali è possibile

pervenire alle velocità di deformazione e da esse allo stato tensionale deviatorico.

L'analogia del problema con quello relativo allo studio del moto di un fluido non

newtoniano all'interno di un canale (anche in questo caso le equazioni costitutive legano,

tramite il parametro viscosità, il vettore deviatore delle tensioni con il vettore velocità di

deformazione), ha fatto sì che la formulazione venisse definita "flow formulation".

In definitiva il problema è impostato nei seguenti termini: ad un certo istante del processo di

deformazione sono note la forma del semilavorato, la distribuzione delle temperature e delle

deformazioni permanenti accumulate fino a quell'istante e conseguentemente le

caratteristiche meccaniche del materiale punto per punto; Su una parte della superficie del

materiale è assegnato il vettore velocità (si tratta ad esempio delle porzioni della superficie a

contatto con gli stampi, che sono quindi costrette a seguire il movimento degli stampi

medesimi), mentre sulla stessa o su altre parti della superficie sono note le forze esterne

agenti sul semilavorato (è il caso, tipicamente, delle zone sulle quali agiscono le forze di

attrito, le quali, come si vedrà nel prosieguo, possono essere calcolate in funzione della

tensione tangenziale di scorrimento del materiale). La soluzione al problema è rappresentata

dal vettore delle velocità nodali, noto il quale è possibile rilalire allo stato tensionale

all'interno del pezzo in lavorazione.

Non sempre l'assunzione del comportamento rigido-plastico del materiale può essere

accettabile: è il caso dei processi di formatura delle lamiera, nei quali la componente elastica

della deformazione non è certamente trascurabile. In questo caso il materiale va studiato

come elasto-plastico e le equazioni costitutive alle quali far riferimento sono quelle proposte

da Prandtl e Reuss.

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

41

L'analisi delle lavorazioni delle lamiere richiede pertanto una diversa formulazione, la "solid

formulation", le cui linee fondamentale possono essere così tratteggiate: ad un dato istante

del processo di formatura, oltre alle caratteristiche meccaniche del materiale punto per

punto, è altresì nota la distribuzione delle tensioni all'interno del semilavorato; costituiscono

dati del problema anche le condizioni al contorno, sia dal punto di vista cinematico che

statico. La soluzione al problema è rappresentata dagli spostamenti nodali e dagli incrementi

di tensione, questi ultimi al fine di verificare l'avvenuta plasticizzazione del materiale.

Occorre ancora aggiungere che lo studio dei processi di formatura delle lamiere deve essere

in grado di tener conto degli ingenti moti rigidi (spostamenti e rotazioni) che la lamiera

subisce durante la lavorazione. Tali moti rigidi rendono non lineare il legame tra

spostamenti nodali e deformazioni (o tra velocità nodali e velocità di deformazione),

complicando pertanto ulteriormente l'analisi, ed inoltre richiedono l'impiego di particolari

tensori delle tensioni, indipendenti dai moti rigidi.

Effetto della temperatura: formulazioni "coupled"

In un qualunque processo di formatura, sia la deformazione plastica che l'attrito

all'interfaccia stampi-pezzo in lavorazione, contribuiscono alla generazione di calore: in

particolare è stato calcolato che una aliquota approssimativamente compresa tra il 90 ed il

95% dell'energia meccanica totalmente in gioco nel processo viene trasformata in calore.

Nelle normali operazioni formatura, specialmente in quelle realizzate ad alta velocità, si

possono avere incrementi della temperatura anche di qualche centinaio di gradi centigradi.

Parte di questo calore è trasmesso per conduzione agli stampi, parte viene irradiato

nell'ambiente circostante, parte rimane nel materiale deformato, ma in ogni caso si hanno

dei gradienti di temperatura assai severi nel pezzo in lavorazione.

Conseguentemente è molto importante cercare di introdurre l'effetto della temperatura

nell'analisi di problemi di formatura dei metalli: un incremento della temperatura determina

una notevole variazione delle caratteristiche meccaniche del materiale ed inoltre influenza le

condizioni di lubrificazione, la durata degli stampi e le stesse proprietà dei componenti

finiti.

E' necessario far rilevare, d'altra parte, che l'incremento della temperatura è determinato

dalle condizioni nelle quali il processo si evolve: esso infatti dipende dalle temperature

iniziali del semilavorato e degli stampi, dall'entità della deformazione impressa nel

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

42

materiale e dalla velocità con la quale questa deformazione viene applicata: i gradienti di

temperatura sono infatti funzione della generazione di calore dovuta alla deformazione

plastica e del trasferimento di calore verso gli stampi e l'ambiente esterno (attraverso l'aria

od un agente refrigerante), il quale è fortemente dipendente dalla durata del processo

Le considerazioni che precedono mostrano come, al fine di tener conto dell'effetto della

temperatura nella simulazione numerica di un processo di formatura, è necessario sviluppare

una formulazione "accoppiata": se, infatti, da una parte la meccanica di deformazione del

processo dipende dalla distribuzione delle temperature, le quali influenzano in modo

decisivo le caratteristiche meccaniche del materiale, dall'altra la distribuzione delle

temperature è funzione dalla meccanica del processo ed in particolare delle deformazioni

permanenti impresse sul materiale e della durata del processo medesimo.

Gli approcci proposti in letteratura sono appunto basati su formulazioni accoppiate di tipo

iterativo, le quali prevedono, per ogni passo del processo di deformazione, la soluzione

alternata del problema meccanico e del problema termico fino al raggiungimento della

convergenza: ad ogni iterazione è analizzato in primo luogo il problema termico, l'output del

quale (la distribuzione delle temperature) costituisce uno degli input del problema

meccanico; a sua volta l'output del problema meccanico (la distribuzione delle deformazioni

accumulate o, se si preferisce, il lavoro di deformazione plastica) rappresenta l'input del

problema termico nella seconda iterazione. Il procedimento è iterato fino al raggiungimento

della convergenza nei valori calcolati di temperatura o di deformazione.

Definizione delle condizioni al contorno - attrito

La qualità della soluzione fornita da una metodologia di simulazione numerica, e quindi, in

altri termini, la reale possibilità di applicazione di tali metodologie per lo studio di processi

industriali di formatura. dipende dalla efficacia e dalla affidabilità dei dati forniti al codice

in merito alla caratterizzazione del materiale, delle condizioni di attrito e delle condizioni di

scambio termico all'interfaccia. La qualità della soluzione dipende inoltre dalla

discretizzazione impiegata, con riferimento sia al livello di affinamento del mesh che alla

distorsione degli elementi: quest'ultimo aspetto sarà analizzato nel successivo paragrafo.

Le condizioni di attrito all'interfaccia stampo-pezzo influenzano notevolmente il flusso

plastico del materiale, lo stato tensionale, i carichi richiesti per l'esecuzione del processo e la

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

43

possibilità di formazione di difetti siano essi di flusso (legati ad esempio ad un incompleto

riempimento della cavità compresa tra gli stampi) che fratture duttili.

L'introduzione delle condizioni di attrito in un codice numerico ad elementi finiti avviene, di

solito, mediante due principali metodologie: in particolare le tensioni tangenziali dovute

all'attrito possono essere calcolate in funzione della tensione normale agente sulla superficie

( p) o come una aliquota della tensione tangenziale di scorrimento caratteristica del

materiale ( =m 0, con m compreso tra 0 ed 1).

Gli studi condotti hanno mostrato la validità della prima metodologia con particolare

riferimento alle lavorazioni di formatura delle lamiere. Di contro essa non risulta adatta al

caso delle lavorazioni di pezzi pieni ove le pressioni agenti sono assai elevate: per tale

ragione si potrebbe arrivare, se non si ricorresse a particolari accorgimenti correttivi, alla

valutazione di una tensione tangenziale dovuta all'attrito superiore alla tensione tangenziale

limite di scorrimento del materiale, circostanza quest'ultima evidentemente impossibile dal

punto di vista fisico. Pertanto nel "bulk forming" le condizioni di attrito vengono modellate

impiegando la relazione =m 0.

L'impiego dell'uno o dell'altro modello richiede, in ogni caso, una accurata determinazione

del valore del coefficiente di attrito, da effettuarsi mediante un opportuno test. Il test deve

riprodurre le condizioni che si verificheranno durante il processo reale, con particolare

riferimento a tutte quelle caratteristiche che riguardano le superfici a contatto: ad esempio se

si vuole caratterizzare un lubrificante da impiegarsi in una lavorazione in cui, per effetto

della deformazione, si avrà un notevole allargamento della superficie di contatto, anche il

test dovrà prevedere un simile meccanismo di deformazione. Analogamente il test dovrà

essere scelto in modo tale da assicurare che la velocità di scorrimento tra la superficie a

contatto del provino e lo stampo, sia approssimativamente uguale a quella che si verifica

nella lavorazione reale.

La scelta del mesh iniziale ed il remeshing

Nel corso dell'introduzione generale alle metodologie di simulazione numerica si è avuto

modo di osservare che la qualità della soluzione ottenuta dipende dal livello di affinamento

della discretizzazione e dal grado delle funzioni forma. Il concetto di discretizzazione

impone, infatti, che l'andamento reale di una funzione venga approssimato assumendo che,

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

44

all'interno di ciascun elemento, tale funzione abbia un andamento ben noto, sia esso lineare,

quadratico o cubico, dipendentemente dalla funzione forma prescelta. E' chiaro pertanto che

la bontà dell'approssimazione dipenderà dal numero di elementi in cui il dominio oggetto di

indagine viene suddiviso e dal grado della funzione interpolatrice.

I software più moderni dispongono, almeno limitatamente a problemi 2-D, potenti algoritmi

per la discretizzazione automatica; naturalmente è possibile, da parte dell'analista, guidare

l'algoritmo, suggerendo le zone nelle quali un maggiore affinamento del mesh appare

particolarmente importante. In generale è fondamentale affinare la discretizzazione nelle

zone in cui sono previsti forti gradienti della funzione oggetto di indagine, ad esempio in

prossimità degli spigoli degli stampi, ove sono prevedibili elevati valori delle deformazioni

accumulate.

Altrettanto importante è la possibilità di compiere operazioni di remeshing nel corso della

simulazione. La deformazione plastica determina infatti notevoli distorsioni della

discretizzazione: gli elementi possono risultare parecchio deformati e conseguentemente la

capacità della funzione forma di rappresentare l'andamento della variabile considerata in

funzione dei valori nodali può risultare fortemente compromessa. Tale circostanza si

verifica quando, ad esempio, un elemento rettangolare raggiunge un valore del rapporto tra i

lati troppo elevato o degenera in un triangolo. In questi casi è necessario procedere ad una

completa ridiscretizzazione, avendo però cura di trasferire dal vecchi al nuovo mesh tutto

quel complesso di informazioni (temperature nodali, deformazioni accumulate,

eventualmente livelli di danneggiamento già subiti dal materiale) necessarie per il

proseguimento dell'analisi.

Talora lo svolgimento di una operazione di remeshing è necessario, altresì, per una efficace

rappresentazione delle condizioni di contatto all'interfaccia stampo-pezzo in lavorazione.

Una discretizzazione poco fitta, o la distorsione del mesh per effetto della deformazione

impressa fino a quel punto, possono infatti rendere impropria la modellizzazione del

contatto.

Applicazioni a processi 3D

Le metodologie di simulazione numerica presentano un vastissimo numero di applicazioni,

anche in ambiente industriale, con riferimento a problemi 2-D. I codici commerciali oggi

disponibili sono dotati di algoritmi di discretizzazione e di remeshing automatico,

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

45

permettono una efficace gestione delle condizioni di contatto, dispongono di validi modelli

di attrito, di procedure per l'analisi accoppiata di problemi termo-meccanici e così via. La

situazione è sostanzialmente diversa per quanto riguarda i problemi 3-D, ove la gestione del

contatto e le opzioni di meshing e di remeshing automatico sono assai meno efficienti e

richiedono un ulteriore, cospicuo sforzo di ricerca.

Occorre inoltre osservare che lo studio di processi 3-D, siano essi riferiti alla formatura di

pezzi pieni o di lamiere, determina tempi di CPU e conseguentemente costi connessi

all'elaborazione alquanto elevati. In generale è possibile affermare che i tempi di CPU

dipendono esponenzialmente dal numero di nodi impiegato nella discretizzazione con un

valore dell'esponente compreso tra 2 e 3. Per tale ragione, negli anni più recenti è stata

proposta una nuova metodologia di analisi, cosiddetta "esplicita", che ha mostrato notevoli

vantaggi con particolare riferimento allo studio di processi di formatura delle lamiere.

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46

3. LAVORAZIONI PER DEFORMAZIONE PLASTICA DI PEZZI

PIENI (BULK METAL FORMING)

3.1 FORGIATURA

Si possono innanzi tutto distinguere due tipi fondamentali di forgiatura:

forgiatura entro stampi chiusi, nella quale la forma di un semilavorato viene

permanentemente modificata costringendolo a riempire una cavità tra due stampi (un

esempio tipico di tale lavorazione è rappresentato dalla produzione delle palette delle

turbine);

forgiatura in stampi aperti, ove invece la superficie laterale del provino è libera di

deformarsi (esempio tipico di tale processo è costituito dallo schiacciamento di un massello

a simmetria assiale o prismatico).

In ogni caso il processo di forgiatura è un processo non stazionario, nel quale giuoca un

ruolo fondamentale l’attrito tra gli stampi ed il materiale da forgiare.

3.1.1 Schiacciamento del massello cilindrico

Iniziamo con il supporre di realizzare lo schiacciamento di un massello cilindrico in

condizioni di assenza di attrito all’interfaccia piatti della pressa-pezzo, portandolo da una

altezza iniziale «h0» ad una altezza finale «hf». In queste condizioni durante lo

schiacciamento il massello si andrà deformando, mantenendo la forma di un cilindro a

generatrice rettilinea e verticale, ma assumendo via via un diametro maggiore ed una altezza

minore. Lo stato di tensione che si desta all'interno del provino sarà certamente

monoassiale, agiranno cioè soltanto le tensioni dirette secondo l'asse del provino, queste

tensioni saranno negative (di compressione), ed il loro valore risulterà pari alla tensione di

snervamento all'inizio del processo e successivamente pari alla tensione di flusso plastico

=Cn man mano che il processo va avanti ed il materiale incrudisce. Anche per quanto

riguarda le deformazioni, ci si troverà in condizioni di deformazioni uniformemente

distribuite, costanti all'interno del pezzo in lavorazione, ed il loro valore risulterà pari a =

ln(h0/hattuale) fino a raggiungere il valore finale = ln(h0/hf )

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47

Il processo si evolve in condizioni tipicamente non stazionarie, in quanto, istante per istante

variano sia la tensione di flusso plastico del materiale, a causa dell'incrudimento, sia la

geometria del pezzo in lavorazione. Proprio per tali ragioni lo studio del processo di

deformazione deve essere condotto per via incrementale e cioè suddividendo il processo

stesso in numerosi piccoli passi (steps), aggiornando all'inizio di ciascuno di essi le

caratteristiche meccaniche del materiale (più in particolare la tensione di flusso plastico) e la

geometria del pezzo.

Supponiamo, al fine di rendere più chiaro il ragionamento esposto in precedenza di aver

suddiviso lo schiacciamento totale h=h0-hf in N passi in ciascuno dei quali avviene uno

schiacciamento pari a dh= h/N e di trovarci a dover studiare il passo i-esimo. All'inizio di

tale passo, l'altezza del provino risulterà essere pari a hi = h0 - (i - l) dh ed il provino avrà già

subito una deformazione, costante in tutto il volume, pari a i = ln (h0/hi).

Il diametro del pezzo può essere calcolato invocando l'invariabilità del volume e pertanto

imponendo:

h0 D02/4=hi Di

2/4

A tal punto il valore aggiornato della tensione di flusso plastico risulta essere pari a:

i=C in

ed il valore del carico necessario per condurre la lavorazione può essere calcolato nella

forma:

Pi= iAi= C in

Di2/4.

Nelle condizioni reali, invece, all'interfaccia tra i piatti della pressa ed il massello in corso di

deformazione, le condizioni di lubrificazione non riescono ad annullare completamente la

presenza dell'attrito e saranno pertanto sempre presenti delle tensioni tangenziali le quali si

oppongono al flusso del materiale dall'asse verso l'esterno. La presenza dell'attrito determina

uno stato tensionale e deformativo all'interno del pezzo in lavorazione completamente

diverso rispetto al caso precedente e certamente tridimensionale.

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48

Per quanto riguarda in particolare le deformazioni durante lo schiacciamento, la forma del

provino non sarà più perfettamente cilindrica ma la generatrice presenterà una curvatura

verso l'esterno più o meno pronunciata dipendentemente dalle condizioni di attrito.

Tale meccanismo di deformazione può essere facilmente giustificato tenendo conto che gli

strati del materiale a contatto con i piani della pressa subiscono maggiormente l'azione delle

tensioni tangenziali dovute all'attrito e sono pertanto rallentate nel loro flusso radiale verso

l'esterno, mentre gli strati più prossimi alla zona equatoriale risultano essere più liberi in tale

flusso e sono semmai vincolate dalla reazione esercitata dagli strati superiori. A causa di ciò

le deformazioni subite dal provino non sono più uniformi in tutto il volume come avveniva

in assenza di attrito ma si avranno delle zone praticamente rigide in prossimità dei piatti

della pressa e delle zone soggette ad intense deformazioni in corrispondenza al "cuore" del

pezzo e sulla superficie laterale dello stesso.

Anche per quanto riguarda lo stato tensionale, esso è completamente tridimensionale con la

presenza, oltre che delle tensioni assiali di compressione, anche di tensioni agenti

radialmente e circonferenzialmente. In particolare la distribuzione delle tensioni assiali di

compressione al contatto punzone-massello non è più costante come nel caso di assenza di

attrito ma si avrà un andamento esponenziale con un massimo in corrispondenza dell'asse di

simmetria.

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49

Tale distribuzione delle pressioni può essere calcolata ricorrendo a varie metodologie di

analisi, impiegando ad esempio lo slab method o ricorrendo a più moderne tecniche di

analisi numerica.

Come si è già descritto nel paragrafo 2.3.1., lo slab-method è basato sulla applicazione della

condizione di equilibrio delle forze agenti in direzione radiale su di un elementino di

volume avente dimensioni dr, rd , h.

Tale condizione può essere scritta nella forma:

e quindi, semplificando:

Dal momento che, in condizioni di simmetria assiale, è possibile assumere r= , si ottiene:

od anche:

L’integrazione dell’equazione differenziale così ottenuta può essere effettuata tenendo conto

della condizione di plasticità del von Mises: ammettendo che r, z e siano tensioni

principali (ipotesi evidentemente poco corretta, dal momento che sul piano avente per

normale l’asse z agiscono le tensioni tangenziali dovute all’attrito tra i piatti della pressa ed

il provino), e ricordando che r= , la condizione del von Mises assume la forma:

r r rr dr d h d rd h rd dr drhsind

2 22

0

r r r rrh drh rh d rh rdr drh2 0

d rh rdrr 2

d h drr z2

2 22

0

2

r z

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

50

ovvero:

La scelta del segno da adottare è condotta tenendo conto delle condizioni al contorno: per

r=rest, r=0 mentre z è certamente negativa: il segno da adottare è quindi il segno + e la

condizione assume la forma r - z = 0. Passando ai differenziali si avrà: d r = d z e

pertanto l’equazione differenziale assume la forma definitiva:

d zh=-2 zdr

Integrando tra il raggio esterno, dove z = - 0, ed il generico raggio r, si avrà:

L’equazione adesso ottenuta conferma l’andamento esponenziale della distribuzione delle

pressioni all’interfaccia punzone - provino in presenza di attrito.

E’ opportuno far rilevare che nello sviluppo analitico le tensioni tangenziali dovute

all’attrito sono state calcolate utilizzando il modello coulombiano: esse pertanto crescono al

crescere della pressione. Si potrebbe così verificare la circostanza in cui le divengano

superiori alla tensione tangenziale limite di scorrimento, 0, condizione evidentemente

impossibile. Per tale ragione alcuni autori distinguono nell’integrazione dell’equazione

differenziale due zone, nelle quali, rispettivamente < 0 e = 0.

Al fine di ottenere una stima adeguata del carico richiesto alla pressa per condurre la

lavorazione è sufficiente definire il valore di una pressione media pari a:

r z 0

d

hdr

z

z r

r

est

z

2

0

ln .z

esthr r

0

2

zh

r r

eest

. 0

2

pr

have 0 12

3

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51

nella quale è la tensione di flusso plastico attuale del materiale, r ed h sono

rispettivamente i valori attuali del raggio e dell'altezza del provino e è il coefficiente di

attrito all'interfaccia piatto della pressa-provino. L’espressione sopra riportata mostra come

anche in questo caso, ed in effetti con un ulteriore terzo motivo, è necessario condurre

un'analisi incrementale.

Infatti, non soltanto nel corso del processo vanno via via aggiornati il valore della tensione

di flusso plastico ed il valore dell'area della sezione del provino, ma anche la stessa

espressione della pressione media risulta essere funzione delle dimensioni attuali del

provino. Pertanto, anche in questo caso, il processo di deformazione andrà suddiviso in

numerosi piccoli passi ed, all'inizio di ciascuno di essi, andranno aggiornati i valori

dell'altezza e del diametro del provino, il valore della tensione di flusso plastico ed infine

andranno calcolati la pressione media ed il carico richiesto alla macchina.

3.1.2 Limiti nel processo di schiacciamento di masselli cilindrici

Nel corso di un processo di schiacciamento di un massello a simmetria assiale con gravose

condizioni di attrito all'interfaccia piatti della pressa - massello è possibile incorrere nella

formazione di fratture duttili; queste si verificano sulla superficie esterna, in corrispondenza

del piano equatoriale e presentano generalmente una inclinazione di 45° rispetto all'asse

verticale di simmetria del provino.

La formazione di tali fratture è associata ad un meccanismo di nucleazione, crescita e

coalescenza di microvuoti, meccanismo strettamente dipendente dal verificarsi di uno stato

tensionale idrostatico positivo nella zona in esame. I microvuoti infatti nucleano in

corrispondenza ad inclusioni od impurità del materiale e, dipendentemente dallo stato

tensionale, vengono compattati se la tensione media è negativa o possono crescere ed unirsi

tra loro (coalescere) in presenza di una tensione idrostatica positiva.

Nel caso dello schiacciamento del massello con gravose condizioni di attrito all'interfaccia

piatti della pressa - provino si verifica, come già osservato, un significativo fenomeno di

imbarilimento della superficie esterna del pezzo in lavorazione. Lo strato di materiale al

contatto non può allargarsi, per effetto delle tensioni tangenziali di attrito: pertanto il flusso

di materiale dal centro verso l'esterno determina il fenomeno del "rifollamento", con una

parte della superficie laterale del provino che viene a contatto con i piatti della pressa, ed il

verificarsi di una tensione assiale positiva in corrispondenza alla superficie equatoriale del

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

52

provino. In questa zona quindi la tensione assiale, così come quella circonferenziale sono di

trazione, mentre sul bordo esterno la tensione radiale non può che essere nulla. Ne consegue

che la tensione media è positiva (di trazione), ciò che favorisce la crescita e la coalescenza

dei microvuoti fino alla frattura.

La formazione di fratture duttili sulla superficie del pezzo può evidentemente essere evitata

solo ricorrendo ad una adeguata lubrificazione all'interfaccia piatti-provino, ciò che

impedisce il fenomeno dell'imbarilimento ed il verificarsi di uno stato tensionale idrostatico

positivo nella zona equatoriale.

Una ulteriore tipologia di difetto, talora associata al processo di «upsetting», è rappresentata

dal manifestarsi di fenomeni di instabilità plastica, tipicamente dipendenti dal rapporto

altezza/diametro del provino. Secondo alcuni autori tale instabilità si manifesta già per

valori del rapporto pari a 2,2.

Al fine di ovviare ai problemi di instabilità si procede a limitare l'altezza libera del provino

o si suddivide il processo di schiacciamento in due o più fasi la prima delle quali viene

condotta mediante l'utilizzo di stampi conici; questi ultimi sono infatti in grado di assicurare

una migliore guida della superficie laterale del provino evitando l'insorgenza di instabilità.

3.1.3 Schiacciamento di anelli assialsimmetrici

Lo schiacciamento di anelli in condizioni di assialsimmetria presenta delle caratteristiche

assai interessanti le quali hanno indotto alcuni ricercatori a proporre tale lavorazione quale

test per la valutazione delle condizioni di attrito presenti all'interfaccia piatti della pressa -

pezzo in lavorazione (Ring-test). Si è avuto già modo di osservare, infatti, nel caso dello

schiacciamento del massello a simmetria assiale, che la stima del carico richiesto alla

macchina dipende dal valore del coefficiente di attrito e che pertanto la valutazione accurata

di tale coefficiente risulta essere necessaria al fine di ottenere una stima corretta.

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

53

Se immaginiamo di schiacciare un anello assialsimmetrico in condizioni di assenza di attrito

il flusso radiale del materiale sarà univocamente diretto dall'intemo verso l'esterno e l'anello

manterrà entrambe le generatrici, interna ed esterna, perfettamente rettilinee e parallele. In

tali condizioni si avrà cioè un aumento sia del diametro interno che del diametro esterno

dell'anello.

Man mano che le condizioni di attrito diventano più gravose si assiste, invece, ad un flusso

radiale del materiale diretto parzialmente verso l'interno e parzialmente verso l'esterno. Si

forma cioè una cosiddetta sezione neutra in corrispondenza alla quale non si ha alcuno

spostamento radiale del materiale, mentre il materiale all'interno della sezione neutra fluisce

verso l'asse dell'anello ed il materiale all'esterno della sezione neutra scorre radialmente

verso l'esterno. In definitiva, cioè, il valore del diametro interno del provino diminuisce

mentre aumenta il valore del diametro esterno.

Tale condizione risulta essere tanto più evidente quanto più gravose sono le condizioni di

attrito e quanto più ingente è lo schiacciamento dell'anello. Naturalmente in presenza di

attrito le generatrici dell'anello non si mantengono più rettilinee e parallele ma si verifica il

fenomeno dell'imbarilimento già visto a proposito dello schiacciamento del massello

cilindrico.

Si può pertanto pensare di ottenere, mediante una metodologia di calcolo tradizionale o

ricorrendo alle tecniche ad elementi finiti, alcune curve teoriche nelle quali viene riportato

l'andamento del diametro interno del provino in funzione dello schiacciamento dell'anello

utilizzando come parametro il valore del coefficiente di attrito.

Eseguendo ora delle prove sperimentali nelle condizioni di lubrificazione per le quali si

intende valutare il più appropriato valore del coefficiente di attrito, sarà possibile introdurre

nel diagramma teorico i valori del diametro interno misurati in corrispondenza di incrementi

finiti di schiacciamento. Il confronto tra i risultati sperimentali e le curve teoriche permette

di risalire al valore più appropriato di .

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

54

3.1.4 Schiacciamento di masselli prismatici

Il meccanismo di deformazione che si instaura in un processo di upsetting di provini

prismatici è strettamente dipendente dalle caratteristiche geometriche del provino medesimo

ed in particolare dal rapporto tra le dimensioni della base. Con riferimento alla figura di

seguito, se il rapporto B/L è maggiore di 5:1, nel corso dello schiacciamento non si

verificheranno deformazioni lungo la direzione della dimensione maggiore: quest’ultima

cioè rimarrà invariata rispetto alla dimensione iniziale. Tale circostanza è giustificabile

tenendo in considerazione il ruolo svolto dalle forze di attrito, le quali agiscono su una

superficie sufficientemente grande da impedire qualunque deformazione lungo la

dimensione maggiore.

Il problema è quindi affrontabile facendo riferimento a condizioni di «deformazione piana»,

utilizzando ad esempio lo «slab method» per la valutazione della distribuzione delle

pressioni all’interfaccia.

Il procedimento da seguire è del tutto analogo a quello esposto nel caso dello

schiacciamento del massello assialsimmetrico e conduce alla determinazione della seguente

distribuzione delle pressioni:

Anche in questo caso è possibile definire una pressione media e quindi valutare il carico

necessario per lo schiacciamento del massello nella forma:

Il carico necessario per eseguire lo schiacciamento sarà pari, naturalmente, a:

P = pave L B.

zh

Lx

e2

3

2

2

pL

have

2

31

2

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55

3.2 ESTRUSIONE

Con il termine estrusione si intende un processo di lavorazione per deformazione plastica

che consiste nel forzare il materiale attraverso un'apertura sagomata, al fine di ottenere barre

o profilati vari. Nella configurazione più semplice il processo consente una riduzione di

diametro: il movimento del punzone costringe il materiale ad estrudere dalla matrice,

esercitando una energica azione di compressione.

Si distinguono due fondamentali tipologie di processi di estrusione:

• l'estrusione diretta, nella quale il punzone ed il materiale che estrude si muovono con

verso concorde;

• estrusione inversa, nella quale invece il movimento del punzone e del materiale sono

discordi.

In genere il processo di estrusione inversa richiede un carico minore in quanto le resistenze

dovute all'attrito sono inferiori, essendo più modesta l'entità degli spostamenti subiti dal

materiale.

Il processo di estrusione viene generalmente considerato come un tipico processo

stazionario: se immaginiamo di isolare un volume di riferimento, contenente la zona nella

quale avviene la riduzione del diametro, il flusso del materiale avviene in condizioni di

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

56

assoluta stazionarietà, con campi dl tensione e di deformazione costanti nel tempo. Anche il

carico richiesto per effettuare la lavorazione si mantiene sostanzialmente costante, pur se,

nel caso di estrusione diretta, si assiste ad una piccola variazione del carico (diminuzione)

poiché al procedere della estrusione diminuiscono le resistenze dovute all'attrito, dato che

diminuisce il materiale contenuto nella matrice, riducendosi così la superficie di contatto

materiale - matrice.

Il processo di estrusione diretta viene generalmente condotto impiegando matrici coniche; in

ogni caso, anche se si impiegasse una matrice "quadrata" con angolo di 90°, il materiale crea

comunque un invito conico: Si assiste infatti alla formazione di una "zona morta" di

materiale che non partecipa al processo di estrusione, con lo scorrimento del materiale che

estrude su quello che rimane nella zona morta; in questo caso, naturalmente, le tensioni

tangenziali all'interfaccia tra materiale che estrude e materiale della zona morta raggiungono

il valore limite 0.

Nel caso di matrici coniche, l'angolo che definisce la conicità viene scelto sulla base di

considerazioni di carattere energetico, cercando di minimizzare l'energia di deformazione

totale richiesta per eseguire il processo di estrusione: tale energia può essere calcolata come

la somma dell'energia di deformazione ideale (necessaria per portare il diametro da D0 a Df

con una sollecitazione monoassiale, ricavabile dal diagramma del materiale),

dell'energia necessaria per causare la deviazione del flusso del materiale all'interno della

matrice conica, imprimendo sullo stesso un flusso conico e quindi distorcendo le fibre del

materiale (energia di distorsione), ed infine di un termine di energia necessario per vincere

le resistenze di attrito. E' evidente che dipendono tali termini di energia sono strettamente

dipendenti dall'angolo di conicità della matrice: in particolare, all'aumentare dell'angolo

aumenta l'energia di distorsione, mentre diminuisce l'energia per attrito, dal momento che, a

parità di riduzione di diametro, la superficie di contatto ove si manifestano le resistenze

d'attrito diminuisce.

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

57

E' possibile diagrammare le energie coinvolte nel processo in funzione dell'angolo della

matrice , ottenendo un diagramma del tipo di quello indicato in figura.

In genere l'angolo che rende minima l'energia totale è di 45-60°.

Le tensioni tangenziali dovute all'attrito che si oppongono allo scorrimento possono ancora

essere calcolate con un modello coulombiano, p, nella quale p è la pressione

all’interfaccia pezzo in lavorazione - matrice, o con un modello a costante =m 0 con

0<m<1 e funzione delle condizioni di lubrificazione. E’ evidente che il valore più opportuno

di od m può essere selezionato ricorrendo al ring test. Nel caso in cui l'angolo è di 90° si

forma, come già accennato, una zona di materiale "morto", che non partecipa al processo di

estrusione; si ha pertanto uno scorrimento di materiale che estrude rispetto ad altro materiale

che rimane intrappolato nella zona morta: le tensioni tangenziali agenti tra le due porzioni di

materiale saranno evidentemente pari alla tensione tangenziale limite di scorrimento 0.

Il processo di estrusione viene condotto sia a caldo che a freddo; in generale l'applicabilità

di tale lavorazione a freddo - la quale peraltro consente di ottenere prodotti caratterizzati da

una elevata finitura superficiale e strette tolleranze dimensionali - è limitata a materiali con

caratteristiche spinte di duttilità e malleabilità, quali il piombo o le leghe di alluminio.

Se invece si debbono lavorare materiali caratterizzati da elevati valori del coefficiente C e

dell'esponente n nella relazione =Cn che, come si è visto in precedenza governa il

comportamento plastico, o se si devono imprimere elevati rapporti di riduzione del

diametro, il processo deve essere condotto a caldo. E' il caso, ad esempio, degli acciai, i

quali vengono solo raramente estrusi a freddo: l'estrusione a freddo di un acciaio

determinerebbe infatti carichi di estrusione assai elevati ed ingenti pressioni agenti sulle

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

58

pareti della matrice, le quali potrebbero portare ad una rapida usura od alla frattura della

stessa.

Al fine di ridurre i carichi necessari per condurre il processo è possibile agire sull'attrito,

operando una adeguata lubrificazione, utilizzando grassi, bisolfuro di molibdeno o miscele

di olio e grafite; a caldo, invece, viene normalmente utilizzata grafite oppure vetro fuso.

Inoltre, nel caso dell'estrusione a freddo degli acciai spesso si ricorre ad un trattamento di

fosfatazione della superficie mediante immersione in un bagno contenente fosfato e nitrato

di zinco, atto a creare uno strato superficiale poroso in grado di essere intimamente

impregnato dal lubrificante.

Una semplice stima del carico necessario per effettuare il processo è ottenibile dalla

relazione empirica:

p=paveA0

nella quale il valore della pressione media è dato dalla espressione:

pave= ave(0,8+1,2 )

In essa ave è la tensione di flusso plastico media, ed è la deformazione logaritmica totale

=lnA0/Af. E' opportuno far rilevare che nella espressione precedente compare la tensione di

flusso plastico media: analizzando la meccanica del processo di deformazione occorre infatti

osservare che nel volume conico ove si realizza la riduzione del diametro il materiale

presenta caratteristiche fortemente disomogenee: In particolare la porzione appena entrata

nel volume suddetto, non ha praticamente ancora subito alcuna deformazione permanente ed

è quindi caratterizzata da una tensione di f1usso plastico pari alla tensione di snervamento di

prima plasticizzazione 0; gli strati di materiale successivi hanno invece già subito una più o

meno cospicua deformazione permanente, sono incruditi e quindi hanno un più elevato

valore della tensione di flusso plastico: lo strato adiacente la sezione di uscita della matrice,

infine, ha subito praticamente per intero la riduzione di diametro desiderata e pertanto la sua

tensione di flusso plastico varrà:

C CA

Atot

n

f

n

ln

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

59

E' pertanto opportuno far riferimento ad una tensione di flusso plastico media calcolabile

con considerazioni di tipo energetico: in particolare basta imporre che:

ovvero:

Una valutazione più precisa della pressione richiesta per condurre un processo di estrusione

può essere ottenuta applicando, ancora una volta, lo «slab method».

In questo caso la condizione di equilibrio delle forze agenti lungo la direzione

dell’estrusione va scritta nella forma:

essendo:

dD/2=dx tg

AB=dD/2sin

Procedendo alle opportune semplificazioni si ottiene:

ave tot d

tot

0

ave

tot

n

tot

ntot

n

C dC

n

C

n

tot tot

1 1

1 10

1

0

p dpD dD

pD

p DdD

sinsin p D

dD

sinx x x

2 2

4 4 2 20cos

pD

pDdD

dpD

pD

PD

dD pD

g dDx x x x

2 2 2

4 2 4 4 2 20cot

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

60

ed ancora:

La condizione di plasticità viene applicata assumendo quali direzioni principali le direzioni

assiale, radiale e circonferenziale; tale assunzione determina un margine di approssimazione

ancora superiore rispetto al caso dell’«upsetting»; infatti non soltanto sul piano avente per

normale la direzione radiale si hanno tensioni tangenziali, ma di fatto le direzioni prescelte

non sono tra di loro mutuamente perpendicolari. Ricordando che r= , la condizione

assume la forma:

x- r=± 0

e quindi, essendo

x=-px r=-p –px+p=± 0

La scelta del segno da adottare è ancora una volta condotta tenendo conto delle condizioni al

contorno: nella sezione all’uscita la pressione px è evidentemente nulla, mentre radialmente

la pressione è certamente positiva: il segno da adottare è quindi il segno + e la condizione

assume la forma

p=px+ 0

Ciò posto, l’equazione differenziale assume la forma definitiva:

essendo:

B = cotg

dpD

pdD p

dD pD

g dDx x4 2 2 20cot

dp D p p g dDx x2 1 0cot

dD

D

dp

p B B

dp

p B B

x

x

x

x2 1 2 2 10 0

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

61

Integrando l’equazione differenziale si avrà:

E’ possibile, a questo punto, ottenere la pressione necessaria per l’esecuzione del processo:

3.2.1 Limiti del processo di estrusione

I principali limiti che interessano il processo sono rappresentati dai seguenti problemi:

pericolo di frattura della matrice;

presenza di difetti interni al pezzo estruso;

errore sul diametro finale del pezzo estruso a causa della deformazione elastica della

matrice.

Si è già accennato in precedenza ai pericoli derivanti dal determinarsi di carichi di

estrusione eccessivi, pericoli ai quali è possibile ovviare operando una adeguata

lubrificazione - nel caso dell'estrusione a freddo degli acciai come già osservato, spesso si

ricorre ad un trattamento di fosfatazione della superficie mediante immersione in un bagno

contenente fosfato e nitrato di zinco, atto a creare uno strato superficiale poroso in grado di

essere intimamente impregnato dal lubrificante - od aumentando il numero dei passaggi

impiegati per arrivare al desiderato diametro finale.

E' opportuno dare un breve cenno al pericolo di formazione di difetti interni dalla

caratteristica forma a freccia, cui viene dato il nome di central bursting, difetti che

presentano un alto grado di pericolosità, dato che sono rilevabili solo attraverso un esame ai

raggi x oppure tramite apparecchiature ad ultrasuoni.

Il central bursting si può verificare per bassi valori sia dell'angolo che del rapporto di

riduzione A0/Af. Ciò perché in tali condizioni la parte centrale del materiale non viene

interessata dalla deformazione plastica e, a causa della differente velocità tra la sezione

d'ingresso e quella d'uscita, si può determinare uno stato di trazione che provoca lo strappo

dD

D

dp

p B B

D

D B

p B B

B

p B B

B

D

D

D

D

x

x

p

f

x

x

f

B

f

x0 0

2 2 1

1

2

2 2 1

2 1

2 2 1

2 1

00

0 0 0

0

0 0

0

0

2

;

ln ln ;

pB

B

D

Dx

f

B

0 0

0

2

11

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

62

del materiale. In tal modo, infatti, nella zona centrale del provino a ridosso dell'asse si

verifica uno stato tensionale caratterizzato da una tensione media positiva, ciò che favorisce

la nucleazione, la crescita e la coalescenza dei microvuoti fino alla frattura.

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63

3.3 TRAFILATURA.

Il processo di trafilatura, pur se caratterizzato da un flusso conico stazionario del materiale,

tale da renderlo simile al processo di estrusione, presenta tuttavia, rispetto a questo, alcuni

aspetti che lo rendono affatto differente.

Va innanzitutto osservato che mentre nell'estrusione il materiale viene spinto ed è costretto a

fluire attraverso l'orifizio della matrice, nella trafilatura il materiale è tirato. Nella trafilatura

quindi, la riduzione di diametro è ottenuta non con una azione di compressione, ma di

trazione, circostanza questa che determina precise differenze per quanto riguarda i limiti dei

due processi. Nella trafilatura, inoltre, vengono utilizzati valori dell'angolo a molto più

piccoli rispetto a quelli in uso nel processo di estrusione (6°, 8° in genere). Infine, la

trafilatura viene condotta quasi esclusivamente a freddo, ottenendo, così, elevate

caratteristiche meccaniche. Mediante processi di trafilatura si ottengono ad esempio, i fili

d'acciaio o di rame utilizzati per la costruzione delle funi.

I materiali che generalmente vengono impiegati nei processi di trafilatura sono caratterizzati

da un coefficiente di incrudimento molto elevato, ovvero materiali fortemente incrudenti, al

fine di evitare che nel corso del processo possa verificarsi la rottura del filo.

Al fine di analizzare le condizioni per le quali si può arrivare alla rottura del filo, occorre

innanzitutto valutare il carico di trazione necessario per realizzare la trafilatura.

Tale carico vale:

P= zAfinale

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64

nella quale z è la tensione di trazione media agente sulla superficie d'uscita, la quale può

essere calcolata mediante la:

In quest'ultima relazione è il coefficiente d'attrito e ave ha il significato già esposto in

precedenza.

Se i parametri di processo (rapporto di trafilatura A0/Af, angolo di conicità della matrice ,

condizioni d'attrito) sono tali da far sì che la tensione di trazione agente sulla sezione

d'uscita raggiunga il valore della tensione di flusso plastico =Cn con =ln (A0/Af), il

materiale già trafilato continua a deformarsi anche dopo essere uscito dalla matrice fino a

rompersi.

La condizione limite al fine di ovviare al pericolo di rottura del filo è quindi esprimibile

mediante la relazione

ovvero:

Dalla relazione sopra riportata è immediatamente verificabile il ruolo che il coefficiente di

incrudimento gioca sui processi di trafilatura.

Ricordando infatti che

la relazione precedente può scriversi

da cui ancora

Da questa relazione si vede come la massima riduzione che è possibile realizzare dipende

dall'indice di incrudimento, dal coefficiente d'attrito e dall'angolo della matrice.

z ave

f

gA

A1

0cot ln

z

f

n

CA

Aln

0

ave

f f

n

gA

AC

A

A1

0 0cot ln ln

ave

tot

nC

n 1

C

ng

A

AC

n

f

n

11

0cot ln

lncot

cotA

A

n

g

A

Ae

f f

n

g0 0

1

11

1

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

65

All'aumentare dell'indice di incrudimento aumenta, infatti, la riduzione realizzabile, mentre

invece diminuisce all'aumentare del coefficiente d'attrito .

Tra gli inconvenienti di questo tipo di lavorazione vi è il forte rischio di central bursting,

dato che per evitare la rottura per trazione si opera con bassi valori sia del rapporto di

riduzione che dell'angolo , condizioni queste che come già osservato facilitano la

formazione del difetto.

Per gli stessi motivi i carichi che sollecitano la matrice sono minori rispetto a quelli presenti

nell'estrusione, con conseguenti minori pericoli di usura e/o frattura della matrice stessa.

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66

3.4 LAMINAZIONE

La laminazione è una lavorazione per deformazione plastica che permette di ridurre una od

entrambe le dimensioni della sezione trasversale di un solido prismatico mediante l'azione di

due rulli i quali ruotano alla stessa velocità angolare ma con verso opposto.

Si suole distinguere due diverse tipologie di lavorazioni di laminazione:

• laminazione su tavola piana, ove le generatrici dei rulli sono rettilinee, ed è quindi

possibile ottenere soltanto una riduzione dello spessore del laminato;

• laminazione entro scanalature chiuse, ove invece le generatrici dei rulli sono

opportunamente profilate ed il laminato subisce una variazione più complessa della

geometria della sua sezione trasversale.

Per quanto riguarda il primo processo, la lavorazione viene condotta sia a caldo che a freddo

dipendentemente che si tratti di un'operazione di sgrossatura nella quale si vogliono

imprimere elevate deformazioni e non si ha molta cura della precisione dimensionale

ottenuta sul semilavorato o di una operazione di finitura. La laminazione infarti rappresenta

spesso la prima lavorazione subita da lingotti e bramme in acciaieria, nel qual caso i primi

passaggi di laminazione vengono condotti a temperature intorno ai 1200°C. Con la

laminazione, d'altra parte, è possibile ottenere dei lamierini di piccolo spessore caratterizzati

da spinte tolleranze dimensionali e da una elevata finitura superficiale: in questo caso

evidentemente gli ultimi passaggi di laminazione sono effettuati a freddo mediante

l'impiego di opportuni laminatoi di cui si avrà modo di parlare in seguito.

Per quanto riguarda invece i processi di laminazione entro scanalature chiuse, essi sono

sempre condotti a caldo e consentono di ottenere profilati di forma complessa quali quelli a

"doppio T", "ad L" ed altri largamente impiegati nel settore delle costruzioni. E' evidente

che la forma finale della sezione trasversale viene ottenuta mediante tutta una serie di

passaggi di laminazione realizzate mediante rulli (calibri di laminazione) che

progressivamente imprimono la forma desiderata sul laminato.

La scelta ottimale di tale sequenza di calibri di laminazione è ancor oggi principalmente

basata sulla esperienza e sulla pratica del progettista, essendo il problema talmente

complesso da non poter essere trattato neppure con le più moderne tecnologie di analisi

numerica.

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

67

Nella presente trattazione ci si occuperà esclusivamente della laminazione su tavola piana

con lo scopo di determinare le condizioni che rendono possibile la lavorazione e la potenza

richiesta al laminatoio al fine di portare a termine il processo.

3.4.1 Laminazione su tavola piana

Nella figura che segue è schematizzato un procedimento di laminazione su tavola piana con

un laminato avente larghezza molto grande rispetto allo spessore. Nella sezione di ingresso

A-A la portata di materiale vale Vibihi mentre nella sezione di uscita B-B la portata di

materiale risulta essere pari a Vubuhu.

Nelle condizioni prima citate e cioè b/h>10 le forze di attrito agenti nella direzione della

larghezza del laminato e la reazione della lamiera non ancora laminata si oppongono ad un

allargamento in tale direzione: pertanto, almeno nella zona centrale, la deformazione può

essere considerata piana ed è, quindi, possibile ammettere bi=bu. Dal momento che vige il

principio dell'invariabilità del volume e che, naturalmente, hi>hu, deve risultare Vi<Vu. La

velocità del laminato dunque aumenta all'interno dell'arco di abbracciamento spostandosi

dall'ingresso verso l'uscita.

Se i rulli ruotano con velocità costante e se pertanto la velocità periferica dei rulli è pari a

r, affinché il processo di laminazione proceda correttamente deve aversi Vi< r<Vu. Deve

cioè esistere una ed una sola sezione, "sezione neutra", in corrispondenza alla quale la

velocità del laminato risulta essere uguale alla velocità periferica dei rulli. In conseguenza di

ciò, tra la sezione di ingresso e la sezione neutra la velocità del laminato risulta essere

inferiore alla velocità periferica dei rulli e per attrito i rulli trascinano il laminato, mentre tra

la sezione neutra e la sezione di uscita la velocità del laminato è maggiore della velocità

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

68

periferica dei rulli e pertanto le azioni tangenziali dovute all'attrito all'interfaccia rullo-

laminato si oppongono all'avanzamento del pezzo. In corrispondenza della sezione neutra la

velocità relativa laminato-rulli è nulla e si ha l'inversione delle azioni tangenziali.

E' necessario che la sezione neutra sia compresa tra la sezione di ingresso e la sezione di

uscita. Se infatti essa coincidesse con la sezione di ingresso lungo tutto l'arco di

abbracciamento si avrebbe Vlaminato> r e pertanto tutte le azioni tangenziali dovute

all'attrito all'interfaccia rullo-laminato si opporrebbero al trascinamento ed il processo non

potrebbe avvenire; se per contro la sezione neutra coincidesse con la sezione di uscita

vorrebbe dire che le forze di attrito sono esattamente quelle necessarie e sufficienti per

potere assicurare il trascinamento e pertanto potrebbero bastare piccole diminuzioni del

coefficiente di attrito per rendere impossibile il trascinamento stesso.

In altre parole, il sistema, per poter assicurare il trascinamento richiede che su tutto l'arco di

abbracciamento le tensioni tangenziali dovute all'attrito siano a favore del trascinamento

stesso; pertanto, se si dovesse verificare una diminuzione del coefficiente di attrito, per

esempio dovuta a delle condizioni di lubrificazione leggermente diverse rispetto a quelle

preventivate, il sistema non sarebbe in grado di reagire e si verificherebbe il pattinamento

dei rulli sul laminato.

Nella realtà accade che istante per istante la sezione neutra si sposta verso l'ingresso o verso

l'uscita dipendentemente dalle condizioni di attrito e dalle tensioni di trascinamento di cui

necessita il sistema per funzionare correttamente:

se diminuisce il coefficiente di attrito la sezione neutra si sposta verso l'uscita in modo

tale che sia maggiore la porzione della superficie di contatto rulli-laminato nella quale le

azioni tangenziali dovute all'attrito realizzano il trascinamento;

se invece aumenta il coefficiente di attrito la sezione neutra si sposta verso l'ingresso in

quanto è sufficiente una minore estensione della zona "di trascinamento" affinché il

sistema funzioni correttamente.

Indicato con l'arco di abbracciamento, il trascinamento del laminato potrà avvenire

laddove si verifichi tang < essendo il coefficiente di attrito all'interfaccia rulli-

laminato. Tale relazione può essere ottenuta considerando la risultante di tutte le forze

scambiate all'interfaccia rullo-laminato (considerando cioè sia le azioni normali che quelle

tangenziali) ed imponendo che la componente secondo l'asse di laminazione di tale

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

69

risultante abbia verso orientato dall'ingresso verso l'uscita. Tale relazione è equivalente a

quella di origine empirica hi-hu<2R nella quale R è il raggio dei rulli, relazione che lega in

maniera più facilmente intelligibile alcuni dei parametri operativi fondamentali in un

processo di laminazione.

Da ciò si evince l'opportunità di ottenere un alto coefficiente di attrito all'interfaccia rullo-

laminato: si vedrà, però, che ciò comporta l'incremento della potenza richiesta al laminatoio

e della forza che tende a separare i rulli.

3.4.2 Calcolo delle forze agenti sui rulli e della potenza necessaria

I parametri fondamentali nella scelta di un laminatoio sono rappresentati dalla potenza

fornita dal motore elettrico di comando e dalla massima forza ammissibile agente sui rulli.

Tenendo, infatti, conto del principio di azione e reazione se i rulli esercitano sul laminato

delle pressioni, allo stesso modo il laminato sollecita i rulli con una forza risultante eguale e

contraria che tende a separarli. Il processo di laminazione potrà, quindi, avvenire

regolarmente se la forza che tende a separare i rulli e la potenza richiesta si mantengono

inferiori ai rispettivi valori massimi disponibili sulla macchina.

Per quanto riguarda il calcolo della forza che tende a separare i rulli una stima adeguata può

essere ottenuta considerando la laminazione come un processo di forgiatura continuo. Se,

infatti, supponiamo di rettificare l'arco di abbracciamento, la cui lunghezza vale:

la distribuzione delle pressioni agenti all'interfaccia rullo-laminato può essere ricondotta al

caso, già studiato dello schiacciamento del massello prismatico. Nelle condizioni ora

ammesse, viene, pertanto, accettata l'ipotesi che la sezione neutra si trova in L/2, condizione

non sempre realmente verificata come osservato in precedenza. E' quindi possibile valutare

la pressione media agente all'interfaccia nella forma:

nella quale have= (hi+ hu)/2, mentre la tensione di flusso plastico media va calcolata

seguendo la stessa procedura vista per l'estrusione, tenendo conto che la deformazione

accumulata vale in questo caso =ln(hi/ hu).

L R h hi u

pL

have ave

ave

115 12

,

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70

La forza che tende a separare i rulli risulta essere quindi calcolabile mediante l'espressione

P=pave L B.

Tale forza risulta essere applicata ad una distanza pari a b=L/2 rispetto al centro di rotazione

del rullo e pertanto esercita un momento resistente

M=P L/2

affinchè i rulli continuino a ruotare con una velocità angolare =cost il motore elettrico

della macchina deve essere in grado di fornire un momento motore eguale ed opposto al

momento resistente; pertanto la potenza necessaria per condurre la lavorazione può essere

calcolata mediante l’espressione:

nella quale N è il numero di giri al minuto dei rulli.

Se la potenza richiesta è minore rispetto alla potenza massima disponibile sulla macchina la

lavorazione potrà svolgersi correttamente; in caso contrario sarà necessario modificare i

parametri operativi agendo, ad esempio, sul rapporto di riduzione e quindi suddividendo il

processo di laminazione in più steps o sulle condizioni di lubrificazione.

3.4.3 Limiti del processo

Le notevoli pressioni in gioco provocano, naturalmente, delle deformazioni sui rulli.

I rulli, infatti, possono inflettersi e, nella zona di contatto, possono appiattirsi con una

variazione del raggio di curvatura. Per quanto riguarda il primo problema, una inflessione

dei rulli si riflette negativamente sulla forma del pezzo ottenuto che presenterà superfici

bombate e non più piane e parallele. Tale problema è naturalmente assai grave nel caso della

realizzazione di lamierini sottili con elevate caratteristiche dimensionali e di finitura

superficiale ottenuti con passaggi di laminazione a freddo.

W PL N

2

2

60

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

71

Al fine di ovviare al problema è possibile intervenire riducendo l’entità delle pressioni, ad

esempio riducendo il valore del rapporto di riduzione, o aumentando la rigidezza dei rulli. In

particolare, dalla semplice configurazione costituita da due soli rulli

(gabbia duo) si passa “gabbia quattro” con due rulli di lavoro più

piccoli e due rulli di supporto di elevato diametro e, quindi,

caratterizzati da un elevato momento d’inerzia, fino a pervenire al

laminatoio Sendzimir riportato in figura.

Un modo diverso di risolvere il problema è costituito dalla tecnica

di "cambering"; in questo caso la generatrice dei rulli non è più perfettamente rettilinea ma

il loro diametro al centro è leggermente maggiore rispetto a quello delle zone laterali.

L'obiettivo di questa tecnica è, evidentemente, quello di fare assumere alla generatrice una

configurazione rettilinea sotto carico. Va tuttavia sottolineato che tale condizione viene

raggiunta solo per un particolare valore di carico e della larghezza della lamiera mentre, in

altre condizioni, il cambering realizza solo parzialmente il suo scopo.

L'appiattimento dei rulli determina, invece, un aumento del raggio di curvatura e pertanto a

parità di rapporto di laminazione determina un aumento della superficie di contatto rulli-

laminato. Anche in tale caso, al fine di ridurre l'appiattimento dei rulli, si ricorre alla

riduzione del rapporto di laminazione, al miglioramento delle condizioni di lubrificazione o

si impiegano, per la costruzione dei rulli, materiali con un più elevato modulo di Young.

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72

4. LAVORAZIONI PER DEFORMAZIONE PLASTICA DELLE

LAMIERE (SHEET METAL FORMING)

4.1 ASPETTI PECULIARI RELATIVI AL COMPORTAMENTO DEI

MATERIALI NELLE LAVORAZIONI DELLE LAMIERE

Si è già avuto modo di sottolineare che, diversamente dalle lavorazioni per deformazione

plastica di pezzi pieni, le lavorazioni delle lamiere sono caratterizzate da semilavorati

(lamiere per l'appunto) aventi caratteristiche anisotrope e da uno stato tensionale di trazione,

circostanza quest'ultima che rende particolarmente rilevante il pericolo di assottigliamenti

localizzati ed eventualmente di fratture duttili. Tali aspetti devono essere adeguatamente

modellizzati e di essi dovrà tenersi conto in fase di analisi e di progetto del processo

produttivo. Altrettanto importante è il fenomeno del ritorno elastico, il cui ruolo è

particolarmente rilevante in tutte quelle operazioni in cui il meccanismo di deformazione è

prossimo ad una piegatura.

4.1.1. Anisotropia

Le lamiere sono ottenute mediante il processo di laminazione. Prima di questo processo le

caratteristiche del materiale possono essere considerate isotrope, con i grani cristallini

orientati in modo casuale nello spazio; per effetto della deformazione plastica i cristalli

vengono orientati secondo direzioni cristallografiche ben precise (tessiture). In conseguenza

di ciò se si ricavano dalla lamiera alcuni provini orientati secondo direzioni diverse rispetto

alla direzione di laminazione (ad esempio a 0°, a 45° ed a 90°) e si effettuano su di essi

prove di trazione, i risultati ottenuti con riferimento al modulo di Young, alla tensione di

scorrimento, alla tensione di rottura ed all'allungamento percentuale a rottura risulteranno

anche significativamente diversi. Dal punto di vista della lavorazione delle lamiere è ancor

più rilevante osservare che gli stessi rapporti tra le deformazioni che si destano durante la

prova cambiano in dipendenza dell'orientamento del provino.

Dal punto di vista applicativo le condizioni di anisotropia vengono definite mediante alcuni

parametri fondati appunto sul rapporto tra i valori delle deformazioni misurate in una prova

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

73

di trazione mentre ancora lo stato di deformazione è uniforme e si è cioè ancora abbastanza

lontani dalla strizione. In particolare, indicando con l, w ed t rispettivamente le

deformazioni lungo la direzione della lunghezza, della larghezza e dello spessore del

provino sottoposto a trazione, il rapporto

R = w / t = ln (w0/wf) / ln (t0/tf) = ln (w0/wf) / ln (wflf / w0l0)

è definito come indice di anisotropia normale.

Occorre far rilevare che la somma delle tre deformazioni deve essere eguale a zero, dovendo

essere in ogni caso soddisfatta la condizione di invariabilità del volume che governa i

processi per deformazione plastica: le due deformazioni lungo la direzione della larghezza e

dello spessore saranno invece eguali (e quindi R risulterà eguale ad 1) solo nel caso di

materiali con caratteristiche isotrope.

Ebbene ripetendo le prove su provini orientati a 0°, 45° e 90° rispetto alla direzione di

laminazione, le condizioni che possono verificarsi sono riconducibili alle quattro seguenti

tipologie:

1. R R R0 45 90 1

in questo caso il materiale presenta caratteristiche completamente isotrope,

indipendentemente dalla direzione lungo la quale è stato tagliato il provino;

2. R R R0 45 90 1

in queste condizioni il materiale presenta anisotropia normale (la deformazione nella

direzione dello spessore è infatti minore o maggiore rispetto a quella nella direzione

della larghezza del provino), ma non anisotropia planare: il valore di R, infatti, non

dipende dall'angolazione del provino rispetto all'asse di laminazione;

3. R R R0 45 90

è il caso in cui il materiale esibisce anche anisotropia planare, condizione alla quale è

tipicamente associata, nel caso dell'imbutitura assialsimmetrica, la formazione di

"orecchie";

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

74

4. R R R0 45 90 1

si tratta del caso più generale, in cui il materiale presenta sia anisotropia normale che

planare.

Alla luce della possibile (e frequente) contemporanea presenza di fenomeni di

anisotropia normale e planare, si suole definire un indice medio di anisotropia normale nella

forma:

Rm = (R0 + R90 + 2R45) / 4

mentre una efficace misura della anisotropia planare è data dal parametro:

R = (R0 + R90 - 2R45) / 4

E' evidente che nel caso di materiale completamente isotropo Rm=1 e R=0, mentre un

materiale che esibisca anisotropia normale, ma non anisotropia nel piano della lamiera, sarà

caratterizzato da R R R Rm 0 45 90 1 e da R=0.

In generale un acciaio laminato a freddo presenta un valore dell'indice medio di anisotropia

normale compreso tra 1 ed 1,35, mentre per le leghe di alluminio si hanno valori di solito

inferiori all'unità.

Dal punto di vista della lavorabilità della lamiera, la presenza di fenomeni di anisotropia

piana è la causa della formazione delle "orecchie" nei processi di imbutitura di coppette

cilindriche, le quali determinano un bordo ondulato che deve essere eliminato con

conseguente sfrido di materiale; si è visto sperimentalmente che al crescere di R, cresce

l'altezza delle orecchie, mentre questo difetto di forma non si verifica quando R=0.

Occorre osservare d'altra parte che al crescere di Rm, il che di solito si verifica

contemporaneamente al ridursi di R, la lavorabilità del materiale cresce: dalla definizione

stessa dell'indice di anisotropia normale si evince infatti che al crescere di R, si riduce la

sensibilità alla riduzione dello spessore e quindi all'assottigliamento. Questa osservazione è

stata confermata dai risultati sperimentali ottenuti con riferimento all'imbutitura di coppette

assialsimmetriche: il valore limite del rapporto di imbutitura cresce infatti al crescere di Rm.

Si può addirittura affermare che l'indice di anisotropia normale è il parametro del materiale

più influente sulla formabilità, ancor più dello stesso coefficiente di incrudimento. Questa

circostanza giustifica l'ingente sforzo di ricerca volto all'ottenimento di tessiture in grado di

incrementare l'imbutitibilità del materiale, mediante l'aggiunta di elementi in lega, diversi

sequenziamenti del processo di laminazione e talora processi di "cross rolling".

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

75

4.1.2 Ritorno elastico

In un processo di piegatura lo stato tensionale della lamiera è piuttosto complesso: facendo

riferimento ad un modello assai semplificato e monoassiale, durante la fase di carico le

tensioni agenti nella lamiera definiscono uno stato in equilibrio con il momento applicato

dall'esterno e, sia dalla parte tesa che da quella complessa, riproducono la curva tensioni

deformazioni caratteristica del materiale.

La zona prossima alla fibra neutra resta evidentemente in campo elastico.

Nel momento in cui il punzone agente sulla lamiera viene ritratto la componente elastica

della deformazione viene restituita, dando origine al fenomeno del "ritorno elastico" ed uno

stato tensionale residuo, naturalmente equilibrato, si sviluppa nel materiale. Lo stato

tensionale residuo è facilmente calcolabile nel caso assai semplice finora descritto: basterà

infatti sommare algebricamente allo stato tensionale presente al termine della fase di carico,

lo stato tensionale elastico dovuto ad un momento eguale ed opposto a quello agente

nell'istante precedente alla rimozione del carico: rimuovere infatti l'utensile equivale ad

applicare un momento eguale ed opposto a quello agente nel momento in cui il punzone

viene ritratto. Lo stato tensionale residuo così calcolato è caratterizzato da una tensione

positiva sulla superficie interna (cioè in corrispondenza della fibra massimamente contratta)

e da una tensione negativa sulla superficie esterna, dove cioè si trova la fibra massimamente

tesa.

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

76

L'entità del ritorno elastico (calcolabile mediante il rapporto tra il raggio di curvatura della

lamiera sotto carico Rc ed il raggio di curvatura - certamente maggiore - dopo la rimozione

del punzone Rf) è evidentemente funzione della estensione della zona della lamiera che

rimane in campo elastico e che quindi restituisce la deformazione alla fine della fase di

carico. Pertanto il ritorno elastico sarà certamente funzione della drasticità della piegatura

impressa: al crescere di detta drasticità (ad esempio dovuta ad un raggio di piegatura sotto

carico piuttosto piccolo ed ad uno spessore della lamiera di rilevante entità) la zona

"elastica" tenderà a ridursi e conseguentemente anche il ritorno elastico sarà piuttosto

contenuto. Un ruolo altrettanto importante, del resto facilmente intuibile osservando la

curva tensioni - deformazioni ricavabile con una prova di trazione, è giuocato dalle

caratteristiche del materiale ed in particolare dal modulo di elasticità longitudinale e dalla

tensione di flusso plastico.

In definitiva l'entità del ritorno elastico risulta essere funzione dei seguenti parametri:

il raggio di curvatura sotto carico, il quale alla fine della fase di carico viene a coincidere

con il raggio di curvatura del punzone: al crescere di Rc, la piegatura impressa è più

dolce e conseguentemente è maggiore la porzione della lamiera che rimane in campo

elastico;

lo spessore della lamiera, s: con riferimento ancora una volta al modello semplificato

monoassiale, la deformazione impressa sulla generica fibra posta a distanza y dalla fibra

neutra è pari ad y/R, essendo R il raggio di piegatura; la deformazione massima si

verifica sul bordo esterno della lamiera e sarà pari ad s/2R. Più piccolo è s, minori

saranno le deformazioni; in definitiva, bassi valori di s svolgono un ruolo concorde a

quello che caratterizza elevati valori del raggio di piegatura: è possibile cioè racchiudere

i due parametri in un unico parametro geometrico Rc/s, al cui crescere si riduce la

drasticità della deformazione impressa e conseguentemente aumenta l'entità del ritorno

elastico alla fine della fase di carico;

infine particolarmente rilevante è l'influenza delle proprietà meccaniche del materiale,

con riferimento al rapporto tra la tensione di flusso plastico del materiale ed il modulo

di Young: analizzando la curva tensioni - deformazioni desumibile da una prova di

trazione si evidenzia che l'entità della deformazione elastica recuperata durante la fase

dello scarico cresce al crescere della tensione di flusso plastico ed al diminuire del

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

77

modulo di elasticità longitudinale. Pertanto l'entità del ritorno elastico è funzione del

parametro /E, il quale evidentemente dipende anche dalle caratteristiche di

incrudimento del materiale.

Le considerazioni che precedono e le parallele indagini sperimentali hanno condotto alla

relazione sperimentale che segue:

Si tratta naturalmente di una relazione approssimata che fornisce solo una indicazione di

massima dell'entità del ritorno elastico e che sostanzialmente esplicita il ruolo dei parametri

operativi testé analizzato. Il calcolo più preciso del ritorno elastico, con riferimento a

condizioni di processo più complesse, quali quelle, completamente tridimensionali, che si

hanno nei processi di piegatura industriali, può essere condotto solo impiegando tecniche di

simulazione numerica agli elementi finiti.

In ambiente industriale il fenomeno del ritorno elastico è combattuto ricorrendo a diverse

tecniche: una prima possibilità è rappresentata dall'overbending, dall'applicazione cioè, in

fase di carico, di un raggio di piegatura (e quindi anche di un angolo di piegatura) minore

rispetto a quello desiderato, il quale verrà successivamente raggiunto dopo il ritorno

elastico. In alternativa è possibile provare a sovrapporre allo stato tensionale caratteristico

della piegatura un ulteriore stato tensionale che porti a plasticizzazione l'intero spessore

della lamiera: ad esempio l'estremità della lamiera possono essere sottoposte ad un vincolo

di tipo incastro durante la corsa del punzone, condizione quest'ultima che induce una

sollecitazione di allungamento sulla lamiera con conseguente deformazione plastica su tutto

lo spessore. Alcune volte, infine, le lamiere sono piegate a caldo: a caldo, infatti, si riduce la

tensione di flusso plastico del materiale e, alla luce della formula riportata in precedenza, si

riduce l'entità del ritorno elastico.

R

R

R

sE

R

sE

c

f

c c4 3 1

0

3

0

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

78

4.1.3. Formabilità delle lamiere

La formabilità delle lamiere costituisce evidentemente un aspetto di primaria importanza,

dal momento che essa rappresenta la capacità, da parte del materiale, di subire deformazioni

permanenti senza arrivare alla frattura: si tratta quindi di un aspetto, la cui approfondita

conoscenza e comprensione è necessaria in fase di progettazione del processo.

La formabilità è funzione delle caratteristiche del materiale (primariamente del coefficiente

di incrudimento e, come si è visto, dell'indice medio di anisotropia normale) e delle

condizioni nelle quali il processo di evolve: numerosi studi teorici e sperimentali hanno

dimostrato che la formabilità del materiale cresce se la tensione idrostatica agente nel pezzo

è negativa ed hanno pertanto condotto alla proposta di processi quali l'"hydroforming" ed il

"rubber forming": si tratta di processi di imbutitura nei quali al posto della matrice viene

utilizzato un "cuscino" in materiale gommoso, o tale cuscino svolge le funzioni di

diaframma tra la lamiera in lavorazione ed un liquido (generalmente olio) la cui pressione è

controllata durante l'intero processo di formatura.

Storicamente il primo test atto a fornire indicazioni sulla formabilità del materiale che abbia

ottenuto una discreta diffusione dal punto di vista industriale, è il test di Erichsen ed Olsen.

In questo test la lamiera è incastrata su uno stampo piano circolare mediante l'azione di un

premilamiera che applica un carico totale pari a kg.1000; il foro della matrice ha un

diametro di mm.27, mentre il punzone, di forma sferica, ha un diametro di mm.20. La

superficie del punzone è adeguatamente lubrificata. Lo stato deformativo che si desta nella

lamiera per effetto dell'azione del punzone è costituito da un allungamento biassiale

bilanciato: se applichiamo, con metodi fotografici o chimici, una griglia di cerchietti di

dimensioni convenientemente piccole sulla superficie della lamiera, detti cerchietti

risulteranno uniformemente dilatati. Raggiunto un certo valore di corsa, evidentemente

F. Micari Lavorazioni per Deformazione Plastica

79

funzione della formabilità del materiale, sulla superficie della lamiera apparirà una frattura

duttile: la corsa raggiunta in quell'istante costituisce il numero di Erichsen caratteristico del

materiale.

Le principali critiche mosse al test di Erichsen riguardano il fatto che esso è riferito ad un

meccanismo di deformazione (cosiddetto di stretching) in cui la lamiera è completamente

incastrata sul bordo esterno ed il flusso plastico del materiale è del tutto inibito: la

deformazione cioè avviene a spese dello spessore della lamiera, che si assottiglia sino alla

rottura. Si tratta intanto di un meccanismo di deformazione che ben difficilmente si verifica

nei processi industriali di stampaggio delle lamiere, in cui, come si è detto, la riduzione

dello spessore rappresenta sempre un pericolo da evitare; inoltre nel test di Erichsen lo

stretching è completamente assialsimmetrico e conduce ad uno stato deformativo biassiale

perfettamente bilanciato con deformazioni positive ed eguali tra di loro in qualunque

direzione giacente sul piano della lamiera. Il test di Erichsen, in definitiva, prende in

considerazione un unico stato tensionale e deformativo, peraltro non frequente nei processi

industriali di formatura delle lamiere.

Un meccanismo di deformazione identico a quello del test di Erichsen viene utilizzato nel

bulge test; l'unica sostanziale differenza sta nel fatto che, in quest'ultima prova, l'azione del

punzone è sostituita da quella di un liquido sotto pressione. Con il bulge test, pertanto,

vengono completamente risolti i problemi legati all'attrito, ma persistono le perplessità

relative alla significatività della prova dal punto di vista del meccanismo di deformazione

indotto sulla lamiera.

Un notevole passo avanti è stato compiuto con l'introduzione dei forming limit diagrams:

questi diagrammi sono tracciati eseguendo una serie di prove di imbutitura su fogli di

lamiera rettangolari al variare del rapporto tra le dimensioni del rettangolo. Il punzone ha

forma emisferica ed il foro della matrice è circolare; sulla matrice è ricavato un rompigrinze

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80

anch'esso circolare (evidentemente riprodotto in negativo sul premilamiera) avente una

altezza del dente sufficiente per causare un incastro sulla lamiera e quindi indurre, per

effetto del movimento del punzone, condizioni di stretching sulla lamiera medesima.

Se si imprime sulla superficie della lamiera una griglia di cerchietti di convenienti

dimensioni, si osserva, al variare del rapporto tra le dimensioni iniziali dei lati della lamiera,

il verificarsi di stati deformativi completamente differenti: mentre infatti per un rapporto tra

i lati eguale ad uno (e cioè per un blank iniziale quadrato), il rompigrinze agisce su tutto il

contorno della lamiera e si determinano le condizioni di stretching biassiale completamente

bilanciato tipiche del test di Erichsen, al variare del rapporto tra i lati, e quindi, man mano

che l'azione del rompigrinze si esplica su una sempre più limitata parte del contorno della

lamiera, le condizioni di stretching sono sempre più sbilanciate.

In particolare analizzando i cerchietti si osserva che dalla situazione completamente

bilanciata in cui il cerchietto originario si deformava allargandosi uniformemente in tutte le

direzioni del piano della lamiera, si passa a situazioni intermedie, in cui il cerchietto assume

una forma ellittica, ma con deformazioni positive (allungamenti) sia nella direzione dell'asse

maggiore che dell'asse minore, ed infine a situazioni completamente opposte, in cui il

cerchietto subisce una contrazione (deformazione negativa) nella direzione dell'asse minore

ed assume pertanto la forma di un ellissi assai allungata. Via via che il rapporto tra le

dimensioni iniziali tra i lati cresce si tende pertanto ad uno stato deformativo analogo a

quello che si desta in una prova di trazione, in cui, per un materiale isotropo, la

deformazione nella direzione della larghezza del provino (peraltro uguale a quella agente

nella direzione dello spessore) è di segno opposto ed è pari alla metà di quella nella

direzione della trazione: in campo plastico, infatti, il modulo di Poisson è uguale a 0,5.

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Per ciascuna delle condizioni investigate sono misurati i valori della deformazione maggiore

(presente lungo la direzione dell'asse maggiore dell'ellissi e certamente sempre positiva) e

della deformazione minore (quest'ultima positiva o negativa, dipendentemente dal

meccanismo di deformazione determinatosi sul provino) al momento del manifestarsi della

frattura duttile. I punti così ottenuti sono riportati su un piano cartesiano che ha in ordinate

le deformazioni maggiori ed in ascisse le deformazioni minori: nel loro complesso essi

definiscono un luogo di punti rappresentativo delle condizioni di formabilità del materiale al

variare dello stato di deformazione.

L'esame della figura mostra che il pericolo della frattura duttile è particolarmente rilevante

quando la deformazione minore è nulla: in questo caso, infatti, per la condizione di

invariabilità del volume la deformazione lungo lo spessore deve essere eguale ed opposta

alla deformazione maggiore agente sul piano della lamiera: si avrà quindi un rilevante

assottigliamento che può portare rapidamente alla strizione della lamiera ed alla frattura. E'

possibile invece imprimere valori più elevati di deformazioni di trazione, senza che si

manifestino fratture, se esse sono accompagnate da deformazioni minori di compressione:

questa osservazione ha condotto alla progettazione di alcuni particolari processi di piegatura

delle lamiere finalizzati appunto alla generazione di uno stato deformativo secondario di

compressione.

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L'applicazione dei forming limit diagrams nella progettazione dei processi di formatura

delle lamiere è facilmente intuibile: si tratta di valutare, con riferimento alle parti della

lamiera particolarmente sollecitate durante il processo, il cammino di deformazione e di

riportarlo sul diagramma. Se il punto rappresentativo dello stato deformativo rimane

costantemente al di sotto della curva limite di formabilità, il processo potrà avvenire senza

pericolo di fratture: in caso contrario sarà necessario un qualche aggiustamento dei

parametri operativi atto a modificare il meccanismo di deformazione in modo da mantenere

il cammino di deformazione nella zona di sicurezza.

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4.2 TRANClATURA

La tranciatura delle lamiere costituisce un tipo assai particolare di lavorazione per

deformazione plastica, nella quale alla fase di formatura propriamente detta, segue la

frattura e quindi il distacco del pezzo tranciato dalla lamiera originaria.

La lamiera viene posizionata tra un punzone ed una matrice, componenti la cui sezione

trasversale determina la forma del tranciato; sia il punzone che la matrice presentano, in

corrispondenza dell'attacco della lamiera, un raggio di raccordo piuttosto limitato, al fine

evidentemente di innescare il fenomeno di taglio, pur se detti componenti non presentano

mai spigolo vivo, ciò che potrebbe determinare una usura accelerata degli stessi. E'

opportuno aggiungere, già in questa fase, che un punzone da tranciatura viene normalmente

riaffilato dopo un milione di colpi; per quanto riguarda invece la matrice, essa è interessata

ad una usura maggiore in quanto viene attraversata dal tranciato che, a seguito del ritorno

elastico, striscia contro le pareti della matrice stessa. Pertanto la riaffilatura della matrice

viene normalmente eseguita dopo 400.000 colpi.

Non appena il punzone inizia la sua corsa verso il basso, si determinano nella lamiera due

zone interessate da ingenti deformazioni permanenti rispettivamente in corrispondenza dello

spigolo della matrice e dello spigolo del punzone; in tale fase si assiste ad un

arrotondamento del bordo inferiore del tranciato e successivamente ad un processo simile ad

una estrusione con l'ottenimento di una superficie laterale di buona finitura ed a generatrice

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praticamente verticale. In tutta questa prima parte del processo il carico richiesto per la

lavorazione cresce stabilmente.

Non appena il livello delle deformazioni permanenti accumulate raggiunge un certo valore

limite, il fenomeno evolve nella generazione di due linee di frattura ancora in

corrispondenza agli spigoli del punzone e della matrice. All'istante della frattura corrisponde

il raggiungimento di un massimo nella curva carico - spostamento: dopo la frattura, infatti,

la resistenza offerta dal materiale decresce rapidamente, comportando una brusca riduzione

del carico richiesto alla macchina.

Se le due zone di frattura si muovono nella stessa direzione e quindi tendono ad incontrarsi

si ottiene una buona lavorazione: la superficie laterale del tranciato, a parte la prima zona

piuttosto liscia ed a generatrice verticale determinatasi nel corso della fase di "estrusione"

prima descritta, presenterà una generatrice leggermente obliqua ed avrà un livello di

rugosità superficiale compatibile con la maggior parte delle applicazioni pratiche. Se invece

le due linee di frattura non si muovono lungo la stessa direzione, al procedere del processo

di desta una terza linea di frattura, che congiunge le due iniziali e che determina la

formazione di un "gradino" con conseguente notevole deterioramento della qualità della

superficie laterale del pezzo tranciato.

La scelta dei parametri operativi deve quindi essere condotta in modo tale da ottenere un

allineamento delle linee di frattura ciò che può raggiungersi limitando la zona interessata

alla deformazione e cercando di ricondursi ad uno stato tensionale di taglio puro.

Il parametro fondamentale per il controllo del fenomeno è il gioco "c" tra matrice e

punzone. Il gioco a sua volta dipende molto dal materiale, nel senso che più il materiale è

deformabile, più piccolo deve essere il gioco, mentre su un materiale che non scorre

faci1mente il gioco può essere più ampio. Nel caso infatti di un materiale piuttosto

deformabile solo un gioco assai modesto potrà circoscrivere la zona interessata alla

deformazione plastica nella prima fase del processo di tranciatura e quindi condurre ad un

allineamento ed all'incontro delle linee di frattura, determinando così una buona

lavorazione.

Nella pratica è possibile, proprio in funzione del gioco da impiegare, suddividere i materiali

in tre categorie:

• molto deformabili (alluminio, ecc.): per essi il gioco va contenuto entro il 4,5% dello

spessore;

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• mediamente deformabili (bronzo, acciaio dolce): il gioco sarà scelto intorno al 6% dello

spessore;

• poco deformabili (acciai a medio ed alto tenore di carbonio): in questo caso infine,

saranno adottati valori del gioco pari al 7,5% dello spessore del foglio di lamiera.

Il carico necessario per eseguire la tranciatura è dato dalla relazione:

W = R x P x t

nella quale R è la tensione tangenziale di rottura del materiale, P è il perimetro del

tranciato, t è lo spessore della lamiera.

L'energia richiesta per completare la lavorazione è data dall'area sottesa dalla curva carico -

spostamento. Una stima significativamente in eccesso di tale energia è data dal prodotto del

carico sopra riportato, per lo spessore della lamiera, t. In tale stima si ammette, infatti, che

tale carico sia richiesto durante tutta la corsa del punzone (pari naturalmente allo spessore

della lamiera), mentre la frattura e di conseguenza la rapida riduzione della resistenza del

materiale avvengono prima che il punzone abbia completato la corsa stessa.

Un caso particolare della tranciatura è rappresentato dalla tranciatura fine, impiegata per

ottenere tranciati caratterizzati da tolleranze dimensionali assai ristrette e da una ottima

finitura della superficie laterale. In questo caso, oltre al punzone e alla matrice, l'attrezzatura

impiegata comprende anche un premilamiera, sulla cui faccia inferiore è ricavato un dente

che si estende lungo tutto il contorno del tranciato. Questo dente "morde" il foglio di

lamiera tenendola ben bloccata e pertanto favorisce la localizzazione delle zone interessate

alla deformazione plastica ed alla frattura. Frequentemente sono anche impiegati dei

contropunzoni, dalla parte opposta del punzone, atti ad impedire un ingobbamento della

lamiera e pertanto a migliorare la qualità del prodotto finito.

Inoltre il processo di tranciatura richiede, dopo un certo numero di cicli, l'affilatura sia del

punzone che della matrice che, nel caso di tranciatura fine, viene realizzata circa ogni

300.000 colpi per il punzone e dopo solo 80.000 colpi per la matrice.

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4.3 PIEGATURA

La piegatura delle lamiere viene realizzata sia con la lamiera ferma che in moto. In

quest'ultimo caso è più opportunamente definita calandratura.

Due parametri importanti nel processo di piegatura sono il raggio massimo di piegatura,

definito come quel valore del raggio di curvatura al di sopra del quale non si raggiunge

deformazione plastica della lamiera, cioè, in altre parole, cessata l'applicazione del carico la

lamiera ritorna alla sua configurazione originaria, ed il raggio minimo di piegatura, definito

come quel valore del raggio di piegatura al di sotto del quale si ha la frattura della lamiera.

Il raggio massimo di piegatura può essere determinato studiando il processo di piegatura

nell'ipotesi di deformazione piana ed impiegando le considerazioni relative all'inflessione

della trave rettilinea. Ricordando che l’entità della deformazione impressa sulla generica

fibra posta a distanza y dalla fibra neutra è pari ad y/R, con R il raggio di piegatura; la

deformazione massima si verifica sul bordo esterno della lamiera e sarà pari ad s/2R.

Ebbene il valore del raggio massimo di piegatura si ottiene imponendo che in

corrispondenza alla fibra più sollecitata si raggiungano le condizioni di prima

plasticizzazione, si raggiunga cioè una deformazione pari ad 0 /E. Eguagliando si ottiene:

Analogamente, per il raggio minimo basta imporre che, sempre nella fibra più sollecitata, la

deformazione impressa raggiunga l'allungamento percentuale a rottura, A%:

REs

max 2 0

s

R

A

Rs

A

/ %

%

min

min

2

100

50

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Il carico necessario per la piegatura delle lamiere è dato da:

nella quale k è una costante dipendente dal tipo di piegatura attuata (ad "U" a "V', ecc.), l è

la lunghezza della lamiera, w è la distanza tra gli appoggi ed infine s è lo spessore.

P kls

w

0

2

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4.3 IMBUTITURA

Nel caso più semplice di imbutitura profonda, una lamiera circolare di diametro D0 è

trasformata in un bossolo con superficie di base piana mediante l'azione di un punzone di

diametro Dp che la costringe a fluire attraverso il foro di una matrice. Sia il punzone che la

matrice devono essere caratterizzati da spigoli ben arrotondati al fine di evitare pericoli di

taglio della lamiera. pur se, come si avrà modo di discutere nel proseguo, tali raggi di

raccordo vanno mantenuti entro precisi limiti per non cadere in un diverso tipo di difettosità.

E' essenziale far osservare che l'azione del punzone è esercitata sul fondo del bossolo, il

quale resta sostanzialmente rigido - od al più subisce limitate deformazioni - e tira la

lamiera circostante costringendola a scorrere entro la matrice.

Da un punto di tensionale, quindi, il fondo del bossolo è sottoposto ad uno stato di tensione

biassiale bilanciato, le pareti laterali ad intense tensioni assiali di trazione, mentre sulla

flangia, sulla parte cioè della lamiera ancora piana che non ha iniziato a fluire all'interno del

foro della matrice, è presente uno stato tensionale caratterizzato da tensioni radiali di

trazione e tensioni circonferenziali di compressione. La flangia è infatti tirata radialmente

verso il foro della matrice ed è, pertanto, costretta ad una continua riduzione di diametro.

Occorre ancora aggiungere che in corrispondenza del raggio di raccordo della matrice la

lamiera è soggetta a flessione e successivo raddrizzamento.

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Lo stato tensionale ora descritto, permette di introdurre immediatamente i principali pericoli

che possono manifestarsi in un processo di imbutitura: se infatti il carico necessario per

effettuare la lavorazione - carico che deriva dalla sommatoria delle aliquote richieste per

comprimere la lamiera circonferenzialmente nella zona della flangia, piegare e raddrizzare

la lamiera in corrispondenza del raggio di raccordo della matrice e vincere gli attriti che si

destano al contatto tra la lamiera e i vari componenti dell'attrezzatura impiegata supera la

capacità di resistenza offerta dalla parete del bossolo, si arriva alla frattura del bossolo

stesso, generalmente localizzata in corrispondenza della zona di transizione tra il fondo e le

pareti. Il carico, infatti, come già osservato in precedenza è applicato dal punzone sul fondo

del bossolo e trasmesso alla restante lamiera attraverso le pareti laterali.

L'altro tipo di pericolo da tenere presente nel corso della fase di scelta dei parametri

operativi caratteristici della lavorazione è rappresentato dalla formazione di grinze

circonferenziali nella flangia. La flangia è infatti soggetta a tensioni circonferenziali di

compressione che determinano in ogni caso un ispessimento della flangia stessa. Se tali

tensioni raggiungono un livello sufficientemente elevato e se la rigidezza della lamiera

(evidentemente legata allo spessore ed alle caratteristiche meccaniche) non è sufficiente,

possono determinarsi fenomeni di instabilità plastica con la formazione di grinze.

Al fine di ovviare a tale pericolo, l'imbutitura viene generalmente realizzata impiegando un

opportuno premilamiera avente il compito di guidare il flusso radiale della lamiera della

flangia: in effetti una imbutitura senza premilamiera può essere effettuata solo per valori

assai bassi del rapporto di imbutitura D0/Dp fino ad un massimo pari a 1,2 per i quali le

tensioni circonferenziali agenti sulla flangia si mantengono entro livelli assai contenuti.

L'utilizzo del premilamiera deve, d'altra parte, tenere conto di alcune limitazioni per quanto

riguarda l'entità della pressione da quest'ultimo esercitata sulla lamiera. Occorre infatti

osservare che una pressione eccessiva potrebbe ostacolare il flusso radiale della flangia

verso il foro della matrice fino ad un completo arresto dello stesso. In tali condizioni -

cosiddette di "stretching" - il movimento del punzone avviene a spese dello spessore della

lamiera che pertanto subisce un progressivo assottigliamento fino alla rottura. Nella pratica

industriale il valore della pressione applicata dal premilamiera viene fissato tra l'l e 1'1,5%

della tensione di snervamento del materiale della lamiera. E' ancora opportuno aggiungere

che in alcune occasioni la matrice ed il premilamiera presentano un "rompigrinze"; si tratta

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di un risalto sulla matrice (e di una corrispondente cavità sul premilamiera) che ha il

compito di ostacolare, ove necessario, il flusso radiale del materiale.

Con le considerazioni che precedono si è avuto modo di analizzare il ruolo dei primi due

parametri operativi sui quali agire nel corso della progettazione del processi di imbutitura:

l'utilizzo del premilamiera e l'entità della pressione che questo esercita sulla lamiera.

Tra gli altri parametri operativi vanno in particolare ricordati:

• il rapporto di imbutitura D0/Dp; al crescere di tale rapporto si assiste ad un generale

aggravamento dello stato tensionale e quindi, in definitiva, del carico necessario per

condurre il processo. Esiste quindi un rapporto limite di imbutitura («limiting drawing

ratio», LDR), raggiunto il quale il carico richiesto eccede la capacità di resistenza del

materiale e può verificarsi la frattura dell'imbutito. Nella pratica industriale sono noti

precisi valori del rapporto limite di imbutitura, dipendenti dal materiale della lamiera;

• le condizioni di lubrificazione; è essenziale mantenere una ottima lubrificazione

all'intertaccia lamiera-premilamiera e lamiera-matrice. In caso contrario infatti il flusso

radiale del materiale della flangia è fortemente ostacolato dalle azioni tangenziali di

attrito e cresce il carico totale richiesto per condurre la lavorazione determinando

problemi del tipo visto in precedenza. Non è invece conveniente avere una lubrificazione

spinta all'interfaccia materiale - punzone: ivi infatti può risultare conveniente che una

parte del carico di imbutitura venga trasmesso dal punzone alla lamiera per attrito sulle

pareti laterali del punzone. L'esperienza ha dimostrato che con un punzone rugoso, o

lubrificando solo la flangia della lamiera da imbutire, è possibile utilizzare un valore più

alto del rapporto di imbutitura senza pericolo di frattura;

• i raggi di raccordo del punzone e della matrice; raggi di raccordo troppo ristretti possono

condurre al pericolo della tranciatura od, in ogni caso, impongono una piegatura troppo

severa alla lamiera. Pertanto il carico richiesto per l'imbutitura aumenta, senza che d'altra

parte cambi la capacità di resistenza delle pareti del bossolo: aumenta quindi il pericolo

di formazione di fratture ed è necessario lavorare con valori più bassi del rapporto di

imbutitura. Raggi di raccordo troppo ampi, d'altro canto, lasciano molta lamiera non

guidata e si può manifestare il pericolo del "puckering", cioè della formazione di grinze

tra il punzone e la matrice.

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Nel caso di lamiere circolari una valida stima del carico totale di imbutitura è ottenibile

dalla relazione sperimentale:

nella quale Dp è il diametro del punzone, D0 è il diametro della lamiera, ed infine s è lo

spessore della lamiera.

P D sD

DP R

P

00 7,