EVOLUZIONE DELLE TECNOLOGIE E DEI MATERIALI AEROSPAZIALI · materiali usati nell’ingegneria...

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI - Ver.00 INTRODUZIONE: EVOLUZIONE DELLE TECNOLOGIE E DEI MATERIALI AEROSPAZIALI _________________ INTRODUZIONE 0 _________________ EVOLUZIONE DELLE TECNOLOGIE E DEI MATERIALI AEROSPAZIALI 1. Storia a Fig.0.1 mostra l’evoluzione attraverso i secoli dei materiali usati nell’ingegneria meccanica e civile. I nostri progenitori facevano un uso estensivo di materiali cellulari naturali come il legno, la pelle e l’osso, unitamente a materiali relativamente fragili, come la pietra, la selce e l’argilla. Un tale utilizzo era basato sull’esperienza pratica, che consigliava di usare i materiali fragili per sopportare soprattutto carichi di compressione ed i materiali polimerici come il legno utilizzati in maniera da sfruttare la loro elevata resistenza a trazione ed a flessione. Fig. 0.1 - Evoluzione dei materiali per l’ingegneria meccanica e civile. Con l’avvento dei metalli, si resero disponibili materiali da costruzione dotati di un comportamento inerentemente duttile. Pur in mancanza di una dettagliata conoscenza dello stato di sollecitazione, i componenti poterono così essere progettati in maniera da deformarsi localmente in caso di sovrasollecitazione, ridistribuendo lo sforzo, “perdonando” errori di progettazione ed evitando cedimenti catastrofici. Per compiere il loro primo volo, il 17 Dicembre 1903, i Fratelli Wright utilizzarono i materiali che fino ad allora erano stati usati con successo per fabbricare alianti e aquiloni: legno, cavi metallici e tela. Tale scelta venne dettata dalla resistenza, dal peso, dal costo e – soprattutto – dalla disponibilità. Nei vent’anni che seguirono quell’evento storico, legno e tela regnarono sovrani, con poche escursioni da parte dei progettisti nel campo dei metalli. Per ottenere il minimo peso, i primi velivoli erano strutture di cavi e puntoni ricoperte di tela. Da un punto di vista storico, è interessante notare che il legno è un materiale composito biologico fatto di fibre di cellulosa immerse in una resina naturale. Allo stesso modo, la tela è un materiale raffinato, nel quale le fibre naturali vengono intrecciate a formare un tessuto; dopo essere stata tesa sopra la struttura, la tela viene impregnata con resina per renderla impermeabile all’aria ed all’acqua. Un tale processo ha molto in comune con le moderne tecnologie dei materiali compositi: la sola differenza sta nel fatto che le fibre e le matrici attuali sono materiali sintetici ad alte prestazioni. Ciononostante, la circostanza è significativa, e dimostra come la reale L G. Sala, L. Di Landro, A.Airoldi, P. Bettini Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano 1

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI - Ver.00 INTRODUZIONE: EVOLUZIONE DELLE TECNOLOGIE E DEI MATERIALI AEROSPAZIALI

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INTRODUZIONE

0 _________________

EVOLUZIONE DELLE TECNOLOGIE

E DEI MATERIALI AEROSPAZIALI

1. Storia

a Fig.0.1 mostra l’evoluzione attraverso i secoli dei materiali usati nell’ingegneria meccanica e civile. I

nostri progenitori facevano un uso estensivo di materiali cellulari naturali come il legno, la pelle e l’osso, unitamente a materiali relativamente fragili, come la pietra, la selce e l’argilla. Un tale utilizzo era basato sull’esperienza pratica, che consigliava di usare i materiali fragili per sopportare soprattutto carichi di compressione ed i materiali polimerici come il legno utilizzati in maniera da sfruttare la loro elevata resistenza a trazione ed a flessione.

Fig. 0.1 - Evoluzione dei materiali per l’ingegneria meccanica e civile. Con l’avvento dei metalli, si resero disponibili materiali da costruzione dotati di un comportamento inerentemente duttile. Pur in mancanza di una

dettagliata conoscenza dello stato di sollecitazione, i componenti poterono così essere progettati in maniera da deformarsi localmente in caso di sovrasollecitazione, ridistribuendo lo sforzo, “perdonando” errori di progettazione ed evitando cedimenti catastrofici. Per compiere il loro primo volo, il 17 Dicembre 1903, i Fratelli Wright utilizzarono i materiali che fino ad allora erano stati usati con successo per fabbricare alianti e aquiloni: legno, cavi metallici e tela. Tale scelta venne dettata dalla resistenza, dal peso, dal costo e – soprattutto – dalla disponibilità. Nei vent’anni che seguirono quell’evento storico, legno e tela regnarono sovrani, con poche escursioni da parte dei progettisti nel campo dei metalli. Per ottenere il minimo peso, i primi velivoli erano strutture di cavi e puntoni ricoperte di tela. Da un punto di vista storico, è interessante notare che il legno è un materiale composito biologico fatto di fibre di cellulosa immerse in una resina naturale. Allo stesso modo, la tela è un materiale raffinato, nel quale le fibre naturali vengono intrecciate a formare un tessuto; dopo essere stata tesa sopra la struttura, la tela viene impregnata con resina per renderla impermeabile all’aria ed all’acqua. Un tale processo ha molto in comune con le moderne tecnologie dei materiali compositi: la sola differenza sta nel fatto che le fibre e le matrici attuali sono materiali sintetici ad alte prestazioni. Ciononostante, la circostanza è significativa, e dimostra come la reale

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evoluzione in questi ultimi cento anni vada ricercata soprattutto nella natura dei materiali. Il legno venne gradualmente sostituito dai tubi metallici tra il 1910 ed il 1925. Il primo monoplano interamente metallico, che aveva un’ala in alluminio puro, venne progettato in Germania da Hans Reissner e volò nel 1912, seguito nel 1915 dal primo monoplano interamente metallico con ala a sbalzo (Junkers J-1), costruito con materiali che si dicevano essere ferro ed acciaio. L’acciaio presentava i vantaggi di un alto modulo elastico ed alti sforzi di snervamento e di rottura. Sfortunatamente, essi erano accompagnati da una densità specifica molto alta, almeno tripla rispetto all’alluminio e dieci volte maggiore rispetto al legname compensato. Per risparmiare peso, negli anni ’30 i progettisti erano perciò obbligati ad utilizzare l’acciaio in spessori sottilissimi. Preferibilmente venivano utilizzati acciai con sforzo di snervamento di circa 1000 Mpa. Per assicurare alle lamiere sottili una sufficiente stabilità, vennero ideate per le sezioni dei longheroni alari delle sezioni estremamente intricate, tipici esempi delle quali sono mostrati in Fig.0.2.

Fig. 0.2 – Sezioni tipiche per longheroni in materiale metallico sottile Le lamiere aveva spessori tipici che variavano da 0,25 a 1,63 mm, con composizioni chimiche che comprendevano 0,5% C e 1,5% Mn (Acciaio DTD 137), oppure Ni e Cr (Acciaio DTD 54A), oppure 12% Cr (Acciaio DTD 46A). Nel 1909 in Germania, Alfred Wilm aveva accidentalmente scoperto che una lega di alluminio contenente il 3,5% Cu, 0,5% Mg con piccole percentuali di impurità costituite da Si e Fe, si indurisce spontaneamente dopo un raffreddamento brusco da 480 °C. Il brevetto di questo materiale venne acquistato dalla Durener Metallwerke che commercializzò la lega con il nome di Duralumin. Per oltre mezzo secolo questa lega è stata utilizzata nello stato di trattamento termico ed invecchiamento artificiale, con uno sforzo di snervamento non inferiore ai 230 MPa, sforzo di rottura non inferiore ai 390 MPa ed allungamento a rottura non inferiore al 15%. Il possibile miglioramento di queste proprietà, che è possibile ottenere grazie ad un invecchiamento artificiale a 175 °C non venne sfruttato dall’industria aeronautica fino al 1934. Tale lega invecchiata artificialmente ha uno sforzo di snervamento non inferiore ai 370 MPa, sforzo di rottura non inferiore ai 460 MPa ed allungamento a rottura non inferiore all’8%. In aggiunta allo sviluppo del Duralumin (usato per la prima volta come materiale strutturale principale

da Junkers nel 1917), tre altre cause contribuirono alla sostituzione dell’acciaio da parte delle leghe d’alluminio. Queste furono una migliore comprensione dei processi di trattamento termico, l’introduzione dell’estrusione per una grande varietà di sezioni e l’uso della placcatura con alluminio puro per garantire una maggiore resistenza alla corrosione. A dire il vero, la penetrazione di tali materiali non fu molto rapida. Infatti, ancora durante la II Guerra Mondiale, alcuni velivoli militari ad alte prestazioni, come il de Havilland Mosquito, gli alianti trasporto truppe e – più tardi - lo Spruce Goose di Howard Hughes, fecero ampio uso del legno. A partire dai primi anni ’30 venne introdotto il rivestimento collaborante irrigidito da correnti chiodati, che venne adottato sia sui velivoli militari che su quelli commerciali. I metalli cominciarono ad essere utilizzati estensivamente nei velivoli militari ad alte prestazioni, ma la loro penetrazione non fu completa sino alla fine della II Guerra Mondiale. A partire da allora, le leghe d’alluminio divennero i materiali da costruzione predominanti per le strutture di tutti i tipi di velivoli. Il successivo sviluppo di leghe caratterizzate da elevata resistenza statica ed a fatica consentì ai velivoli di volare più velocemente, più in alto, portando un maggior carico pagante. E’ sorprendente, ma tra la moltitudine di possibili leghe di alluminio, solo un pugno di esse riuscì a penetrare l’industria aerospaziale (1100, Duralium, Alcoa 17S, Alclad, 2024, 70759. A parziale spiegazione di una così lenta transizione dei nuovi materiali a cavallo della II Guerra Mondiale, va ricordato che l’industria aeronautica è molto conservativa, specie quando si tratta di introdurre nuovi materiali in sistemi con uomini a bordo. Così, i progettisti pretendono di possedere estesi ed affidabili data-base prima di adottare nuovi materiali nelle strutture e nei motori. Tale conservatorismo è largamente giustificato, specie quando si constata quanto poco l’adozione di nuovi materiali sia stata responsabili di disastri nella storia dell’aeronautica; d’altro canto, ad esso va imputata una certa mancanza di flessibilità nello sviluppare nuovi concetti di velivoli. Lo sviluppo dei motori a turbina a gas, avvenuto durante gli anni ’30, portò al volo prima del motore di Von Ohain nel 1939 e poi di Frank Whittle nel 1941; nonostante ciò, il brevetto originario venne attribuito a quest’ultimo. Il motore tedesco faceva uso della lega Fe35Ni15Cr2Ti (Tinidur) per fabbricare le palette della turbina, a partire da lamiere piegate e saldate per consentire il raffreddamento interno. Il motore inglese utilizzava invece la lega Ni20Cr2.5Ti (Nimonic 80). Tali leghe sono ancora alla base dei materiali convenzionali attualmente utilizzati. La massima velocità operativa dei caccia venne quasi raddoppiata nel corso del decennio 1934-1943; entro il 1959, con l’introduzione dell’F106A (che aveva una velocità massima di Mach 2.3 a 12.000 m), essa crebbe di 6,5 volte in un periodo di 25 anni. Negli anni successivi tale valore si stabilizzò, in larga misura a causa del riscaldamento cinetico che induceva temperature superiori ai 180 °C: l’alluminio non era

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più sufficiente, e nuovi metalli avrebbero dovuto essere adottati per consentire un ulteriore miglioramento delle prestazioni dei velivoli militari. All’aumentare delle temperature di utilizzo, i tradizionali metalli da costruzione raggiungono infatti la loro resistenza limite, come mostra la Fig.0.3.

Fig. 1.2 - Prestazioni dei materiali tradizionali usati per l’airframe A causa di ciò, si è costretti a ritornare a materiali fragili tradizionali come la ceramica oppure innovativi come i metalli refrattari, gli intermetallici ed i compositi carbonio/carbonio. L’utilizzo di tali materiali richiede la conoscenza della distribuzione delle sollecitazioni nel componente, per evitare concentrazioni di sforzo e sfruttare appieno la resistenza ad alta temperatura unita però alla loro limitata duttilità. A partire dai tardi anni ’60, i compositi a matrice polimerica rinforzati con fibre di vetro, carbonio ed aramidiche, cominciarono ad apparire come una valida alternativa ai metalli come materiali strutturali. A partire dagli anni ’80 la scelta dei materiali da costruzione per le strutture ed i motori si è ampliata considerevolmente. Si sono infatti resi disponibili compositi e metalli per alte temperature, compositi a matrice metallica, composti intermetallici, metalli refrattari, compositi carbonio/carbonio e ceramiche strutturali Infine, l’aumento delle prestazioni comporta l’aumento dei costi al decollo (Fig.0.4).

Fig. 0.4 – Cronologia dei costi di messa in esercizio associati alle prestazioni

L’estrapolazione di tale tendenza porta a prevedere che nel 2050 il bilancio annuale dell’U.S. Air Force consentirà l’acquisto di un solo velivolo (prima legge di Augustine). 2. Materiali del presente

L’incremento di prestazioni richiesto ai veicoli aerospaziali richiede a sua volta un miglioramento delle caratteristiche dei materiali da costruzione: ciò vale sia per le strutture che per i motori. Ad esempio, un caccia deve poter operare in un inviluppo di combattimento più ampio (Fig.0.5), con persistenza a velocità supersoniche, maggiori velocità di virata, elevati fattori di carico ed alti numeri di Mach.

Fig. 0.5 – Inviluppo di volo per futuri velivoli da combattimento La Fig.0.6 mostra il ruolo giocato dai materiali ad alte prestazioni nel ridurre il peso strutturale: esso eccede grandemente il contributo offerto da altre tecnologie avanzate, come le filosofie strutturali innovative, la progettazione con l’ausilio del calcolatore, le tecniche di controllo attivo e di soppressione del flutter.

Fig. 0.6 – Tendenza alla riduzione di peso per strutture primarie dei velivoli militari Generalmente il costo al decollo di un velivolo aumenta al passare dai velivoli dell’aviazione generale ai velivoli leggeri mono- e bi-motore, ai grandi velivoli da trasporto, agli executive a getto o turboelica, fino ad arrivare ai costosi velivoli militari da caccia o da superiorità aerea (Fig.0.7). Per questo motivo è molto più facile giustificare l’uso di un materiale

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particolarmente costoso in un velivolo appartenente all’ultima categoria piuttosto che alla prima.

Fig. 0.7- Variazione del costo di produzione dell’airframe rispetto alla tipologia di velivolo. Ciò significa che, mentre è elevata la probabilità che grandi quantità di costosi materiali compositi (Fig.0.8) vengano utilizzati nei velivoli militari, è altrettanto improbabile che essi possano venir usati nei velivoli dell’aviazione generale (Fig.0.9).

Fig. 0.8 - Variazione dei costi di messa in esercizio in funzione della tipologia di materiale.

Fig. 0.9 - Materiali adottati per velivoli militari odierni e futuri Il primo velivolo completamente in composito è stato l’executive a getto Beech Starship. I materiali da costruzione per le strutture dei velivoli sono riportati in Fig.0.10. Per quanto riguarda i materiali metallici, l’alluminio e le sue leghe continuano a costituire la soluzione convenzionale per temperature di

funzionamento non superiori ai 150 °C. Oltre questa temperatura di regime, devono essere utilizzati il titanio e le sue leghe (per esempio nel caso del velivolo da pattugliamento ad alta quota SR-71, che può volare a velocità maggiori di Mach 3).

Fig. 0.10 - Passato, presente e futuro. Materiali per applicazioni aeronautiche. Le leghe di alluminio godono di un vantaggio economico rispetto ai compositi a matrice polimerica, come mostrato in Fig.0.10. I possibili miglioramenti delle prestazioni dei metalli, che possono essere derivati dall’ottimizzazione della chimica di alligazione (ad esempio leghe Al-Li), dall’introduzione di tecniche di rapida solidificazione e dal prender piede dei compositi a matrice metallica, verranno presi in considerazione più avanti in questo capitolo. I compositi a matrice polimerica possiedono una densità del 45% inferiore rispetto alle leghe di alluminio, unita ad elevati valori di resistenza e di rigidezza. Ciò porta a valori degli indici di efficienza strutturale estremamente elevati e stimola fortemente lo sviluppo di tecnologie economicamente convenienti. In generale, l’aumento dell’efficienza strutturale comporta un aumento nei costi di produzione (Fig.0.11).

Fig. 0.11 - Effetto dell’aumento dell’efficienza strutturale addotte al costo dei velivoli. A differenza delle strutture metalliche, i carichi di fatica con componenti tensionali non costituiscono un fattore limitante per le strutture in composito (vedi ad esempio le pale dei rotori di elicottero). Viceversa gli

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effetti di intaglio, per esempio conseguenti alle forature dei rivetti, costituiscono il fattore limitante per la resistenza statica dei compositi. Ulteriori limitazioni per questi materiali risiedono nella loro intrinseca fragilità e nella sensibilità agli effetti igrotermici, che portano ad un degrado ambientale. L’inerente anisotropia, originariamente guardata con sospetto, costituisce invece la maggior peculiarità di questi materiali, e viene sfruttata per aumentare l’efficienza strutturale e per migliorare le proprietà aeroelastiche della struttura. Le Figg.0.12, 0.13 mostrano le proprietà delle fibre di rinforzo attualmente disponibili, mentre la Fig.0.14 confronta le prestazioni delle principali leghe metalliche e di alcuni tipi di compositi.

Fig. 0.12 - Resistenza alla trazione e rigidezza per una varietà di fibre.

Fig. 0.13 - Resistenza e rigidezza specifica per una varietà di fibre

Fig. 0.14 - Resistenza e rigidezza specifica per alcuni materiali isotropi e compositi.

La Fig.0.15 mostra invece i risparmi in peso che è possibile conseguire grazie all’utilizzo dei compositi: i valori maggiori si registrano per i velivoli da caccia, i minori per i grandi velivoli da trasporto. Ad esempio, il velivolo a lungo raggio ad alta capacità Airbus A380 (capace di trasportare 650 passeggeri a 15.000 km di distanza), fa un uso intensivo di compositi allo scopo precipuo di ridurre il peso. Così, la struttura del cassone centrale alare (7x8x2.4m) è in carbonio, con un guadagno in peso di 1000 Kg, mentre il cassone esterno è, invece, ancora costruito in alluminio (leghe 2024 e della serie 7000, nonché la nuova serie 6000).

Fig. 0.15 - Risparmio di peso raggiunto attraverso l’utilizzo di strutture composite a matrice polimerica Parimenti in composito sono realizzati il cono di coda non pressurizzato, il tronco posteriore della fusoliera, la paratia di coda e le travi del pavimento del ponte superiore, che sono travi in carbonio pultruso della lunghezza di 7 m. Ancora di carbonio, anziché in metallo, sono numerosi pannelli alari prodotti per RFI (Resin Film Infusion) 25 centine alari (ne restano 30 in alluminio), sempre al fine di obbedire all’imperativo del contenimento dei pesi, portando ad un guadagno di 300 Kg. Anche la deriva e gli impennaggi orizzontali sono, infine, costruiti in carbonio, secondo una linea ormai consolidata su altre serie di Airbus fino dagli inizi degli anni ’80, come le superfici di comando dell’A 310-200, la deriva in fibre di carbonio dell’A 310 e l’impennaggio orizzontale dell’A 320. Sull’Airbus i compositi costituiscono circa il 16% del peso strutturale ed hanno consentito un risparmio di circa 15.000Kg rispetto ad un equivalente velivolo interamente metallico (il peso a vuoto del velivolo si aggira attorno alle 280 ton.). L’utilizzo dei compositi avrebbe potuto essere anche maggiore, se il contenimento dei costi non avesse costituito un vincolo. La concorrente Boeing utilizza in maniera massiccia i compositi nel twinjet B7E7 da 210-250 passeggeri: la fusoliera e la struttura alare interamente in composito consentono di abbattere del 17% il consumo di carburante e del 10% i costi operativi rispetto al concorrente Airbus A330. A causa della drastica riduzione dei budget, il settore militare auspica la riduzione dei pesi, ma soprattutto l’abbattimento dei costi di produzione. Per questo motivo, gli enti tecnici militari degli Stati Uniti, assieme con i maggiori produttori Lockeed Martin, Boeing, GKN, BAE, EADS ed Alenia, hanno contribuito allo sviluppo e all’adozione di tecnologie di laminazione automatizzata, di RTM (Resin Transfer

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Moulding), di RFI (Resin Film Infusion), di polimerizzazione electron beam con l’obiettivo di ridurre almeno del 50% i costi di produzione. Tecniche altamente automatizzate richiedono investimenti rilevanti (una macchina per la laminazione automatizzata di grandi pezzi integrati può costare sino a 35 milioni di EURO) e la loro adozione è conveniente solo nell’ambito di progetti internazionali, come l’F22 Raptor, l’F35 JSF (Joint Strike Fighter), l’Eurofighter Typhoon, l’A400M, l’RAH66 Comanche ed il V22 Osprey, che aspirano a produzioni molto numerose. Un altro settore che può trarre grandi benefici dall’uso dei compositi e dal conseguente risparmio in peso è quello degli UAV (Unmanned Air Vehicles) e UCAV (Unmanned Combat Air Vehicles) come l’RQ-1 Predator. Negli UAV di ultima generazione, come il Northrop Grumman RQ-4A Global Hawk, l’adozione dei compositi ha consentito di imbarcare una quantità di carburante pari al 50% del peso complessivo, aumentando l’autonomia a 34 ore, mentre i prototipi dell’UCAV Boeing X-45A Spiral (con caratteristiche stealth) ne hanno anche dimostrato la producibilità a basso costo, grazie all’utilizzo combinato di tecnologie FMC (Foam Matrix Core) e RTM (Resin Transfer Moulding). Gli elicotteri, anche più degli altri tipi di velivolo, beneficiano dell’utilizzo dei compositi, il cui utilizzo nella struttura consente la riduzione di peso e nelle pale l’aumento della vita a fatica. Il Boeing-Sikorsky Comanche, tra le molte altre applicazioni, utilizza compositi quarzo-bismaleimide anche per le parti “calde”. L’utilizzo di compositi con tecnologie di laminazione automatizzata nella realizzazione del convertiplano militare Boeing V22 Osprey ha comportato riduzioni: del 65% dei costi di produzione, del 25% del numero di componenti, del 34% del numero di rivetti, con un risparmio globale del costo di produzione vicino al 55%. Tale esperienza tecnologica ha potuto essere sfruttata poi nella produzione del convertiplano civile Bell Agusta BA609. L’attuale egemonia dei compositi con matrice polimerica termoindurente (resina epossidica) potrà a breve essere insidiata dalle matrici termoplastiche aromatiche, che sono più tenaci e resistenti all’elevata temperatura ed ai solventi (Fig.0.16), sebbene queste ultime siano tuttora sfavorite da prezzi più elevati. I compositi a matrice termoplastica e fibre di vetro semi-pre-impregnate hanno cominciato ad essere impiegati nel bordo di attacco fisso delle semiali dell’A 380.

Fig. 0.16 - Confronto delle deformazioni ammissibili, a compressione, in funzione della temperatura. Nel seguito alcune ulteriori considerazioni specifiche riguardo ai principali materiali “del presente”: metalli, polimeri e compositi a matrice polimerica. Metalli In genere i metalli sono duttili, sufficientemente resistenti all’elevata temperatura ed all’ambiente, nonché moderatamente resistenti. La loro struttura cristallina, unitamente alla presenza di difetti tipici quali le dislocazioni, gioca un ruolo cruciale nel determinarne le proprietà meccaniche. La posizione, forma, dimensione e frazione volumetrica delle particelle che costituiscono la fase secondaria, assieme con la struttura della matrice (cioè la microstruttura) ne influenzano pure fortemente il comportamento. Le leghe possono così essere ingegnerizzate grazie alla conoscenza della microstruttura e della micro-meccanica che ne consegue. I metalli primari possono essere prodotti tramite le tecniche tradizionali di fusione in lingotto oppure per mezzo di metodi di non equilibrio, quali la rapida solidificazione dal fuso o direttamente dalla fase vapore. Questi ultimi processi garantiscono una grande flessibilità nella progettazione della microstruttura e, di conseguenza, nelle proprietà che ne conseguono. Un nuovo tipo di struttura metallica, che ha solo di recente meritato attenzione, è la microstruttura stratificata (nella quale sottili strati di metalli diversi sono depositati successivamente) o nanostruttura. Essa apre la possibilità pratica di ingegnerizzare il materiale, controllandone contemporaneamente la resistenza e la rigidezza tramite lo spessore degli strati. Le leghe leggere d’alluminio cominciarono a dominare l’industria aeronautica dal 1939 e, di fatto, continuano a mantenere tale posizione di preminenza anche ai giorni nostri. Esse appartengono principalmente a tre gruppi, che si differenziano in base alla composizione chimica, cui devono la propria capacità di migliorare le proprietà meccaniche dopo un trattamento termico. Il primo gruppo, che va sotto il nome generale di duralumin, ha un composizione di 4% Cu, 0,5% Mg, 0,5% Mn, 0,3% Si, 0,2% Fe e rimanente di alluminio. La versione invecchiata naturalmente è coperta dalla specifica DTD 18 del Ministero Inglese dell’Aviazione,

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emessa nel 1924, mentre la versione invecchiata artificialmente è coperta dalla specifica DTD 111 del 1929. Le proprietà meccaniche sono già state riportate sopra. Il secondo gruppo di leghe di alluminio differisce dal duralumin principalmente in virtù dell’introduzione dell’1-2% di Ni, un maggior contenuto di Mg ed una possibile variazione nelle percentuali di Cu, Si e Fe. La lega Y, il più vecchio membro del gruppo, ha una composizione di 4% Cu, 2% Ni, 1,5% Mg e rimanente di alluminio; essa è coperta dalla specifica DTD 58A emessa nel 1927. La sua peculiarità consiste nella capacità di mantenere le proprie caratteristiche meccaniche anche ad elevate temperature, il che la rende particolarmente adatta per la produzione dei pistoni dei motori aeronautici, mentre il suo impiego nelle strutture è sempre stato limitato. Successive ricerche svolte presso la Rolls Royce e la High Duty Alloys Ltd. portarono allo sviluppo delle leghe della serie RR. Basate sulle leghe Y, le leghe erano caratterizzate dalla sostituzione di parte del Ni con il Fe e dalla riduzione del tenore di Cu. Uno dei primi tipi di queste leghe, la RR56, aveva circa l’1% di Ni sostituito dal Fe ed il tenore di Cu ridotto dal 4% al 2%; essa venne utilizzata sotto forma di forgiati ed estrusi impiegati nei motori e nelle strutture. La specifica DTD 130 emessa nel 1930 imponeva uno sforzo di snervamento minimo di 310 MPa, uno sforzo di rottura minimo di 400 MPa ed un allungamento a rottura minimo del 10%. Il terzo ed ultimo gruppo faceva dipendere dalla presenza di zinco e di magnesio la propria elevata resistenza. Coperte dalla specifica DTD 363 emessa nel 1937, queste leghe avevano una composizione nominale di 2,5% Cu, 5% Zn, 3% Mg e 1% Ni, con sforzo di snervamento di 510 MPa, sforzo di rottura di 585 MPa ed allungamento a rottura dell’8%. Nelle versioni più recenti di questa lega è stato eliminato il Ni, è stato aggiunto il Cr ed è stato aumentato il tenore di Mn. Dal 1939 in poi la costruzione delle strutture aeronautiche ha fatto largo uso di questi tre gruppi di leghe: 1) i duralumin privi di Ni; 2) i derivati della lega Y; 3) le leghe Al-Zn-Mg, dando la preferenza all’uno o all’altro in dipendenza del tipo di velivolo, civile o militare, e dei differenti requisiti, quali la resistenza statica, a fatica, alla corrosione dei diversi componenti. Per realizzare strutture, rivestimenti ed in generale componenti sollecitati sono state estensivamente usate leghe appartenenti a ciascuno dei tre gruppi. Di volta in volta, la scelta è stata influenzata da fattori quali la resistenza, la duttilità, la facilità produttiva, la resistenza alla corrosione e/o la sensibilità ai rivestimenti protettivi, la resistenza a fatica e la resistenza alla propagazione instabile di cricche dovute a sforzi interni. Ovviamente, tipi diversi di velivoli comportano tipi diversi di requisiti. Per esempio, un velivolo militare con una vita operativa breve, misurabile in centinaia o migliaia di ore di volo, non richiede la stessa resistenza alla fatica ed alla corrosione di un velivolo civile, caratterizzato da una vita operativa di 30.000 ore e più.

Sfortunatamente, quando una particolare proprietà di una lega d’alluminio viene migliorata, altre, ugualmente desiderabili, subiscono un peggioramento. Ad esempio, la resistenza statica estremamente elevata delle leghe Al-Zn-Mg è stata accompagnata per molti anni dalla facilità a criccarsi, anche in assenza di sollecitazioni meccaniche, a causa degli sforzi interni che nascono nelle barre, nelle lamiere e nei forgiati in conseguenza dei trattamenti termici. La modifica della composizione di tali leghe ha praticamente risolto tale problema, ma ha messo in rilievo altre deficienze. Alla messa in servizio dei velivoli Viscount si verificarono numerosi cedimenti imputabili a fenomeni di stress-corrosion degli estrusi e dei forgiati. Il problema divenne così serio che nel 1953 venne deciso di sostituire quanti più componenti in Al-Zn-Mg possibile con componenti in lega Al-Cu L65, nonché di proibire l’adozione di forgiati in Al-Zn-Mg in tutti i progetti futuri. Negli ultimi anni si è comunque registrato un miglioramento delle prestazioni a stress-corrosion per le leghe Al-Zn-Mg, grazie agli sforzi dei produttori Tedeschi, Inglesi e Statunitensi; questi ultimi due concordano nella convenienza di aggiungere Cu, ma non Cr e Mn, mentre i primi hanno rilevato il benefico effetto esercitato dall’alligazione di argento. In aggiunta, anche l’affinamento delle tecniche di colata ha contribuito al miglioramento delle prestazioni a stress-corrosion dei componenti. Un’ulteriore caratteristica fastidiosa delle leghe di alluminio allo zinco-magnesio risiede nella loro elevata sensibilità all’intaglio, prodromica di rapidi cedimenti a partire da cricche di fatica. Ancora una volta, modifiche nell’alligazione e raffinamenti delle tecniche di colata hanno parzialmente risolto tale problema, tanto che alcuni grossi velivoli da trasporto militare sono stati progettati interamente in lega alluminio-zinco-magnesio-rame, con esiti soddisfacenti per quanto riguarda la durabilità. Le leghe al rame possiedono resistenze statiche inferiori rispetto alle leghe allo zinco, ma vengono applicate nelle parti della struttura soggette a carichi di fatica con componenti di trazione, quali l’infradosso delle ali. Specie le leghe invecchiate naturalmente si fanno preferire quanto a resistenza a fatica e velocità di propagazione della cricca. Inoltre, elevate percentuali di magnesio conferiscono a queste leghe – nella condizione di invecchiamento naturale – resistenze statiche intermedie tra le leghe invecchiate naturalmente e quelle invecchiate artificialmente. Tra di esse la 2024 (4,5% rame, 1,5% magnesio, 0,6% manganese) costituisce un ottimo compromesso tra diverse, e spesso conflittuali, caratteristiche meccaniche. La resistenza di tutte le leghe d’alluminio si riduce all’aumentare della temperatura, cosicché il loro uso è limitato al crescere delle velocità di volo e del conseguente riscaldamento cinetico. Ad ogni modo, esse conservano sufficienti proprietà meccaniche sino a velocità di volo di Mach 2,2-2,3. Fidando in futuri affinamenti ed evoluzioni, tale soglia potrà essere aumentata, assicurando così alle leghe di alluminio un campo di applicabilità ancora molto ampio negli anni a venire.

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Un nemico pericoloso delle leghe leggere d’alluminio convenzionali è costituito dalle cricche di fatica, che tendono a propagarsi lungo le superfici di bordo grano. I metallurgistici stanno perciò perseguendo nuove forme metalliche prive di una vera e propria struttura cristallina: il DARPA negli Stati Uniti ed il DERA in Gran Bretagna hanno messo a punto un alluminio amorfo, che ha una resistenza tripla rispetto al materiale tradizionale. I produttori di palette per turbine seguono invece la strada delle strutture mono-cristalline, mentre un’ulteriore possibilità è fornita dalla metallurgia delle polveri HIP (Hot Isostatic pressing) nella quale polveri finissime vengono compattate sino a ripristinare il metallo solido). Quest’ultima tecnica può essere applicata anche ai getti colata per migliorarne le caratteristiche: l’ordinata posteriore in titanio del motore del Boeing 777 è prodotta in questo modo. Un’ulteriore evoluzione di questa tecnologia, chiamata PIM (Powder Injection Moulding), può migliorare la resistenza alla corrosione del titanio. La metallurgia delle polveri non dà luogo a fenomeni di segregazione e consente inoltre di alligare elementi in proporzioni non ottenibili con tecnologie metallurgiche convenzionali: così si sono prodotti intermetalli Ti-Al e Ni-Al (questo ultimo adottato per lo scudo di protezione termica del velivolo SSTO (Single-Stage-To-Orbit) X-33. Il ruolo dell’acciaio si è andato via via riducendo, ad eccezione degli acciai inossidabili (introdotti negli anni ’30) che sono ancora di una qualche importanza. L’utilizzo degli acciai per le parti strutturali efficienti e molto sollecitate, come i longheroni alari a guscio in parete sottile, si può far risalire agli anni ’30. Ciononostante, l’elevata densità ne ha impedito l’impiego estensivo, limitandone l’adozione a getti, forgiati e macchinati di relativamente piccole dimensioni soggetti a sollecitazioni molto elevate, dell’ordine dei 1500 MPa, quali attacchi alari, longheroni posteriori, perni e compassi dei carrelli. Sebbene non sia troppo difficile ottenere acciai con resistenze statiche a trazione elevate o ultra-elevate, normalmente ciò comporta il sacrificio di altre caratteristiche e l’induzione di una difficile lavorabilità. Per superare alcuni di questi inconvenienti, a partire dagli anni ’60 sono stati sviluppati gli acciai maraging, totalmente o quasi totalmente privi di carbonio in lega. Infatti il carbonio, grazie al quale gli acciai convenzionali raggiungono elevate resistenze, è anche responsabile della fragilità e delle distorsioni dovute ai trattamenti termici, distorsioni difficilmente correggibili tramite lavorazioni alla macchina utensile. Per questi acciai al carbonio è altresì impraticabile lo stampaggio a freddo e quasi impossibile la saldatura. L’indurimento degli acciai maraging avviene invece grazie alla presenza di altri alliganti, quali nickel (17-19%), cobalto (8-9%), molibdeno (3-3,5%) e titanio (0,15-0,25%). Il carbonio è presente allo 0,03% massimo, con tracce di manganese, silicio, zolfo, fosforo, alluminio, boro, calcio e zirconio. Essi raggiungono s di 1400 MPa e moduli di rigidezza di 180 Gpa; i loro maggiori vantaggi rispetto agli acciai convenzionali al carbonio risiedono nella maggior

tenacità a frattura e minor sensibilità all’intaglio, ridotte distorsioni, facilità di trattamento termico, di saldatura e di lavorazione alla macchina utensile; miglior resistenza alla corrosione ed all’infragilimento da idrogeno. Per contro, gli acciai maraging hanno un costo di tre volte superiore rispetto agli acciai convenzionali al carbonio, maggior costo in parte compensato dalla più facile lavorabilità. Essi vengono usati per ganci di arresto dei velivoli imbarcati, involucri dei motori a combustibile solido, ingranaggi di trasmissioni, eiettori dei seggiolini Martin-Baker. In aggiunta agli acciai maraging, vengono utilizzati gli acciai inossidabili (con presenza di nickel e/o cromo fino al 12-18%) nei velivoli sperimentali super- e iper-sonici (velocità Mach 5-6) ove gli effetti del riscaldamento cinetico sono rilevanti, come ad esempio le strutture primarie del Bristol 188 e dell’X-15. Le leghe di titanio usate nelle strutture aeronautiche appartengono principalmente a due tipologie: le prime contengono quantità controllate di alluminio, stagno o zirconio; le seconde manganese, vanadio, molibdeno e niobio. Entrambe le famiglie sono adatte alla deformazione plastica ed alla colata e vengono usate sempre più estensivamente sia nei motori che nelle strutture “fredde”, sebbene esse abbiano sempre trovato la loro tradizionale applicazione nelle palette dei compressori e nei dischi di turbina. Alcune leghe di titanio mantengono la propria resistenza (fino a circa 1700 MPa) ad a temperature di 400-500 °C e possiedono un buon rapporto tra limite di fatica e resistenza statica. Generalmente esse possiedono anche un’apprezzabile resistenza alla corrosione ed alla fatica-corrosione, sebbene queste caratteristiche siano inficiate dall’esposizione all’ambiente salino in condizioni di elevata temperatura: questa situazione affligge particolarmente i motori dei velivoli imbarcati. Un ulteriore svantaggio è dovuto, come per gli acciai, ad una densità relativamente elevata, che induce penalizzazioni ponderali rilevanti nei casi in cui tali leghe siano usate estensivamente. Ciononostante, l’utilizzo delle leghe di titanio è aumentato (Fig.0.17) ed andrà aumentando nel futuro con l’incrementarsi delle velocità di volo, estendendosi dalle applicazioni classiche (motori, attacchi alari, paratie parafiamma) anche ai cerchi ruota, ai pannelli, ai correnti ed agli elementi di giunzione (rivetti e ribattini) delle strutture in carbon-epoxy.

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Fig. 0.17 - Aumento dell’impiego del titanio negli ultimi dieci anni. L’utilizzo delle leghe di magnesio è potenzialmente conveniente in virtù della loro ridotta densità, ma l’applicazione è stata finora limitata a causa dall’elevato costo e della scarsa resistenza alla corrosione. Lo sviluppo di nuove leghe ad elevata purezza e migliorata resistenza alla corrosione, la disponibilità di efficaci protezioni superficiali e l’implementazione di opportuni accorgimenti progettuali (che evitino il contatto con metalli dissimili) potrebbero però garantire una sufficiente durability. La gran parte delle leghe da colata (AZ8, AZ91) contiene alluminio e piccole quantità di zinco; le maggiori resistenze si ottengono grazie all’aggiunta di zinco e zirconio (Z5Z), mentre i migliori comportamenti a creep sono garantiti dalla presenza di terre rare: magnesio, zinco, rhenio e zirconio (RZ5) oppure magnesio, zinco, tellurio e zirconio (TZ6). Queste leghe hanno proprietà omogenee, bassa micro-porosità e sono esenti da fenomeni di corrosione sotto sforzo. Le proprietà meccaniche a temperatura ambiente possono essere aumentate (per mezzo di trattamenti termici) fino a quelle delle migliore leghe d’alluminio da colata tramite l’alligazione con argento, zirconio e terre rare. Gli elementi del carrello anteriore del caccia anglo-francese Jaguar sono realizzati con una lega di questo tipo (MSR-B). La resistenza alla corrosione è invece grandemente migliorata dall’aggiunta di yttrio. Il compromesso migliore è raggiunto dalle leghe di magnesio con yttrio, zirconio e terre rare (WE54), ovvero buone prestazioni a temperatura ambiente ed elevata, soddisfacenti colabilità e saldabilità. Alcune leghe da colata (come la ZCM711 allo zinco-rame ) sono disponibili anche nella forma da deformazione plastica, trattabile termicamente e saldabile. Nonostante il berillio possieda l’attraente combinazione tra un elevato modulo elastico (275-300 GPa) ed una ridotta densità specifica (1,86), esso presenta gli svantaggi di un elevato costo, di

un’inaccettabile fragilità a temperatura ambiente e di una elevata pericolosità durante la lavorazione. Le proprietà meccaniche tipiche sono r 400-700 MPa, s 275-480 MPa, r 10-20. Come materiale strutturale aeronautico, il berillio è stato utilizzato con apprezzabili risparmi ponderali in tutti quei componenti caratterizzati da stati di sforzo semplici, nei quali si è potuto ovviare all’intrinseca fragilità tramite opportuni accorgimenti di progetto, quali il timone del McDonnell-Douglas F-4 e le pinze freni del Lockeed C5A; le applicazioni missilistiche annoverano il Minuteman Spacer e l’Agena D. Appare improbabile che il berillio possa diventare un primario materiale per le strutture aeronautiche se non in forma alligata. Per esempio la lockalloy, costituita dal 62% di berillio e 38% di alluminio ha lo stesso modulo elastico dell’acciaio, la stessa densità del magnesio e lo sforzo di rottura delle più resistenti leghe di alluminio: la tossicità durante la manipolazione ne ha però finora impedito l’uso. Gli acciai inossidabili CRES (corrosion-resistant stainless steel) per uso aerospaziale si dividono in austenitici (347, 321), usati per serbatoi criogenici, pompe, condotti, ugelli; semi-austenitici e martensitici, non utilizzati per impieghi criogenici a causa della fragilità a bassa temperatura. Con essi si realizzano alberi, ingranaggi, valvole. Le leghe di nickel (Inconel, Monel, Incoloy, Hastelloy) sono apprezzate per la loro resistenza al creep ad alta temperatura (fino a 1200 °C), all’ossidazione ed alla corrosione: con essi si realizzano dischi e palette di turbina, camere di combustione, condotti e iniettori. Spesso esse contengono hafnio e sono prodotte per solidificazione direzionale Le leghe di rame (Berylco, NARloy) possiedono elevata conduttività termica ed elettrica, alta resistenza alla corrosione, sono duttili e formabili: per questo vengono impiegate negli scambiatori di calore. Le leghe di cobalto o superleghe (Haynes-25, MARM-M) sono caratterizzate dalla resistenza alla corrosione ad alta temperatura e sono utilizzate per dischi e palette di turbina (single-crystal). Il molibdeno ed il columbio hanno elevate caratteristiche ad alta temperatura, ma non possono essere usati per applicazioni criogeniche, a causa della loro tendenza all’infragilimento: vengono viceversa utilizzati per la realizzazione di ugelli di scarico. Polimeri Contrariamente all’ordine della struttura cristallina dei metalli, i polimeri consistono in lunghe catene polimeriche costituite da anelli elementari, i monomeri. conferiscono le prestazioni macroscopiche ai polimeri. Il tipo ed il contenuto energetico dei legami tra i monomeri e tra le catene polimeriche, oltre alle caratteristiche intrinseche dei monomeri stessi, quali la forma, la lunghezza e la sequenza delle unità funzionali (per esempio nei polimeri a blocchi formati da componenti immiscibili) determinano le proprietà del polimero. In Tab.1.1 sono riportate le caratteristiche delle due maggiori classi di polimeri attualmente di

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interesse per il settore aerospaziale: i termoindurenti (per esempio resine epossidiche e bismaleimidiche) ed i termoplastici (per esempio PEEK, PPS). Essi trovano applicazione negli isolamenti (elettrici e termici), sigillanti, adesivi) e come matrici dei materiali compositi. I termoindurenti vanno incontro alla reticolazione delle catene polimeriche durante il riscaldamento, in maniera da formare una struttura tri-dimensionale che non può essere ri-plasmata allo stato solido tramite l’apporto di calore. Al contrario, i termoplastici sono caratterizzati da catene polimeriche che rimangono chimicamente distinte le une dalle altre e perciò possono essere resi deformabili aumentando la temperatura. Un’attenta scelta dei costituenti del polimero consente di massimizzare la tenacità e la resistenza ai solventi dei termoplastici, rendendoli adatti a soddisfare anche i più stringenti requisiti delle costruzioni aerospaziali. La possibilità di mescolare differenti polimeri ha aperto nuove prospettive per quanto riguarda l’ingegnerizzazione delle prestazioni. I polimeri più nuovi e forieri di efficienti applicazioni sono i cosiddetti compositi molecolari. Essi sono costituiti da una catena polimerica flessibile (per esempio poli-amidica) combinata con travi polimeriche rigide, in maniera da ripristinare su scala molecolare la struttura di un composito rinforzato con fibre vere e proprie. Questi materiali mostrano elevata rigidezza e buon comportamento ad elevata temperatura, nonché resistenza all’aggressione chimica. Gli elastomeri sono polimeri in grado di allungarsi elasticamente almeno sino al doppio della loro lunghezza. Essi trovano utilizzo nelle tubazioni, guarnizioni, membrane. Compositi Essi sono materiali a bassa densità, multi-fase, non-omogenei ed ortotropi, progettati in maniera da possedere una combinazione di proprietà meccaniche superiori a quelle dei singoli costituenti. Essi sono costituiti da rinforzi (fibre) continue o discontinue, cui sono demandate le caratteristiche meccaniche, inglobate in una matrice, dalla quale dipendono le caratteristiche di resistenza ambientale, alla corrosione e la lavorabilità. La temperatura alla quale un composito può essere utilizzato è determinante per la scelta della matrice (polimerica, metallica, ceramica, carbonio/carbonio in ordine di temperature crescenti). A secondo della natura della matrice, i materiali compositi sono definiti PMC (Polymer Matrix Composites), MMC (Metal Matrix Composites),, CMC (Ceramic Matrix Composites), le cui peculiarità sono rispettivamente: l’elevata efficienza strutturale, le elevate caratteristiche meccaniche assolute, l’elevata resistenza alla temperatura ed alla corrosione. Le fibre di rinforzo sono generalmente resistenti, ma differiscono per quanto concerne altre caratteristiche quali la rigidezza (carbonio), il costo (vetro), la tenacità (poli-aramide). La compatibilità chimica tra le fibre e la matrice costituisce il maggior problema dei compositi. Nel caso di compositi a matrice polimerica o metallica deve crearsi un legame all’interfaccia:

perciò la matrice allo stato liquido deve bagnare le fibre (per esempio le fibre di ossido di alluminio Al2O3 e di carburo di silicio SiC sono soddisfacentemente bagnate dai metalli fusi). Occasionalmente si rende necessario un rivestimento superficiale per promuovere la bagnabilità ed il conseguente sviluppo di forze intermolecolari o reazioni chimiche atte a garantire un legame stabile tra fibre e matrice. Generalmente non avvengono reazioni indesiderate tra le fibre e matrici polimeriche, mentre le alte temperature di fusione ed i conseguenti elevati ratei di reazione possono indurre un rilevante degrado delle proprietà nel caso di compositi a matrice metallica. I compositi avanzati per applicazioni aerospaziali generalmente sono rinforzati con fibre continue unidirezionali o tessute, in virtù della loro grande efficienza strutturale e nel trasferimento dei carichi. 3. Evoluzione

Legno La prima generazione di velivoli venne costruita con tela e legno. Le essenze più utilizzate furono l’abete e la betulla, caratterizzati da sforzi di rottura a trazione di 70 e 100 MPa, densità specifiche di 0.40, e 0.63, moduli di Young di 9 e 14 GPa rispettivamente. Nonostante gli eccellenti valori del rapporto resistenza/peso, ben superiori a quelli delle attuali leghe leggere d’alluminio, i legnami naturali da costruzione hanno numerosi svantaggi. L’assorbimento ed il rilascio di umidità provocati dalla variazione della concentrazione di umidità atmosferica causano variazioni delle forma e delle dimensioni, mentre le loro proprietà strutturali mostrano l’intrinseca variabilità propria di tutti i prodotti naturali. Inoltre, la rilevante anisotropia dovuta alla loro struttura fibrosa può indurre una variazione del valore del modulo di Young fino ad un rapporto di 150:1 in dipendenza della direzione di sollecitazione rispetto all’orientazione delle fibre. In conseguenza di ciò, anche i valori del modulo elastico trasversale e del coefficiente di Poisson possono variare in dipendenza dell’orientazione fino a rapporti di 20:1 e 40:1 rispettivamente. L’introduzione del legname compensato e lo sviluppo delle resine adesive sintetiche consentirono l’aumento della resistenza dei longheroni e dei rivestimenti, permisero di eliminare o perlomeno di controllare l’anisotropia. Ciononostante, la grande quantità di legname utilizzato per la costruzione dei velivoli militari nel corso della Prima Guerra Mondiale mise in luce la maggiore limitazione di questi materiali. I semilavorati più pregiati venivano importati da oltre oceano e richiedevano una grande disponibilità di naviglio, che era invece necessario per il trasporto di truppa, armi e vettovagliamento. Per evitare il crearsi di una situazione critica anche nel futuro, nel 1924 il Ministero dell’Aviazione Inglese proibì l’utilizzo di legno per la costruzione dei componenti primari delle strutture dei velivoli. Ovviamente, tale decisione accelerò l’introduzione di materiali metallici alternativi per la costruzione delle strutture, sebbene il legno

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continuò a garantire il proprio contributo ancora per lunghi anni. Infatti, durante la Seconda Guerra Mondiale, un velivolo ad alte prestazioni di particolare successo, il de Havilland Mosquito, venne interamente realizzato in legno. Bisogna però ammettere che una tale scelta venne indotta da circostanze veramente particolari. Al tempo si venne a creare una carenza di impianti industriali e di manodopera specializzata nelle costruzioni metalliche, mentre l’industria dei mobili rendeva disponibili sia gli uni che l’altra. Inoltre, il legno poteva essere adattato a procedimenti costruttivi particolarmente rapidi e nel frattempo i progettisti avevano acquisito esperienza ed avevano imparato a padroneggiare i problemi connessi con l’anisotropia del legno non compensato. Infine l’evoluzione della chimica e della tecnologia degli adesivi, che aveva portato all’introduzione della colla Redux, basata sulle resine termoindurenti fenolformaldeidi, e dei sistemi compositi di adesivo, basati sulle resine termoplastiche poliviniliche, consentiva di realizzare eccellenti incollaggi legno-legno, buoni incollaggi legno-metallo ed addirittura accettabili incollaggi metallo-metallo. Nonostante un così brillante successo dell’uso del legno in tempi non troppo lontani, il suo ruolo di preminenza come materiale strutturale doveva arrivare necessariamente ad una conclusione. L’elevato carico alare e le complesse forme strutturali dei velivoli moderni inducono elevate concentrazioni di sforzo per sopportare le quali il legno non è adatto. La gestione della sua anisotropia comporta delle difficoltà per il progettista e, comunque, essi richiedono una maggior manutenzione rispetto a quelli metallici. In particolare, essi non sono adatti all’uso in ambienti tropicali, ove le grandi variazioni di umidità atmosferica causano seri problemi di stabilità dimensionale. Infine il possibile attacco da parte di muffe e parassiti costituisce un ulteriore, grave svantaggio. Leghe leggere d’alluminio Dal 1903 al 1930, il minimo peso costituì il criterio preminente per la scelta dei materiali aeronautici; tutte le altre considerazioni furono considerate secondarie. A partire dal 1930 fino agli anni ’60, l’obiettivo principale divenne il miglioramento delle prestazioni e la riduzione del peso venne finalizzata a ciò. Lo sviluppo dei materiali per impiego aeronautico continuò a focalizzarsi sull’alluminio e si registrò un considerevole miglioramento nella resistenza specifica delle lamiere, come pure lo sviluppo di altri tipi di semilavorati, come estrusi, forgiati e lastre. Gli esperimenti con diversi tenori degli alliganti portarono alla lega ora nota come 2014, la quale mostrava migliori proprietà della 2017 dopo invecchiamento artificiale. Altri esperimenti portarono allo sviluppo della 2024-T3, che era in grado di migliorare lo sforzo di snervamento rispetto alla 2017-T4 tramite una modesta deformazione a freddo seguita da invecchiamento naturale; essa mostrava altresì una maggior duttilità rispetto alla 2014-T6. Molti ricercatori scoprirono che le leghe d’alluminio contenenti sia zinco che magnesio davano luogo a resistenze maggiori rispetto alle leghe che contenevano

questi due alliganti presi singolarmente, e comunque resistenze significativamente maggiori rispetto a tutte le leghe della famiglia 2XXX. Nel corso dei primi anni ’40, tali ricerche portarono allo sviluppo della 7075. Componenti realizzati in 7075-T6 vennero montati sul bombardiere B-29, usato nel Teatro del Pacifico durante la Seconda Guerra Mondiale. Una lega con una resistenza ancor maggiore, la 7178, venne sviluppata poco dopo la Seconda Guerra Mondiale, e componenti realizzati in 7178-T6 costituivano la parte superiore della struttura del Boeing 707. La tolleranza al danno divenne un aspetto importante da quando, nel 1954, tre aerei passeggeri a getto della Havilland Comet, che facevano largo uso della lega 7075, precipitarono per cedimento strutturale. La causa dei cedimenti venne individuata nel cedimento prematuro per fatica della fusoliera pressurizzata, dovuto alle concentrazioni di sforzo in corrispondenza degli angoli dei finestrini. Poiché le leghe 7XXX-T6 non erano tolleranti al danno come le meno prestanti leghe 2024-T3 e 2014-T6, i costruttori Europei di strutture aeronautiche proibirono l’uso delle leghe 7XXX, mentre i produttori Statunitensi restrinsero l’uso di queste leghe in quei componenti dove predominano le sollecitazioni di trazione. Quando gli aeroplani aumentarono di dimensione, cominciarono ad essere utilizzati componenti più spessi: le lamiere spesse in 2024-T3, 7075-T6 ed, in particolare, in 7079-T6 cominciarono a mostrarsi suscettibili a fenomeni di corrosione sotto sforzo (stress corrosion) se sollecitati nella direzione trasversale rispetto a quella di laminazione. I trattamenti termici di bonifica T73 e T76 vennero sviluppati nei corso dei primi anni ’60 per rendere la lega 7075 più resistente alla criccatura da stress corrosion ed alla exfoliation corrosion. Tali trattamenti termici comportano un invecchiamento artificiale a bassa temperatura, seguito da una seconda fase a temperatura più alta. Il trattamento a bassa temperatura produce una distribuzione omogenea di precipitati, che non vengono poi smiscelati durante la susseguente fase ad alta temperatura. Il trattamento ad alta temperatura provoca così un super-invecchiamento della lega, che comporta una riduzione di resistenza rispetto alla bonifica T6. Tale doppio invecchiamento porta ad una combinazione tra i valori di resistenza meccanica e resistenza alla corrosione migliore di quella che può essere ottenuta, in tempi ragionevoli, tramite un singolo invecchiamento. Durante il sovra-invecchiamento, il rame continua a unirsi ai precipitati di bordo grano, rendendoli più nobili (in senso elettrochimico). Come conseguenza, il potenziale all’apice della cricca assume anch’esso valori più nobili. La riduzione della velocità di propagazione della cricca, se confrontata con quella derivante dalla bonifica T6, è molto probabilmente dovuta al decremento della velocità di dissoluzione dei precipitati più nobili, o al decremento della velocità di riduzione degli ioni idrogeno e adsorbimento dell’idrogeno all’apice della cricca con un potenziale più nobile. Poiché il miglioramento della resistenza a corrosione è accompagnato dal peggioramento della resistenza meccanica rispetto alla bonifica T6,

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l’aumento di durabilità e di resistenza a fatica generalmente comportarono negli anni ’50 e ’60 delle penalizzazioni ponderali. Alla ricerca di prestazioni sempre migliori, negli anni ’60 si aggiunse l’obiettivo di aumentare le velocità di volo e due imponenti programmi (uno Sovietico, l’altro Anglo-Francese) presero l’avvio nel 1962 per sviluppare un velivolo passeggeri supersonico progettato per volare a Mach 2 e oltre. Il velivolo sviluppato dal consorzio Anglo-Francese (il Concorde) venne progettato per una vita operativa di 50.000 ore, delle quali almeno 20.000 avrebbero dovuto essere spese alla massima velocità di crociera di Mach 2. Poiché la combinazione di temperatura e sollecitazione moderatamente elevate dà luogo ad un invecchiamento a lungo termine (perdita di resistenza e scorrimento viscoso), il regime di Mach 2 rappresenta la massima velocità alla quale le leghe di alluminio trattabili termicamente possono essere utilizzate come materiali strutturali primari. L’Hiduminium R.R.58, che è una complessa lega Al-Cu-Mg-Ni-Fe sviluppata durante la Seconda Guerra Mondiale per i componenti forgiati dei motori di turbina a gas, venne allora scelta come la lega principale per la struttura primaria, grazie alle sue proprietà ad elevata temperatura. Ciononostante, furono necessarie considerevoli modifiche alla lega originaria per renderla adatta all’ambiente del trasporto supersonico. Tra queste, lo stretto controllo del contenuto in silicio ed il bilanciamento dei tenori di ferro e di nickel per minimizzare le quantità di fasi primarie contenenti Cu/Fe e Cu/Ni. La lega R.R.R.58 modificata per il Concorde, non solo aveva una composizione controllata per ottimizzare la resistenza, ma aveva uno stretto controllo delle dimensioni del grano per ottimizzare la resistenza allo scorrimento viscoso (grani di grandi dimensioni) prevenendo così l’effetto “buccia d’arancia”. Per migliorare la resistenza alla corrosione, la lega veniva placcata con una lega d’alluminio all’1% di zinco, poiché le ricerche avevano dimostrato come il forte cold working susseguente alla tempra provocava effetti negativi sulla resistenza a scorrimento viscoso. La lega modificata, che possiede eccellente resistenza allo scorrimento viscoso ed una temperatura di funzionamento continuativo superiore a 100 °C (requisito per il regime di Mach 2) venne designata 2618. Negli anni ’60, lo svilupparsi della meccanica della frattura lineare elastica mise in luce la necessità di migliorare la combinazione tra resistenza statica e tenacità alla frattura delle leghe d’alluminio. Nel 1978, la certificazione di nuovi velivoli richiedeva ai costruttori di dimostrare che le cricche di fatica potessero essere rilevate prima di raggiungere la lunghezza critica, ovvero prima di provocare il cedimento catastrofico. Le caratteristiche della lega 2024-T3, in quanto a velocità di crescita della cricca ed a lunghezza critica, erano in grado di garantire sicurezza sufficiente ed intervalli di ispezione economicamente accettabili, ma la sua bassa resistenza portava ad un aggravio ponderale. D’altra parte, la bassa tenacità alla frattura e l’insufficiente resistenza alla propagazione a fatica della cricca impedivano alla

lega ad alta resistenza 7057-T6 di essere presa in considerazione per applicazioni critiche a fatica, con predominanza di carichi di trazione. I miglioramenti auspicati per le leghe di alluminio, che guidarono lo sviluppo di nuovi materiali durante gli anni ’70 furono: sviluppare una lega per lamiere ad alto spessore avente resistenza statica, resistenza alla stress corrosion e duttilità in direzione traversa alla laminazione almeno pari a quelle della lega 7079-T6; sviluppare una lega con una resistenza statica pari a quella della 7075-T6 ed una resistenza alla exfoliation corrosion pari a quella della 7075-T76; sviluppare una lega con resistenza statica prossima a quella della 7075-T6, tenacità alla frattura prossima a quella della 2024-T3, caratteristiche di crescita della cricca a fatica tali da consentire intervalli di ispezione accettabili ed adeguata resistenza alla exfoliation corrosion. La lega 7050-T74 venne sviluppata per soddisfare il bisogno di un materiale caratterizzato da alta resistenza nelle lamiere spesse, buona resistenza alla exfoliation corrosion e stress corrosion, nonché adeguata tenacità alla frattura e resistenza a fatica. La sostituzione dello 0,2% Cr con lo 0,1% Zr nella lega 7075 minimizza la sensibilità alla tempra e migliora la tenacità alla frattura. Le fasi di equilibrio, che riducono la tenacità alla frattura e la capacità di aumentare la resistenza in seguito all’invecchiamento, durante il raffreddamento non coalescono attorno alle dispersioni di zirconio così come fanno con le dispersioni di cromo. Così, gli atomi del soluto non vanno persi durante la tempra, ma rimangono disponibili per formare i precipitati, che induriscono la lega in seguito all’invecchiamento. Questo è importante, in quanto la lega 7050 contiene un tenore di rame maggiore rispetto alla lega 7075. L’aumento del tenore di rame, unitamente ad una lieve modificazione del rapporto zinco/magnesio migliorano la resistenza alla corrosione. Il maggior tenore di rame comporta altresì un aumento della resistenza statica. Questa lega 7050 può essere super-invecchiata per migliorare la resistenza alla corrosione, pur mantenendo una resistenza statica pari ai valori massimi della lega 7075. Le lastre ed i forgiati in 7050-T74 sono attualmente i semilavorati standard per i componenti di grosso spessore delle strutture aeronautiche, mentre le lastre e gli estrusi in 7050-T76 godono di numerose applicazioni. Le leghe 7049 e 7010 vennero sviluppate all’incirca nello stesso periodo, ma esse possiedono una combinazione meno favorevole di resistenza statica e resistenza alla corrosione, cosicché hanno trovato un minor numero di applicazioni. Per risparmiare peso sui velivoli Boeing 757 e 767 vennero sviluppate espressamente leghe per estrusione e laminazione ad alto spessore. Lamiere spesse ed estrusi in 7150-T6 costituirono il rivestimento ed i correnti della struttura dell’estradosso. Invece, per l’infradosso vennero adottate lamiere spesse in 2324-T39 ed estrusi in 2224-T351X. Venne modificata la composizione chimica della lega 2024 per aumentare la tenacità a frattura, grazie alla riduzione della frazione volumetrica dei composti intermetallici. Venne aumentato il limite a snervamento delle lamiere

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aumentando significativamente l’entità del cold working dopo la tempra, mentre la resistenza dei correnti estrusi venne aumentata mantenendo la distorsione della struttura cristallina dovuta all’estrusione tramite il controllo termomeccanico del processo. La 7475 fu la prima lega di alluminio espressamente sviluppata per offrire una tenacità a frattura migliorata. In confronto alla 7075; tale lega ha un minor tenore di impurità Fe e Si, un minor contenuto massimo di Cr e lievi modifiche nei tenori di Zn, Mg e Cu. Di conseguenza, la frazione volumetrica delle fasi primarie, le quali costituiscono i punti di innesco della cricca, e delle dispersioni, che ne contribuiscono alla propagazione, risulta ridotta. Sono necessari speciali processi produttivi per controllare la distribuzione di particelle e per garantire così una struttura metallurgica capace di resistere sia all’innesco che alla propagazione della cricca. Le lamiere 7475-T6 vennero adottate per la prima volta su di un velivolo militare Europeo, mentre poco tempo dopo un velivolo militare della US Air Force adottò lamiere spesse in 7475-T76. Negli anni ’80 l’aumento del costo del carburante, l’apprezzamento commerciale verso elevate autonomie chilometriche ed il costo dei diritti di atterraggio legato al peso focalizzarono l’attenzione dei tecnici verso la riduzione del peso. Vennero compiuti studi di trade-off per individuare quale miglioramento delle proprietà potesse portare al maggior impatto sul risparmio in peso. Tali studi mostrarono che la riduzione della densità sarebbe stata la più vantaggiosa e che l’aggiunta di litio avrebbe avuto la maggior influenza sulla riduzione della densità dell’alluminio (Figs.0.18a,b).

Fig. 0.18a- Risparmio percentuale di peso nei velivoli della Lockheed.

Fig. 0.18b - Effetti sulla densità delle leghe di alluminio. I programmi di sviluppo delle leghe Al-Li presero l’avvio in Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia ed Unione Sovietica. In verità, una lega Al-Li - la 2020 - era già stata sviluppata nel 1950 ed era stata utilizzata per la struttura delle ali e degli impennaggi del velivolo da ricognizione RA5C; essa era però stata afflitta da difficoltà nei processi produttivi e da insufficiente tenacità a frattura, tanto da dover essere ritirata dal mercato. Nel 1960 venne sviluppata una lega a bassa densità Al-Li-Mg, designata 1420. La produzione commerciale della 1420 iniziò nel 1971 e la lega venne scelta come materiale per la fusoliera e la cabina di pilotaggio interamente saldate del caccia supersonico MIG-29. La lega 1420 è una lega relativamente poco resistente, e la maggior parte degli sforzi profusi negli Stati Uniti e nell’Europa Occidentale furono tesi allo sviluppo di leghe a maggior resistenza, contenenti Cu oltre a Li e Mg. L’obiettivo era quello di sviluppare una lega che, a parità di spessore delle lamiere, potesse sostituire le leghe convenzionali mantenendone le proprietà, ma senza complicazioni produttive aggiunte. Vennero sviluppate numerose leghe Al-Li contenenti circa il 2% di Li, e tre di esse (2090, 8090 e 2091) hanno trovato sinora un pur limitato impiego su velivoli militari e commerciali sotto forma di lamiere, piastre medio-sottili ed estrusi. La lega 8090 è stata utilizzata nell’ambito di un dimostratore tecnologico del British Aerospace EAP. Il velivolo, che ha volato nel 1986, impiegava 80 Kg di tale lega per realizzare il rivestimento del belly e dei flaperons. Altri due dimostratori tecnologici hanno fatto uso di leghe Al-Li. Il McDonnell Douglas F15SMTD aveva i pannelli alari di estradosso macchinati da piastre spesse di 8090, mentre il francese Raphale adottava una lega Al-Li nella struttura di fusoliera. A tutt’oggi, problemi tecnici consistenti in un’eccessiva anisotropia delle caratteristiche meccaniche, deviazione nel percorso delle cricche, bassa resistenza alla stress-corrosion e formazione di cricche durante l’installazione dei rivetti hanno impedito alle leghe Al-Li di essere utilizzate nei componenti strutturali principali dei velivoli da trasporto. Le leghe Al-Li sono invece state utilizzate nei componenti strutturali secondari di svariati velivoli. La McDonnell Douglas Aerospace sta usando la lega 2090 sul velivolo da trasporto C-17 nella rampa di carico

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posteriore, nei portelloni di carico, nella struttura del pavimento e nelle piattaforme di carico. I motivi per cui la McDonnell Douglas ha deciso di perseguire l’adozione di questa lega risiedono nella possibilità di ridurre il peso del 12-15% senza necessità di riprogettazione o del 17% con una lieve riprogettazione, in una resistenza statica confrontabile con quella della 7075, in un modulo elastico del 10% più alto rispetto alle leghe convenzionali, in una resistenza alla propagazione della cricca migliore rispetto alla 7075 ed in una accettabile resistenza alla corrosione. In realtà, la McDonnell Douglas ha ottenuto un aumento del 7% della resistenza e del 10% della rigidezza, con un conseguente risparmio in peso di circa 150 Kg (pari al 7%) rispetto alla lega convenzionale 7075 che è stata sostituita. La British Aerospace realizza le strutture secondarie dell’ala dell’Airbus A340 con la lega 8090 ed ha ottenuto un risparmio in peso di 50 Kg. L’Agusta-Westland fa uso di lamiere, estrusi e forgiati sia di 8090 che di 2091 nelle strutture primarie dell’EH101. E’ stato inoltre portata a termine una campagna di prove a fatica full-scale su Airbus A330/A340 con componenti ed assiemi realizzati con leghe 2090, 2091 e 8090 (Fig.0.19).

Fig. 0.19 - Prova di fatica full-scale su Airbus A330/A340. Tali prove hanno fornito informazioni sui componenti in Al-Li che potranno sostituire le leghe convenzionali nei progetti futuri. Le Airbus Industries in questo momento stanno valutando la lega Russa 14XX Al-Li-Mg. Negli anni ’90, la realtà legata ad una flotta dei velivoli commerciali che va via via invecchiando ha indotto la comunità dei tecnici a concentrare l’attenzione soprattutto sul miglioramento della tolleranza al danno e della resistenza alla corrosione. Nel corso degli anni ’80 e’90 l’attenzione si era rivolta anche agli aspetti economici della questione, vale a dire ai costi di acquisizione (che comprendono i costi di produzione veri e propri ed i costi dovuti all’utilizzo di processi produttivi non nocivi per l’ambiente) ed ai costi di manutenzione (che sono influenzati dal degrado dei materiali, dai difetti, etc.). Oltre ad avere alta resistenza specifica, resistenza al danno e resistenza alla corrosione, i nuovi materiali devono potersi adattare ai nuovi processi produttivi ed essere economicamente convenienti (cost-effective). Di conseguenza, la sfida

attuale consiste nello sviluppare materiali migliorati sia nelle proprietà meccaniche che nel costo del ciclo-vita (life-cycle-cost). Ciò richiede una stretta collaborazione tra i produttori di materiali, i progettisti, analisti e costruttori di strutture aeronautiche, e gli esperti economici in maniera che le proprietà dei materiali possano essere adattate ai requisiti specifici di ogni singola applicazione. La maggior parte dei recenti sviluppi connessi con nuove leghe di alluminio è stata associata, in un modo o nell’altro, con i costi, ovvero con l’obiettivo di ridurre i costi operativi totali dei vettori o delle forze aeree. Fortunatamente, le leghe migliorate in questo senso hanno anche migliorato le prestazioni dei velivoli. Ci sono stati numerosi aspetti che hanno portato allo sviluppo di nuovi materiali per l’aeronautica. Il costo del carburante, l’importanza conferita ad autonomie chilometriche sempre maggiori, ed i diritti di atterraggio legati al peso hanno concentrato l’attenzione verso la riduzione del peso. I problemi legati ad una flotta che va sempre più invecchiando, vale a dire la fatica, la corrosione, etc. hanno invece stimolato il miglioramento della tolleranza al danno e della resistenza alla corrosione. La riduzione dei ricavi e l’aumento dei costi operativi hanno infine comportato la riduzione dei costi di produzione e, di conseguenza, dei costi di acquisizione. Attualmente il costo è uno dei principali requisiti e tutti i nuovi materiali devono “conquistarsi il posto” sui nuovi velivoli grazie ad una convenienza economica. Il costo di un nuovo materiale adottato per ridurre il peso non deve eccedere i costi risparmiati grazie al minor consumo di carburante, alla ridotta manutenzione ed ai più bassi diritti di atterraggio. Di conseguenza, le compagnie aeree conducono sempre un’attenta analisi costi/benefici prima di adottare qualsiasi nuovo materiale. Il costo totale del ciclo vita di un velivolo è costituito dai costi di acquisizione, dai costi operativi e da quelli di supporto. I costi di acquisizione sono dati dalla somma dei costi ricorrenti e dei costi non ricorrenti. I costi di sviluppo non ricorrenti (connessi per esempio con la qualificazione del materiale) normalmente vanno divisi per il numero di velivoli che si intendono costruire con il nuovo materiale e aggiungono così una quota fissa al costo per ogni unità di peso risparmiata. La Boeing ha sviluppato una formula che è utile quando si vuol valutare il legame tra il possibile risparmio in peso ed il costo ricorrente per il materiale:

Q = 1/u [P/(Wo/Wc – 1) – Po] dove Q è la differenza di costo per unità di peso risparmiata, Po è il prezzo per unità di peso del materiale base, P è la differenza del prezzo per unità di peso tra il materiale candidato ed il materiale base, Wo è il peso del componente realizzato con il materiale base, Wc il peso del componente realizzato con il materiale candidato, u il coefficiente di utilizzo del materiale, ovvero il rapporto tra il peso del componente finito ed il peso del materiale acquistato per realizzare il componente stesso.

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Occorre portare a termine un certo numero di passaggi prima che un materiale nuovo o migliorato possa conquistarsi il posto su di un nuovo aeroplano, vale a dire il progetto iniziale della lega, la qualificazione e la misurazione degli sforzi ammissibili, il completamento delle prove di tolleranza al danno e di durabilità, la valutazione della resistenza alla corrosione, le prove strutturali, analisi degli effetti termici ed elettrici, lo sviluppo delle tecnologie di produzione, di assemblaggio e di protezione superficiale, l’analisi di costi, la certificazione dei materiali e delle strutture ed infine l’ingegnerizzazione dei processi produttivi. Il più recente materiale per il rivestimento delle fusoliere è una lega placcata 2XXX-T3 (denominata C-188 dell’Alcoa) che viene utilizzata per il jet di linea Boeing 777. Il materiale è stato sviluppato per soddisfare i requisiti di resistenza e di tenacità a frattura stabiliti dalla Boeing per un materiale migliorato con cui realizzare il rivestimento delle fusoliere. Inoltre, in questo materiale, le cricche di fatica crescono ad una velocità più che dimezzata rispetto a quanto fanno nelle lamiere di lega placcata 2024-T3, ad alti livelli di picco del fattore di intensificazione degli sforzi (> 22 MPa m1/2). Una così elevata tenacità e maggior resistenza alla crescita delle cricche di fatica hanno consentito di eliminare i tear straps nelle zone di giunzione, con rilevante risparmio in peso. Sebbene la composizione della lega ricada entro le specifiche della lega 2024, sono necessari controlli molto stringenti sia sulla composizione chimica che sui processi produttivi per soddisfare i rigorosi requisiti del materiale. Un nuovo processo produttivo per la lega 7150, che ha dato luogo alla 7150-T77, ha consentito di ottenere una resistenza più alta, con prestazioni di durabilità e tolleranza al danno pari o superiori rispetto a quelle della 7050-T76. La Boeing ha individuato gli estrusi in 7150-T77 come correnti ottimali per i lobi superiore ed inferiore della fusoliera del Boeing 777, grazie all’eccellente combinazione di resistenza meccanica, resistenza alla corrosione ed alla stress corrosion, nonché tenacità alla frattura. Le lamiere spesse e gli estrusi in 7150-T77 sono utilizzati sul nuovo velivolo cargo C-17. L’adozione di questo materiale ha consentito notevoli risparmi in peso perché la resistenza alla corrosione della 7150-T6 era considerata inadeguata da parte della U.S. Air Force per questa applicazione, mentre la resistenza meccanica della 7050-T76 è considerevolmente più bassa. La tenacità alla frattura migliorata dei componenti realizzati in 7150-T77 può essere attribuita ad una percentuale volumetrica controllata dei composti intermetallici più grossolani e della struttura di grani non ri-cristallizzati, mentre la combinazione di resistenza meccanica e di resistenza alla corrosione va attribuita alle dimensioni, alla distribuzione spaziale ed al tenore di rame dei precipitati. Tali precipitati svolgono due ruoli: 1) essi omogeneizzano la deformazione che riduce la concentrazione di sforzo lungo le superfici di bordo grano; 2) essi minimizzano la differenza elettrochimica che esiste tra la matrice e le superfici di bordo grano.

L’implementazione del trattamento termico di bonifica T77 per la lega 7150 è stata seguita dallo sviluppo delle nuove leghe 7XXX adatte alle strutture sollecitate a compressione. Le lamiere spesse e gli estrusi in lega 7055-T77 offrono una resistenza aumentata del 10% rispetto a quella della 7150-T6, ed almeno del 30% più alta rispetto a quella della 7075-T76. Inoltre essi possiedono un’alta resistenza alla exfoliation corrosion, simile a quella della 7075-T76. In contrasto con la usuale perdita di tenacità a bassa temperatura tipica delle leghe 7XXX, la tenacità a frattura della 7055-T77 a –54 °C è paragonabile a quella che si rileva a temperatura ambiente. La resistenza alla stress corrosion è intermedia tra quella delle leghe 7075-T6 e 7150-T77. L’attraente combinazione di proprietà della 7055-T77 può essere attribuita ai suoi alti rapporti tra i tenori Zn/Mg e Cu/Mg. Dopo l’invecchiamento secondo il procedimento di bonifica T77, questa composizione dà luogo ad una microstruttura in corrispondenza ed in prossimità delle superfici di bordo grano che è resistente alla frattura ed alla corrosione intergranulare. La matrice della microstruttura contrasta la localizzazione delle deformazioni mentre mantiene un’elevata resistenza meccanica. La Fig.0.20. riporta l’evoluzione cronologica dei valori dello sforzo di snervamento delle leghe utilizzate per i pannelli di rivestimento dell’estradosso dei velivoli commerciali, mentre la Fig.0.21 mostra l’utilizzo delle nuove leghe di alluminio sul Boeing 777, che ha consentito un notevole risparmio in peso.

Fig. 0.20 - Evoluzione dello sforzo di snervamento per le leghe di alluminio.

Fig. 0.21 - Posizione delle nuove leghe di alluminio su Boeing 777

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Le più recenti leghe Al-Li ad essere sviluppate sono caratterizzate da un tenore di Li inferiore rispetto alle leghe progenitrici 8090, 2090 e 2091; esse non sembrano soffrire degli stessi inconvenienti tecnici. La prima di questa nuova generazione è stata la Weldalite 049, che può raggiungere uno sforzo di snervamento di 700 MPa ed una corrispondente deformazione del 10%. Un’evoluzione della lega originaria, la 2195, è stata presa in considerazione per la produzione dei serbatoi criogenici dello Space Shuttle. La lega 2195 offre molti vantaggi rispetto alla 2219 per questo tipo di applicazione. La sua maggiore resistenza meccanica, unita al più alto modulo e minor densità, può condurre a rilevanti risparmi in peso. Inoltre, la lega 2195 possiede buona resistenza alla corrosione, eccellenti proprietà di fatica, ha resistenza meccanica e tenacità alla frattura maggiori a temperature criogeniche che a temperatura ambiente; infine i componenti possono essere prodotti con tecnologie quasi net-shape e possono essere saldati mettendo in atto opportune precauzioni. Comunque, è necessario un ulteriore sforzo di ricerca e sviluppo per individuare le condizioni di processo ottimali, tali da garantire ai componenti la combinazione desiderata di resistenza e di tenacità. Sono in corso di valutazione anche altre leghe contenenti meno del 2% di Li. I risultati preliminari indicano che possono essere sviluppate nuove lamiere spesse in lega di Al-Li, in grado di fornire un’eccellente combinazione di proprietà per le ordinate di forza dei velivoli ad alte prestazioni. Le analisi preliminari mostrano che i laminati piani e gli estrusi realizzati con queste nuove leghe Al-Li potrebbero essere competitivi addirittura con i compositi a matrice polimerica per la struttura dello stabilizzatore dei velivoli passeggeri. Se lo stimolo da parte dei committenti sarà sufficientemente forte, nuove leghe Al-Li verranno sviluppate per soddisfare queste necessità. Le compagnie aeree hanno perso in questi ultimi (pochi) anni molto più denaro di quanto non ne hanno guadagnato nell’intero corso della loro storia, prescindendo dall’inflazione. Di conseguenza, ad esse rimane poco denaro da investire per rinnovare le loro flotte, che vanno sempre più invecchiando. Come risultato, i costruttori di velivoli hanno dovuto mutare strategia, che non è più guidata dagli aspetti tecnologici, bensì da quelli commerciali. Boeing ha chiarito di volersi concentrare nell’aiuto alle compagnie aeree per contenere i costi, migliorando la manutenibilità/affidabilità e riducendo i costi di acquisizione e quelli operativi. Essa punta alla lega 7055-T77 per il rivestimento dell’estradosso alare ed alla lega 7150-T77 per le solette superiori dei longheroni alari, per i correnti di fusoliera e per le rotaie di vincolo/posizionamento dei sedili, in maniera da consentire la riduzione dei costi operativi (dovuti a carburante e manutenzione) per il velivolo Boeing 777, grazie alla loro combinazione di elevata resistenza meccanica ed alla corrosione. Essa ha altresì ottenuto una riduzione dei costi per le lavorazioni meccaniche sul 777, grazie all’utilizzo di piastre pre-stirate per

produrre componenti moderatamente spessi, sostituendo in alcuni casi i convenzionali forgiati. Viceversa, i componenti più sollecitati e critici nei confronti della fatica continueranno ad essere ricavati da forgiati in stampo chiuso. Il ciclo di lavorazione di questi componenti è stato comunque riconsiderato in maniera da ridurre i tempi, i costi, la variabilità e la necessità di ri-lavorazione, per riuscire a cogliere gli obiettivi di feroce riduzione dei costi posti dai produttori aeronautici. L’attenzione riservata dai produttori di forgiati alla riduzione dei costi ha appena cominciato a dare i suoi frutti. Tale successo va attribuito all’implementazione di tecnologie innovative, quali concurrent engineering e re-ingegnerizzazione, simulazione 2D e 3D del prodotto e del processo, rapid prototyping e rapid tooling, high speed machining, processi avanzati di formatura, nonché l’applicazione dell’intelligenza artificiale e dei nuovi sistemi di reporting durante la progettazione dei componenti e delle attrezzature. L’Airbus Industries ha mandato un segnale simile a quello della Boeing. La Deutsche Aerospace Airbus ha stabilito che la migliorata economicità, assieme con l’elevata affidabilità costituiranno i requisiti dominanti per lo sviluppo dei velivoli commerciali. La struttura di questi ultimi dovrà garantire una lunga vita operativa, un basso peso e dovrà richiedere minimi costi di manutenzione. L’obiettivo guida sarà inoltre quello di minimizzare la numerosità delle parti che costituiscono la struttura. Questa tendenza fa presumere che la prossima generazione di jet di linea non sarà più costituita da numerosi componenti assemblati, bensì da grandi strutture integrali. Questo requisito potrà essere soddisfatto disponendo di:

piastre spesse (200 mm e più) in grado di garantire la stessa resistenza a fatica e tenacità a frattura delle lamiere sottili;

lamiere deformabili superplasticamente con ratei superiori di alcuni ordini di grandezza a quelli consentiti dalla lega 7475, garantendo nello stesso tempo una resistenza statica ed una durabilità pari o superiori a quelle della 7475-T6 e 2024-T3, rispettivamente;

leghe e processi produttivi per colata in grado di conferire proprietà meccaniche simili a quelle attualmente garantite dai semilavorati da bonifica o da lavorazione plastica, in qualsiasi dimensione richiesta dal committente;

forgiati aventi migliorata lavorabilità alla macchina utensile;

tecniche di giunzione quali la friction stir welding (saldatura per rimescolamento) che consentano la produzione di pannelli irrigiditi integrali di dimensioni non altrimenti realizzabili;

lamiere saldabili o brasabili adatte alla costruzione di fusoliere.

In aggiunta, esiste un gran numero di tecnologie attualmente allo studio, le quali potrebbero avere un impatto rilevante sul progetto e la costruzione dei

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velivoli del futuro. Queste consistono, ma non sono limitate, a forgiati in leghe ad alta resistenza, nuove leghe Al-Li capaci di ridurre ulteriormente il peso, rivestimenti di fusoliera in leghe Al-Mg-Si resistenti alla corrosione, in grado di migliorare la durabilità e la manutenibilità, lamiere in leghe 7XXX resistenti alla corrosione, anch’esse capaci di migliorare la durabilità e la manutenibilità, rivestimenti alari in leghe formabili per invecchiamento (economicamente più convenienti), piastre spesse (>260 mm) in 7050 esenti da sforzi residui ed adatte alla lavorazione integrale di macchina (riduzione dei costi), forgiati in leghe 7XXX privi di sforzi residui (riduzione dei costi), getti di fusione migliorati (riduzione dei costi), i Fiber Metal Laminates (FML) ARALL (laminato ibrido alluminio/aramidica) e GLARE (laminato ibrido alluminio/vetro) che conferiscono minor peso, miglior durabilità e ridotta manutenzione. I laminati sono costituiti da strati alternati di sottili fogli di alluminio e di preimpregnati di resina epossidica rinforzati con fibre di vetro o aramidiche. Una tale combinazione garantisce l’alta resistenza statica e l’eccellente resistenza a fatica propria dei compositi a matrice polimerica, unita ai vantaggi dei metalli, vale a dire il basso costo, la facile macchinabilità e formabilità, nonché l’elevata deformazione plastica che precede il cedimento finale. Le potenzialità delle leghe di alluminio ad alta tenacità, rinforzate con fibre corte o particelle in maniera da eguagliare la resistenza e la rigidezza specifica dei compositi in resina epossidica con fibre di carbonio, offriranno inoltre al progettista la possibilità di cimentarsi in applicazioni quali derive e stabilizzatori, nonché ali ad elevato allungamento. In questo momento sono in fase di sviluppo programmi quali l’high speed civil transport (HSCT) che sicuramente porranno una sfida alla scienza dei materiali. I programmi in corso negli Stati Uniti ed in Europa sono focalizzati verso velivoli progettati per volare a Mach 2.0-2.4 e trasportare 250-300 passeggeri in tre classi con un’autonomia di almeno 10.000 Km. Perché l’HSCT sia competitivo, la massima maggiorazione accettabile per il costo del biglietto passeggeri è stimata essere del 10-15% rispetto a quello dei convenzionali velivoli subsonici a lungo raggio. Una delle sfide tecnologiche chiave, oltre all’accettabilità ambientale, risiede nella capacità di sviluppare una struttura a basso peso e basso consumo energetico, capace di 60.000 ore di servizio (120.000 ore necessarie per la certificazione a fatica, pari a due volte la vita a fatica). La massima temperatura raggiunta da un velivolo che vola a Mach 2.4 è pari a 185 °C, valore superiore a quello normalmente ritenuto sopportabile in continuo dalle leghe di alluminio. Al contrario, per i velivoli che volano a Mach 2.0 (il cui rivestimento raggiunge la massima temperatura di 100 °C), le leghe 2XXX per alta temperatura con o senza l’alligazione di litio possono ancora essere considerate dei candidati potenziali per rilevanti porzioni della struttura. L’alluminio continua comunque ad offrire numerosi vantaggi rispetto ai materiali concorrenti per i velivoli

subsonici. La combinazione delle buone proprietà specifiche, del basso costo, delle caratteristiche prevedibili ed affidabili, unite all’esperienza di molti anni nella produzione e nel riciclo, nonché al minimo impatto ambientale, assicurano infatti che l’alluminio potrà continuare ad essere il materiale di prima scelta per i velivoli subsonici, almeno nel futuro che è possibile prevedere. Materiali compositi

Tra i materiali compositi, quelli rinforzati con fibre di vetro furono i primi ad essere utilizzati nelle strutture aeronautiche. Già nel 1944 il velivolo da addestramento Vultee BT-15 venne costruito e volò con il rivestimento della parte posteriore della fusoliera realizzato con pannelli sandwich di fibra di vetro e legno di balsa. Ciononostante, mentre negli anni successivi i compositi, specie nella forma fibre di vetro/resina epossidica, cominciarono ad essere molto comunemente utilizzati nelle strutture aeronautiche, tale utilizzo rimase principalmente confinato a componenti quali superfici di controllo, carenature, tettucci ed allestimenti interni. In questo modo sono stati utilizzati i materiali compositi sul Boeing 747. La ragione per la quale questi compositi non sono stati usati diffusamente nei componenti strutturali principali risiede nel fatto che, mentre la loro resistenza specifica è notevolmente superiore a quella dei metalli, la rigidezza specifica non lo è, e la rigidezza spesso costituisce un requisito progettuale importante almeno quanto la resistenza, specialmente per i velivoli veloci. Un’applicazione dei compositi vetro/epossidica che da allora è stata estensivamente adottata è nelle pale degli elicotteri, grazie alla loro ottima resistenza a fatica per sollecitazioni in trazione-trazione nella direzione delle fibre. La possibilità di utilizzare estensivamente i compositi subì una brusca impennata grazie all’invenzione, avvenuta più o meno simultaneamente attorno al 1960, delle fibre di carbonio in Gran Bretagna e delle fibre di boro negli Stati Uniti. I cosiddetti materiali compositi avanzati, basati su questi due tipi di fibre generalmente immerse in una matrice epossidica, sono largamente superiori rispetto ai materiali convenzionali per le costruzioni aeronautiche per quanto riguarda sia la resistenza che la rigidezza. Inizialmente, lo sviluppo dei compositi boro/epossidica procedette più velocemente, e virtualmente solo negli Stati Uniti. Entro il 1970, gli Stati Uniti completarono e fecero volare i principali dimostratori tecnologici, come l’impennaggio orizzontale dell’F-111 ed i timoni dell’F-4 Phantom. Sulla base dell’esperienza guadagnata in questo modo, i compositi boro/epossidica vennero incorporati nei velivoli militari ad alte prestazioni che gli Stati Uniti stavano sviluppando in quegli anni. Così, sia il rivestimento dell’impennaggio orizzontale dell’F-14 che gli impennaggi orizzontale e verticale dell’F-15 furono realizzati in boro/epossidica. Lo sviluppo dei compositi carbonio/epossidica andò avanti molto più lentamente in Gran Bretagna: infatti, solo piccoli dimostratori tecnologici come le alette di trimmaggio del timone

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dello Strikemaster ed i freni aerodinamici del Jaguar vennero realizzati durante quel periodo. Ciononostante, a metà degli anni ’70, gli Stati Uniti decisero di passare dai compositi boro/epossidica ai compositi carbonio/epossidica. Il motivo di tale inversione di rotta risiedeva essenzialmente nel costo del materiale. Nel 1979 il costo del composito carbonio/epossidica nella forma utilizzata dai costruttori aeronautici (cioè di pre-impregnato) era negli Stati Uniti di 40 $/lb (circa 70 Euro/Kg), mentre il composito boro/epossidica costava 180 $/lb (320 Euro/Kg). Dopo aver deciso un tale cambiamento, gli Stati Uniti sono stati rapidi nell’incorporare i compositi carbonio/epossidica nei propri velivoli militari ad alte prestazioni. A titolo d’esempio, nell’F-16, il composito carbonio/epossidica è utilizzato per il rivestimento degli impennaggi orizzontale e verticale, oltre che per altre svariate superfici di controllo: esso costituisce oltre il 3% del peso strutturale. Un utilizzo ancor più estensivo del composito carbonio/epossidica è stato fatto nell’F/A-18 (Fig.0.22).

Fig. 0.22 - Ubicazione del composito carbonio/epossidica su F/A-18. In questo caso, il rivestimento delle ali, degli impennaggi orizzontale e verticale, della parte dorsale della fusoliera, le carenature dell’avionica, i freni aerodinamici e gran parte delle superficie di controllo sono realizzati in carbonio/epossidica. Essi costituiscono il 9% del peso strutturale ed il 35% della superficie bagnata. Nell’AV-8B (Fig.0.23), quasi tutta l’ala (ovvero rivestimento, centine e longheroni) è costituita da carbonio/epossidica.

Fig. 0.23 - Posizione del composito carbonio/epossidica su AV-8H

Con questo tipo di composito è realizzata l’impennaggio orizzontale, la parte posteriore della fusoliera e svariate superfici di controllo: esso costituisce circa il 26% del peso strutturale. L’impennaggio strutturale completo (rivestimento, centine e longheroni) del bombardiere B-1 sono di carbonio/epossidica. Il rivestimento alare del dimostratore a freccia negativa X-29 è interamente in carbonio/epossidica. In questo caso, l’intrinseca ortotropia dei materiali compositi ha consentito di minimizzare i problemi di divergenza torsionale tramite una tecnica di aeroelastic tailoring. Per quanto riguarda i velivoli militari Europei, il taileron (impennaggio orizzontale interamente mobile) dell’MRCA Tornado è realizzato in carbonio/ epossidica, il Mirage 2000 fa uso di compositi con fibre di boro e di carbonio negli impennaggi e nelle superfici di controllo, mentre un uso molto estensivo dei compositi viene fatto sia nell’European Fighter Aircraft che nel Raphale. Inizialmente l’applicazione dei compositi avanzati nei velivoli civili è rimasta un po’ indietro rispetto ai velivoli militari: ora l’utilizzo va rapidamente aumentando. Svariati dimostratori tecnologici vennero sviluppati negli Stati Uniti. Tra questi primi componenti vanno ricordati gli spoiler del Boeing 737, dei quali 111 vennero prodotti e montati sui velivoli di 7 compagnie aeree operanti in tutto il mondo. A metà del 1981, uno di questi spoiler totalizzò 22.000 ore di volo senza che nessun inconveniente fosse riscontrato. Il rilevante risparmio di peso che può essere ottenuto grazie all’utilizzo dei materiali compositi si traduce in un altrettanto rilevante risparmio energetico. Per questo motivo, un ancor più spinto sviluppo delle strutture aeronautiche in composito venne intrapreso nell’ambito del programma NASA ACEE (Aircraft Energy Saving). Tale programma intendeva migliorare la tecnologia ed aumentare la fiducia, in maniera da convincere i produttori di velivoli civili ad utilizzare i materiali compositi nelle loro futuri realizzazioni. Il programma temporale prevedeva l’utilizzo dei compositi nelle strutture secondarie entro il 1980 ed in quelle primarie entro il 1985. I dimostratori tecnologici sviluppati nell’ambito del programma ACEE sono elencati nella Fig.0.24, assieme con i risparmi in peso ottenuti rispetto agli equivalenti componenti metallici.

Fig. 0.24 - Risparmio di peso per il programma ACEE. In conformità con tale programma temporale, anche i velivoli Boeing 757, 767 e 777 adottano compositi carbonio/epossidica per molte delle loro superfici di

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controllo (Fig.0.25), per non parlare del 787, con la fusoliera interamente realizzata in carbonio/ epossidica.

Fig. 0.25 - Parti in composito per il Boeing 767. Una citazione speciale merita altresì il Lear Fan 2100 (Fig.0.26), che è un piccolo executive, spesso menzionato come il primo velivolo all-composite, in quanto la quasi totalità delle sua struttura è fatta di composito, principalmente carbonio/epossidica.

Fig. 0.26 - Lear Fan 2100 Il velivolo biposto Rutan Voyager, che ha compiuto il giro del mondo senza scalo, ha una struttura di fatto interamente realizzata in composito. I materiali sono stati utilizzati anche nelle strutture dei velivoli spaziali. La struttura reticolare dello Space Shuttle è fatta di tubi in composito boro/epossidica, i serbatoi sganciabili del propellente liquido sono in composito prodotti con la tecnologia del filament winding, mentre i portelloni della zona cargo, lunghi 15 m, sono costruiti in carbonio/epossidica. Ci sono state molte applicazioni anche nelle strutture dei lanciatori non riutilizzabili (carenature del carico pagante sull’Ariane) e dei satelliti, spesso costituite da pannelli sandwich carbonio/epossidica e nido d’ape metallico. In questi casi, al consueto vantaggio dovuto al basso peso, si aggiunge il basso coefficiente di dilatazione termica, che consente il mantenimento di un’elevata stabilità dimensionale anche in presenza di grandi variazioni termiche. Sino a questo punto non si è menzionato un altro tipo di composito avanzato, quello rinforzato con fibre aramidiche. Esso è largamente utilizzato nelle strutture aeronautiche, ma spesso solo in applicazioni che erano un tempo coperte dai compositi con fibre di vetro. Ciononostante, va nascendo un grande interesse nei confronti dei compositi ibridi carbonio/aramidica, adatti ad utilizzi più generali. Nel Boieing 767, per

esempio, questi compositi ibridi sono utilizzati nelle carenature tra la fusoliera e le ali, portelli dei carrelli, carenature delle gondole motore e pannelli del bordo d’attacco fisso. I problemi principali che hanno limitato l’uso dei compositi aramidici nelle strutture primarie risiedono nella loro igroscopicità e bassa resistenza a compressione. Quest’ultimo aspetto viene grandemente mitigato tramite l’ibridizzazione. In sintesi, i materiali compositi fibrosi sono già estesamente utilizzati nelle strutture aeronautiche e certamente amplieranno il loro impiego: la Fig.0.27 riporta una lista delle più importanti applicazioni ormai consolidate.

Fig. 0.27- Applicazione dei compositi in alcuni aerei. Attualmente, carbonio/epossidica e, in misura minore, aramidica/epossidica sono visti come i più importanti compositi per le applicazioni strutturali aeronautiche. Oltre a quelli per applicazioni strutturali, altri tipi di composito vengono attualmente valutati per una varietà di altre applicazioni aeronautiche. Un’area particolarmente attiva è quella dei compositi a matrice metallica (MMC), utilizzabili nei componenti dei motori a getto. Per esempio, i compositi boro/alluminio sono allo studio per la produzione di palette di turbina, così come i compositi tungsteno/superleghe. Stanno ricevendo grande attenzione anche i compositi rinforzati non con fibre continue, bensì con particelle discontinue, specie se queste ultime sono costituite da whiskers, ovvero corte fibre monocristalline. Anche per un velivolo militare i costi di connessi con un sistema-velivolo sono principalmente dovuti ai costi associati all’acquisizione ed al supporto operativo, come mostrato in Fig.0.28 per un velivolo militare.

Fig. 0.28 - Costo della vita operativa di un velivolo militare.

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Circa il 72% dei costi di acquisizione discende dalla fabbricazione dei pezzi staccati, mentre circa il 59% dei costi operativi deriva dal consumo di carburante. Perciò i maggiori risparmi di costo possono essere ottenuti attraverso il risparmio del peso e della numerosità dei componenti. Il peso strutturale può essere ridotto principalmente in due modi: utilizzando materiali più leggeri e adottando progetti strutturali più efficienti. La densità dei materiali compositi è significativamente più bassa rispetto a quella dei materiali convenzionali, cosicchè essi offrono un’efficienza strutturale maggiore, inoltre le loro tecnologie consentono una maggiore integrazione della struttura ed una riduzione del numero dei componenti. Risparmi significativi nel costo delle strutture consentono di aumentare l’autonomia ed il carico pagante e di ridurre il consumo di carburante ed il life-cycle-cost del velivolo rendendo così economicamente profittevoli flotte più numerose. In più, le caratteristiche dei compositi stimolano una maggiore creatività progettuale e permettono al progettista di adattare le caratteristiche del materiale alle specifiche applicazioni. A fronte di tutto ciò, il costo di produzione delle strutture in composito continua a costituire un ostacolo alla loro estensiva adozione. Questo è dovuto agli approcci progettuali e produttivi, che trattano ancora i compositi come “black aluminum”, dando luogo ad assemblaggi costituiti da molti pezzi staccati collegati da chiodature. Viceversa, solo una filosofia di progettazione volta a strutture grandi ed integrate, capace di ottimizzare la producibilità, la qualità e l’efficienza renderà le strutture in composito convenienti anche dal punto di vista economico. L’utilizzo corrente dei compositi ha consentito ragguardevoli miglioramenti alle prestazioni dei velivoli militari, nonostante la loro applicazione si sia limitata a componenti esili o sottili a lieve curvatura, di dimensioni relativamente contenute. Ciò è dovuto al minor rischio tecnologico connesso ed alla più facile riparabilità o sostituibilità in caso di difetto produttivo o danno accidentali. Inoltre le filosofie progettuali odierne tendono ad escludere l’utilizzo dei compositi nelle zone di concentrazione di sforzo (attacchi, aperture) ed in presenza di sollecitazioni fuori dal piano (a causa dell’intrinseca debolezza interlaminare di questi materiali). Oggigiorno l’applicazione dei compositi alle zone fortemente sollecitate è limitata all’ala ed al rivestimento di fusoliera: per questo la presenza dei compositi è limitata all’incirca al 24% in peso, come mostrato in Fig.0.29. per un velivolo militare tipico come l’F-22 ed in Fig.0.30. per numerosi altri velivoli. In termini di risparmio ponderale, l’applicazione più conveniente dei compositi nella struttura di un velivolo militare risiede nell’intersezione ala-fusoliera.

Fig. 0.29- Percentuali in peso dei materiali usati nell’F-22.

Fig. 0.30 .- Trend di utilizzo dei compositi per svariati aeroplani. Essa costituisce la struttura più sollecitata, pesante e costosa. La fusoliera di un velivolo militare tipo rappresenta all’incirca il 47% del peso totale, contro il 25% dell’ala (Fig.0.31), perciò l’utilizzo in questa zona di materiali strutturalmente più efficienti porta immediatamente a forti risparmi in peso sul peso strutturale totale.

Fig. 0.31 - Approccio “Building Block” per lo sviluppo di un nuovo aeroplano. Prima di adottare una soluzione all-composite in un’applicazione così critica, devono però essere preliminarmente affrontate alcune sfide-chiave di natura progettuale e produttiva: a) capacità di sopportare carichi fuori dal piano senza ricorrere a componenti metallici chiodati; b) tecniche di assemblaggio a basso costo, tipo co-bonding o co-curing; c) efficienti intersezioni strutturali tra elementi longitudinali e trasversali, d) progettazione di flussi di sforzo continui, ad evitare la concentrazione di sollecitazioni; e) aumento della stabilità dei pannelli all’aumentare del passo di diaframmi e correnti, adottando soluzioni sandwich; f) incorporazione di

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hard point ed in generale, conferimento alla struttura integrata di caratteristiche multifunzionali. A questo scopo devono essere implementate innovazioni riguardo alle tecnologie produttive alternative al costoso vacuum-bagging in autoclave, quali: a) tecniche automatizzate di deposizione (filament winding, tape placement); b) metodi per impregnazione di tipo resin infusion (resin transfer moulding RTM, vacuum-assistede resin transfer moulding VaRTM, resin film infusion); c) soluzioni di polimerizzazione a basso costo (con electron beam, per induzione elettromagnetica, a bassa temperatura ed a bassa pressione). Per consentire assemblaggi a basso costo di strutture integrate tridimensionali resistenti ai carichi fuori dal piano, devono essere adottate anche nuove soluzioni di organizzazione spaziale delle fibre, quali: rinforzi tridimensionali ottenuti per braiding o con la tecnica Z-fiber (barrette pultruse perpendicolari al piano della lamina), tessuti multi-assiali, tri-dimensionali o stitched per aumentatre la resistenza interlaminare. Infine la resistenza all’instabilità in maniera strutturalmente efficiente è conferita dalle soluzioni sandwich, a patto di superare i problemi di corrosione, assorbimento di umidità e debolezza dell’adesione tra pelli e riempitivo. Ciò è reso possibile all’adozione di adesivi più tenaci ed inerti al degrado ambientale, pelli con rinforzo tridimensionale Z-fiber e riempitivi di tipo hollow-core, insensibile alla corrosione ed all’assorbimento di umidità. L’utilizzo dei compositi continuerà ad estendersi nelle strutture dei futuri velivoli civili e militari. Per ampliare l’applicazione di questi materiali oltre la soglia dell’attuale 25% in peso per i velivoli militari, sarà però necessario mettere a punto linee-guida e procedure per l’analisi, la definizione dei criteri di resistenza, di damage tolerance e di durability. Inoltre lo sviluppo di strutture in composito economicamente convenienti (affordable) richiederà un approccio di tipo design for manufacturing, attento alle specificità del settore aerospaziale, ovvero ai bassi volumi produttivi (design for low volume and tooling for low volume). Infine, una spinta decisiva al successo delle strutture in composito potrà derivare dalla loro capacità di integrare compiti diversi, trasformandosi in sistemi multi-funzionali.

Per ampliare l’utilizzo dei compositi andranno altresì rimosse le barriere derivanti dai costi di produzione e dagli oneri di certificazione. Numerosi programmi sono stati avviati a questo fine nel corso degli anni negli Stati Uniti dalla NASA: Advanced Composite Technology (ACT), Composite Affordability Iniziative (CAI) e dall’USAF: Low Cost Composite Processing (LCCP), essenzialmente volti all’introduzione di tecnologie automatizzate (quali per esempio l’RTM per la produzione di parti di carrelli), eventualmente mutuandole dall’industria automobilistica. Sono ritenuti potenzialmente molto convenienti anche l’utilizzo di attrezzi di formatura prodotti con tecniche di rapid prototyping/tooling e l’adozione del virtual manufacturing per abbattere gli oneri connessi con la messa a punto di una specifica produzione. I materiali compositi con fibre di carbonio e matrici

termoplastiche (PPS, PEI e PEEK), potendo sfruttare tecnologie low-cost ben conosciute, come la termoformatura, potrebbero consentire un’ulteriore riduzione dei costi di produzione. La priorità massima per consentire la piena adozione dei compositi nell’industria aeronautica risiede comunque nell’integrazione tra le proprietà dei materiali, l’ottimizzazione dei processi, lo sviluppo di strumenti di modellazione tecnico-economica e la messa a punto di efficienti ed affidabili procedure per l’ispezione, riparazione e manutenzione. 4. Materiali del futuro

Di fatto, ai nuovi velivoli viene richiesto di volare più in alto, più velocemente e per una durata maggiore. Inoltre, ad essi viene richiesto di essere più durabili, mantenibili, ispezionabili e di possedere costi operativi inferiori rispetto ai velivoli tradizionali. Tali requisiti per i velivoli si traducono nei già menzionati requisiti per i materiali, ovvero “più resistenti, più rigidi, più prestanti ad alta temperatura e più leggeri”. Per quanto riguarda le strutture, i velivoli del futuro dovranno comprendere caccia, bombardieri, trasporti, nonché velivoli transatmosferici quali il NASP ed i lanciatori riutilizzabili. I motori dovranno essere caratterizzati da un migliore rapporto spinta-peso. Inoltre, in aggiunta ai soliti quattro requisiti, essi dovranno essere costituiti da un minor numero di parti ed essere caratterizzati da una minore complessità. Il dibattito scientifico concernente gli attuali materiali aerospaziali ha ormai chiarito che il futuro dovrà essere dei materiali ingegnerizzati. Grazie alla facilità di lavorazione offerta dai compositi a matrice polimerica (bassa temperatura di fusione, ridotta reattività), questa nuova era è stata raggiunta più rapidamente dai materiali organici che da quelli metallici. Comunque, ciò non significa che i materiali a base di carbonio sostituiranno completamente i metalli, bensì che si userà il materiale migliore per ogni particolare applicazione. Un eccellente esempio di come i metalli potranno ancora competere è costituito dal progetto preliminare dalla deriva della prossima generazione di caccia (Lockheed LASC), nella quale i materiali metallici verranno scelti per soddisfare requisiti specifici: il rivestimento sarà realizzato in alluminio rinforzato con fibre discontinue monocristalline, i longheroni in alluminio con fibre continue e gli attacchi alla struttura della fusoliera in lega Ti6Al4V. Così facendo, la comunità dei materiali metallici non dovrà necessariamente ammettere che l’uso dei compositi comporta un grado di libertà in più rispetto dei metalli, grazie alla peculiare capacità di integrare il progetto della struttura con il progetto del materiale. Nel passato gli alchimisti non avevano nulla a che fare con i fabbri. Oggigiorno esiste una più stretta interazione tra chi studia i più minuti dettagli dei materiali e chi produce i componenti (vedi gli autori di questo libro). E’ conclamato che i materiali posseggono una propria architettura interna; una gerarchia di livelli strutturali sempre più fini, che rendono ragione delle caratteristiche osservate

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microscopicamente (multiscala). Tali livelli spaziano da quello sub-atomico, a quello atomico (per esempio l’organizzazione degli atomi in una struttura cristallina), alle grandi coalescenze di atomi (per esempio i grani di un metallo o di una ceramica), fino alla struttura macroscopica che viene osservata ad occhio nudo. Ciò significa che il comportamento di un particolare materiale può essere previsto da un attento studio della sua struttura intima. Compiendo un passo in più, tale conoscenza ha portato allo sviluppo di una grande varietà di materiali artificiali, quali i polimeri e gli elastomeri sintetici, le fibre non naturali, le leghe metalliche, le ceramiche ed i materiali compositi. In ogni caso esiste una relazione tra chimica-tecnologia-microstruttura-proprietà-applicazione. Il ruolo chiave giocato dalle tecnologie è mostrato chiaramente dai cosiddetti processi di non equilibrio. In questi casi, un ampio spettro di nuove strutture può essere ottenuto, consentendo una specializzazione delle prestazioni normalmente non presenti in natura. Un esempio lampante è dato dai processi di rapida solidificazione dalla fase liquida alla fase solida. Grazie a queste tecniche, possono essere ottenute caratteristiche microstrutturali e funzionali tali da garantire inaspettate combinazioni di proprietà: metalli molto resistenti, prestanti ad alta temperatura ed al tempo stesso leggeri; oppure polimeri nei quali il rapido raffreddamento conferisce contemporaneamente trasparenza ed elevata rigidezza. Di solito, il rapido raffreddamento comporta il raggiungimento di stati metastabili, nei quali due fasi normalmente separate coalescono in un’unica fase. Se a ciò si aggiungono le possibilità offerte dai materiali multi-fase, che usano sinergicamente diversi componenti (metalli, polimeri e ceramici) come si fa nei compositi, si configura la molteplicità, apparentemente illimitata, dei materiali utilizzabili per le costruzioni aerospaziali del XXI secolo, il quale sarà testimone di una nuova era per i mezzi e le missioni aerospaziali. I veicoli diventeranno sia molto più piccoli che molto più grandi di quanto non siano ora. Essi viaggeranno molto più velocemente e si spingeranno molto più lontano di quanto oggi non sia ritenuto possibile. Nell’aeronautica civile, i futuri sistemi di trasporto consisteranno in aeroplani subsonici di grandi dimensioni (caratterizzati da architetture innovative, dotati di interfaccia uomo-macchina semplici, equipaggiati con sistemi per la visione artificiale e con apparati anti-collisione), come pure in aeroplani per i voli trans-oceanici: velivoli iper-veloci dai bordi d’attacco taglienti, costruiti con materiali capaci di sopportare gli alti riscaldamenti cinetici. Le linee guida del progetto comprenderanno la sicurezza, la convenienza economica (costo iniziale e del ciclo-vita), nonché la compatibilità ambientale. Per quanto riguarda i velivoli militari, l’enfasi si sposterà dalla pura ottimizzazione delle prestazioni ad una riduzione dei costi, compatibile con prestazioni accettabili. Le “parole d’ordine” dei progetti militari saranno ancora convenienza economica, aggiunta però a flessibilità, inter-operabilità, standardizzazione,

supporto logistico, sopravvivibilità e “letalità” degli armamenti di bordo. Numerose sono le architetture non convenzionali in corso di sviluppo, come gli aeroplani “tuttala” privi di impennaggi, gli aeroplani con due coppie di ali unite a rombo, quelli in cui l’ala e la fusoliera sono fusi insieme, i velivoli con capacità “multistealth”, ovvero impossibili da rilevare con le moderne tecniche radar, termiche, acustiche e sonore, ed infine i velivoli ipersonici in grado di operare sia nell’atmosfera che nello spazio, ed in grado di effettuare la transizione da un ambiente all’altro. Nello spazio, le grandi stazioni spaziali verranno affiancate o sostituite da un gran numero di mini- o micro-stazioni completamente robotizzate, dedicate alle telecomunicazioni globali, osservazioni della terra ed esplorazioni scientifiche dell’universo vicino. Verranno effettuati studi scientifici approfonditi in regioni dello spazio sempre più remote, alla ricerca di tracce di vita nell’universo. Tali attività avranno come obiettivi una presenza vigilante ed “intelligente” nel sistema solare, l’esplorazione dello spazio inter-stellare e la ricerca di pianeti simili alla Terra: a questo scopo si utilizzeranno telescopi in grado di rilevare tracce di vita ad una distanza di 1015 chilometri. Si svilupperà così una strategia di esplorazione integrata uomo-robot, di gran lunga più avanzata di quella associata all’utilizzo delle stazioni spaziali. Una tale strategia sarà volta all’aumento della sicurezza, al miglioramento delle prestazioni, all’allargamento degli obiettivi ed alla riduzione del costo del ciclo-vita dei velivoli. Così i futuri sistemi di trasporto spaziale saranno costituiti da navette riutilizzabili per i trasferimenti di routine Terra-orbita. Essi garantiranno la riduzione di un ordine di grandezza dei costi e l’aumento di due ordini di grandezza dell’affidabilità di tali voli.. Le sfide da vincere consisteranno nella ri-utilizzabilità, ri-certificabilità e minimizzazione delle strutture operative necessarie. Verranno sviluppati sistemi avanzati per il trasferimento rapido di esseri umani e di robot da e per i pianeti, i più vicini corpi stellari, nonché per le missioni interstellari. Entro la metà del XXI secolo tali viaggi interplanetari diventeranno di routine. I materiali e le strutture sono stati fino ad ora tra i maggiori responsabili del miglioramento delle prestazioni dei sistemi di trasporto aerospaziale. La completa maturazione delle tecniche di progettazione computazionale e lo sviluppo dei materiali compositi avanzati, cui abbiamo assistito nel corso degli ultimi 40 anni, hanno comportato il miglioramento delle prestazioni strutturali, la riduzione dei rischi operativi e l’accorciamento dei tempi di sviluppo di numerosi sistemi di trasporto aerospaziale. Nel futuro, i materiali e le strutture, assieme con le tecnologie ad essi collegati, continueranno a costituire gli elementi chiave nel determinare le prestazioni, l’affidabilità e la convenienza economica di tali sistemi. La NASA ha identificato sette aree tecnologiche principali, da privilegiare nello sviluppo dei futuri velivoli civili e militari: una di esse è costituita dalle “strutture e materiali”. Per alcuni tra questi futuri veicoli, lo

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sviluppo e l’applicazione di nuovi strutture e materiali avrà un impatto nel ridurre il peso massimo al decollo ed i costi operativi ben maggiore di quelli dovuti a qualsiasi altra aerea tecnologica (Figg.0.32,33).

Fig. 0.32- Programmazione della riduzione percentuale del costo operativo per velivoli subsonici da trasporto.

Fig. 0.33 - Pianificazione della riduzione percentuale di peso totale per diverse categorie di aeromobili. Sulla scorta di queste considerazioni, nel campo dei materiali e delle tecnologie aerospaziali possono essere identificate alcune aree strategiche di importanza cruciale per il raggiungimento degli obiettivi futuri, ovvero: materiali resistenti alla corrosione ed al degrado

ambientale; materiali, tecniche di produzione e di

assemblaggio per la massimizzare l’affordability; materiali per alte temperature, di impiego sia

strutturale che motoristico; materiali bio-mimetici, functionally graded, smart

materials materiali ad alta capacità di assorbimento di

energia; materiali ad integrazione multifunzionale; materiali per condizioni ambientali spaziali.

Nel passato, i programmi relativi ai materiali ed alle tecnologie prendevano le mosse dalle specifiche di missione dei velivoli. Nel futuro le specifiche indirizzeranno le tecnologie, le quali, a loro volta, potranno ampliare gli orizzonti delle missioni stesse. I velivoli e le loro missioni evolveranno così grazie alla

convergenza di obiettivi e di tecnologie. Tale rivoluzione sarà stimolata da tre principali fattori: a) trasformazione dei dipartimenti di progettazione - negli anni ’80, i dipartimenti di progettazione delle industrie aerospaziali erano focalizzati sulla qualità, che veniva perseguita tramite la riduzione dei difetti e l’applicazione dei concetti di qualità totale. Negli anni ’90, l’attenzione venne indirizzata verso la re-ingegnerizzazione e l’aumento di efficienza dei processi produttivi attraverso la progettazione virtuale dei prodotti e la pianificazione delle risorse aziendali. Muovendosi dall’era industriale verso l’era della conoscenza, le dimensioni dei dipartimenti di progettazione vanno sempre più aumentando, in conseguenza di fusioni e di acquisizioni, e vanno radicalmente rinnovandosi per aumentare l’efficienza di ciascun posto di lavoro: l’attenzione si va spostando verso la gestione della conoscenza. Il posto di lavoro si va trasformando da un’entità statica incentrata sul calcolatore ad un ambiente intelligente, interconesso e distribuito che consente agli esperti di materiali e tecnologie di collaborare in tempo reale con altri gruppi, delocalizzati anche geograficamente; b) pressione economica – il contrarsi dei bilanci militari, unitamente alle richieste dei committenti, che reclamano prodotti sempre migliori, più veloci ed economici, hanno spinto l’industria aerospaziale dalla produzione di massa alla customizzazione (adattamento del prodotto alle esigenze del singolo committente) di massa, ed all’adozione del concetto di lean production (produzione “snella”), per avere la cosa giusta, al posto giusto, nel momento giusto, minimizzando gli scarti e mantenendosi aperti al cambiamento. L’industria aerospaziale ha così integrato gli strumenti per la progettazione e la simulazione con quelli per una snella gestione dell’ingegnerizzazione, produzione e gestione dei sub-fornitori; c) impatto delle innovazioni tecnologiche – la sinergia tra le innovazioni delle tecnologie produttive e di altre tecnologie chiave può comportare un impatto rilevante sul progetto dei futuri veicoli aerospaziali. Per sfruttare il potenziale di tale sinergia, le industrie aerospaziali dovranno garantire ai diversi gruppi di progettazione facilità di comunicazione ed ambienti di lavoro che contribuiscano ad una continua crescita professionale. Non si devono attendere innovazioni epocali in tutte le aree che appartengono al grande assieme disciplinare delle tecnologie e dei materiali: anche un progresso lento e graduale in tutte queste discipline, se unito alla sinergia con altre tecnologie avanzate, potrà portare ad un rilevante aumento di efficienza ed al miglioramento delle prestazioni dei sistemi di trasporto aerospaziali. Alcune di queste tecnologie innovative potranno essere ad esempio le strutture multifunzionali, i Micro Air Vehicles (MAV), le strutture ispirate dalla biologia. Numerose tecnologie dei materiali, applicate a tali concetti strutturali potranno offrire straordinarie opportunità ai futuri sistemi aerospaziali. Tra queste vale la pena di ricordare i materiali functionally graded e function-integrated, i materiali bio-mimetici ed i nano-materiali:

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1) materiali functionally-graded (FGM) – nel caso degli FGM, tramite processi tecnologici innovativi, vengono ottenuti materiali la cui microstruttura, composizione e proprietà variano in maniera controllata ed ingegnerizzata, in maniera da poter soddisfare requisiti funzionali a loro volta variabili spazialmente all’interno di un unico componente. L’utilizzo degli FGM può alleviare i problemi indotti dagli elevati gradienti di sforzo indotti da campi di deformazione incongruenti che si creano quando materiali dissimili sono uniti a formare un unico componente. Una tale tecnologia può consentire ai ricercatori di sviluppare strutture complesse senza dover ricorrere ai tradizionali metodi di giunzione. Oltre ad essere meno costosi, i componenti realizzati con FGM senza soluzioni di continuità sono più robusti poiché gli sforzi sono distribuiti nell’intero volume del materiale, piuttosto che concentrati in corrispondenza delle giunzioni. Le applicazioni degli FGM possono consistere in dispositivi piezoelettrici, sistemi per la conversione di energia termoelettrica/termoionica, giunzioni metallo/ceramica e componenti magnetici. Per produrre gli FGM ed i compositi ceramici possono essere utilizzati due tipi di processo: il metodo additivo, nel quale il gradiente è ottenuto impilando il materiale in maniera opportuna, oppure il metodo che sfrutta il trasporto di massa, calore o fluido per creare il gradiente all’interno del materiale. Lo scopo finale degli FGM è quello di integrare la progettazione con la produzione del materiale. Per poter sfruttare appieno le potenzialità degli FGM è necessario disporre di un modello altamente fedele della tecnologia produttiva, della risposta e del cedimento di tali materiali, nonché sviluppare processi produttivi a basso costo. 2) materiali function-integrated – in questi materiali, che possono essere considerati un’estensione degli smart materials, la capacità di rilevazione che fa uso di fotoni, forze meccaniche, campi elettrici o magnetici è insita nella loro stessa struttura molecolare. Tra le loro potenziali applicazioni, vanno annoverate le batterie e le celle solari spruzzabili o incollabili sulle ali dei velivoli, per convertire l’energia solare in energia elettrica e per immagazzinarla. Altro esempio è costituito dai compositi strutturali spruzzabili, che possiedono la funzionalità di un’antenna attivabile su richiesta, per ricevere ed elaborare informazioni oppure per conferire su richiesta caratteristiche di bassa rivelabilità radar. I nano-materiali ed i materiali bio-mimetici, descritti nel seguito, promettono di poter essere utilizzati come materiali function-integrated; 3) nano-materiali – essi sono prodotti tramite la sinterizzazione di particelle ultra-fini costituite dagli stessi tipi di atomi che costituiscono il materiale nella forma comune. Tali atomi sono organizzati in strutture di dimensione nanometrica, che diventano i grani costituenti il nuovo materiale. Le dimensioni dei grani dei materiali convenzionali variano da pochi micron ad un millimetro di diametro e contengono parecchi miliardi di atomi. Diversamente, i grani dei nano-materiali hanno un diametro inferiore ai 100 nanometri e contengono meno di alcune decine di migliaia di atomi. Le proprietà meccaniche, ottiche, chimiche,

magnetiche ed elettriche dei nano-materiali possono essere variate tramite il controllo delle dimensioni dei grani costituenti per adattarsi a particolari requisiti. Inoltre, la riduzione delle dimensioni dei grani riduce le temperature di processo dei materiali ceramici. Questi materiali rappresentano oggi una delle più importanti frontiere delle tecnologie dei materiali. Le ceramiche nano-strutturali verranno valutate come barriere termiche per le strutture ed i sistemi propulsivi. Nano-materiali metallo-ceramici potranno altresì consentire la realizzazione di un sistema altamente efficiente di antenne miniaturizzate distribuite sulla superficie del velivolo. 4) materiali bio-mimetici – la tecnologia dei materiali bio-mimetici ha lo scopo di sviluppare nuovi materiali, imitando la sintesi, la produzione e le proprietà dei materiali che si trovano nei sistemi biologici. La multi-funzionalità, l’organizzazione gerarchica, l’auto-riparabilità, l’adattabilità e la durabilità sono alcune tra le caratteristiche invidiabili e peculiari di questi sistemi. Inoltre, i sistemi biologici non distinguono tra materiale e struttura. Il progetto e sviluppo degli organismi biologici è un processo integrato, nel quale le funzione di ciascun componente sono multiple e danno luogo ad una struttura efficiente e durabile, le cui prestazioni soddisfano appieno i requisiti del sistema vivente. Esempi recenti sono costituiti dalla bio-mineralizzazione e dalle strutture gossamer (a tela di ragno). I compositi biologici, come le ossa ed i denti, sono costituiti da una matrice polimerica rinforzata da una fase inorganica. I fattori di sintesi che stanno alla base della bio-mineralizzazione comprendono un forte legame dei reagenti inorganici da parte delle matrice organica, buona capacità di solvatazione da parte del polimero ed una struttura polimerica ordinata per indurre la enucleazione. Tramite questo metodo è possibile preparare a temperatura e pressione atmosferica fasi cristalline inorganiche, che normalmente richiedono alte temperature e pressioni. La comprensione dei meccanismi che stanno alla base della crescita dei tessuti biologici, unitamente all’esperienza maturata nello sviluppare i materiali avanzati, potrà portare allo sviluppo di sistemi materiale/struttura grandemente superiori a quelli attualmente usati nelle costruzioni aerospaziali. I futuri filoni di ricerca delle tecnologie produttive dovranno rivolgersi all’integrazione di materiali esistenti e di materiali innovativi per costituire, assieme alle altre tecnologie chiave, sistemi aerospaziali caratterizzati da alta qualità e basso costo. I futuri sforzi dovranno rivolgersi ai processi di produzione dei materiali avanzati, alle tecnologie a basso costo ed alle altre sfide tecnologiche che renderanno più sicuri, efficienti, leggeri, resistenti, rigidi e durabili i velivoli in diverse condizioni di volo, per il rientro in atmosfera e per i voli entro il sistema solare. Queste attività dovranno inoltre sfatare la convinzione che elevate prestazioni possono essere ottenute solo a fronte di elevati costi. Oggigiorno, le tecnologie di produzione dipendono dai requisiti della missione e del velivolo. E’ necessaria una svolta culturale, per convincersi che le missioni e le prestazioni dei velivoli dipenderanno

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da ciò che l’innovazione nelle tecnologie e nei materiali sarà in grado di offrire. Il XXI secolo vedrà veicoli aerospaziali realizzati con materiali progettati al calcolatore a livello atomico/molecolare per compiere le più svariate missioni. I materiali e le strutture multifunzionali programmabili saranno inoltre capaci di modificare su richiesta la propria forma e le proprie proprietà meccaniche, elettromagnetiche, ottiche ed acustiche. Metalli

All’introduzione dei compositi polimerici (più resistenti, rigidi e leggeri), la ricerca nel campo dei metalli ha risposto migliorando le prestazioni delle leghe leggere d’alluminio (Fig.0.34) e sviluppando: - strutture sandwich con pelli in alluminio e core in schiuma d’alluminio (Aluminum Foam Sandwich -AFS), che hanno efficienza strutturale, resistenza al crash ed alla fiamma, smorzamento acustico, riciclabilità; un’alternativa alla schiuma d’alluminio è costituita dai syntactic metals in magnesio, che incorporano microsfere di vetro/ceramica; - leghe Al-Li: per ogni 1% di litio, il rapporto rigidezza/densità aumenta del 3%. I problemi risiedono nei costi e nelle tecnologie (allo stato fuso, il contatto con l’umidità provoca esplosioni). - alluminio amorfo e single crystal, che consentono di evitare l’innesco, la coalescenza e la propagazione di cricche di fatica al bordo grano; - intermetalli (per esempio titanium aluminide e nickel aluminide); con questi materiali, sinterizzati con la tecnica Hot Isostatic Pressing (HIP), è stata realizzata la protezione termica dello spazioplano X-33; - sinterizzazione (Powder Metallurgy – PM ): con questa tecnologia sono state realizzate le ordinate motore in lega di titanio del B-777. La sinterizzazione evita la segregazione inerziale durante la fusione; consente di realizzare leghe altrimenti impossibili (60% Al + 40% Si). Essa può essere adottata per il berillio, ma solo per applicazioni spaziali, dato il costo e la tossicità; - tecnologia Powder Injection Moulding (PIM)

Fig. 0.34 - Miglioramento delle caratteristiche delle leghe di alluminio tra i prodotti di ultima generazione e quelli precedenti. Ceramiche Le ceramiche sono state definite come i materiali che non sono né metalli, ne’ polimeri. Più rigorosamente, esse sono composti formati da metalli (o metalloidi) e dagli elementi O, N, C e B, con forti legami ibridi ionici-covalenti. Tali legami conferiscono alle

ceramiche l’attraente peculiarità di saper resistere agli attacchi termici e chimici, ma anche sono responsabili del loro ben noto tallone di Achille, consistente in un’elevata fragilità. Cosicché la sfida della ricerca sui materiali ceramici dovrà consistere, da un lato nel minimizzare la presenza di cricche tramite il miglioramento dei processi tecnologici, dall’altro nell’affinarne la composizione e la microstruttura per eliminare il fenomeno di crescita di tali cricche. Una via per ridurre la presenza di cricche consiste nell’uso di precursori costituiti da polveri altamente pure ed estremamente fini. I tre metodi attualmente allo studio per arrestare la propagazione delle cricche (che è dovuta alla presenza di sollecitazioni di trazione e/o di taglio) consistono nella tenacizzazione per trasformazione, l’interruzione delle cricche e arrotondamento delle cricche. Nella tenacizzazione per trasformazione, una trasformazione indotta da sforzo (che si verifica, ad esempio, nell’ossido di zirconio ZrO2) causa una variazione di volume del 3-5% nelle particelle disperse nella matrice ceramica, che si traduce in una compressione localizzata della matrice e conseguente chiusura delle cricche. L’interruzione delle cricche comporta la dispersione di fibre di ceramica entro la matrice pure ceramica, le quali interrompono le cricche e impediscono la loro crescita. Infine l’arrotondamento delle cricche sfrutta la presenza di una popolazione di microcricche indotte intenzionalmente all’interno della matrice, le quali arrotondano l’apice delle cricche e ne rallentano la propagazione Compositi a matrice polimerica Si ritiene che i materiali compositi a matrice termoplastica possano offrire le maggiori potenzialità per quanto riguarda l’aspetto critico legato alla produzione e quindi al costo, in quanto è più conveniente riscaldare e raffreddare un materiale anziché doverlo reticolare. Oltre i termoplastici, la prospettiva per ulteriori miglioramenti dei compositi polimerici è praticamente illimitata. La possibilità di differenziare e controllare le proprietà dei compositi ibridi consente di ingegnerizzare i materiali per adattarli alla distribuzione di sforzi che essi devono sopportare. Ciò comporta che la progettazione del componente e la definizione dei requisiti del materiale debbano fondersi per divenire due aspetti di un unico processo. Questo richiede lo sviluppo scientifico della tecnologia per controllare il processo di fabbricazione e garantire una reticolazione completa ed uniforme, minimizzare gli sforzi di origine termica, controllare il contenuto in resina e garantire il corretto posizionamento delle fibre. Il costo rimane uno dei problemi principali: processi di fabbricazione a basso costo saranno decisivi per il successo dei nuovi sistemi di composito costituiti da matrici termoplastiche ad alte prestazioni rinforzate con fibre continue. Nel futuro, i compositi potranno essere rinforzati con macromolecole rigide come fibre: una prospettiva molto stimolante consiste nel distribuire tali molecole rigide entro una matrice flessibile, creando così un composito rinforzato da singole molecole. Il problema

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è riuscire a dissolvere le molecole rigide nella matrice e poi orientarle nella maniera desiderata. Oltre a ciò sarebbe auspicabile disporre di matrici in grado di sopportare alte temperature (oltre alle poli-imidi, che possono essere utilizzate fino a circa 315 °C). Un’ulteriore interessante possibilità risiede nell’area delle matrici ibride. Per esempio le termoindurenti termotropiche, che sono state sviluppate per sfruttare i vantaggi tecnologici delle termoplastiche, unitamente alla stabilità dimensionale ed alla resistenza ambientale delle termoindurenti. Recenti innovazioni nelle tecniche di produzione dei compositi hanno portato anche alla realizzazione di nuovi tipi di rinforzi, quali tessuti multiassiali, tessuti tubolari (braided) e tessuti tridimensionali (knitted): tali complessità ne migliorano le prestazioni, ma ne aumentano i costi. Compositi a matrice metallica I compositi a matrice metallica (MMC) offrono elevate prestazioni ad alta temperatura fino a 500 °C, alta resistenza, duttilità e tenacità (Fig.0.35) e nessuno dei maggiori svantaggi dei compositi a matrice polimerica (bassa conduttività termica, elevati coefficienti di dilatazione termica, instabilità dimensionale, degrado igrotermico, perdita di massa nel vuoto e suscettibilità all’infragilimento dovuto alle radiazioni a bassa temperatura).

Fig.0.35 - Proprietà di particelle e di fiber-reinforced metal. Per contro, gli svantaggi degli MMC risiedono nella densità relativamente elevata e nella complessità e criticità dei processi tecnologici. Questi ultimi aspetti dipendono dai parametri tecnologici estremi che sono necessari per circondare e bagnare le fibre con la matrice metallica. Ciò può portare ad una estesa zona reattiva all’interfaccia tra fibra e matrice (specie nel caso di tecniche di fabbricazione per infiltrazione di metallo fuso) e conseguente degrado delle proprietà. Una soluzione innovativa per eliminare la zona reattiva consiste nel consentire la naturale formazione in situ di fibre (per esempio di TiB2) tramite il processo XD. I rinforzi, che possono essere costituiti da fibre di metallo, carburo di silicio, alumina o da monocristalli-whiskers, migliorano i rapporti resistenza/peso e rigidezza peso dei metalli che li ospitano (alluminio e titanio). Eurocopter ha ottenuto un risparmio in peso di 70 Kg sostituendo, nel rotore dell’NH90, l’acciaio inossidabile con gli MMC. Questi ultimi offrono tra l’altro migliori prestazioni a fatica.

Compositi a matrice ceramica La presenza di rinforzi consente di aumentare la tenacità e quindi la lunghezza critica delle cricche (in quanto la lunghezza critica di cricca aumenta con il quadrato della tenacità) dei materiali ceramici. La presenza di particelle, fibre discontinue monocristalline o fibre continue migliora la tenacità grazie ad almeno tre diversi meccanismi: deviazione della direzione di propagazione della cricca; assorbimento di energia tramite lo strappamento delle fibre (ciò implica la presenza di un legame debole tra fibre e matrice); chiusura delle cricche (ovvero mantenimento a contatto delle due facce delle cricca). F

iber Metal Laminates

I Fiber Metal Laminates (FML), costituiti dalla stratificazione alternata di lamiere in lega d’alluminio e strati di composito fibre di vetro/epossidica o fibre aramidiche/epossidica presentano caratteristiche molto attraenti, quali una densità minore del 15% rispetto alle leghe leggere d’alluminio con la medesima resistenza e rigidezza; miglior resistenza alla corrosione passante e alla fiamma (le fusoliere in lega d’alluminio bruciano in 20/30 sec. rispetto ai 90 sec. prescritti dalle autorità per i tempi di evacuazione); la miglior resistenza alla fatica ed alla propagazione di cricca (100 volte più lenta rispetto alle leghe d’alluminio) ed alla resistenza residua dopo impatto. Inoltre essi presentano modalità costruttive “famigliari” simili a quelle delle leghe d’alluminio. Rispetto ai compositi, gli FML non presentano Barely Visibile Impact Damage (BVID) e sono meno sensibili all’assorbimento di umidità (grazie agli strati superficiali in lega d’alluminio) nonché all’ingresso del fulmine (in quanto sono materiali elettroconduttivi). I primi impieghi del GLARE furono nel 1995 le riparazioni sul C5-A Galaxy, il pavimento cargo del B-777 e l’ordinata di forza del Bombardier Learjet 45. L’adozione del GLARE sull’A-380 (oltre 400 m2 di pannelli dorsali di fusoliera, con un risparmio di oltre 1000 kg) ha consentito il 15% di riduzione dei costi operativi, la possibilità di adottare pannelli più grandi (fino a 16x6 m) grazie alla tecnologia di giunzione splicing, ed il risparmio in peso del 25% rispetto alle leghe d’alluminio, con un risparmio totale di 1500 kg per velivolo. I pannelli hanno potuto essere prodotti a semplice e doppia curvatura, ed irrigiditi integralmente, così riducendo i tempi di assemblaggio. L’impatto ambientale della produzione con GLARE è del 25% minore rispetto a corrispondenti strutture macchinate. A fine vita, gli strati in alluminio possono essere separati per granulazione/eddy current dagli strati in composito, in maniera da consentirne il riciclo. Compositi carbon/carbon Questi compositi sono costituiti da una matrice di carbonio amorfo rinforzata con fibre di carbonio semi-cristallino o grafite. I principali vantaggi consistono in un ridotto degrado anche a temperature molto elevate (2500 °C), sebbene l’ossidazione si verifichi immediatamente se non si provvede ad un rivestimento

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protettivo (per esempio un sottile strato ceramico). Anche in questo caso le tecnologie di processo sono estremamente complesse, in quanto comportano cicli multipli di pirolisi (ovvero conversione di resina fenolica in carbonio). Generalmente le fibre di grafite sono disposte secondo onde perpendicolari tri- dimensionali, per cui fasci di fibre parallele o ritorte sono orientate secondo tre assi cartesiani ortogonali. 5. Prospettive

Storicamente, i materiali sono stati introdotti nei sistemi aerospaziali quando potevano offrire al progettista la possibilità di migliorare le prestazioni. La Fig.0.36 riporta una lista (molto parziale) dei materiali aerospaziali e del loro anno di adozione.

Fig. 0.36 - Anno di introduzione dei diversi materiali in campo aeronautico. E’ facile notare che, nel corso degli ultimi 50 anni, sono stati introdotti solo due nuovi materiali strutturali principali: le leghe di titanio ed i materiali compositi a matrice polimerica. Nonostante il loro costo elevato, entrambi sono stati introdotti perché hanno garantito un salto di qualità in talune prestazioni. Un fattore prestazionale che è di molto migliorato dai tempi del legno e della tela è la resistenza specifica. I compositi rinforzati con fibre di carbonio hanno una resistenza specifica ben superiore anche alle leghe di titanio, e questo spiega la grande popolarità di cui questi materiali godono da ormai molti anni. La resistenza è però una caratteristica che decade all’aumentare della temperatura, cosicché materiali che forniscono prestazioni soddisfacenti a temperatura ambiente possono non essere più accettabile ad elevati numeri di Mach. Questo è dimostrato dai dati riportati in Fig.0.37, in cui lo sforzo di snervamento (specifico rispetto alla densità) di diversi materiali è diagrammato in funzione delle temperatura.

Fig. 0.37 - Sforzo di snervamento specifico per diversi materiali rispetto alla temperatura. Questi materiali comprendono la lega Ti6Al4V, Weldalite 049, Al 2618, il composito a matrice polimerica Celion 3000/PMR-15, e tre compositi a matrice metallica 2124/SiC/15w, 8009/SiC/11p e 2124/TiB2/15p(XD). I materiali a bassa densità possono possedere eccellente sforzo di snervamento specifico, anche se il loro sforzo di snervamento assoluto è scarso. Ad esempio, la superiorità della prestazione offerta a bassa temperatura dalla Weldalite 049, che è una lega alluminio litio, è evidente. Ed è stata proprio questa proprietà ad attrarre nel corso dell’ultimo ventennio l’attenzione dei progettisti verso le leghe alluminio-litio. A temperature più alte, ed in particolare a temperature superiori al valore corrispondente al regime operazionale di Mach 2,4, questa lega si comporta male e non è per niente superiore alla lega AL2618 ed al composito a matrice metallica 2124/TiB2/15p(XD). D’altra parte, le tecnologie dei nuovi materiali strutturali costituiranno un fattore determinante per il successo del single-stage-to-orbit (SSTO) reusable launch vehicle (RLV) del XXI secolo. Attualmente, i materiali rappresentano il 30-50% del costo totale del prodotto finito. I nuovi materiali, capaci di ridurre i costi totali di produzione e di migliorare le prestazioni possono fornire un vantaggio competitivo, specie per i sistemi di trasporto spaziale. Negli ultimi 35 anni si sono compiuti rilevanti passi avanti nelle tecnologie dei materiali strutturali. Nuovi materiali come le ceramiche ed i compositi offrono proprietà superiori (ad esempio resistenza ad alta temperatura, elevata rigidezza, basso peso) rispetto ai metalli tradizionali come alluminio ed acciaio. Quel che è più importante, i materiali stessi possono essere progettati per soddisfare le esigenze particolari di ogni specifica applicazione. L’uso di tali materiali avanzati conferirà al SSTO maggiori margini per il carico pagante, migliore efficienza propulsiva, minori costi di assemblaggio e di manutenzione ed una più lunga vita operativa. I cosiddetti materiali avanzati (leghe metalliche speciali, ceramiche, compositi) esibiscono proprietà, come ad esempio la resistenza ad alta temperatura e la rigidezza specifica, che sono significativamente superiori di quelle dei materiali convenzionali, come alluminio e acciaio. In taluni casi anche nuove leghe metalliche e polimeri non rinforzati possono legittimamente essere considerati materiali avanzati. La

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Fig.0.38 confronta le massime temperature operative delle tre principali categorie di materiali strutturali.

Fig. 0.38 - Massime temperature di utilizzo per le principali famiglie di materiali strutturali. I materiali organici come i polimeri generalmente fondono o carbonizzano attorno ai 300 °C; la maggior parte dei metalli refrattari perde la propria resistenza poco sopra i 1000 °C; le ceramiche, viceversa, possono mantenere la propria resistenza anche oltre i 1600 °C e potrebbero dimostrarsi funzionalmente utili sino a 2800 °C. Nelle applicazioni quali i motori a razzo e gli scambiatori di calore nei quali l’efficienza migliora al crescere della temperatura operativa, le ceramiche offrono possibili risparmi di peso e di costo grazie a soluzioni progettuali più semplici di quelle rese possibili dai metalli. La Fig.0.39 confronta la resistenza e la rigidezza specifica di alcuni materiali avanzati con quelle dei metalli convenzionali.

Fig. 0.39 - Confronto tra la resistenza e la rigidezza specifica per alcuni materiali avanzati e i metalli convenzionali. La rigidezza specifica dell’alluminio può essere triplicata mescolandolo con il 50% in peso di fibre di

carburo di silicio per formare un MMC. Ancor più attraenti sono i PMC rinforzati con fibre di carbonio, che possono avere resistenza e rigidezza specifiche nella direzione delle fibre di quattro volte superiori rispetto agli acciai ed alle leghe di titanio. Tali prestazioni rendono possibile la costruzione di strutture in composito aventi la stessa resistenza e rigidezza delle strutture metalliche, ma con un risparmio in peso del 50%: vantaggio decisivo nelle applicazioni aerospaziali. Nonostante le proprietà fisiche e meccaniche dei compositi e delle ceramiche siano impressionanti, ciò che distingue veramente questi materiali è che essi sono materiali ingegnerizzati, ovvero essi sono realizzati a partire da costituenti per ottenere le prestazioni richieste da una specifica applicazione. Inoltre, una struttura in composito può essere progettata in maniera da possedere differenti proprietà in differenti direzioni o posizioni. L’uso giudizioso delle fibre di rinforzo consente di aumentare la resistenza e la rigidezza solo in quelle posizioni/direzioni che lo richiedono. Un tale posizionamento selettivo consente di ottenere grande efficienza progettuale, tecnologica ed economica: le macchine per l’avvolgimento dei compositi (filament winding) usano il grano propellente per realizzare la struttura esterna degli SRMC (solid racket motor case), mentre le macchine per la deposizione automatizzata di nastri composito sono usate routinariamente per produrre parti di strutture aerospaziali. Lo sviluppo dei materiali avanzati ha aperto orizzonti interamente nuovi alla progettazione ingegneristica. Nel passato, il progettista usava scegliere un materiale e poi identificare i processi produttivi adatti per trasformarlo nella struttura. Oggi, grazie ai nuovi materiali ingegnerizzati, il progettista può prendere le mosse dai requisiti finali del prodotto e letteralmente creare il materiale necessario assieme alla struttura, in un processo produttivo integrato. Così, con i materiali ingegnerizzati, i vecchi concetti di materiale, progetto e processo produttivo sono fusi assieme entro il nuovo concetto di progettazione e produzione integrate. Le tecnologie dei materiali avanzati differiscono grandemente in quanto a livello di maturità. I PMC sono ben oltre la fase di sviluppo, mentre i CMC vivono ancora la loro prima infanzia. Anche le possibili applicazioni e le opportunità commerciali per questi materiali possono essere molto diverse. Per convenienza, i materiali avanzati possono essere suddivisi in due categorie, a seconda che possano essere utilizzati solo fino a 500 °C (materiali per bassa temperatura) oppure sopra i 500 °C (materiali per alta temperatura). In conseguenza di ciò, i compositi organici a matrice polimerica e le leghe di alluminio e di magnesio ricadono nella prima categoria, le leghe di titanio, le superleghe, gli intermetallici, i metalli refrattari, le ceramiche e i compositi carbon/carbon appartengono alla seconda. Materiali per basse temperature In questa categoria la maggior competizione si registra tra le leghe leggere d’alluminio ed i compositi organici

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a matrice polimerica. Dalla fine degli anni ’90, le matrici termoindurenti per alta temperatura epossidiche poli-imidiche costituiscono la soluzione convenzionale, le matrici termoplastiche hanno cominciato a prendere piede, mentre i concetti di compositi ibridi e di compositi molecolari sono ancora in fase di valutazione. Nello stesso periodo, la produzione statunitense di compositi per l’industria aerospaziale ha superato le 2000 tonnellate annue (per la cronaca, è una quantità grandemente inferiore a quella impiegata, nel settore degli attrezzi sportivi, per la produzione delle sole canne da pesca). I compositi termoplastici tenaci e resistenti ai solventi sono disponibili nella forma usuale di unidirezionali e tessuti pre-impregnati, come pure sotto forma di commingled (trefoli ibridi fatti di fibre di rinforzo e fibre di matrice) oppure da trefoli di fibre impregnate con polvere di matrice e rivestite da una guaina dello stesso materiale (FIT), vedi Fig.0.40. La riduzione dei costi di produzione non potrà che derivare da un approccio integrato di progettazione e produzione in una “fabbrica del futuro” che sostituirà le attuali tecnologie para-artigianali ad alta intensità di manodopera.

Fig. 0.40- Confronto delle deformazioni ammissibili, a compressione, in funzione della temperatura Un passo decisivo in questa direzione è consistito nell’executive Starship, primo vero velivolo all composite realizzato da pannelli sandwich in fibra di carbonio con resina epossidica e riempitivo in nido d’ape aramidico. Non si tratta di black aluminum, ovvero di una realizzazione ove l’originaria lega di alluminio viene semplicemente sostituita da composito, ma piuttosto di un velivolo esplicitamente progettato per sfruttare appieno le peculiarità del composito. La Fig.1.16 riporta altresì i risultati derivanti dall’adozione di una miscela polimerica che promette grandi vantaggi in termini di processabilità ed armonicità di prestazioni. I metalli, ed in special modo le leghe di alluminio, nel frattempo non sono stati a guardare, con lo sviluppo delle leghe a bassa densità Al-Li, delle leghe ad alta resistenza per elevate temperature, dei compositi a matrice metallica e degli FML. Lo sviluppo di processi a basso costo (come la tecnica di colata DURAL per gli MMC a base di alluminio) e la raggiunta maturità di alcune classi di materiali (riproducibilità delle prestazioni, disponibilità di affidabili data base)

giocheranno un ruolo cruciale nell’individuare le scelte più opportune per ogni particolare applicazione. Nelle leghe leggere Al-Li, per ogni 1% di litio, il rapporto rigidezza/densità migliora del 3%. Le leghe Al-Li possono contenere, oltre a Cu e Mn, fino al 2,5% di Li, il che porta a riduzioni della densità di circa il 10%. Altri miglioramenti attesi comprendono leghe di magnesio resistenti alla corrosione prodotte con i metodi IM e RS, ancor più leggere leghe Al-Li-Be, compositi a matrice metallica grafite/alluminio e grafite/magnesio adatti alle applicazioni in ambiente spaziale. Come la scelta dei materiali, anche la scelta dei processi costruttivi è in funzione della riduzione dei costi, per quanto riguarda sia i metodi di produzione che le tecniche di collegamento. Ad esempio, la saldatura laser dei pannelli inferiori della fusoliera dell’Airbus A 380, pur non avendo sostituito completamente la rivettatura, ha apportato un notevole miglioramento della resistenza alla corrosione ed un risparmio in peso superiore al 5%. L’adozione sul medesimo velivolo del Glare (grazie alla disponibilità di pannelli con dimensioni praticamente illimitate) ha consentito, oltre a risparmi in peso del 15-25%, anche risparmi nei tempi di assemblaggio e nei costi operativi (di circa il 15%). La Fig.0.41 riporta un confronto qualitativo tra i costi di produzione delle leghe di alluminio e dei compositi polimerici.

Fig. 0.41 - Costi di produzione delle leghe di Al e dei compositi polimerici. Materiali per alte temperature In questo caso si verifica una sovrapposizione tra i materiali da costruzione dei motori del presente e del futuro. A questo proposito, la Fig.0.42 mostra un disegno concettuale del velivolo passeggeri ipersonico del XXI secolo e dei possibili materiali per la costruzione delle sua struttura.

Fig. 0.42 - Disegno concettuale e possibili materiali impiegabili per un velivolo ipersonico del XXI. Poiché gli attuali materiali compositi a matrice polimerica hanno richiesto più di venti anni per

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raggiungere un accettabile livello di maturità, è ragionevole però supporre che tali materiali possano richiedere almeno un uguale periodo di tempo per essere accettati come materiali con cui realizzare la struttura. Tra i materiali potenzialmente candidati per la costruzione delle future strutture si possono annoverare le leghe di alluminio avanzate (del tipo MA o inter-metalliche come la Al3Ti modificata), le leghe di titanio avanzate (come ad esempio le leghe di tipo terminale prodotte per rapida solidificazione), gli intermetallici ordinati basati su TixAl o NixAl (dove x è uguale a 1 o 3), le superleghe avanzate, i compositi carbon/carbon, i compositi ceramici ed i metalli refrattari con elevata resistenza ambientale, nonché i compositi basati su tutti questi materiali monolitici. Una percentuale rilevante di questi materiali prefigura processi produttivi complessi e di conseguenza un costo prevedibilmente elevato, come accade per i compositi carbon/carbon riutilizzabili. In quest’ultimo caso potrà dimostrarsi conveniente utilizzare sistemi di protezione integrata, costituiti dalla combinazione di rivestimenti superficiali esterni, strati interni sigillanti, matrici inibenti e rivestimenti in fibre di carbonio per conferire una migliorata resistenza alla ossidazione ciclica indotta dalla pressione. Nell’ambito dei programmi per il futuro velivolo transatmosferico HSCT (High Speed Civil Transport) e HSR (High Speed Research) per lo sviluppo del velivolo supersonico SSTO da 300 passeggeri, la NASA ha identificato il composito PETI-5 (matrice termoplastica e fibre di carbonio) come il materiale in grado di resistere alla fatica termica derivante da 60.000 ore (25 anni di servizio) di volo a Mach 2.4. Tale materiale offre un risparmio in peso del 30% rispetto ai concorrenti, può essere impiegato ad una temperatura continuativa di 177 °C, con punte di 270 °C per brevi periodi ed è 30 volte più tenace alla propagazione di cricca rispetto alle matrici epossidiche. Per contro, esso prefigura criticità tecnologiche (reticolazione a 380 °C e 14 MPa) ed una dubbia resistenza ai solventi. Nel corso dei prossimi cinque anni, il mercato dei sistemi di satelliti raddoppierà. Tale ampliamento consisterà principalmente in gruppi di satelliti LEO (Low Earth Orbit) costituiti da circa settanta satelliti (ad esempio Iridium, Iridium Next, Skybridge e Teledesic). Essi copriranno due settori di mercato, il primo operante a bassa frequenza (1-2 GHz), il secondo ad alta frequenza (Ku 12-18 KHz, Ka 27-40 KHz). Le applicazioni ad alta frequenza stanno diventando preponderanti, prima di tutto perché finora non sono state ancora utilizzate, in secondo luogo perché esse offrono l’opportunità di aumentare il rateo di trasmissione dei dati. L’aumentata numerosità dei satelliti apre nuove prospettive nei confronti dei materiali e delle tecnologie di produzione per ridurre i costi di produzione. In aggiunta ai satelliti LEO, continuano ad essere utilizzati i satelliti GEO (Geostationary Earth Orbit) i quali, a causa della maggior distanza dai ricevitori, richiedono maggiori prestazioni ai loro sottostimi. In conseguenza di tutto

ciò, i materiali ed i processi produttivi dovranno garantire elevata conducibilità termica e stabilità termoelastica, per garantire una sufficiente accuratezza di funzionamento in presenza di elevati carichi dissipativi ed elevate frequenze di trasmissione. Nonostante la sempre più viva necessità di ridurre i tempi ed i costi di produzione, il principale criterio nella progettazione dei satelliti continua infatti ad essere quello del soddisfacimento dei requisiti (per la parte strutturale ciò significa sopportare i carichi, minimizzando la massa). La riduzione della massa comporta riduzione dei costi di lancio ed aumento della vita operativa. Per le applicazioni spaziali il trade-off massa/costo è ben maggiore rispetto a qualsiasi altro settore, come mostrato in Fig.0.43.

Fig. 0.43 – Trade-off massa/costo (kg/E) per i diversi settori industriali Ciò comporta l’utilizzo di CFRP ad ultra-alto modulo (aumento rigidezza, riduzioni distorsioni termoplastiche -160/+40 °C); uso di fibre poliaramidiche quando è richiesta radio-trasparenza; uso di tessuti per conferire maggior isotropia alla conducibilità elettrica e termica; giunzioni incollate, minimizzando la quantità di adesivo (per ridurre le distorsioni termoelastiche e l’outgassing). Requisito: massimizzare la stabilità termoplastica (compositi con matrici estero-cianati). Per il futuro lontano si prefigura l’utilizzo di ipotetici materiali compositi dotati di elevata temperatura di fusione, resistenza ambientale, stabilità chimica e buone caratteristiche meccaniche, materiali capaci di assolvere alla loro funzione strutturale sino a temperature di 2000 °C. Va detto per inciso che sia le fibre che la matrice di tali materiali devono ancora essere sviluppati. Inoltre è implicito che tutti i materiali sin qui menzionati debbano possedere un comportamento prevedibile e affidabile, in maniera che la vita operativa del componente possa essere chiaramente definita. Infine, per limitare i costi di produzione entro livelli accettabile, sarà necessario che l’ipotetica “fabbrica del futuro” implementi processi tecnologici intelligenti, ripetibili e meno labour intensive di quanto non siano attualmente. Processi produttivi Tradizionalmente, i materiali sono considerati un input (normalmente poco costoso) della lunga catena di fasi progettuali e produttive che alla fine dà luogo al prodotto finale. I nuovi materiali del XXI secolo richiedono una filosofia diversa: il materiale ed il

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prodotto finale devono diventare indistinguibili, uniti in un processo integrato di progettazione e produzione. Ciò richiede una collaborazione più stretta tra ricercatori, progettisti e responsabili della produzione, come pure un approccio diverso nei confronti del concetto di costo del materiale. I materiali e la tecnologia produttiva costituiscono le fondamenta di un veicolo aerospaziale efficiente ed a basso costo. In particolare, le attività spaziali richiedono basso peso e basso costo, specie per i lanciatori non riutilizzabili. Ma anche per i lanciatori riutilizzabili il costo rappresenta un fattore importante, poiché i costi di sviluppo e produzione devono comunque esse ammortati nel corso della vita operativa del veicolo. Tre sono le aree per lo sviluppo, rispettivamente a breve-, medio- e lungo-termine, dei veicoli spaziali: tecnologie produttive efficienti ed a basso costo; strutture controllabili, adattative, con funzionalità di health monitorino/health management; materiali efficienti ed a basso costo. In particolare, per quanto riguarda i materiali, le aree di ricerca che fanno sperare in elevati ritorni sono quelle legate a: a) riduzione di densità (compositi, leghe alluminio-litio); b) aumento della rigidezza/resistenza (materiali prestanti, con legami covalenti e minima presenza di micro-difetti, single-crystal e monocristallini); c) estensione della durabilità: il B-52 rimarrà in servizio per 90 anni, il C-130 per 75, l’F-15 per 40. I cinque Space-Shuttle superstiti ambiscono ad una vita operativa di 30-40 anni ed i veicoli SSTO di nuova generazione che verranno varati alla metà del XXI secolo dovranno rimanere operativi fino al XXII secolo. I materiali dovranno essere damage-tolerant, ovvero resistenti ai difetti iniziali di produzione ed ai danni successivi dovuti all’utilizzo, oltre che alla corrosione ed all’elevata temperatura; d) innalzamento delle temperature operative: intermetalli e MMC fino a 500 °C, compositi carbon-carbon e CMC fino a 1500 °C, grafite single-crystal da 1500 a 3000 °C, una volta risolti i problemi legati alla corrosione, alla sublimazione ed all’ossidazione, in questo coadiuvata da rivestimenti protettivi in ossidi di alluminio o zirconio, carburi di silicio, composti dell’hafnio o dell’yttrio. Le considerazioni relative alla densità, rigidezza, resistenza meccanica e termica focalizzano l’attenzione verso gli elementi leggeri posti al centro della tavola periodica: alluminio, magnesio, carbonio, berillio, silicio, titanio, yttrio ed i loro ossidi e nitruri. L’aggiunta di tali elementi leggeri al titanio al niobio per ottenere composti intermetallici consente di ottenere contemporaneamente bassa densità e buona resistenza alla corrosione ed alle alte temperature. In ogni caso le proprietà dei materiali dipendono fortemente dalla loro composizione, struttura cristallina e legami atomici. Per questo motivo la capacità di controllare la microstruttura potrà consentire di ottenere nuove ed esaltanti proprietà, nel campo dei materiali nanostrutturati (metallici, ceramici e polimeri), dei materiali functionally-graded (le caratteristiche dei quali cambiano con continuità), dei nanotubi di carbonio e del fullerene (che, essendo

costituiti solo da legami atomici carbonio-carbonio, possono raggiungere resistenze specifiche 600 volte superiori a quelle dell’acciaio). Dal punto di vista dei processi di fabbricazione, nel settore aerospaziale, caratterizzato dalla produzione in piccola serie di parti complesse, il costo del materiale costituisce una frazione ridotta del costo totale finale: per questo motivo, processi integrati di sviluppo e produzione, capaci di trasformare il materiale in prodotto finito con il minimo ausilio di impianti attrezzature e manodopera sono altamente auspicabili. Ciò ha stimolato a) l’evoluzione dalle tradizioni tecniche di prototipizzazione (lunghe, costose e labour-intensive), verso il virtual prototyping (CAD/CAE/CAM) ed il rapid prototyping/tooling (stereolitografia, selective laser sintering, electron beam melting, fused deposition, laminate object manufacturing); b) l’implementazione delle tecnologie minimum touch labour altamente automatizzabili, quali filament winding, braiding, pultrusione, resin reaction injection moulding, nonché foam-in-place e non-autoclave curing (UV ed e-beam) con polimeri a bassa temperatura; c) l’adozione della filosofia produttiva lean manufacturing, che persegue la minimizzazione degli sprechi e dei tempi morti tramite l’applicazione di sei principi fondamentali: 1) trasparenza (controllo visuale del flusso produttivo); 2) design for manufacturing (adozione preliminare degli accorgimenti atti al miglioramento della producibilità); 3) focalizzazione sul processo (e non sulle singole fasi produttive); 4) just-in-time (produzione solo di ciò che è necessario); 5) controllo di processo (responsabilizzazione di ciascun addetto rispetto ai requisiti di qualità), 6) standardizzazione (conseguente all’identificazione dei processi più efficienti). In queste pagine si è descritto il passato, accennato al presente ed investigato il futuro dei materiali da costruzione per l’industria aerospaziale. L’originaria “Era dei Materiali di Base” è alle spalle e si tratta di entrare nell’ “Era dei Materiali Ingegnerizzati”. L’intendimento è quello di progredire tecnicamente, senza però trascurare gli aspetti legati alla fattibilità ed alla convenienza economica. Bibliografia

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