Europae - Mensile numero 4 - Luglio 2013

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© Europae - Rivista di Affari Europei L’EUROPA DEI 28 N. 4 - LUGLIO 2013 La Croazia è il 28° Stato dell’Unione Significato e futuro dell’allargamento La speranza ritrovata dei Balcani Il lungo percorso della Croazia, le riforme e il ruolo della Germania LA CROAZIA RILANCIA IL SOGNO EUROPEO DEI BALCANI © Europae - Rivista di Affari Europei www.rivistaeuropae.eu Associazione Culturale OSARE Europa

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Monthly magazine by Europae. In this issue we examine the entry of Croatia in the European Union

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L’EUROPA DEI 28

N. 4 - LUGLIO 2013

La Croazia è il 28° Stato dell’Unione

Significato e futuro dell’allargamento

La speranza ritrovata dei Balcani

Il lungo percorso della Croazia, le riforme e il ruolo della Germania

LA CROAZIA RILANCIA IL SOGNO EUROPEO DEI BALCANI

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Luglio 2013, Numero 4 © Europae - Rivista di Affari Europei, www.rivistaeuropae.eu “L’Europa dei 28. La Croazia rilancia il sogno europeo dei Balcani” A cura di Luca Barana e Davide D’Urso Copertina di Luigi Porceddu Direttore: Antonio Scarazzini Caporedattore: Davide D’Urso Responsabili di Redazione: Luca Barana, Riccardo Barbotti, Simone Belladonna, Fabio Cassanelli, Valentina Ferrara, Shannon Little, Tullia Penna.

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INDICE

L’Europa dei 28: un conto chiuso con la storia 4

Antonio Scarazzini

L’Unione Europea, la storia e il futuro dell’allargamento 6 Davide D’Urso

La Croazia in Europa riporta l’ottimismo nei Balcani 10

Sarah Camilla Rege

La nota: La “balcanicità” di Slovenia e Croazia 14

Giuseppe Francesco Passanante

Il percorso della Croazia verso l’Unione: riforme, dispute regionali e frenate europee 15 Mauro Loi

La riforma economica della “Domovina” croata, tra turismo e bassa pressione fiscale 19

Fabio Cassanelli

Berlino lo vuole? Il peso delle relazioni tra Germania e Croazia 22 Luca Barana

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L’EUROPA DEI 28: UN CONTO CHIUSO CON LA STORIA

I l 1 luglio, l'Unione Europea (UE) ha accolto ufficialmente il suo ventottesimo Stato membro, la Croazia. L'entusiasmo è stato

contenuto, sia tra la popolazione croata che nelle cancellerie di molti Paesi europei, ancora intenti a leccarsi le ferite e a cercare una via d’uscita dalla crisi economica. Più che sulle opportunità, gli indici sono rimasti puntati sui rischi deri-vanti dal nuovo allargamento. I più scettici temono infatti che l'ingresso croato ripeta il non certo entusiasmante percorso di Romania e Bul-garia, che nel 2007 approdarono nell’Unione senza aver prima consolidato le proprie econo-mie e garantito adeguata stabilità al processo politico e democratico. Altri, complice il pesante clima di recessione, guardano con sospetto a nuovi potenziali flussi di lavoratori. La crisi dell'economia sembra aver annebbiato le capacità d'analisi di molti Paesi che - come Francia e Italia - profetizzano integrazioni a dop-pia velocità, quasi a discriminare l'Europa fuori dall'euro, indebolendo di riflesso il processo di costruzione dell'UE che, con l'allargamento, materializza la sua capacità di attrazione oltre

confine. Eppure, l'approdo di Zagabria nell'Unio-ne, proprio nel momento storicamente più diffi-cile per l’integrazione europea, avrebbe dovuto iniettare fiducia in un sistema europeo quasi incapace di riconoscere il suo potenziale di svi-luppo. Per almeno tre ragioni. Una prima, banale, considerazione: l'Unione Eu-ropea, al netto delle lacune istituzionali rese evi-denti dalla crisi economica, rappresenta ancora un modello di sviluppo e di progresso politi-co e democratico. Nel gennaio 2012, in piena turbolenza finanziaria, il 70% dei croati rispose affermativamente al referendum che avrebbe dovuto confermare l'ingresso del loro Paese nell'UE. Malgrado le lentezze e le ipocrisie dell'Europa intergovernativa, il complesso istitu-zionale europeo rappresentava quindi un punto di riferimento per un Paese che, con l'ingresso in Europa, avrebbe chiuso i conti con la sua sto-ria, in particolare con il passato tetro e sangui-noso seguito alla dissoluzione della Jugoslavia. La certezza di un quadro giuridico solido, la pro-gressiva implementazione dello Stato di diritto e delle best practices democratiche non sono se-

di Antonio Scarazzini

Editoriale

1 LUGLIO 2013: LA BANDIERA DELLA CROAZIA ISSATA DI FRONTE ALLA SEDE DI STRASBURGO DEL PARLAMENTO EUROPEO. (© EUROPEAN PARLIAMENT )

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condarie al rispetto dei criteri di bilancio previ-sti dal Trattato di Maastricht: l'Europa cui ha guardato Zagabria non è necessariamente quella dell'eurozona, pur avendo espresso la volontà di farne parte, ma piuttosto quella che ha saputo allargare i propri confini, in particolare a Orien-te, richiedendo il rispetto di standard minimi di democraticità. Certo, la Croazia ha patito per prima il giro di vite sul rispetto dei parametri di Maastricht, voluto in primis dalla Germania, ma ciò sottolinea e carica di significato gli sforzi compiuti da un'economia che pure dal 2009 non vede crescere la propria ricchezza. Storicamente, si chiude inoltre un capitolo nero della storia europea: la Croazia è il primo dei Paesi pienamente coinvolti nelle guerre balca-niche degli anni Novanta a fare il suo ingresso nell’UE. Proprio nella terra che riportò uno scon-tro bellico sul continente europeo, ora l’Europa trova opzioni credibili per il suo allargamento. La Croazia funziona come esempio per un nugo-lo di Stati, Serbia in testa, più che mai decisi ad avviare negoziati ufficiali con Bruxelles per ini-ziare il percorso di adattamento all'acquis com-munautaire. Una terra devastata da guerre e massacri guarda così all'Europa, anche a quella attuale così appiattita sulle dinamiche finanzia-rie, per uscire definitivamente dal nodo dell'in-stabilità politica, delle divisioni etniche e religio-se. Un successo che la stessa Unione dovrebbe portare sugli scudi con ben altra risonanza, in-sieme all'altra - straordinaria - conquista diplo-matica che è l'accordo tra Serbia e Kosovo per il reciproco riconoscimento. Come si vedrà in questo numero, la stabilizza-zione dei Balcani occidentali attraverso la pro-spettiva di adesione ha comunque fornito all'UE un'eccezionale arma politica nella regione, circo-scrivendo nell'area balcanica l'ultimo grande obiettivo dell'azione esterna comunitaria. Certo, la sostenibilità di ulteriori allargamen-ti dell'Unione è tutta da verificare: per molti, l'Europa a Ventotto è un'unione di Stati affatica-ta, una famiglia eccessivamente estesa che non può aprirsi a nuovi membri. Soprattutto se que-sti, come accaduto alla Croazia, sono oggetto di una sorta di elastico tra diffidenze e spinte otti-

mistiche. Fondamentale in questo gioco delle parti il ruolo di Paesi che, come la Germania, spingono per l'ingresso di nuovi Paesi nell'ottica dell'estensione del mercato unico, salvo poi mostrarsi prudenti sul fatto che i nuovi entrati sappiano reggersi da soli sulle proprie gambe. L'adesione della Croazia all'Unione Europea co-stituisce dunque il miglior banco di prova per lo stato di salute dell'integrazione europea: dal punto di vista croato, dovrà essere confermata la dedizione alle riforme, con la consapevolezza di aver raggiunto un quadro di finanza pubblica assolutamente invidiabile per gran parte dei membri di lunga data dell’Unione. Dalla prospet-tiva europea, è necessario consolidare il suo po-tenziale attrattivo ben oltre il 1 luglio, portando l'esempio dell'adesione croata come modello per Macedonia, Montenegro, Serbia, Albania, Kosovo e Bosnia-Erzegovina, che ad oggi costi-tuiscono il nucleo fondamentale dei candidati o potenziali candidati alla membership dell’UE. Nei confronti della Croazia, infine, l'Europa deve dimostrare di saper arginare l'influsso dei feno-meni più negativi che caratterizzano la storia più recente dell'UE: un primo campanello d'allarme è suonato in aprile, quando solo poco più del 20% degli elettori croati si è recato alle urne per eleggere i propri rappresentanti al Parla-mento Europeo, risultato dell'ormai caratteristi-co vuoto informativo a livello nazionale e della difficoltà delle istituzioni europee. I festeggia-menti in tono minore tenutisi a Zagabria la-sciano poi trasparire, ancor prima che sia inizia-to il percorso di membership, un serpeggiante scetticismo nei confronti di quell'Europa che traballa di fronte alla confusionaria gestione dei casi di Grecia e Cipro, incerta nel tutelare i pro-pri cittadini dall'aggressione della crisi economi-ca. A Bruxelles e ai governi europei spetta l'onere pesantissimo di ricordare che l'Unione dei Ven-totto, pur con le sue debolezze, non è poi così dissimile dall'Europa cui Zagabria guardava nel 2003, al principio del suo tortuoso cammino di adesione. ∎

L’EUROPA DEI 28 LA CROAZIA RILANCIA IL SOGNO EUROPEO DEI BALCANI

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L’UNIONE EUROPEA, LA STORIA E IL FUTURO DELL’ALLARGAMENTO

L’allargamento ha rappresentato uno dei fattori di successo più importanti per il processo di integrazione europea. La “stanchezza da allargamento” seguita al Grande Allargamento a Est del 2004-2007, non deve mettere in discussione la ca-pacità dell’UE di dar seguito alle proprie promesse, portando all’interno delle sue frontiere istituzionali quei Paesi che rispondano ai suoi requisiti liberaldemocra-tici. L’adesione della Croazia rilancia la politica di allargamento e, con essa, l’UE.

L ’allargamento rappresenta una delle poli-tiche di maggior successo nella storia dell’Unione Europea. Ben più di una sem-

plice policy, esso ha costituito il modo attraverso il quale l’UE si è costruita, anno dopo anno, a-desione dopo adesione, allargando i suoi confini e ripensando la propria identità. Ogni nuovo Sta-to membro ha portato all’UE il proprio contribu-to demografico, economico, storico e culturale, modificando inevitabilmente la natura dell’Unio-ne. L’allargamento ha anche offerto alla gover-nance globale un enorme contributo in termini di stabilizzazione e promozione della democra-zia, dello stato di diritto e dei diritti umani. Non da ultimo, esso ha permesso all’Unione di entra-re nel XXI secolo forte di una dimensione geo-politica che l’ha resa, di diritto, un attore di pri-mo piano della politica internazionale. L’UE di oggi, pur nel periodo travagliato che sta vivendo, è un polo in grado, almeno teoricamente, di rela-zionarsi alla pari con potenze mondiali come Stati Uniti, Russia, Cina e India. Dalla piccola Comunità dei Sei, nata nella metà degli anni Cinquanta sotto l’ombrello di sicurez-za dell’Alleanza Atlantica, il processo di inte-grazione europea si è esteso arrivando a inclu-dere gran parte del Vecchio Continente e sanan-do le divisioni della Guerra fredda. Storicamen-te, inoltre, il crescere della sua estensione geo-grafica è andato di pari passo con l’approfondir-si del processo di integrazione. I primi allarga-menti della Comunità, negli anni Settanta e Ot-tanta, hanno realizzato l’integrazione sovrana-zionale dell’Europa occidentale. Dopo l’ade-sione tormentata del Regno Unito nel 1973, in-sieme a quelle di Danimarca e Irlanda, la Comu-nità mise alla prova la propria capacità di pro-mozione delle riforme politiche e di stabilizza-zione allargandosi alla nuove democrazie del-

l’Europa meridionale, ovvero alla Grecia (1981) e, in seguito, a Spagna e Portogallo (1986). Le successive adesioni di Austria, Finlandia e Sve-zia nel 1995, Paesi con un alto livello di benesse-re e una tradizione democratica consolidata, non hanno rappresentato uno sforzo particolare per l’UE.

Il vero capolavoro dell’Unione era però alle por-te. La caduta del Muro di Berlino e il progressivo sgretolamento del blocco comunista aprirono la strada al Grande Allargamento orientale. Do-po un decennio di negoziati, un processo di radi-cale riforma economica e politica dei Paesi can-didati e importanti modifiche istituzionali della stessa UE, nel 2004 e nel 2007 aderirono all’Unione dieci Paesi orientali ed ex-comunisti, oltre a Cipro e Malta. L’allargamento a Est ha rappresentato la più grande politica strutturale messa in campo da un attore internazionale dai tempi del secondo dopoguerra, quando gli Stati Uniti dispiegarono in Europa il Piano Marshall. L’enorme forza at-trattiva dell’UE ha infatti agito come una calami-ta e un formidabile strumento di promozione delle riforme. L’Unione offriva ai Paesi che a-vessero completato il processo di trasformazio-ne in liberaldemocrazie la piena integrazione nel proprio mercato e la possibilità di accedere a ingenti fondi strutturali e finanziamenti ad hoc come quelli realizzati del programma PHARE, ma anche la piena adesione politica all’Occidente e la definitiva uscita dalla sfera di influenza di Mosca. Il successo dell’allargamento a Est deriva quindi dall’incontro tra le volontà di

di Davide D’Urso

Negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, l’al-largamento ha completato l’integrazione so-vranazionale dell’Europa occidentale.

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riforma dei Paesi dell’Europa centro-orientale e i requisiti richiesti dall’UE. La politica dell’allar-gamento si fonda infatti sulla rigida applicazione del principio di condizionalità. L’UE approva l’adesione dei Paesi candidati qualora questi ri-spettino i c.d. “criteri di Copenhagen”, ovvero una lista di requisiti che le istituzioni europee e gli Stati membri ritengono necessari per aderire all’Unione.

Definiti dal Consiglio Europeo di Copenaghen del 1993, consistono in primo luogo nella pre-senza di istituzioni stabili e capaci di garanti-re democrazia, stato di diritto, diritti umani e tutela delle minoranze. In secondo luogo, l’UE richiede un’economia di mercato, tale da per-mettere la piena integrazione nel mercato unico e nel quadro normativo comunitario del Paese

aderente. Infine, il Paese candidato deve aver accolto senza riserve l’acquis comunitario, ov-vero l’insieme dei diritti e degli obblighi giuridi-ci, nonché degli obiettivi politici, derivanti per tutti gli Stati membri dai Trattati, dalla legisla-zione applicativa (regolamenti e direttive), dalla giurisdizione della Corte di Giustizia, ma anche dagli accordi internazionali sottoscritti dall’U-nione con Paesi e attori terzi. 7 Il passaggio da un’Unione di 15 Stati membri a quella dei “Ventotto”, inaugurata questo mese dall’adesione della Croazia, ha pressoché annul-lato, secondo molti, la capacità dell’UE di soste-nere ulteriori allargamenti. Per la maggioranza dei politici, dei funzionari e degli osservatori, la politica di allargamento è oggi uno strumento non più utilizzabile per la stabilizzazione e la promozione delle riforme nei Paesi vicini. La “stanchezza da allargamento” (enlargement fatigue) seguita al 2004-2007 ha reso ogni ulte-riore adesione sempre più sofferta. Il varo, nei

1 LUGLIO 2013: IL COMMISSARIO ALL’ALLARGAMENTO STEFAN FÜLE ISSA A ZAGABRIA LA BANDIERA DELL’UNIONE EUROPEA (FOTO: EUROPEAN COMMISSION)

L’allargamento si fonda sull’applicazione del principio di condizionalità: i Paesi candidati devono soddisfare i “criteri di Copenhagen”.

L’EUROPA DEI 28 LA CROAZIA RILANCIA IL SOGNO EUROPEO DEI BALCANI

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primi anni Duemila, della Politica Europea di Vicinato (PEV) mirava infatti a definire i confini definitivi dell’UE: i Paesi dell’Europa orientale compresi nella cornice della PEV (Armenia, A-zerbaijan, Bielorussia, Georgia, Moldavia e U-craina) erano formalmente esclusi dalla possibi-

lità di entrare nell’Unione. L’ultimo utilizzo dell’arma politica dell’allargamento ha così ri-guardato la regione dei Balcani occidentali, inserita, dopo le tragiche guerre degli anni No-vanta, nel processo di stabilizzazione e di asso-ciazione. La concessione dello status di “candi-

dati potenziali” a Serbia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Kosovo e Albania ha dato alla peni-sola balcanica una stabilità insperata. L’adesione della Slovenia nel 2004 e soprattutto quella del-la Croazia il 1 luglio 2013 hanno aperto la strada verso Bruxelles a Paesi che, in poco più di un decennio, stanno compiendo passi significativi sulla strada della convivenza pacifica, della tute-la delle minoranze e della democrazia. I Paesi candidati all’adesione sono oggi Islan-da, Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia (FYROM), Serbia, Montenegro e Turchia. Soprat-tutto il caso di quest’ultima riveste un’importan-za particolare. Benché sia difficile, almeno nei prossimi anni, che la Turchia entri a far parte dell’UE, è vero che lo sforzo per attuare le rifor-me propedeutiche all’adesione ha dato impres-

La “stanchezza da allargamento”, seguita al-l’allargamento a Est, ha ridotto la propensio-ne dell’UE a realizzare nuove adesioni.

L’UNIONE EUROPEA, LA STORIA E IL FUTURO DELL’ALLARGAMENTO Davide D’Urso

LA MAPPA UFFICIALE DELL’UE DOPO L’ADESIONE DELLA CROAZIA. IN GRIGIO GLI STATI CANDIDATI O POTENZIALI CANDIDATI (© EUROPEAN COMMISSION).

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sionanti benefici per l’economia turca e il suo sistema istituzionale. Per quanto il governo tur-co abbia recentemente assunto un profilo inter-nazionale più autonomo rispetto all’Europa e alla stessa NATO, la Turchia resta un ponte fondamentale tra Occidente e Oriente e un’ul-teriore dimostrazione della capacità dell’UE di influenzare Paesi terzi mediante la prospettiva dell’adesione. Il dibattito sull’opportunità o me-no di proseguire i negoziati di adesione dura da anni e riguarda non solo le particolarità cultura-li, storiche e demografiche della Turchia - che entrando nell’UE ne diventerebbe il primo Stato membro per popolazione - ma anche l’effettiva capacità delle istituzioni dell’Unione di funziona-re con l’aumento del numero di Paesi parteci-panti.

Le considerazioni in merito alla possibilità che ulteriori allargamenti possano effettivamente limitare la capacità dell’UE di funzionare e di agire come attore politico unitario meritano, in conclusione, di essere brevemente confutate. È senz’altro opportuno premettere che, per ragio-ni di realismo politico, sarebbe bene che l’Unione decidesse quali debbano essere le sue frontiere istituzionali. La scusa della difficoltà di far funzionare un’organizzazione di 35 Stati membri, rispetto ad una di 15 o 28, lascia però poco spazio per una condivisione. Le attuali dif-ficoltà dell’UE di produrre decisioni sui grandi temi economici e di politica internazionale non sembrano dipendere infatti dal numero dei Pae-si partecipanti al processo decisionale, quanto dalla natura intergovernativa di quest’ultimo. L’aver mantenuto le leve della politica estera saldamente nelle mani del Consiglio dell’UE e la centralità senza precedenti guadagnata dal Con-siglio Europeo nelle decisioni di politica econo-mica avrebbero reso difficile il funzionamento anche di un’UE a 3 Stati. Le grandi divisioni tra Germania, Francia e Italia degli ultimi anni, a ben vedere, non sono certo dovute al consesso a 27 nel quale le decisioni avrebbero dovuto esse-re assunte. Composta da sei, nove, ventotto o

anche quaranta Stati membri, un’UE ancora le-gata ai vertici intergovernativi nei quali i gover-ni nazionali decidono in base a un interesse na-zionale di breve periodo avrebbe gli stessi pro-blemi di quella attuale. Data la rilevanza del suo processo di allarga-mento, la capacità senza pari dimostrata nel pla-smare visioni e istituzioni dei Paesi confinanti e l’indubbia capacità di influenza che la prospetti-va di adesione comporta per l’Unione, mettere da parte uno dei suoi strumenti più potenti sa-rebbe per l’UE un grave errore politico. Per quanto i Paesi dei Balcani occidentali ab-biano ancora molta strada davanti a sé per poter dire di aver finalmente superato i drammi degli anni Novanta, un eccessivo rallentamento dei negoziati di adesione per ragioni interne all’Unione rischierebbe di vanificare quanto di buono è stato fatto finora. Basti pensare, per e-sempio, alla pacificazione in corso tra Serbia e Kosovo sotto l’egida europea. Al tempo stesso, l’estenuante allungamento dei tempi per i nego-ziati di adesione della Turchia hanno dapprima causato e infine esponenzialmente aumentato l’insofferenza dei turchi per quella che sembra un’infinita anticamera. Se alcuni Stati membri ritengono che la Turchia, per storia, cultura e peso demografico, non possa accedere all’UE, sarebbe opportuno che lo dicessero chiaramen-te, mettendo fine a un equivoco infinito che ha già lesionato le relazioni tra Ankara e Bruxelles.

Nell’uno e nell’altro caso, nascondersi dietro la presunta incapacità istituzionale dell’UE di acco-gliere nuovi Stati membri, o, ancor peggio, ri-mandare all’infinito la conclusione dei negoziati, sarebbe la scelta peggiore. Essa non solo ridur-rebbe la politica di allargamento a una mera politica “speciale” di vicinato, ma comporte-rebbe per l’UE un’ulteriore perdita di credibilità. L’adesione della Croazia rappresenta invece un segnale di forza: l’UE si è dimostrata pronta ad accogliere ogni Paese europeo che voglia aderire e dimostri di rispettare i principi liberaldemo-cratici su cui si fonda l’Unione. ∎

L’EUROPA DEI 28 LA CROAZIA RILANCIA IL SOGNO EUROPEO DEI BALCANI

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Secondo molti, ulteriori allargamenti potreb-bero minare la capacità dell’UE di funzionare. Ma i problemi dell’Europa sono strutturali.

Rallentare i negoziati di adesione degli altri Paesi dei Balcani sarebbe lesivo della credibi-lità dell’Unione e della pacificazione in corso.

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LA CROAZIA IN EUROPA RIPORTA L’OTTIMISMO NEI BALCANI

L’adesione della Croazia all’Unione Europea avrà effetti significativi nell’area bal-canica. Il coronamento del percorso di Zagabria verso l’Europa può ridare fiducia a una regione tormentata, nel quale il ruolo dell’UE è stato fondamentale per la riappacificazione tra gli ex nemici e la stabilizzazione dei Paesi dell’Ex Jugoslavia. Se le istituzioni europee sapranno cavalcare l’ottimismo e tener fede ai propri im-pegni, potranno realizzare la loro missione: garantire pace e stabilità in Europa.

I l 1 luglio è stata per Zagabria una giornata d’importanza storica: la Croazia è entrata a far parte dell’Unione Europea (UE). Molto si

è detto, scritto e pensato su quali cambiamenti si verificheranno nella vecchia Europa. Si è discus-so di crisi economica, di cultura, di immigrazio-ne, se fosse opportuno allargare ulteriormente i confini europei o più saggio attendere ancora. Dubbi legittimi e certamente importanti. Ciono-nostante, pochi si sono chiesti quali risvolti avrà l’adesione della Croazia al di fuori dell’UE, in particolar modo nell’area balcanica.

Per comprendere quali saranno le conseguenze fuori dai confini dell’Unione, è necessario ricor-darne brevemente gli albori. L’UE è nata dalle ceneri di un’Europa colpita duramente da due guerre mondiali, un’Europa che temeva nuove violenze sul proprio territorio, ma anche e so-prattutto un’Europa che era decisa a cambia-re la storia. Quando negli anni ’50 andava defi-nendosi la Comunità Europea, ciò che attirava l’attenzione degli Stati lontani dal Vecchio Conti-nente era proprio la forza del progetto, la deter-minazione nel costruire una nuova strada dando forma ad un’organizzazione mai vista prima. Molti osservatori si dicevano scettici su come avrebbero potuto Francia e Germania, da seco-li rivali, collaborare ad un progetto comune. E ancora, fiorivano i dubbi a proposito di tutti gli altri Paesi europei che pochi anni prima si scon-travano in uno dei conflitti più violenti della sto-ria. Il nazionalismo, nato in Europa e qui porta-to alle sue estreme declinazioni, non avrebbe mai permesso la nascita di un’Unione degli Stati

Europei. Quando ci si domanda perché l’Unione eserciti sugli Stati confinanti un fascino partico-lare, bisogna appunto pensare a quanto raggiun-to in questi decenni di integrazione. La Croazia ha impiegato dieci anni per comple-tare l’iter di adesione e adeguarsi agli standard richiesti . Dieci lunghi anni di cambiamenti radi-cali: oggi la Croazia è una democrazia stabile,

di Sarah Camilla Rege

L’adesione della Croazia avrà risvolti impor-tanti nell’area balcanica. Il fascino dell’UE di-pende ancora dalla sua missione di pace.

Le guerre jugoslave degli anni ‘90 hanno la-sciato aperte ferite che l’UE può aiutare a sa-nare. La Croazia ne è un esempio importante.

ZAGABRIA, 1 LUGLIO 2013: PARTECIPANTI ALLE CELEBRAZIONI PER L’ADESIONE DELLA CROAZIA ALL’UNIONE EUROPEA (© WWWVLADAHR)

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con un’economia che, seppure sofferente per la crisi economica, è cresciuta negli anni aprendosi ai mercati internazionali. È un Paese che ha ri-scoperto e ha saputo valorizzare le proprie bel-lezze paesaggistiche e la propria cultura a tal punto da divenire una meta turistica. La cresci-ta di Zagabria, riconosciuta e quindi giustamente coronata con il riconoscimento dello status di Stato membro, ha già avuto ripercussioni sui territori circostanti. La guerra che sconvolse l’ex Federazione Jugo-slava negli anni ’90 ha lasciato numerose que-stioni aperte e dissapori fra gli Stati nati alla fine delle violenze. L’UE ha guidato la Croazia nel difficile percorso di riappacificazione con i vi-cini, spronandola a risolvere controversie spi-nose e questioni rimaste in sospeso da anni. Za-gabria e Lubiana sono finalmente riuscite ad ac-cordarsi sui confini marittimi contesi e su una grave disputa finanziaria. Si sono lentamente normalizzati anche i rapporti con la Bosnia-Erzegovina, con le scuse per il massacro di A-hmići compiuto dai croati ai danni dei musulma-ni bosniaci durante i terribili anni della dissolu-zione jugoslava. Questi sono stati grandi passi,

che hanno contribuito e contribuiscono anche oggi al mantenimento della pace nei Balcani. Una Croazia Stato membro dell’UE è un nuovo tassello per cancellare la dicitura “polveriera” accanto alla parola Balcani. Il giardino d’Euro-pa è sempre stato una regione politicamente instabile, caratterizzata da secolari incompren-sioni, che hanno spesso coinvolto i Paesi europei in conflitti e crisi diplomatiche. La vecchia Euro-pa e quella balcanica sono quindi strettamente connesse: analizzando freddamente la questione con occhi lungimiranti, l’entrata della Croazia non può che portare pace e stabilità ad entram-be le regioni. Inoltre, Zagabria, in passato per lungo tempo sottomessa a Budapest, potrà ora guardare l’Ungheria come pari e riallacciare gli storici legami con Vienna. Gli altri Paesi balcani-ci che stanno intraprendendo la strada verso l’Europa potranno rivolgersi alla Croazia per consigli e con speranza: anche se il percorso è irto di ostacoli, è possibile portarlo a termine. Zagabria ha avuto successo e sarà da esem-pio. Il Presidente croato Ivo Josipović ha chia-ramente espresso l’impegno croato nel sostene-re i propri vicini, affermando che solo attraverso

UN’IMMAGINE DELLE CELEBRAZIONI PER L’ADESIONE DELLA CROAZIA PRESSO LA SEDE DEL PARLAMENTO EUROPEO A STRASBURGO (© PARLAMENTO EUROPEO)

L’EUROPA DEI 28 LA CROAZIA RILANCIA IL SOGNO EUROPEO DEI BALCANI

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la collaborazione si può instaurare un vero rap-porto di fiducia. L’UE è anche questo: fiducia. Stimola i propri membri e i Paesi candidati a fi-darsi l’uno dell’altro, lavorando fianco a fianco in un progetto comune.

Il ventottesimo membro dell’Unione porta in dote un sentimento quanto mai essenziale: l’ottimismo. Nonostante le capitali del vecchio continente abbiano vissuto gli ultimi negoziati per l’adesione di Zagabria con preoccupazione, rallentandone il corso, questo atteggiamento non ha scalfito l’ottimismo e la fiducia che i nuo-vi cittadini europei ripongono nell’UE. La crisi economica ha portato i Paesi europei a diffidare sempre più delle novità, spesso considerandola come causa di futuri problemi. Molti ricordano l’adesione di Romania e Bulgaria, le quali anco-ra oggi non sono entrate nell’area Schengen: i due Paesi non erano abbastanza solidi, perciò le istituzioni democratiche hanno continuato l’adeguamento agli standard europei anche una volta diventati membri. Dal 2007, l’Europa ha imparato a essere più chiara e pretenziosa nei confronti dei candidati. Per questa ragione la Croazia ha affrontato un percorso di dieci anni. Il rischio, però, è di cadere nell’estremo opposto, cioè di allungare troppo il processo di adesio-ne. È necessario calibrare alla perfezione inco-raggiamenti, chiarezza e critiche. Se la strada europea iniziasse ad essere considerata imprati-cabile e percepita come osteggiata dagli stessi

membri, l’area balcanica potrebbe cadere sotto l’influenza di un’altra potenza. Per esempio sono noti gli stretti legami della Serbia con la Rus-sia, o quelli del Montenegro con la Turchia. Se ciò dovesse verificarsi nella realtà, non sarebbe solo una grave perdita dal punto di vista cultura-le europeo, ma anche una vera e propria sconfit-ta per la politica estera dell’Unione. Fin dalla dissoluzione della Federazione Jugoslava, l’UE ha investito tempo e denaro per stabilizzare l’area e aiutare le popolazioni a costruire delle istituzioni democratiche. I Balcani sono un pri-mo banco di prova: se l’Unione fallisse, non solo crescerebbero le possibilità di future vio-lenze, ma la credibilità europea sarebbe minata a livello internazionale. Non sarebbe più possibi-le pensare ad una politica estera comune in Me-dio Oriente o in Africa. Si perderebbero opportu-nità importanti per il nostro futuro, come impor-tanti vie di approvvigionamento energetico dal Caucaso e dall’Oriente, e andrebbero persi gli investimenti compiuti negli ultimi dieci anni. L’ingresso della Croazia ha portato, dal punto di vista degli equilibri di potere a Bruxelles, cam-biamenti microscopici. Sono solo 12 i nuovi eu-roparlamentari, su un totale di 754: pochi per apportare modifiche agli equilibri politici. Quello che sicuramente cambierà sono i confini: per la prima volta l’UE avrà una piccola porzione di territorio circondata da un’area non-UE. Il

suolo croato è infatti diviso per una ventina di chilometri dall’unico sbocco sul mare bosniaco, quello della città di Neum. In questo modo Du-brovnik, conosciuta anche come Ragusa, è isola-ta in territorio bosniaco. Si crea così “un’isola” europea. È una particolarità che risale al 1699, quando Dubrovnik si separò dalla Bosnia, all’epoca sotto il controllo ottomano, per meglio difendersi dagli attacchi veneziani. I confini fra le due repubbliche sono rimasti invariati anche durante l’epoca jugoslava, fino ad oggi. Questa curiosa situazione creerà non poche complica-zioni, le cui soluzioni non sono ancora state indi-viduate. A pochi chilometri di distanza ci saran-no due frontiere europee, che ostacoleranno i trasporti e i commerci, aggravando la situazione delle piccole e medie imprese del posto, già in

La credibilità dell’UE nei Balcani è alla prova soprattutto sui percorsi di adesione di nuovi Paesi. Troppi ritardi possono essere negativi.

LA CROAZIA IN EUROPA RIPORTA L’OTTIMISMO NEI BALCANI Sarah Camilla Rege

Dubrovnik, enclave croata tra il mare Adriati-co e la Bosnia-Erzegovina, rischia di creare problemi nella gestione dei confini dell’UE.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI CROATO PUSIĆ FIRMA L’ACCORDO CON LA BOSNIA SULLA GESTIONE DELLE FRONTIERE (© EUROPEAN COMMISSION)

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difficoltà per la crisi. Infatti per passare dalla costa nord-ovest a quella sud-ovest bisogna af-frontare due posti di blocco, allungando i tempi del viaggio e quindi i costi. I confini croati ora coincideranno con quelli europei, per questo negli ultimi anni Zagabria si è allineata agli stan-dard europei e, in previsione di procedure più rigide e accurate, ha predisposto diverse nuove corsie alle dogane. Nonostante ciò, i cittadini bosniaci sono preoccupati: coloro che abitano a Neum, o vi si recano per le vacanze estive, so-no soliti a usare un collegamento stradale che passa dal territorio croato. In verità esiste una strada che da Sarajevo si ricongiunge a Neum senza uscire dal territorio bosniaco, ma è secon-daria e non può quindi sopportare un grande flusso di viaggiatori. Da anni Bosnia e Croazia, con la supervisione del Commissario europeo Stefan Füle, cercano una soluzione al problema. Due sono le proposte presentate: la prima ri-guarda la costruzione di una superstrada chiusa e sorvegliata che attraversi il suolo bosniaco per ricongiungersi a quello croato. Il progetto, però, non ha convinto completamente i cittadini croa-ti, i quali lamentano il fatto che l’autostrada non risolverebbe il problema principale, cioè l’attra-versamento di un altro Stato. La seconda opzio-ne è quella della costruzione di un ponte sulla penisola di Pelješac, la cui altezza minima do-vrà essere di 60 metri, così da permettere il pas-saggio di battelli. Le argomentazioni contro il ponte riguardano i tempi di costruzione, sicura-mente più lunghi confronto a quelli di un’autostrada, e i fondi necessari. Bisogna però considerare che ora la Croazia è un membro dell’UE e potrà redigere domande per ricevere aiuti finanziari per le proprie infrastrutture ed essere così in grado di coprire la spesa della co-struzione.

Ottimismo, è la parola che risuona ora più che mai nei Balcani. È un ottimismo cosciente delle difficoltà del periodo e di quelle che verranno, eppure si riesce a guardare al domani con tran-quillità.

La Croazia sprizza ottimismo, riuscendo a conta-giare anche i vicini: la Serbia sta vivendo una vera e propria esplosione di fiducia verso l’Unio-ne. Dopo gli accordi con il Kosovo, ha finalmente avuto dal Consiglio una data precisa per l’inizio dei negoziati di adesione: gennaio 2014. È un passo importante: per la prima volta Belgrado sente di essere riconosciuta come affidabile dall’Unione. Il fatto che la Croazia oggi sia uno Stato membro, non è altro che un motivo in più che sprona la Serbia a progredire nel cammino europeo, così da poter rapportarsi con Zagabria alla pari. Il successo croato e la fiducia ricevu-ta dall’Europa sono fondamentali per far sì che gli accordi stipulati con Pristina siano rispettati non solo formalmente, ma anche nella pratica. Con un po’ di sano ottimismo, è possibile vedere la fine di un conflitto regionale senza il ricorso a nuove violenze. La domanda che rimane aperta è: l’Unione Euro-pea sarà in grado di sfruttare a proprio vantag-gio questo ottimismo? Sarà capace di guardare lontano, come i cittadini balcanici si aspettano? L’augurio è che l’Unione non deluda le aspet-tative e, con un po’ di orgoglio, ricordi le proprie origini e continui a percorrere una strada che da sempre alcuni hanno definito “utopica”. ∎

L’EUROPA DEI 28 LA CROAZIA RILANCIA IL SOGNO EUROPEO DEI BALCANI

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L’adesione della Croazia ha ridato fiducia e fornito un esempio di successo ai suoi vicini. La Serbia guarda con ora con speranza all’UE.

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LA “BALCANICITÀ” DI SLOVENIA E CROAZIA

di Giuseppe Francesco Passanante La Slovenia e la Croazia sono due Stati balcanici? Per poter rispondere a questa domanda è necessario chiarire cosa si intenda per Balcani. I Bal-cani sono infatti una catena montuosa che nasce nel sud-est della Serbia e percorre tutta la Bulgaria fino al Mar Nero. Quindi solo questi due Paesi sarebbero balcanici, in senso stretto. Questa prima idea è forse errata, perché il geografo prussiano Zeune pensava che la catena montuosa si estendesse dal Mar Nero all'Adriatico. Ma così la Macedonia (intendendo tutta la regione storica, non solo l’attuale FYROM) non sarebbe balcanica. Trattandosi di una penisola, per descrivere la regione forse bisognerebbe tracciare una linea retta da Trieste a Odessa. Tuttavia, nel caso della penisola italiana non viene usato questo cri-terio, altrimenti Piemonte e Lombardia non ne farebbero parte. Il confine naturale dell'Italia sono le Alpi: utilizzando questo metodo, il confine naturale della penisola balcanica potrebbe essere il Danubio, che fu confine dell'Impero Romano. Ma così la Romania risulterebbe non balcanica, mentre sarebbero da considerarsi balcaniche l'Austria e l'Ungheria. I Balcani dunque non sono solo un concetto geografico, ma storico e culturale. Forse il concet-

to di “balcanicità” è legato al potere ottomano, mentre il dominio asburgico sarebbe legato a una cultura alpina o mitteleuropea. La Slovenia fece infatti parte delle Herblande, il nucleo dello Stato asburgico, mentre la Croazia è stata anche inglobata dall'Impero Ottomano, pur trovandosi nella zo-na periferica dell’Impero, quella governata indirettamen-te secondo il sistema di governo dei tre cerchi concentrici. Da questo punto di vista, il “tasso di balcanicità” sarebbe inversamente proporzionale alla distanza da Istanbul. Co-sì la Grecia sarebbe più balcanica della Bosnia, anche se saremmo propensi a pensare l'opposto (in foto: i Balcani intorno nell’anno 1815, Wikipedia Commons).

Un’altra ipotesi richiede di analizzare la storia recente. Si potrebbero considerare balcanici i Paesi comunisti non allineati all'URSS, cioè Albania e Jugoslavia, ma in questo modo la Bul-garia sarebbe non balcanica. Si potrebbe invece osservare la storia recentissima, che ha visto la Slovenia coinvolta in una guerra regionale, seppur brevissima, per poi iniziare un periodo di forte sviluppo economico che l’ha portata ad aderire all'UE nel 2004 e all'euro nel 2007, mentre la Croazia è stata coinvolta in un conflitto molto più complesso ed è entrata nell'UE solo poche settimane fa. Su tali basi, la Slovenia sarebbe ancor più mitteleuropea della Repubblica Ceca, mentre la Bulgaria non sarebbe balcanica. Tenendo quindi in considerazione diversi fattori storici, geografici, linguistici e culturali è pos-sibile affermare con una certa approssimazione che alcuni Paesi sono quasi certamente balcani-ci, che la Croazia è abbastanza balcanica, ma anche un po' mitteleuropea, e che la Slovenia è leggermente balcanica e parecchio mitteleuropea. Evidentemente, tutto è relativo, la do-manda è un interessante spunto di riflessione, ma non ha una risposta certa.

LA NOTA

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IL PERCORSO DELLA CROAZIA VERSO L’UNIONE: RIFORME, DISPUTE REGIONALI E FRENATE EUROPEE

Dalla presentazione della domanda di adesione della Croazia nel 2003 al suo ef-fettivo ingresso nell’Unione sono trascorsi dieci anni. In questo lungo percorso, Zagabria ha dovuto fare i conti con il suo passato, collaborando attivamente con il Tribunale Penale Internazionale per l’Ex-Jugoslavia, riformare il proprio siste-ma economico, risolvere le difficili dispute con i vicini, ma anche affrontare resi-stenze più o meno esplicite da parte di alcuni Paesi dell’UE, specie la Slovenia.

T rentacinque capitoli, 142 pagine di analisi e grafici e un parere tutto sommato favo-revole. Così la Commissione Europea, il

20 aprile 2004, si esprimeva sulle possibilità della Croazia – che aveva presentato domanda di adesione il 21 febbraio 2003 – di rispondere, entro 5 anni, ai requisiti necessari per entrare a far parte dell’Unione Europea (UE). Il quadro della Commissione descriveva la Croazia come un Paese di piccole dimensioni (1,2% della po-polazione dell’UE, 0,26% del PIL), ma in cresci-ta economica stabile (3,7% di crescita media del PIL nei 5 anni precedenti, unica eccezione il 1999, -0,9%), caratterizzata da un basso tasso di inflazione e da una manodopera qualificata, gra-zie a un sistema scolastico ben strutturato. Dal punto di vista politico, la Croazia era descritta come una democrazia ormai solida, soprattutto dopo la vittoria elettorale di Stjepan Mesić (HNS, liberali) alle elezioni presidenziali del 2000, che dopo 11 anni sostituiva il deceduto Franjo Tudjman (HDZ, centrodestra), l’uomo che aveva tenuto in mano le redini del Paese fin dal 1989.

Certo, la Commissione non mancava di sottoline-are alcune criticità. Per rispettare uno dei princi-pali “criteri di Copenaghen”, stabiliti durante il Consiglio Europeo del 1993, ovvero per “avere un’economia di mercato funzionante” e “far fronte alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato all’interno dell’Unione”, alla Croazia veniva chiesto di adeguare la propria norma-tiva sull’IVA eliminando le “no tax zone” e di limitare gli interventi statali nell’economia, ridu-

cendo gli aiuti e avviando una serie di privatiz-zazioni. Queste ultime dovevano riguardare so-prattutto il settore della cantieristica navale, cruciale per l’economia croata, attestandosi al’1% della produzione mondiale. Importanti apparivano anche le riforme per garantire la commerciabilità dei prodotti ortofrutticoli e in generale misure legate all’agricoltura, tutte a-dottate o in fase di adozione.

Per rispettare i criteri politici di Copenaghen e quindi per raggiungere “una stabilità istituzio-nale che garantisca la democrazia, il principio di legalità, i diritti umani ed il rispetto e la prote-zione delle minoranze”, la Commissione riteneva necessaria, tra le altre cose, una maggiore atten-zione verso i diritti delle minoranze e in parti-colare verso il rientro dei profughi di nazionalità serba in Krajina e Slavonia (nel 2004 ne era ri-entrato solo il 30%), da facilitare mediante resti-tuzione delle proprietà o assegnazione di alloggi, se distrutti, e mediante il riconoscimento, a livel-lo pensionistico, degli anni di lavoro prestati nel “periodo serbo”. Altre criticità sottolineate era-no relative all’elevata corruzione (nel nuovo codice penale, in vigore dallo scorso 1 gennaio, sono state incrementate le pene), all’inefficienza della pubblica amministrazione e al non pieno rispetto del diritto di proprietà, che non era ri-conosciuto agli stranieri, tra cui gli italiani (si sarebbe trovata soluzione nel 2006). L’apparato giudiziario era inoltre ritenuto troppo lento e non dotato di idonee risorse finanziarie e uma-ne. In aggiunta ai criteri di Copenaghen, venivano

di Mauro Loi

La Commissione trovò criticità nel sistema fiscale, nel ruolo economico dello Stato, nella corruzione e nella tutela delle minoranze.

La Croazia presentò domanda di adesione nel 2003, forte di un’economia in crescita e di isti-tuzioni ormai pienamente democratiche.

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poste alla Croazia altre due condizioni, derivanti dal processo di stabilizzazione e associazione varato dal Consiglio Europeo del 1999e dall’Agenda di Salonicco per i Balcani Occidenta-li (2003): la cooperazione con il Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia (TPIJ) e la risoluzione delle dispute regionali con Serbia, Slovenia e Bosnia-Erzegovina.

Nel complesso, comunque, l’analisi della Com-missione lasciava trasparire un velato ottimismo e la Croazia sembrava in grado di bruciare le tappe, riuscendo ad aderire all’UE già nel 2009. Una previsione che, col senno di poi, si sarebbe rivelata errata. Il primo ritardo si sarebbe verifi-cato, infatti, già sulla data di apertura dei ne-goziati, inizialmente prevista per il 17 marzo 2005. L’evento fu annullato in seguito ad una relazione del procuratore capo del TPIJ, Carla Del Ponte, che accusava il Paese – e il Vaticano, ritenendo che il ricercato potesse essere nasco-sto dai francescani in Croazia e Bosnia - di non

collaborare alla cattura di Ante Gotovina, ex-comandante delle forze croate accusato di aver compiuto crimini di guerra e di comando duran-te l’operazione “Tempesta” (1995), con cui le forze croate avevano ripreso il controllo di Te-nin e della Krajina, fino ad allora in mano ai ser-bo-bosniaci. I negoziati sarebbero stati aperti solo con vari mesi di ritardo, il 3 ottobre 2005, e solo in seguito alle pressioni dell’Austria, che minacciava di opporsi all’inizio dei negoziati con la Turchia, e in seguito, pare, ma per molti fu solo un diversivo, all’inizio dell’operazione “cash” mirata alla cattura di Gotovina (che in serbo-croato significa, appunto, “contante”) con-dotta dai servizi segreti croati in collaborazione con quelli britannici. L’ex-generale sarebbe stato in realtà catturato a Tenerife pochi mesi dopo l’apertura dei negoziati (dicembre 2005) e con-dannato in primo grado a 24 anni. La sua vicenda – che per la popolarità del perso-naggio, ritenuto un eroe nazionale, avrebbe con-dizionato non poco le dinamiche politiche del Paese in termini di consensi verso i singoli parti-ti e di sostegno dei cittadini all’adesione all’UE – ha rischiato di compromettere nuovamente il percorso croato. Nel 2009, il nuovo procuratore

IL PERCORSO DELLA CROAZIA VERSO L’UNIONE: RIFORME, DISPUTE REGIONALI E FRENATE EUROPEE Mauro Loi

IL PRESIDENTE DELLA CROAZIA IVO JOSIPOVIC E IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO EUROPEO IN CONFERENZA STAMPA (© COUNCIL OF THE EUROPEAN UNION)

Collaborazione con il TPIJ e risoluzione delle dispute regionali oltre ai criteri di Copenha-gen. In generale, però, prevaleva l’ottimismo.

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capo del TPIJ, Serge Brammertz, lamentò la mancata consegna, da parte croata, dei piani mi-litari relativi all’operazione “Tempesta”, neces-sari per capire se il tiro d’artiglieria sui civili ser-bi fosse stato preventivato o accidentale. La que-stione non ha causato ulteriori ritardi, ma non ha mancato di generare polemiche quando, nel 2012, l’ex generale è stato assolto in appello, proprio per assenza di prove.

Il secondo pesante rallentamento al percorso croato si è presentato nel 2008, a causa del veto sloveno alla prosecuzione dei negoziati se pri-ma non si fosse raggiunto un accordo sui confini marittimi della baia di Pirano (contesi da anni). Nelle idee croate le acque territoriali di Zagabria dovevano confinare direttamente con quelle ita-liane e con le acque internazionali, precludendo quindi l’accesso a queste ultime ai pescherecci sloveni. Lubiana, invece, non concordava sulla divisione e riteneva di aver diritto ad un corri-doio di accesso. Le basi per la soluzione della questione – e per la riapertura dei negoziati – sono state poste nel 2009, con la decisione di affidare la questione a un arbitrato internazio-nale. Il metodo sloveno, osteggiato dalla Commissio-ne, di boicottare l’adesione croata per giungere alla soluzione di questioni bilaterali ha rischiato di causare ritardi anche ad inizio 2013, in segui-

to alla minaccia di Lubiana di non ratificare il Trattato di adesione fino alla soluzione del pro-blema della Ljubljanska Bank. La banca slove-na, operante in Croazia nella fase pre-indipendenza, era fallita senza rimborsare i ri-sparmiatori croati (130.000 persone, per un to-tale di 172 milioni di euro di capitali), che ovvia-mente avevano avviato una causa, sostenuti dal-le istituzioni croate. Anche in questo caso la que-stione è stata affidata (accordo dell’11 marzo 2013) a un arbitro internazionale, la Banca dei Regolamenti Internazionali di Ginevra. A questa serie di rallentamenti si è inoltre som-mato l’atteggiamento di alcuni Stati membri (tra cui la Germania) diverso da quello adottato in occasione del Grande Allargamento del 2004 e del 2007. Scottati probabilmente dall’adesione, per soddisfare esigenze politiche, di membri non del tutto pronti e per i quali si è dovuto procede-re a forme di monitoraggio post-adesione, molti Paesi europei hanno preteso una particolare attenzione nei confronti della Croazia, chie-dendo (come per altri eventuali candidati in fu-turo) che si procedesse non solo al completo re-cepimento dell’acquis, bensì anche alla dimo-strazione della piena capacità di mettere in atto i dettami in esso contenuti. Il decennale percorso a ostacoli che ha portato la Croazia nell’UE ha restituito oggi ai cittadini cro-ati, ma anche a quelli europei, un Paese diverso. Gli euroscettici sosterranno che il cambiamen-to, dal punto di vista economico, è avvenuto in peggio: disoccupazione record e recessione dal

Problemi nella cooperazione con il TPIJ in merito alle indagini sui crimini di guerra e con la Slovenia hanno rallentato l’adesione.

Molti dossier restano aperti, ma l’iter di ade-sione ha cambiato la Croazia: il Paese ha su-perato gli estremismi e le ferite degli anni ‘90.

L’EUROPA DEI 28 LA CROAZIA RILANCIA IL SOGNO EUROPEO DEI BALCANI

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2009, a causa della crisi dei suoi maggiori par-tner commerciali, tra cui l’Italia. In realtà molto è stato fatto. Per le minoranze, che ormai pos-sono smettere di sentirsi “croati di serie B” (usano e insegnano nella loro lingua, eleggo-no rappresentanti e hanno posti riservati nella pubblica amministrazione), o nella lotta alla corruzione, di cui ha fatto le spese addirittura un ex-premier, Ivo Sanader, accusato di aver in-tascato tangenti per la privatizzazione di azien-de statali e costretto a fuggire in Austria mentre era ancora in carica e poi estradato e arrestato. Altre sono le questioni a cui si deve ancora lavo-rare, ad esempio per la privatizzazione dei cantieri navali di Spalato, avviata ma non com-pletata, oppure per la soluzione delle dispute di confine con Serbia e Bosnia, riguardo ad e-sempio il corridoio di Neum. Eppure esiste qualcosa che sicuramente la Croa-zia si è regalata portando avanti con costanza il suo percorso europeo: la marginalizzazione degli estremismi, particolarmente forti durante l’era Tudjman. Un percorso reso possibile dall’UE, che ha fornito gli incentivi, e dalle due principali forze politiche del Paese (l’SDP e HDZ, entrambe europeiste) che, pur fronteggiandosi

sui singoli temi e rischiando di compromettere il loro consenso, hanno reso marginali le loro com-ponenti estremiste, perseguendo con coraggio la via europea. Grazie a questi sforzi oggi la Croazia non è più un Paese che ritiene, per sopravvivere, di dover accentuare le differenze tra la “nazionalità croa-ta” e gli altri slavi o le minoranze. Al contrario, oggi la Croazia è uno Stato che ha rivisto in toto il suo ruolo verso i Balcani, mirando ad essere un modello e un appoggio per le altre nazioni slave (Bosnia e Serbia su tutte) che aspirano alla via europea. Un Paese che ha abbandonato l’inseguimento di valori esclusivi e nazionalisti per abbracciare e promuovere quelli inclusivi tipici dell’UE (uguaglianza e diritti). Lo dimostra la presenza del Presidente serbo Tomislav Nikolić alla festa per l’adesione del 1 luglio 2013 e lo dimostra il fatto che, da Presidente di un Paese UE, la prima tappa del Capo di Stato croato Ivo Jopisovic sia stata proprio Sarajevo. Se si pensa che fino a pochi anni fa, per i tre Pae-si, gli unici scambi consistevano in colpi d’artiglieria, il risultato è tutt’altro che trascura-bile. ∎

IL PERCORSO DELLA CROAZIA VERSO L’UNIONE: RIFORME, DISPUTE REGIONALI E FRENATE EUROPEE Mauro Loi

HDZ: partito di destra nazionalista fondato da Tudjman, l'"uomo forte" che conduce la Croazia all'indipen-denza e alla guerra. Non mancano nella sua retorica riferimenti al regime fascista degli ustaša (1941-43). Dopo la sua morte inizia in Croazia la vera alternanza democratica e l'HDZ si trasforma in partito modera-to ed europeista.

I partiti HNS: partito liberale. Creato tra gli altri dallo stesso Mesić, ex-HDZ, critico verso l'operato di Tudjman. Ultimamente alleato del SDP

SDP: partito di centro-sinistra. Moderato ed europeista. Aumenta esponenzialmente i consensi dopo lo "scadalo Sanader".

La Croazia è una Repubblica semi-presidenziale.

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Lasciata alle spalle la chiusura ai mercati e agli investimenti esteri della presiden-za di Fanjo Tudman negli anni Novanta, la Croazia si è aperta ai mercati interna-zionali e al turismo. Quest’ultimo, che oggi rappresenta il 20% del PIL nazionale, rappresenta un asset fondamentale per l’economia croata. La bassa pressione fi-scale rappresenta un fattore di alta competitività: la ridotta tassazione sul lavoro potrebbe attrarre imprese, ma anche lavoratori dagli altri Paesi dell’Unione.

LA RIFORMA ECONOMICA DELLA “DOMOVINA” CROATA, TRA TURISMO E BASSA PRESSIONE FISCALE

I croati chiamano il loro Paese “Domovina”, ossia piccola patria, e la descrivono nel loro inno nazionale come la terra «delle grandi

montagne, dei grandi uomini, delle facce rosse, del vino rosso». Dal 1 luglio l’amata piccola pa-tria dei croati è diventata parte della "Super Do-movina", l’Unione Europea (UE), e del suo enor-me mercato unico. Un sogno, una speranza e una scommessa di contribuire a qualcosa di speciale e nello stesso tempo migliorare le proprie condi-zioni, prima fra tutte quella economica. Non sono passati infatti neanche vent’anni da quel fatidico 1996, una data che segna l'inizio dell'avventura moderna della Croazia, un Paese che, lasciatosi alle spalle gli orrori della guerra e le ombre di un passato oscuro, iniziava a muo-versi verso le profonde riforme economiche e sociali che l’avrebbero cambiata per sempre. Il processo di transizione verso l'economia di mer-cato è però cominciato malissimo, come spesso è accaduto nei Paesi fuoriusciti dalle economie

pianificate. Il Presidente croato Franjo Tuđ-man, rimasto al governo fino al 1999, aveva av-viato fin dal 1991 processi di privatizzazione dei colossi di Stato in modo alquanto discutibile. Le aziende pubbliche vennero infatti spartite tre le duecento famiglie più influenti sotto il regime comunista, che le acquisirono a prezzi irrisori. Considerato il peso occupazionale di questi gi-ganti e la gestione aziendale spregiudicata dei nuovi padroni, nel biennio 1998-99 la Croazia ha sperimentato fallimenti e bancarotte a ca-tena e il tasso di disoccupazione ha raggiunto livelli record, toccando il 16% nel 2000. L'epoca Tuđman è ricordata anche per l'isolazionismo

internazionale della Croazia e la parziale chiusu-ra del mercato agli investitori stranieri. La morte di Tuđman (1999) e la vittoria dei so-cialdemocratici di Ivan Račan nel 2000 hanno

portato la Croazia sulla strada delle riforme che, per quanto graduali, hanno portato ad una mag-giore apertura permettendo al Paese di entrare a far parte, quello stesso anno, dell’Organizza-zione Mondiale del Commercio. L'apertura verso l'estero, inoltre, ha favorito maggiori investi-menti e inaugurato l’epoca turistica del Paese. Molti ex-dipendenti delle aziende statali hanno così iniziano ad avviare proprie attività in que-sto settore nascente e ricco di potenzialità. Nella fase del governo socialdemocratico (2000-2003) la disoccupazione è scesa dal 16% al 14% e il PIL è cresciuto a tassi superiori al 3% annuo, toccando una crescita record del 5,4% nel 2003. Durante l'ultimo anno di governo avvenne la svolta decisiva, lo spartiacque che segnerà il fu-turo della Croazia: la decisione di avviare i primi contatti per l'adesione del Paese all’UE. Le elezioni del 2003 videro nuovamente la vitto-ria dell'HDZ, il partito cristiano democratico che era stato di Tuđman. Ivo Sanader, in carica co-me Presidente fino al 2009, decise di proseguire la strada dell'apertura economica e politica del Paese. L'era Tuđman era ormai messa nel cas-setto da parte dei notabili del suo stesso partito. Le politiche economiche di Sanader sono state profondamente influenzate dai 35 requisiti di adesione che l’UE sottopose al Paese. C’era, in effetti, assai poco spazio per l'improvvisazione e il governo cercò di avviare nel minor tempo pos-sibile tutte le riforme necessarie. Gli anni del

di Fabio Cassanelli

Dal 1996 in avanti, la Croazia ha sperimenta-to incisive riforme economiche e sociali che l’hanno cambiata profondamente.

La presidenza di Franjo Tudman (1991-99) ha applicato una politica di chiusura rispetto ai mercati e agli investitori stranieri.

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Governo Sanader sono stati i più prosperi che l'economia croata ricordi. Sotto l'occhio vigile della Commissione Europea, la Croazia non ha fatto passi falsi. In questi anni il PIL è esploso, passando dai 30 miliardi di euro del 2003 ai 47 miliardi del 2008, e la disoccupazione è scesa al minimo storico dell'8% nell'estate dello stesso anno. Il PIL pro capite è inoltre cresciuto più ra-pidamente del PIL (che pure è aumentato con tassi superiori al 7% l'anno), a fronte di una po-polazione ormai in costante riduzione dal 1990. Proprio quello demografico è oggi uno dei mag-giori problemi a medio-lungo termine che il Pae-se dovrà affrontare, ma negli anni del boom non ci si preoccupava molto di questo aspetto. Il suc-cesso del turismo ha innescato processi virtuosi nel settore immobiliare, finanziario e dei servizi. Il peso dell'agricoltura sul PIL è sceso fino al 5%, circa un quarto del contributo del turismo, che rappresenta oggi il 20% del PIL croato.

Il fallimento di Lehman Brothers e l'inizio della grande crisi globale hanno però investito bru-talmente la Domovina, facendola precipitare in-dietro di qualche anno. Nel 2009 il PIL è crollato del 6,9%, seguito da un calo del 2,3% nel 2010, una stagnazione nel 2011 e un nuovo calo del 2% nel 2012. Le difficoltà economiche degli Stati vicini hanno innescato inoltre un circolo vizioso che si traduce in un calo degli investimenti este-ri e in una diminuzione dell'export. La disoc-cupazione di conseguenza è balzata in poco tem-po fino al 19,6% del maggio 2013. La Croazia si dimostra tuttavia enormemente resiliente e pronta a reagire. Dopo l'uscita di scena di Sana-der, l'esecutivo di transizione di centrodestra mantiene dritta la barra del timone e il rapporto deficit/PIL appena sopra il 4%. Nel 2011 l’affermazione elettorale della coalizio-ne di centrosinistra “Kukuriku”, composta da socialdemocratici e liberali, ha portato Zoran Milanovic nel ruolo di Primo Ministro. Anche quest'ultimo ha continuato a gestire oculata-mente il bilancio dello Stato, stabilizzando nel 2012 il deficit al 3,8% del PIL e il rapporto debito/PIL a un agevole 53,7%. Anche la Banca Centrale Croata ha operato abilmente negli anni della crisi, mantenendo ancorata all'euro la va-

luta locale e garantendo un tasso di inflazione che farebbe invidia alla BCE (1,8%). Alla luce di questi dati macroeconomici, diviene cruciale comprendere quali siano le prospettive future della Croazia al 1 luglio 2013, data dell'in-gresso nell’Unione. Nel breve termine si prevede un nuovo calo del PIL per il 2013, un deficit stabile intorno al 3-4% e un rapporto debito/PIL che dovrebbe superare il 60% entro la fine dell'anno. Il calo della popolazione continua a essere uno dei principali problemi, in particola-re per la sostenibilità del sistema pensionistico, poiché nella maggior parte dei casi sono i giova-ni a lasciare il Paese. Negli ultimi vent'anni, gli abitanti della Croazia sono diminuiti di mezzo milione circa e la popolazione residente è scesa per più del 10%. L'ingresso nell’UE e la caduta delle barriere nel mercato del lavoro potrebbe addirittura esacerbare questa tendenza nei prossimi anni. Presto cominceranno però ad af-fluire i fondi strutturali europei che, se ben impiegati, potranno creare nuove opportunità di crescita e lavoro. Il sistema fiscale è molto semplice ed efficiente. Per quanto riguarda l’imposta sul reddito, esi-stono solamente 3 aliquote (12%-25%-40%) rispetto alle 5 aliquote italiane che vanno dal 23% al 43%. La fascia di popolazione a basso

IL PRIMO MINISTRO CROATO ZORAN MILANOVIC (© COUNCIL OF THE E.U.).

Con il governo di Sanader, l’economia croata ha conosciuto il più grande boom della sua storia, trainata soprattutto dal turismo.

LA RIFORMA ECONOMICA DELLA “DOMOVINA” CROATA, TRA TURISMO E BASSA PRESSIONE FISCALE Fabio Cassanelli

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reddito paga dunque la metà delle tasse sul pro-prio reddito rispetto all'Italia. Con l'ingresso nell’UE, molte imprese europee potrebbero es-sere attirate da un costo del lavoro così signifi-cativamente basso e l'afflusso verso le 13 zone franche operative potrebbe aumentare conside-revolmente. In queste zone, è infatti garantita l’esenzione dal pagamento dell'IVA e dei dazi doganali. Di conseguenza, queste zone della Cro-azia potrebbero diventare un’autentica "Mecca" anche per i lavoratori, che si troverebbero una busta paga alleggerita al minimo da tasse sul lavoro e contributi e non pagherebbero la tassa sul valore aggiunto sui consumi. Il settore bancario è solido, ma enormemente dipendente dai capitali esteri. Il 90% delle azioni delle banche croate sono detenute da investitori esteri, principalmente con sede nell’UE. In caso di aumenti di capitale, il piccolo Paese è conse-guentemente molto esposto verso le decisioni che avvengono fuori dai propri confini. Anche la presenza di un mercato finanziario poco svi-luppato rispetto al resto dell'Unione, in un peri-odo di gravi turbolenze, può far tirare un respiro di sollievo. La capitalizzazione della Borsa croa-ta arrivava infatti, a fine 2012, ad appena il 38,7% del PIL, rispetto a una media europea del 60,5%. Anche il debito del settore privato non spaventa e si attestava alla fine dell'anno scorso intorno all'80% del reddito nazionale, a confron-

to del 140% medio nell’UE. La Croazia si trova dunque ad affrontare un fu-turo caratterizzato da problemi simili rispetto a quelli del resto degli Stati membri dell’UE, ma con la tranquillità di un bilancio pubblico che non preoccupa. La crescita deve ripartire, van-no attirati investimenti e capitale umano dal re-sto dell'Unione e soprattutto turisti per salva-guardare l'importantissimo 20% del PIL garanti-to da questo settore. Forse per questo motivo, quando si visita il sito web dell'istituto nazionale di statistica, si nota un indicatore che non si è abituati a scorgere negli istituti omologhi nel resto della UE: "Notti trascorse dai turisti in Cro-azia". Tra giugno e settembre 2011 i turisti stra-nieri si sono fermati 49.520 notti, mentre nel 2012 le notti sono state 50.757. Il principale asset da valorizzare è dunque il tu-rismo e, poiché dal lato dei prezzi le strutture sono molto concorrenziali (il peso di una bassa imposta sui redditi si fa sentire anche qui), oc-corre continuare a puntare, con l'aiuto dell'UE, sullo sviluppo infrastrutturale, nonché su marketing e promozione. La Croazia inizia la sua avventura europea poggiata su ottime fonda-menta e piena di speranza, tocca ora all’UE tra-sformarla in un "success case", per dimostrare ai Paesi limitrofi che l'adesione all'Unione può ancora fare la differenza per migliorare le sorti di una nazione. ∎

VISTA DI DUBROVNIK, UNA DELLE METE TURISTICHE PIÙ AMBITE DELLA CROAZIA, DOVE IL TURISMO VALE IL 20% DEL PIL NAZIONALE (FOTO: WIKICOMMONS)

L’EUROPA DEI 28 LA CROAZIA RILANCIA IL SOGNO EUROPEO DEI BALCANI

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BERLINO LO VUOLE? IL PESO DELLE RELAZIONI TRA GERMANIA E CROAZIA

Molti osservatori hanno individuato nella Germania il principale sponsor dell’adesione della Croazia all’UE. Le relazioni economiche tra i due Paesi non la-sciano dubbi sull’interesse tedesco a vedere l’economia croata integrata nel mer-cato unico. Berlino e Zagabria sono però protagoniste di una relazione bilaterale articolata, che va al di là della vicinanza storica e culturale. Fattori come le rifor-me ancora da realizzare e casi come quelli di Josip Perkovic possono indebolirla.

Q uando la Croazia ha fatto il suo ingresso nell’Unione Europea, il 1 luglio 2013, a Zagabria si festeggiava un evento che evi-

denziava come la spinta propulsiva dell’allar-gamento europeo non si fosse esaurita anche in un momento di grave crisi. Al tempo stesso, pe-rò, alcuni vi hanno letto l’ennesimo sintomo del-la nuova conformazione dell’UE, fortemente germanocentrica. La Germania è infatti consi-derata, magari non sempre in modo esplicito, il principale sponsor di Zagabria: il fatto che l’adesione sia avvenuta nel pieno della faticosa transizione dell’Unione verso nuove forme di governance economica e politica, in cui Berlino gioca un ruolo cruciale, ha sollevato più di una considerazione sul peso che la Repubblica Fede-rale esercita ormai in Europa. Quasi conferman-do questo dato, il Bundestag, la camera bassa del Parlamento tedesco, è stato l’ultimo a ratifi-care il Trattato di Adesione, come a voler rimar-care quanto l’ultima parola in merito all’ingresso della Croazia nell’Unione spettasse proprio alla Germania.

Eppure, il rapporto bilaterale fra Croazia e Berlino, ora inquadrato nel più ampio quadro delle relazioni intra-europee, è più complesso di quanto non possa apparire. Difficile descrivere un Paese come la Croazia, profondamente inse-rito nelle dinamiche storiche dell’area balcanica, come un semplice “vassallo” della Germania nel-la regione. Pensare allo Stato croato come a una sorta di testa di ponte tedesca nei Balcani po-trebbe essere fuorviante. Sussistono tuttavia legami storici approfonditi fra i due Paesi, legati

a lungo, insieme a un altro membro dell’UE co-me l’Austria, dalla lunga tradizione imperiale del dominio asburgico e dalla comunanza religiosa.

Le relazioni politiche fra i due Paesi sono «eccellenti», secondo il Ministero degli Esteri tedesco. La vicinanza politica fra Croazia e Ger-mania discende, oltre che dai rapporti storici consolidati, da almeno altri due fattori: la pre-senza di circa 223.000 immigrati croati in Germania e il flusso costante di turisti tede-schi nello Stato adriatico, circa 1,85 milioni solo nel 2012. Il rapporto bilaterale è basato su con-tatti a più livelli: sono frequenti infatti le visite di alto livello, che vedono la partecipazione diretta delle principali personalità politiche dei due Pa-esi, ma sono anche sviluppati rapporti a livello di Länder (regioni) e società civile. In particola-re, spicca il ruolo della Commissione Mista Croazia - Baviera e di quella Croazia - Baden-Württemberg, mentre numerosi attori della società civile tedesca sono attivi in Croazia, dove hanno operato nei due decenni passati per favo-rirne il percorso di democratizzazione e stabiliz-zazione dopo le guerre jugoslave. Associazioni come la Konrad Adenauer Foundation e la Rosa Luxemburg Foundation sono attive a Zagabria, ha per esempio sottolineato il Ministero degli Esteri tedesco. Al di là dei rapporti politici, sono anche i legami economici a rafforzare la relazione bilaterale: la Germania è infatti il secondo partner commer-ciale della Croazia, dietro solamente all’Italia, i cui scambi commerciali con Zagabria sono evi-

di Luca Barana

Il Bundestag è stato l’ultimo parlamento a ratificare il Trattato di Adesione della Croa-zia. È Berlino il primo sponsor di Zagabria?

Al di là della vicinanza storica e culturale, la relazione bilaterale tra Germania e Croazia è più articolata e stretta di quanto non sembri.

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dentemente favoriti dalla contiguità geografica. Berlino contribuisce all’economia croata soste-nendone l’industria turistica e risultando il terzo attore per investimenti diretti esteri dopo Au-stria e Paesi Bassi. Aspetto forse ancora più im-portante, numerose aziende tedesche, anche quelle di piccole-medie dimensioni che compon-gono il competitivo universo economico del Mit-telstand, hanno instaurato profondi rapporti di collaborazione con il sistema economico cro-ato, trovandovi fornitori e imprese sussidiarie. L’integrazione economica fra i due Paesi, quindi, precede l’adesione della Croazia all’UE, come attestano la nascita di una Camera dell’Industria e del Commercio congiunta già nel 2003 o un accordo bilaterale sulla tassazione doppia risa-lente al 2006. Difficile dunque negare l’inte-resse tedesco per l’integrazione dell’economia croata nel mercato unico europeo.

La prospettiva tedesca sull’adesione della Croa-zia all’UE è stata comunque controversa. Certa-

mente, di fondo è rimasto un sostegno forte all’ingresso del Paese nell’Unione, ma allo stesso tempo Berlino non ha certo nascosto le proprie perplessità su molti aspetti legati alla situazio-ne croata. A scatenare nelle ultime settimane l’attenzione per la cautela tedesca è stato un fat-to di cronaca, che ha reso più intricate le relazio-ni bilaterali, spingendo il Cancelliere federale Angela Merkel a non partecipare alla cele-brazioni per l’ingresso di Zagabria nell’UE. Seb-bene la motivazione ufficiale sia stata la “mancanza di tempo” del Cancelliere, buona par-te della stampa internazionale ha attribuito la decisione di Merkel alle resistenze croate per l’estradizione in Germania di un ex ufficiale dei servizi segreti jugoslavi, Josip Perkovic, coin-volto, secondo i giudici tedeschi, nell’eli-minazione di un emigrato politico croato a Mo-naco di Baviera nel 1983. Questa vicenda tren-tennale ha riflessi importanti sull’integrazione della Croazia nell’UE, dato che Zagabria ha ri-chiesto che il mandato d’arresto europeo e l’estradizione di cittadini croati si applichino solamente per crimini commessi in altri Paesi dopo l’agosto del 2002. La vicenda Perkovic ha così permesso al gover-

UNA SEDUTA PLENARIA DEL BUNDESTAG, CAMERA BASSA DEL PARLAMENTO TEDESCO, A BERLINO. (© DEUTSCHER BUNDESTAG/MARC-STEFFEN UNGER)

L’EUROPA DEI 28 LA CROAZIA RILANCIA IL SOGNO EUROPEO DEI BALCANI

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Turismo, investimenti diretti esteri e scambi commerciali: difficile negare l’interesse tede-sco per l’integrazione della Croazia nell’UE.

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no tedesco di smarcarsi dalle insinuazioni di es-sere stato uno sponsor troppo entusiasta della Croazia. Allo stesso tempo, evidenzia anche le principali perplessità di Berlino circa i problemi di corruzione, mancanza di trasparenza e, in generale, di scarsa applicazione dello stato di diritto nel Paese. Merkel stessa ha così sottoli-neato come la lotta alla corruzione debba costi-tuire la priorità nell’agenda politica croata. Emerge così una certa diffidenza in Germania circa il nuovo allargamento dell’UE, che non riguarda solamente la Croazia, ma più in genera-le il ruolo di Berlino in Europa e le prospettive future dell’Unione. Molti, infatti, di fronte a que-sta nuova adesione, hanno agitato lo spettro dell’allargamento a Bulgaria e Romania nel 2007, quando, è opinione di molti osservatori, i due Paesi non erano ancora pronti a questo im-portante passo, ma vennero accolti per ragioni politiche. Così come questo genere di riflessioni è sorto anche a riguardo di Cipro, la cui crisi bancaria ha posto in seria difficoltà l’UE in pri-mavera, ma anche a proposito di un membro di più lunga data come la Grecia, entrata nel-l’eurozona pur a fronte di fondamentali macroe-conomici rivelatesi poi assai meno sicuri di quanto ci si attendeva. Questi esempi di ingressi anticipati di Stati membri dimostrati poi proble-matici per l’UE spiegano dunque la cautela di Berlino. Il fatto che, comunque, la Croazia sia riuscita ad ottenere il via libera all’adesione di-mostra comunque come nell’UE le preoccupa-zioni su Zagabria siano state superate. In passato è stato lo stesso Primo Ministro croa-to Zoran Milanovic a denunciare in un’intervi-sta a Der Spiegel del settembre 2012 una certa insofferenza del suo Paese verso queste cautele, ritenute eccessive. Milanovic esprimeva infatti la convinzione che il percorso di adesione parti-colarmente duro per la Croazia discendesse dal fatto di essere «gli ultimi arrivati», soprattutto dopo le difficili esperienze dell’allargamento del 2007, anche se poi si affrettava a sottolineare come i croati non si sentissero penalizzati a cau-sa dell’ingresso complesso di Bulgaria e Roma-nia. Nella stessa intervista, il premier croato de-finiva la Germania un modello, rimarcando dunque la vicinanza a Berlino, e appoggiava sen-za riserve la linea politica tedesca degli ultimi anni, facendo proprio il mantra secondo il quale l’austerità e il rigore non mettono in dubbio la crescita economica. Nel frattempo il clima politi-

co in Europa è cambiato e il rigore tedesco sem-bra aver lasciato spazio a una maggiore atten-zione ai temi dell’occupazione e della ripresa, ma la posizione croata a pochi mesi dalla sua adesione all’UE non poteva essere più chiara. Non casualmente, in Germania coloro che hanno sostenuto con più forza l’ingresso della Croazia hanno tentato di attenuare le preoccupazioni dell’elettorato, affermando che il Paese adriati-co non rischia di divenire una nuova Roma-nia, né tantomeno una nuova Grecia. I contri-buenti tedeschi sarebbero dunque al sicuro, an-zi, la Croazia pare poter seguire l’esempio di una storia di successo come quella della Lituania. Entrato nell’UE nel 2004 aggravato da difficoltà economiche significative, il piccolo Stato baltico ha saputo riformarsi, anche grazie al sostegno dei fondi strutturali europei investiti in infra-strutture e per lo sviluppo di nuove tecnologie. L’auspicio di molti è che la Croazia segua que-sta strada di sviluppo, come pare augurarsi anche il premier Milanovic, quando sottolinea che, per almeno dieci anni, il suo Paese riceverà più risorse di quelle che dovrà mettere a dispo-sizione dell’UE.

In ogni caso, pare che la strada delle riforme per la Croazia non si sia affatto conclusa, soprat-tutto da una prospettiva tedesca. Fra gli altri, il Ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle ha voluto ricordare che l’adesione non costitui-sce un punto d’arrivo, ma «più che altro un in-centivo per ulteriori passi verso le riforme». Queste dichiarazioni, così come quelle di Merkel, sembrano dunque indirizzate a rassicurare un elettorato che teme di aver accolto nell’UE un nuovo partner problematico, che in futuro po-trebbe richiedere nuovi interventi finanziari eu-ropei e quindi, in larga misura, tedeschi. Non è comunque casuale che la Germania si sia spesa con forza per l’ingresso della Croazia, soprattut-to per l’integrazione che caratterizza le due economie e i motivi politici di un’ulteriore pe-netrazione dell’Unione nella regione balcanica. Che si tratti di un nuovo passaggio verso una qualche forma di “Europa tedesca” lo si vedrà invece dalle scelte che i governi croati attueran-no nei prossimi anni. ∎

BERLINO LO VUOLE? IL PESO DELLE RELAZIONI TRA GERMANIA E CROAZIA Luca Barana

Oggetto di un percorso di adesione molto du-ro, la Croazia desta timori e speranze. Una nuova Romania oppure una nuova Lituania?

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Antonio Scarazzini È Direttore di Europae e membro del comitato direttivo dell’Associazione Culturale OSARE Europa. Laureato magistrale in Scienze Internazionali e Studi Europei presso l’Università degli Studi di Torino, con una tesi di ricerca sul programma Joint Strike Fighter. Ha partecipato al corso di formazione per analisti di Equilibri.net. Specializzato in difesa e in politiche monetarie e fiscali.

Davide D’Urso È Caporedattore e Presidente del Consiglio di Redazione di Europae. Laureato magi-strale in Scienze Internazionali e Studi Europei presso l’Università degli Studi di Tori-no, ha conseguito il diploma di alta qualificazione presso la Scuola di Studi Superiori di Torino. È stato tirocinante all’Ufficio Stampa della Rappresentanza d’Italia presso l’Unione Europea. Specializzato in politica, istituzioni e relazioni esterne dell’UE.

Sarah Camilla Rege È redattrice di Europae. Laureata in Relazioni Internazionali presso l’Alma Master Studiorum di Bologna con una tesi riguardante le ONG e la società civile in Serbia, dove ha svolto un tirocinio con AIESEC. Nel 2012 ha frequentato la Summer School “Integrating Europe through Human Rights” presso la Higher School of Economics di Mosca. Specializzata in relazioni esterne dell’UE, specie nell’area balcanica.

Giuseppe Francesco Passanante È redattore di Europae. Laureato triennale in lingue presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, è laureando magistrale in Scienze Internazionali e Studi Europei presso l’Università degli Studi di Torino, con una tesi sul sull’adesione della Bulgaria all’Unione Europea. Specializzato in politica, storia e cultura dell’Europa orientale, dei Balcani e dell’area post-sovietica.

Mauro Loi È redattore di Europae e membro del comitato direttivo dell’Associazione Culturale OSARE Europa. Laureato magistrale in Scienze Strategiche con una tesi sul processo di ricostruzione dell'Afghanistan, ha avuto esperienze in missioni internazionali delle Nazioni Unite nel 2008-09 (Libano) e della NATO nel 2012 (Afghanistan). Specializ-zato in politica e azione esterna dell’UE.

Fabio Cassanelli È redattore, membro del Consiglio di Redazione di Europae e membro del comitato direttivo dell’Associazione Culturale OSARE Europa. Laureando in Economia Azien-dale presso l’Università degli Studi di Torino, è autore di temi economici su quattro-gatti.info e cura un blog sull’Huffington Post italiano. Specializzato in economia, fi-nanza e politica monetaria.

Luca Barana È Vice-Direttore e Vice-Presidente del Consiglio di Redazione di Europae. Laureato magistrale in Scienze Internazionali e Studi Europei presso l’Università degli Studi di Torino, con una tesi sulla politica di cooperazione allo sviluppo e le relazioni interre-gionali dell’Unione Europea in Africa. Specializzato in politica, azione esterna e coo-perazione allo sviluppo dell’UE.

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Numero 1, Aprile 2013 “L’Unione Europea e la nuova corsa all’Africa” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui Numero 2, Maggio 2013 “Ulisse e Zheng He. Unione Europea e Cina sulla rotta del mondo nuovo” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui Numero 3, Giugno 2013 “La camera bassa. Il Parlamento Europeo tra Lisbona e il 2014” Consultabile e scaricabile gratuitamente qui

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