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1 Eremo di Montecastello, Corso IdR di BS, 27 giugno 2015 Flavio Pajer COME L’EUROPA INSEGNA E IMPARA LE RELIGIONI A SCUOLA: I TRE PARADIGMI Due brevi avvertenze, in premessa. La prima: se apriamo una finestra sull’Europa dell’insegnamento religioso, non è per cercare al di là delle Alpi una risposta ai problemi nazionali. Questi vanno affrontati e risolti, per quanto possibile, in casa propria, con le proprie risorse, dentro il quadro normativo del proprio sistema educativo, e dentro le coordinate obbiettive della storia religiosa del proprio paese. Ma, d’altro lato, nonostante il pesante euroscetticismo che tutti respiriamo in questi tempi, non possiamo dimenticare: - che, dopo Maastricht e Schengen, siamo anche cittadini europei; - che siamo educatori di alunni che devono maturare una coscienza di cittadini europei, cominciando da una educazione alla cittadinanza democratica, alla diversità religiosa, al pluralismo delle convinzioni ; - che la stessa materia “religione cattolica” insegnata a scuola deve molto all’elaborazione culturale dei tre storici “cristianesimi” europei; - che importanti direttive di politica educativa sono emanate ultimamente da autorevoli organismi europei. D’altronde constatiamo tutti, un po’ ovunque, come la scuola nazionale, nel suo insieme di presupposti teorici e di rinnovamento didattico, acquisti sempre più il profilo di una educazione transnazionale, e non solo europea ma planetaria. Lo stesso studio scolastico della religione è sempre meno ancorato alla sola tradizione monoconfessionale della storia religiosa di un paese, per aprirsi all’intelligenza e al confronto con altri modi di credere, cristiani e non. E a questa visione più ecumenica del problema religioso ci invitano gli alunni stessi, quando, in numero crescente, - manifestano la loro distanza dalla fede dei padri (“la prima generazione incredula”), - quando ci sembrano impermeabili a una alfabetizzazione religiosa essendo essi nati in una società post-cristiana, - quando le risposte ai problemi esistenziali non le chiedono più alla religione ingessata del natio loco, ma le cercano a tentoni in altre spiritualità o filosofie. La seconda osservazione è di metodo. Escludo di descrivere qui la situazione dell’ IR paese per paese o anche solo dei principali paesi. Sarebbe un’informazione assai sterile e dispersiva per l’estrema eterogeneità dei dati empirici e statistici, oltre che impossibile da contenere nello spazio di un breve intervento come questo. Esiste d’altronde una ricca bibliografia in continuo aggiornamento, in più lingue, alla quale rinvio i lettori volonterosi 1 . 1 Segnalo, a titolo indicativo, alcuni Reports europei tra i più recenti : J.-P.WILLAIME, S. MATHIEU (Eds), Des maîtres et des dieux. Ecoles et religions en Europe, Paris, Belin, 2005; E. KUYK, J. JENSEN, D. LANKSHEAR, E. LÔH MANNA, P. SCHREINER (Eds), Religious Education in Europe. Situation and current trends in schools, Oslo, IKO/ICCS, 2007; R. JACKSON, S. MIEDEMA, W. WEISSE, J.-P. WILLAIME (Eds), Religion and Education in Europe. Developments, Contexts and Debates, Münster, Waxmann, 2007; CCEE e CEI (a c.

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Eremo di Montecastello, Corso IdR di BS, 27 giugno 2015 Flavio Pajer

COME L’EUROPA INSEGNA E IMPARA LE RELIGIONI A SCUOLA: I TRE PARADIGMI

Due brevi avvertenze, in premessa. La prima: se apriamo una finestra sull’Europa dell’insegnamento religioso, non è per cercare al di là delle Alpi una risposta ai problemi nazionali. Questi vanno affrontati e risolti, per quanto possibile, in casa propria, con le proprie risorse, dentro il quadro normativo del proprio sistema educativo, e dentro le coordinate obbiettive della storia religiosa del proprio paese. Ma, d’altro lato, nonostante il pesante euroscetticismo che tutti respiriamo in questi tempi, non possiamo dimenticare: - che, dopo Maastricht e Schengen, siamo anche cittadini europei; - che siamo educatori di alunni che devono maturare una coscienza di cittadini europei, cominciando da una educazione alla cittadinanza democratica, alla diversità religiosa, al pluralismo delle convinzioni ; - che la stessa materia “religione cattolica” insegnata a scuola deve molto all’elaborazione culturale dei tre storici “cristianesimi” europei; - che importanti direttive di politica educativa sono emanate ultimamente da autorevoli organismi europei. D’altronde constatiamo tutti, un po’ ovunque, come la scuola nazionale, nel suo insieme di presupposti teorici e di rinnovamento didattico, acquisti sempre più il profilo di una educazione transnazionale, e non solo europea ma planetaria. Lo stesso studio scolastico della religione è sempre meno ancorato alla sola tradizione monoconfessionale della storia religiosa di un paese, per aprirsi all’intelligenza e al confronto con altri modi di credere, cristiani e non. E a questa visione più ecumenica del problema religioso ci invitano gli alunni stessi, quando, in numero crescente, - manifestano la loro distanza dalla fede dei padri (“la prima generazione incredula”), - quando ci sembrano impermeabili a una alfabetizzazione religiosa essendo essi nati in una società post-cristiana, - quando le risposte ai problemi esistenziali non le chiedono più alla religione ingessata del natio loco, ma le cercano a tentoni in altre spiritualità o filosofie. La seconda osservazione è di metodo. Escludo di descrivere qui la situazione dell’ IR paese per paese o anche solo dei principali paesi. Sarebbe un’informazione assai sterile e dispersiva per l’estrema eterogeneità dei dati empirici e statistici, oltre che impossibile da contenere nello spazio di un breve intervento come questo. Esiste d’altronde una ricca bibliografia in continuo aggiornamento, in più lingue, alla quale rinvio i lettori volonterosi1. 1 Segnalo, a titolo indicativo, alcuni Reports europei tra i più recenti : ● J.-P.WILLAIME, S. MATHIEU (Eds), Des maîtres et des dieux.

Ecoles et religions en Europe, Paris, Belin, 2005; E. KUYK, J. JENSEN, D. LANKSHEAR, E. LÔH MANNA, P. SCHREINER (Eds), Religious Education in Europe. Situation and current trends in schools, Oslo, IKO/ICCS, 2007; R. JACKSON, S. MIEDEMA, W. WEISSE, J.-P. WILLAIME (Eds), Religion and Education in Europe. Developments, Contexts and Debates, Münster, Waxmann, 2007; CCEE e CEI (a c.

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Escludo inoltre di tentare un approccio storico al problema, approccio possibile, e che sarebbe anche interessante, ma che ora mi toglierebbe spazio per una lettura più puntuale della situazione presente e delle prospettive d’avvenire, lettura per la quale forse siete giustamente più interessati2. Preferisco invece adottare un approccio sistemico, nel senso di guardare alla pluralità dei modelli di IR come alla risultante di un complesso organico di fattori interconnessi e interdipendenti, di fattori sia sociali che religiosi, sia politici che giuridici, sia organizzativi che metodologici.

PARTE 1- I TRE PARADIGMI: SPECIFICITÀ E CONTINUITÀ Se osserviamo con attenzione quel mosaico frastagliato che sono i diversi tipi di insegnamenti religiosi praticati oggi in Europa (includo qui anche paesi non membri dell’UE come la Svizzera, la Norvegia, la Russia, la Turchia, ma che sono membri del Consiglio d’Europa), possiamo affermare, con buona approssimazione, che siamo in presenza di tre grandi modi di vedere e gestire il “religioso” nella scuola. Questi modi o ideal-tipi li chiamo ‘paradigmi’ (nel senso della teoria di Thomas Kuhn). [v. Tabella sinottica allegata p. 4]. Dico subito che quei tre paradigmi non vanno pensati come alternativi: non si escludono in assoluto l’un l’altro. C’è anzi una certa correlazione tra loro, una continuità, che li rende complementari al punto che a volte li troviamo coesistenti all’interno di uno stesso sistema scolastico nazionale. Ciò che differenzia invece i tre paradigmi è una diversa polarizzazione sull’una o sull’altra delle componenti strutturali. Intendo precisare prima questi 3 paradigmi, per passare poi a una rapida lettura comparata. Da tale sguardo si capirà forse un po’ meglio come e dove l’attuale sistema italiano di istruzione religiosa si collochi nella dinamica del

del Servizio nazionale per l'Irc), L'insegnamento della religione, risorsa per l'Europa, Torino, Elledici, 2008; L. PÉPIN, L'enseignement relatif aux religions dans les systèmes scolaires européens. Tendances et enjeux, Bruxelles, NEF/Network of European Foundations, 2009; F.-X. AMHERDT, Le fait religieux et son enseignement. Des expériences aux modèles, Universités de Fribourg et Neuchâtel, Academic Press, 2009; D. DAVIS, E. MIROSHNIKOVA (Eds), The Routledge International Handbook of Religious Education, London, Routledge, 2012 ; L. COLLÈS et R. NOUAILHAT (Eds), Croire, savoir: quelles pédagogies européennes? Bruxelles, Lumen Vitae, 2013; Religious Education at schools in Europe, ricerca in corso di pubblicazione in 6 voll. , a cura dell’Università di Vienna, 2014ss. ● Diverse riviste accademiche di scienze religiose e/o pedagogiche hanno pubblicato nell’ultimo decennio fascicoli monotematici di studio sull’IR europeo : L’insegnamento delle scienze religiose in Europa, “Religioni e Società”, 15 (2000) 2, n. 37; L’insegnamento universitario delle scienze religiose e teologiche. Prospettive italiane ed esperienze europee, “Quaderni di Diritto e Politica ecclesiastica”, 9 (2001) 1; L’insegnamento religioso nella scuola della società secolarizzata e multireligiosa, “Seminarium”, 42 (2002) 2; Régulation de la religion par l’État. Nouvelles perspectives, “Archives de sciences sociales des religions”, 48 (2003) n. 121 : L’insegnamento delle religioni nella scuola. Una prospettiva europea, “Coscienza e libertà”, 27 (2004) 2; Ri-pensare l’Europa, “Concilium”, 40 (2004), 2; La Enseñanza religiosa en los centros educativos, “Bordón. Revista de Pedagogía”, 58 (2006), 4-5; Religious Education in Europe, “Numen”, 55 (2008) 123-334; L’insegnamento della Storia delle religioni in Europa tra scuola e università, “Studi e Materiali di Storia delle Religioni”, 75 (2009) 2, 371-563; Pluralismo religioso in una società in trasformazione, “Educazione interculturale”, 7 (2009) 2; Insegnare a credere. Costruzione degli Stati nazionali e insegnamento della religione nell’Europa contemporanea, “Rivista di Storia del Cristianesimo”, 9 (2012) 1, 3-181; Towards a post-secular Europe. Regulating religious diversity in the public educational space, “Historia Religionum”, 4 (2012) 1.

2 Mi permetto rinviare al mio breve saggio Escuela y religión en Europa. Un camino di cincuenta años, PPC, Madrid 2012.

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panorama europeo e in che direzione possa/debba presumibilmente evolvere almeno nel medio-lungo termine (visto che è così difficile smuovere il presente!) ■ Nel Paradigma 1 - che chiamo politico-concordatario – osserviamo una polarizzazione sulla trasmissione del patrimonio dottrinale e morale di una data confessione cristiana storicamente prevalente in un dato Paese (non ho bisogno qui di rievocare la “geografia confessionale” dell’Europa cristiana, con i rispettivi Paesi a tradizione cattolica, ortodossa, protestante…); polarizzazione che si verifica quando e fintantoché una società civile permane culturalmente omogenea (o abbastanza omogenea e solidale) con la sua tradizione religiosa; qui i poteri civili e le autorità religiose della/delle Chiese locali definiscono, solitamente mediante accordi politico-diplomatici, il profilo giuridico, pedagogico e amministrativo del corso di religione monoconfessionale e il profilo canonico-professionale dell’insegnante titolare. Rientrano in questo modello (P1) non solo i numerosi insegnamenti religiosi presenti in una decina di Stati europei, generalmente cattolici, legittimati su base legale concordataria, ma anche i non pochi insegnamenti istituiti su base costituzionale, i quali necessitano comunque di un successivo accordo con le Chiese quanto a definizione dei programmi e a reclutamento-preparazione degli insegnanti. E non dimentichiamo che anche gli insegnamenti di religione offerti dalla complessa rete delle scuole libere o di tendenza (cristiane e non) rientrano ovviamente nella medesima prospettiva di una educazione religiosa confessionale controllata dalle rispettive autorità religiose, e finalizzata sostanzialmente alla trasmissione ragionata di un credo.

■ La seconda polarizzazione verte sui requisiti disciplinari della cultura religiosa in quanto materia del curricolo: lo chiamiamo Paradigma accademico-curricolare, nel senso che la scuola pubblica – sospinta a perseguire capacità e competenze funzionali a una società europea che ama autodefinirsi “società della conoscenza”3 – tende a funzionare sempre più come un selettore epistemologico dei saperi, senza escludere i saperi religiosi, le loro finalità educative, le metodologie didattiche. In questo caso l’istruzione religiosa, per poter armonizzarsi con dignità di vera disciplina nel curricolo comune delle altre discipline, è spinta a conformarsi più alle esigenze accademiche delle Scienze (a-valutative) della religione che non restare dipendente dai vincoli dell’ortodossia imposti dalle Scienze teologiche (valutative) delle Chiese, come avviene nel P1. In altre parole, il sapere religioso, per aver titolo di dignità disciplinare nella sfera pubblica e democratica, deve poter esibire un suo profilo, originale sì, ma accademicamente

3 COMMISSIONE EUROPEA, Insegnare e apprendere verso una società conoscitiva, a c. di E. Cresson e P. Flynn 1993, pp.64 (online).

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PARADIGMA 1 POLITICO - CONCORDATARIO

PARADIGMA 2 ACCADEMICO-CURRICOLARE

PARADIGMA 3 ETICO - VALORIALE

RAGION D’ESSERE DELL’IR NELLA SCUOLA PUBBLICA

la religione come radice storica e componente dell’ethos nazionale ● Insegnamento della Religione in funzione della complicità storica tra STATO e la CHIESA predominante

il potenziale culturale del fattore religioso integrato nel curricolo obbligatorio della scuola di tutti ● Insegnamento sulle religioni in funzione cognitiva e critica della SCUOLA

l’esercizio della libertà di religione e di co-scienza come diritto primario personale e come garanzia etica di convivenza civile ● Insegnamento su religioni e convinzioni in funzione dell’uguale dignità delle PERSONE, e della coesione della SOCIETÀ

CONTESTO SOCIO-CULTURALE e RELIGIOSO

-Società monoculturale in un orizzonte nazionale -Collateralismo storico tra poteri politici e religiosi; una Chiesa prevalente con minoranze diverse ● focus: Religione come apparte-nenza confessionale da coltivare

-Società postmoderna secolare, in un orizzonte transnazionale -Società europea “della conoscenza” -Scuola dell’autonomia e delle competenze disciplinari ● il fatto religioso come fenomeno rilevante e universale da conoscere

-Società “post-cristiana”, ma anche post-secolare, globalizzata -Non discriminazione tra fedi e umanesimi -Tendenza verso un’etica mondiale (“Weltethos”, Religions for Peace …) ● l’ethos dei valori condivisi come base di convivenza umana nella diversità religiosa

BASE LEGALE E TESTI NORMATIVI

-Legittimazione costituzionale e/o concordataria; accordi o Intese Stato-Chiese -Giurisprudenza nazionale

-Legittimazione culturale, curricolare la scuola è selettore epistemologico -Riforme dei sistemi educativi nazionali; Processo di Bologna -Sviluppo accademico delle Scienze delle religioni

Legittimazione giuridica in base al primato dei diritti inalienabili della persona, alla non discriminazione delle minoranze culturali, alla laicità delle istituzioni pubbliche e democratiche

BASE EPISTEMOLOGICA E TESTI FONDANTI

-Scienze teologiche, bibliche, ermeneutiche, pastorali -Testi biblici e dottrine della tradizione post-biblica ● polarizzazione su la VERITA’ RELIGIOSA (da credere)

-Scienze storiche, antropologiche, sociali delle religioni -Scienze applicate dell’educazione e della didattica ● polarizzazione su la COMPETENZA in MATERIA DI RELIGIONI (da sapere)

- Diritti umani, diritto delle religioni (teo-diritti) -Religioni come risorsa etica, Etica sociale, Dialogo interculturale (Cons. d’Europa e UE) ● polarizzazione sui VALORI (da condividere)

Tipo di APPROCCIO DIDATTICO

Teaching /Learning INTO Faith or Religion con tendenza all’ABOUT Religion ● approccio confessionale (formale o forte, materiale o debole)

Teaching/Learning ABOUT Religions con tendenza al FROM Religions and Spiritualities ● approccio trans-confessionale, interreligioso

Teaching/Learning FROM or THROUGH Religions and Beliefs con tendenza all’OUT OF Religions ● approccio trans-religioso, inter- convinzionale

OBIETTIVI GUIDA -Conoscenza e comprensione del patrimonio simbolico storico- religioso della nazione -Integrazione tra appartenenza religiosa e valori dell’ethos civile

- Competenza riflessa sul fenomeno religioso inteso come fatto culturale universale, con incidenze sociali e personali -Costruzione di un’identità personale aperta alla pluralità di appartenenze

-Iniziazione a vivere nel pluralismo etico- religioso (non discriminazione,ecumenismo) -Educazione all’esercizio pubblico dei diritti-doveri (cittadinanza) -Formazione di un’identità personale aperta e dinamica, capace di vivere positiv. la diversità

Profilo dell’ INSEGNANTE

Testimone qualificato di una sintesi “fede-cultura”, -delegato della propria comunità, -formato in facoltà teologiche e/o ISSR

Titolare di disciplina curricolare, esperto in scienze delle religioni e in didattica interreligiosa, -formato in istituzioni accademiche di Stato

Docente interprete di fedi e di convinzioni non religiose, esperto di mediazione culturale in contesti scolastici multietnici, -formato in istituzioni accademiche di Stato

ALFABETIZZAZIONE RELIGIOSA

Riconoscersi nell’identità di cittadini e di credenti secondo la tradizione religiosa del Paese, conoscendone i ‘fondamentali’ della storia, dei testi, della dottrina, della morale

Riconoscersi persone–soggetti dell’ universo simbolico religioso, interpretato nelle sue espressioni plurali e contestuali, e conosciuto in quanto portatore di possibile senso per la vita personale e sociale

Riconoscersi titolari del diritto di libertà di coscienza e di religione, capaci di una identità personale nella pluralità delle possibili opzioni, capaci di condividere le proprie convinzioni e scelte etiche mediante l’argo-mentazione razionale e il dialogo tra pari

CASI NAZIONALI O SUBNAZIONALI

1) IR confessionali su base costitu-zionale: AT, BE, CY, DE, GR, IRL, RO 2) IR confessionali su base concorda-taria: ES, HR, IT, LT, MT, PL, PT, SK, Alsazia-Lorena 3) IR confessionali su base di intese tra l’UE e singole organizzazioni religiose (le “Scuole Europee”) 4) IR in scuole libere confessionali: scuole paritarie (IT), enseignement sous contrat (FR), escuela concerta-da (ES), enseignement libre (BE), Konfessionsschule (DE), Church schools (UK) …

1) IR storico-fenomenologici e/o storico-comparati: CH/Ticino, CZ, DK, NL, NO, SW, UK 2) Insegnamenti di Storia religiosa: - Storia del Cristianesimo nazionale (luterano): DK, NO, SW - Storia delle religioni (cristiane e non): NL, RU, UK - Grandi Testi (biblici e non): CH/ Ginevra - Storia e cultura dell’Islam: AT, BE, DE, ES, FI, GR, RU, UK ... 4) Corsi su Religioni abramitiche, Buddhismo, Induismo, Spiritualità e umanesimi: sperimentazioni locali 5) « Enseignement intra-disciplinaire des Faits religieux » (FR)

1) Etica non confessionale come materia alternativa: AT, BE, CZ, DE, HR, LT, LU, RU, “Scuole Europee” 2) “Etica e Cultura religiosa”: CH/Zurigo, NL, Québec (2008) 3) “Lebensgestaltung Ethik Religionskunde”: DE (1996) 4) “Cultura religiosa e studio dell’Etica” : Turchia (1982) 5) Insegnamento autonomo di “Religione ed Etica”: SLO (1995) 6) “Morale laïque”: FR (in progetto 2015-16) © F.Pajer giugno 2015

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plausibile e comparabile con gli altri saperi, senza per questo aver bisogno di rinnegare l’identità del sapere teologico propria del modello concordatario, ma sente piuttosto il bisogno di assumere tale visione teologica come una delle interpretazioni razionali da situare entro l’orizzonte del più vasto fenomeno religioso universale, e in un’ottica di lettura oggettiva e comparativa. Un approccio, quest’ultimo, che non può che tornare a vantaggio, tra l’altro, anche dell’alunno credente che ha bisogno di equipaggiarsi di nuove chiavi di lettura per vivere ormai in contesto decisamente pluralistico. Com’è evidente, la transizione a questo secondo modello - polarizzato sul primato del conoscere il fenomeno religioso piuttosto che sull’adesione a una fede - non avviene senza assumere alcune previe inevitabili distinzioni concettuali e operative, come la distinzione tra fede e religione, tra ruolo pastorale della comunità credente e competenze culturali della scuola pubblica, tra l’insegnante-testimone incaricato per idoneità dalla sua chiesa e l’insegnante-professionista assunto per competenza e concorso dalla amministrazione scolastica. ■ Una terza polarizzazione, infine, è quella provocata dall’acuirsi attuale di una emergenza educativa, l’ emergenza etico-valoriale, inedita nelle società europee fino a qualche decennio fa: società che sono diventate ‘post-cristiane’ (o lo stanno diventando rapidamente), ma nel contempo diventano anche multietniche e multireligiose, con l’evidente effetto di fragilizzazione del tessuto sociale, sottoposto a rischio di smembramento in forza delle diverse e talora conflittuali appartenenze identitarie. La ricerca di una tavola di valori pre-confessionali, da identificare però anche grazie all’apporto etico delle religioni (learning from religions, dicono gli Inglesi), ridiventa una priorità educativa per tutte le società democratiche. Ecco perché assistiamo in questa stagione – specie da un ventennio a questa parte – a insistiti interventi di poteri civili nazionali e transnazionali in materia di educazione ai valori, di educazione ai diritti umani, di educazione alla cittadinanza democratica, e simili. Sappiamo che non solo molti ministeri nazionali della pubblica istruzione, ma anche vari organismi sovranazionali (come l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa4, la Commissione Europea dell’UE5, l’OSCE6, e persino organizzazioni

4 Cf. le numerose Raccomandazioni e Risoluzioni adottate dall’Assemblea parlamentare, tra cui: Religione e democrazia (1999),

Scuola e religione (2005), Libertà di espressione e il rispetto delle credenze religiose (2006), Stato, religione, laicità e diritti umani (2007), Lotta all’antisemitismo in Europa (2007), Comunità musulmane europee di fronte all’estremismo (2008), … e soprattutto il Libro bianco sul Dialogo interculturale “Vivere insieme nell’uguale dignità”, Ed. CoE, Strasburgo, giugno 2008. Altri organismi europei (come il Commissario ai Diritti umani e l’ECRI (European Commission against Racisme and Intolerance) operano regolari monitoraggi sull’andamento della libertà di religione, compreso in ambito di educazione scolastica, ed emettono apposite direttive per i competenti ministeri dell’educazione. Documenti disponibili online. 5 Cf. Consiglio degli Affari Esteri dell’Unione Europea: Lignes Directrices de l’UE sur la promotion et la protection de la liberté de

religion ou de conviction, approvate il 24 giugno 2013: si tratta di un manuale pratico orientativo destinato alle Delegazioni e Rappresentanze diplomatiche europee. Documenti disponibili online. 6 OSCE/ODIHR, Toledo Guiding Principles on Teaching about Religions and Beliefs in public schools, Warsawa 2007; prossima

traduzione e commento in edizione italiana presso l’editrice Aracne, Roma.

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interreligiose mondiali come “Religions for Peace” o parareligiose come “Weltethos”7) abbiano lanciato alla scuola ripetuti appelli sulla necessità di uno studio curricolare del fatto religioso, non più o non tanto per garantire la trasmissione di un patrimonio di dottrine religiose e del relativo sistema morale (P1), né solo per assicurare un minimo di cultura religiosa omologa alle discipline curricolari e capace di interloquire alla pari con esse (P2), ma per elaborare – nella logica ‘universalista’ dei diritti umani e mediante una pedagogia e una didattica dell’intercultura – una tavola di valori comuni e condivisi in vista di abilitare le nuove generazioni alla cosiddetta “nuova cittadinanza europea” (P3), auspicata idealmente da più parti, ma che è ancora in via di collaudo - se non anche in forte ritardo - in molti ambienti della socializzazione pubblica. Schematizzando all’estremo queste tre polarizzazioni, possiamo sintetizzare con tre diverse parole-chiave: la centralità della verità religiosa nel P1, la conoscenza del fenomeno religioso nel P2, i valori etici enucleabili anche dalle religioni nel P3. Evidente la differenza semantica dei tre concetti, che non sono intercambiabili, ma altrettanto evidente la loro complementarità, perché della religione il P1 valorizza il potenziale veritativo ed esistenziale, il P2 esalta il potenziale conoscitivo e critico, il P3 riconosce il potenziale etico, valoriale, socio-comportamentale.

Questi tre paradigmi, ormai lo si è compreso, non sono altro che un tentativo di proiezione teorica di un insieme assai più complesso e diversificato di pratiche realmente esistenti nel panorama della scuola europea: ne è prova, il frastagliato elenco dei casi nazionali e subnazionali registrati nella fascia inferiore della Tabella: tre elenchi molto articolati, che fanno intuire non solo la differenza da caso a caso, da contesto a contesto, ma che non devono nemmeno nascondere l’inevitabile prossimità o contiguità tra un modello e l’altro.

PARTE 2 - ELEMENTI PER UNA LETTURA TRASVERSALE E COMPARATIVA

Una volta ‘costruito’ lo schema delle tre fondamentali modalità di fare cultura religiosa a scuola, il vantaggio che se ne ricava è quello di poter leggere in trasversale alcuni indicatori dello schema. Ne scelgo quattro. 1) Prendiamo anzitutto il concetto di “religione”. Risulta evidente che il contenuto semantico di “religione” non è più lo stesso da un paradigma all’altro. Infatti: ■ Nel P1 per religione si intende quella della tradizione storica dominante nel paese, quella che si è ‘compromessa’ per secoli non solo con l’ethos del vissuto popolare ma che ha marchiato ordinamenti politici, scelte economiche, scuole di pensiero, patrimoni d’arte. Non solo: questa religione viene qui insegnata e appresa come la

7 Cf. Parlamento delle Religioni mondiali, Dichiarazione sull’Etica mondiale, Chicago 4 settembre 1993.

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“fede vera”, quella autenticata dall’autorevolezza di una tradizione storica, quella professata generalmente dalla famiglie ancora praticanti, e condivisa da una maggioranza (comunque, statisticamente, sempre più relativa) di alunni battezzati. ■ In P2, invece, per religione si intende sia il fatto universale della molteplicità delle religioni storiche (studiate con i criteri dell’analisi storica, o sociologica, o fenomenologica delle religioni), sia i contesti e le espressioni dell’homo symbolicus (filosofia, antropologia, ermeneutica della religione): religione dunque intesa come oggetto di specifiche scienze accademiche (sviluppatesi enormemente, come si sa, nell’ultimo secolo) e, come tale, degna di figurare come disciplina di studio – non senza le ovvie e necessarie trasposizioni didattiche - nella scuola di tutti. ■ In P3 invece, la religione è vista, da un lato, come parte del problema sociale (la diversità religiosa è percepita infatti come una delle attuali minacce alla coesione civile), dall’altro lato invece come risorsa per la soluzione del problema stesso: il capitale etico delle religioni può/deve fungere da piedestallo, o almeno da convalida ausiliaria, di tanti valori oggi proposti dalla comune educazione della cittadinanza, promossa dai programmi scolastici dei vari ministeri nazionali della pubblica istruzione. In estrema sintesi, abbiamo dunque una prospettiva intra-religiosa, anzi intra-confessionale o minimamente ecumenica, nel P1; un approccio multi- e inter-religioso in un orizzonte transnazionale nel P2; una prospettiva trans-religiosa in dimensione etica e in un orizzonte idealmente globale (ma che di fatto si ripiega sulle urgenze educative della comunità civile locale) nel P3. 2) Un secondo indicatore che fa la differenza tra i paradigmi è la legittimazione o la ragion d’essere dell’insegnamento religioso a scuola: ■ nel primo caso l’ ir esso è subordinato al collateralismo dei due poteri, stato e chiesa, che per reciproco interesse strategico, si alleano, su base legale costituzionale (come per es. in Germania) oppure concordataria (come in Italia), al fine di garantire la trasmissione di un patrimonio culturale ritenuto valido per la formazione della persona in una società civile più o meno coestensiva (per secoli e fino a qualche decennio fa) con la società religiosa; ■ nel secondo caso l’insegnamento delle religioni rientra come compito di una “scuola delle competenze” in una “società della conoscenza”, sfruttando nel contempo la ricerca alta delle scienze religiose volgarizzandone criticamente e selettivamente contenuti e metodologie nella scuola secondaria e primaria; ■ nel terzo, la funzione prioritaria è quella di puntellare la coesione sociale esposta a rischio, fornendo principi ispiratori e buone pratiche di convivenza e promuovendo, in una “scuola orientata ai valori” e in una prospettiva di rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa di individui e gruppi.

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A decidere queste diverse funzioni stanno a monte istanze o centri di potere che, pur controllandosi reciprocamente e talora collaborando lealmente, hanno in mano il timone del comando. Rispettivamente: ● il potere politico-diplomatico delle Chiese maggioritarie nel sottoscrivere con i governi le condizioni di praticabilità, e quindi anche i vincoli, dell’istruzione religiosa nella scuola pubblica; ● il potere accademico dell’università (con lo sviluppo delle Scienze delle religioni) e delle teorie pedagogiche che informano oggi la scuola, che, tramite le scelte del ministero dell’istruzione, arrivano ad accreditare lo studio laico del ‘fatto religioso’ come componente essenziale e obbligatoria della cultura scolastica nell’attuale momento storico; la scuola si sente in obbligo di assicurare a tutti gli alunni una nuova “competenza religiosa” per abilitare a saper vivere nelle società plurali; ● il potere di indirizzo delle politiche educative sovranazionali (Consiglio d’Europa e Organismi competenti annessi), politiche che corrispondono al mandato istituzionale che tali organismi intendono assolvere nel laborioso processo di costruzione “culturale” dell’Europa. Siamo qui di fronte a una analogia storica trasparente: come negli ultimi due-tre secoli gli Stati nazionali [a parte l’eccezione francese] hanno avuto bisogno in qualche modo anche della religione per costruire e rinsaldare un ethos cittadino, così oggi l’Europa sovranazionale (federale?), pur in pieno processo di secolarizzazione, non può far a meno di ricorrere al fattore religioso – ovviamente non inteso in chiave confessionale – come risorsa possibile di valori civici. Il tutto rimane però ancora una scommessa, di cui nessuno oggi può anticipare l’esito, viste le ben note turbolenze che minacciano lo stesso futuro di questa incompiuta UE …].

3) I tre paradigmi si distinguono, e si completano l’un l’altro, anche per il diverso approccio metodologico nell’elaborare cultura religiosa. Nella letteratura pedagogica britannica è invalso il ricorso a tre comodi sintagmi per indicare tecnicamente la postura dell’insegnante e dell’allievo di fronte all’oggetto dell’ insegnamento/apprendimento, e sono l’education into religion, l’about religion(s) e il from religion(s); ma guardando alla più vasta e diversificata gamma delle pratiche europee, converrebbe ricorrere anche ad altre due preposizioni di cui l’esperienza inglese sente meno il bisogno: il through religion e l’ out of religion. ■ Non è difficile attribuire all’insegnamento concordatario una didattica dell’ into religion, anzi dell’ into faith se si pensa a situazioni pregresse, quando insegnante e classe intera coincidevano in una comune professione di fede; con le revisioni dei concordati, che profilano, come in Italia, uno statuto ‘culturale’ del corso di religione, aprendo così il corso di religione anche ad alunni di altra o di nessuna fede, l’insegnante conserva ancora la posizione into faith (è infatti un delegato della comunità con rispettiva idoneità riconosciuta dalla propria autorità religiosa), ma il suo approccio didattico sarà solo into religion (spesso ridotta a civil religion), per

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avvicinarsi tendenzialmente all’ about religion nella misura in cui il corso non può, non deve più avere i caratteri della catechesi. ■ Invece l’insegnamento curricolare sulle religioni tipico del secondo modello si caratterizza chiaramente per un approccio oggettivo, imparziale, about religion, che può combinarsi efficacemente con il from religion nel caso di una didattica che non si limiti all’arida conoscenza dei dati ma arrivi a sfruttarne l’immancabile insegnamento etico, spirituale, estetico ecc; valgono cioè i saperi sulle religioni, ma non meno apprezzabili sono i valori (messaggi, testimonianze, simboli, buone pratiche …) che provengono dalle religioni, quelle di ieri come da quelle contemporanee. ■ Più decisamente spostato su un approccio del tutto secolare il terzo paradigma che può scivolare, al limite, in un profilo di educazione civica. Qui il fatto religioso, da cui insegnante e allievi possono anche sentirsi personalmente alieni (in una postura di out of religion, appunto), serve da ‘pretesto’, da utile materiale di passaggio (trough religion), per coltivare convinzioni, virtù civiche, comportamenti sociali consoni alla dignità della persona e ai suoi diritti. Si intuisce facilmente come le politiche educative degli organismi europei che entrano in questa materia restino diplomaticamente sulla soglia del religioso proprio per evitare facili ma inaccettabili discriminazioni tra le denominazioni confessionali, tra le tradizioni storiche, tra convinzioni religiose e visioni non religiose della vita.

4) Si discute molto, in Europa, di analfabetismo religioso, di incultura religiosa. Guardando ai nostri tre paradigmi, chi fa alfabetizzazione religiosa?, e come? E con quali risultati? ■ E’ risaputo che in genere il vocabolario accusatore di chi denuncia “ignoranza religiosa” emerge istintivo in chi ‘abita’ culturalmente nell’orbita del sistema proprio al P1, in chi cioè ha conosciuto da giovane un sistema monoconfessionale di istruzione e lo ritiene tuttora come l’unico legittimo ed efficace. In questo caso, in area cattolica, cultura e incultura si riferiscono a precisi contenuti individuabili sostanzialmente nella enciclopedia teologico-catechistica del sapere cristiano formulato in chiave neo-tomista occidentale (“dogma, morale, sacramenti”, elencavano i manuali post-tridentini fino alla vigilia del Vaticano II). Si tratterebbe comunque più spesso di ignoranza degli enunciati della fede, più che di carenza dei contenuti sostanziali, che a volte possono essere positivamente posseduti anche in categorie non verbali da persone letterariamente incolte. Altrettanto si potrebbe dire, mutatis mutandis, dell’area ortodossa, che non disdegna la conoscenza dei fondamentali della “dottrina”, ma dà la preminenza alla formulazione patristica della fede e alla carica simbolica delle celebrazioni liturgiche. Chiaro invece che in area protestante, sempre nella logica del P1, l’alfabetizzazione religiosa coinciderà anzitutto con la padronanza del testo biblico, delle sue chiavi di lettura, della storia dei suoi effetti nella cultura nazionale, delle sue applicazioni ermeneutiche al vissuto

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quotidiano. Già a questo livello elementare del conoscere verbalizzato, tre cristiani europei di diversa confessione che si confrontassero sulle loro conoscenze di base, dovrebbero ammettere ciascuno la propria parte di analfabetismo rispetto alle normali conoscenze possedute dagli altri due interlocutori … Il P1 è nato, si è sviluppato, e persevera tutt’oggi - ma assai faticosamente, come tutti constatiamo! - nella logica autoreferenziale delle confessioni cristiane tipiche del tempo dell’Europa della prima modernità. Tale modello di istruzione religiosa, inabituato a elaborare cultura in un sano dialogo con la storia e la dottrina delle confessioni cristiane consorelle (ha infatti ignorato quasi totalmente il pluralismo intra-cristiano, per difendere anzi apologeticamente solo il proprio punto di vista confessionale!), arriva assai impreparato ad affrontare ora la sfida frontale del ben più complesso pluralismo multireligioso.

■ Nel contesto sociale multireligioso ed accademico del P2, sarà ritenuto religiosamente alfabetizzato chi domina il fenomeno religioso con un minimo di strumenti concettuali che vanno dalla storia dei cristianesimi europei alla storia delle maggiori religioni mondiali, dall’ermeneutica dei testi sacri alla sociologia delle neo-religioni nonché dei nuovi ateismi contemporanei. Nella comunicazione mediatica su questioni di attualità religiosa, riscuote indubbiamente maggior pubblico di uditori e di lettori chi mostra di padroneggiare e gestire un ampio spettro di esperienze, testi sacri, vocabolario, provenienti da religioni e spiritualità diverse. Inversamente, al limite può sentirsi ‘analfabeta’ nel nuovo areopago delle religioni persino il più erudito teologo da seminario che non conosce altro che la sua teologia… Le conoscenze religiose, o meglio sul ‘religioso’, stanno crescendo in modo esponenziale; ma non è solo questione di quantità bensì di “mutazione genetico-spirituale”, di nuova epistemologia, di nuova grammatica del pensare religioso nel contesto della società della conoscenza. La scuola del P2 non ha archiviato – e non può nemmeno farlo se è conseguente con le premesse scientifiche della sua pedagogia - il patrimonio di verità che il P1 continua a tenere al centro dell’istruzione religiosa, ma tenta di educare i giovani d’oggi prendendoli là dove sono, immersi cioè nel frastuono indecifrabile di simboli, messaggi, eventi, che rischiano di rimanere inaccessibili e opachi, o diventare fonte di scelte settarie e deliranti, se nemmeno la scuola fosse capace di dar loro una “grammatica” dei fenomeni religiosi che esplodono. Un ‘religioso’ che non si identifica con una particolare religione di chiesa, e tantomeno con gli enunciati del suo catechismo, ma che cerca comunque agganci concreti ora con la natura (enfasi sull’ecologia, e l’ultima enciclica sta segnando, sperabilmente, una svolta storica), ora con le radici di una tradizione (riscoperta della propria storia rivalutata, non senza rischi di fondamentalismo), ora con la seduzione delle scienze (dignità del discorso critico e autocritico, ma con rischi di neo-gnosticismo), ora con la sete di comunità (con possibili derive di comunitarismo).

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■ Se il terzo paradigma preferisce concentrarsi sui valori etici anziché sulle verità di fede o sulla conoscenza del fenomeno religioso, è segno che la stessa ansia neo-illuministica della alfabetizzazione religiosa sta emigrando verso il primato della deontologia. Più che misurare i livelli di conoscenze religiose in sé (non trascurabili comunque, specie a scuola), si misurano i livelli di capacità di positiva tolleranza verso i diversi, le capacità di capire e dialogare con diversi per fede o convinzione. C’è un nesso positivo tra conoscenza e tolleranza. Il saper-vivere, il saper-dialogare, il saper-rispettare gli altrui diritti, e saper farsi rispettare i propri, sono nuove esigenze che emergono con urgente priorità – complice anche un diffuso individualismo – quando si vive in una società diventata pulviscolare a causa delle diverse appartenenze ideologiche, di identità fluide, di comunità disintegrate. Analfabeta, in questo contesto sociale e in questa scuola, sarà chi non ha acquisito la consuetudine a un sano rapporto democratico con l’altro, rispettandolo nella sua costitutiva dignità di persona prima di considerarne l’eventuale divergenza di convinzioni, o chi non riesce a ricavare positivamente dalle religioni (dai loro testi sacri, dalle loro incarnazioni storiche) utili insegnamenti per maturare valori profondamente umani e sociali come la sete di giustizia, il gusto dell’onestà, il rispetto della diversità (culturale, sessuale, anagrafica, religiosa o filosofica), il diritto alla libertà difeso per sé e per gli altri, o ancora chi irresponsabilmente rifiuta di partecipare alla “costruzione della città” mancando di solidarietà o di senso del bene comune, del senso dello Stato … L’educazione etico-religiosa declinata secondo la ‘filosofia’ del P3 può forse apparire un’uscita dal sistema, un abbandono dei grandi territori cristiani della cultura, della teologia, della mistica, della spiritualità, delle ecclesiologie, dello stesso ecumenismo; non è forse, in fin dei conti, una strumentalizzazione del patrimonio religioso a fini socio-politici o filantropici?. Certo, c’è sempre da tener conto anche di possibili esiti incresciosi, come ci insegnano gli analisti della secolarizzazione avanzata dell’Europa ‘post-cristiana’. Ma in realtà è questione, ancora una volta, di saper distinguere e poi riconciliare i diversi regimi di verità religiosa generati dalla ragione simbolica (teologica) e dalla ragione strumentale (scientifica). L’idea di una verità in sé, da imparare come cognizione, cede il posto, nel processo pedagogico, al concetto di verità da costruire insieme e per il bene comune. Nel campo educativo, poi - lo sanno tutti gli educatori - la comprensione cognitiva ha sempre bisogno di una convalida affettiva, e quest’ultima di un riconoscimento comunitario, sociale. In effetti, i diversi sistemi di discorso religioso che abbiamo rilevato attraverso la griglia dei tre paradigmi8 ci confermano nella convinzione che non si tratta di visioni esclusive, tanto meno schizofreniche, ma sempre complementari se comprese nella loro contestualità storica e geografica, e sostanzialmente ‘complici’ e solidali nel

8 Per una informazione più dettagliata, rinvio al capitolo che ho redatto per il Rapporto sull’analfabetismo religioso in

Italia, a cura di A. Melloni, Il Mulino 2014, pp. 59-98.

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compito di educare le giovani generazioni a capire le proprie radici e a immaginare una città terrena più vivibile. Compito arduo se si pensa che già le generazioni adulte di oggi, più che imputabili di ignoranza religiosa, sembrano colpite da un più grave deficit culturale, quello dell’amnesia di un intero capitale simbolico, non solo dottrinale, che l’Occidente aveva maturato per secoli, e che ora, nelle mutate e mutevoli situazioni, esita a trasmettere agli Europei di domani che crescono oggi tra i banchi di scuola. Continuare a scommettere ancora sulla necessità di un’istruzione religiosa scolastica? Certo, ma non a costo di discriminare persone e gruppi, di ledere diritti educativi dei credenti a scapito dei non credenti o dei diversamente credenti, o viceversa; non a costo di emarginare minoranze religiose, che, proprio perché tali, vanno casomai difese dalla implicita prepotenza delle maggioranze; non a costo di considerare non negoziabili i principi di concordati storici e di intese diplomatiche tra poteri politico-sacrali e politico-civili; non a costo di tenere isolato artificialmente il corso di cultura religiosa dall’insieme organico degli altri saperi, notoriamente intrisi di cultura e valori religiosi, ma purtroppo generalmente disattesi se non addirittura negati dal combinato deleterio di ideologia, burocrazia, incompetenza … Il complesso e problematico panorama teorico-pratico dell’istruzione religiosa nell’Europa d’oggi invita indubbiamente a rivedere in casa nostra posizioni acquisite, a ricalcolare progetti e programmi e strumenti didattici; a dismettere le ricette facili della comoda monocultura ‘cattolica’ d’un tempo per osare un confronto permanente e alla pari con la diversità; a misurarsi con realismo con la qualità dei risultati effettivi più che soddisfarsi della sola tenuta quantitativa dei numeri (per es. dei cosiddetti avvalentisi); invita le comunità credenti ad una decisa e accresciuta corresponsabilità pastorale sapendo che la scuola di religione nello spazio pubblico dell’educazione di tutti deve smettere, anche giuridicamente, ogni mira proselitistica più o meno sottesa; invita ogni educatore ad agire localmente, in un contesto mai intercambiabile con altri, ma anche a pensare globalmente, in un orizzonte che non è più quello di uno stato-nazione sotto protettorato vaticano e nemmeno quello di un’Unione europea, oltretutto manifestamente sempre più stanca di trasmettere il suo stesso patrimonio culturale più distintivo. Per i docenti - di religione e non - un compito inedito, esigente, ma appassionante. Una sfida, che val la pena affrontare con chiarezza di visione e con determinazione. Flavio Pajer, [email protected] EREnews, Biblioteca per le Scienze Religiose, Torino