EUROPA Economia - lbalberti.it · Luxembourg. Nel dicembre del 1918 il gruppo divento il PARTITO...

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1 Primo dopoguerra - fascismo EUROPA Introduzione La prima guerra mondiale ebbe una serie di importanti conseguenze sulla storia degli stati europei e non solo. Economia Poco dopo la fine del conflitto, agli inizi degli anni venti, il processo di spostamento del centro economico del mondo fuori dell'Europa raggiunse il suo compimento. Così l'Europa perse il suo primato che deteneva con l'Inghilterra. In realtà le cose non avvennero improvvisamente, perché il processo era iniziato prima del conflitto, agli inizi del secolo. La guerra l'aveva accelerato. Infatti, i paesi europei belligeranti, vincitori e sconfitti, avevano investito enormi risorse nel conflitto, sviluppato un' economia di guerra in cui i governi avevano espresso un dirigismo economico pianificando la produzione e controllando i diversi settori industriali, il tutto giustificato con l'obiettivo della vittoria. Durante il conflitto i macchinari erano stati trasformati per produrre quasi esclusivamente materiale bellico. Finita la guerra si presentò il problema della riconversione industriale, cioè del ritorno a una produzione principalmente civile con la conseguente necessità di riadattare i macchinari o sostituirli. Per farlo occorrevano ingenti somme di denaro. Capitali ce n'erano pochi, perché i paesi erano già gravati da pesantissimi debiti di guerra, contratti in particolare con gli USA. Inoltre, le politiche protezionistiche adottate per proteggere i mercati interni non favorirono le esportazioni e ad aggravare ulteriormente la situazione fu l'inflazione, provocata dall'enorme quantità di cartamoneta emessa durante la guerra, dall'indebitamento degli stati e dal ristagno produttivo. Si sviluppò così una crisi economica che colpì soprattutto le nazioni sconfitte ma non risparmiò quelle vincitrici. L'effetto negativo si protrasse almeno fino al 1922 e intorno al 1925-26 ci fu un breve ciclo di espansione economica. Conflitti sociali La crisi economica fu accompagnata dal manifestarsi di una forte conflittualità sociale, che in qualche caso assunse i caratteri di una rottura rivoluzionaria dell'ordine esistente.

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Primo dopoguerra - fascismo

EUROPA

Introduzione La prima guerra mondiale ebbe una serie di importanti conseguenze sulla storia degli stati europei e non solo.

Economia Poco dopo la fine del conflitto, agli inizi degli anni venti, il processo di spostamento del centro economico del mondo fuori dell'Europa raggiunse il suo

compimento. Così l'Europa perse il suo primato che deteneva con l'Inghilterra. In realtà le cose non avvennero improvvisamente, perché il processo era iniziato

prima del conflitto, agli inizi del secolo. La guerra l'aveva accelerato.

Infatti, i paesi europei belligeranti, vincitori e sconfitti, avevano investito enormi risorse nel conflitto, sviluppato un'economia di guerra in cui i governi avevano

espresso un dirigismo economico pianificando la produzione e controllando i diversi settori industriali, il tutto giustificato con l'obiettivo della vittoria. Durante

il conflitto i macchinari erano stati trasformati per produrre quasi esclusivamente materiale bellico.

Finita la guerra si presentò il problema della riconversione industriale, cioè del ritorno a una produzione principalmente civile con la conseguente necessità di

riadattare i macchinari o sostituirli. Per farlo occorrevano ingenti somme di denaro. Capitali ce n'erano pochi, perché i paesi erano già gravati da pesantissimi

debiti di guerra, contratti in particolare con gli USA. Inoltre, le politiche protezionistiche adottate per proteggere i mercati interni non favorirono le esportazioni

e ad aggravare ulteriormente la situazione fu l'inflazione, provocata dall'enorme quantità di cartamoneta emessa durante la guerra, dall'indebitamento degli

stati e dal ristagno produttivo.

Si sviluppò così una crisi economica che colpì soprattutto le nazioni sconfitte ma non risparmiò quelle vincitrici. L'effetto negativo si protrasse almeno fino al

1922 e intorno al 1925-26 ci fu un breve ciclo di espansione economica.

Conflitti sociali La crisi economica fu accompagnata dal manifestarsi di una forte conflittualità sociale, che in qualche caso assunse i caratteri di una rottura rivoluzionaria

dell'ordine esistente.

2 La tendenza degli stati fu quella di rafforzare la propria centralità sulla scia del dirigismo sviluppato durante la guerra, promuovendo politiche economiche e

monetarie a sostegno della produzione e della domanda, e cercando di attuare il controllo del conflitto sociale con lo scopo finale di ottenere la soluzione della

crisi economica.

Si diffusero nuove teorie che davano veste teorica a questo ruolo dello Stato inteso come volontà superiore agli egoismi individuali. Esse possono essere

designate con il termine corporativismo. Alla base vi è l'idea che ad ogni settore produttivo debba corrispondere un organismo statale composto da

rappresentanze di imprenditori, operai, tecnici e dirigenti. L'obiettivo era quello di eliminare la conflittualità, soprattutto tra imprenditori e operai, e indirizzare

lo sforzo comune verso il raggiungimento di risultati conformi agli interessi dello Stato e quindi della collettività. Il corporativismo venne sostenuto soprattutto

dai movimenti di destra e dai nascenti partiti fascisti in Italia e Germania.

Crisi dello stato liberale Lo stato liberale si rivelò incapace di recepire e rappresentare le novità prodotte dal conflitto mondiale.

Spesso la conflittualità venne considerata una mera questione di ordine pubblico, quando invece esprimeva non solo un disagio per le gravi conseguenze della

crisi economica, ma anche il bisogno di partecipazione delle masse, che avevano maturato durante la guerra una coscienza maggiore dei propri diritti e una

volontà politica di dire la propria, a fronte dei sacrifici compiuti durante la guerra in nome della patria.

Ci fu, non a caso, uno sviluppo dei sindacati e dei partiti di massa che si fecero portavoce di questo nuovo bisogno di partecipazione e difesero gli interessi delle

classi lavoratrici nell'imperversare della crisi economica.

Si formarono anche associazioni di ex-combattenti, in difficoltà nel reinserimento nella vita civile, delusi dal trattamento a loro riservato e fortemente critici

verso le istituzioni borghesi, la democrazia, il parlamentarismo.

Si diffusero infine movimenti di matrice reazionaria la cui base era costituita soprattutto da elementi della piccola e media borghesia, favorevoli a soluzione

autoritarie (concepivano una società ordinata e fortemente gerarchizzata, in cui la libertà del cittadino doveva essere subordinata alle esigenze della nazione,

che doveva essere guidata da un capo carismatico).

Gran Bretagna Anche in gran Bretagna si verificò una grave crisi economica e sociale, per affrontarla il governò attuò una politica deflazionistica con l'obiettivo di rivalutare la

sterlina e ripristinare così il GOLD STANDARD, interrotto nel 1914.

3 In pratica:

fu aumentato il costo del denaro per limitare la circolazione monetaria

vennero bloccati gli aumenti salariali

si promosse una politica tributaria finalizzata al raggiungimento del pareggio del bilancio

i costi della politica deflazionistica furono alti:

diminuzione delle esportazioni

ripresa produttiva ostacolata dall'alto costo del denaro

Le conseguenze sulla popolazione furono pesanti, il numero di disoccupati sfiorò i due milioni. Il paese fu quindi scosso da agitazioni e mobilitazioni sindacali

che raggiunsero l'acme con l'imponente sciopero dei minatori del 1926. La protesta non degenerò in una guerra civile per la tradizione riformistica del

sindacato inglese, le Trade Unions, e del partito che nel 1906 si era formato per loro iniziativa: il partito laburista.

La situazione socio-economica ebbe un'importante conseguenza sugli schieramenti politici, determinando il declino del partito liberale e la polarizzazione del

sistema politico inglese tra conservatori e laburisti.

La questione irlandese o 1916: prima rivolta antibritannica

o 1919: il movimento nazionalista cattolico irlandese, il cui esercito era l'I.R.A., proclamò l'indipendenza del paese innescando una guerra civile tra

cattolici indipendentisti e protestanti unionisti

o 6 dicembre 1921: proclamazione dello stato libero d'Irlanda. Il paese si spaccò: l'Ulster restò parte del Regno Unito

Germania 4 novembre 1918: rivolta dei marinai della base di Kiel sul Mar Baltico (tra Lubecca e Schleswig) che si rifiutarono di salpare per un'ultima battaglia

contro la marina inglese, essendo a conoscenza che da settimane erano state avviate trattative di pace. La protesta innescò scioperi e agitazioni:

un'onda rivoluzionaria attraversò l'intero paese. A Berlino e in altre città tedesche vennero creati consigli di operai e di soldati

9 novembre 1918: proclamazione della repubblica

10 novembre 1918: Guglielmo II riparò in Olanda

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31 luglio 1919: promulgazione a Weimar (vicino a Leipzig, tra Francoforte e Berlino) la nuova costituzione: potere legislativo affidato a un parlamento

(Reichstag) eletto a suffragio universale maschile e femminile con sistema proporzionale; e a un Consiglio federale, composto dai rappresentanti degli

stati regionali - i Länder. Era previsto, inoltre, un presidente della repubblica eletto ogni 7 anni direttamente dai cittadini, il quale nominava il capo del

governo - il cancelliere e aveva i seguenti poteri: di sciogliere il parlamento, di porre il veto sulle leggi approvate in parlamento e in caso di minaccia alla

sicurezza dello stato di sospendere i diritti costituzionali dei cittadini.

Forze politiche della Repubblica di Weimar Nel governo della repubblica di Weimar i SOCIALDEMOCRATICI avevano la MAGGIORANZA RELATIVA. Forti del sostegno delle masse e dei sindacati,

erano contrari a soluzioni di tipo bolscevico e propendevano per un regime parlamentare.

I SOCIALISTI INDIPENDENTI, anch'essi presenti nel governo, volevano realizzare delle riforme radicali senza tuttavia il ricorso alla violenza:

o nazionalizzazione delle industrie

o espropri delle grandi proprietà terriere

All'estrema sinistra c'era la LEGA DI SPARTACO, nata nel 1917 da una scissione del Partito socialdemocratico per iniziativa di Karl Liebknecht e Rosa

Luxembourg. Nel dicembre del 1918 il gruppo divento il PARTITO COMUNISTA TEDESCO (KPD) favorevole a una svolta rivoluzionaria. Ebert, il

cancelliere socialdemocratico che guidava il governo, era intenzionato a impedire qualsiasi sviluppo rivoluzionario con l'aiuto dello stato maggiore

dell'esercito. I primi giorni di gennaio del 1919 a BERLINO scoppiò una rivolta causata dalla decisione di trasferire il prefetto socialista. Gli spartachisti si

trovarono coinvolti nello scontro armato, che era sfuggito al loro stesso controllo. Il ministro della difesa, il socialdemocratico Noske diede carta bianca

ai Freikorps1 (corpi franchi) che procedettero a una repressione senza sconti. I leader spartachisti furono trucidati.

A destra una formazione nazionalista e razzista che si stava imponendo era il Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori, fondato nel 1920.

La crisi economica Il problema più grave della repubblica di Weimar fu tuttavia l'acuirsi della crisi economica in seguito alla decisione presa il 27 aprile 1921 da parte della

commissione alleata2 di chiedere alla Germania il pagamento dell'indennizzo per i danni di guerra, fissando la cifra di 132 miliardi di marchi-oro. L'inflazione

raggiunse livelli altissimi e il governo corse ai ripari assumendo iniziative che non ottennero altro effetto che aumentare ulteriormente l'inflazione e svalutare il

marco: stampa di una quantità esagerata di CARTAMONETA e introduzione del CORSO FORZOSO3. La Germania dovette dichiarare l'impossibilità di

1 Squadre d'azione controrivoluzionarie formate da operai socialdemocratici, soldati del vecchio esercito guglielmino ed esponenti di estrema destra.

2 Il governo americano aveva richiesto la restituzione dei prestiti di guerra alle nazioni alleate.

3 c. forzoso , relativamente ai soli biglietti, quando questi devono essere accettati in pagamento e non possono essere convertiti in metallo nobile. Il c. forzoso in passato

poteva essere dichiarato dallo Stato che vi ricorreva per necessità finanziarie, aprendo pertanto la via all’aumento della circolazione e alla riduzione del potere d’acquisto del

biglietto (➔ inflazione). Ormai il c. forzoso – presidiato da banche centrali indipendenti che hanno per missione di procurare la stabilità dei prezzi – è la situazione normale in tutti i paesi del mondo.

5 corrispondere i danni di guerra e chiese una sospensione dei pagamenti. L'11 gennaio 1923 truppe franco-belghe occuparono la Ruhr, con la disapprovazione

della Gran Bretagna. I tedeschi della regione reagirono con lo sciopero generale e il governo tedesco proclamò la resistenza passiva contro l'occupazione.

L'iniziativa degli alleati diede il colpo di grazia all'economia tedesca: l'inflazione diventò galoppante. Ne approfittarono i grandi industriali e i magnati della

finanza che ingrandirono i loro imperi disponendo di valuta straniera o di beni all'estero.

Nel 1923 il nuovo governo di coalizione guidato dal conservatore Stresemann avviò la normalizzazione della situazione interna:

repressione della sinistra comunista

creazione del RENTENMARK (marco di rendita) garantito da un'ipoteca sui beni del territorio nazionale per combattere l'inflazione

nuovo accordo sulle riparazioni che si concretizzò nel 1924 con il piano Dawes, in base al quale i pagamenti annuali del debito di guerra venivano

commisurati alle condizioni economiche del momento e gli Usa intervenivano finanziariamente a sostegno della produzione tedesca

L'economia tedesca si rimise in moto e il processo di normalizzazione ebbe un'altra tappa importante nel 1925 con il patto di Locarno, che riavvicinarono

Francia e Germania.

Tuttavia l'asse politico andava spostandosi progressivamente a destra. Un segnale di questo fu l'elezione nel 1925 alla

presidenza della repubblica del maresciallo Hindenburg, punto di riferimento dei settori nazionalisti.

Il partito nazionalsocialista e il putsch di Monaco Nel 1920 venne fondato il partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori (NSDAP) come è stato ricordato sopra. Tra i

suoi fondatori c'era Adolf Hitler4. Di origine austriaca si era trasferito in Germania prima della guerra. Assunta la guida

4 Figlio di un impiegato bavarese della dogana austriaca di origini illegittime, H. non volle mai soffermarsi sulle confuse provenienze familiari, anche per il dubbio sopravvenuto

che si potessero ritrovare ascendenze ebraiche. Frequentò a Linz la scuola tecnica fino alla morte del padre avvenuta nel 1903 e, dopo la morte anche della madre, si trasferì nel 1907 a Vienna, dove, caduta ogni illusione di poter seguire gli studi di arte e di architettura, si dovette rivolgere, per vivere, al mestiere di decoratore e di pittore. Negli anni viennesi si avvicinò ossessivamente alla musica, incarnando in Richard Wagner la concezione romantica del genio. Sempre a Vienna l'antisemitismo di K. Lueger e le ideologie nazionaliste e pangermaniste ebbero una grande influenza su H., cresciuto in un ambiente impregnato di antigiudaismo cattolico; soprattutto il pangermanismo dottrinale e razzista che dalla proclamazione dell'ineguaglianza delle razze giungeva a esaltare una unica razza, pura e perfetta, quella nordica in cui si veniva a identificare l'elemento germanico. Erano le teorie risalenti a J.-A. de Gobineau (amato anche da Wagner) e a H. S. Chamberlain, rilette da H. attraverso D. Eckart, che furono la base delle sue idee naziste iniziali e che via via si sarebbero ancor più drammaticamente 'affinate' con la teorizzazione sistematica di A. Rosenberg. H. maturava così un atteggiamento ostile sia nei confronti della forte comunità ebraica viennese, sia dell'internazionalismo dei socialisti. Trasferitosi a Monaco di Baviera nel 1912, vi lavorò come operaio edile; e, allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914, si arruolò come volontario nelle file bavaresi: ferito nella battaglia della Somme (1916), la fine della guerra lo trovò ricoverato in un ospedale in Pomerania per una malattia agli occhi causatagli dai gas asfissianti inglesi, lanciati durante la battaglia di Ypres. Sotto choc per la sconfitta tedesca, H. si convinse che la catastrofe militare si doveva attribuire al tradimento interno alimentato dal marxismo e dal giudaismo. Ebbe inizio con determinazione nel primo dopoguerra la sua

6 del partito nel 1921, Hitler lo organizzò in base al principio dell'assoluta autorità del capo e istituì squadre paramilitari, le SA - "reparti d'assalto"

(Sturmabteilungen).

L'8 novembre del 1923 tentò di impadronirsi del potere a Monaco. Il putsch di Monaco fu un insuccesso, ma Hitler non venne espulso dalla Germania e fu

condannato a una pena mite. In carcere scrisse MEIN KAMPF (La mia battaglia).

ITALIA

Introduzione La crisi economica comune ai paesi belligeranti fu resa più grave in Italia da:

le particolari caratteristiche del capitalismo industriale italiano, in cui vi era un'eccessiva dipendenza delle industrie dallo Stato che le sosteneva

attraverso le commesse.

il dualismo economico tra Nord e Sud

il conflitto sociale molto aspro (il biennio rosso)

Per quanto concerne il primo punto, durante la guerra le industrie non si erano semplicemente rafforzate ma, approfittando dei capitali pubblici e delle

commesse statali, le industrie più importanti (Ilva, Fiat, Ansaldo, Breda, Edison, Montecatini) avevano costruito dei veri e propri imperi economici che

riflettevano una tendenza all'espansione-concentrazione capitalistica. Tutto ciò avvenne in modo convulso e speculativo e con il coinvolgimento anche delle

grandi banche: Banca commerciale, Credito italiano, Banca di sconto e Banco di Roma. Si determinarono così dei forti intrecci tra industrie e banche per il

controllo dell'economia italiana (ad esempio, Ansaldo e Banca di sconto durante la guerra costituirono un unico gruppo economico e in seguito tentarono la

scalata alla Fiat e alla Banca commerciale) e delle risorse finanziarie (ad esempio la Fiat cercò di assumere il controllo del Credito commerciale). Finita la guerra i

colossi industriali rivelarono tutta la loro fragilità, dal momento che non c'era un mercato interno in grado di sostituire la domanda pubblica del periodo di

guerra. Fallimenti e contrazione della produzione si combinarono ad interventi di salvataggio da parte dello stato, ma le condizioni favorevoli del periodo

bellico non erano più riproponibili e alla lunga la crisi si fece sentire ridimensionando determinati settori e colpendo inesorabilmente altri. Vi fu un aumento

della disoccupazione soprattutto nei settori metallurgico, tessile e meccanico la cui espansione era stata sostenuta dall'economia di guerra. A ciò si aggiunse

l'inflazione e il crollo della lira.

partecipazione alla vita politica, con il fine di riedificare la Grande Germania, contro gli intenti "distruttivi" delle decisioni di Versailles, sostenuti dai "traditori" interni della Repubblica di Weimar. [estratto da Treccani online]

7 Per quanto riguarda il secondo punto, la guerra approfondì il solco tra il Nord industriale in cui attraverso il sostegno dello Stato si consolidò un sistema

capitalistico monopolistico (in particolare nell'area del triangolo industriale) e il Sud agricolo a cui non era riservata la stessa attenzione da parte dello Stato.

In merito al terzo punto, il conflitto sociale postbellico fu aspro per una serie di motivazioni che possono essere riassunte con la maggior consapevolezza

acquisita durante la guerra dei propri diritti da parte delle classi lavoratrici e con il persistente malcontento nelle campagne dei contadini, a cui tra l'altro

durante il conflitto erano state promesse le terre come ricompensa del loro sacrificio in guerra. A testimonianza di questo disagio ci furono diversi scioperi e

fenomeni come l'occupazione delle terre e delle fabbriche. Il biennio '19-'20 fu segnato da una mobilitazione delle forze lavoratrici (operai e braccianti della

Pianura Padana e della Puglia) così rilevante da essere indicato con l'espressione biennio rosso. Grazie ad essa i lavoratori riuscirono a tutelare il proprio potere

d'acquisto e ad ottenere la giornata di 8 ore.

Nell'estate-autunno del 1919 si verificò l'occupazione di terre incolte e latifondi da parte di contadini poveri, spesso ex-combattenti, nelle campagne del centro-

sud. Lo Stato non seppe dare una risposta e neppure, d'altronde, l'opposizione socialista e cattolica si fece portavoce in modo efficace di un tale disagio.

Nell'estate del 19195 avvenne l'occupazione delle fabbriche nel triangolo industriale che spaventò gli industriali con lo spettro della rivoluzione. Nonostante la

gestione intelligente dell'evento da parte di Giolitti che era di nuovo alla guida del paese, l'episodio rappresentava tuttavia un ennesimo segnale

dell'inadeguatezza delle vecchie istituzioni liberali a rappresentare adeguatamente la nuova realtà italiana. Di fatto si era verificato uno scollamento tra il

proletariato e la piccola-media borghesia nelle modalità con cui queste fasce sociali si ponevano di fronte alla crisi; scollamento che rendeva difficilmente

realizzabile il progetto politico giolittiano di compromesso tra gli interessi della borghesia e quelli delle classi lavoratrici:

operai e braccianti agricoli organizzati nelle camere di lavoro e nelle leghe riuscirono in qualche modo a contenere almeno parzialmente gli effetti della

crisi

la piccola-media borghesia non aveva forme di tutela simili nei confronti della crisi e dell'azione erosiva di risparmi e retribuzioni esercitata

dall'inflazione. Essa si orientò verso un risentimento sociale nei confronti del proletariato covando il desiderio di una rivincita

La crisi di rappresentanza dello Stato liberale e la formazione dei Fasci di combattimento La piccola e media borghesia fu duramente colpita dalla crisi per le ragioni suddette (l'inflazione che erose i salari ma anche i risparmi e l'assenza di organismi di

difesa come quelli del movimento operaio, vale a dire i sindacati). Inoltre, questo ceto visse anche una crisi d'identità, perché durante la guerra aveva pagato di

persona con i suoi sottoufficiali che non avevano esitato a guidare gli assalti alle trincee nemiche spesso perdendo la vita. Di questo sacrificio la società del

dopoguerra non sembrava tenere conto. La crisi economica lo schiacciava verso le classi proletarie. È naturale allora che questo ceto provasse un forte

5 Ad iniziare l'azione furono il 30 agosto 1919 gli operai dell'Alfa Romeo di Milano che presero la decisione di occupare la fabbrica dopo che la direzione aveva deciso la serrata

per

8 risentimento nei confronti della classe operaia ma anche verso quei borghesi che durante la guerra si erano arricchiti con le commesse statali, le speculazioni, la

borsa nera mentre i suoi componenti rischiavano la vita al fronte. Non si riconosceva in uno Stato, quello liberale, che non li tutelava. Si verificò così una crisi di

rappresentanza. A raccogliere l'esigenza di rappresentanza dei ceti medi fu Benito Mussolini, che il 23 marzo del 1919 fondò a Milano il movimento dei fasci di

combattimento: condivideva una comune matrice ideologica con il nazionalismo e nutriva una forte avversione nei confronti dei socialisti. All'inizio raccolse

scarse ed eterogenee adesioni (ex sindacalisti rivoluzionari, ex arditi, ex repubblicani), ma si presentò subito con il biglietto di visita della violenza politica.

Infatti, il 15 aprile del 1919 a Milano i fascisti si scontrarono con un corteo socialista e finirono per incendiare la sede dell'Avanti!.

Il mito della vittoria mutilata e l'occupazione di Fiume La delusione per le trattative di pace generò il mito della vittoria mutilata di cui la propaganda nazionalista accusava il governo liberale colpevole di eccessivo

spirito rinunciatario. Alla vecchia Italia liberale e all'egualitarismo socialista il nazionalismo contrapponeva la nuova Italia forgiata dalla guerra. Le difficoltà di

gestione della situazione indussero alle dimissioni il governo Orlando (19 giugno 1919). Il successore Francesco Saverio Nitti, esponente del liberalismo

riformista, non riuscì a trovare una soluzione alla grave crisi italiana, sociale e politica.

Nel frattempo esplose la questione di Fiume che si era proclamata italiana con un plebiscito all'indomani di Vittorio Veneto. La Società delle nazioni la definì

città libera sotto la propria tutela per 15 anni. Nel mese di settembre del 1919 Gabriele D'Annunzio alla testa di un migliaio di uomini del reggimento

trasferitosi da Fiume a Ronchi (in seguito alla decisione di ridurre il contingente italiano in città) occupò Fiume che divenne per poco più di un anno un luogo

d'incontro per i personaggi più disparati (alti ufficiali inclini al colpo di stato, giovani idealisti e avventurieri di ogni tipo).

Il 12 novembre del 1920 con il trattato di Rapallo Fiume venne ufficialmente dichiarata città libera. Il 25 dicembre del 1920 le truppe italiane inviate dal nuovo

governo Giolitti sbarcarono a Fiume, sgomberandola con la forza.

Il Partito Popolare Nel 1919 don Luigi Sturzoi fondò il Partito popolare italiano, dopo che il papa Benedetto XV aveva abrogato il non expedit. Il partito si presentava come una

forza interclassista, dal momento che sosteneva il rispetto della proprietà privata ma al contempo la necessità di una solidarietà e di una maggiore giustizia

sociale da attuarsi attraverso una più equa distribuzione della terra e dei redditi (riforme agraria e tributaria). In campo amministrativo il Ppi sosteneva il

decentramento e in politica estera le idee wilsoniane. Era un partito composito: da elementi favorevoli a una maggior giustizia sociale , in quanto provenienti

dal mondo sindacale e operaio, si passava ad esponenti moderati o reazionari.

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Elezioni Nel novembre del 1919 ebbero luogo le elezioni politiche del dopoguerra tenute con il nuovo sistema proporzionale che sostituì quello uninominale. Nel

collegio elettorale il confronto non avveniva più tra singoli candidati di cui uno solo sarebbe risultato vincitore, ma tra liste di partito con più seggi a

disposizione (più candidati da eleggere) da distribuire in modo proporzionale ai voti ottenuti dalle liste. Il nuovo sistema favoriva i partiti di massa perché

organizzati su base nazionale.

Dalla competizione elettorale uscirono vittoriosi il Psi e il Ppi, le forze liberali ottennero un numero di seggi inferiore alla somma di quelli ottenuti dai due partiti

di massa ma riuscirono nonostante tutto a mantenere la maggioranza relativa. Si costituì un governo alla cui guida fu posto Saverio Nitti, liberale di sinistra, ma

ben presto fu costretto a dare le dimissioni. Nel maggio del 1920 la guida fu assunta da Giolitti che intendeva riproporre la sua politica di conciliazione tra gli

interessi della borghesia e quelli delle classi lavoratrici.

L'occupazione delle fabbriche Tra la fine di agosto e i primi di settembre del 19206 avvenne l'occupazione delle fabbriche nel triangolo industriale che portò l'Italia sull'orlo della rivoluzione

sociale. A guidare l'occupazione della fabbriche fu la FIOM (Federazione italiana operai metallurgici) aderente alla CGL (Confederazione generale del lavoro

fondata nel 1906), che avanzò una serie di richieste economiche e normative agli industriali del settore metalmeccanico, ingranditosi con la guerra ed ora

minacciato dalla crisi. La protesta vide anche la costituzione nelle fabbriche torinesi dei consigli di fabbrica, organismi eletti direttamente dai lavoratori e ispirati

dal gruppo torinese dell'Ordine Nuovo (tra i cui fondatori vi erano Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti), che li considerava un nuovo strumento di democrazia

operaia, una sorta di soviet.

Giolitti rimase fedele anche in questa grave situazione al suo principio della neutralità del governo. La temuta rivoluzione non avvenne anche per le

caratteristiche e la debolezza delle strategie rivoluzionarie di coloro che guidarono o sostennero l'azione. Innanzitutto la Fiom come abbiamo detto dipendeva

dalla Cgl, la quale era guidata da dirigenti riformisti. Inoltre, il Psi nonostante prevalesse al suo interno la componente massimalista non aveva ben chiaro che

cosa fare per trasformare la protesta in qualcosa di diverso, di rivoluzionario, così come lo stesso gruppo torinese dell'Ordine Nuovo fu incapace di elaborare

una strategia che portasse la protesta fuori dalle fabbriche e la estendesse al paese. Infine, non vi fu un collegamento tra le lotte operaie e quelle bracciantili.

Fu così raggiunto un accordo che prevedeva forti aumenti salariali e il riconoscimento, che rimarrà sulla carta, di forme di controllo operaio sulle aziende

6 Ad iniziare l'azione furono il 30 agosto 1919 gli operai dell'Alfa Romeo di Milano che presero la decisione di occupare la fabbrica dopo che la direzione aveva deciso la serrata

per contrastare le loro rivendicazioni.

10 Lo spauracchio della rivoluzione e la capacità che in molti casi avevano dimostrato gli operai di saper far funzionare le officine anche senza la presenza degli

imprenditori, indusse gli industriali a prendere le distanze dal riformismo moderato giolittiano e ad avvicinarsi al movimento fascista.

FASCISMO al potere

Dalle elezioni amministrative del 1920 alla marcia su Roma Nelle elezioni amministrative del 1920 i socialisti, nonostante divisioni interne, ottennero la maggioranza dei comuni dell'Emilia e della Toscana. I fascisti non

restarono inerti. Il 21 novembre del 1920 si presentarono armati nella piazza del municipio di Bologna (palazzo d'Accursio) dove si era radunata una folla per

festeggiare l'insediamento del nuovo sindaco socialista. Non appena questi si affacciò al balcone del palazzo i fascisti esplosero colpi di pistola. Dal balcone del

sindaco risposero al fuoco. Bilancio: dieci morti, tutti socialisti tranne l'avvocato Giulio Giordani, appartenente al movimento nazionalista. Episodi analoghi si

verificarono un mese dopo nel Ferrarese, dopo l'uccisione di tre fascisti.

I fatti di palazzo d'Accursio sono comunemente indicati come l'atto di nascita del cosiddetto fascismo agrario: i proprietari terrieri cominciarono a

sovvenzionare generosamente lo squadrismo fascista, perché rappresentava lo strumento capace di demolire il potere delle leghe, in particolare di quelle

socialiste. Queste avevano creato un sistema apparentemente intoccabile: attraverso i loro uffici di collocamento controllavano il mercato del lavoro,

stabilivano direttamente con i proprietari le giornate di lavoro e le distribuivano fra i propri associati. Esse volevano rappresentare soprattutto i salariati senza

terra perché l'obiettivo finale era la socializzazione della terra stessa. Ma vi erano altre categorie, come i mezzadri, i piccoli affittuari, i salariati fissi che

aspiravano a diventare proprietari e che trovarono maggior sintonia con il programma del fascismo.

Nel giro di breve tempo lo squadrismo dilagò in tutta l'area della Val Padana e si estese anche alle zone mezzadrili della Toscana e dell'Umbria. Immune dagli

attacchi delle squadre fasciste fu il Sud, con l'eccezione della Puglia, dove esisteva una fitta rete di leghe socialiste.

Le squadre d'azione partivano in genere dalle città in camion per raggiungere i centri rurali e colpire i municipi, le camere del lavoro, le sedi delle leghe, le case

del popolo distruggendole e malmenando i dirigenti e i semplici militanti socialisti. Vennero colpite le stesse organizzazioni di ispirazione cattolica con l'intento

di ridimensionarle.

Buona parte delle amministrazioni rosse della Valle Padana furono costrette a dimettersi. Centinaia di leghe furono sciolte e molti dei loro aderenti, con le

buone o con le cattive, indotti ad aderire a nuove organizzazioni sindacali create dai fascisti, che promettevano la formazione della piccola proprietà

coltivatrice.

11 Lo squadrismo poté dilagare indisturbato per la connivenza delle forze dell'ordine, delle istituzioni e di buona parte della classe dirigente. Il governo stesso

guidato da Giolitti lasciò fare pensando di usare innanzitutto i fascisti per ridimensionare i socialisti, con la certezza di poter in un secondo momento

costituzionalizzare il fascismo facendolo assorbire all'interno dello schieramento liberale. Vecchia strategia che sottovalutava l'irriducibilità del fascismo.

Durante il congresso del partito socialista tenutosi a Livorno dal 15 al 21 gennaio 1921 avvenne la scissione della minoranza comunista capeggiata da Amadeo

Bordiga e da Antonio Gramsci. Nacque così il Partito comunista d'Italia.

In occasione delle elezioni del maggio del 1921 Giolitti promosse la formazione delle liste del blocco nazionale che comprendevano candidati fascisti, con

l'intento di ridimensionare il Psi e Ppi. Nonostante il clima intimidatorio e le violenze subite il Psi ebbe una flessione ma nel complesso lieve, mentre addirittura

i popolari si rafforzarono. I liberal-democratici dei blocchi nazionali aumentarono i consensi ma non in modo sufficiente ad ottenere il controllo completo del

parlamento. La vera novità fu l'ingresso alla Camera di 35 deputati fascisti. Giolitti diede le dimissioni e questa volta uscì definitivamente di scena. Il

successore Ivanoe Bonomi tentò di superare la gravissima crisi sociale in atto favorendo una tregua tra fascisti e socialisti che per contrastare l'impeto delle

squadre d'azione avevano creato delle loro formazioni paramilitari, gli arditi del popolo. Nell'agosto del 1921 ci fu la firma di un patto di pacificazione tra i due

schieramenti. Ma i capi locali del fascismo, i cosiddetti ras7 (Grandi a Bologna, Farinacci a Cremona, Italo Balbo8 a Ferrara, ecc.), sabotarono l'accordo e le

violenze continuarono.

Ai primi di novembre del 1921 si tenne a Roma il congresso dei fasci in cui Mussolini sconfessò il patto di pacificazione per garantirsi il sostegno dei ras e in

cambio questi ultimi accettarono di confluire nel Partito nazionale fascista (Pnf) che si costituì l'11 novembre 1921.

Mussolini infatti si era candidato alla guida del fronte conservatore, ma per far questo andavano abbandonate le velleità populiste e repubblicane dell'inizio ed

era necessario trasformare il movimento fascista in un partito organizzato. Pochi mesi dopo venne creata la Confederazione delle corporazioni sindacali, alla cui

guida venne posto Edmondo Rossoni; l'obiettivo era quello di soppiantare i sindacati socialisti e cattolici. Il fascismo abbandonò anche i toni anticlericali e

antimonarchici garantendosi il consenso degli ambienti vicini alla corte, delle alte gerarchie militari e del nuovo papa Pio XI che era subentrato a Benedetto XV,

morto nel febbraio del 1922. Il nuovo indirizzo lo saldò maggiormente anche con la propria base piccolo borghese, monarchica e cattolica.

Nel febbraio del 1922 il governo fu affidato a Luigi Facta, giolittiano sbiadito. Approfittando della debolezza politica del nuovo esecutivo, la violenza squadrista

si spinse oltre l'ambito locale dando vita ad operazioni sempre più ampie e clamorose: intere province fatte oggetto delle loro scorrerie, centri urbani occupati.

7 Nell’Impero di Etiopia, era titolo della più alta dignità nella gerarchia dello stato, dopo il negus, e anche dei sovrani o dei capi feudali delle maggiori province. Espressione

impiegata per indicare i gerarchi e capi locali del fascismo. 8 Balbo, Italo. - Uomo politico e aviatore italiano (Quartesana, Ferrara, 1896 - Tobruk 1940). Partecipò alla guerra 1915-18 dapprima come ufficiale degli alpini, poi come

comandante di un reparto di arditi. Fondatore del fascismo ferrarese (1920), fu uno dei capi più in vista di quello padano e si distinse nell'organizzazione di violente spedizioni squadriste. In tale periodo assunse spesso posizioni estremistiche contro lo stesso Mussolini: così si oppose al "patto di pacificazione" tra fascisti e socialisti (1921).

12 Il 12 maggio del 1922 Italo Balbo invase Ferrara con le proprie milizie fasciste, il 27 maggio fu la volta di Bologna che venne occupata da fascisti armati in segno

di protesta contro il prefetto9 che venne destituito e il 13 luglio sotto la guida di Roberto Farinacci le squadre fasciste spadroneggiarono a Cremona. A questo

attacco i socialisti non seppero opporsi né sul piano della mobilitazione di massa né su quello della tattica parlamentare. Quando ormai la situazione era

abbondantemente compromessa, alla fine di luglio il gruppo parlamentare socialista riformista, in contrasto con la linea intransigente imposta dalla direzione

del partito, diede la propria disponibilità ad appoggiare un governo di coalizione democratica, ma la scelta era tardiva. Controproducente si rivelò pure la

decisione dei dirigenti sindacali di proclamare per il 1° agosto uno sciopero generale legalitario in difesa delle libertà costituzionali si trasformò nell'occasione

per i fascisti di presentarsi come i custodi dell'ordine, scatenando un'offensiva contro il movimento operaio.

D'altra parte il Psi era dilaniato dalle lotte intestine che sfociarono nell'espulsione della corrente riformista guidata da Turati10. I riformisti fondarono una nuova

organizzazione: il Partito socialista unitario (Psu), il cui primo segretario fu Giacomo Matteotti.

La marcia su Roma il gruppo dirigente fascista ritenne che era giunto il momento dell'insurrezione generale e progettò la marcia su Roma. Mussolini tuttavia era consapevole che

la milizia fascista non avrebbe avuto scampo se si fosse scontrata con l'esercito regolare, ma riteneva che la prova di forza potesse esercitare la giusta pressione

politica per conseguire il suo scopo.

Migliaia di fascisti in armi confluirono verso la capitale il 28 ottobre. Facta, presidente del consiglio, propose di decretare lo stato d'assedio, ma Vittorio

Emanuele III respinse la proposta e affidò a Mussolini l'incarico di formare un nuovo governo.

Verso la dittatura Il primo governo fascista comprendeva anche liberali, popolari e indipendenti. Fu sostenuto inoltre da una larga maggioranza parlamentare.

Linea liberista e produttivista Tra il 1923 e il 1925 si assistette a una ripresa economica promossa da una politica di sostegno ai capitali colpiti invece dal precedente governo giolittiano

attraverso la tassazione dei redditi azionari e dei sovrapprofitti di guerra. A compensazione di questa defiscalizzazione dei capitali vennero aumentate le

imposte indirette (sui consumi) e si tassarono i salari degli operai e i redditi dei contadini. Si intervenne pure sulla spesa pubblica riducendola drasticamente. Si

adottò una politica liberistica favorevole all'iniziativa privata: deburocratizzazione dell'attività economica, facilitazioni fiscali per la fusione delle società, ecc.

D'altra parte vennero messi a disposizione ingenti capitali che favorirono gli investimenti e la produzione in modo particolare nel settore manifatturiero.

9 Il prefetto aveva emesso un decreto che restringeva l'uso della manodopera contadina.

10 In occasione del congresso tenutosi ai primi di ottobre del 1922 a Roma.

13 Dal 1924 al 1926 si verificò un piccolo boom economico grazie alla congiuntura internazionale favorevole che determinò un notevole incremento delle

esportazioni di manufatti11. Nel 1926 la situazione internazionale cambiò con i primi segni di un nuovo ristagno.

Cambio di rotta Ma Il prezzo dell'incremento produttivo fu un riaccendersi dell'inflazione, un deficit della bilancia commerciale12 e una svalutazione della lira, tanto che il

ministro liberale delle finanze De Stefani, poco propenso a un intervento statale nell'economia fu sostituito nell'estate del 1925 da Giuseppe Volpi, che cambiò

indirizzo accentuando l'intervento statale nell'economia, sostenendo una politica fondata sulla deflazione (attraverso la riduzione della circolazione monetaria)

e sulla stabilizzazione monetaria.

È in questo nuovo contesto che Mussolini lancia la famosa battaglia del grano finalizzata al raggiungimento dell'autosufficienza nel settore cerealicolo. La

seconda battaglia impostata da Mussolini-Volpi fu quella per la rivalutazione della lira. Nell'agosto del 1926 il duce annunciò di voler restituire forza alla moneta

fissando l'obiettivo di quota novanta: 90 lire per una sterlina. L'intento era quello di tranquillizzare i ceti medi risparmiatori. In poco più di un anno l'obiettivo

fu raggiunto attraverso provvedimenti di limitazione del credito e l'aiuto di un cospicuo prestito concesso da grandi banche americane. I prezzi interni

diminuirono per effetto della politica deflazionistica (contrazione del credito) e del minoro costo delle importazioni e la lira recuperò il potere d'acquisto

perduto.

Negli stessi anni, dal 1922 al 1926, si assistette all'avvento e al consolidamento del regime fascista.

L'avvento del regime fascista Dopo la marcia su Roma Mussolini intraprese la strada verso l'instaurazione di un regime in luogo dell'agonizzante stato liberale. Innanzitutto nell'ottica del

disprezzo verso il parlamento e il sistema rappresentativo, istituì nel dicembre del 1922 il Gran Consiglio del Fascismo, composto dai maggiori esponenti del

partito fascista e del governo. La nuova istituzione assunse numerose funzioni prima attribuite al parlamento. A difesa del regime le squadre d'assalto

protagoniste dello squadrismo vennero organizzate nel gennaio del 1923 nella milizia volontaria per la sicurezza nazionale. L'istituzionalizzazione della Milizia

non interruppe le violenze illegali contro gli oppositori, alle quali si sommava ora la repressione legale condotta dalla polizia e dalla magistratura. Le vittime

principali della repressione furono ora i comunisti, costretti già a partire dal '23 a una sorta di semiclandestinità. Il sindacato non fascista riuscì a sopravvivere

solo dove rappresentava le categorie più compatte, come quella dei metalmeccanici il cui sindacato era la Fiom. Il numero degli scioperi nel 1923 scese a livelli

11

Esportazione favorita anche dal processo di svalutazione della lira. 12

Fatta eccezione per i prodotti manifatturieri esportati.

14 insignificanti e i salari reali dei lavoratori subirono un'erosione che li riportò ai livelli dell'anteguerra. Nella primavera del 1923 il filosofo Giovanni Gentile,

ministro della pubblica istruzione, varò la riforma scolastica13 che corrispondeva per molti aspetti alle attese del mondo cattolico:

l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole elementari14

l'introduzione di un esame di Stato al termine di ogni ciclo di studi (nell'ottica di un'equiparazione tra scuole pubbliche e scuole private)

La riforma, inoltre, prevedeva:

l’elevazione dell'obbligo scolastico a 14 anni d’età

i bambini avrebbero frequentato solo per cinque anni una scuola unitaria, la scuola elementare, mentre negli anni successivi avrebbero dovuto

compiere una scelta tra quattro possibilità:

o il ginnasio, quinquennale, che dava l’accesso al liceo classico o al liceo scientifico (per molti aspetti simile al liceo moderno);

o l’istituto tecnico triennale, seguito da quattro anni di istituto tecnico superiore;

o l’istituto magistrale di sette anni, destinato alle future maestre;

o la scuola complementare, al termine della quale non era possibile iscriversi ad alcun altra scuola

Si trattava di un sistema che riprendeva molti aspetti della vecchia legge Casati, anche per quanto riguarda l’accesso alla università: solo i diplomati del liceo

classico avrebbero potuto frequentare tutte le facoltà universitarie, mentre ai diplomati del liceo scientifico sarebbero stato possibile accedere alle sole facoltà

tecnico-scientifiche. Agli altri diplomati era invece impedita l’iscrizione all’università.

Il riavvicinamento con la Chiesa che abbiamo visto concretizzarsi con l'elezione del nuovo papa Pio XI, determinò la rottura tra il fascismo e i popolari presenti

nel governo. Il partito popolare rappresentava il più forte e il più scomodo degli alleati del governo di Mussolini, ma costituiva anche per le gerarchie

ecclesiastiche un ostacolo sulla strada di un miglioramento dei rapporti tra Chiesa e Stato. Così nell'aprile del 1923 Mussolini costrinse i ministri popolari a

rassegnare le dimissioni e il Vaticano impose a Don Sturzo, convinto antifascista, di lasciare la segreteria del partito. (Nel 1924 prenderà la via dell'esilio).

13

La riforma (la più organica dall'unificazione d'Italia in poi) concepiva la scuola come funzione essenziale dello stato; tuttavia consentì, in omaggio al principio della libertà d'insegnamento, l'istituzione di scuole private, a fianco di quelle pubbliche, ma con il controllo dello stato sulle une e le altre mediante l'"esame di stato", che doveva altresì accertare la maturità del candidato; intese sostituire all'istruzione manualistica e informativa quella formativa che si basa sul contatto diretto con gli autori classici; riconobbe, in antitesi all'indirizzo strettamente intellettualistico della scuola tradizionale, il valore dell'educazione estetica e di quella religiosa; promosse l'educazione fisica e sportiva; rinnovò le scuole di tipo moderno e professionale. [estratto da Treccani on-line] 14

Con il Concordato del 1929 tra stato fascista e chiesa cattolica, il ruolo del cattolicesimo nella scuola si ampliò ulteriormente, diventando insegnamento obbligatorio anche nelle scuole medie e superiori; inoltre la sua gestione venne affidata a docenti nominati dai vescovi.

15 Nel luglio del 1923 con l'intento di rafforzare la maggioranza di governo indebolitasi con l'allontanamento dei popolari, Mussolini riuscì a varare una nuova

legge elettorale maggioritaria col voto di buona parte dei liberali e dei cattolici di destra. La lista che avesse ottenuto la maggioranza relativa con almeno il 25%

dei voti avrebbe ottenuto i due terzi dei seggi disponibili. Il 6 aprile 1924 si svolsero le elezioni che furono precedute e accompagnate dal ricorso alla violenza

da parte dei fascisti contro gli avversari. I fascisti si presentarono insieme a molti esponenti liberali e ad alcuni cattolici conservatori nelle liste nazionali15, le

forze antifasciste invece non si coalizzarono, correndo ciascuna per proprio conto. Il risultato fu che le liste nazionali stravinsero ottenendo il 63% dei voti e più

di tre quarti dei seggi; il successo fu tale da rendere inutile il meccanismo della legge maggioritaria.

Il 10 giugno 1924 il deputato Giacomo Matteotti, segretario del Partito socialista unitario, fu rapito a Roma e ucciso a pugnalate. Il suo cadavere fu trovato due

mesi dopo fuori Roma. Dieci giorni prima di morire Matteotti aveva denunciato alla Camera le violenze fasciste e contestato la validità dei risultati elettorali.

L'episodio dell'uccisione del deputato scosse l'opinione pubblica e il fascismo si trovò per un momento isolato. I giornali antifascisti moltiplicarono le vendite

ma l'opposizione era debole. Fortemente ridimensionata dalle ultime elezioni, non era in grado di mettere in minoranza il governo né di organizzare una prova

di forza con una mobilitazione di piazza. Fu presa allora l'iniziativa di astenersi dai lavori parlamentari e di riunirsi separatamente in segno di protesta.

L'iniziativa che è stata definita secessione dell'Aventino ebbe un significato ideale più che un'efficacia pratica. I partiti aventiniani speravano infatti che ponendo

la questione morale delle violenze e delle illegalità del fascismo qualcosa si muovesse: ma il re non intervenne e i sostenitori in parlamento dei fascisti non

tolsero l'appoggio al governo pur manifestando le proprie perplessità. Mussolini venne loro incontro dimettendosi da ministro degli Interni e allontanando

alcuni suoi collaboratori maggiormente coinvolti nell'affare Matteotti. Nel giro di pochi mesi l'ondata antifascista rifluì e Mussolini passò al contrattacco: il 3

gennaio 1925 tenne alla Camera un discorso con cui ruppe ogni indugio e minacciò di usare la forza contro le opposizioni. Nei giorni successivi i partiti

d'opposizione e i loro organi di stampa furono duramente colpiti. La strada verso la dittatura era ormai spianata.

Nell'aprile del 1925 uscì un manifesto degli intellettuali fascisti promosso da Giovanni Gentile a cui fece seguito un contro-manifesto redatto da Benedetto

Croce che si ricollegava ai diritti di libertà ereditati dal risorgimento.

La stampa che in occasione del delitto Matteotti aveva assunto una posizione antifascista venne fascistizzata; gli organi di stampa dei partiti antifascisti ridotti

al silenzio. Nell'ottobre del 1925 la Confindustria con il patto Vidoni s'impegnò a riconoscere la rappresentanza dei soli sindacati fascisti.

Si procedette quindi a un'attività legislativa volta a legalizzare la dittatura, il cui protagonista fu il ministro di Grazia e Giustizia Alfredo Rocco: innanzitutto nel

dicembre del 1925 una prima importante legge in questa direzione fu quella che attribuiva al capo del governo (il duce) poteri eccezionali, concentrando nella

sua persona più cariche (capo del governo, ministro della guerra, ministro degli interni e degli esteri). Nel 1926 una legge sindacale proibì lo sciopero e

riservava ai soli sindacati fascisti la contrattazione. Nel novembre del 1926 subito dopo l'ultimo attentato a Mussolini, una raffica di provvedimenti eliminò le

ultime tracce di vita democratica. Si tratta delle cosiddette leggi fascistissime: vennero sciolti tutti i partiti antifascisti e soppresse le pubblicazioni di stampa

15

In un rapporto di forza invertito rispetto ai blocchi nazionali delle elezioni del 1921: ora i fascisti erano la forza dominante.

16 contrarie al regime; i deputati aventiniani furono dichiarati decaduti; fu reintrodotta la pena di morte per i reati contro la sicurezza dello Stato. Per giudicare tali

reati fu istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato composto non da giudici ordinari ma da ufficiali delle forze armate e della Milizia.

Lo Stato liberale non esisteva più, sostituito da un regime a partito unico, in cui era stata annullata la separazione dei poteri concentrando in un solo uomo le

decisioni importanti. A differenza degli antichi sistemi assolutistici non si accontentava di tenere soggiogato il popolo ma aveva come obiettivo quello di

inquadrarlo in proprie organizzazioni e formarlo ideologicamente (totalitarismo).

Molti esponenti antifascisti furono costretti a prendere la via dell'esilio. Nel 1926 morirono Piero Gobetti e Giovanni Amendola in seguito alle conseguenze di

aggressioni fisiche fasciste. Antonio Gramsci ed altri esponenti del partito comunista vennero arrestati.

Nel 1928 venne approvata una nuova legge elettorale che introduceva il sistema della lista unica: gli elettori avevano la possibilità di approvarla o respingerla in

blocco. Sempre nel 1928 il Gran Consiglio del fascismo venne dotato di prerogative importanti tra cui quella di preparare le liste elettorali.

L'Italia fascista

Le organizzazioni fasciste Lo scopo era quello di inquadrare e trasmettere i valori fascisti alla popolazione italiana. Nel 1925 venne creata l'Opera nazionale dopolavoro, il cui scopo era

quello di organizzare il tempo libero degli operai con iniziative sportive e culturali. Nel 1926 fu la volta dell'Onb16, organizzazione nazionale balilla, che si

prefiggeva di formare le giovani generazioni negli ideali fascisti: l'esaltazione della guerra, della prestanza fisica, della nazione-patria, ecc. L'organizzazione

inquadrava i ragazzi dai 12 e i 18 anni, distinti in balilla e avanguardisti. Per i bambini sotto i 12 anni fu creata l'organizzazione i Figli della lupa.

La Chiesa In questa azione della dittatura volta al controllo delle giovani generazioni esisteva un ostacolo rappresentato dalla Chiesa cattolica e dalle sue organizzazioni

radicate nel territorio come l'Azione cattolica. Con la Chiesa fu raggiunto un accordo di pacificazione con i Patti lateranensi, sottoscritti l'11 febbraio del 1929

da Mussolini e dal cardinale Gasparri, segretario di stato vaticano. I Patti comprendevano tre documenti distinti:

Trattato: riconoscimento da parte dell'Italia dell'autonomia e dell'indipendenza della Città del Vaticano, e riconoscimento da parte del pontefice dello

Stato italiano con capitale Roma. La religione cattolica definita religione di Stato.

Convenzione finanziaria: pagamento di un indennizzo per i beni espropriati alla Chiesa con la presa di Roma del 1870.

16

Nel 1937 assorbita nella Gioventù italiana del Littorio.

17

Concordato: i vescovi dovevano prestare un giuramento di fedeltà allo Stato italiano; riconoscimento civile del matrimonio religioso; introduzione

dell'insegnamento obbligatorio della religione nelle scuole pubbliche.

Per contrastare l'associazionismo cattolico si scelse invece la linea dura: nel 1931 Mussolini inviò ai prefetti l'ordine di chiudere le sedi dell'Azione cattolica.

Propaganda il fascismo per affermare la propria ideologia impiegò i mezzi di comunicazione di massa.

Stampa I direttori non allineati vennero allontanati. I giornalisti dovevano avere un certificato di buona condotta politica rilasciato dal prefetto, per ottenere l'iscrizione

all'albo professionale e lavorare. Venne istituito l'Ufficio stampa e propaganda (trasformato nel 1937 nel Ministero della Cultura popolare, Minculpop)

preposto a controllare le veline17 delle notizie che l'Agenzia di stampa nazionale (la Stefani) doveva fornire ai quotidiani.

Cinema e radio L'Istituto luce venne utilizzato per realizzare cinegiornali di attualità che esaltassero le azioni del regime. L'Eiar organizzava le trasmissioni radio, altro mezzo con

cui era possibile raggiungere le masse. Tuttavia l'apparecchio radio non ebbe la diffusione sperata.

Tutto questo per ottenere una politicizzazione passiva delle masse, senza spirito critico e libera discussione. Se qualcuno non si adeguava alle direttive del

regime e cercava di sfuggire alle maglie strette della rete totalitaria, l'opera di repressione era affidata alla polizia segreta, l'Ovra, e al Tribinale speciale per la

difesa dello Stato.

i Sturzo ‹-zo›, Luigi. - Uomo politico italiano (Caltagirone 1871 - Roma 1959). Sacerdote (dal 1894), convinto assertore della necessità di coerenza per i credenti tra vita religiosa

e impegno politico, attento analista dei rapporti tra Chiesa e Stato, fondò il Partito popolare italiano (1919). Antifascista, S. fu sempre fedele all'idea che le libertà sociali e la

democrazia costituiscano un binomio inscindibile a patto che non vengano schiacciate dagli eccessi dello statalismo.

Vita e attività

17

Veline: suggerimenti, se non piuttosto imposizioni su cosa dovevano scrivere e non scrivere i quotidiani. Dettagliate e ossessive, venivano quotidianamente visionate dal duce in persona.

18 Dopo aver studiato in seminario a Caltagirone ed essere stato ordinato sacerdote, si trasferì a Roma dove si laureò in teologia all'università gregoriana (1898) e dove entrò in

contatto con R. Murri e G. Toniolo, avvicinandosi agli ambienti della democrazia cristiana. Tornato a Caltagirone, dove già nel 1897 aveva fondato il giornale La Croce di

Costantino, S. promosse la costituzione di cooperative agricole, casse rurali e società operaie, nel quadro di un progetto di rinnovamento dell'economia meridionale fondato

sulla media e piccola proprietà, sul rifiuto del protezionismo e dell'assistenzialismo statale e sull'ampliamento delle autonomie locali. Fautore della partecipazione dei cattolici

alla vita politica, ma rispettoso del non expedit, concentrò la sua attività nell'ambito amministrativo. Prosindaco di Caltagirone (1905-20), vicepresidente dell'Associazione dei

comuni italiani (1915-24), fu segretario della Giunta dell'Azione cattolica (1915-17). Nel dopoguerra, venuto meno il non expedit, fondò il Partito popolare italiano (genn. 1919),

di cui assunse la carica di segretario. Contrario alla partecipazione dei popolari al governo Mussolini (ott. 1922), nel congresso di Torino (apr. 1923) S. riuscì a portare il PPI

all'opposizione. Costretto a dimettersi da segretario del partito (luglio 1923) sostenne la secessione dell'Aventino e la collaborazione con i socialisti. Nel 1924 fu indotto dal

cardinale P. Gasparri a lasciare l'Italia e si stabilì a Londra, poi a New York (1940). Rientrato in Italia (1946), riprese l'attività politica, pur non aderendo ufficialmente alla

Democrazia cristiana, e particolarmente dura fu la sua battaglia contro l'intervento statale nell'economia e la sua polemica contro la sinistra. Senatore a vita (1952), dal 1954 fu

vicepresidente dell'Istituto della Enciclopedia Italiana.

Opere

Tra le sue opere si ricordano: Italy and fascismo (1926); Essai de sociologie (1935); Politics and morality (1938); Sul partito popolare italiano (3 voll., 1956). Postume sono

apparse: Mezzogiorno e classe dirigente (a cura di G. De Rosa, 1985); Opere scelte (6 voll., 1992). Nel 1954 è stato dato inizio alla pubblicazione degli Opera omnia a cura

dell'Istituto di scienze sociali e storiche L. Sturzo, fondato nel 1951. [Treccani online]