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ETIMOLOGIE GRECHE di MARCELLO DURANTE 1. bCXL, micen. daiqota Omerico bcxt 'battaglia, scontro', presente soltanto nell'Iliade, è locativo di un nome radicale, e non di un tema in -i quale ricostruì Gallimaco, fr. 518, 562 Pf. (MLV), in quanto la voce ha prosodia pirrichia (N 286, a 387, n 739) eccettoché la seconda sillaba si wllunghi per posizione (<l> 146, 301). Un loca- tivo o dativo di tema in -i non può configurarsi come puro tema 1. È vero che la serie ecc., e prima ancora il personale cnossio daiqota, sembrano richiedere un tema in -i, quale infatti assume Chantraine, Dict., I, p. 271 2. Però, anche se passiamo sopra al fatto che tali antro- ponimi, -almeno quelli del I millennio, hanno una prosodia differente da omer. bcxt, la loro anaHsi morfologica non ammette soltanto la detta solu- zione. Infatti, se veramente il micen. contiene un nome per 'battaglia', allora è ovvio che questo non funge da complemento oggetto, ma da determinazione locativale: 'che uccide in battaglia'; analogamente gli altri nomi citati; per i quali, però, è incerto se il secondo elemento abbia natura verbale o nominale, in quanto bahuvrIhi. In ogni caso, si possono ben assumere dei composti ipostatici, in cui vI primo membro ha, appunto, forma declinata. È il caso ad esempio, di omer. e addirittura di se si ammette la scrittura univeroizzata in <l> 146, 1 La desinenza di locativo dei nomi in viene illustrata da r 50; i dati compa- rativi in K. Brugmann, Grundriss, II, 2, p. 176. Un dativo avrebbe una finale ovvero ovvero -i:, cfr. Chantraine, Gramm. homér., I, p. 217. 2 Per l'altro antroponimo miceneo daipita C. Gallavotti mi ricorda il nome omerico (A 420) confrontandolo con 'OrtL't'T]C; (A 301).

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ETIMOLOGIE GRECHE

di MARCELLO DURANTE

1. bCXL, b1)LO~, micen. daiqota

Omerico bcxt 'battaglia, scontro', presente soltanto nell'Iliade, è locativo di un nome radicale, e non di un tema in -i quale ricostruì Gallimaco, fr. 518, 562 Pf. (MLV), in quanto la voce ha prosodia pirrichia (N 286, a 387, n 739) eccettoché la seconda sillaba si wllunghi per posizione (<l> 146, 301). Un loca­tivo o dativo di tema in -i non può configurarsi come puro tema 1. È vero che la serie à'l1tq>o~o~, à'l1tq>ovo~ ecc., e prima ancora il personale cnossio daiqota, sembrano richiedere un tema in -i, quale infatti assume Chantraine, Dict., I, p. 271 2. Però, anche se passiamo sopra al fatto che tali antro­ponimi, -almeno quelli del I millennio, hanno una prosodia differente da omer. bcxt, la loro anaHsi morfologica non ammette soltanto la detta solu­zione. Infatti, se veramente il micen. àiiLxwh6v'tii~ contiene un nome per 'battaglia', allora è ovvio che questo non funge da complemento oggetto, ma da determinazione locativale: 'che uccide in battaglia'; analogamente gli altri nomi citati; per i quali, però, è incerto se il secondo elemento abbia natura verbale o nominale, in quanto bahuvrIhi. In ogni caso, si possono ben assumere dei composti ipostatici, in cui vI primo membro ha, appunto, forma declinata. È il caso ad esempio, di omer. àp'l1tq>cx'to~, àpT)tq>LÀ.O~, bopix'tT)'to~, e addirittura di bCXLX'tàp.EVO~, se si ammette la scrittura univeroizzata in <l> 146,

1 La desinenza di locativo dei nomi in -~ viene illustrata da 1t6)..T]~ r 50; i dati compa­rativi in K. Brugmann, Grundriss, II, 2, p. 176. Un dativo avrebbe una finale -E~, ovvero -~~, ovvero -i:, cfr. Chantraine, Gramm. homér., I, p. 217.

2 Per l'altro antroponimo miceneo daipita C. Gallavotti mi ricorda il nome omerico ..iT]~01tL't'T]C; (A 420) confrontandolo con 'OrtL't'T]C; (A 301).

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301. Un precedente miceneo di tale categoria sta nell'antroponimo wipinoo FLq>(.VOOC;; un'antica terminazione locativale si ha nell'altro antroponimo aeriqota, cfr. omer. 'HEP(.~OLct (il primo membro va con llPL, il secondo con ~6C1XW, micen. su-qota).

Non è dubbio che omer. Octt procede da un nome radicale: ma qual forma attribuire al tema? Generalmente si è postulato un tema 'a dittongo *dau-; cosi ancora Frisk, Wort., I, p. 339. È un assunto insostenibile. Illes­sico omerico presenta alcune voci che palesemente sono corradicali di Octt: oTji:oc; 'nemico', aggettivo e sostantivo, oT}i:6w, OT}tw 'tratto ostilmente, lacero, uccido', OT}i:o'tTjc;: la prova della correlazione sta appunto in quest'ultima voce, che si può definire come un mero sostituto della parola in questione, utiliz­zato in contingenze prosodiche o sintattiche differenti. Per la coerenza dei significati richiamiamo anche un'analogia extraellenica: Ja serie ant. ind. satru- 'nemico, avversario', gallico catu- 'battaglia', ted. Rader 'contesa', ecc. Che le parole in questione abbiano avuto un digamma non si può dimostrare. Esiste, è vero, un altro oTji:oc; omerico, ma la prosodia e la semantica assicurano che si tratta di una pura omografia. Questa voce, infatti, ha le prime due sillabe brevi in tesi di quinto piede (oTji:ov 1tVp) o di quarto piede (1tVPÒC; OTji:OLO). Invece le prima sillaba di oTji:oc; 'ostile' compare assai spesso in arsi; altre volte OT}L- costituisce tesi, nel qual caso si assumerà sinizesi o consonantizzazione di L, o anche una contaminazione di due parole entrambe uscite dall'uso vivo. Quanto al significato di oTji:ov 1tVP, è evidente il rapporto con i}EC11tLOctÈC; 1tVp e quindi con Oct(.w < *OctFLW. Che si tratti di p.arole diffe­renti, è ovvio. Non si capisce perché Chantraine, loc. cit., registri tra le spiegazioni possibili una peraltro illogica evoluzione semantica da 'bruciante' a 'nemico', quando egli stesso si mostra consapevole che la forma micenea daiqota esclude la presenza di un digamma nell'elemento AT}i:-.

Dunque, risulta impossibile ricondurre Octt e oTji:oc; a un elemento * ddu-. Giungiamo cosi a quella che, per procedimento di esclusione, risulta essere l'unica soluzione disponibile: un elemento *dds-, che funge da nome radicale nel primo caso, da derivato, di questo o di una formazione diversa, nel secondo. La scrittura micenea daiqota (ed eventualmente gli altri antroponimi daipita, daiwowo, daizeto, se contengono lo stesso elemento), conferma che la sequenza -ai- non costituisce dittongo, ma è divisa dall'aspirazione o, se si vuole, dallo iato succedanei di -s-: 3 altrimenti, di norma, il secondo elemento

3 Non è solo questa ragione che depone a sfavore del collegamento con hitt. la1J1Ja­'spedizione militare', proposto da R. Gusmani, « SMEA» 6 (1968), p. 14 sgg. La parola ittita continua certamente un'occlusiva velare in posizione interna, come conferma il mHiaco laka-, accennato dallo stesso Gusmani, il quale è pertanto costretto ad ipotizzare una corrispondenza di sostrati (in tal caso, dovremmo ammettere che anche il sostrato pregreco spirantizzava· le velari intervocaliche, ma sarebbe facile addurre esempi in contrario), oppure un prestito da una fase remota del greco.

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di dittongo non sarebbe scritto. L'apofonia quantitativa si addice appunto a un nome radicale e ai suoi derivati: cfr. ad esempio XPWC;, Xpo6c;, XPw't6C;, XPoLIi, xPci>~w.

È possibile individuare corrispondenze extraeUeniche per la nostra serie lessicale? Se assumiamo come esclusivo termine di confronto il nome radicale, i collegamenti extra- ed endo ellenici che si possono istituire presen­tano un certo margine di opinabilità, come vedremo tra poco. Ma è altret­tanto lecito prendere in considerazione sul piano comparativo anche l'agget­tivo (e sostantivo) 01)LOC;, perché si tratta di una parola arcaica, vitale soltanto in Omero. Ora, in base a quanto si è detto finora, risulta che 01)LOC; continua necessariamente *dasiio-. E allora, non si può eludere il collega­mento con ant. ind. dasa- 'nemico, straniero'. Il rapporto dasa-: 01)LOC; è perfetto sul piano semantico e del tutto normale nell'oroine morfologico, l'aggettivo greco st.ando al sostantivo indiano come, ad esempio, t1t'ltLOC; a L1t1tOC;. E risulterà ancor più verosimile, ave si consideri che la parola indiana non soltanto è comune all'iranico, ma risale a una fase preistorica in cui l'aria si trovava a cont,atto con popolazioni ugrofinniche, come si deduce dal prestito vogulo tas 'straniero' 4.

La radice comune a dasa-, 01)LOC; e al nome radicale contenuto in orxt, potrebbe ritrovarsi in funzione verbale nell'ant. indiano abhi-dasati, verbo documentato soltanto in poche forme, che di solito viene impiegato in sequenze del tipo di R. V. I, 79, 11: y6 na agne 'bhiddsaty anti duré padiHa sa~ 'chi ci combatte (tratta ostilmente, perseguita, minaccia), vicino o lontano, quello, o Agni, cada in rovina'. Il participio abhiddsat- funge da epiteto di amttra- 'straniero, nemico' e, in funzione sostantivata, indica semplicemente il nemico, R. V. X, 102, 3. Di questo verbo si sono date analisi interne all'indiano, a nostro parere non convincenti 5. Si è anche pro­posto un collegamento col verbo omerico Ol}W, che può tradursi tanto 'trovare' che 'incontrare'. Se moviamo dal secondo significato e assumiamo una ~adice *das-, il divario semantico dal verbo indiano e daLle voci che abbiamo considerato in precedenza, non verrebbe a costituire un ostacolo insormontabile, perché le nozioni dell'incontrarsi e dello scontrarsi coesistono spesso, cfr. i vari significati di Ò{l.rxp'tÉw, aywv, O{l.LÀ.OC;, CTUVOOOC;. Un altro collegamento interno al greco, questo direttamente afferente a orxt < *das-i, potrebbe individuarsi nell'enigmatico epiteto deUa Erinni OaCT1tÀ.fj'tLC; o 234, ave lo si in tenda 'colei che induce (1tEÀ.Ii~w) discordia'. Le etimologie consi-

4 M. Mayrhofer, Etym. Wort. des Altindischen, II, p. 38. 5 Denominativo di diisa-: Mayrhofer, loc. cito Congiuntivo aoristo di una radice dii-:

J. Narten, «Kuhn's Z.» 78 (1963), p. 61 sgg. Il ragionamento della Narten è teoricamente ineccepibile, in quanto si fonda sull'hapax tardovedico abhidati. Senonché il passo relativu (S. V. I, 336, donde Jaim. S. I, 355) non fa che rielaborare i~ formulario comune al più antico abhidasati. Sarà da assumere una contaminazione con dati 'divide'?

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derate in questo capoverso sono tutte congetturali, perché concernono parole, di cui si possono dare spiegazioni differenti. Non si reperisce, invece, una soluzione alternativa per la voce omerica O"ijPLç 'lotta', che analizziamo come *diis-ri-, attribuendole il suffisso di LOPLç, OXPLç. Il tradizionale collegamento con l'ant. indiano -diiri- va certamente abbandonato, perché questo è un elemento composizionale documentato in epoca assai tarda e di dubbia valu­tazione 6. Il richiamo al verbo oÉpw non ha alcun fondamento.

II. oi'i~oç, micen. damo

Per molte generazioni di studiosi l'etimologia di oi'i~oç non ha costi­tuito un problema. Anche i manuali etimologici più recenti si limitano a riferire la spiegazione tradizionale, pur se affiora tra le righe un'ombra di dubbio. La tesi canonica vuole che oi'i~oç abbia significato originadamente 'partizione', e pertanto sia da ancorare alla serie lessicale a cui appartengono, tra l'altro, O(1LO~(1L, O(1'tÉO~(1L, o(1Ci~6ç. Qui emergono i primi motivi di perples­sità, ancora, se si vuole, di poco conto: una forma radicale *dii- 'dividere' non è documentata altr1menti in greco (anzi, nemmeno nelle altre lingue eccetto l'indiano, dove può ben costituire uno sviluppo monoglottico); e nomi verbali in -~o sono generalmente ossitoni. A convalidare l'antichità indoeuropea della · formazione si è addotto a'irlandese antico d!Jm (mod. d!Jmh) , che significa 'schiera, assieme di persone'. Senonché i dati morfo­logici non collimano, perché la voce irlandese continua un suffisso -mii- e ha genere femminile; un tema in -o si ha invece nel gruppo britannico, ma qui i significati sono ben diversi: 'cliens' viene glossata la corrispondenza gallese antica, 'gener' quella cornica, e questo, ovvero 'suocero', sono i valori documentati dai testi. Quale o qua1li significati si debbano ricostruire per la fase paleoceltica, è impossibile stabilire.

Conformemente a tale etimologia, il significato primario sarebbe stato non 'entità divisa', ma 'atto del dividere', cfr. o(1~6ç, ~EPL~6ç, xwpL~6ç. Tuttavia il passaggio all'accezione concreta non farebbe ditficoltà: un esem­pio miceneo, pertinente alla stessa categoria mor,fologica, è fornito da dosomo oOCi~6ç 'tributo'. Senonché, il damos protostorico non si configura come il risUiltato di una partizione, d'ordine sociale o territoriale, non si presenta come una sottounità, qual è invece il demos attico in rapporto alla phyle. In miceneo, la terra da coltivare concessa in beneficio a un gruppo di persone, non si chiama damo, bensì kotona X1:OL'\I(1, parola questa che gli antichi s-piega­rono appunto come oi'i~oç ~E~EPLCi~É'\IOç; in Dmero porta invece un nome più generico, dr. ÈMCiCi(1't' &'POVP(1ç S 10. Viceversa il damos, in quanto entità

6 Mayrhofer, op. cit., II, p. 59.

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territoriale, consta delle terre date in usufrutto o in locazione (onato) a singoli, e probabilmente anche di aree non frazionate e sfruttate colletti­vamente 7. In quanto aggregato sociale è, di conseguenza, una comunità con prevalenti interessi iagricoli, una XW(.l.T). Questa è la valutazione del termine che meglio aderisce ai dati testuali, in quanto non c'è menzione di damo che non debba interpretarsi in rapporto allayoro o ai pr-odotti della terra o all'as­segnazione di fondi agricoli. Bisogna aggiungere, però, che sul posto che compete al damos entro il contesto della società micenea, i testi ci danno informazioni insufficienti e in parte problematiche. Rimangono da definire questioni importanti d'ordine filologico, come la valutazione deLla voce tereta, e, nel contempo, grossi problemi d'ordine storico: se e in che misura la società micenea si articolasse in organismi sociali chiusi, in classi, e qual posto spettasse, entro o fuori delle comunità agricole, agli altri ceti, agli artigiani, ai commercianti, ai sacerdoti, ai guerrieri (posto che esistesse un ceto di guerrieri). Non è da esoludere che in fase tardomicenea il termine avesse raggiunto un'accezione più estensiva, in quanto comunità tout court, cioè assieme degli uomini liberi di uguale dignità: in tal senso può deporre la voce OT)(.l.Loupy6C; 'ò 'tà. OT)(.l.LOC pÉswv', 'colui che esercita funzioni di interesse pubblico', che veramente non -è attestata nelle tavolette, però, data La sua amplissima diffusione, dovrebbe risalire alla fase micenea. Comunque, ritor­nando al problema che qui più importa, anche se volessimo assumere un'acce­zione antica 'popolo', evidentemente essa non si concilia col presunto senso etimologico 'partizione', perché la differenziazione tra 1tÀ:i)i}oc; e &pLCT'tOL

non si configura come un rapporto ~V l:CT~, tra entità comparabili. Gli impieghi omerici si raggruppano attorno a due valori base, comu­

nità, e terra, territorio. In quanto comunità, oi'j(.l.OC; si configura qualche volta come l'assieme di tutti i cittadini, a prescindere da distinzioni sociali, e qui si ha sicuramente un'evoluzione ri&petto allo stato di cose rispecchiato nelle tavolette: è il caso dell'aggettivo OT)(.l.LOC;, e ancora, ad esempio, dei OT)(.l.oyÉPOV'tEC; di r 149 (altre volte i yÉpOV'tEC; sono qualificati come apLCT'tEt:C;,

B 404, I 89). Altre volte, naturalmente, per esempio in B 198 (cfr. 188), l'accento poggia sulla condizione sociale. Soltanto in una formula in fin di verso sembra conservarsi la distinzione tra 'città', cioè ila cittadella dove risiedeva il wanax, e il demos in quanto retro terra agricolo, distinzione conforme allo stato di cose miceneo: 1t6À.T)L 'tE 1tOCV'tL 'tE OT)(.l.~ r 50, formula ripresa in il 706 e variamente rielaborata nell'Odissea; il dativo, antico locativo, 1t6À.T)L trova qualche analogia posteriore, ma è eccezionale in Omero.

Gli impieghi che poggiano sui valori 'territorio, terra' sono da consi­derare più arcaici. Vari elementi di giudizio corroborano questa conolusione.

7 M. Lejeune, « RÉG» 78, 1965, p. 3 sgg. La bibliografia precedente in L. Baum­bach, Studies in Myc. Inscriptions and Dia/ect, Roma 1968, p. 149.

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I

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Anzitutto, una evoluzione semantica 'territorio'> 'comunità, entità ammInI­strativa' è comprensibile e documentabile: cfr. tedesco Gau, Kanton, o ancora lat. villa 'appezzamento di territorio rustico' (l'assunzione di un rapporto con VtCUS è erronea) > frane. ville, village. Non altrettanto si potrebbe dire del pas­saggio inverso. In secondo luogo, oijlJ.oc:;, in quanto 'territorio', si ha in impieghi formulari più che nel discorso libero: si noti in particolare la posizione di oijIJ.OV, OT)IJ.(P più nome proprio nelle prime due sillabe del quinto piede, B 828, Z 225, II 455; rie1aborazioni di vario genere nell'Odissea. È vero che in casi siffatti molti traducono non 'territorio', ma 'paese': tradu­zione ammissibile, considerata la ~atitudine semantica del termine, ma purché si sia consapevoli che si tratta di un'entità territoriale e non di una comunità; infatti, oijlJ.oc:; in questo senso si può a:pplicare tanto a una cittadina qualunque quanto alla Licia; e poi, quando si trova che Ulisse "t'paq>T) Èv OT)~ 'IMxT)C:;, r 201, vuoI dire ovviamente che l'eroe fu allevato nel luogo Itaca, non in mezzo al popolo di Itaca. Un impiego analogo si ha con ia~a, e non a caso in 'l' 206 le lezioni ia~av e oiilJ.ov si fanno concorrenza.

Ma il valore che sicuramente è da giudicare il più arcaico è quello di 'terra', più precisamente 'suolo' (ancora ia~a presenta un impiego analogo). Esso è riservato esclusivamente a talune formule in fin di verso: 1tLOVa oiilJ.ov, ÈC:; 1tLOVa oiilJ.ov, Èv 1tLOV~ OT)IJ.CP. Ovv~amente l'aggettivo vale 'grasso, fertile', come 1tLOVEC:; aiPoL, 1tLE~paV apovpav. Se poi un significato analogo vada assunto per parte della documentazione micenea, è un problema che lasciamo impregiudicato 8. Ci limiteremo a qualche osservazione. Nella tavo­letta KN C 59 si registra l'invio di complessi di 6 buoi o tori 'da lavoro' (wekata FEPia"t'a~) a varie località. Nella prima linea e. nella prima parte della seconda (e anche in KN C 50 lat. sup.) la qualifica wekata non com­porta ,altra precisazione, successivamente invece viene aggiunta, per due sequenze, la voce 'damo'. Abitualmente la si mette in rapporto col damos­istituzione, ma in tal caso non si capisce bene perché l'aggiunta manchi negli altri passi. Ci domandiamo se wekata 'damo' non vada inteso piuttosto come 'atti a lavorare la terra' (e allora damo si potrebbe intendere, tra ~'altro, come accusativo dipendente dal nomen agentis: un arcaismo che si è conser­vato in attico). In tal caso, si farebbe distinzione tra bestie adatte al lavoro dei campi e ad altri lavori, come il traino di carri e la soma. Ricordiamo la locuzione erodotea ÉPia't'T)C:; iiic:;, IV, 109; V, 6: è vero che essa si applica ad uomini, ma cfr. iEWPiO~V ~O~OtOW in Aristofane, Ach. 1036. La seconda

8 S. Calderone, «Sic. Gymn.» 13 (1960), pp. 81-102, ha inteso sistematicamente la voce come entità territoriale. Ma che essa :indichi, tra l'altro, un organismo sociale con sua personalità giuridica, non sembra da porre in dubbio, almeno per Pilo. Per Cnosso, l'unica testimonianza che concerne sicuramente la sfera istituzionale sta nella figura del damokoro.

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osservazione concerne gli opidamijo di PY An 830, 12; Cn 608, 2, proba­bhlmente gli uni bovari, gli altri porcari. Si intende l'aggettivo come 'abitanti del villaggio', ovvero 'coloro che sono alle dipendenze del damos in quanto istituzione collettiva'. Senonché, non solo in Omero, ma pure nello ionico recente e in attico, ÈmolUlLoc; ed Èmo1)(lÉw rendono sempre la nozione dello stare in (E1tL) un luogo, e pertanto non si vede come il composto miceneo possa aver a che fare col damos-istituzione. Verosimj;lmente si sarà trattato di bovari e porcari 'locali', ovvero 'soggiornanti (temporaneamente? Cfr. Èmo1)(lÉw) nel luogo'. Sullo stesso piano andrà posto il personale cnossio eurudamo: EVPVC;, infatti, esprime l'idea di una pura dimensione spaziale.

Dunque, il valore primario di ofj(lOC; rientra nel campo semantico 'terra'. Come non prendere in considerazione un collegamento con la voce oa e col primo elemento di À1)(l1)'t1)P 9? Veramente, a scorrere la letteratura etimo­logica relativa, sembrerebbe esistere un margine di incertezza circa il valore 'terra' dell'elemento oii- lO. I dubbi espressi in tal senso risultano essere il frutto di posizioni acritiche. Per il nome divino preferiamo, a ragion veduta, definire la questione in termini apodittici. À1)(l1)'t1)P deve significare Terra Madre, perché dalla valutazione combinata degli elementi di giudizio lingui­stici e storico-religiosi non soltanto non si evince, ma non risulta nemmeno pensabile un significato diverso. ,Per la voce oii è opportuno un discorso più lungo. Si ammette da taluno che nei testi oii funga da· interiezione, diversa­mente dal parere degli antichi, che vi vedevano la corrispondenza dorica di yfj. È un'ipotesi che non si può né dimostrare né confubare. Veramente, nelle testimonianze più antiche si ha parallelismo con una invocazione suc­cessiva: Aesch., Ag. 1072 ò'to'to'to~ 'lt6'ltOL oii, "A'ltoÀÀov, "A'ltoÀÀov, Ch. 405 'lt6'ltOL oii, VEp'tÉpWV 'tVpf.tWLOEC;, e cfr. ibid. 398 xM'tE oÈ yii Xl}OVLWV 'tE 'tL(lf.tL, nonché gli altri paralleli Suppl. 889-90 = 898-9 ò'to'to'tO~ (lii yii, (lii yii, Eur., Phoen., 1290 LW ZEV, LW yii (1296 cpEV oii, cpEV oii). In realtà, anche se concediamo che in tutta la documentazione oii abbia valore interiezionale, non può esser messo in dubbio che la sua funz.j.one primaria fosse stata la vocazione. Tale conclusione viene corroborata da motivi diversi. Il primo è d'ordine negativo: se non erriamo, non esiste in greco una sola esclama­zione che contenga la dentale sonora. Ma molto più importante è il fatto che l'invooazione a Demetra ha assunto parimenti valore di esclamazione: w À<X(lf.t'tEP in Aristofane, Plut. 555, 872 e in Teopompo comico (Kock, I, p. 733, Edmonds, I, p. 856). Come può spiegarsi il fatto che À<X(lf.t'tEp presenti i due ii conservati in attico, se l'invocazione non avesse fatto sistema,

9 Nibil sub sole novi: la connessione si trova in Th. Benfey, Griech. Wurzellexikon, II, Berlin 1842, p. 114.

lO Informazioni nei manuali . etimologici; inoltre A. J. van Windekens, «Sprache» 12 (1966), p. 94 sgg.

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I . I

Il

I

. I , I I

li

Il ì I

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da un lato, col nostro oli, dall'altro con l'esclamazione illi (Teocrito, XV, 89; Eroda, I, 85; IV, 20), che ha la medesima storia, in quanto risale anch'essa a una vocazione? La deroga al mutamento fonetico potrebbe motivarsi come arcaismo religioso 11, nel qUalI caso illi continuerebbe un'epitesi della Terra, dr. l'eschileo illi yli sopra citato. Molto più probabilmente c'è stato allineamento a vocazioni infantili, quali 't'(l.'t'Ii, Eroda, III, 79, il(l.ililli Aristofane, Nub. 1383.

La voce oli 'terra' non ha un'etimologia evidente. Se essa fosse docu­mentata esclusivamente in funzione di nome divino, allora risulterebbe agevole assumere un prestito da un ambiente anellenico 12. Depone a sfavore di questa soluzione una terza testimonianza. L'epiteto di Posidone che in Pindaro ha la forma ÈWOCTLOliç e verosimilmente si ritrova in micen. enesidaone, dativo, significa, come gli equivalenti omerici ÉWOCTLY(l.LOç, È\lOCTLxi}W\I 'colui che scuote la terra, il suolo', e non la terra "in quanto divinità. Non è plausibiJe che un appellativo di tal significato sia stato introdotto da un ambiente esterno. Se mai, proverrà da un sostrato pregreco. In tal caso, la forma più ampia oliilOç potrebbe richiamare la struttura di micen. kama, all'incirca 'podere', cret. X(l.ila.\I ''t'Ò\l a.yp6\1 '. Ma potrebbe anche essere voce ereditata: il fatto che le altre lingue non siano in grado di fornire confronti puntuali rende più aleatoria questa soluzione, ma non la esclude, perché così numerosi sono i tratti indoeuropei, conservati esclusivamente da due lingue, che si deve certamente ammettere la possibilità che una lingua soltanto abbia conser­vato materiale antico 13. Chi segua tale prospettiva, sarà tentato di confrontare l'ampliamento oliilOç con la morfologia di XWil'l1 e delle parole apparentate a questa (le corrispondenze baltiche presuppongono un tema in -o). Ma funge poi da ampliamento la nasale di oliiloç? È lecito dubitarne. Siano parole preelleniche o ereditate, oli e il sinonimo yli presentano una struttura

11 Di provenienza eleusinia: cosi opina, per .6.a~a:tEp, U. von Wilamowitz, Aus Kydathen, Berlin 1880, p. 130, no. 50. Invece, secondo G. Bjorck, Vas Alpha impurum, Uppsala 1951, p. 54, l'anomalia sarebbe da addebitarsi a ricerca espressiva.

12 Cosi A. Heubeck, Praegreca, Erlangen 1961, p. 75 sgg. 13 Abbiamo costruito il dilemma di cui sopra, al solo fine di non contaminare pro­

blemi che non si condizionano a vicenda, vale a dire .il rapporto di Sii e Sii~oç e l'origine della voce primaria. In verJtà, rimaniamo perfettamente convinti che Sii e "(ii risultano, come ant. ind. ;m!z~ ecc., da sviluppi secondari del paradigma indoeuropeo per 'terra': tesi svolta in « Ric. Ling. » (1950), p. 240 sgg. La questione ha anche un riflesso storico­culturale, che è bene porre in evidenza, perché è mater.ia in cui predominano convinzioni erronee. Il nome .6.7J~Tj'nJP, in quanto Terra Madre, non implica affatto una concezione religiosa anindoeuropea. Terra Madre è rappresentazione complementare a Cielo Padre: il legame tra ·le due entità è esplicitamente e frequentemente rilevato nel Veda, ma ne rimangono tracce anche in Grecia. Osservazioni importanti sull'argomento in V. Pisani, Saggi di tingo storica, Torino 1959, p. 261 sgg.

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nettamente difforme dagli altri nomi radicali greci. Se si mette da parte il semitismo tJ.va, non c'è un altro nome monosillabico che termini in -a. Più che r,arianche i monosillabi terminanti in altre vocali 14. L'abnormità si giustifica, se assumiamo che le voci in questione abbiamo perduto una nasale finale. L'omerico OW 'casa' presuppone appunto questo stesso fenomeno: ne tratteremo nel capitolo seguente. Una probabile attestazione di *oatJ. si ricava dal tess·alico, dialetto marginale e altamente arcaico: Ja forma aa.tJ.tJ.~'t'TjP non sembra da inquadrare entro le sporadiche geminazioni di nasale e liquida, in quanto si trova attestata piuttosto frequentemente, sei volte a Larissa e una a Phalanna IS. Se è così, il rapporto tra il nome radicale *oatJ. e l'ampliamento oatJ.oç trova una interpretazione del tutto ovvia: questo si configura come una tematizzazione di quello, aalo stesso modo di ootJ.oç rispetto al locativo senza desinenza EVOOV, o di otxoç rispetto all'ant. ind. vis- 'casa'.

III. Omerico OW, miceneo dopata

Com'è noto, la voce omerica OW è impiegata esclusivamente in fin di verso, in connessione con un pronome possessivo: 1ÌtJ.É't'EPOV, ÙtJ.É't'EPOV, ÈtJ.6v ow, o con un aggettivo o genitivo dipendente: ÈtJ.òv 1tO"t't xa.À.xo~a."t'Èç OW, Èç 1ta.'t'Époç OW, ecc.; vale sempre come accusativo, eccetto a. 392. Da tempo si contendono il campo due spiegazioni. La prima intende OW come nominativo­accusativo di un nome l1adicale affine a oWtJ.a.. La seconda muove da una preposizione *do, documentata in germanico (ted. zu, ingl. to), in celtico, in lituano, e assume che nelle sequenze con pronome possessivo sia stata individuata dai poeti una variante di oWtJ.a.: da tasle reinterpretazione sarebbero nate la formula ÈtJ.òv 1to"t't xa.À.xo~a."t'Èç OW e le sequenze simili. Tanto Frisk che Chantraine propendono per questa seconda teoria. Effettivamente, l'omis­sione del nome per 'casa' in una sequenza con attributo o genitivo dipendente è un fatto comune a tutta la grecità. Per Omero cfr. ad esempio T}tJ.É't'EpOVOE, ÙtJ.É"t'EpOVOE'I' 86, i} 39, o 513, w 267, 'ALooaoE H 330 ecc., Etç T}tJ.E"t'ÉpOV ~ 55. Ciò malgrado tale interpretazione è da considerare erronea, per almeno due motivi diversi.

Ha osservato W. Streitberg 16 che una preposizione OW vorrebbe l'accento acuto, ma tale obiezione potrebbe esser superata, assumendo che l'ancora­mento semantico a oWtJ.a. comportò altresì il mutamento dell'accento. Sia

14 In sostanza, il solo criie;, ve;. A nostro avviso, xP1i non continua un nome radicale, ma, come il verbo umbro corradicale herter 'oportet', un impersonale: la desinenza zero è succedanea di *-t, come in q>TJ ' q>TJCTl' ecc.

15 Art. cit., p. 243, no. 2; cfr. anche i nomi divini ~a.IJ.la., Mvla. ibid., no. 1. 16 In «Idg. Forsch.» 3 (1893), p. 331.

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detto per incidens che una eventuale interpretazione del circonflesso come accento ritratto (cfr. ZEV, che sta a ZEVC; come per esempio aVEp ad àv1}p) dovuto ad anastrofe (cfr. à'lt6 : a'lto), sarebbe puramente erronea, in quanto 1'accentazione di parte delle preposizioni greche è una consuetudine d'ordine puramente grafico, cosicché, nella posizione in .anastrofe, la proclitica Ow . sarebbe diventata semplicemente ossitona 17. Comunque, la modifioazione dell'accento e del significato sarebbero assolutamente incomprensibili qua­lora tale presunta voce preposizionale avesse avuto vOGale breve anziché lunga. Bene, nessuna preposizione greoa, e nemmeno l'unica particella impie­gata sistematicamente come posposizione, -OE, micen. -de, finiscono per vocale lunga. Anzi, nessuna preposizione contiene vocale lunga, eccettuato il raro wc; 'verso', postomerico a prescindere dal dubbio caso di p 218, nonché gli avverbi usati in funzione preposizionale 'ltp6cr( cr)w, ll'ltLcr( cr)w. Ecco un tratto di sistema, nel quale non può rientrare una preposizione ow.

Ancor più grave è il fatto che la teoria in questione è costretta ad assu­mere come coefficiente del processo un fattore, il quale presuppone l'esistenza di ciò che viene contestato. Infatti, l'interpretazione 'casa' di 0(;) presup­pone OW(.l.~; ma tutte le analisi finora proposte di OW(.l.~ muovono dal nome ro.dicale *dom-, e non senza ragione, perché le altre formazioni nominali ignorano il grado apofonico allugato 18. Del nome radicale sono rimaste tracce in indoiranico e forse in armeno; in greco, J'avverbio EVOOV rappresenta la forma di locativo a grado apofonico normale e sen:Ytl desinenza, quale si trova pure in avestico. L'evoluzione *dom > OW implica la caduta di nasale finale successiva a vocale lunga. Il fenomeno non si produce più nel greco, ma doveva essere operante, forse limitatamente alla posizione anteconsonan­tica, in una fase preistorica, perché la maggior parte delle lingue ha generalizzato la desinenza senza nasale nei nominativi singolari del tipo lat. homo 19. Un caso greco analogo è stato prospettato nel capitolo precedente.

17 Cfr. in particolare J. Vendryès, Traité d'accento grecque, rist. Paris 1945, pp. 63 sgg., 244. Il circonflesso è di norma nei sostantivi monosillabici di genere neutro: J. Kurylowicz, L'accentuation dans les langues indo-eur., 2a ed. Wroclaw-Krak6w 1958, p. 129.

18 Veramente le spiegazioni proposte risultano cosi poco convincenti, che val la pena di proporne una nuova, a titolo d'ipotesi. OW!J,IX. pourebbe analizzarsi semplicemente come il plurale del nome radicale in questione. Poiché originariamente il plurale di molti nomi per 'casa' aveva funzione di collettivo, indicando un'abitazione a più vani, com'è .il caso, tra l'altro, di omer. o6!J,o~ e della corrispondenza lituana namai (altri esempi in A. Meillet, in Études de tingo et de phil. arméniennes, rist. Lisboa 1962, p. 137), OW!J,IX. fu assunto come singolare, e inquadrato nella categoria dei nomi in -!J,IX.. Natural­mente il processo presuppone l'acquisizione del timbro IX. da parte della nasale sonante. È vero che tal fenomeno non si è ancora concluso nel greco miceneo; però oW!J,1X. non soltanto non compare nelle tavolette, ma ha diffusione limitata anche nel primo millennio: l'unico e discusso esempio dialettale è nell'iscrizione tegeate Schwyzer, nr. 654, 21.

19 Bibliografia in Schwyzer, Gramm., I, pp. 479, 569.

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Un'altra forma del nome in questione, e precisamente un genitivo a grado apofonico normale *OE(lC;, viene individuata abituaLmente nel composto OEO'7tO'tT)C;. Invero, un genitivo con quel vocalismo radicale e con quella desinenza non ha aspetto normale, cosicché vanno prese in considerazione anche ,altre analisi: tema in -s, qual si ritrova in oÉ(lrLc; e inoltre nel lat. domes-ticus; ovvero una forma *gWems-, che trova parziale corrispondenza nel vedico jtJspati- e nell'alban. zot 2IJ. Per il miceneo dopota il problema del­l'analisi si compenetra con quello della resa alfabetica 21. Una trascrizione oO(lO'7to"tiit par da escludere, perché il nesso triconsonantico sarebbe reso diversamente, cfr. a3kasama rL~xO'(la:\lC;. Tuttavia una tal forma è da prendere in considerazione in sede di analisi, in quanto può essere continuata come oOO'7to'tiit. Ma risultano possibili, e difendibili sUiI piano mor,fologico, anche altre trascrizioni: oO(l7to'tiit, oW(l7to'tiit, oWO'7to"tiit, OW7to'tiit. La prima di queste si configura come la più semplice di tutte, in quanto fornisce una puntuale corrispondenza al vedico dampati- 'padrone di casa': forma di com­posto, questa, che certamente è da considerare la più antica, in quanto il primo elemento si presenta non al genitivo, ma come puro tema (a parte il caso, come abbiamo visto, problematico di OEO'7tO'tT)C;, soltanto veruco patir dan e avest. dang paitis contengono genitivi: ma sono locuzioni affatto eccezionali, probabilmente null' altro che composti soluti).

La voce micenea non solleva soltanto interrogativi di difficile soluzione, ma fornisce anche lo spunto per conclusioni di valore non dubbio. Anzitutto, la forma dopota, comunque la si trascriva e la si analizzi, implica l'esistenza di un nome radicale *dom-, e ciò conferma la spiegazione sopra data per omer. ow. In secondo Juogo, comunque si risolvano i detti problemi, non risulta raggiungibile una piena coincidenza formale tra dopata e SEO'7tO"tT)C;.

È questo un dato importante, che finora non è stato messo in evidenza. Da esso scaturisce una divergenza d'ordine dialettale, che va certamente proiettata al II millennio, in quanto non si può ricondurre a sviluppi fonetici o a variazioni morfologiche più recenti. Il problema difficile sta nel determinare la diffusione dialettale di OEO'7tO"tT)C; e derivati. Questa serie lessicalle è vitale soprattutto in ionico-attico. Omero ha solo qualche volta SÉO'7tOWrL nell'Odissea; il maschile era ametrico, eccezion .fatta però del voca­tivo SÉO'7to"trL che, tra l'altro, si trova una volta in Saffo. Se non erriamo, l'unica altra testimonianza eolica sta nella glossa di Esichio SEO'7tOL'JrLC; •

y\)'JrLi:XrLc; ®EO'O'rLÀ,Ot. Essa ci fornisce un interessante parallelo allI 'evoluzione

20 Le due tesi vengono svolte rispettivamente da É. Benveniste, Origines, p. 66 sgg., e V. Pisani, « Sprache» 7 (1961), p. 99 sgg. Difende l'analisi tradizionale O. Szeme­rényi, Syncope in Greek and Indo-European, Napoli 1964, p. 374.

21 La letteratura sull'argomento in M. Gérard-Rousseau, Les mentions religieuses dans les tabl. myc., Roma 1968, p. 78 sg.

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semantica di lat. domina e di anticoaltoted. frouwa 'signora', ted. Frau; però non conosciamo la cronologia della fonte. Arcadico oECTn6'tac;, oÉCTnowa si trovano soltanto in testi tardi, I.G. XII, 2, 357, linea 155, Stymphalos (III secolo av. Cr.); 514 = Schwyzer nr. 675, Lykosura (III o II secolo av. Cr.). Però oÉcT1towa del secondo testo hf,l l'apparenza di un arcaismo cultuale, in quanto è denominazione di una divinità, proprio come il mice­neo dopota. Notiamo a questo proposito che l'equivalenza funzionale di dopota a oECTn6't'TlC; trova una valida conferma nel fatto che gli altri nomi divini del documento (PN Tn 316) constano parimenti di epiteti promossi a funzione di xvpLa òv6lLa't'a: cos1 potinija, posidaeja, tiriseroe (rimane oscuro manasa, che ha l'aspetto di una Kurzform del tipo 'AÀ.x(ic;).

Concludiamo con una osservazione di carattere grammaticale. Il tema in -ii della voce micenea dimostra che la caratteristica a:lternanza tematica n6CTLC;: oECTn6't'TlC; è antica. Un altro esempio è fornito dal nome personale cnossio eumeta e dalla variante pilia umeta. Il primo elemento è costituito rispettivamente dal prefisso Èv- e dalla corrispondenza di ant. ind. su-, greco ù-YLnc;, come ha già visto C. Gallavotti 22. Il secondo elemento non è altro che la variante composizionale di lLll't'LC;. Quindi, omerico èLyxuÀ.OlLn'tTlC; ha aspetto più antico di nOMlLTl't'LC;, com'è naturale, in quanto la prima forma precede, l'altra riflette l'azione livellatrice del sistema.

IV. lLoÀ.y6C;, omer. èLlL0À.yiil

Conformemente a una tesi svolta con argomenti diversi da G. Meyer e da J. Vendryès, e accolta senza obiezioni dal Frisk, lLOÀ.y6C;, interpretato da Polluce, X, 187 B6ELOC; èLCTX6c;, sarebbe un prestito, vuoi dall'illirico, vuoi dal tracio. Non c'è alcuna prova che si tratti di voce non greca. Il rapporto con pregerm. *molko- 'sacco, borsa di cuoio' (ant. a. ted. malaha, ecc. ), se non lo si vuoi limitare all'elemento radicale, può ben intendersi nel senso -che non il greco, ma il germanico ha ricevuto la parola in prestito in epoca anteriore all'assordimento dell'occlusiva sonora, com'è il caso di BaL't'Tl > goto paida, xèLvvaBLC; > ant. isl. hanpr. È vero che Polluce attribuisce lLOÀ.y6C; ai Tarantini, ma la parola si ritrova in Aristofane, Eq. 963 e in qualche scrittore più tardo, cosicché, a rigor di logica, dovrebbe trattarsi di parola comune al dorico e all'attico, e ciò non favorisce la prospettiva del prestito. Né il vocalismo di lLoÀ.y6C; ha impronta tracioillirica 23.

22 « St. it. fil. cL» 30 (1958), p. 66. 23 Vocalismo balcanico settentrionale si ha nella glossa di Esichio \J.a.Àa.ya.<;, intero

pretata tra l'altro l)ijÀa.!;, &.O'x6<;: bibliografia al riguardo in O. Parlangèli, Studi messapici, Milano 1960, p . 411. Ma la glossa sta fuori dell'ordine alfabetico, e oltracciò il primo lemma dell'interpretamentum è irrimediabilmente corrotto.

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Il significato più antico di (.1o)."y6c; non sembra essere 'sacco di pelle, otre', bensì 'pelle bovina'. In questo senso si dichiara l'analogia oop6c; 'otre': oopa. L'interpretazione aO'xec; ammette i due sensi, però non è ambiguo il passo del­l'epigrammatico Teodorida richiamato da Polluce, loc. cit.: 'tòv "Hq>cttO''tov Eq>T) q>u<TT)'tTlPO't (.1oÀ. YLVOtC; (mantici o tubi di mantici di pelle o cuoio) XpTlO'i)'ctt. È lecito domandarsi se questo (.1oÀ.y6c; non vada posto in rapporto con la voce quasi omofona contenuta nella formula omerié:a (Èv) vux'tòc; a(.1o)."yii>. Certo, un tal rapporto risulta illogico alla mentalità nostra, ma il fatto che la voce omerica non venga impiegata in altri contesti autorizza a congetturare che essa sia il relitto di una fase linguistica e culturale assai remota. Altrettanto illogico potrebbe sembrare il probabile rapporto, accettato dal Mayrhofer, tra ant. ind. iiuic- 'oscurità' e tvac- 'pelle', cfr. gr. O'axoc;. Il latino cutis e il gr. O'xu'toc; sono corradicali di obscurus, dell'anglosass. hooma 'oscurità', del­l'ant. isl. skj 'nuvola, tenebra', skumi 'crepuscolo'. L'ant. isl. stak(k)a 'pelle' appartiene alla radice di tego, e l'ant. ind. carman- idem ha parentela col ted. Schirm. Secondo gli scoli a E 281, pwec; significherebbe in enotrio o in illirico axMc;, ma può essere che si tratti di parola differente 24. Nel Rigveda 'pelle' (tvak, carma) significa spesso 'copertura', e talvolta è chiaro che il poeta allude alla notte: così, nell'inno IV, 17, strofe 14, l'espressione k[p;é ... tvac6 budhné ra;aso asya y6nau non può significare che 'nel fondo della nera pelle (= notte), nel cuore di questo spazio oscuro'; in VII, 63, 1 si dice che il dio distende le tenebre carmeva, 'come una pelle'. Si trova ancora nel Veda una immagine più recente sotto il profilo della tipologia culturale, nella quale la nozione di copertura inerente alla notte viene simboleggiata non più dalla rozza pelle d'animale, ma da oggetti di vestiario tessuti: per esempio asitam ... vasma 'la nera veste' IV, 13, 4. Qui si ha una delle prime configurazioni della immagine del velo o manto della notte, che godrà il favore dei poeti di ogni tempo, a cominciare dai greci: ovoq>Epiic; xctM'lt'tpctc; Aesch., Ch. 811, 'ltOtXt)."EL(.1WV vu~ Prom. 25, (.1EÀ.a(.1'ltE'ltÀ.oC; vu~ Eur. Ion, 1150, (.1EÀ.ct(.1q>ctPÉ~ O'x6't~ Bacchyl., III, 13 25. Nei poemi omerici mancano espressioni del genere, però è significativo che la notte vi venga raffigurata come una entità tangi­bile, che non soltanto serve a 'coprire, velare' le persone: VUX'tL xctMljJctc; E 23, ma viene 'trascinata': itÀ.xov vux'tct (.1É)."ctWctV (8) 486, o 'distesa', quasi fosse pe~le o tappeto: vux't' òÀ.Ol}V 'taVUO'E II 567.

La formula omerica varrebbe dunque Év xctM(.1(.1ct'tt vux'toc;. Non abbiamo

24 N. Jokl. in Reallex. der Vorgesch. , I, p. 86 confronta l'alban. ré 'nuvola', antico ren; formalmente più lontano l'alban. erre 'oscurità' evocato da F. Ribezzo, « Riv. d'Albo » 1, 1940, p. 140.

2S Sulla rappresentazione poetica e figurativa della notte come manto o velo trapunta di stelle, si ha il grosso lavoro, peraltro poco sicuro in rebus philologis, di R. Eisler, Weltenmantel und Sternenzelt, Miinchen 1910.

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difficoltà a riconoscere il carattere ipotetico della soluzione che abbiamo abbozzato. Una -parziale conferma, che interessa la questione sotto il profilo sia etimologico che ermeneutico, potrebbe dedursi da quello che sembra essere l'unico dato documentario antico, il quale presenti carattere di indipendenza dalla tradizione omerica 26. Si tratta della glossa di Esichio ò(J.oÀ:y(il· ~6cp4l n. Sul piano dell'analisi formale, il confronto di ò(J.oÀ.y(il e ò,(J.oÀ.y(il non solo porta ad escludere un rapporto con ò'(lÉÀ. yw (su tale questione vedi oltre), ma conferma che la vocale iniziale è un prefisso: la variazione (1-: 0- indica che si tratta del prefisso copulativo da L-e. *s'!1-, verosimilmente nella nota funzione intensiva. Quanto al problema del significato di ò'(J.oÀ.y(il, l'inter­pretamentum ~6cp4l, che trova altri riscontri nell'esegesi antica, è sostanzial­mente conforme all'analisi da noi proposta; ma non lo si può accogliere nel suo valore letterale, se non a condizione di assumere una pura tautologia in (J.EÀ.(1LVTjC; wx/t'ÒC; ò,(J.oÀ.y(il O 324.

Non sarebbe valsa la pena di costruire una teoria che, ripetiamo, rimane ipotetica, se fossero a disposizione altre soluzioni appena plausibili di questa vecchia crux omerica. Ma il fatto è che non se ne trovano. Il tradizionale colle­gamento con ò,(J.ÉÀ.yw non vale come ipotesi: se ci è lecito esprimerci con franchezza, si tratta semplicemente di un errore, che non si comprende per qual motivo abbia goduto e goda favore nella letteratura etimologica. Consi­deriamo anzitutto l'aspetto ermeneutico del problema. In teoria non si può escludere che la voce ò,(J.oÀ.y(il valga a precisare la nozione di 'notte' sul piano temporale. In tal caso, l'unico significato che sarebbe da prendere in consi­derazione non potrebbe essere che 'nel cuore, nel punto culminante (della notte) " che è conforme all'interpretazione ò'x(J.i} degli antichi. Senònché il munger latte a notte fonda non è e non può mai esser stata una pratica tal­mente usuale da caratterizzare un certo momento della notte, in quanto con­travviene al ritmo universale del sonno e della veglia: si vedano i termini indiani antichi sa'!1gava-, sa'!1gavavelii- 'tempo della riunione delle vacche per la mungitura', vale a dire il mattino, e non la notte fonda. Peraltro, 'nel cuore della notte' si adatta bene ai passi che citeremo oltre, ma non s'impone senz'altro, quando il contesto concerne Espero che procede tra le altre stelle, X 317, o Penelope che prende coscienza del sogno, o 841. Per questi passi si è pensato al principio e, rispettivamente, alla fine della notte; ma A 173, O 324 non si possono assolutamente intendere in uno di questi modi, nem­meno X 28, dove la notazione temporale sta in riferimento non al sorgere di

26 Nemmeno la glossa kI-LO).:ya.~EL • !-LECTT}I-L~P'~EL sembra da porre al di fuori della tradizione omerizzante, come si ritiene da molti: ultimamente Chantraine, Dict., I, p. 74. Il modello formale non può non identificarsi in kXI-La.~w, e perciò iI neologismo riflette l'interpretazione' kxWr) , favorita dagli antichi.

n Ms. 6l-LoÀ.oyw • ~oq>w, palese banalizzazione. L'emendamento non turba l'ordine alfabetico.

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Orione, ma al suo risplendere tra le altre stelle. E come giustificare la pre­cisazione aggiunta dal passo O 324, dove l'attacco delle belve alle vacche o alle pecore è situato nel tempo in cui il guardiano non è presente, cr1][1.a\l't"opoc; où 1t~pÉO\l't"OC;? Oltretutto, intendendo 'al tempo della mungitura del principio o della fine della notte', si tradisce lo stile omerico: essendo in funzione di con­testi molteplici, le sequenze omeriche ripetute hanno necessariamente un valore generico, soprattutto quelle che gravitano sulla parte finale del verso, la parte cioè che, di solito, è quella meno interessata alla concreta dinamica della narrazione. Considerata sul piano funzionale, nell'economia dei con­testi, la formula (È\I) \lux't"ÒC; a[1.oÀ.y<{} non può non esprimere una generica determinazione temporale. Ciò risulta già dal fatto che non si trova nell'Iliade o nell'Odissea un'altra sequenza in fin di verso che equivalga funzionalmente alle formule iniziali \lUX't"~ Ot' Òpq>\I~L1]\I, \lUX't"~ Ot' &[1.~pOcrL1]\I. Bisogna giun­gere all'Inno ad Hermes per trovare una sequenza comparabile: \/Ux't"òc; f.\I

WPll 67, 155, 400. Se la semantica non si pronuncia a favore del collegamento con &[1.ÉÀ.yw,

la grammatica lo condanna con verdetto irrevocabile. Una sÌ fatta derivazione da &[1.ÉÀ.yw significherebbe non mungitura, ma mungitore: cfr. infatti ì.1t1t1]­

[1.oÀ.yot La norma che vuole baritoni i nomina actionis e rei actae in -o non ammette vere eccezioni, malgrado Schwyzer, Gr. Gramm., I, p. 459. I pochi ossitoni debbono l'accento al nome verbale in -ii che ha lo stesso significato, cfr. oop6c;: oopa, ~op6c;: -1], \l0[1.6c;: -1], òÀ.x6c;: -1], 't"po1t6c;: -1] 28. Nel caso in que­stione tale analogia non si può invocare, perché &[1.oÀ.y1] si trova soltanto nel grammatico Erodiano. Certo, [1.a~~ a[1.oÀ.y~L1] di Esiodo, Op. 590 29 e &[1.0À.­y~LO\l [1.~cr't"6\1 di Leonida, Anth. Palo VII, 657 presuppongono un nome ver­bale di &[1.ÉÀ.yw: ma nulla sta a dimostrare che il nomen rei actae primario sonasse &[1.0À.y6C; piuttosto che *a[1.oÀ.yoc; o &[1.oÀ.y1]! Dal momento che il significato 'latte' (che trova paralleli in corradicali di altre lingue) è ovvia­mente inconciliabile con quello della voce omerica, viene meno la necessità di ricostruire un lemma lessicale comune.

28 686ç è un rifacimento operato su forme a preverbio, come ant. bulg. chodu idem; l}oÀ.6ç, xttp1t6ç, xop6ç non hanno etimologia.

29 Da intendere certamente 'focaccia al latte': l'interpretazione 'gaIette bien gonf1ée' di .P. Mazon assume come realtà un prodotto dell'esegesi omerica. Si veda da ultimo il commento di A. Colonna ad Ioc. nell'ed. Milano, 1968.