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ORAZIO ENCICLOPEDIA ORAZIÀNA ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI ROMA

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ORAZIO ENCICLOPEDIA ORAZIÀNA

ISTITUTO DELLA

ENCICLOPEDIA ITALIANA FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI

ROMA

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© PROPRIETÀ ARTISTICA E LE1TERARIA RISERVATA

COPYRIGHT BY

ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA

FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI S.P.A. 1997

EDIZIONE SPECIALE PER LA COLLANA «0RSA MAGGIORE»

RILEGATA IN TUTTA PELLE E STAMPATA SU CARTA GARDAMATT ART

DELLE CARTIERE GARDA

IN TIRATURA LIMITATA A 2499 ESEMPLARI 1997

Stampato in Italia - Prinud in !taly

19892.2- Stabilimenti Tipolitografici •E. Ariani• c •L'Arte della stampa• della S.p.a. Armando ·Paoletti - Firenze

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ENCICLOPEDIA ORAZIANA FONDATA DA FRANCESCO DELLA CORTE

DIRETTORE SCEVOLA MARIOTTI

COMITATO DIRETTIVO UMBERTO COZZOLI, Condirettore - GERARDO BIANCO

REDAZIONE · Coordinamento: DE PAous

MARIO DE NoNNO - CARLO D1 GioVINE -NicOLA PARISE

SIMONA BATTAGLIA, CLAUDIA CtANCAGLINI, PAOLO SEBASTIANO GENTILE,

SALVATORE MoNDA, AGATA MoRETTI APICELLA, RoBERTO NicOLAI, FILIPPO SALLUsTo

Segreteria: AuRORA CoRVESI

DIPARTIMENTI . TECNICO-ARTISTICI Coordinamento: LEONARDO RosATI

Illustrazioni: RosA CANNONE, ALESSANDRA CAPODIFERRO, ANNA RITA DE NARDIS, LUIGI RoccHETTI

Impaginazione: DOMENICO CAPORILLI

ARCHIVIO ICONOGRAFICO SusANNA BASILE; MARISA -LETIZIA BENCINI, ANNAMARIA FicHERA, MARIA CRISTINA MoRETTI,

MARIA LuiSA MussARI, CARLOTTA NoVA, CARtos VALLEJOS

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ENC.ICLOPEDIA·ORAZIANA 2• volume· SETTEMBRE 1997

ro non si conclude nell'ambito del verso e c'è enjambe-ment, non di rado il primo dattilo, all'inizio del verso successivo, coincide con finale di parola ed è accompa-gnato da forte pausa di senso (e, pertanto, da segno di interpunzione): questa dieresi è artisticamente persegui-ta dal poeta (p. es. A 34-35 infelix operis summa, quia ponere totum l nesciet). Ma H. evita in ogni modo coin-cidenza di dieresi e forte pausa di senso dopo il primo piede e, ancor più dopo il secondo piede, se esso è uno spondeo (solo pochi esempi nelle Satire e nelle Epistole: S 2, l, 54; E l, 6, 43; 18, 52). Nell'ambito del quarto piede (se dattilo) le due brevi, nell'e. degli Epodi, appartengono sempre alla stessa parola, alla maniera del-la metrica greca e come accade in Catullo (tranne 68, 49; 76, l; 84, 5); sia pure di rado si trovano invece in due diverse parole nell'e. lirico delle Odi (C l, 7, 3; 28, l, 23 e 25; 4, 7, 5), nelle Satire e nelle Epistole.

Nell'e. oraziano ricorrono circa 1200 elisioni, che si incontrano in qualsiasi sede, anche nella prima arsi e nella sesta sede. La massima presenza di elisioni si ha al centro o comunque nella prima parte del verso: meno frequenti sono le elisioni nel primo piede (se il verso co-mincia con un monosillabo), rare nel 5° piede e molto rare nel 6° (S l, l, 50 iugera centum an; l, 3, 39 vitia aut etiam ipsa haec; 2, 2, 58; 8, 92; E l, 6, 34; l, 7, 27).

Per lo più la wcale da elidere è breve, solo di rado è vocale lunga o dittongo: la vocale sulla quale avviene l'elisione è più spesso lunga. Co-sì pure non è frequente il caso che la vocale da elidere si trovi davanti ad una delle tre cesure fondamentali. Vi sono versi con elisioni multi-ple; comunque l'elisione in parole giambiche è più frequente di quella in parole anapestiche (Tordeur 1972). Su parole indeclinabili è ammes-sa: nelle Satire i monosillabi sono soggetti ad elisione con molta fre-quenza, nelle Epistole invece, piuttosto di rado (solo 14 volte). L'elisio-ne avviene più spesso nell'arsi che nella tesi (specialmente nelle Episto-le). Rarissimi gli esempi di iato prosodico: S l, 9, 38 si me amas; S 2, 2, 28 cocto num adest.

L'e. oraziano rivela la perfetta conoscenza che il poeta possiede della tecnica della versificazione. Egli in genere cerca di evitare un'eccessiva rigidità nella struttura del verso e si tiene lontano da ogni regola troppo meccanica. Gli esametri di S l, 9, per perfetta corrispondenza della tecnica del verso con l'andamento narrativo e mimico del-la poesia, e quelli dell'Ars, per la loro fluida e piacevole scorrevolezza, nonostante il contenuto didascalico dell'e-pistola, sono da considerarsi l'esempio tipico della grande abilità del poeta, anzi della perfezione da lui raggiunta.

BIBL.- Th. Franzen, Ueber den Unterschied des Hexameters bei Vergi/ und Horaz, Krefeld 1881; A. Waltz, Des variations de la /angue et de la métrique d'Horace, Paris 1881; C. Ehart, Horatii hexameter, Wien 1889; G. Eskuche, Die E/isionen in den 2 /etzten Fiissen des lateinischen Hexameters, von Ennius bis W: Strabo, RhM 45, 1890, 236-64 e 385-488; O. Braum, De monory/labis ante caesuras hexametri latini collocatis, Diss. Marburg 1906; H. Mirgel, De ryna/oephis et caesuris in versu hexametro latino, Diss. Gi:ittingen 1910; E. H. Sturtevant, The Coincidence o/ Accent and Ictus in the Roman Dactylic Poets, CPh 14, 1919, 373-85 (è voluta la coincidenza negli ultimi due piedi dell'e.); Id., Word-Ends and Pauses in the Hexameter, A]Ph 42, 1921, 289-308 (sul contrasto ictus - accento nei primi quattro piedi e loro accordo negli ultimi due piedi); Id., The Ictus o/Classica/ Verse, ivi 44, 1923,319-38 O' ictus era un accento d'intensità e presentava un elemento comune con

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l'accento della parola); Id., Harmony an d Clash of Accent and Ictus in the Latin Hexameter, TAPhA 54, 1923, 51-73; K. Bi.ichner, Die Tren-nung von Adjektiv und Substantiv durch die Versgrenze in Horazens Satiren, Hermes 71, 1936, 409-20; G. De Kolovrat, Sur /es hexamètres de l'Art poétique, Nice 1936; F. Peeters, La structure de l'hexamètre dans l'Art poétique d'Horace, in Études horatiennes. Recuei/ publié en /'honneur du bimillénaire d'Horace, Bruxelles 1937, 161-87; F. Cupaiuolo, L'epistola di Orazio ai Pisoni, Napoli 1941; L. Nougaret, Les /ins d'hexamètre et /'accent, REL 24, 1946, 261-71 (sulla conforma-zione prosodica delle parole della chiusa dell'e.); J. Perret, Sur le pro-blème de la césure entre -que et le mot d'appui, ivi 26, 1948, 39-40; A. La Penna, Augusto e la questione del teatro latino, ASNP 19, 1950, 143-54 (=La Penna 1963, 148-62); N. O. Nilsson, Metrische Sti/diffe-renzen in den Satiren des Horaz, Uppsala 1952; L. Brunner, Zur Elision /anger Vokale im lateinischen Vers, MH 13, 1956, 185-92; O. A. W. Dilke, When Was the Ars poetica Written?, BICS 5, 1958, 49-57; F. Cupaiuolo, Un capitolo sull'esametro latino. Parole e finali dattiliche o spondaiche, Napoli 1963 (con ampia nota bibliografica, 141-53); J. Hellegouarc'h, Le monoryllabe dans l'hexamètre latin. Essai de métri-que verbale, Paris 1964; F. Cupaiuolo, Parole giambiche nell'esametro latino, RSC 13, 1965, 31-43; G. E. Duckworth,- Horace's Hexameters and the Date of the Ars poetica, TAPhA 96, 1965, 73-95; J. Soubiran, L'élision dans la poésie latine, Paris 1966; E. D. Kollmann, Remarks on the Structure o/ the Latin Hexameter, Glotta 46, 1968, 293-316; J. Soubiran, Sur !es mots de type armentaque dans l'hexamètre latin, Pallas 15, 1968, 57-101; G. E. Duckworth, Vergil and Classica! Hexameter Poetry, Ann Arbor 1969, 63-70; J. Soubiran, Pau-ses de sens et cohésion métrique entre les pieds médians de l'hexamètre latin, Pallas 16, 1969, 107 -51; Id., Les hexamètres spondafques à quadri-ryllabe finale, GIF 21, 1969, 329-49; K. M. Thomas, Evolution of the Horatian Hexameter, CB 45, 1969, 81-82 e 96; F. Cupaiuolo, Sul ricor-

nell'esametro latino di parole con la /orma prosodica di pirrichio, BStudLat l, 1971, 240-50; P. Tordeur, Elisions de mots iambiques et anapestiques dans l'hexamètre latin, Latomus 31, 1972, 105-22; ]. Collart, Sentences et /ormules monostiques chez Virgile et Horace. Quel-ques remarques de métrique, in Mélanges de philosophie, de littérature et d'histoire ancienne offerts à P. Boyancé, Rome 1974, 205-12; L. De Neubourg, Mots longs après !es diérèses médianes de l'hexamètre latin, Pallas 24, 1977, 45-79; E. D. Kollmann, Zum enjambement in der la-teinischen Hexameter, RhM 125, 1982, 117-34; L. De Neubourg, La localisation des bacchées dans l'hexamètre latin, Latomus 42, 1983, 31-57; F. Cupaiuolo, Alcune osservazioni sull'esametro delle Georgiche di Virgilio, BStudLat 15, 1985, 3-17; P. Tordeur, Le pyrrhique dans l'hexamètre latin. Une première approche, Revue informatique et statisti-que dans !es Sciences humaines 23, 1987, 167-69;}. Veremans, Le mot pyrrhique au biforme III de l'hexamètre latin. Essai de métrique verbale, in Filologia e forme letterarie. Studi offerti a F. Della Corte IV, Urbino 1987, 365-88; L. De Neubourg, L'hexamètre latin à bacchée au 4' pied. Structure verbale du 2' hémistiche, Latomus 48, 1989, 45-62.

FABIO CuPAIUOLO

eterocliti. - Con il termine e. si designano, secondo la terminologia tradizionale, i nomi le cui forme non rien-trano nella norma, cioè che presentano forme la cui morfologia non si accorda con il paradigma regolare o consueto: p. es., rispetto al sostantivo /ames, is della m declinazione, l'abl. fame (la quantità della -e è compro-vata dalle occorrenze poetiche), con la desinenza tipica dell'ablativo sing. della v declinazione, è classificata co-me.forma eteroclita (cf. Leumann 1977, 448; vd. anche Ernout-Meillet 1959, s.v.). L'eteroclisia è una condizio-ne fisiologica delle lingue flessive: è possibile ricostruire e. indoeuropei, ad es. i temi nominali in -rln- (cf. lat. iecur, iecinoris o iocineris; skr. yakrt, yaknas, gr.

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con -cx'toç < *rtos: cf. Szemerényi 1985, 209); tut-tavia, dal punto di vista sincronico della grammatica nor-mativa, gli e. vengono considerati errori o eccezioni, e l'impiego di un'etichetta apparentemente univoca come il termine e. può ingenerare l'impressione inesatta che con esso si alluda a un insieme di fenomeni omogenei.

Se valutiamo il lessico latirio nel suo complesso e nel suo sviluppo diacronico, risulta evidente che gli e. non sono eccezioni, né errori, ma possono essere distinti in residui di paradigmi flessionali più antichi alternanti con forme normalizzate successivamente (d. il genitivo del citato fames, la cui forma 'normale' è /amis, alternate con il più arcaico /ami, attestato in Catone e in Lucilio; vd. Th. l. L. VI 228, 61 ss.); neo-formazioni analogiche rifatte di solito sul nominativo (ma talora anche sull'accusativo, cf. nom. dies costruito su diem ecc.); contaminazioni; forme di nominativo che si sostituiscono a quelle arcaiche per livella-mento paradigmatico (p. es. honiir rispetto al più arcaico honos); auto-schediasmi o creazioni estemporanee (questo è probabilmente anche il caso dell'abl./ami attestato in Aviano); prestiti 'ripetuti', entrati in lati-

la prima volta per via orale e popolare, la seconda volta per via dot-ta, basati su forme paradigmatiche diverse del modello e variamente in-tegrati (p. es. il femm. cratera, ae fatto sull'accusativo del modello greco e il doppione dotto crater, eris, masch., preso in prestito dal nominati-vo; elephantus, i, formato sul genitivo del modello greco e la variante dotta elephas, antis; cf. Gusmani 1986, 48 e vd. GRECISMI).

Sempre la limitazione al piano sincronico, tipica dei grammatici e . adottata ancora - non sempre legittimamente - in tempi moderni, è re-sponsabile anche dell'artificiosa distinzione, spesso invocata dai ma-nuali, tra e. stricto sensu, cioè i nomi le cui forme seguono ora l'una ora l'altra declinazione (p. es. il neutro iugerum, i, che al singolare si declina secondo la 11 declinazione, al plurale secondo la m), e i cosid-detti nomina abundantia (cf. Neue-Wagener 1901, 761 ss.), ossia i no-mi che conservano forme di due declinazioni differenti. La distinzione, in realtà, in molti casi è difficile da stabilire: spesso ritenere che, tra due possibili forme, una abbia completamente sostituito I' altra (p. es. il ge-nitivo di iecur, *iecinis, è una forma non attestata, ma la sua esistenza è da presupporre in base all'analisi comparativa; vd. supra), o invece si sia affiancata ad essa per un periodo più o meno lungo, magari come variante marcata (cf. ancora il rapporto tra cratera e crater), dipende sol-tanto dallo stato della nostra documentazione, o dal momento specifico in cui ci è dato di osservare il fenomeno; ma è chiaro che, normalmen-te,la sostituzione completa di una forma con un'altra è sempre prece-duta da una fase di convivenza tra le due forme in questione.

Nella lingua letteraria e, soprattutto, poetica, gli e. - nel caso in cui I' autore classico li impieghi operando scelte consapevoli tra due o più forme possibili - si configurano per lo più come opzioni stilistiche tra forme non equivalenti sul piano connotativo (di solito tra forme più o meno arcaiche o di registro più o meno elevato) oppure sul piano pro-sedico (la comodità metrica ha ovviamente molto peso nelle scelte dei poeti, come vedremo subito per quanto concerne H.). Molto materiale, seppure di difficile valutazione, riguardo agli e. nella letteratura latina arcaica si trova nellib. VIII del De compendiosa doctrina di Nonio Mar-cello; cf. Egli 1954; Ernout 1954, 151 ss.; Leumann 1977,447 ss.; Bar-talucci 1985).

Riguardo alla poesia oraziana, considereremo soltanto alcuni gruppi di e. particolarmente significativi (per gli elenchi, cf. Bo 1960, 368-71 e Klingner 1970, 328-29).

La compresenza di ragioni stilistiche e metriche è rile-vabile soprattutto nella scelta delle desinenze dei nomi propri greci, per i quali H. ha a disposizione le forme con morfologia latina o greca. n poeta usa le forme de-clinate alla greca soltanto nei casi nominativo, accusativo e vocativo, e per lo più nelle Odi, in contesti stilistica-mente molto elevati. ·Doppioni significativi sonò, ad

Testa di 'Penelope', v sec. a. C. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek.

(jot. Museo)

es., Helenen (C l, 15, 2) di contro a Helenam (S l, 3, 107) e Penelopen (C l, 17, 20) rispetto a Penelopam (S 2, 5, 76). Vd. anche GRECISMI.

Per gli stessi motivi H. impiega ora l'una ora l'altra for-ma di nominativo dei temi in -r- della m declinazione, p. es. arbos e arbor, delle quali la prima è arcaica e la secon-da è l'esito di un livellamento paradigmatico per analogia con le altre forme rotacizzate della declinazione, con il successivo e regolare abbreviamento della vocale in silla-ba fmale chiusa uscente in consonante diversa da -s (il fe-nomeno non è ancora compiuto all'epoca di Plauto; nei monosillabi è posteriore a Plauto; cf. Pisani 1984, 91). Si trova arbos in C 2, 13, 3, ma arbor in C l, 12, 45; 22, 18; la 12,20 (arborio fine di verso ancora in C 3, 4, 27; S 2, 3, 73 ); honos per motivi metrici in E l, 18, 102; A 69; Cs 57 (var.lect. honor), e con tono solenne in S l, 6, 83, di con-tro a honor in S 2, 2, 28; A 400; E l, 16, 39 e, in fine di verso, in C 2, 11, 9 e la 17, 18 (cf. Bo 1960, 287).

Un'altra alternanza comune nel latino classico è quel-la dei nomi femminili (in particolare i nomi di piante) il cui tema è in -o/e-, i quali tendono a diventare maschili, e in tal caso seguono la n declinazione dei temi in -o-, oppure a confluire nella IV declinazione, dove i femminili sono più frequenti (cf. Ernout 1953, 25 e 1954, 171).

In H. troviamo cupressi (nom. plur.) in C l, 9, 11 e cupressos (ace. plur. femm.: invisas cupressos) in C 2, 14, 23, ma in la 5, 18 cupressos /unebris, è ampiamente rappresentata nella tradizione la variante cupres-sus; l'ahi. sing. lauro in C 3, 4, 19; 30, 16, ma lauru in C2, 7, 19 (cf. V erg. Bue. 3, 63; 10, 13 lauri, ma laurus in Aen. 3, 91, inteso in genere come nom. plur.: d. Bartalucci 1985);l'abl. myrto in C 1,4, 9;25, 18; 38, 5; 2, 7, 25; 3,4,19; 23,16, ma il nom. plur. myrtusin C2, 15, 6; l'ahi. pinu in

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C2, 11, 14 (cf. le forme della II declinazione in Enn.Ann. 490 V.2 = 511 Sk. e V erg. Bue. 8, 22 ecc.; pinus è un antico tema in -u-: cf. gr. 1tL"tUç).

Tra i nomi che oscillano tra la n e la IV declinazione meritano attenzione domus e fastus. Secondo i dati di Bo 1960,370, nell'opera di H. nel suo complesso domus seguirebbe la n declinazione 27 volte, contro 7 occorren-ze con le desinenze della IV, e 37 occorrenze incerte. Tra i casi interessanti, vd. E l, 10, 13 ponendaeque domo quaerenda est area primum (dove domo è dativo), che rie-cheggia antiche formule religiose (cf. Cato De agr. 134, 2). Se si considerano i dati offerti dalla comparazione in-doeuropea, le due flessioni di domus sembrano corri-spondere ad antiche differenze di tema, uno in -u- e uno in -o-, ma in latino il tema in -o- sembra il più antico ed è l'unico attestato in fase arcaica (cf. Ernout-Meillet 1959, s.v.). Per quanto riguarda/astus, si tratta in origine di un aggettivo che, nella lingua arcaica, qualifica certi giorni in opposizione ad altri detti nefasti (per i dies fasti e nefasti e la celebre connessione etimologica con/as,/ari cf. Varro De l. L. 6, 29-30). Il sostantivo masch. plur. è /asti, orum 'Fasti, annali', secondo le forme della II decli-nazione. Le forme plurali della IV, che compaiono già in Varrone (fr. 230 Funaioli), sono secondarie; Leumann 1977, 450, avanza l'ipotesi che il passaggio del plurale al-la forme della IV declinazione possa essere avvenuto sul modello di statu- accanto a stati dies. H. usa le forme della II declinazione in S l, 3, 112 /astos e in C 4, 13, 15 fastis (ab l. plur.), le forme della IV in C 3, 17, 4 per memores ... fastus (var.lect./astos; la duplex scriptura è attestata già da Prisciano, Inst. GL II 256, 16-17) e 4, 14, 4 per ... memo-res ... fastus (si noti la medesima iunctura).

Nelle occorrenze di ablativo singolare della m declina-zione il latino classico presenta l'oscillazione tra forme in -e e in -f. La prima desinenza è in origine tipica dei sostan-tivi con tema in consonante, la seconda anticamente era propria dei temi in -i- (per i quali era stata creata una de-sinenza -fd per analogia con -od, -ad: cf. Leumann 1977, 435-36), ma successivamente fu estesa a tutti gli aggettivi, sia con tema in -i- che con tema in consonante, e ai neutri come mar, anima!, calcar. Nei participi, la desinenza in -e era preferita in epoca classica quando era prevalente la funzione verbale, la desinenza in -f quando il valore era aggettivale. H. usa, per l'ablativo dei participi con valore aggettivale, entrambe le desinenze: cf. la 5, 11 frementi ... ore, e C 2, 16, 1-2 patenti ... Aegaeo, di contro a C 3, 2, 24 fugiente pinna, eS l, 6, 23 fulgente ... curru e.cc. Nei so-stantivi, è notevole l'alternanza tra amni (S l, 10, 62; unica attestazione in H., ma frequente in Virgilio, cf. Georg. l, 203; 3, 447) di contro ad amne (C 4, 6, 26; vd. Bo 1960, 97; Leumann 1977, 435-36; per la distribuzione degli ablativi amnfe amne, vd. Th. l. L. I 1942, 57 ss.).

Attestato solo in H., invece, è il genitivo plurale eteroclito anciliorum (C 3, 5, lO; cf. il regolare anci/ium in Tac. Hist. l, 89), che però va con-frontato con una serie di genitivi plurali arcaici, attestati epigraficamen-te o registmti dai grommatici antichi, come i nomi di festività Bacchana/iorum, Satumaliorum, Agona/iorum (cf. Macr. Sat. l, 4, 5-16); e ancom parentaliorum, navaliorum ecc. (vd. Leumann 1977, 451).

Sempre per il genitivo plurale, nei sostantivi della n

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declinazione si osserva l'oscillazione tra le desinenze -um e -orum. La prima è quella originaria, attestata in testi epigrafici arcaici e in giunture formulari, come liberum quaerendum causa; prae/ectus fabrum; pro deum /idem (cf. Leumann 1977, 428); la seconda, quella 'normale', è stata costruita per analogia con -arum dei temi in -a-. I poeti classici, soprattutto av-valendosi del precedente offerto dalle forme in -um impiegate da Flauto ed Ennio (cf. Ann. 246 V.2 = 281-82 Sk. verbum paucum ecc.), hanno riutilizzato il genitivo plurale in -um per la sua connotazione di arcaismo poetico e per comodità metrica. Nelle composizioni esametriche di epoca classica, p. es., deorum è sempre in clausola, con la sola eccezione di H., E 2, l, 6 post ingentia/acta deorum in tempia recepti; deum compare in H. soltanto due volte, in S 2, 2, 104 e 6, 65 (dove il contesto è parodico).

Per la posizione di Cicerone, che invoca la consuetudo contro i rigori di anomalisti ed analogisti riguardo ai genitivi in -um della II declina-zione, cf. Or. 155-56; vd. anche Leumann 1977, 428, e si ricordi il dop-pio arcaismo di V erg. Aen. 9, 26 dives equom, dives pictai vestis et auri, dove forse si imita un verso arcaico.

Tra gli e. derivati dal greco, si può segnalare l'abl. gausape (S 2, 8, 11; cf. Lucil. 568 M.); lo stesso termi-ne, che designa un panno di lana, occorre in Petronio 28, 4 nella forma di abl. gausapa (cf.l'abl. gausapo in Cass. Sev. ap. Char. GLI 104, 11); Ovidio lo declina secondo la fles-sione dei neutri della n declinazione (Ars 2, 300) e Persio ( 4, 3 7) come gausape, is. In questo caso, anche l'eteroclisia sembra derivata dal greco: Strabone (5, l, 12, p. 218) ha ò -ycxUO!X1toç, ma la flessione ò jcru007t'l}ç, -ou è testimoniata da V arrone, inPriscianolnst. GL II 333, 14), e la molteplicità delle possibilità flessionali è connessa al fatto che anche per il greco il termine è un prestito di carattere popolare (cf. Ernout-Meillet 1959, s. v.; Bo 1960, 97 e 369).

Altri sostantivi che oscillano tra più declinazioni sono: iuventus, utis (al nominativo in C l, 2, 24; 4, 19; 3, 4, 50; S 2, 2, 52 ecc.), che alterna con iuventa, ae (genitivo in C 3, 2, 15; dativo in Cs 45; ablativo in C l, 16, 23; 3, 14, 27; A 115) e con iuventas, atis (C l, 30, 7; 2, 11, 6; 4, 4, 5; la 17, 21); senectus (al nominativo in C2, 16, 30; la 8, 4; 13,5 ecc.), che alterna con senecta, ae (genitivo in C 2, 6, 6; dativo in C 2, 14, 3; accu-sativo in C l, 31, 19; ablativo in E 2, 2, 211); epulum, i (S 2, 3, 86), che affianca con più specifico ambito semantico il plumle epulae, arum (C l, 36, 15; 3, 8, 6; 4, 8, 30; la 2, 61 ecc.).

La normale variabilità tm i suffissi -ia e -ies dei sostantivi astmtti si osserva spesso in H.: cf. materia (A 38) e materies (C 3, 24, 49); mollitia (la 11, 24) e mol/ities (S 2, 2, 87); nequitia (S 2, 3, 244) e nequities (S 2, 2, 131) ecc.

Anche tra gli aggettivi si hanno in H. alcuni casi di eteroclisia: p. es., a fronte di imberbes di E 2, l, 85, per imberbis di A 161 è attestata una variante imberbus (cf. Lucil. 1058 M.); inoltre violens (C 3, 30, 10; E l, 10, 37; cf. Pers. 5, 171) e violentus (S 2, l, 39; cf. Lucr. 2, 621 e 5, 1231; delle due, questa è la forma più antica, cf. Leumann 1977, 452 e vd. Bo 1960, 127).

Per quanto concerne il sistema verbale, il fenomeno della compresenza o della sostituzione di coniugazioni di-

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ETIMOLOGIA

verse per uno stesso verbo è designato piuttosto con il ter-mine 'metaplasmo'; poeti come Virgilio e H . non introdu-cono in quest'ambito innovazioni, ma si limitano ad utiliz-zare per comodità metrica forme allotropiche già esistenti. I casi di doppia coniugazione (p. es. /ulgo e /ulgeo;/ervo e /erveo) sono il risultato di tendenze normalizzatrici pro-prie della lingua latina nel suo complesso (cf. Ernout 1954, 170; Leumann 1977, 544); storicamente, delle due coniugazioni possibili, l'una è più arcaica dell'altra.

P. es. l'opposizione tra lavare e /avere risale in origine alla compre-senza di due verbi distinti derivanti dalla stessa radice, uno con tema in -ii- indicante lo stato e con valore riflessivo, l'altro con vocale tema-tica -òle- impiegato transitivamente e designante l'azione. Dei due verbi, lavare si è poi generalizzato e lovere si è conservato soltanto in poesia (Emout-Meillet 1959, s. v.). Forme di entrambe le coniugazioni si trovano in Virgilio (Bartalucci 1985) e in H., p. es. C 3, 12,2 lovere; S l, 3., 137 lavatum; l, 4, 75 lavanles; E l, 6, 61 lavemur ecc.

Per l'alternanza tra le vocali tematiche -e- ed -e-, che dà origine ai doppioni del tipofulgol/ulgeo (cf. Th.l. L. VI157, 63 ss.) e/ervol/erveo (cf. Quint. Inst. l , 6, 7) è noto che le forme della 111 coniugazione sono le più antiche, attestate in epoca classica soprattutto in poesia, mentre le forme della n sono quelle che si sono in seguito generalizzate (cf. Ernout 1954, 170; Ernout-Meillet 1959, s. vv.; Leumann 1977, 544). Virgilio impiega, per questi verbi, forme di entrambe le coniugazioni (Bartalucci 1985), mentre H. tende ad usare soltanto le forme, più dif-fuse, della n coniugazione: cf. C 4, 2, 7 fervei (ma va r. lect. /ero il); S 2, 4, 62/ervent; e i presenti fu/geni (C 2, 16, 3),/ulget (3, 2, 18),/ulges (4, 11, 5) ecc. Elenchi in Bo 1960, 386.

BIBL. -F. Neue- C. Wagener, Formenlehre der lateinischen Sprache 1,

Leipzig 190P ,.spec. 761-859; A. Ernout,Morphologie hislonquedu latin, Paris 195Jl;J. Egli, Heteroklisie im Griechischen, Diss. Ziirich 1954; A. Ernout, Aspects du vocabulaire latin, Paris 1954; M. Leumann, !A-teinische !Aut- und Formenlehre, Miinchen 1977; V. Pisani, Glottologia indeuropea, Torino 19844; A. Bartalucci, s.v. eteroclisia, EV 11 (1985), 399-400; O. Szemerényi, Introduzione alla linguistica indoeuropea, trad. it., Milano 1985; R Gusmani, Saggi sull'interferenza linguistica, Firenze 19862 (1981 1) .

CLAUDIA A. CIANCAGLINI

etimologia. - Mentre la moderna scienza etimologica studia l'origine delle parole storicizzando i rapporti for-mali e semantici che legano un termine ad un altro, la speculazione etimologica greca e latina non assurge mai al ruolo di scienza e, conformemente alla sua genesi in ambito filosofico, mira piuttosto a spiegare la natura delle cose mediante l'interpretazione del linguaggio. Per i Gre-ci il linguaggio riflette concettualmente il mondo esterno: la ricerca dell'origine della parola si identifica perciò con il tentativo di recuperare l'originaria connessione tra 'no-me' e 'cosa' e con l'aspirazione a rivelare le verità religio-se, morali e metafisiche nascoste negli etimi (il termine e. del resto, coniato - sembra - dagli Stoici, vuoi dire ap-punto 'ricerca del vero'). Questa attitudine interpretativa, in cui l'elemento magico-religioso si affianca a quello p rettamente filosofico, viene ereditata dalla latinità trami-te V arrone, il più noto esponente della dottrina gramma-ticale ed etimologica a Roma. Qui l'interesse verso l'e., ormai parte organica della grammatica e dotata di un pro-prio apparato teorico, resta di tipo prevalentemente pra-tico. L'e. si identifica per lo più con una prassi linguistica

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che ricerca la vis originaria della parola, a riprova della 'giustezza' del termine adoperato. Ciò spiega l'importan-za della prassi etimologizzante nella tradizione tecnica e giuridica latina, ma soprattutto dà ragione della sua pre-senza nella tradizione letteraria e poetica.

Nella poesia oraziana la parola non ha peso in sé e per sé, ma le risonanze affettive del linguaggio nascono dalle immagini che un termine è capace di evocare in unione con altri (Cupaiuolo 1976, 11). La lingua di H. non 'de-via' da quella quotidiana, ma ne sfrutta pQeticamente le profonde risorse: il Venosino 'motiva' il suo linguaggio poetico ricorrendo a tutto un insieme di procedimenti e artifici; parlare di e. in H. vuoi dire appunto studiare uno di questi procedimenti.

Molti sono gli indizi di un interesse etimologico in H .: il poeta talora usa alcune parole sfruttandone l'accezione etimologica (p. es. S l, 9, 64 nulans [da *nuo] ='far cenni muovendo la testa'; A 407 M usa lyrae sol-lers [da ars] ='che conosce l'arte della lira'); talora accosta dei termini esaltandone il legame et.imologico (p. es. S 2, 6, 31 memori .. :-mente; C 2, 3, 1-2 memento .. . mentem; E l, 17,41-42 virtus .. . virecc.); talora gioca con le parole collegandole a un aggettivo o ad altro termine che ne metta in luce l'etimo (p. es. C l, 21,6 gelido ... Algido o C l, 4, 9-10 caput impedire myrto l aut flore, /errae quem /erunl solutae, dove risalta il contrasto tra solutae terrae ['scioltesi dal ghiaccio'] e l'uso etimologi-co del verbo impedire = 'impacciare' i capelli, 'tenerli a freno') . E si possono anche citare gli accostamenti in ossimoro di aggettivi e nomi propri, che esaltano l'etimo di questi ultimi: p. es. C l, 33, 2 immitis Glycerae o S 2, 3, 142 pauper Opimius.

Gli interessi etimologici di H. si fanno più percettibili nel campo dell'espressività fonica: in poesia la ricerca del significato, il recupero della 'giustezza' delle parole coincidono spesso con la ricerca dei suoni, con il recu-pero del loro valore naturale ed evocativo. H., che ha sa-puto sfruttare al massimo le risorse foniche del latino, a volte crea un legame di parentela semantica tra due pa-role sulla base dell'equivalenza dei loro significanti e, ri-correndo a quel tipo di e. che Jakobson 1966 definisce 'poetica' (ma di cui aveva già posto le basi la dottrina eti-mologica stoica), 'rimotiva' le parole, riscoprendo in es-se un significato connesso con l'articolazione dei suoni (cf., per portare solo un esempio tra i tanti, E 2, l, 202 Garganum mugire putes nemus aut mare Tuscum, dove il significato di mugire è esaltato dal legame istituito con le altre parole del contesto dal ripetersi della littera mugiens, la m, affiancata al suono sordo della u), oppure sfruttando le possibili associazioni di suono e di senso che le parole evocano nel contesto poetico: anche in questo caso il parallelismo fonico-semantico crea una corrente semantica sotterranea, come se il legame inter-no tra suono e significato tendesse a mostrare la giustez-za della denominazione.

<)li ci limitiamo a ricordare il gioco creato, p. es., dalle figure etimo-logiche (C 3, 16, 28 magnas inler opes inops; E l, 12, 19 concordia discors; S l, 3, 132-33 operis ... opi/ex; C 4, 14, 3-5 aevum ... aeternet; C2, 8, l iuris ... peierali, ecc.), dalle allitterazioni (C 2, l, 34-36 quod ma-re Daunia e l non decoloravere caedes? l Quae care/ ora cruore nostro?; C2, l, 17 minaci murmure cornuum, ecc.), dalle paronomasie (C 2, 8, 22-23 nuper l virgines nuptae o C 2, 3, 18 flavos .. . Tiberis lavit, ecc.).

In questi ultimi esempi nessun vero rapporto etimolo-

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