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A colloquio con Erika Fatland. Nel suo nuovosaggio, un suggestivo viaggio nel cuore dell'Asiaattraverso Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakistan,Kirghizistan, Tagikistan, dove l'isiam si incontracon le tradizioni e le icone dell'ex Unione sovietica

di Yurii Colombo - da Mosca

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U na delle aree geopolitiche meno conosciu-te del pianeta è sicuramente il Centroasiaex-sovietico. I Paesi che lo compongono siricordano per il suffisso "Stan" (Turkmeni-stan, Uzbekistan, Kazakistan, Kirghizistan,

Tagikistan), dove "Stan" sta per "luogo" o "Paese".Erika Fatland, giornalista, scrittrice e antropoioganorvegese, gli "Stan" centroasiatici li ha attraversatitutti nel 2014, in un lungo viaggio durato ben ottomesi. «Se dovessi dire qual è il Paese, tra questi, chemi è più rimasto nel cuore, avrei qualche difficoltàperché sono molto diversi tra loro. Certo il primo,come ogni primo, il Turkmenistan, ha forse un postospeciale» confida Erika - biondina, lentigginosa e conun sorriso da monella. Il reportage che ne è venutofuori, Sovietistan, è diventato un caso letterario: tra-dotto in 13 lingue (in Italia pubblicato da Marsilionel 2017), e Le Figaro lo ha definito «un gioiello distoria, geografia, geologia, cultura e politica».I Paesi centroasiatici, seppur a stragrande maggio-ranza di osservanza musulmana, non sono diventati,dopo il crollo dell'Urss, degli Stati confessionali. Inprimo luogo perché coloro che li governano ancoraoggi hanno un debito nella loro formazione culturaleverso il sistema comunista, ma soprattutto perché ilpericolo dello sviluppo del fondamentalismo islami-co li ha portati a moderare ogni legame con l'isiam.Non che in Paesi con povertà e basso tasso di alfabe-tizzazione non si siano sviluppate tendenze estremi-ste. In particolare in Kirghizistan e Uzbekistan, l'isisnegli scorsi anni ha reclutato molti foreign fìghters chehanno combattuto in Siria e Iraq. Circa 20mila, se-condo i servizi segreti russi. Negli ultimi mesi, dopolo sfaldamento dello Stato Islamico, questi modernimercenari stanno tentando di rientrare nei Paesi diorigine e rappresentano per la Federazione russa unpericolo terroristico.Malgrado ormai lontano di un quarto di secolo, die-tro i grandi palazzi di marmo orientali e i mercaticolorati di Bukara, il passato sovietico non passa.«Non si può fare una valutazione in bianco e nero diquell'esperienza» riflette Fatland. «Qui i russi costru-irono infrastrutture che ancora resistono. Portarono

In alto, alcune donne bevono té aKochkor, Kirghizistan, 30 agosto 2009.A destra, un uomo kirghiso si appoggiasui tappeti esposti a! settimo Festivalinternazionale delle arti applicate deiKirghizistan nel villaggio di At-Bashi,provincia di Naryn, a 400 km daBishkek, Kirghizistan. 28 giugno 2017.'n apertura, residenti, turisti e venditoridi cappelli di fronte all'imponente fac-ciata della moschea di Kalon Bukhara.Uzbekistan, 16 aprile 2014

la moderna industria e una certa visione laica delmondo. Allo stesso tempo vennero esercitate inenar-rabili pressioni sulla cultura tradizionale e limitata lalibertà di culto». Per non parlare degli esperimentinucleari a Semipalatinsk in Kazakistan, dove i sovie-tici fecero esplodere una bomba al mese. «Sembravaun ballo lento, una guerra ombra di nuvole bianchea forma di fungo» immagina l'autrice, aggirandosi inun luogo desolato dove da decenni si muore princi-palmente per tumore.Popoli e territori guardati con troppa sufficienzada un Occidente troppo spesso etnocentrico. Paesicome il Tagikistan e l'Uzbekistan sono stati, graziealle influenze arabe, all'avanguardia della matematicae dell'astronomia. «Ulug Bek, che significa "il grandecondottiero", nel XV secolo - spiega l'autrice - fececostruire a Samarcanda un osservatorio astronomicoche era considerato il più bello, il più grande e il piùmoderno del mondo islamico».

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Migrazioni e nomadismi sono nel Dna di questi po-poli. In Kirghizistan vive ancora una comunità diorigine e lingua tedesca, anabattisti mennoniti chenel 1880 partirono in carovana dall'Ucraina meri-dionale per raggiungere Bishkek, 4.500 chilometripiù a Est. Da allora vissero asceticamente, comuni-sticamente e continuando usarel'idioma tedesco, in un villaggioridenominato in epoca sovieti-ca Rat front, "Fronte rosso". Unavera metafora, o forse parabola, diun'intera fase storica.Il Kirghizistan, forse è il Paese,tra i cinque della regione, con piùcontraddizioni e paradossi. «Sitratta dell'unico Paese in cui vige una democrazia: ilpresidente viene eletto democraticamente e nessunoha paura di esprimere la propria opinione» ricordaFatland. Anni fa, Silvano Agosti scrisse anch'egli una

sorta di reportage sul Paese dei tulipani. La favola diun Paese magico e onirico che ebbe un certo succes-so. «Purtroppo non è proprio cosi. Il Kirghizistan èanche il Paese dove le peggiori tradizioni del patriar-cato musulmano sono in uso» sottolinea Erika. Una

"acchiappa e corri", l'usanzadel ratto della sposa.«Non esistono dati precisisu quante ragazze venganorapite e costrette a sposarsiogni anno in Kirghizistan.Russell Kleinbach, profes-sore di sociologia e uno deifondatori dell'Istituto KyzKorgon, un'organizzazione

che si adopera per porre fine alla pratica del rattodelle spose nell'Asia centrale, studia il fenomeno daparecchi anni, e secondo le sue stime circa un terzodei matrimoni contratti in Kirghizistan è di questo

di queste è Ala

Le migrazioni sononel Dna di questi popoli.In Kirghizistan vive unacomunità di origine tedesca

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tipo. Nelle campagne si sale a oltre il cinquanta percento. Vale a dire 11.800 ragazze all'anno. Trentadueal giorno. Una ogni quaranta minuti», scrive nel li-bro Fatland. Formalmente tutti i Paesi del Centroasiasono democratici. Peccato che le elezioni siano unavera e propria farsa, condita, in diverse gradazioni,con nepotismo e corruzione.Nursultan Nazarbaev in Kazaki-stan ha un rapporto speciale con ilpotere: è suo da sempre. Già segre-tario del Partito comunista kazakodal 1989, è sempre stato rielettopresidente negli ultimi 27 anni.Con un crescendo rossiniano del ^^^^^^m^mconsenso. Nel 2005 aveva già rag-giunto il 91,1% dei voti, nel 2011 il 95,5%, nel 2015il 97,7%. Percentuali da far impallidire la Bulgariadei tempi d'oro. Un ex dentista, Gurbanguly Berdi-muhammedow, è invece il presidente del Turkme-

II presidente delTurkmenistan hacreato un ministerodedicato ai cavalli

nistan dal 2007. «Ha instaurato un regime bizzarro- ride Erika Fatland -. Nel Paese si può fumare solonei luoghi al chiuso e si fa chiamare il nostro buonpresidente». «In Turkmenistan - prosegue - esiste ilculto del cavallo e il buon presidente ha creato unministero speciale dedicato al mondo equino. Egli è

ovviamente anche fantino e vinceregolarmente concorsi di galoppocon premi di milioni di euro». Siail Turkmenistan che il Kazakistansono ricchi di gas e petrolio, equesto ha prodotto piccoli stra-ti di benestanti che sostengono iregimi. Ma questi Paesi potrannomai conoscere delle democrazie

compiute? «Se ci fosse un'evoluzione democratica inRussia - risponde Erika - si riverserebbe sicuramenteanche in questi Paesi. Ci sono ancora contatti im-portanti, soprattutto dovuti ai tanti migranti che

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Sovietistanio in Asi/t

Da sinistra, ShohizindaNecropoli Samar-canda. La madrasaSher-Dor(HavingTigers) delXVII secolo,voluta dal sovrano diSamarcanda Yalangtu-sh Bakhodur, si trovain piazza Registan epresenta splendidi mo-saici. L'opera è stataprogettata dall'archi-tetto Abdujabor.Alato, Uzbekistan,Buchara, dettagliodelle decorazionidel mercato di TaqiSaFrafon nel centrostorico.

In basso, la scrittriceErika Fatland

All'avventura in Asia centrale

Un reportage sulla periferia dell'ex Urss, tra le cinque repubbliche dell'Asia centrale chenel 1991 ottennero l'indipendenza da Mosca. Tra analisi geopolitica e gusto dell'avventura.Inseguendo 'e affascinanti contraddizioni di Paesi ancora alla ricerca della loro identità.Dove si fronteggiano ricchezze smisurate e povertà estrema, architettura ultramodernae usanze antiche. A guidarci in questa scorribanda tra deserti, villaggi e metropoli, ErikaFatland, giornalista e scrittrice norvegese che, col suo Sovietistan, ha ricevuto il prestigiosoPremio dei librai in Norvegia e il Wesselprisen. L'opera sarà pubblicata in 13 Paesi.

lavorano a Mosca. Ma ci potrebbe essere un proces-so indipendente: i giovani aspirano confusamente aqualcosa di diverso, conoscono maggiormente il re-sto del mondo».La Russia, malgrado tutto, sbuca in ogni dove. In So-vietistan vengono dedicati alcuni capitoli al Grandegioco, l'affascinante guerra diplomatica e politica cheoppose l'impero britannico a quello zarista nel XIXsecolo, per il controllo di quest'area che lambisce l'Af-ghanistan, la Persia, l'Azerbaigian. Una sfida in cui spiee contingenti dì truppe a cavallo si confrontavano inventosi deserti. Una delle peculiarità del Grande giocofu la soprawalutazione della forza russa da parte delladiplomazia inglese. Non si tratta di qualcosa di simi-le a ciò che sta succedendo nella nuova guerra freddatra Occidente e Russia, chiedo? «Credo che tu abbiaragione. Accusare la Russia di tutto quanto avviene,vedi il caso Skripal, su cui deve essere fatta ovviamen-te chiarezza, e continuare ad attaccarla forse non è il

modo migliore per far evolvere questoPaese. Mi chiedo come mai la Cina, cheviola i diritti umani molto di più dì Putin,non riceva lo stesso trattamento».«Tra le tante cose non hai parlato di cu-cina... quella uzbeka è famosa in tuttoil mondo ex-sovietico» la incalzo. «Ven-go da una famiglia dove non si mangia carne e nelCentroasia carne di pecora e montone vanno per lamaggiore».Erika deve scappare via, ci sono altre interviste da faree copie del libro da firmare. Progetti per il futuro?«Vedremo. Intanto ho scritto un libro per bambinie un nuovo reportage». Di che si tratta? «È un viag-gio attraverso la Russia senza però mai entrarvi, mapassando attraverso molte altre realtà e culture che lacosteggiano. Non a caso l'ho intitolato Confine. Davoi sarà pubblicato l'anno prossimo». Ai russofili,non resta che attendere intrepidi.

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