ESTERI IL PRINCIPE E IL MILIARDARIO -...

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34 . IL VENERDÌ . 5 MAGGIO 2017 ESTERI IL PRINCIPE E IL MILIARDARIO CARO TRUMP, ROVESCIAMO L’ IRAN ? SOPRA, DONNE IRANIANE IN FILA A TEHERAN PER VOTARE ALLE LEGISLATIVE, NEL FEBBRAIO DEL 2016. A DESTRA, REZA PAHLAVI, 56 ANNI, FIGLIO DELL’ULTIMO SCIÀ: VIVE IN ESILIO NEGLI STATI UNITI DA QUANDO AVEVA 17 ANNI negato. I piani di Pahlavi per il ritorno di una monarchia parlamentare, il rispetto dei diritti umani e la modernizzazione dell’economia iraniana si sposano per- fettamente con le idee di alcuni dei mem- bri più importanti dell’amministrazione Trump. Resta da vedere se e quanto quest’uomo cresciuto lontano dal suo Paese, e sulle cui spalle pesa l’eredità di polemiche e rancori che a lungo ha cir- condato il nome dei Pahlavi, possa essere in grado di riunire attorno a sé la varie- gata opposizione iraniana: o se sia inve- ce destinato ad essere l’ennesimo leader in esilio in cerca di consensi all’estero. Alla vigilia di un appuntamento im- portante, come le elezioni presidenziali iraniane del 19 maggio, le parole di Reza Pahlavi potrebbero comunque avere un peso importante nel nuovo Medio Orien- te di Trump. Che cosa si aspetta dal prossimo voto a Teheran? «Nulla. È lo stesso circo che si ripete da tre decadi. Mi rifiuto di definire quel- lo che sta per avvenire un’elezione. Nel mondo libero le elezioni prevedono liber- tà di espressione e presenza di diversi partiti. Nulla di tutto questo esiste oggi in Iran. Per questo ciò che sta per avveni- re è una farsa. Chiunque vinca sarà un presidente illegittimo e non cambierà il comportamento di un regime che ha un unico motivo di esistere: l’esporta- zione della sua visione reli- giosa nel resto della regione». Ma i candidati non sono tutti uguali: il presidente uscente Hassan Rouhani corre su una piattaforma moderatamente riformista e questo ha scatenato le ire dei conservatori... «Il regime è irriformabile: la natura del suo Dna non si può cambiare. Per questo sempre più persone hanno ab- bandonato l’idea delle riforme e credono che debba esserci un cambiamento radi- cale. Come il cambiamento possa avve- nire è la domanda, ma mi pare chiaro che in Iran è tempo di una nuova rivoluzio- ne». Questo ha scritto nella lettera che ha inviato al presidente Trump? EW YORK. A volte ritorna- no. Mai frase fu più corretta per descrivere quello che è accaduto negli ultimi mesi intorno a Reza Pahlavi, 56 anni, Sua Al- tezza Imperiale il Principe ereditario dell’Iran, come lo chiamano nella corri- spondenza i suoi collaboratori. Pahlavi, erede diretto di una dinastia il cui solo nome evoca sfarzo e tragedie, è il figlio primogenito dell’ultimo scià dell’Iran, cacciato dalla rivoluzione khomeinista del 1979. E come tale, erede legittimo al trono del Pavone. Era giovanissimo (20 anni) quando il padre morì e lasciò sulle sue spalle non solo la responsabilità di guidare la famiglia ma anche di rovescia- re il governo degli ayatollah per tornare a Teheran. Da allora Reza non ha più messo piede in Iran. Dal suo esilio statunitense, negli an- ni, non ha mai smesso di invo- care un Paese laico e più de- mocratico: ma a lungo le sue parole negli Stati Uniti sono cadute nel vuoto, complici le accuse – da lui sempre negate – di finanziamenti dalle pe- tro-dinastie del Golfo Persico e di legami con la Cia, nonché la strategia di avvici- namento al regime diTeheran perseguita da Barack Obama. Sembrava destinato a continuare a vivere il suo esilio dorato, quando l’elezione di Donald Trump ha sconvolto i suoi piani (oltre a quelli di milioni di altre persone). Determinato a rivedere i termini dell’accordo sul nucle- are siglato dal suo predecessore, il nuovo presidente americano potrebbe conce- dere all’erede al trono di Teheran il ruolo di interlocutore che Obama gli ha sempre N dalla nostra inviata Francesca Caferri In 40 anni di esilio negli Stati Uniti nessuno lo ha mai preso sul serio. Ma ora che alla Casa Bianca c’è un nuovo inquilino lui ci prova. Parla Reza Pahlavi, primogenito dello scià 5 MAGGIO 2017 . IL VENERDÌ . 35 «IL VOTO DEL 19 MAGGIO È UNA FARSA. CHIUNQUE VINCA IL REGIME NON CAMBIERÀ» GETTY IMAGES SCOTT PETERSON/GETTY IMAGES

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34 . IL VENERDÌ . 5 MAGGIO 2017

ESTERI IL PRINCIPE E IL MILIARDARIO

CARO TRUMP, ROVESCIAMO L’IRAN?

SOPRA, DONNE IRANIANE IN FILA

A TEHERAN PER VOTARE ALLE LEGISLATIVE,

NEL FEBBRAIO DEL 2016. A DESTRA,

REZA PAHLAVI, 56 ANNI, FIGLIO DELL’ULTIMO SCIÀ: VIVE IN ESILIO NEGLI STATI UNITI

DA QUANDO AVEVA 17 ANNI

negato. I piani di Pahlavi per il ritorno di una monarchia parlamentare, il rispetto dei diritti umani e la modernizzazione dell’economia iraniana si sposano per-fettamente con le idee di alcuni dei mem-bri più importanti dell’amministrazione Trump. Resta da vedere se e quanto quest’uomo cresciuto lontano dal suo Paese, e sulle cui spalle pesa l’eredità di polemiche e rancori che a lungo ha cir-condato il nome dei Pahlavi, possa essere in grado di riunire attorno a sé la varie-gata opposizione iraniana: o se sia inve-ce destinato ad essere l’ennesimo leader in esilio in cerca di consensi all’estero.

Alla vigilia di un appuntamento im-portante, come le elezioni presidenziali iraniane del 19 maggio, le parole di Reza Pahlavi potrebbero comunque avere un peso importante nel nuovo Medio Orien-te di Trump. Che cosa si aspetta dal prossimo voto a Teheran?

«Nulla. È lo stesso circo che si ripete da tre decadi. Mi rifiuto di definire quel-lo che sta per avvenire un’elezione. Nel mondo libero le elezioni prevedono liber-tà di espressione e presenza di diversi partiti. Nulla di tutto questo esiste oggi in Iran. Per questo ciò che sta per avveni-re è una farsa. Chiunque vinca sarà un

presidente illegittimo e non cambierà il comportamento di un regime che ha un unico motivo di esistere: l’esporta-zione della sua visione reli-giosa nel resto della regione».Ma i candidati non sono tutti uguali: il presidente uscente Hassan Rouhani corre su una piattaforma

moderatamente riformista e questo ha scatenato le ire dei conservatori...

«Il regime è irriformabile: la natura del suo Dna non si può cambiare. Per questo sempre più persone hanno ab-bandonato l’idea delle riforme e credono che debba esserci un cambiamento radi-cale. Come il cambiamento possa avve-nire è la domanda, ma mi pare chiaro che in Iran è tempo di una nuova rivoluzio-ne».Questo ha scritto nella lettera che ha inviato al presidente Trump?

EW YORK. A volte ritorna-no. Mai frase fu più corretta per descrivere quello che è accaduto negli ultimi mesi

intorno a Reza Pahlavi, 56 anni, Sua Al-tezza Imperiale il Principe ereditario dell’Iran, come lo chiamano nella corri-spondenza i suoi collaboratori. Pahlavi, erede diretto di una dinastia il cui solo nome evoca sfarzo e tragedie, è il figlio primogenito dell’ultimo scià dell’Iran, cacciato dalla rivoluzione khomeinista del 1979. E come tale, erede legittimo al trono del Pavone. Era giovanissimo (20 anni) quando il padre morì e lasciò sulle sue spalle non solo la responsabilità di guidare la famiglia ma anche di rovescia-re il governo degli ayatollah per tornare a Teheran.

Da allora Reza non ha più messo piede in Iran. Dal suo esilio statunitense, negli an-ni, non ha mai smesso di invo-care un Paese laico e più de-mocratico: ma a lungo le sue parole negli Stati Uniti sono cadute nel vuoto, complici le accuse – da lui sempre negate – di finanziamenti dalle pe-tro-dinastie del Golfo Persico e di legami con la Cia, nonché la strategia di avvici-namento al regime di Teheran perseguita da Barack Obama. Sembrava destinato a continuare a vivere il suo esilio dorato, quando l’elezione di Donald Trump ha sconvolto i suoi piani (oltre a quelli di milioni di altre persone). Determinato a rivedere i termini dell’accordo sul nucle-are siglato dal suo predecessore, il nuovo presidente americano potrebbe conce-dere all’erede al trono di Teheran il ruolo di interlocutore che Obama gli ha sempre

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dalla nostra inviataFrancesca Caferri

In 40 anni di esilio negli Stati Unitinessuno lo ha mai preso sul serio.Ma ora che alla Casa Bianca c’èun nuovo inquilino lui ci prova. ParlaReza Pahlavi, primogenito dello scià

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«Ho chiesto di parlare con Trump perché questa amministrazione, a diffe-renza di quelle che l’hanno preceduta, fossero democratiche o repubblicane, non punta a flirtare con il regime di Tehe-ran. Ho l’impressione che questo sia il primo presidente americano da trent’an-ni che riconosce che la linea di comuni-cazione deve essere stabilita con l’oppo-sizione democratica, non con il regime». Lei manca dal suo Paese da quando aveva 17 anni: come fa a porsi come un interlocutore in grado di rappre-sentare i bisogni della sua gente? So-prattutto considerando il fatto che il giudizio storico su suo padre è così controverso?

«Non è difficile essere in contatto con l’Iran in questi anni. Io lo faccio quoti-dianamente attraverso i social media, Instagram soprattut-to. La nuova genera-zione è quella che mi appoggia e mi segue di più. E il motivo è semplice: quando ve-dono come è l’Iran oggi e ascoltano dai loro genitori come era quando a guidarlo erano mio padre o mio nonno, mi contat-tano. Sono ragazzi che guar-dano avanti e vogliono fare le stesse cose che fa il resto del mondo. Vorrebbero vedere il rispetto dei diritti umani, l’u-guaglianza, e sanno che io so-no un difensore di questa vi-sione». Trump le ha risposto?

«Non ancora. Mi pare che manchi ancora una formula-zione chiara della politica da seguire nei confronti dell’Iran. Ma credo che da questo presidente vedremo qualcosa di molto diverso rispetto al passato». Un piano per il futuro del suo Paese?

«Rimpiazzare la teocrazia con un re-gime parlamentare. Un’assemblea costi-tuente per scrivere una nuova costituzio-ne e poi un referendum per scegliere quale forma questo regime democratico dovrà prendere. Per poi affrontare i pro-blemi reali del Paese: l’inquinamento, la siccità che minaccia di rendere alcune

«No. Come le ripeto sono in contatto quotidiano con l’Iran. E so bene che il mio è un piano difficile, ma Nelson Mandela non ha indietreggiato e non lo ha fatto Aung San Suu Kyi: altrimenti il mondo oggi sarebbe diverso. Ai governi occiden-tali voglio dire che non possono ridurre la loro politica nei confronti dell’Iran al contenimento delle ambizioni nucleari del regime e alla limitazione della sua influenza in Siria. Dobbiamo parlare di diritti umani e libertà. E credo che sia anche nell’interesse dell’Occidente che queste idee abbiano successo in Iran».

Francesca Caferri

Da Rouhani al sindaco della capitale, sei candidatialla presidenza

I SEI CANDIDATI ALLA PRESIDENZA [1] MOSTAFA AQA-MIRSALIM [2] MOSTAFA

HASHEMITABA [3] ESHAQ JAHANGIRI [4] EBRAHIM RAISI [5] MOHAMMAD

BAGHER GHALIBAF [6] HASSAN ROUHANI

zone invivibili e scatenare ondate di profughi ambientali. La gente vuole sta-bilità, welfare, fare affari e vivere in modo normale. E un Paese che abbia buone relazioni con i suoi vicini». Suona utopistico. Non teme di tra-sformarsi in uno di quegli esuli che parlano di Paesi che non conoscono?

sembra, si avvereranno le promesse di Donald Trump di un cambiamento radicale della politica americana verso il Paese. Escluso dalle urne Mahmoud Ahmadinejad, l’ex presidente ultraconservatore che si era ri-candidato a sorpresa ignoran-do il consiglio della Guida suprema Ayatollah Khamenei, in corsa restano in sei. Il tema principale è la politica di apertura all’Occidente portata avanti da Hassan Rouhani, 69 anni, presidente moderatamente riformista (per gli standard locali) che si presenta per un secondo mandato. Il candidato più giovane è il conserva-tore Mohammad Bagher Ghalibaf, 56 anni, sindaco di Teheran, ex ufficiale delle forze aeree dei Pasdaran ed ex capo della polizia nazionale. I più anziani, entrambi di 70 anni, sono invece il conservatore Mostafa Aqa-Mirsalim, già ministro della Cultura durante la presidenza dell’ex uomo forte di Teheran Akbar Hashemi Rafsanjani (morto a gennaio), e il riformista Mostafa Hashemitaba, già vicepresidente sotto Rafsanjani e Khatami ed ex ministro dell’Industria. Infine ci sono il 56enne Ebrahim Raisi, il favorito degli oltranzisti, a capo della ricca e prestigiosa fondazione religiosa Astan Quds Razavi, e il riformista moderato Eshaq Jahangiri, 60 anni, attuale primo vicepresidente, già ministro delle Miniere e governatore di Isfahan. (fr. caf.)

Sei candidati per uno scontro accesissimo: più un settimo, rimasto fuori ma destinato a influire sulla partita che si giocherà alle urne il 19 maggio. Le elezioni presidenziali in Iran sono un appuntamento fonda-mentale per capire che direzione prenderà non soltanto il Paese ma l’intera regione. Con la firma dell’accordo sul nucleare negli ultimi mesi della presidenza di Barack Obama, e l’appoggio sempre più forte al regime di Bashar al-Assad in Siria, Teheran è infatti diventata l’attore chiave del Medio Oriente contempo-raneo. E tanto di più è destinata ad esserlo nei prossimi mesi se, come

«I GIOVANI MI SCRIVONO,

VOGLIONO FARE LE STESSE COSE

DEI LORO COETANEI

OCCIDENTALI»

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