Esperienze Religiose nel Medioevo

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    sacro / santo(nuova serie)

    7Collana diretta da Sofia Boesch Gajano, Philippe Boutry,

    Simon Ditchfield, Roberto Rusconi, Edith Saurer,Francesco Scorza Barcellona

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    Andr Vauchez

    Esperienze religiosenel Medioevo

    viella

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    Copyright 2003 - Viella s.r.l.Tutti i diritti riservatiPrima edizione: maggio 2003

    ISBN 88-8334-088-4

    Traduzione di Cristina Colotto

    viella

    libreria editrice

    via delle Alpi, 32I-00198 ROMAtel. 06 84 17 75 8fax 06 85 35 39 60www.viella.it

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    Indice

    Introduzione 7

    I. La santit dei laici 13

    1. La santit dei laici nellOccidente medievale: nascita edevoluzione di un modello agiografico (secoli XII- XIII in.) 15

    2. Una novit del XII secolo: i santi laici dellItalia comunale 273. Il posto dei laici nellecclesiologia medievale 51

    4. Il difficile emergere di una santit laica nella Venezia deisecoli XII e XIII 67

    5. San Rocco: lultimo santo laico del Medioevo 81

    II. La santit al femminile 97

    6. Tra vergini e spose spirituali: modelli di santit femminilenellOccidente cristiano del Medioevo 99

    7. Santa Chiara e i movimenti religiosi femminili del suotempo 111

    8. Carit e povert in santa Elisabetta di Turingia in base agliatti del processo di canonizzazione 125

    9. Santa Margherita da Cortona ( 1297): dalla religione civi-ca al culto universale 137

    10. Tra Dio e Satana: le visioni di Erminia di Reims ( 1396) 149

    11. Margery Kempe (1371-1438) o la santit mancata 155

    12. Cenerentola in paradiso: culto e iconografia della beata Pa-nesia/Panacea nella diocesi di Novara (fine XIV-met XVIsecolo) 163

    III. Luomo medievale e il sacro: luoghi dincontro 181

    13. La parrocchia nel Medioevo 183

    14. La cattedrale 193

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    15. Miracoli e vita quotidiana al tempo della Guerra dei Centanni 225

    16. La tomba, la morte e il destino del corpo 237

    17. La religione civica 247

    IV. Tempo e spazio nella religiosit medievale 253

    18. Iacopo da Varazze e la cristianizzazione del tempo folclori-co nellaLegenda aurea 255

    19. Pellegrinaggi e indulgenze nel Medioevo 265

    20. Lo spazio, luomo e il sacro nel mondo mediterraneo 279

    21. Notre-Dame-de-lHermitire: trasformazioni e continuit diun culto popolare dal XV al XIX secolo 287

    22. Luoghi sacri, luoghi di culto e santuari 297

    Opere citate 305

    Indice dei nomi e dei luoghi 321

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    Introduzione

    Questo volume una raccolta di saggi che, a parte due eccezioni,sono stati redatti e pubblicati dopo il 1990 e, nel caso di alcuni, addi-rittura nel corso degli ultimissimi anni. Tale raggruppamento di studidisseminati in diverse riviste e atti di convegni, spesso difficili da re-perire, si accompagna a una traduzione in lingua italiana a cura di Cri-stina Colotto che tengo a ringraziare assai vivamente per la qualit delsuo lavoro. La mia gratitudine va anche alle edizioni Viella e alla di-rettrice Cecilia Palombelli che ha cortesemente inserito questoperanella collezione Sacro/Santo, diretta dai colleghi e amici SofiaBoesch Gajano, Philippe Boutry, Simon Ditchfield, Roberto Rusconi,Edith Saurer e Francesco Scorza Barcellona.

    Questa antologia, a differenza delle varie raccolte di studi pubbli-cate in precedenza con altri editori italiani (I laici nel Medioevo, Mila-no 1989 e Santi, profeti e visionari. Il soprannaturale nel Medio Evo,

    Bologna 2000), non ha, almeno per il momento, un equivalente fran-cese; dunque, appare per la prima volta in italiano, come era accadutoper la mia opera dal titolo Ordini Mendicanti e societ italiana. SecoliXIII-XV, pubblicata nel 1990. Tutto ci dovuto in parte al fatto chemolti degli argomenti affrontati in questa sede riguardano la storia del-lItalia medievale, ma, in misura maggiore, allinteresse nutrito daglistudiosi italiani nei riguardi della storia religiosa in tutte le sue diverseforme. Tale fenomeno non ha equivalenti nel resto dEuropa e fa di

    questo paese una sorta di paradiso accademico in cui lo studiosostraniero interessato agli argomenti in questione certo di trovare unambiente scientifico pronto ad accoglierlo e un pubblico disposto aleggerlo. Pertanto, ho approfittato delloccasione che mi veniva offertaper rivedere, correggere ed eventualmente aggiornare gli studi qui ri-

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    uniti. Si trover traccia di questo sforzo di aggiornamento nelle note e,soprattutto, nella bibliografia finale, anche se i testi sono rimasti nellasostanza come erano al momento della pubblicazione originaria e non

    sono stati riscritti.Il piano dellopera, in certa misura, si imposto da s, in funzionedelle tematiche comuni a diversi gruppi di studi. Le prime due sezioni La santit dei laici e Santit al femminile sinseriscono nel solcodei miei precedenti lavori sulla santit e lagiografia medievali, inte-grandoli in alcuni punti e arricchendoli a livello della problematica. Lasezione successiva segue delle piste di ricerca un po meno battute. Inessa si affronta, infatti, la questione dei luoghi e dei quadri attraverso

    cui avveniva la mediazione informale o ritualizzata tra i fedeli e ilsoprannaturale: la parrocchia, la cattedrale, le reliquie, il miracolo, lareligione civica, il corpo e la tomba. Lelenco non pretende di essereesaustivo: per dovere di completezza sarebbe stato necessario parlareanche del monastero, della preghiera, della liturgia e dei sacramenti. Ilmio obiettivo era soltanto quello di aprire delle strade che consentisserodi superare la tradizionale distinzione tra la storia delle istituzioni eccle-siastiche, cara a Cinzio Violante e alle correnti storiografiche che allostudioso si ispirano, e quella della piet e della devozione legata, in Ita-lia, a Giuseppe De Luca, per orientarmi verso un approccio globale aifatti e ai movimenti religiosi. Lultimo capitolo, infine, corrisponde auna direzione assunta pi di recente dalle mie ricerche, che mi ha spintoa interessarmi in misura crescente dei processi di cristianizzazione dellospazio e del tempo, analizzati in particolare nel contesto dei pellegri-naggi e dei santuari. Vi si ritrover, in modo evidente, leco del lavoroconsiderevole svolto, a partire dal 1997, in stretta collaborazione con ungran numero di ricercatori giovani e meno giovani delle universit

    italiane, nellambito del Censimento dei santuari cristiani dItalia,circostanza che ha fornito al tempo stesso loccasione per un cospicuolavoro dinventariazione e per una riflessione metodologica approfon-dita su questi problemi fondamentali.

    Nella sua veste attuale, dunque, questo volume non costituisce af-fatto un manuale di storia religiosa del Medioevo, ma non rappresentaneppure la semplice riunificazione di membra disiecta, accomunatesoltanto dal fatto di avere lo stesso autore. Approfondendo delle diret-

    trici di ricerca gi esplorate in precedenza e aprendone delle nuove, hocercato, in primo luogo, di porre laccento sulla realt e la specificitdella religiosit medievale. Lesigenza di dimostrare questo assunto siavverte con maggiore urgenza ai nostri giorni in quanto, da qualcheanno a questa parte, alcuni storici sostengono che il concetto di reli-

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    Introduzione 9

    gione non si applicherebbe al cristianesimo medievale quanto af-ferma in particolare Jean-Claude Schmitt, partendo dalla constatazio-ne peraltro inconfutabile che il termine religio, nei testi latini me-

    dievali, non designa le credenze o i comportamenti religiosi, quantopiuttosto la qualit intrinseca delluomo religioso o, pi frequente-mente, dei movimenti o degli ordini religiosi. A questepoca sarebbe,dunque, esistito soltanto un insieme di pratiche simboliche, espressio-ne di un immaginario sociale che contribuisce, attraverso la rappre-sentazione (mentale, rituale, immaginifica) di una realt altra chepotremmo definire il divino, a ordinare e a legittimare le relazioni de-gli uomini tra loro (Schmitt, Une histoire religieuse du Moyen ge).

    Questa radicale messa in discussione dellapplicazione del concetto direligione al Medioevo si richiama allantropologia storica e si associaa una critica del ruolo eccessivo attribuito tradizionalmente al cristia-nesimo nellambito della civilt dei secoli bui.

    Non si tratta, certo, di una critica inutile nella misura in cui mettein guardia lo storico e i suoi lettori contro il rischio dellanacronismo edelle false continuit che incombe sul discorso relativo al cristianesi-mo medievale per effetto della sopravvivenza, fino ai nostri giorni, diChiese cristiane che hanno conservato, nella sostanza, delle strutture eun vocabolario apparentemente immutabili. Pertanto, termini comeChiesa, vescovo, o sacerdote, il cui significato a noi sembraevidente, possono, in verit, trarci in inganno, in quanto le realt cuirinviano oggi non hanno molto a che vedere con quelle peraltro de-signate con gli stessi termini dellVIII o del XIII secolo. A questoproposito, lapproccio critico di J. C. Schmitt rappresenta un antidotoutile, persino indispensabile, contro una storia religiosa un po naif, ocontro tutti i tentativi diretti ad affermare lidea di una continuit im-

    mutabile dellistituzione ecclesiastica attraverso i secoli, nel quadro diuna prospettiva apologetica. Tuttavia, non bisogna di conseguenza fa-re di tutta lerba un fascio: il termine religio non si riferisce, certa-mente, alla religione come la intendiamo noi; il latino medievale noncontempla neppure dei termini per designare leconomia o la politica,tuttavia nessuno ha mai negato la validit di una storia economica opolitica del Medioevo, n il fatto che i regni e le citt dellepoca ab-biano avuto una vita politica ed economica! Largomentazione per cui,

    nel mondo medievale, il religioso e il profano sarebbero stati mesco-lati in modo indissolubile, al punto da rendere impossibile distinguerli,pu apparire affascinante al primo impatto, ma si potrebbe altrettantocorrettamente rovesciare laffermazione e sostenere come hannofatto alcuni che tutto nel Medioevo sia stato religioso. In effetti,

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    innegabile la tendenza del cristianesimo medievale ma non si trat-tato dellunica epoca in cui ci si verificato! alla sacralizzazionedelle strutture sociali e che quandanche ai cristiani pi esigenti queste

    ultime sono apparse ingiuste o macchiate dal peccato, essi non hannoesitato a fuggirle piuttosto che a combatterle, come testimonia chiara-mente lesempio di santa Elisabetta di Ungheria, esaminato in questasede. Eppure, inversamente, si potrebbe citare il caso, quasi contem-poraneo, di san Luigi che si sforzava di rendere la legislazione realepi conforme alle istanze evangeliche e di porre fine agli abusi e alleesazioni degli amministratori regi, o ancora limportanza del temadella reformatio nella storia degli ordini religiosi. Inoltre, se la reli-

    gione medievale fosse stata soltanto un complesso di riti e di miti fi-nalizzati ad assicurare il funzionamento armonioso del corpo sociale,mal si comprenderebbe il significato della lotta per le investiture oquello della bolla Clericis laicos di Bonifacio VIII, o ancora la naturadi fenomeni come la rivendicazione, da parte di numerosi laici, di unacerta autonomia rispetto ai chierici nella sfera spirituale. In ogni caso,una cosa affermare che i fatti religiosi siano anche dei fatti sociali eche i comportamenti religiosi si evolvano in funzione delle trasforma-zioni della societ, unaltra del tutto diversa e, ai miei occhi, assaidiscutibile negare lesistenza stessa di una religione medievale.Nel corso degli ultimi trentanni, la storiografia ha sviluppato la ten-denza a sottovalutare limportanza e il peso, in questo ambito, deifattori istituzionali. Oggi opportuno riportarli in primo piano, nonper effetto di una moda, ma in conseguenza del riconoscimento delruolo considerevole che le istituzioni hanno rivestito nella definizionedei legami religiosi e delle tensioni a volte velate, a volte violente-mente manifeste sviluppatesi tra queste ultime e i fedeli nella ge-

    stione dei rapporti con lal di l e con il mondo soprannaturale. Que-stopera avr raggiunto il suo scopo se riuscir a persuadere i proprilettori che, se il Medioevo non fu cos cristiano come si sostenutoper lungo tempo, senzaltro stato religioso.

    Andr Vauchez

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    Titoli e sedi originari dei saggi pubblicati nel volume

    1. La saintet du lac dans lOccident mdival: naissance et volution

    dun modle hagiographique, in Saintet et martyre dans les religionsdu Livre, a cura di J. Marx, Bruxelles 1989, pp. 57-662. Une nouveaut du XIIesicle: les saints lacs de lItalie communale, in

    LEuropa dei secoli XI e XII fra novit e tradizione: sviluppi di unacultura, Atti della settima settimana di studio, Mendola, 1986, Milano1989, pp. 57-80

    3. Yves Congar et la place des lacs dans lecclsiologie mdivale, inCardinal Yves Congar, 1904-1995, Paris 1999, pp. 165-182

    4. La difficile mergence duna saintt des lacs Venice aux XIIe

    et XIIIe

    sicles, in Genova, Venezia e il Levante nei secoli XII-XIV, Atti del Con-veno, Genova-Venezia 10-14 marzo 2000, Venezia 2001, pp. 335-348

    5. San Rocco: tradizioni agiografiche e storia del culto, in San Rocconellarte. Un pellegrino sulla via Francigena, Modena 2000, pp. 13-19

    6. Between Virginity and Spiritual Esposals: Models of Feminine Saint-hood in the Christian West during the Middles Ages, in The MedievalHistory Journal, 2/2 (1999), pp. 349-359

    7. Sainte Claire dAssise et les mouvements religieux fminins de sontemps, in Sainte Claire et sa postrit. VIIIecentenaire de sainte Claire,Atti del Colloquio dellUNESCO, 1994, Paris 1995, pp. 13-28

    8. Charit et pauvret chez sainte Elisabeth de Thuringe daprs les actesdu procs de canonisation, in Etudes sur lhistoire de la pauvret, a curadi M. Mollat, Paris 1973, I, pp. 163-173

    9. Santa Margherita da Cortona ( 1297): dalla religione al culto univer-sale, in Vita religiosa e identit politiche: universalit e particolarisminellEuropa del Tardo Medioevo, Pisa 1998, pp. 251-262

    10. Prfacea C. Arnaud-Gillet, Entre Dieu et Satan. Les visions dErminede Reims ( 1396) recueillies et transcrites par Jean Le Graveur,Firenze 1997 (Millennio medievale, 3,1), pp. 7-10

    11. Margery Kempe (1373-1438) ou la saintet manque, in Saints etsaintet hier et aujourdhui, a cura di C. dHaussy, Paris 1991, pp. 75-82

    12. Iconographie et histoire de la saintet. Le culte de la b. Panacea dans lediocse de Novare de la fin du XIVeau milieu du XVIesicle, inLe culteet ses rites: des tmoins manuscrits aux expressions de la dvotion

    populaire, Atti del Colloquio internazionale, Aosta 2-3 aprile 1993,Aosta 1994, pp. 95-10813. La parrocchia, inLa parrocchia nel Medio Evo. Economia, scambi, so-

    lidariet, a cura di A. Paravicini Bagliani e V. Pasche, Roma 1995 (Ita-lia sacra, 53), pp. 305-315

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    14. Les cathdrales, inLes lieux de mmoire, III,La France, 2, Traditions, acura di P. Nora, Paris 1993, pp. 91-127

    15. Dvotion et vie quotidienne Prigueux au temps de Charles V daprs

    un recueil de miracles de Charles de Blois, in Villes, bonnes villes, citset capitales. Mlanges offerts Bernard Chevalier, Tours 1989, pp.305-314

    16. Le tombeau, le corps et la mort, in Il cadavere[= Micrologus. Natura,scienze e societ medievale, 7], Firenze 1999, pp. 1-10

    17. La Religion civique, inLa religion civique lpoque mdivale et mo-derne (Chrtient et Islam), a cura di A. Vauchez, Roma 1995 (Col-lection de lcole franaise de Rome, 213), pp. 1-5

    18. Jacques de Voragine et la culture folklorique dans la Lgende dore, inIl paradiso e la terra. Iacopo da Varazze e il suo tempo, Atti del Conve-gno internazionale, Varazze 24-26 settembre 1998, a cura di S. BertiniGuidetti, Firenze 2001 (Millennio medievale, 25),15-24

    19. Plerinages et indulgences au Moyen ge, in Il Veltro, 43 (1999), pp.275-286

    20. Lo spazio, luomo e il sacro nel mondo mediterraneo: premessa ad unin-dagine, in Contributi alla storia sociale. Omaggio a Gabriele De Rosa,Vicenza 1997, pp. 141-150

    21. Notre-Dame de lHermitire: mutations et continuit dun culte popu-laire du XVe au XIXe sicle, in Homo religiosus. Autour de JeanDelumeau, Paris 1997, pp. 588-596

    22. Introduction, a Lieux sacrs, lieux de culte, sanctuaires. Approchesterminologiques, mthodologiques, historiques et monographi-ques, a cura di A. Vauchez, Roma 2000 (Collection de lcole fran-aise de Rome, 273), pp. 1-7

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    I. La santit dei laici

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    La santit dei laici nellOccidente medievale 15

    1. La santit dei laici nellOccidente medievale:nascita ed evoluzione di un modello agiografico

    (secoli XII-XIII in.)

    Alcuni studi recenti hanno richiamato lattenzione sullimportan-za del fenomeno della santit laica in determinati periodi del Medioe-vo in contrasto con altri in cui la figura del semplice fedele sembra es-sere stata eclissata da quella del vescovo santo o del monaco.1Tali di-scontinuit si chiariscono nel momento in cui le si mette in rapportocon le oscillazioni che, tra IX e XIV secolo, hanno contraddistinto lerelazioni tra clero e laici allinterno della Chiesa e della societ. Infat-ti, a seconda delle diverse epoche, laccento stato posto ora sulla ne-cessaria complementarit e sul ruolo insostituibile assolto dai cristianiche vivevano nel mondo, ora, viceversa, sulla loro diversit e sullospirito di fronda dei laici che Bonifacio VIII non esitava a definiresempre pieni di ostilit nei riguardi dei chierici.2Il nostro obiettivo quello di illustrare come queste oscillazioni si siano riflesse nel-lambito dellagiografia, richiamando in particolare lattenzione su

    quel periodo di trasformazione rappresentato, da questo specificopunto di vista, dalla seconda met del XII e dallinizio del XIII secolo.

    Volendo affrontare la questione a monte, risalendo al X secolo, cisi trova di fronte a una situazione abbastanza favorevole ai laici. Nelsolco della tradizione inaugurata da Jonas di Orlans e dal suo trattatoDe institutione laicali, alcuni chierici, in et carolingia e ottoniana, fu-rono impegnati nel tentativo di valorizzare la condizione degli uominie delle donne che vivevano nel secolo e di offrire loro dei modelli pi

    concreti di quelli reperibili nei vari specula redatti allepoca proprioper i laici. In questo contesto, che denota un atteggiamento aperto epositivo, vanno collocate, per esempio, delle opere come la Vita diSan Graud dAurillac, composta intorno al 930 dallabate Oddone diCluny,3o le Vitedella regina Matilde ( 968), madre dellimperatore

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    tedesco Ottone I, scritte in Sassonia tra il 970 e il 1003.4Se la biogra-fia del conte dAurillac ha tutte le caratteristiche di un tentativo ancortimido nella misura in cui presenta il protagonista pi come un mona-

    co mancato rimasto nel secolo, che come un laico che conduceunesistenza da santo nel quadro della propria condizione, lultimaVitadi Matilde come ha dimostrato in maniera convincente PatrickCorbet un testo molto equilibrato, in cui vengono definite dellenorme comportamentali per lalta societ sassone dellanno Mille. Acaratterizzarlo infatti una grande sobriet in fatto di miracoli e lamoderazione delle pratiche devozionali, compatibili con gli obblighiche la vita sociale imponeva a una nobildonna. Vi si trova, inoltre (co-

    sa divenuta rara in seguito), un apprezzamento della vita coniugale efamiliare di questa donna, esaltata soprattutto in quanto sposa, madre evedova. Considerazioni analoghe valgono, mutatis mutandis, a propo-sito della Vitadi santa Margherita, regina di Scozia ( 1093), redattaintorno al 1105 da Turgot, priore di Durham, su committenza della fi-glia della sovrana, Matilde, moglie del re dInghilterra Enrico I Beau-clerc.5Nel complesso, si pu dire che lagiografia di questepoca ela-bor dei modelli coerenti e ambiziosi di vita cristiana nel mondo, perquanto limitati a unlite aristocratica piuttosto ristretta.

    Tuttavia, la riforma gregoriana e lo sviluppo di un nuovo mona-chesimo, molto pi incline alla spiritualit rispetto a quello del perio-do precedente, ostacolarono probabilmente lo sviluppo di questa agio-grafia nel complesso ben disposta verso la vita secolare, bloccandonela diffusione. A partire dalla seconda met dellXI secolo, in effetti, sifa strada, allinterno della Chiesa ora impegnata a rivendicare lapropria libert e i propri beni di fronte alle ingerenze esercitate ai suoidanni dai poteri monarchici e feudali una tendenza a disprezzare la

    condizione laicale. Nei testi provenienti dagli ambienti riformatori, daUmberto de Moyenmoutier a Gregorio VII, i laici vengono presentaticome gli oppressori della Chiesa o ritratti come dei lupi ingordi. Inol-tre, questi autori ecclesiastici non mancano di sottolineare la necessitdella sottomissione dei laici ai chierici, in quanto questi ultimi sono ire e a essi soltanto spetta lautorit in seno alla Chiesa.6Alcuni mo-naci, da Abbone di Fleury a Enrico di Albano, dalle idee pi radicali,posero con insistenza laccento sulla distinzione esistente tra i due

    ordini che costituivano la Chiesa: da un lato, gli esseri carnali, chevivevano male nel complesso stretti nel vincolo matrimoniale, as-sorbiti dagli affari temporali e incapaci di elevarsi al di sopra dei lorodesideri istintuali; dallaltro, gli esseri spirituali che avevano scelto ilcelibato, votandosi alla contemplazione e al servizio divino. Alcuni

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    La santit dei laici nellOccidente medievale 17

    autori arrivarono persino ad assimilare i laici alla carne e i chierici allospirito, cui ovviamente spettava il controllo sulla prima. La Chiesastessa venne, del resto, a volte paragonata a una piramide, alla cui ba-

    se vi erano i fedeli sposati, implicati negli affari del secolo, e al verticei religiosi, gi a contatto con il Cielo Peraltro, unetimologia fanta-siosa faceva derivare la parola greca hagios (= santo) da a-gioscio estraneo alla terra e alle cure del mondo.7In questa prospettiva, ilsanto non poteva identificarsi altro che con il monaco che, in virt delsuo ascetismo e della sua verginit, era lessere pi distaccato dai benidi questo mondo e dalla vita carnale.

    Ovviamente non corretto estremizzare e, infatti, anche durante il

    periodo della riforma gregoriana si trovano casi sparsi di chierici ingrado di discernere i meriti di alcuni laici, soprattutto di quelli chesceglievano di vivere da eremiti. Tuttavia, occorre distinguere tra lapossibilit, da un lato, di adoperarsi per la propria salvezza, ricono-sciuta ai laici pii, rispettosi delle leggi della Chiesa e generosi verso ireligiosi e i poveri, e, dallaltro, la perfezione cristiana che sidentifi-cava in misura crescente con la fuga e il disprezzo del mondo. Del re-sto, i semplici fedeli non potevano evitare la triplice macchia che, agliocchi dei chierici, comportavano la pratica della guerra, in cui inevita-bilmente veniva versato del sangue, le relazioni sessuali anchequelle consumate allinterno del matrimonio legittimo e luso smo-dato del denaro. Dunque, pur non essendone esclusi a priori, chiaroche i laici soltanto in casi eccezionali potevano accedere alla sferadella santit. Del resto, essi stessi erano convinti di essere dei peccato-ri e si sforzavano di rimediare a questo handicap inerente la loro con-dizione legandosi in extremis a un ordine religioso di cui rivestivanolabito in punto di morte, o mettendosi al servizio dei monaci come

    servitori o fratelli conversi, per poter beneficiare nellal di l delle loropreghiere.8

    Infine, non bisogna dimenticare che il XII secolo fu caratterizzatoin Occidente da una rinascita della cultura dotta che vide i monasteri ele scuole delle cattedrali divenire centri di produzione letteraria estre-mamente fecondi. Questa cultura elaborata dai chierici, ispirata allaBibbia, ai Padri della Chiesa e ad alcuni autori dellantichit pagana ecristiana, si fondava sulla conoscenza del latino, suo strumento espres-

    sivo. Chi non conosceva questa lingua vale a dire la quasi totalit deilaici si trovava di fatto escluso dal mondo della scienza e della cono-scenza. Tale inferiorit culturale contribu ad approfondire ulterior-mente il baratro che separava i laici dai chierici: i primi videro la lorocondizione sempre pi screditata, assimilata allignoranza, madre del-

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    la stupidit e dellerrore. Unaltra etimologia fantasiosa, ben attestatanel XIII secolo ma sicuramente pi antica, faceva derivare il terminelaicus dal lapis (= pietra) in quanto il laico duro ed estraneo alla

    scienza delle lettere.9Questo clima generale sfavorevole ai laici non poteva mancare diriflettersi anche nei testi agiografici, i cui autori erano necessariamentedegli ecclesiastici. A questo proposito significativo il fatto, che nellamaggior parte della cristianit, eccetto i paesi mediterranei, tra XII eXIII secolo, i soli laici o quasi di cui si scrisse la Vita (tra i santirecenti, ovviamente) furono dei re o delle regine. A partire dallXI se-colo, in effetti, i chierici tentarono di proporre ai sovrani il modello

    del rex iustus, il sovrano pio, generoso con i poveri e disposto a go-vernare i suoi sudditi in maniera conforme ai precetti della Chiesa.Non nostra intenzione, tuttavia, soffermarci su questo argomentoben noto soprattutto grazie ai lavori di R. Folz.10Va rilevato inoltre,che la santit reale rappresentava un caso molto particolare: in virtdel sacro, infatti, il sovrano rivestiva una dignit paragonabile a quelladei vescovi da cui aveva ricevuto lunzione. Agli occhi del clero e delpopolo, il re rappresentava un essere eccezionale, una sorta di media-tore tra la sfera del profano e quella del sacro.11Pertanto, non cor-retto considerare, senza ricorrere a delle forzature, i re santi dellXI edel XII secolo come i rappresentanti tipici del laicato e lo storico ,dunque, autorizzato a lasciare da parte i detentori del potere monar-chico.

    Al contrario, cera da attendersi per questepoca una fioritura dibiografie edificanti dedicate ai laici che avevano preso parte alle cro-ciate. I pontefici a partire da Urbano II, e soprattutto San Bernardo nelsuoDe laude novae militiae, non avevano forse aperto la strada verso

    la santificazione dei cavalieri che accettavano di porre le loro armi alservizio della Chiesa e di recarsi a combattere gli infedeli in Spagna ein Terra Santa per liberare e assicurare ai cristiani il controllo del se-polcro di Cristo? Grazie alle crociate e alla creazione degli Ordini Mi-litari, la Chiesa offriva allaristocrazia laica un nuovo ideale che do-veva consentirle di sublimare la propria condizione di peccatrice e,soprattutto, il suo amore per la guerra.12

    A livello agiografico, tuttavia, le ripercussioni di questa evoluzio-

    ne rimasero limitate. Senza dubbio, nella Francia dei secoli XII e XIII,si assistette alla produzione di alcune Vite di santi cavalieri, ma nelNord del paese questi testi riguardarono esclusivamente personaggiche, dopo la loro conversione, avvenuta in et adulta, avevano rinun-ciato alla professione delle armi per diventare monaci o eremiti. il

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    caso, per esempio, di Thibaud de Provins ( 1066), di Simon de Va-lois ( 1080 o 1082), o ancora di Jean de Montmirail ( 1217) che,dopo essersi coperto di gloria durante la battaglia di Gisors, concluse

    la sua esistenza tra i cistercensi di Longpont.13Per quanto riguarda laFrancia meridionale e la Spagna del Nord come ha correttamentedimostrato E. Delaruelle si registra s la redazione di alcune biogra-fie di santi militari,14ma si tratta dei santi martiri Vidiano, Gaudenzio,Aventino e Cizi, il cui culto venne promosso nella regione dei Pireneidai canonici di Saint-Sernin di Tolosa, siamo di fronte a personaggisituati tutti in un passato lontano in cui gli invasori dai Visigoti aiSaraceni risultano pi o meno indistinti e designati con il termine

    generico di pagani o di barbari. Ancora pi significativo il casodei santi franco-spagnoli (nati in Francia, vissuti e morti in Spagna) ilcui culto legato alla Reconquista: s. Raimondo di Barbastro( 1126) era un vescovo originario di Tolosa che partecip, a fiancodel re dAragona, alla lotta contro lIslam, mentre s. Raimondo di Fi-tero ( 1163), un monaco cistercense, si distinse per il coraggio concui difese Calatrava in occasione di unoffensiva musulmana, a se-guito della quale fond lordine militare di Calatrava che diede uncontributo attivo alla guerra contro gli infedeli. Si tratta, dunque, inentrambi i casi, di religiosi profondamente imbevuti dellideale dellaguerra santa, ma non di laici. Pertanto possiamo dire che se, nel XIIsecolo, la Chiesa riabilit la condizione militare, le figure esemplari incui sincarn il nuovo modello del miles Christi furono o membridelle gerarchie ecclesiastiche, o cavalieri che avevano rinunciato allaloro condizione per entrare in un ordine, o ancora antichi santi comesan Giorgio, san Teodoro o san Maurizio, rappresentati frequente-mente sui portali delle cattedrali gotiche. In effetti, fu a livello del-

    lepopea e della religione popolare non dellagiografia che si regi-str la comparsa di testi in cui si celebravano le gesta e la morte eroicadi san Rolando o di san Guglielmo dOrange, personaggi di cui siconosceva limportanza sul piano letterario, ma il cui culto venivatollerato, pi che approvato, dalla Chiesa.15

    Un altro ostacolo che concorreva a impedire che dei santi laicicontemporanei o quanto meno assai vicini nel tempo attirasserolattenzione degli autori dellepoca era il legame inscindibile pro-

    dottosi nellAlto Medioevo tra santit e nobilt di sangue. ovvio chenon tutti i nobili anzi al contrario erano considerati dalla Chiesaalla stregua di santi; tuttavia, era divenuto quasi impossibile per unnon nobile conquistarsi una buona reputazione e una certa fama inquesto specifico settore, tanto era profondamente radicata la convin-

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    zione che la perfezione morale e spirituale potesse dispiegarsi solo inun animo di nobili natali e allinterno di un lignaggio illustre. NellXIe nel XII secolo, la santit era considerata ancora come una grazia che

    veniva trasmessa pi che acquisita. E quando non si disponeva di in-formazioni esatte su un santo del passato di cui ci trovava a scrivere laVita, lagiografo finiva sempre per attribuirgli unorigine aristocratica,non esitando sovente a fare del personaggio il figlio o la figlia di un redi un paese lontano.16

    Il riconoscimento alla nobilt di questa condizione privilegiataperdur, a nord delle Alpi, almeno nellambito del culto ufficiale edellagiografia, fino agli inizi del XIII secolo e, in certe regioni, persi-

    no oltre questa data. Ci comport, di conseguenza, lesclusione dallasfera della santit degli strati numericamente pi rilevanti della popo-lazione cristiana, e soprattutto della maggioranza dei laici. Nellareamediterranea, invece, si assistette alla nascita e allo sviluppo, nel cor-so del XII secolo, di culti dedicati a personaggi di estrazione popolare,soprattutto borghesi e artigiani.17In queste regioni tutta una produzio-ne agiografica ancora oggi poco nota e non adeguatamente studia-ta fior intorno a figure come quella di san Domenico de la Calza-da ( 1120), un pio laico spagnolo che richiam su di s lattenzionedei contemporanei per aver costruito con le proprie mani il camminoche conduceva a San Giacomo di Compostela, o ancora san Bnezet( 1184) che diede inizio alla costruzione del ponte di Avignone, di-venendo oggetto, da morto, di un culto locale molto sentito.18Fu, co-munque, nelle aree pi urbanizzate dellItalia settentrionale e centra-le in cui i Comuni erano in procinto di affrancarsi dalla tutela impe-riale o feudale che questo fenomeno originale conobbe una certaampiezza: la maggior parte dei santi laici italiani furono, in effetti, dei

    cittadini, commercianti o artigiani, appartenenti a quel ceto medio,aperto alle nuove realt economiche e sociali, definito abitualmentecon lappellativo di Popolo. Tra questi spiccano alcune figure tipi-che, le cui Vitevennero redatte tra la met del XII secolo e i primi de-cenni del XIII: il Beato Teobaldo dAlba ( 1150), un calzolaio, poifacchino, originario della Longobardia occidentale; Ranieri di Pisa( 1160), figlio di un ricco armatore locale che, dopo essersi conver-tito, part alla volta della Terra Santa vivendo per diversi anni da ere-

    mita, per poi tornare in patria a predicare il Vangelo fino alla morte,compiendo numerosi miracoli; Raimondo Palmerio ( 1200), un umilecalzolaio, recatosi anchegli in pellegrinaggio a Gerusalemme e in altriluoghi, prima di porsi al servizio dei poveri e di tutti i diseredati nellasua citt natale, dove fond un ospizio per i malati; infine, Omobono

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    di Cremona ( 1197), un mercante di tessuti di lana, che consacr lesue ricchezze alla lotta contro la miseria e difese la chiesa di fronteagli eretici della sua citt. Questi fu il solo tra tutti i personaggi citati a

    conseguire una certa fama per il fatto di essere stato canonizzato nel1199 da papa Innocenzo III: si trattava del primo santo laico non no-bile che otteneva questa consacrazione suprema.19

    Ad accomunare tutti questi personaggi come emerge dalle Viteloro dedicate era il fatto di essere stati dei pellegrini o degli asceti esoprattutto di essersi votati al servizio del prossimo, sia che si trattassedi costruttori di ponti, strade od ospizi per agevolare gli spostamentidei viaggiatori e dei pellegrini, sia che si trattasse di figure sensibili ai

    problemi generati da unurbanizzazione incontrollata, pronte a soccor-rere le vittime e gli emarginati da quello sviluppo economico che fini-va per approfondire le distanze tra i vari gruppi sociali. Dietro tuttequeste iniziative si coglie la convinzione che i poveri fossero immagi-ni del Cristo e, dunque, costituissero uno strumento privilegiato peraccostarsi a Dio, come ben dimostra lo zelo profuso nella pratica delleopere di misericordia.

    Questi personaggi, al pari dei loro epigoni lungo il corso del XIIIsecolo, acquistano rilevanza nella misura in cui intrapresero un cam-mino di santit, pur esercitando una professione, spesso modestaquando non addirittura guardata con sospetto dalla Chiesa si pensialla pratica della mercatura e nellambito, in alcuni casi, di legami ditipo matrimoniale.20 Senza dubbio, agli occhi dei loro biografi, nlesercizio di una professione, n la vita coniugale o familiare rappre-sentarono per queste figure una via di accesso alla perfezione cristia-na, se non in chiave negativa, nella misura in cui le mogli venneropresentate come un ostacolo al progresso spirituale dei mariti. Tutta-

    via, resta comunque importante il superamento del tab della verginite il fatto che la vita attiva, tradizionalmente considerata inferiore aquella contemplativa, venisse riabilitata da questi laici religiosi, nellamisura in cui essa mirava allimitazione di Cristo. Infine, va notatocome tutti questi santi laici italiani fossero uomini: persino in zonemolto evolute, nel XII secolo, non era facile per una donna giungere auna santit riconosciuta, soprattutto se viveva nel mondo. Lunicospazio in cui le era possibile superare i limiti inerenti il sesso e la pro-

    pria debolezza fisica e morale era il chiostro. noto come nel XIII secolo il contesto spirituale e mentale venneevolvendosi rapidamente. Non questa la sede per soffermarsi sullecause di tale trasformazione, di cui sarebbe, tuttavia, scorretto attribui-re il merito esclusivo a san Francesco dAssisi e agli Ordini Mendi-

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    canti. Ci interessa, piuttosto, sottolineare le ripercussioni significativeche levoluzione in questione ebbe sulla santit laica. In questo conte-sto, il fenomeno pi rilevante fu, senza dubbio, lirrompere sulla scena

    delle donne che, dopo il 1200, riuscirono ad aprirsi un varco signifi-cativo in un campo da cui per lungo tempo, con leccezione di qualcheregina o imperatrice, erano rimaste escluse. A questo proposito va ri-levata limportanza fondamentale del movimento delle Beghine, svi-luppatosi in Belgio a partire dagli anni 1170/1180.21Si trattava, come noto, di giovinette o di vedove che sceglievano di condurre unesi-stenza improntata a una fervente religiosit, pur restando nel mondo;alcune si riunivano in comunit, altre preferivano vivere in solitudine,

    in una sorta di segregazione volontaria. Dal punto di vista agiografico,il miglior esempio di questo fenomeno spirituale la Vita di MariadOignies ( 1213), redatta nel 1215 dal futuro vescovo e cardinaleGiacomo di Vitry. In questo caso ci troviamo di fronte a un testo fon-damentale che ci mostra un chierico legato agli ambienti universitari,affascinato da unumile laica che, a forza di opere caritatevoli e diesercizi ascetici, aveva saputo elevarsi ai vertici della contemplazionee dellamore di Dio. Pur riabilitando nel complesso le donne, attraver-so la dimostrazione che esse erano in grado di uguagliare e addiritturasuperare gli uomini nella sfera spirituale, questa biografia, tuttavia,non pu essere considerata un manifesto femminista. Nel prologo del-lopera, Giacomo di Vitry sottolineava chiaramente come le mulieressanctae della diocesi di Liegi, di cui Maria costituiva il pi fulgidoesempio, fossero umili e obbedienti, sottomesse alla Chiesa e partico-larmente devote alleucarestia. Nella sua ottica, si trattava soprattutto,a quanto pare, di offrire un modello di santit cattolica alle donne cheallora erano tentate dalleresia catara, come testimonia la dedica al ve-

    scovo Folco di Tolosa, committente dellopera.22Va tuttavia precisato, per dovere di esattezza, che questa agiogra-

    fia di orientamento mistico, riguardante in particolare donne di estra-zione borghese o popolare, sembra aver avuto un successo limitato. Lamaggior parte delle Vitedelle sante beghine stata tramandata da po-chi manoscritti e persino la biografia della celebre Maria dOignies diGiacomo di Vitry dovette attendere gli inizi del XV secolo per avereuna traduzione in volgare. Al di fuori della regione di origine corri-

    spondente allincirca allattuale Belgio e alla Francia del nord questaproduzione agiografica conobbe una diffusione limitata, in quanto an-dava contro la convinzione ancora radicata che la santit fosse appan-naggio esclusivo dei lignaggi aristocratici e preferibilmente dei sovra-ni.23 Anche le grandi protagoniste della santit laica femminile degli

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    inizi del XIII secolo furono ancora delle principesse, come santa Eli-sabetta di Ungheria ( 1231) e santa Edvige ( 1243), duchessa di Sle-sia, entrambe canonizzate. Tuttavia, a uno sguardo pi attento, ci si

    accorge di come le caratteristiche stesse del modello di santit si fos-sero sensibilmente evolute nel corso del tempo. Ad accomunare ledonne citate era il fatto di essere mogli e madri di famiglia e di aversubito, a diversi livelli, linfluenza della nuova spiritualit evangelicafondata sullumilt, sulla pratica della carit verso i diseredati e sullospirito pauperistico. Il confronto tra due figure femminili, luna del-lXI secolo, Margherita di Scozia ( 1093), laltra, Elisabetta di Un-gheria, vissuta nel XIII secolo e sposa del langravio Ludovico IV di

    Turingia, ci consente di cogliere la profondit del cambiamento ope-ratosi nella concezione della santit laica. Nella sua Vitadi santa Mar-gherita, redatta intorno al 1105, Turgot di Durham si era sforzato didimostrare che la regina di Scozia aveva meritato di essere venerata invirt del suo comportamento esemplare come sposa, madre e regina.24Ne lodava, pertanto, i buoni consigli dati al marito, leccellente educa-zione impartita ai figli e il sostegno offerto alla Chiesa nellattivit dicristianizzazione del paese e, in particolare, lordine di costruire labba-zia di Dunfernline. La sua biografia rappresentava, in sostanza, unapo-logia dellazione cristiana nel mondo a uso dei detentori del potere.Nulla di tutto ci si ritrova, un secolo e mezzo pi tardi, nella Vitadisanta Elisabetta, che non fond n chiese, n abbazie, ma un ospedalea Marburgo, in Turingia, dove curava personalmente i poveri e gli am-malati. Persino prima di restare vedova, ella aveva condotto soltantoesteriormente una vita da principessa.25 Partecipava, infatti, ai ban-chetti della corte, ma senza mangiare e facendo man bassa dei restidella tavola per distribuirli ai mendicanti. E ancora, con grande scan-

    dalo del suo entourage, si rifiutava di consumare gli alimenti che pro-venivano da certi domini del marito in cui il potere signorile venivaesercitato in maniera ingiusta.26Infine, dopo la morte del consorte, ab-bandon il castello di famiglia e persino i propri figli, per andare a vi-vere in povert; avrebbe addirittura mendicato di buon grado se il suopadre spirituale, il terribile Corrado di Marburgo, non glielo avesseimpedito. Consumata prematuramente dalle fatiche e dalle privazioni,Elisabetta mor a ventiquattro anni, subito celebrata e venerata in tutta

    la cristianit.27La sua vicenda illustra bene la nuova concezione dellasantit: per raggiungere la perfezione, ormai non bastava pi ottempe-rare alle esigenze legate al proprio rango e fornire lesempio delle pialte virt morali; era necessario imitare il Cristo umile e povero, fino aprovare le sue stesse mortificazioni e sofferenze, senza esitare a com-

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    piere delle azioni che apparivano folli persino agli occhi di una so-ciet che si professava cristiana come quella medievale.

    Di fatto, con esiti diversi a seconda dei vari paesi, allinizio del

    XIII secolo, si assistette a una rivalutazione della vita attiva condottanel mondo che favor lo sviluppo di una santit laica. Cominci alloraa farsi strada lidea che non fosse pi indispensabile la monacazioneper un uomo e, addirittura, per una donna che volessero raggiungere laperfezione cristiana. Persino la verginit non venne pi richiesta aiservitori di Dio e se lesercizio di una professione o lesistenza di vin-coli familiari non costituivano di per se stessi dei valori positivi, nondi meno non rappresentavano pi degli ostacoli insormontabili.28Tut-

    tavia, al di fuori delle regioni pi intensamente urbanizzate in cui ilpotere era nelle mani della borghesia, come lItalia settentrionale ecentrale o il Belgio, queste nuove idee si scontrarono con il peso delletradizioni agiografiche e della mentalit feudale. Pertanto, nella mag-gior parte dellOccidente, fino alle soglie dellet moderna, il recluta-mento di nuovi santi continuer ad avvenire quasi esclusivamente trale fila della pi alta aristocrazia.

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    Note

    1. Cfr. in particolare Poulain, Lidal de saintete Vauchez, La saintet en Oc-cident, pp. 410-448.

    2. Cfr. la bolla di Bonifacio VIII Clericos laicos in Les Registres de BonifaceVIII, I, coll. 584-585.

    3. Su questo testo importante si veda Poulain, Lidal de saintet, pp. 88-144, eancora Fumagalli,Nota sulla Vita Geraldi.

    4. Corbet,Les saints ottoniens.5. Su questo personaggio si vedano Roberts, St. Margaret, e Baker,A Nursery of

    Saints. Il testo della Vita si trova inActa Sanctorum Iunii, II, pp. 316 s.

    6. Umberto di Moyenmoutier, Adversus Simoniacos, pp. 208 e 235; Abbone diFleury,Apologeticus ad Hugonem, col. 463.

    7. Congar,Lacat au Moyen ge. Limmagine della piramide stata utilizzata daGilberto di Limerick ( 1139) nel suoDe statu ecclesiae, col. 997a.

    8. Cfr. Vauchez, La spiritualit du Moyen ge, pp. 105-125 e de Miramon, Lesdonns au Moyen ge.

    9. Lassimilazione del laico alla pietra si trova nel Catholicon redatto da Gio-vanni da Genova intorno al 1285; cfr., inoltre, Congar, Clercs et lacs.

    10. Folz,Les saints rois, e Id.,Les saintes reines.11. Klaniczay, From Sacral Kingship to Self Representation. Id.,Holy Ruler.

    12. Cfr., Gouguenheim, Les chevaliers teutoniques; Toomaspoeg, Histoire deschevaliers teutoniques, eI templari, le guerre e la santit.

    13. Parisse,La conscience chrtienne.14. Delaruelle,Les saints militaires.15. Cfr. Lejeune,Lesprit de croisade, e Lejeune e Stiennon, La lgende de Ro-

    land.16. Vauchez,La saintet en Occident, pp. 204-215.17. Sullimportanza di questo fenomeno si veda Vauchez, Une nouveaut du XIIe

    sicle, pp. 57-80, tradotto qui pp. 27-50.18. Su san Bnezet e i santi costruttori di ponti, cfr. Le Blevec, La part du pau-

    vre, in particolare, t. I, p. 312-323.19. Cfr. Vauchez,La saintet, pp. 234-240, e Id., Omobono di Cremona.20. Vauchez, Saintet laque au XIIIesicle, e Id., Frres Mineurs, rmitisme.21. Mc Donnell, The Beghines and Beghards, e Roisin, Lhagiographie cister-

    cenne.22. Su questopera e sulla sua importanza, cfr. Vauchez, Proslytisme et action

    antihrtique.23. Sul rapporto tra nobilt e santit si veda Heinzelmann, Sanctitas und Tugend-

    adel; sulla sua evoluzione negli ultimi secoli del Medioevo cfr. Vauchez,Beata stirps.

    24. Vita auctore Turgoto (BHL 5325), edita in Acta Sanctorum Iunii, II, pp.324-331.25. Sui testi agiografi relativi a santa Elisabetta cfr. Reber, Die Gestaltung des

    Kultes, in particolare pp. 27-46.26. Cfr. Vauchez, Charit et pauvret chez sainte Elisabeth de Thuringe, tra-

    dotto qui pp. 125-136.

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    27. Sullo sviluppo del suo culto si veda Reber, Die Gestaltung des Kultes, pp.68-109.

    28. Cfr. Volpato, Corona aurea.

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