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UN MODELLO DI SIMULAZIONE PER LA QUANTIFICAZIONE DEI BENEFICI DELLA FIDUCIA NELLE SUPPLY CHAIN DISTRETTUALI * • ANTONIO CAPALDO PROFESSORE ASSOCIATO DI ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESE DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ECONOMIA E DELLA GESTIONE AZIENDALE FACOLTÀ DI ECONOMIA, UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE • ILARIA GIANNOCCARO PROFESSORE ASSOCIATO DIPARTIMENTO DI MECCANICA, MATEMATICA E MANAGEMENT POLITECNICO DI BARI Sommario: 1. Introduzione – 2. Distretti industriali e fiducia – 3. Le supply chain distrettuali – 4. La fiducia nelle supply chain distrettuali – 5. Metodi – 5.1 Il modello NK – 5.2 Modellizzazione NK delle supply chain distrettuali – 5.3 Dinamiche del modello – 5.4 La supply chain del divano in pelle di Natuzzi – 6. Risultati della simulazione – 7. Discussione dei risultati ed estensione dell’analisi – 8. Considerazioni conclusive, limiti della ricerca e future traiettorie di indagine. ABSTRACT Trust is a major governance mechanism in industrial district supply chains and has been credited of every sort of advantage in previous literature. However, extant research has focused on trust as a dyadic construct and has rarely addressed the issue of quantifying its benefits. To fill this gap, we focus on network-level trust in industrial district supply chains and advance a computational methodology based on NK simulation to quantify the impact of the existence of supply chain trust on performance. The methodology advanced here can be useful to supply chain managers, and network managers more generally, to make informed decisions whether to invest or not in the development of trust across their supply chains (networks), as well as about possible changes in the overall architecture of their supply chains (networks). We apply our proposed methodology to a real supply chain within the leather sofa industrial district of Bari- Matera, located in Southern Italy. KEY WORDS Industrial district | trust | supply chain | NK simulation | Natuzzi. ––––––––––– * Gli autori hanno contribuito in ugual misura all’impostazione e allo svolgimento della ri- cerca. Tuttavia, i paragrafi 1, 2, 4, 5.3 e 8 sono da attribuire ad Antonio Capaldo, mentre i paragrafi 3, 5.1, 5.2, 5.4, 6 e 7 sono da attribuire a Ilaria Giannoccaro. 47 ESPERIENZE D’IMPRESA 1/2012

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UN MODELLO DI SIMULAZIONE PER LAQUANTIFICAZIONE DEI BENEFICI DELLAFIDUCIA NELLE SUPPLY CHAINDISTRETTUALI*• ANTONIO CAPALDOPROFESSORE ASSOCIATO DI ECONOMIA E GESTIONE DELLE IMPRESEDIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ECONOMIA E DELLA GESTIONE AZIENDALEFACOLTÀ DI ECONOMIA, UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE

• ILARIA GIANNOCCAROPROFESSORE ASSOCIATODIPARTIMENTO DI MECCANICA, MATEMATICA E MANAGEMENTPOLITECNICO DI BARI

Sommario: 1. Introduzione – 2. Distretti industriali e fiducia – 3. Le supply chaindistrettuali – 4. La fiducia nelle supply chain distrettuali – 5. Metodi – 5.1 Il modelloNK – 5.2 Modellizzazione NK delle supply chain distrettuali – 5.3 Dinamiche delmodello – 5.4 La supply chain del divano in pelle di Natuzzi – 6. Risultati dellasimulazione – 7. Discussione dei risultati ed estensione dell’analisi – 8. Considerazioniconclusive, limiti della ricerca e future traiettorie di indagine.

ABSTRACTTrust is a major governance mechanism in industrial district supply chains and has beencredited of every sort of advantage in previous literature. However, extant research hasfocused on trust as a dyadic construct and has rarely addressed the issue of quantifyingits benefits. To fill this gap, we focus on network-level trust in industrial district supplychains and advance a computational methodology based on NK simulation to quantifythe impact of the existence of supply chain trust on performance. The methodologyadvanced here can be useful to supply chain managers, and network managers moregenerally, to make informed decisions whether to invest or not in the development oftrust across their supply chains (networks), as well as about possible changes in theoverall architecture of their supply chains (networks). We apply our proposedmethodology to a real supply chain within the leather sofa industrial district of Bari-Matera, located in Southern Italy.KEY WORDS Industrial district | trust | supply chain | NK simulation | Natuzzi.

–––––––––––

* Gli autori hanno contribuito in ugual misura all’impostazione e allo svolgimento della ri-cerca. Tuttavia, i paragrafi 1, 2, 4, 5.3 e 8 sono da attribuire ad Antonio Capaldo, mentrei paragrafi 3, 5.1, 5.2, 5.4, 6 e 7 sono da attribuire a Ilaria Giannoccaro.

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1. Introduzione

L’esistenza di fiducia tra i partner è un presupposto irrinunciabile perun’efficace gestione della supply chain. Difatti, la fiducia è un importanteantecedente della collaborazione tra imprese, capace di contribuire al rag-giungimento di considerevoli livelli di performance nelle supply chain(Kumar, 1996; Monczka et al., 1998; Johnston et al., 2004). In effetti, lad-dove la fiducia caratterizza le relazioni tra le imprese della supply chain,idee, conoscenze, prodotti e servizi fluiscono più agevolmente tra le im-prese partner, creando le condizioni per il raggiungimento di vantaggicompetitivi sostenibili, sia per l’intera supply chain sia per le singole im-prese partecipanti (Uzzi, 1997; Dyer e Singh, 1998; McCarter e Northcraft,2007).La maggior parte degli studi sulla fiducia nella supply chain ha messo afuoco singole relazioni diadiche all’interno della stessa. In tal modo, l’at-tenzione degli studiosi è ricaduta sulla fiducia esistente tra coppie di im-prese – o, in altri termini, sulla fiducia intesa a livello di analisi diadico(Dyer e Chu, 2003; Johnston et al., 2004; Capaldo, 2007). Di converso,l’analisi della fiducia a livello di analisi network, in particolare a livello del-l’intera supply chain, è stata largamente trascurata. Nel tentativo di colmaretale lacuna, in un recente studio abbiamo messo a fuoco il concetto di fi-ducia nell’intera supply chain per indagarne le relazioni con la complessivastruttura delle interdipendenze tra le imprese della supply chain (Capaldoe Giannoccaro, 2012).Proseguendo lungo una tale traiettoria, questo lavoro esamina l’esistenzadi fiducia nell’intera supply chain quale fattore capace di accrescere le per-formance della supply chain e delle singole imprese partner. In particolare,concentreremo l’attenzione su supply chain rientranti all’interno di specificicontesti a elevata intensità relazionale, i distretti industriali (‘supply chaindistrettuali’). Il distretto industriale è un modello di organizzazione delleattività economiche caratterizzato dall’agglomerazione spaziale di un ele-vato numero di piccole e medie imprese altamente specializzate in una opoche fasi di uno specifico processo produttivo e dal radicamento del-l’azione economica all’interno di strutture socio-culturali che offrono sup-porto a un complesso intreccio di competizione e cooperazione tra leimprese coinvolte (Brusco, 1982; Piore e Sabel, 1984). I distretti industrialipossono essere concettualizzati quali insiemi di supply chain (Carbonara,Giannoccaro e Pontrandolfo, 1992). Le supply chain sono reti di relazioniinterorganizzative tra imprese interdipendenti dedite ad attività e processifinalizzati alla produzione di beni e/o servizi e alla distribuzione degli stessi

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ai consumatori finali (Chrisopher, 1992).La fiducia è un meccanismo di governo dell’azione economica di impor-tanza primaria all’interno dei distretti industriali (Powell, 1996). Fondandosia su quel ricco tessuto di relazioni interpersonali che è alla base del com-portamento degli attori economici nelle aree distrettuali (the shadow ofthe past), sia sulla prospettiva di benefici economici futuri (the shadow ofthe future), la fiducia scoraggia l’adozione di comportamenti opportunisticie stimola la cooperazione tra le imprese del distretto. Numerosi studi hannoevidenziato che la fiducia riveste un ruolo cruciale nelle supply chain di-strettuali poiché facilita la creazione e lo sviluppo di relazioni interorga-nizzative di reale collaborazione, stimola il trasferimento di informazione,la condivisione di conoscenza e la coproduzione di innovazione tra le im-prese, e offre supporto a processi di apprendimento collettivo, con impor-tanti ricadute in termini di performance (Best, 1990; Powell, 1990).Nonostante l’ingente volume di studi che, tanto nella letteratura sui di-stretti industriali quanto in quella sulla supply chain, ha enfatizzato l’im-portanza della fiducia, scarsa attenzione è stata dedicata sinora allaquantificazione dei benefici che la fiducia è in grado di assicurare. Più indettaglio, sebbene gli effetti positivi della fiducia sulle performance sianostati ampiamente analizzati e discussi, l’analisi dell’entità di tali effetti rap-presenta una tematica scarsamente indagata, benché non manchino alcunerilevanti eccezioni (si vedano, in particolare: Krishnan, Martin e Noorder-haven, 2006). Tuttavia, siccome generare un clima di fiducia e sostenerlonel tempo richiede l’effettuazione di considerevoli investimenti (Wicks, Ber-man e Jones, 1999), cui si accompagnano costi e rischi rilevanti, si imponeuna valutazione attenta dei benefici che la fiducia stessa è in grado di of-frire. A tale scopo, facendo specifico riferimento al caso delle supply chainrinvenibili all’interno di distretti industriali, in questo lavoro sviluppiamoun modello di simulazione per la quantificazione dei benefici di perfor-mance derivanti dall’esistenza di fiducia all’interno della supply chain.In vista di tale obiettivo, nel prosieguo attingeremo alla ricerca che ha ap-plicato il modello NK di Kauffman (1993) agli studi di management (Gancoe Hoetker, 2009). Partiremo dal modello NK del distretto industriale avan-zato da Press (2007), per poi modificarlo nella maniera atta a soddisfarele specifiche esigenze conoscitive di questo studio. La metodologia pro-posta è volta a simulare l’evoluzione della supply chain alla ricerca di pa-yoff più elevati e i relativi effetti in termini di performance, sia in presenzasia in assenza di fiducia tra le imprese della supply chain (scenari ‘trust’ e‘no-trust’, rispettivamente). Ciò permette di quantificare i benefici di per-formance della fiducia per differenza tra le performance attese nei due

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scenari.Nella parte finale del lavoro la metodologia proposta sarà applicata a unasupply chain realmente esistente, individuata all’interno del distretto deldivano in pelle di Bari-Matera. I risultati dell’analisi mostrano che l’esi-stenza di fiducia nella supply chain si accompagna a un incremento dellaperformance, a livello tanto dell’intera supply chain quanto dell’impresache in essa svolge il ruolo di impresa-guida. L’analisi mostra altresì che,ove l’impresa-guida decidesse di alterare la struttura complessiva della sup-ply chain riducendo il proprio grado di integrazione verticale, i benefici diperformance derivanti dall’esistenza di fiducia nell’intera supply chain ri-sulterebbero maggiori rispetto all’ipotesi di un più elevato grado di inte-grazione verticale dell’impresa-guida.

2. Distretti industriali e fiducia

I distretti industriali sono sistemi di imprese geograficamente concentraticaratterizzati dalla presenza di numerose piccole e medie imprese forte-mente specializzate in una singola fase, o in un ridotto numero di fasi,del complessivo processo di produzione di una famiglia omogenea di pro-dotti e che si interfacciano tra loro mediante complessi network di relazioniinterorganizzative e le sottostanti reti di relazioni sociali (Brusco, 1982;Bellandi, 1989; Becattini, 1990; Maskell, 2001).I distretti industriali di differenziano sovente per taluni aspetti, quali ilgrado di concentrazione geografica, il numero di settori industriali com-plementari entro i quali rientrano le attività svolte dalle imprese del di-stretto, l’esistenza e l’intensità di rapporti di interscambio, a livello locale,tra le imprese distrettuali e Università, parchi scientifici e tecnologici, ocentri di ricerca pubblici o privati (Porter, 1998; Markusen, 1996).I distretti industriali sono altresì accomunati da numerose caratteristiche,tra le quali si annoverano: la dimensione medio-piccola delle imprese coin-volte; il forte grado di specializzazione produttiva delle imprese stesse, chefacilita la rapida accumulazione di conoscenza specializzata; la forte divi-sione orizzontale e verticale del lavoro tra le imprese; il marcato ricorso diquest’ultime ad accordi di subfornitura caratterizzati da un forte orienta-mento alla collaborazione e da lunghi orizzonti temporali; l’esistenza diun’identità culturale distintiva che accomuna le diverse organizzazioni e,più ampiamente, tutti gli attori economici coinvolti nella vita del distretto;lo sviluppo di linguaggi e di routine interorganizzative idiosincratici, chesupportano il trasferimento di conoscenza all’interno del distretto e la ge-nerazione di innovazione; l’esistenza e lo sviluppo di un ricco tessuto di

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relazioni interpersonali che attraversano i confini delle imprese; un conte-sto socio-economico-culturale in cui le logiche dell’embeddedness risul-tano particolarmente pregnanti e che, pertanto, si caratterizza per ladiffusione di relazioni interpersonali e interorganizzative in cui variabilisociali ed economiche risultano fortemente interconnesse; la diffusioneagevole e veloce di informazione e di conoscenza tecnologica, favorita dareti sociali dense e da relazioni interimpresa basate sulla fiducia; la velocecircolazione di informazioni sui comportamenti delle imprese e dei singoliattori economici e la parallela diffusione di norme di comportamento voltea sanzionare comportamenti contrari alle regole condivise; la coesistenzadi cooperazione e competizione tra le imprese; la tendenza di quest’ultimea effettuare investimenti idiosincratici e a condividere rischi con le altreimprese del distretto; il ruolo di supporto svolto dalle istituzioni locali nelregolare e sostenere le attività economiche del distretto, nel promuoverela collaborazione tra le imprese e nel rendere disponibile un efficiente si-stema di infrastrutture; l’esistenza di associazioni imprenditoriali che ga-rantiscono validi servizi di supporto alle imprese (quali, ad esempio,marketing e formazione), nonché sostegno finanziario agli investimenti(Brusco, 1982; Piore e Sabel, 1984; Dei Ottati, 1994; Bursi, Marchi e Nar-din, 1997; Maskell e Malmberg 1999; Cafferata e Cerruti, 2003; Capaldo,2004).Nei distretti industriali, il coordinamento dell’attività economica fonda lar-gamente su “meccanismi sociali” (Capaldo, 2008). Tra questi, la fiducia ri-veste un ruolo primario (Powell, 1996; Capaldo, 2004). La fiducia, a suavolta, si accompagna a un marcato orientamento delle imprese distrettualialla cooperazione. Studi precedenti hanno esaminato gli antecedenti dellafiducia e della cooperazione tra imprese nelle aree distrettuali (tra gli altri:Oba e Semercioz, 2005). L’embeddedness dell’azione economica nellestrutture e nelle relazioni sociali, e in particolare il radicamento dell’azioneeconomica all’interno di strutture di relazioni sociali a elevata densità, rap-presentano condizioni fondamentali per la nascita della fiducia (Grano-vetter, 1985; Coleman, 1990). Coerentemente, lo sviluppo di fiducia alivello interorganizzativo nelle aree distrettuali fonda su quel tessuto densodi relazioni interpersonali che caratterizza le aree distrettuali e sui connessimeccanismi di regolazione del comportamento di tipo reputazionale (Ca-paldo, 2008). Da un lato, infatti, l’esistenza di reti sociali spesse e ad elevata multiplexity(sovrapposizione di contenuti relazionali), che attraversano i confini orga-nizzativi delle imprese all’interno del distretto e il cui sviluppo è agevolatodalla prossimità geografica, consente agli attori economici di monitorare i

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comportamenti assunti da ciascuno all’interno di molteplici contesti dif-ferenti, offrendo a essi un’informazione ricca e dettagliata, oltre che diprima mano, circa la correttezza dei partner, attuali e potenziali. Inoltre,quell’insieme di aspettative e di obbligazioni, con forti implicazioni morali,che si accompagna solitamente alle relazioni interpersonali nelle aree di-strettuali, spinge gli attori economici a evitare comportamenti opportuni-stici, stimolando invece lo sviluppo di relazioni forti basate sulla fiducia.Dall’altro lato, la rapida diffusione, all’interno del distretto, dell’informa-zione, soprattutto di quella concernente eventuali comportamenti contrarialle norme condivise, e il connesso timore di sanzioni sociali, scoraggianol’opportunismo e promuovono la cooperazione e la fiducia reciproca tra leimprese (Capaldo, 2008).Al contempo, aspetto questo di primaria importanza nel presente lavoro,la fiducia e la cooperazione tra imprese nei distretti industriali fondano suuna valutazione dei benefici futuri, da parte degli attori economici, in cuila razionalità economica gioca un ruolo primario. In effetti, come eviden-ziato dai sostenitori della teoria dei giochi, l’aspettativa di proficue inte-razioni future spinge i partner ad adottare comportamenti cooperativi(Axelrod, 1984; Heide e Miner, 1992). In particolare, quando i benefici at-tesi dalla cooperazione superano quelli prevedibilmente connessi a com-portamenti orientati al soddisfacimento dei soli interessi di parte, lacooperazione e la fiducia emergono e, nel tempo, si rinforzano medianteatti di reciprocità (Poppo, Zhou e Ryu, 2008). Le condizioni fondamentaliper lo sviluppo di una tale forma di fiducia fondata sul calcolo economico,e del connesso intento cooperativo da parte delle imprese, sono rappre-sentate dall’aspettativa di scambi economici caratterizzati da un orizzontetemporale non definito e dall’elevata frequenza, nonché dalla natura ri-petuta, dell’interazione, tutte caratteristiche distintive dell’azione econo-mica che ha luogo all’interno dei distretti (Capaldo, 2004).Da ultimo, va sottolineato il ruolo svolto dalle istituzioni locali nello svi-luppo di un’atmosfera di fiducia all’interno dei distretti industriali. Difatti,consorzi e associazioni imprenditoriali rappresentano importanti mecca-nismi mediante i quali le imprese distrettuali condividono regole informalidi comportamento e pratiche organizzative e sviluppano valori culturalicomuni, che a loro volta agevolano la nascita di relazioni interorganizzativetrust-based e le sostengono nel tempo (Brusco, 1982).

3. Le supply chain distrettuali

All’interno dei distretti industriali è possibile individuare molteplici supply

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chain. Le supply chain sono reti di relazioni interorganizzative tra impreseinterdipendenti dedite alle attività e ai processi necessari per produrre spe-cifici beni e/o servizi e distribuirli ai consumatori finali (Christopher, 1992).Studi precedenti hanno discusso le peculiari caratteristiche di struttura,strategia e governance proprie delle supply chain distrettuali (Carbonaraet al., 2002). Gli aspetti connessi alla governance risultano di notevole im-portanza. In particolare, lo specifico regime di controllo (centralizzato vs.decentralizzato) caratteristico della singola supply chain consente di mar-care una differenza tra supply chain rinvenibili all’interno di distretti in-dustriali di tipo ‘classico’ o ‘marshalliani’ (Piore e Sabel, 1984; Becattini,1990; Markusen, 1996) e supply chain posizionate all’interno di distrettiindustriali nei quali una o più imprese-guida, sovente di rilevanti dimen-sioni, organizzano le attività produttive svolte da gruppi di subfornitori dipiccole o piccolissime dimensioni (Ferrucci e Varaldo, 1993; Markusen,1996; Corò e Grandinetti, 1999).Le supply chain rinvenibili all’interno di distretti marshalliani si compon-gono di un elevato numero di piccole imprese, di proprietà di attori internial distretto, specializzate in una o poche fasi del processo produttivo ca-ratteristico del distretto. All’interno di tali supply chain, ciascuna impresagestisce le proprie attività in maniera indipendente e nessuna di esse è ingrado di controllare l’intero sistema (Becattini, 1990; Markusen, 1996); inaltri termini, il controllo ha natura decentralizzata. Di converso, le supplychain rinvenibili all’interno di distretti industriali caratterizzati dalla pre-senza di imprese-guida sono governate da una o poche imprese, a lorovolta contraddistinte da un elevato grado di integrazione verticale rispettoalle altre imprese del distretto (Carbonara et al., 2002). In tali circostanze,dunque, il controllo ha natura centralizzata.

4. La fiducia nelle supply chain distrettuali

Il principale obiettivo di questo lavoro è sviluppare una metodologia perla quantificazione dei benefici di performance della fiducia nelle supplychain distrettuali. Il concetto di fiducia è stato ampiamente discusso neglistudi di management (Ring, 1996; McEvily, Perrone e Zaheer, 2003; Ca-paldo, 2008) e numerose definizioni hanno tentato di coglierne i molteplicielementi caratteristici (Mayer, Davis e Schoorman, 1995; Rousseau et al.,1998; Dirks e Ferrin, 2001). Ai fini del presente lavoro, la fiducia è un mec-canismo di governo dell’azione economica, basato tanto sulle reti di rela-zioni sociali quanto sul calcolo economico, che induce le imprese operantiall’interno di supply chain distrettuali ad adottare comportamenti coope-

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rativi – o, che è lo stesso, a operare nell’interesse dell’intera supply chain,anziché nel proprio esclusivo interesse.Studi precedenti sulla fiducia nella supply chain hanno concentrato l’at-tenzione su singole coppie di imprese, concettualizzando dunque la fiduciaquale costrutto diadico (Larson, 1992; Capaldo, 2007). Di converso, scarsaattenzione è stata dedicata ad analizzare la fiducia a livello di analisi net-work. Nel tentativo di colmare tale lacuna, questo lavoro mette a fuocol’esistenza di fiducia nell’intera supply chain. Fondando sull’associazione,ampiamente documentata in letteratura, tra fiducia e cooperazione (Mor-gan e Hunt, 1984; Lane e Bachmann, 1997; Poppo et al., 2008), la fiduciapuò dirsi esistente nell’intera supply chain quando gli interessi delle singoleimprese partner sono allineati agli interessi dell’intero sistema e, quindi, ipartner sono indotti a cooperare, o in altri termini a non assumere decisionicapaci di incidere negativamente sui risultati della supply chain nel suocomplesso. Pertanto, in presenza di fiducia all’interno della supply chain,le imprese partner adottano comportamenti cooperativi (o, che è lo stesso,agiscono nell’interesse della supply chain), sì da accrescere la complessivaperformance dell’intero sistema, indipendentemente dall’impatto di talicomportamenti sulle performance ‘locali’ (vale a dire delle singole imprese).In assenza di fiducia, invece, non esistono meccanismi capaci di stimolarele imprese facenti parte della supply chain ad adottare comportamenticooperativi se questi ultimi rischiano di incidere negativamente sulle per-formance a livello locale. Di conseguenza, i partner adotteranno compor-tamenti conformi agli interessi dell’intero sistema soltanto ove ciò noncomporti effetti negativi sulle performance locali.Numerosi autori hanno esaminato i benefici derivanti dalla presenza di fi-ducia nella supply chain (Narasimhan e Nair, 2005; Ireland e Webb, 2007;Laaksonen, Jarimo e Kulmala, 2009). La fiducia stimola la tendenza delleimprese alla cooperazione (Gambetta, 1988), la condivisione di informa-zione e il trasferimento di conoscenza tra le organizzazioni (Capaldo, 2001,2008), nonché l’assunzione di rischi (Mayer et al., 1995). Tutto questo ac-cresce le opportunità di creazione del valore per le imprese facenti partedella supply chain, con riflessi positivi tanto a livello micro che sul pianomacro (Uzzi, 1997). Inoltre, la fiducia è un’importante determinate dellacollaborazione tra imprese ed è associata a una serie di effetti positivi,conduttori di performance superiori, quali la maggiore prevedibilità delcomportamento dei partner, la riduzione dei costi di transazione e l’incre-mento della capacità di adattamento e di risposta al cambiamento am-bientale (Zucker, 1986; Handfield e Bechtel, 2002; McEvily et al., 2003;Krishnan et al., 2006).

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Sebbene i benefici derivanti dall’esistenza di fiducia tra le imprese sianostati ampiamente discussi, scarsa attenzione è stata dedicata alla quanti-ficazione di essi. Tuttavia, onde poter decidere se investire o meno nellacreazione delle condizioni necessarie allo sviluppo di fiducia, le impresefacenti parte di supply chain dovrebbero poter stimare l’entità dei beneficidi performance che la fiducia è in grado di generare. Nel tentativo di offrireuno strumento utile a tale scopo e mettendo a fuoco, in particolare, ilcaso delle supply chain distrettuali, questo lavoro propone una metodolo-gia di analisi basata sull’utilizzo del modello NK.

5. Metodi

5.1 Il modello NKIl modello NK, originariamente proposto da Kauffman (1993) per lo studiodell’evoluzione dei sistemi biologici, consiste di una famiglia “regolabile”di paesaggi di fitness (fitness landscape). La procedura stocastica sviluppatada Kauffman (1993) per la progettazione di paesaggi di fitness ha poi tro-vato numerose applicazioni negli studi di management per la modellizza-zione del comportamento delle imprese impegnate nella ricerca di soluzionia problemi decisionali complessi (si vedano, tra gli altri: Gavetti e Levinthal,2000; Ghemawat e Levinthal, 2008).Negli studi che hanno applicato il modello NK a livello d’impresa, que-st’ultima è concettualizzata come un insieme di decisioni interagenti e de-scritta tramite un vettore d composto da N decisioni di (i = 1,…N),generalmente considerate binarie. Pertanto, d = (d1, d2, …, dN) con di = 0oppure 1. Le decisioni di sono in interazione tra loro, poiché le scelte ef-fettuate in merito alle singole decisioni possono influenzare (in manierapositiva o negativa) i risultati derivanti da altre decisioni interagenti conle prime. K (<N) rappresenta il numero medio di interazioni per decisione.L’informazione sulle interazioni tra le decisioni è contenuta in una matricedi dimensioni NxN. In tale “matrice delle influenze”, l’esistenza di una xnella posizione (i,j) indica che la decisione posta nella colonna j influenzaquella posizionata sulla riga i.Il diverso modo in cui le scelte (0-1) effettuate dall’impresa in merito allediverse decisioni di si combinano tra loro dà luogo a una serie di possibiliconfigurazioni delle scelte (nel seguito denominate semplicemente “con-figurazioni”). A ogni singola configurazione è associato uno specifico va-lore di fitness del sistema – o, in altri termini, un determinato payoff(prestazione) per l’impresa – indicato con P(d). Per ciascuna configura-zione, ogni decisione di offre un contributo Ci al payoff complessivo.

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Quest’ultimo è pari alla media aritmetica dei contributi delle singole deci-sioni. Il valore dei singoli Ci si ottiene estraendo numeri casuali da una di-stribuzione uniforme [0, 1]. Si osservi che ciascun contributo Ci è funzionenon soltanto della specifica decisione di ma anche delle K decisioni che,secondo quanto indicato dalla matrice delle influenze, interagiscono conessa. La mappa che riporta, per ciascuna delle possibili configurazioni, ivalori di di, i corrispondenti contributi Ci e il payoff complessivo P(d) co-stituisce il paesaggio di fitness. Nelle applicazioni del modello NK a pro-blematiche organizzative si suppone che l’obiettivo dell’impresa siaraggiungere il picco più alto del paesaggio, cioè identificare la configura-zione a cui è associato il massimo payoff, detto picco globale. L’impresa èdunque impegnata in un percorso adattivo, attraverso il paesaggio, alla ri-cerca del picco globale.Sebbene negli studi aziendali il modello NK sia stato generalmente appli-cato al caso della singola impresa, alcuni studi recenti hanno proposto ap-plicazioni del modello a contesti interorganizzativi. In particolare,Aggarwal, Siggelkow e Singh (2011) hanno sviluppato un modello NK re-lativo a un’alleanza strategica di tipo diadico allo scopo di analizzare l’im-patto delle modalità di governo delle relazioni interorganizzative sullaperformance delle singole imprese partecipanti. Proseguendo lungo la me-desima traiettoria, volta a estendere l’ambito di applicazione del modelloNK all’analisi di problematiche strategiche a livello interorganizzativo, mamettendo a fuoco un intero sistema di relazioni tra imprese anziché singolerelazioni diadiche, in un recente lavoro abbiamo applicato il modello NKall’intera supply chain, utilizzandolo per analizzare le relazioni tra strutturadelle interdipendenze della supply chain e fiducia all’interno della stessa(Capaldo e Giannoccaro, 2012).Analogamente, in questo studio utilizziamo il modello NK per modellarele supply chain distrettuali quali insieme di decisioni che interagiscono traloro conformemente a una specifica matrice delle influenze che riflette lerelazioni esistenti tra le imprese della singola supply chain in virtù dei flussifisici rilevati tra le stesse. Essendo composta da organizzazioni interdipen-denti, la supply chain si presta infatti a essere modellata mediante un mo-dello NK caratterizzato da N decisioni, assunte dalle Z imprese facenti partedi essa, K interazioni tra le decisioni medesime e una matrice delle in-fluenze che riflette la complessiva struttura della supply chain nei terminidelle relazioni esistenti tra i partner.

5.2 Modellizzazione NK delle supply chain distrettualiIl punto di partenza della metodologia proposta in questo studio è offerto

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da una recente applicazione della simulazione NK all’analisi dei distrettiindustriali e delle relative dinamiche (Press, 2007). Nel modello avanzatoda Press (2007), il distretto industriale è inteso quale insieme delle N atti-vità (a1, a2, ..aN) in cui si articola il complessivo processo di produzioneavente luogo nel distretto. Tali attività vanno dalla fornitura di materieprime alla distribuzione del prodotto finito al cliente finale, comprendendoaltresì le attività di fornitura di componenti e semilavorati. Le attività pro-duttive in oggetto sono raggruppate in segmenti di attività, ciascuno deiquali comprende un certo numero di attività e le imprese impegnate nel-l’espletamento di esse. Le singole attività possono assumere unicamentedue valori (0 oppure 1), ciascuno dei quali esprime modalità differenti disvolgimento delle attività. K è numero delle interdipendenze tra le attivitàe, pertanto, cresce al crescere del grado di complessità del prodotto finito.Il modello proposto da Press (2007) si caratterizza per una serie di assunti,due dei quali risultano particolarmente costrittivi rispetto alle finalità diquesto lavoro e, pertanto, saranno da noi abbandonati nel prosieguo. Inprimo luogo, il modello di Press (2007) prevede che il processo di produ-zione presenti la medesima struttura in tutti i distretti industriali. Talestruttura corrisponde a una matrice delle influenze basata su un patterndi tipo block-diagonal (Rivkin e Siggelkow, 2007), in cui le interazioni siverificano unicamente tra le attività facenti parte degli stessi blocchi (iquali corrispondono ai segmenti di attività), senza interazione alcuna trale attività appartenenti a blocchi differenti. Ciò significa che, nel modelloin esame, i industriali possono differenziarsi unicamente per il diverso va-lore dell’indice K; inoltre, il modello non ammette interazioni tra impreseappartenenti a segmenti di attività diversi. In secondo luogo, il modello diPress (2007) prevede che tutti i distretti industriali si caratterizzino per uncontrollo di natura decentralizzata: ciascuna impresa controlla le attivitàrientranti nel segmento a cui appartiene e assume decisioni indipenden-temente dalle rimanenti imprese del distretto, con l’unico obiettivo di ac-crescere il proprio payoff. Mentre un tale assunto può risultare adeguatoa interpretare le dinamiche proprie dei distretti marshalliani e delle relativesupply chain, esso è ben distante dalle caratteristiche dei distretti industrialicaratterizzati dalla presenza di una o più imprese-guida, nei quali il con-trollo è di natura centralizzata. In questo lavoro, la metodologia proposta da Press (2007) è adattata allamodellizzazione delle supply chain distrettuali e, a tale scopo, modificatasotto due rilevanti profili. In primo luogo, anziché concentrare l’attenzionesull’intero distretto industriale, ci concentreremo sulla singola supply chaindistrettuale. Quest’ultima si compone delle imprese che svolgono le N at-

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tività in cui si articola il processo produttivo avente luogo nel distretto,dalla fornitura di materie prime alla distribuzione del prodotto finito alcliente finale. La supply chain è formata da più stadi, corrispondenti aisegmenti di attività del modello originario, ciascuno dei quali consiste dun-que di una serie di attività. Le imprese facenti parte della supply chainsono associate ai vari stadi. Il vettore (a1,a2,a3, ..aN) esprime la specificaconfigurazione della attività propria della supply chain.In secondo luogo, anziché essere modellata su un pattern definito in ma-niera aprioristica e sulla corrispondente matrice delle influenze, la com-plessiva struttura del processo produttivo che caratterizza la singola supplychain, nei termini dei legami esistenti tra le attività, è espressa da una ma-trice delle influenze ottenuta rilevando empiricamente i flussi fisici tra leattività medesime (e le imprese impegnate nell’espletamento di esse) al-l’interno della specifica supply chain oggetto di indagine. In tal modo lametodologia proposta consente di tener conto del fatto che il processo diproduzione caratteristico del distretto presenta solitamente una strutturadiversa nelle diverse supply chain appartenenti a esso.

5.3 Dinamiche del modelloAlla stregua dei distretti industriali nel modello proposto da Press (2007),le singole supply chain distrettuali sono qui concettualizzate quali sistemiin evoluzione, alla ricerca di nuove configurazioni capaci di assicurare pa-yoff più elevati. In tale prospettiva, l’obiettivo della supply chain divieneassumere la configurazione delle attività cui corrisponde il payoff più ele-vato possibile. Quanto più il payoff effettivamente ottenuto dalla supplychain si avvicina a quello massimo possibile, tanto maggiore può dirsi laperformance della supply chain. Nel seguito modelliamo il processo evo-lutivo della supply chain, alla ricerca di payoff più elevati, fondando sul-l’assunto secondo cui tale evoluzione è influenzata dalle caratteristichedella governance della supply chain, in particolare dal tipo di controlloprevalente all’interno della stessa.A tale scopo, anziché ipotizzare che il controllo sia necessariamente de-centralizzato, come nel modello più sopra descritto (Press, 2007), consi-deriamo entrambe le forme estreme di controllo discusse al paragrafo 3.Nelle supply chain caratterizzate da un controllo centralizzato, l’impresa-guida controlla le attività svolte da tutte le altre imprese – e, dunque, con-trolla altresì il processo evolutivo dell’intera supply chain. Ciò implica chel’impresa-guida è l’unica a poter proporre, testare ed eventualmente sele-zionare una nuova configurazione delle attività della supply chain. Di con-verso, se il controllo è decentralizzato, le singole imprese facenti parte della

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supply chain gestiscono le attività di propria pertinenza in totale autono-mia. Pertanto, esse sono libere di esplorare diverse possibili configurazioniper le proprie attività, alla ricerca di quelle capaci di assicurare le perfor-mance più elevate.L’evoluzione della supply chain procede nel modo seguente. Inizialmenteviene proposta una nuova configurazione delle attività della supply chain.In un regime di controllo centralizzato, la nuova configurazione è propostadall’impresa-guida, che interviene sulla configurazione preesistente modi-ficando le modalità di espletamento di una singola attività, scelta casual-mente. Ad esempio, se N=6 e la configurazione preesistente delle attivitàè [0,0,1,0,0,0], una nuova configurazione potrebbe essere la seguente:[1,0,1,0,0,0]. In un regime di controllo decentralizzato, invece, ciascunaimpresa facente parte della supply chain modifica le modalità di svolgi-mento di una singola attività scelta casualmente tra quelle di propria per-tinenza, sicché la nuova configurazione delle attività della supply chain ècalcolata integrando le scelte effettuate da tutte le imprese partecipanti.Quale che sia il tipo di controllo prevalente nella supply chain, una voltache la nuova configurazione sia stata definita, il sistema decide se adot-tarla, abbandonando quella preesistente, o meno, permanendo in tal casoin quest’ultima configurazione. Tale decisione è significativamente influen-zata dall’esistenza di fiducia all’interno della supply chain. Pertanto, nelseguito faremo riferimento a due scenari diversi: il primo prevede l’esi-stenza di fiducia nella supply chain (scenario ‘trust’), mentre il secondoprevede assenza di fiducia (scenario ‘no-trust’).Come precedentemente argomentato, in presenza di fiducia tra le impresedella supply chain, queste tendono a cooperare, adottando comportamentiin linea con gli interessi dell’intero sistema – o, in altri termini, ad assumeredecisioni volte ad accrescere la complessiva performance della supply chain– ancorché questo possa incidere negativamente sulla performance dellasingola impresa. Viceversa, in assenza di fiducia nella supply chain, le im-prese partner non sono disposte a sacrificare il proprio interesse a beneficiodell’intero sistema e, pertanto, agiscono nell’interesse di quest’ultimo sol-tanto se ciò non pregiudica le proprie performance.Nello scenario ‘trust’, la nuova configurazione delle attività della supplychain viene confrontata con quella preesistente. Il confronto avviene sullabase dei rispettivi payoff. Se il payoff associato alla nuova configurazioneè superiore a quello associato alla configurazione preesistente, la supplychain adotta la nuova configurazione; in caso contrario, il sistema permanenella configurazione preesistente. Difatti, in presenza di fiducia all’internodella supply chain, ciascuna delle imprese partner è disponibile a modificare

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le proprie decisioni, per accrescere la performance dell’intero sistema, in-dipendentemente dall’impatto che ciò determina sulla propria perfor-mance.Al contrario, nello scenario ‘no trust’, la supply chain assume la nuovaconfigurazione solo se le seguenti due condizioni risultano simultanea-mente verificate: 1) la nuova configurazione assicura alla supply chain unpayoff più elevato di quello associato alla configurazione preesistente; 2)nella nuova configurazione, il payoff dell’impresa (o delle imprese) chedeve (devono) modificare le modalità di svolgimento di attività di propriapertinenza è maggiore di quello associato alla configurazione preesistente.L’impresa in questione sarà soltanto una se all’interno della supply chainil controllo ha natura centralizzata; viceversa, se il controllo è decentraliz-zato, si tratterà di tutte le Z imprese della supply chain. Per ciascuna im-presa, i payoff locali sono dati dalla media dei contributi Ci delle attivitàda essa svolte. Come più sopra sottolineato, in assenza di fiducia all’internodella supply chain le singole imprese perseguono unicamente il propriointeresse. Ciò implica che esse accetteranno di modificare le modalità diespletamento delle attività di propria pertinenza, nella maniera capace diaccrescere la performance dell’intera supply chain, solo se questo compor-terà altresì benefici di performance a livello locale.Riassumendo, l’evoluzione della supply chain procede attraverso i seguentistep:1. inizialmente viene proposta una nuova configurazione delle attività

della supply chain (vnew);2. sono calcolati i payoff, per la supply chain nel suo complesso [Psc(vnew)]

e per le singole imprese [Pz(vnew)], corrispondenti alla nuova configura-zione proposta;

3. la nuova configurazione è confrontata con quella preesistente (statusquo). Il sistema adotta la nuova configurazione se:3a) scenario ‘trust’: Psc(vnew) > Psc(vstatus quo);

o 3b) scenario ‘no trust’: Psc(vnew) > Psc (vstatus quo) e, contemporaneamente,Pz(vnew) > Pz(vstatus quo), dove:z (z = 1, 2, …, Z) è l’impresa chiamata a modificare la propria decisione,se il controllo è di tipo centralizzato;z varia tra 1 e Z, se il controllo è di tipo decentralizzato.

In caso contrario, il sistema permane nella configurazione preesistente;4. gli step precedenti sono ripetuti un numero dato di volte (round di si-

mulazione).

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5.4. La supply chain del divano in pelle di NatuzziLa metodologia sin qui descritta è applicata a una supply chain realmenteesistente, appartenente al distretto del divano in pelle di Bari-Matera. Perricostruire il processo di produzione della supply chain esaminata e otte-nere la corrispondente matrice delle influenze, abbiamo utilizzato i datitratti da una precedente ricerca che ha ricostruito le supply chain di treimprese-guida operanti nel distretto in questione (Albino, Carbonara eGiannoccaro, 2009). In questo lavoro prendiamo in esame la supply chaindi Natuzzi. L’impresa offre una varietà di prodotti finiti (divani in pelle,divani in tessuto, poltrone, elementi di arredamento per la casa), a ciascunodei quali corrisponde una specifica supply chain. Nel prosieguo ci concen-treremo sulla supply chain di Natuzzi relativa alla produzione di divani inpelle.La Tavola 1 mostra che la supply chain in esame si compone di tre stadi,denominati rispettivamente: fornitura di materie prime, primo livello difornitura e assemblaggio. Le attività produttive rientranti in ciascuno stadiosono svolte dalle imprese appartenenti a esso. Natuzzi, che opera nellostadio finale, svolge le seguenti attività: taglio, cucito, finissaggio, rivesti-mento in poliuretano e assemblaggio finale. I fornitori di primo livello tra-sformano le materie prime in componenti o semilavorati. E’ possibiledistinguere quattro tipi di fornitori di primo livello, a seconda dell’attivitàproduttiva svolta: concia, lavorazione del legno, formatura del poliuretanoe produzione di piedi per divani. I fornitori di materie prime sono raggrup-pati in tre classi: fornitori di poliuretano, fornitori di legname e fornitoridi pellami. Si osservi che, poiché Natuzzi guida la supply chain e ne con-trolla l’intero processo produttivo, nella supply chain oggetto d’indagineil controllo è d tipo centralizzato. La mappa del processo di produzione

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Tav. 1 – La supplychain del divano in

pelle di Natuzzi

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della supply chain considerata è riportata nella Figura 1. La Figura mostrai flussi fisici e i risultanti legami tra le attività e tra le imprese deputateallo svolgimento di quest’ultime.

6. Risultati della simulazione

Allo scopo di quantificare i benefici di performance derivanti dall’esistenzadi fiducia nella supply chain del divano in pelle di Natuzzi, abbiamo uti-lizzato la procedura descritta nei precedenti paragrafi 5.2 e 5.3. La supplychain esaminata è modellata mediante un vettore v = (a1,a2,., aN), in cuiN=12. Dalla mappa del processo di produzione, di cui alla Figura 1, ab-biamo ricavato la matrice delle influenze riportata nella Figura 2, in cuiciascun legame tra coppie di attività ai e aj dà luogo a una ‘x’ nelle posi-zioni (i, j) e (j, i)

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Fig. 1 – Il processodi produzione dellasupply chain deldivano in pelle diNatuzzi

Fig. 2 – La matricedelle influenzerelativa alla supplychain del divano inpelle di Natuzzi

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Partendo dalla matrice riportata nella Figura 2, abbiamo generato 1000landscape. Successivamente, abbiamo misurato le performance dell’interasupply chain e della sola impresa-guida, non anche quella delle rimanentiimprese della supply chain. Difatti quest’ultime, in un regime di controllocentralizzato, quale quello che caratterizza la supply chain in oggetto, nonsono in grado di influenzare la scelta di una nuova configurazione delleattività. La performance della supply chain è data dal payoff dell’intero si-stema al termine della simulazione ed è espressa come percentuale del piùelevato payoff possibile della supply chain sul landscape. La performancedell’impresa-guida è ottenuta mediando i contributi delle attività da essasvolte ed espressa come percentuale del più alto possibile payoff dell’im-presa medesima sul landscape. I round di simulazione sono stati fissati a200. I risultati della simulazione, per entrambi gli scenari (‘trust e ‘no-trust’)considerati, sono riportati nella Tavola 2. Per ciascuno dei due scenari ab-biamo calcolato la media e la deviazione standard delle performance ot-tenute, tanto dalla supply chain quanto dall’impresa-guida, sui 1000landscape. Allo scopo di quantificare i benefici della fiducia nella supplychain esaminata, la Tavola 2 riporta altresì la differenza tra le performancemedie ottenute nei due scenari. I risultati mostrano che l’esistenza di fi-ducia nella supply chain incide positivamente tanto sulla performance del-l’impresa-guida quanto su quella dell’intera supply chain. Si osservi inoltreche, nel caso considerato, i benefici di performance derivanti dall’esistenzadi fiducia nella supply chain risultano lievemente maggiori per l’impresa-guida rispetto alla supply chain nel suo complesso.

* Differenze nei risultati significative per valori di p<10-6 (t-test)

7. Discussione dei risultati ed estensione dell’analisi

I risultati della simulazione effettuata suggeriscono che le supply chaindistrettuali governate da un’impresa-guida e caratterizzate da una strutturadelle relazioni interimpresa quale quella risultante dalla considerazione deiflussi fisici rilevati nel caso esaminato si avvantaggiano dell’esistenza difiducia all’interno delle supply chain. L’analisi svolta mostra altresì che,

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UN MODELLO DI SIMULAZIONE PER LA QUANTIFICAZIONE DEI BENEFICI DELLA FIDUCIA NELLE SUPPLYCHAIN DISTRETTUALI

Tav. 2 – Risultatidella simulazione(nell’ipotesi di un

più elevato grado diintegrazione

verticaledell’impresa-guida)*

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nelle circostanze suddette, anche l’impresa-guida vede crescere la propriaperformance in presenza di fiducia all’interno della supply chain di cui co-stituisce il perno centrale. Mentre tali risultati confermano l’enfasi postadalla letteratura precedente sulla capacità della fiducia di incidere positi-vamente sulle performance nelle supply chain distrettuali, un primo ap-porto originale di questo studio risiede nel contributo offerto alsuperamento di un evidente limite della ricerca in materia di fiducia e sup-ply chain, attraverso la quantificazione degli effetti positivi che la fiduciaè in grado di esercitare sulla performance, tanto a livello di impresa-guidaquanto a beneficio dell’intera supply chain.Tuttavia, il principale contributo di questo studio risiede nell’aver propostouna metodologia per la quantificazione dei benefici di performance deri-vanti dalla presenza di fiducia nelle supply chain distrettuali che, lungi dalfondare sull’assunto di una struttura della supply chain definita in manieraaprioristica, risulta applicabile a qualsiasi supply chain, indipendentementedalla specifica struttura di essa. Inoltre, consentendo di modellare il pro-cesso evolutivo della supply chain teso al raggiungimento di configurazionicapaci di offrire performance più elevate, la metodologia in oggetto si pre-sta altresì a valutare le variazioni di performance associate a possibili cam-biamenti nella struttura della supply chain. Si ipotizzi che l’impresa-guidaprecedentemente esaminata stia valutando l’opportunità di ridurre il pro-prio grado di integrazione verticale, dando in outsourcing le attività a2, a3,a4 e a5 per concentrarsi esclusivamente sull’attività a1 (assemblaggio finale).In tali circostanze, l’impresa sarà presumibilmente interessata a valutare leperformance associate alla nuova struttura della supply chain che scaturi-rebbe da tale cambiamento, tanto in presenza quanto in assenza di fiduciaall’interno della supply chain, onde poterle confrontare con le performanceassociate alla configurazione strutturale corrente.Poiché la supply chain in questione è governata da un’unica impresa-guida, in presenza di fiducia (scenario ‘trust’) la riduzione del grado di in-tegrazione verticale dell’impresa-guida non influenzerà le performancemedie né a livello dell’intera supply chain né a livello dell’impresa guida.Di converso, in assenza di fiducia (scenario ‘no-trust’), la minore integra-zione verticale dell’impresa-guida comporterà una riduzione delle perfor-mance medie, su entrambi i livelli considerati. Difatti, in seguito allariduzione del grado di integrazione verticale dell’impresa-guida, la supplychain risulterà composta da un numero maggiore di imprese che, vista l’as-senza di fiducia all’interno della supply chain, preferiranno non adottarele nuove configurazioni delle attività via via proposte ove queste, pur pro-ducendo effetti positivi sulla performance dell’intero sistema, dovessero

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influenzare negativamente le performance ‘locali’. Ne deriva che, a ogniround di simulazione, la probabilità che la supply chain permanga nellaconfigurazione preesistente è destinata ad aumentare e le performance fi-nali risulteranno inferiori.La Tavola 3 riporta i risultati della simulazione con riferimento all’ipotesidi riduzione del grado di integrazione verticale dell’impresa-guida. Nelloscenario ‘trust’, i risultati coincidono con quelli, riportati nella Tavola 2,relativi all’ipotesi di un più elevato grado di integrazione verticale dell’im-presa-guida. Inoltre, analogamente a quanto registrato per tale ultima ipo-tesi, anche in presenza di una riduzione del grado di integrazione verticaledell’impresa-guida la performance media risulta maggiore nello scenario‘trust’ rispetto allo scenario ‘no-trust’, sia per la supply chain sia per l’im-presa-guida. Tuttavia, nell’ipotesi di una riduzione del grado di integra-zione verticale dell’impresa-guida, le performance medie nello scenario‘no-trust’ risultano minori di quelle associate all’ipotesi di maggiore inte-grazione verticale dell’impresa-guida. Ciò implica che, rispetto a tale ultimaipotesi, in presenza di una riduzione del grado di integrazione verticaledell’impresa-guida la differenza tra gli scenari ‘trust’ e ‘no-trust’, in terminidi performance media, è maggiore. Tale risultato suggerisce che investirenello sviluppo di fiducia nella supply chain può offrire benefici maggioriladdove il grado di integrazione verticale dell’impresa-guida sia inferiore.

* Differenze nei risultati significative per valori di p<10-6 (t-test)

8. Considerazioni conclusive, limiti della ricerca e future traiettorie diindagine

La precedente letteratura che ha esaminato il ruolo della fiducia nella sup-ply chain ha generalmente messo a fuoco singole relazioni diadiche all’in-terno della supply chain, trascurando altresì la quantificazione dei beneficiofferti dalla fiducia. In particolare, sebbene la fiducia rappresenti il prin-cipale meccanismo di governo dell’azione economica nei distretti indu-striali, l’analisi dei benefici di performance derivanti dalla diffusione dellafiducia nelle supply chain interne alle aree distrettuali non ha ricevuto ade-

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UN MODELLO DI SIMULAZIONE PER LA QUANTIFICAZIONE DEI BENEFICI DELLA FIDUCIA NELLE SUPPLYCHAIN DISTRETTUALI

Tav. 3 – Risultatidella simulazione(nell’ipotesi di un

minor grado diintegrazione

verticaledell’impresa-guida)*

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guata attenzione. Nel tentativo di colmare tali lacune e fornire risposta aiconseguenti interrogativi di ricerca, questo studio ha attinto alla teoria deisistemi complessi per proporre una metodologia computazionale, fondatasull’utilizzo della simulazione NK, volta a quantificare l’impatto generato,in termini di performance, dall’esistenza di fiducia nelle supply chain di-strettuali.Il nostro studio offre ulteriori contributi alla letteratura in materia di supplychain – e, più ampiamente, alla letteratura sulle reti interorganizzative. Inprimo luogo, anziché considerare la fiducia quale costrutto diadico, ab-biamo concentrato l’attenzione sulla fiducia a un livello di analisi superiore,quello corrispondente all’intero network di relazioni interorganizzative dicui le singole relazioni diadiche sono parte. Ciò ha consentito di affrontareun tema, quello della fiducia nell’intera supply chain (anziché nelle singolerelazioni interimpresa di cui la stessa si compone) che, sebbene sollevatoda autorevoli voci (Ireland e Webb, 2007), ha sin qui ricevuto scarsa at-tenzione nella letteratura strategica e organizzativa.In secondo luogo, questo lavoro ha sviluppato una metodologia di analisi,rivolta alla quantificazione dei benefici di performance connessi alla pre-senza di fiducia nelle supply chain (e nelle reti interorganizzative più ingenerale), capace di supportare l’assunzione di decisioni finalizzate a sti-molare lo sviluppo di fiducia in tali contesti. La metodologia avanzata èsuscettibile di applicazione quale che sia la specifica architettura della sup-ply chain (rete) oggetto di indagine. Infine, la simulazione dei percorsi evo-lutivi della supply chain alla ricerca di payoff più elevati e delle conseguentiperformance, su diversi livelli di analisi, può offrire elementi utili all’as-sunzione di decisioni volte ad alterare la complessiva architettura dellasupply chain (rete). Per questa via, il nostro studio si riconnette alla lette-ratura che ha indagato i processi di gestione strategica delle relazioni dicollaborazione tra imprese e le relative capacità (inter)organizzative (Lo-renzoni e Baden Fuller, 1995; Capaldo, 2007; Hoffmann, 2007; Capaldoe Messeni Petruzzelli, 2011). In tal senso, la metodologia qui proposta puòrappresentare un valido strumento analitico per i manager impegnati nelgoverno strategico delle supply chain e, più in generale, di reti di relazioniinterorganizzative.Questo studio presenta alcune limitazioni che lasciano intravedere inte-ressanti opportunità di ricerca per il futuro. In primo luogo, la metodologiadi analisi proposta considera due scenari estremi, caratterizzati rispettiva-mente dalla presenza e dall’assenza di fiducia nella supply chain. Tuttavia,l’osservazione della realtà suggerisce che, lungi dall’essere una variabiledicotomica, la fiducia può permeare le relazioni interorganizzative secondo

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gradazioni differenti. La ricerca futura dovrà quindi confrontarsi con lesfide analitiche derivanti dall’inquadramento della fiducia quale variabilecontinua, in maniera da pervenire alla quantificazione dei benefici di per-formance connessi alla presenza di differenti gradi di fiducia nella supplychain.In secondo luogo, questo studio non ha considerato i processi (inter)or-ganizzativi volti a sviluppare contenuti di fiducia nelle supply chain. Taliprocessi, scarsamente indagati in letteratura, presentano tempi lunghi, costinon trascurabili ed esiti incerti. La ricerca futura dovrà coniugare la valu-tazione dei benefici di performance derivanti dalla presenza di fiducia nellasupply chain con la considerazione dei costi, nonché dei rischi, connessialla creazione di un tale clima di fiducia.Da ultimo, sebbene i distretti industriali si compongano solitamente diuna pluralità di supply chain, il nostro studio ha messo a fuoco una singolasupply chain all’interno di un’area distrettuale. Un’interessante traiettoriadi ricerca potrebbe essere rivolta a estendere la metodologia qui propostaalla modellizzazione di molteplici supply chain all’interno di un medesimodistretto industriale, considerando altresì le interazioni tra esse esistenti.

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