Esperienza di lettura del territorio urbano: flanerie a Milano

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Esperienza di Flânerie a Milano La peculiarità di questa giornata, al limite tra l’accademico e il bohémien, mi permette di poter scrivere in tutta libertà una relazione sincera e diretta senza vincoli bibliografici e le pressioni di una valutazione. Infatti sto in realtà scrivendo questo resoconto per puro piacere personale. Per questo motivo chiedo da subito perdono se qualche ragionamento protenderà pericolosamente verso una filosofia blanda e assumerà le vesti di uno slancio poetico piuttosto che di un’analisi dello spazio urbano circostante. Ma il bello della flânerie è stato proprio questo aspetto: poter giocare con le proprie percezioni senza nessun preconcetto teorico e nessuna imposizione, se non una chiave di lettura che stimolasse e guidasse lo sguardo. Non è proprio quello a cui siamo abituati in Università, ma non per questo lo farò senza la dovuta serietà, anzi. I risultati infatti sono stati sorprendenti, come se per la prima volta avessimo permesso al nostro cervello di rendere intelligibili tutte le informazioni che riceveva attraverso i 5 sensi, senza quel tipo di selezione cognitiva che operiamo ogni giorno mentre camminiamo per strada (per sopravvivere, naturalmente). Per questo motivo, il banale tratto Bicocca – Stazione Centrale, divenne improvvisamente una passeggiata frastornante e avventurosa in cui non c’era tempo nemmeno per fumarsi una sigaretta, vista la furia di appuntarsi tutto nel quadernino, in preda a una sovra-stimolazione continua. Partiamo dunque con la descrizione del nostro percorso 1 . 1. Bicocca Questo era il nostro punto di partenza, dove abbiamo avuto modo già da subito di notare insieme lo spazio interstiziale desolato di erbaccia incolta (“paradossalmente l’unico spazio verde nei paraggi”), che padroneggia la vista e allarga l’impressione di cantiere al resto dello spazio circostante. Sembrerebbe che anche gli edifici costruiti siano ancora in via di costruzione. Tutto nei paraggi ha l’aria di qualcosa di provvisorio, promettente per il futuro ma senza ancora una sua forma, e allo stesso tempo meticoloso: non c’è spazio per la creatività. Anche i colori si ripetono a fasi alterne tra grigio e il color granata degli edifici di Bicocca. L’unica opera d’arte che vediamo è quella scultura visibile nell’immagine, che però sembra esaltare ancora di più quello precedentemente detto. È interessante notare come il suo significato 1 Mi sono aiutata con qualche immagine di Google Street View non avendo a disposizione molte immagini. Fortunatamente molte sono state scattate in maggio 2012 quindi rispecchiano più o meno quanto abbiamo visto noi, ad ogni modo la descrizione si riferisce sempre a ciò che ho visto e non a ciò che è nell’immagine). Elena Colli 783063

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Esperienza di Flânerie a Milano

La peculiarità di questa giornata, al limite tra l’accademico e il bohémien, mi permette di poter scrivere in

tutta libertà una relazione sincera e diretta senza vincoli bibliografici e le pressioni di una valutazione.

Infatti sto in realtà scrivendo questo resoconto per puro piacere personale. Per questo motivo chiedo da

subito perdono se qualche ragionamento protenderà pericolosamente verso una filosofia blanda e

assumerà le vesti di uno slancio poetico piuttosto che di un’analisi dello spazio urbano circostante. Ma il

bello della flânerie è stato proprio questo aspetto: poter giocare con le proprie percezioni senza nessun

preconcetto teorico e nessuna imposizione, se non una chiave di lettura che stimolasse e guidasse lo

sguardo. Non è proprio quello a cui siamo abituati in Università, ma non per questo lo farò senza la

dovuta serietà, anzi. I risultati infatti sono stati sorprendenti, come se per la prima volta avessimo

permesso al nostro cervello di rendere intelligibili tutte le informazioni che riceveva attraverso i 5 sensi,

senza quel tipo di selezione cognitiva che operiamo ogni giorno mentre camminiamo per strada (per

sopravvivere, naturalmente). Per questo motivo, il banale tratto Bicocca – Stazione Centrale, divenne

improvvisamente una passeggiata frastornante e avventurosa in cui non c’era tempo nemmeno per

fumarsi una sigaretta, vista la furia di appuntarsi tutto nel quadernino, in preda a una sovra-stimolazione

continua.

Partiamo dunque con la descrizione del nostro percorso1.

1. Bicocca

Questo era il nostro punto di partenza, dove abbiamo avuto modo già da subito di notare insieme lo

spazio interstiziale desolato di erbaccia incolta (“paradossalmente l’unico spazio verde nei paraggi”), che

padroneggia la vista e allarga l’impressione di cantiere al resto dello spazio circostante. Sembrerebbe che

anche gli edifici costruiti siano ancora in via di costruzione. Tutto nei paraggi ha l’aria di qualcosa di

provvisorio, promettente per il futuro ma senza ancora una sua forma, e allo stesso tempo meticoloso:

non c’è spazio per la creatività. Anche i colori si ripetono a fasi alterne tra grigio e il color granata degli

edifici di Bicocca. L’unica opera d’arte che vediamo è quella scultura visibile nell’immagine, che però

sembra esaltare ancora di più quello precedentemente detto. È interessante notare come il suo significato

1 Mi sono aiutata con qualche immagine di Google Street View non avendo a disposizione molte immagini. Fortunatamente molte sono state scattate in maggio 2012 quindi rispecchiano più o meno quanto abbiamo visto noi, ad ogni modo la descrizione si riferisce sempre a ciò che ho visto e non a ciò che è nell’immagine).

Elena Colli 783063

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dipenda completamente da quello che ha attorno (la stessa scultura posizionata al centro di un’aiuola

curata o in una stanza di un museo assumerebbe sicuramente un altro fascino e un'altra interpretazione).

Procedendo per Viale dell’Innovazione. Come sfondo in lontananza spicca il grattacielo Unicredit della

Stazione Garibaldi. Questo contribuisce di nuovo all’idea che si sta creando qualcosa di promettente ma

senza nessun risultato umano visibile: gli unici a camminare siamo noi (anche se incrociamo un signore

strampalato con un cane), gli edifici di Bicocca non si distinguono tra edifici adibiti a Università, a

residenze, a uffici o ad altro: le tapparelle sono tutte semiabbassate, non si sente nessun tipo di vociare o

di rumori tipicamente domestici, ma nemmeno rumori della strada perché il traffico è rado (e le auto

vanno anche piuttosto forte), non vediamo panni stesi o personalizzazioni degli edifici, e tutto questo

rende la strada piuttosto alienante. Pensandoci, il nome della via risulta un po’cozzare con la realtà…

Sarebbe questa l’innovazione?

Passiamo a fianco del Teatro Arcimboldi (Viale dell’Innovazione 20) che inserito perfettamente

nel contesto di grigio e cemento sembra passare tutto sommato inosservato. C’è attorno qualche altra

opera d’arte e struttura/impalcatura di cui non riesco a cogliere il significato. Genericamente, il paesaggio

di tutto il viale si mantiene omogeneo. Non si notano punti caratterizzati da socialità o particolarmente

vissuti; le mura dell’università sembrano impenetrabili e imperscrutabili, non ci sono ingressi o uscite da

questo lato della strada (sulla destra), i vetri sono oscurati, non c’è possibilità di permeabilità tra strada e

università, non si vedono flussi di persone o punti di ritrovo.

Un cambiamento rilevante si nota con la fila di taxi bianchi presenti davanti ad un edificio che si

differenzia per il colore nero: credo che siamo arrivati nella zona bancaria del nuovo quartiere Bicocca, o

comunque qualcosa che ha a che fare con uffici al di fuori dell’Università Bicocca. Anche se non ci sono

altre differenze a suggerire questo; si direbbe che tutto quello visto finora faccia parte di un progetto

unico partito da zero in una zona che era pressoché deserta. Bisogna però apprezzare il fatto che, aiutati

dalla stagione, il viale alberato regala una piacevole ombra che rende la passeggiata piacevole nonostante

il caldo, e il grigio degli edifici valorizza il verde delle foglie e del parco di Viale Sarca di cui si nota uno

scorcio sulla destra. I marciapiedi inoltre sono molto larghi… Insomma mancano solo i pedoni.

Ecco una volta arrivati alla fine del viale (Viale dell’Innovazione 1) il paesaggio cambia e si “apre”,

al posto dei “blocchi di cemento” stile Bicocca spuntano edifici più simili a case (con tetti tegolati, ad

esempio) ma di cui comunque non si riesce a definire bene la funzione, sembrano freddi o non abitati.

In quello che si staglia immacolato davanti a noi possiamo infatti individuare in lontananza una targa che

ci indica che è anch’esso un edificio dell’Università (non avevo visto bene il numero ma era

contrassegnato da una “U”). Un giardino curatissimo e una rotonda fiorita rendono la fine di Viale

Innovazione un “happy ending” per una via nel complesso abbastanza alienante, come già detto. Nessun

esercizio commerciale lungo la strada, nessun punto di ritrovo giovanile, pochi pedoni, poca creatività

reale o potenziale (sembrerebbe davvero impossibile personalizzare questa via). Inoltre sulla destra,

all’incrocio di Viale Innovazione con Via Boschi di Stefano, c’è una piazza rialzata del tutto indecifrabile,

abbandonata, deserta, con erba incolta che cresce dal cemento, un disastro insomma. Sembra il territorio

di nessuno e mi chiedo da chi mai potrebbe essere utilizzata.

Procediamo in quello che sembra proprio un territorio di transito: il marciapiede si fa meno

curato, spuntano cartelloni pubblicitari, semafori, la strada trafficata di automobili, le gru tra i palazzi

condominiali. È curioso che tra i palazzi si possa notare una vecchia ciminiera annerita in lontananza: è

il primo segno “storico” che incrociamo, che ci possa testimoniare che nel territorio che stiamo

percorrendo c’è stato un passato (incrocio Via Roberto Cozzi e Via Emilio de Marchi).

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Attraversando la strada andiamo verso il cavalcavia. Passiamo di fianco ad un parco giochi

residenziale completamente deserto, eppure è anche ben ombreggiato oltre che equipaggiato di giochi

visibilmente nuovi: forse le famiglie con bambini abitano altrove? O forse è semplicemente l’orario. Di

fianco a noi sfreccia qualche bici, la pista ciclabile è larga e differenziata con colori diversi da quella

pedonale, direi che la divisione funzionale del marciapiede funziona, anche se visto il nostro gruppo

consistente qualche ciclista è costretto a stare sulla strada. Dall’alto del cavalcavia si apre una visuale

surreale e contrapposta: sulla destra il tratto di ferrovia alberato e come sfondo lo skyline della stazione

Garibaldi; sulla sinistra un’enorme struttura indefinibile e abbandonata, a ridosso dei binari, che almeno

funge da “tela” per un murales che ne sottolinea l’aspetto inquietante, e sullo sfondo le Alpi. Mi chiedo

cosa possa servire una fermata dell’autobus su questo cavalcavia circondato dal nulla, e pochi metri più

avanti trovo risposta, sembra esserci un parcheggio di interscambio o comunque un parcheggio utile al

cimitero che si staglia improvvisamente sulla nostra visuale: paradossalmente è la cosa più allegra e

affascinante vista finora. Luminoso, spazioso ed esposto in bella vista, sembra quasi suggerirci di

ammirare la morte nella sua bellezza, anziché tenerla nascosta come i classici cimiteri murati confinati

nelle città. Molto curioso. Infatti ci fermiamo a fare qualche considerazione, appoggiati alla bella

staccionata di legno quasi “montana” che spunta a fianco del marciapiede, e la rete decorata dalle piante

rampicanti che fa da cornice al cimitero. Probabilmente il verde di questa stagione e la bella giornata

aiutano molto a rendere così questa zona. Ad ogni modo continuiamo lungo questa staccionata ed è un

tratto ciclo-pedonale piacevolissimo, che ci separa dalla strada con una barriera verde di prato e pini che

ci protegge dalla visuale e dal rumore del traffico. Il cimitero ci accompagna allegramente sulla destra,

mentre la vera morte ce l’abbiamo sulla sinistra quando, finiti i pini, si apre la visuale al di là della strada

di enormi capannoni industriali abbandonati lungo i binari del treno. Il paesaggio finisce con l’ingresso

del cimitero e l’unico esercizio commerciale che mi sembra di aver visto fin adesso oltre un baretto in

zona Bicocca: un negozio di “arte funeraria”. E un vecchio ponte sembra segnarne la fine simbolica:

finisce il paesaggio di transizione e inizia la vita (Via Emilio de Marchi 62-66).

2. Quartiere Greco

Si nota subito il cambio di registro: le residenze si affacciano sulla strada, possiamo incontrare altre

persone nel nostro cammino, supermercati appaiono sia sulla destra che sulla sinistra. Sembrano essere

discount. Sulla destra c’è una scuola elementare e le sue finestre decorate di fiori e colori fatti dai bambini

dà vita alla strada. Peccato per il cortiletto abbandonato che si vede poco dopo. Ci fermiamo ad osservare

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la targhetta de “I promessi sposi” posta all’entrata della scuola, in cui si riporta il tratto del romanzo in cui

Renzo pernotta a Greco, e vedendo la data di affissione (1999) azzardiamo che sia stato un tentativo un

po’ forzato di un recupero di identità di quartiere (Via Emilio de Marchi 51-55). Quello che mi vedo

attorno non la chiamerei “storia”, ma un sembrerebbe comunque un quartiere che non cambia da molti

anni, o che ha conosciuto in passato un grande sviluppo, forse anche un certo prestigio? (lo suggerisce

l’architettura particolare di alcune case), che ora comunque non ha più. La popolazione che incrociamo

per strada è perlopiù composta da anziani o commercianti stranieri.

Quando svoltiamo per entrare in Piazza Greco però, non ci sono più discount ma l’occhio viene

catturato da tante vetrine invitanti: la piccola macelleria, la panetteria, il “Bar Greco” (a ri-sottolineare

l’identità del luogo), la tabaccheria, la panetteria, la cartoleria. Ma soprattutto spicca una chiesa candida

con il suo campanile.

Naturalmente rispetto al quartiere Bicocca i rumori sono molteplici, c’è il traffico, i mezzi pubblici, il

vociare dei negozi aperti sulla strada. Ci avviciniamo alla chiesa e c’è un fazzoletto di terra pedonalizzata

quasi soave: la pavimentazione decorata, le panchine, la gelateria, il piccolo porticato con negozietti, la

fontanella, il teatro adiacente alla chiesa che sa tanto di Nuovo Cinema Paradiso, caduto in disuso. Sembra

quasi uno spazio nostalgico creato per i pochi abitanti originari rimasti.

Ma si fa presto ad uscire dall’area protetta: ci è bastato girare l’angolo entrando in Viale

Rimembranze di Greco per veder riapparire cantieri, sottopassaggi degradati (barattoli di vernice

abbandonati, addirittura sanitari rotti), grandi strade e spazi vuoti. Sulla destra l’enorme progetto di un

futuro quartiere residenziale creato ad hoc, che dalle immagini promozionali sembra aver l’ambizione di

diventare semplicemente una piccola cittadina sostitutiva a sé stante con tanto di stradine, viuzze e piazze

interne al quartiere. Il tutto con il panorama della tangenziale, o autostrada (Viale delle Rimembranze di

Greco, 45). È bello vedere che comunque c’è spazio anche per l’arte: camminando incrociamo anche un

negozietto di restauro con le sue opere esposte. Il paesaggio in generale qui è decisamente eterogeneo

rispetto a Bicocca.

Ad un tratto arriviamo su un ponte sorprendentemente affascinante, che volendo proprio

azzardare, mi ha ricordato la cittadina belga di Bruges: il ponte offre un bellissimo scorcio sul Naviglio

della Martesana che scopro essere affiancato da un’elegante passeggiata decorata da alberi, verde,

panchine, lampioni raffinati. E si può notare anche sembra essere una risorsa sfruttata e apprezzata dagli

abitanti: vediamo sportivi che corrono, persone in bici, anziani che passeggiano, mamme con il

passeggino. La sensazione è quasi “marittima”. Peccato per la sporcizia visibile sul fondo del canale

(incluso un ferro da stiro). Poco più avanti, concluso il ponte, si ha la sensazione che questo sia un altro

punto di passaggio, che chiude il quartiere Greco. Infatti torna nel nostro campo visivo uno skyline di

grattacieli, visibile sulla destra da un viale che sembra fatto apposta per ammirarlo.

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3. Via Sammartini

Alla fine di Viale Rimembranze di Greco appare inesorabile e invadente il paesaggio ferroviario. Questo

però ha un fascino tutto suo: sotto la ferrovia ci sono decine e decine di serrande chiuse, vecchi locali

abbandonati, grandi cancelli in ferro battuto, graffiti. Qualche spazio si salva ancora ma si contano sulle

dita di una mano, vediamo un pescivendolo, un gommista. Mi immagino come sarebbe bello ridare vita

a questa “cittadina nascosta” sotto la ferrovia.

Ma a quanto pare non è l’unica “cittadina nascosta”: grazie a un fortuito incontro veniamo accompagnati

ad un magazzino di vecchie e pregiate pellicole, che in realtà è molto più di un magazzino, sembra di

entrare nell’isola che non c’è, in uno spazio a sé stante, oltre che un vero e proprio santuario della pellicola.

Non c’è niente che segnali o suggerisca quello che fanno nel piccolo quartierino privato; vediamo insegne

di diverso tipo, un deposito, piccole case alcune abitate altre adibite ad uffici e a magazzini appunto per

le pellicole. Ma nessuno può saperlo, se non gli abitanti della zona. Questa parte della città appare piena

di fascino, storia, segreti raccontabili solo dagli abitanti storici e dalle canzoni. Ci raccontano infatti di un

locale lì vicino che sembra fare strage di clienti il fine settimana (Via Sammartini 95), e ci guardiamo

stupiti l’un l’altro, visto l’aspetto trasandato e anche un po’ kitsch dello stesso locale. Ma qui l’attrattività

sembra fatta essere d’altro, non di nuovo fiammante, di sculture indecifrabili come quelle in Bicocca, o

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di ordine e pulizia, tantomeno di locali alla moda. Qui l’ambiente è impregnato di un passato rurale, poi

operaio, di gente semplice a quanto pare. È autentico.

In parallelo con i binari, si notano sulla destra diversi edifici fatiscenti, altri palazzi invece

ristrutturati. Dopo la piccola escursione nel magazzino, mi accorgo che ci sono altri riferimenti

cinematografici, c’è la pubblicità di un museo del cinema, e mi viene in mente che oltre la ferrovia c’è

proprio Piazza Fratelli Lumière. Forse una volta qui era un piccolo distretto del cinema.

4. Stazione Centrale

Siamo ormai stanchi e il mio quadernino ha appunti sempre più radi. Ci avviciniamo al centro nevralgico

della mobilità e le strade si riempiono di bus, binari del tram, semafori, attraversamenti, le nostre teste

sono sovrastate da fili. Vicino alla stazione ci sono dei palazzi davvero incredibili, sicuramente costruiti

nello stesso periodo della stazione imitandone lo stile fascista con richiami imperialisti. Insomma la

maestosità della stazione coinvolge tutto ciò che la circonda, e tutto comunica che è un luogo centrale,

strategico, sotto la figura quasi austera e minacciosa del Pirellone.

La nostra flânerie si conclude, rimaniamo insieme per salutarci e fare osservazioni conclusive.

Notiamo come questo flusso continuo di paesaggio milanese ci abbia permesso di ridimensionare l’idea

puntiforme che abbiamo di Milano, rappresentata per molti, come tutte le grandi città, da una cartina

della metropolitana. La passeggiata ci ha permesso di cogliere le moltissime sfumature caratterizzanti i

luoghi, e i reali passaggi di “colore” che li segnano, per rimanere della metafora (la rotonda fiorita in

Bicocca, il ponte a Greco). La cosa interessante è che anche durante il ritorno a casa non riuscivo a

togliermi di dosso questo atteggiamento flâneur, che mi ha portato addirittura a ritirare fuori il quadernino

sul bus mentre scrutavo l’imperscrutabile dal finestrino, tanto da far spazientire una signora anziana che

mi fissava da alcuni minuti con fare accusatorio, sperando che le lasciassi il posto. Dopo un’ultima

occhiata fuori a rimirare lo scorrere del paesaggio diurno dal bus 42, che non avevo mai visto, preferendo

sempre la metropolitana, mi sono tolta le vesti di flâneur lasciando finalmente il posto alla signora.