Esercizi Spirituali Riflessioni sul Salmo 50[51] Miserere · 2016. 4. 27. · in quell’istante,...

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Esercizi Spirituali Riflessioni sul Salmo 50[51] "Miserere" Carlo Maria Martini Quaresima 2015 Terzo incontro Preghiera (insieme) «Signore, noi ti ringraziamo perché ci raduni ancora una volta alla tua presenza, ci raduni nel tuo nome. Signore, tu ci metti davanti la tua Parola, quella che tu hai ispirato ai tuoi profeti: fa' che ci accostiamo a questa Parola con riverenza, con attenzione, con umiltà; fa' che questa Parola non sia da noi sprecata, ma sia accolta in tutto ciò che essa ci dice. Noi sappiamo che il nostro cuore è spesso chiuso, incapace di comprendere la semplicità della tua Parola. Manda il tuo Spirito in noi perché possiamo accoglierla con verità, con semplicità; perché essa trasformi la nostra vita. Fa’, o Signore, che non ti resistiamo, che la tua Parola penetri in noi come spada a due tagli; che il nostro cuore sia aperto ad essa e che la nostra mano non vi resista; che il nostro occhio non si chiuda, che il nostro orecchio non si volga altrove, ma che ci dedichiamo totalmente a questo ascolto. Te lo chiediamo, o Padre, in unione con Maria che ha recitato questi salmi, per Gesù Cristo nostro Signore». 3. Il dolore dei peccati Dal Vangelo secondo Luca: 22, 54-62 54 Dopo averlo catturato, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del som- mo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. 55 Avevano acceso un fuoco in mezzo al cor- tile e si erano seduti attorno; anche Pietro sedette in mezzo a loro. 56 Una giovane serva lo vide seduto vi- cino al fuoco e, guardandolo attentamente, disse: «Anche questi era con lui». 57 Ma egli negò dicendo: «O donna, non lo conosco!». 58 Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei uno di loro!». Ma Pietro rispose: «O uomo, non lo sono!». 59 Passata circa un’ora, un altro insisteva: «In verità, anche questi era con lui; infatti è Galileo». 60 Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. 61 Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». 62 E, uscito fuori, pianse amaramente. 6 Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto: così sei giusto nella tua sentenza, sei retto nel tuo giudizio. Per completare la riflessione sulla prima parte della sezione centrale del Salmo 50, meditiamo

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Esercizi SpiritualiRiflessioni sul Salmo 50[51]

"Miserere"Carlo Maria Martini

Quaresima 2015Terzo incontro

Preghiera (insieme)

«Signore, noi ti ringraziamoperché ci raduni

ancora una volta alla tua presenza, ci raduni nel tuo nome.

Signore, tu ci metti davanti la tua Parola,quella che tu hai ispirato ai tuoi profeti:

fa' che ci accostiamo a questa Parolacon riverenza, con attenzione, con umiltà;

fa' che questa Parola non sia da noi sprecata,

ma sia accolta in tutto ciò che essa ci dice.Noi sappiamo

che il nostro cuore è spesso chiuso, incapace di comprendere

la semplicità della tua Parola. Manda il tuo Spirito in noi

perché possiamo accoglierla con verità, con semplicità;

perché essa trasformi la nostra vita.Fa’, o Signore, che non ti resistiamo,

che la tua Parola penetri in noi come spada a due tagli; che il nostro cuore sia aperto ad essae che la nostra mano non vi resista;che il nostro occhio non si chiuda,

che il nostro orecchio non si volga altrove,ma che ci dedichiamo

totalmente a questo ascolto. Te lo chiediamo, o Padre,

in unione con Mariache ha recitato questi salmi,

per Gesù Cristo nostro Signore».

3. Il dolore dei peccati

Dal Vangelo secondo Luca: 22, 54-6254Dopo averlo catturato, lo condussero

via e lo fecero entrare nella casa del som-mo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. 55Avevano acceso un fuoco in mezzo al cor-tile e si erano seduti attorno; anche Pietro sedette in mezzo a loro.

56Una giovane serva lo vide seduto vi-cino al fuoco e, guardandolo attentamente, disse: «Anche questi era con lui». 57Ma egli negò dicendo: «O donna, non lo conosco!». 58Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei uno di loro!». Ma Pietro rispose: «O uomo, non lo sono!». 59Passata circa un’ora, un altro insisteva: «In verità, anche questi era con lui; infatti è Galileo». 60Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò.

61Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». 62E, uscito fuori, pianse amaramente.

6Contro di te, contro te solo ho peccato,quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto:

così sei giusto nella tua sentenza,sei retto nel tuo giudizio.

Per completare la riflessione sulla prima parte della sezione centrale del Salmo 50, meditiamo

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sulle parole: «Sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio». Esse ci permettono di entrare nel tema del dolore dei peccati.

La parola «dolore», pronunciata nel conte-sto del Sacramento della Riconciliazione, può evocare in noi una sensazione di disagio o di insoddisfazione.

È il ricordo di sentimenti talora spremuti a fatica; l'incertezza che ci può prendere se abbia-mo avuto o non abbiamo avuto veramente il dolore in qualche nostra confessione; il senso di colpa per non riuscire, almeno ci sembra, a provare un dolore vivo dei peccati commessi e il ritardare forse, per questo, la confessione.

Eppure, nel campo delle esperienze corporee, il dolore è la più inevitabile, la più evidente, la meno artificiale delle sensazioni: sento un dolore nel corpo, malgrado non lo voglia.

Gli stessi dolori morali sono qualcosa di molto reale dentro di noi: a volte ci opprimono fino a toglierci il sonno.

Che cos'è dunque il dolore dei peccati che sembra avere poco in comune con la sensazione; tanto viva e presente, del dolore fisico o morale?

Il giudizio su di sé

Vorrei cominciare da qualche riflessione ge-nerale.

Ci sono degli atti, più o meno gravi, che ciascuno vorrebbe non avere compiuto. Ci sono dei comportamenti, magari poco appari-scenti, che non corrispondono a come ciascuno vorrebbe essere: modi di fare, di pensare, di rispondere, di agire.

Talvolta ci accorgiamo che non dipendono nemmeno da noi e sono piuttosto il frutto di pre-cedenti abitudini, di sorpresa, di inavvertenza. Tuttavia hanno qualche aspetto di cui interior-mente sentiamo di non poterci vantare.

Questa capacità di giudizio su di sé non è ancora il dolore dei peccati: ne è la pre-messa. Infatti non posso pentirmi se non di qualcosa che insieme è mio e non va, l'ho fatto e non l'approvo.

Il cammino della purificazione cristiana presuppone la capacità di giudizio su di sé, implica una dissociazione da qualche aspetto di noi che non approviamo.

Saper fare questo è un segno di libertà in cammino, è un segno di maturazione umana e morale. C'è da dubitare di una persona che accusa sempre gli altri e che è soddisfatta di sé in tutto. Se, nelle nostre confessioni, siamo portati ad accusare gli altri ed a scusare noi, ri-veliamo di non aver compiuto nemmeno il primo passo verso il pentimento cristiano.

E d'altra parte è vero che, forse per una certa abitudine al Sacramento della Riconciliazione, il

nostro pentimento è a volte bloccato dal fatto che non siamo convinti fino in fondo di do-ver imputare a noi stessi qualcosa che in noi non va. Non ci sentiamo di ammettere del tutto che la colpa è nostra.

Più di frequente il pentimento è bloccato perché non siamo affatto convinti che quello che abbiamo fatto non andava fatto: magari la tradizione e la dottrina dicono che è sbagliato ma interiormente sentiamo che non è vero. In questo caso il dolore, il pentimento diventa fa-ticoso, superficiale, artificiale.

Che cosa dobbiamo fare se ci accorgiamo che il nostro pentimento non si scioglie, che è bloc-cato da questi motivi che riguardano il giudizio preliminare su noi stessi?

È chiaro che il cammino da fare è il passag-gio da una valutazione frettolosa di noi ad una valutazione più realistica e ponderata, attraverso la riflessione e la preghiera. Invece di cominciare subito con la confessione propriamente detta, può essere opportuno co-minciare ad instaurare un semplice colloquio amichevole che permette di esprimere la difficol-tà di fondo, di dare voce a questa difficoltà e di farci aiutare a chiarirla. Sarebbe errato fermarsi alla difficoltà lasciandosi ipnotizzare da essa.

Con queste tre riflessioni, siamo ancora ai preliminari di quello che è il dolore cristiano dei peccati: esso scatta e prende forma ad un livel-lo superiore di coscienza e vogliamo cercare di comprenderlo meditando le parole del Salmo 50.

La parte lesa

Che cosa vuoi dire concretamente: «così sei giusto nella tua sentenza, sei retto nel tuo giu-dizio?».

Ravasi: Il v. 6b è raccordato alla dichiarazio-ne precedente sul peccato da un avverbio lema'an (=così) che ha suscitato tra gli esegeti un aspro dibattito a causa delle conseguenze teologiche che esso comporta nella lettura della frase da esso retta. Vediamo le soluzioni più significative.

1. E, Beaucamp (a.c. in Mém. Gelin), ripren-dendo un'antica spiegazione, vede nei vv, 5- 6ab una parentesi e invita a raccordare direttamente il v. 4 al v. 6cd: «Lavami ... mondami dal mio peccato (riconosco le mie trasgressioni ... : contro di te ho peccato ... ) affinché tu sia fedele alle tue promesse». O ancora: «Compiendo le tue parole di perdono, la tua giustizia (cioè la fedeltà ai tuoi disegni salvi-fici) diverrà manifesta; tu apparirai puro (integro) nell'esercizio del tuo giudizio (che è in realtà una decisione di misericordia)». Il versetto precedente (5-6ab) sarebbe stato forse introdotto successiva-

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mente per esaltare la domanda del perdono che sostanzialmente era solo questa: «Pietà di me ... , cancella ... lavami... mondami dal peccato per mostrarti così giusto, cioè salvatore». La resa, però, sembra faticosa rispetto al testo più lineare e sembra anche tributaria dell'esegesi paolina del versetto. Non per nulla è accolta soprattutto dai commentatori di Paolo.

2. Alcuni preferiscono attribuire al lema'an un valore finale che, secondo la sintassi ebraica, può avere non solo la sfumatura principale di intenzione (sarebbe un po' strano: «io ho peccato e riconosco il peccato affinché tu sia giusto nel tuo giudizio», sembrerebbe forse la ricerca di un'attenuante) ma anche quella di effetto: «lo ho peccato ... in modo che tu sei giusto giudicandomi». In pratica si giunge al valore consecutivo: «Io ho peccato, cosicché tu sei giusto (punendomi)». Ma la confessione del peccato ha di per sé lo scopo di provocare il perdono. Che si tratti di una finale-consecutiva e di una rigida finale sarebbe visibile anche dall'uso in Rm 3,4 di opos an e non di ina. La soluzione, avanzata già da Delitzsch, è stata ripresa da E.F. Sutcliffe" e da A. Lancellotti (II, p. 66): «Il pecca-tore, confessando la sua colpa, "dà gloria a Dio" (Gs 7,19), ristabilisce, almeno intenzionalmente (“affinché”), l'ordine (“giustizia”) stabilito da Dio e rotto col peccato. Questa "giustificazione" di Dio, scopo primario della confessione del peccato, porta a sua volta alla giustificazione dell'uomo, operata dall'azione purificatrice e rinnovatrice della grazia divina».

3. Una terza soluzione cerca di inquadrare la frase nel genere letterario legale del diritto sacrale (quello che Alonso Schòkel chiama il giudizio bila-terale). Senza ricorrere all'uso della parentesi (rara in ebraico), né a una forma sintattica eccezionale e fa-ticosa (finale consecutiva) si traduce: «Io ho peccato ... Io lo confesso perché tu sia impeccabile nella tua sentenza, perché tu sia puro nel tuo giudizio», La conferma verrebbe dall'uso del verbo zakah che nei testi giuridici antichi (soprattutto accadici pro-venienti da Ugarit) ha il valore, ripreso anche nell'a-ramaico, di «aver ragione» in un processo, «essere libero da proteste o critiche». Questa connotazione giuridica è restata nei LXX, nella Pesitta e nella Vg («vincas»). Kraus scrive: «L'orante, dichiarando una colpa che tocca Dio, si sottomette al giusto giudizio di Dio; dbr è la sentenza giudiziaria (Richtspruch) di Dio». Tuttavia questa interpretazione ci sembra in

contrasto col resto del salmo, un po' come le altre. È strano che un orante appelli ad urla «senten-za giusta» perché essa significa solo condanna e quindi egli domanderebbe dì essere punito. La supplica conosce certo l'azione giusta e restauratrice di Dio (Es 32,34; Lv 20,20; Nm 32,23; Gs 24,19; Sal 89,33; Ez 18,4; Is 5,3; Ger 2,10-11; Mi 6,3; Pro 22,8 ecc.) ma implora la misericordia e il perdono. Emblematica è la supplica di Dn 9: «Jahweh ha vegliato sopra questo male e l'ha mandato su di noi, perché Jahweh Dio nostro è giusto in tutte le cose che fa (nesso peccato-castigo). Jahweh Dio nostro ... , noi abbiamo peccato, abbiamo agito da empi (confessione). Jahweh, secondo la tua misericordia si plachi la tua ira e il tuo sdegno, verso Gerusalem-me ... (domanda di perdono)» (vv. 14-16).

- Di fronte a queste soluzioni ci sembra op-portuno spostare l'accento proprio sui vocaboli «giuridici» del v. 6cd. Il sedeq di Dio è prima di tutto una qualità personale divina che comporta salvezza e amore (vedi il v. 16), è la realtà stessa di Dio che dalla confessione dell'orante emerge in tutta la sua limpidità. Dio è «innocente» quando emette la sua sentenza (dbr), «ha ragione» (zkh) nel giudizio, tuttavia l'orante, riconoscendo questa «innocenza» di Dio, appella alla sua «giustizia» salvifica. Quindi il contesto giuridico sacrale è da mantenere ma con un esito positivo. «Non è la giustizia di un giudice ma l'innocenza di una parte che è dichiarata; il salmista non appella alla giustizia che deve condannare il colpevole, ma alla misericordia che perdona il penitente». Si tratta, quindi, di una sfumatura da cogliere nell'ambito della terza interpretazione, che è la più probabile. Il peccatore riconosce che il diritto di Dio sarebbe quello del ca-stigo (Ez 28,22; Sir 36,4) ma contemporaneamente sa che il Dio innocente e giusto è di fronte al cuore contrito un salvatore.

Che cosa vuoi dire concretamente: «così sei giusto nella tua sentenza, sei retto nel tuo giudizio?».

Noi interpretiamo spontaneamente questo versetto mettendo Dio al posto di un giudi-ce; vediamo idealmente due parti convenute in giudizio e Dio nel mezzo.

Le due parti sono, nel caso del riferimento storico del Salmo, Davide e Uria, il marito di Betsabea ucciso proditoriamente per ordine di Davide. Dio sta nel mezzo come giudice impar-ziale che dà torto a Davide e lo condanna. Il re accetta la condanna e allora dice a Dio: Tu sei retto quando giudichi.

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Questa interpretazione non è cogente. Essa pone Dio come arbitro che condanna il peccatore alla morte, senza possibilità di appello.

La realtà vissuta dal Salmo è molto più pro-fonda.

Dio non è giudice: è parte lesa. Egli, che è il principio di ogni fedeltà e di ogni amore, è stato leso mortalmente da Davide, è stato vio-lentato nei suoi diritti. Per questo rimprovera Davide e questi accetta il rimprovero sapendo che il giudizio divino è giusto ed è quindi anche un giudizio di perdono.

Dio, come parte offesa, redarguisce Davide perché vuole la sua vita e non la sua morte: se ha tentato di uccidere Dio, Dio lo vuole salvare.

È propriamente a questo punto che scat-ta il pentimento biblico, il dolore dell'uomo: l'uomo si trova davanti a Colui che ha leso, di cui ha respinto la fiducia e che di nuovo gli offre la mano destra della sua fiducia.

Se noi chiediamo in che maniera l'offesa fatta al prossimo raggiunge e lede Dio, Egli stesso ci risponderà dal libro dell'Esodo, nella visione del roveto ardente. Il Faraone opprime gli Ebrei e Dio, apparendo a Mosè, si costituisce parte lesa e inizia la sua azione contro l'oppressore con queste parole: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sof-ferenze. Sono disceso per liberarlo» (Es. 3, 7-8).

Ci risponderà ancora il Vangelo di Matteo, nella scena del giudizio universale, dove Gesù si costituisce parte lesa ovunque un affamato non è nutrito e un carcerato non è visitato: «In verità vi dico... non l'avete fatto a me» (cfr. Mt. 25, 31-46).

Il pianto di Pietro

C'è un brano del Vangelo di Luca che ci può fare cogliere più profondamente l'esperienza del dolore del peccato che abbiamo meditato nelle parole di Davide. È l'episodio di Pietro che per tre volte ha negato di conoscere Gesù: «In quell'i-stante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: "Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte". E uscito pianse amara-mente» (Lc. 22, 54-62).

Perché Pietro scoppia in pianto? Fino a quel momento aveva una certa coscienza, anche se un po' annebbiata, di avere fatto una cosa sbagliata, di essersi disonorato, di avere tradito un amico. Ma è solo quando Gesù lo incontra e lo guarda che Pietro scoppia in pianto. In quel momento capisce una cosa sola: io ho rinne-gato quest'uomo e lui va a morire per me! È la sovrabbondanza incredibile di fiducia e di

attenzione a chi l'ha demerita, che fa scattare il contrasto.

Il dolore cristiano nasce dalla percezio-ne di questo contrasto, nasce dall'incontro con Colui che, offeso in sé e nel suo amore per l'uomo, offre, come contraccambio, uno sguardo di amicizia.

Domande per noi

La rivelazione della colpevolezza del cristiano viene dall'incontro con Cristo, con la sua Parola e con la sua Persona. Questo incontro sblocca la rigidità del giudizio su di noi, giudizio sempre incerto e impacciato, e la scioglie in un vero pen-timento, nel dispiacere interiore per avere offeso Cristo nella sua persona; nel dispiacere per la scorrettezza del nostro rapporto di amicizia, per l'infrazione del codice di onore e di tenerezza, per la disattenzione e il disprezzo di un rapporto prezioso.

Possiamo chiederci:· Per che cosa posso dire, in verità, den-

tro di me: «Contro di te, contro te solo ho peccato?». Che cosa emerge nella mia coscienza quando rifletto su queste parole?

· Quali di queste cose che emergono sono lesioni dell'immagine di Dio in altri, sono rifiuto di attenzione, di ascolto, di aiuto, di stima? Ho colto, riesco a cogliere il rapporto tra la lesione di un altro e la lesione della mia amicizia e alleanza con Dio, che si è instau-rata nel Battesimo e che vivo nell'Eucaristia?

· Sono consapevole della potenza riabi-litativa del mio perdono? Anch'io, come Gesù, posso perdonare, posso fare rivivere, posso ridare fiducia e onorabilità. Riesco a farlo? Invoco lo Spirito Santo per essere, intorno a me, partecipe del potere riconci-liatore di Cristo?

E possiamo dire insieme:

«Concedi, Signore, a noi che cerchia-mo la via della penitenza, di entrare nel giusto cammino, e concedi che questo entrare sia non soltanto per noi ma per tutto il mondo che spiritualmente è qui presente e cammina con noi.

Tu, Signore, che hai donato il dolore del peccato a Davide e a Pie-tro, concedi la grazia di un dolore profondo a noi e al nostro mondo per tutto ciò che ti offende».