Esercizi Spirituali La Vocazione alla Santità degli Sposi ... · II. UNIVERSALITÀ DELLA CHIESA ED...

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Gianfranco Basti Esercizi Spirituali La Vocazione alla Santità degli Sposi: Costruttori di Chiesa Volume 3 Testimoni di Universalità Il Mistero della Chiesa “Cattolica” Vissuto in Famiglia Vicariato di Roma — Centro per la Pastorale Familiare 2005

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Gianfranco Basti

Esercizi Spirituali La Vocazione alla Santità degli Sposi:

Costruttori di Chiesa

Volume 3

Testimoni di Universalità Il Mistero della Chiesa “Cattolica”

Vissuto in Famiglia

Vicariato di Roma — Centro per la Pastorale Familiare 2005

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SOMMARIO

I. IL MISTERO DELL’UNIVERSALITÀ DELLA CHIESA ............ 5 A. LA CHIESA, TEMPIO DELLA NUOVA ALLEANZA ................................ 5 B. SVILUPPO BIBLICO DELL’UNIVERSALITÀ DEL POPOLO DI DIO .......... 11

1. La convocazione santa nell'Antico Testamento ......................... 11 2. Sviluppo neotestamentario del tema del Popolo di Dio ............. 17 3. Sintesi fra Antico e Nuovo Patto nel segno dell’Universalità .... 24

II. UNIVERSALITÀ DELLA CHIESA ED ECCLESIOLOGIA DI COMUNIONE ........................................................................................... 26

A. LA CHIESA, «POPOLO DI DIO» NEL CONCILIO VATICANO II ............ 26 B. UNIVERSALITÀ DELLA CHIESA E SALVEZZA .................................... 27

1. Un testo fondamentale del Concilio: gradi e modi di incorporazione alla Chiesa ................................................................. 27 2. Cattolicità della Chiesa, non-cristiani e non-credenti ............... 30

a) Attualità del Concilio ........................................................................ 30 b) L’insegnamento del Papa Benedetto XVI ......................................... 31 c) Applicazione al dialogo coi non-credenti ......................................... 36 d) Dialogo fra credenti e non-credenti e futuro del mondo ................... 39

C. CATTOLICITÀ E AMICIZIA: IL RUOLO DELLE FAMIGLIE ..................... 41 1. «Il braccio del seminatore è l’amicizia» .................................... 41 2. La Parrocchia, «casa di tutti» ................................................... 43

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I. IL MISTERO DELL’UNIVERSALITÀ DELLA CHIESA

A. La Chiesa, Tempio della Nuova Alle-anza

ffermare che l’universalità, la cattolicità della Chie-sa è un Mistero, fa tutt’uno con l’affermazione del carattere misterioso delle altre due note che la ca-ratterizzano: il Mistero della Chiesa una ed il Mi-

stero della Chiesa santa.

• L’abbiamo detto fin dalla prima nostra meditazione. In essa ricordavamo come solo in Cristo queste tre no-te della Chiesa — unità, santità, cattolicità — acqui-stano un carattere di realtà teologale che può diventa-re realtà storica solo attraverso il carattere missionario della Chiesa. Solo attraverso l’impegno sostenuto dal-lo Spirito dei cristiani — ciascuno secondo la sua specifica vocazione — la Chiesa potrà divenire una, al di là delle sue divisioni, santa al di là dei peccati di ciascun suo membro, cattolica, universale, al di là dei limiti molteplici, personali, sociali, culturali, che ne condizionano la crescita e l’efficacia salvifica.

• D’altra parte, sempre nella nostra prima meditazione, ricordavamo come la nota dell’universalità della Chie-sa, sia biblicamente legata al tema vetero-testamentario del Tempio della Nuova Alleanza, «casa di preghiera per tutti i popoli», originariamente re-interpretato da Cristo che propone il suo Corpo Ri-sorto, evidentemente il suo Corpo Mistico, come effet-

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tiva realizzazione di questa profezia veterotestamen-taria.

[13]Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. [14]Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute se-duti al banco. [15]Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i ban-chi, [16]e ai venditori di colombe disse: "Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato". [17]I discepoli si ricordarono che sta scritto: 'Lo zelo per la tua casa mi divora'. [18]Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?". [19]Rispose loro Gesù: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risor-gere". [20]Gli dissero allora i Giudei: "Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?". [21]Ma egli parlava del tempio del suo corpo. [22]Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. (Gv 2)

• Nel medesimo Vangelo di Giovanni, il tema del Tem-pio viene ripreso con un’accentuazione più marcata-mente universale e spirituale insieme, nell’incontro con la Samaritana:

[21]Gesù le dice: "Credimi, donna, è giunto il momento in cui nè su questo monte, nè in Gerusalemme adorere-te il Padre. [22]Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. [23]Ma è giunto il momento, ed è

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questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. [24]Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorar-lo in spirito e verità". [25]Gli rispose la donna: "So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa". [26]Le disse Gesù: "Sono io, che ti parlo" (Gv 4).

• Alla luce di quanto abbiamo detto sulla modalità del dono dello Spirito e sulla sua intima relazione con il Mistero della Morte e Resurrezione di Cristo, questi testi si comprendono meglio, anche se spetta a Paolo, con la sua dottrina del Corpo Mistico, la sintesi più alta.

• Essa ci ha offerto la prima e fondamentale — anche se, necessariamente, tutt’altro che conclusiva — in-telligibilità di questo mistero dell’universalità e insie-me della spiritualità del Nuovo Tempio di Dio che è la Chiesa. Questa unità supera qualsiasi divisione, compresa quella fra giudei e pagani che veniva dall’ebraismo.

[11]Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani per na-scita, chiamati incirconcisi da quelli che si dicono cir-concisi perchè tali sono nella carne per mano di uomo, [12]ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo. [13]Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tem-po eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al san-gue di Cristo. [14]Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo,

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abbattendo il muro di separazione che era frammezzo,

cioè l'inimicizia, [19]Così dunque voi non siete più stranieri nè ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, [20]edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. [21]In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; [22]in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito (Ef 2).

• Questo processo di edificazione della Chiesa e dei Cristiani come un Unico Tempio Universale, attraver-so e non malgrado la diversità dei carismi, è inscindi-bilmente un processo di auto-edificazione. Esso è in-fatti opera dello Spirito Santo dall’interno del cuore di ciascun credente, che attraverso la carità rende pos-sibile la realizzazione progressiva nella storia di que-sto meraviglioso Progetto Divino.

[11]E` lui (Cristo) che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pa-stori e maestri, [12]per rendere idonei i fratelli a com-piere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, [13]finchè arriviamo tutti all'unità della fede e della co-noscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. [14]Questo affinchè non siamo più come fanciulli sbal-lottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell'errore. [15]Al con-trario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cri-

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sto, [16]dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella cari-tà (Ef 4).

• D’altra parte la sintesi paolina dell’Universalità della Chiesa – corpo di Cristo, senza passare attraverso il giudaismo è stato il punto d’arrivo di un lento pro-cesso di presa di coscienza nella prima comunità cri-stiana dell’universalità del Popolo di Dio. Un processo che ha le sue radici nell’Antico Testamento ed a cui, in qualche modo non è estraneo Gesù medesimo.

• Infatti, lo stesso Gesù che aveva cominciato auto-proclamandosi inviato esclusivamente alle «pecore perdute della casa d’Israele», raccomandando ai suoi discepoli di fare altrettanto — «non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; [6]rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele» (Mt 10) —, di fronte al sempre più ostinato rifiuto dei suoi correligionari, comincia a rivolgersi ai pagani e viene portato dalla loro risposta di fede ad ampliare le pro-prie iniziali vedute. L’episodio della fede del centurio-ne, che già lo aveva tanto colpito, non era un evento isolato, evidentemente.

[21]Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. [22]Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: «Pietà di me, Signo-re, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio». [23]Ma egli non le rivolse neppure una parola.

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Allora i discepoli gli si accostarono implorando: «Esau-discila, vedi come ci grida dietro». [24]Ma egli rispose: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele». [25]Ma quella venne e si prostrò di-nanzi a lui dicendo: «Signore, aiutami!». [26]Ed egli ri-spose: «Non è bene prendere il pane dei figli per gettar-lo ai cagnolini». [27]«E` vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». [28]Allora Gesù le repli-cò: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri». E da quell'istante sua figlia fu guarita (Mt 15).

• Un ampliamento di prospettive nella coscienza uma-na del Cristo che lo porterà ad affermare esplicita-mente, nel Vangelo di Giovanni:

[16]E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; an-che queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore (Gv 10).

• Non l’appartenenza ad un certo popolo o ad una certa religione, ma la docilità all’annuncio della fede, segno dell’azione misteriosa del Padre nel cuore dell’uomo attraverso lo Spirito, sono il criterio che Gesù userà per discernere «le pecore» del suo gregge dagli altri. Questo criterio, infatti, Gesù userà subito dopo per apostrofare un gruppo di giudei che rivendicavano invece una sorta di «diritto di primogenitura» verso il Messia.

[22]Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa del-la Dedicazione. Era d'inverno. [23]Gesù passeggiava

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nel tempio, sotto il portico di Salomone. [24]Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: "Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cri-sto, dillo a noi apertamente". [25]Gesù rispose loro: "Ve l'ho detto e non credete; le opere che io compio nel no-me del Padre mio, queste mi danno testimonianza; [26]ma voi non credete, perché non siete mie pecore. [27]Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. [28]Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. [29]Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. [30]Io e il Padre siamo una cosa sola" (Gv 10).

• Data allora, l’importanza del tema dell’universalità della Chiesa e prima di approfondire come il Concilio l’ha sviluppato ed arricchito, nell’ambito della sua ec-clesiologia di comunione, fino ad arrivare all’ultima at-tualizzazione di questa dottrina nell’insegnamento re-centissimo di Papa Benedetto XVI, approfondiamo lo sviluppo biblico del tema dell’universalità del Popolo di Dio.

B. Sviluppo biblico dell’universalità del Popolo di Dio

1. La convocazione santa nell'Antico Te-stamento

• Paradossalmente la difficoltà che incontra la Chiesa delle origini per comprendere che l’universalità della chiamata alla salvezza non deve passare per una pre-via adesione del pagano alla religione ebraica, è legata

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proprio al fatto che l’Assemblea veterostestamentaria, fin dalle origini della prima assemblea sinaitica, è ca-ratterizzata da un’apertura universalistica che invece non si riscontra nelle religioni pagane, quella greca innanzitutto.

• Quella religione greca dalla quale il Nuovo Testamen-to, seguendo la traduzione greca dei LXX dei Libri dell’Antico Testamento, mutuò il termine ecclesìa per tradurre il termine qahàl che, come sappiamo, desi-gnava la «convocazione», l’assemblea vetrotestamen-taria.

• Per questa intrinseca apertura della comunità giudai-ca ad incorporare in sé il pagano, circoncidendolo, sembrò del tutto naturale alla Chiesa delle origini, seguire lo stesso percorso: chi si voleva fare cristiano dal paganesimo doveva prima farsi circoncidere! Per entrare nella Nuova Alleanza, occorreva prima passa-re attraverso la Vecchia.

• D’altra parte, la convocazione della ����������,�la qehal di Jahweh, l'assemblea del Signore, è pa-radigmaticamente legata nell'AT ai testi di stipulazio-ne/rinnovamento dell'alleanza, in particolare nella tradizione della restaurazione deuteronomistica (Cfr. Dt 23,2-9) e quindi nei libri del cosiddetto "Esateuco" (Pentateuco + Libro di Giosué).

• E' così tipico della tradizione deteuronomistica legare l'assemblea del popolo di Dio direttamente all'allean-za sinaitica (Cfr. Dt 4,11), tanto da definire quel gior-no, il giorno dell'alleanza sinaitica, come il �������� �, (iom haqqahal) il "giorno dell'assemblea" (Cfr. Dt, 9,10; 18,16). Ciò che caratterizza quest'assemblea è il fatto

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che trovi la sua ragion d'essere nella convocazione da parte di Dio, sia per ascoltare la sua Parola che per celebrare la Pasqua o qualcuna delle diverse feste del calendario ebraico.

• Rispetto all'e)kklhsi/a (ecclesìa) della po/lij (pòlis), della città-stato greca − da cui, ricordiamolo, la traduzione greca dei LXX ha mutuato il termine con cui tradurre l'ebraico ���� (qahal) −, ciò che caratterizza la ����/ e)kklhsi/a biblica rispetto all'e)kklhsi/a greca è pro-prio la natura intimamente teologica dell'assemblea biblica, rispetto alla natura essenzialmente politica dell'assemblea greca.

• Delle differenze fra queste due forme di assemblea, teologica e laica, è importante rendersi conto, visto che la cultura illuminista proprio nella concezione greca della polis ha cercato le sue radici per la co-struzione della moderna città dell’uomo senza Dio.

• Anche durante il periodo dei Giudici e dei due Regni, quando l’assemblea ebraica acquisterà evidentemente un significato anche politico, la natura teologica dell’assemblea biblica e le sue innegabili differenze con l’assemblea greca permangono.

• Schematizzando:

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����

Aperta a tutti i membri uomini e donne Anche per gli stranieri dimoranti in Israele Scopo religioso per ascoltare la Parola di Dio o celebrare il culto, aperta sempre nella storia ebraica a tutti gli abitanti

)Ekklhsi/a Riservata agli uomini con diritto di voto Solo per i nativi della po/lij geografica Scopo politico per discutere problemi della cit-tà, anche se la divinità invocata per dare ca-rattere sacro alle decisioni

• Come si vede, la "Chiesa di Cristo", pur se ha mutua-to il nome dall'e)kklhsi/a greca, si pone in continuità con la ����������, con "l'assemblea di Jahwhé" ebraica, sia per il carattere e la finalità eminentemente religiosa della Chiesa, sia soprattutto, per l'accentuazione e lo sviluppo, molto più radicali che nella stessa qahal ve-terotestamentaria, del carattere universalistico dell'au-tentica assemblea del Signore.

• A differenza dal durissimo nazionalismo greco − che arrivava perfino a negare l'umanità piena, il possesso della completa facoltà razionale, al "barbaro", a colui che greco non era per discendenza e luogo di nascita,

1. le origini nomadi del popolo ebraico; 2. le eterne vicissitudini di questo popolo riguardo al

possesso della terra; 3. la divisione del regno davidico e quindi la caduta dei

regni del nord e del sud che fecero svanire per sem-pre − almeno per tutta l'antichità, fino al 1948 − l'il-

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lusione che Israele potesse essere "un popolo come gli altri" con un suo territorio ed un suo re;

4. l'amarezza degli esili e delle ricorrenti diaspore…

…Hanno contribuito non poco a far sì che Israele non identificasse mai Dio con un territorio e con un con-cetto di "nazione" legata ad un determinato territorio.

• Si può dire che Dio ha insegnato "a suon di storia" al suo popolo, più e prima ancora che attraverso la ri-flessione teologica, la natura trascendente del "Dio d'Israele" e quindi il carattere sovranazionale e incoa-tivamente universalistico del rapporto religioso che il "Popolo di Dio" doveva intrattenere con Lui.

• Se dunque di "nazionalismo" in qualche modo si può parlare anche per la religione ebraica, esso è di segno diametralmente opposto a quello greco, come in par-ticolare apparirà chiaro nella polemica del giudaismo contro il nascente e dilagante cristianesimo, soprat-tutto nella sua versione paolina.

• È infatti caratteristico di tutti i popoli piccoli, e Israe-le in questo non fa davvero eccezione, tendere ad as-similare alle proprie tradizioni lo straniero, facendolo soggetto dei medesimi diritti-doveri e perciò legandolo mediante l'accettazione delle tradizioni e della religio-ne. Inoltre, associandolo alla partecipazione all'as-semblea sacra (Es 12,19-49; Lv 17,8-10; Nm 15,29; Dt 16,14, etc.) − con la sola eccezione del banchetto pasquale, nel caso di Israele − perciò stesso gli impe-disce di servire altri dei in territorio israelitico (Lv 20,2).

• Questo, diversamente dal greco che proprio per la se-parazione assoluta fra politica e religione, con lo stra-

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niero poteva mostrarsi tollerante verso pratiche eso-teriche. Il prezzo da pagare era però alto: questa tolle-ranza si traduceva in una non-integrazione dello stra-niero, che restava un «barbaro», un sotto-uomo, spesso destinato ai lavori servili. Qualcosa di non molto distante dalla situazione socio-culturale delle nostre nazioni occidentali «evolute»!

• All’opposto, in Israele, l'appartenenza al popolo di Di-o, non appare legata a questioni di territorio o di ascen-denza, quanto all'accettazione in toto delle tradizioni. Il tutto sancito − almeno nel periodo esilico e post-esilico (1Mac 1,60; 2Mac 6,10) − con il rito della cir-concisione per gli appartenenti al sesso maschile.

• Questa vocazione incoativamente universalista della ���� ebraica, tendente ad assimilare a sé ogni volta che può i popoli stranieri piuttosto che separarsene, è evidente anche nel Libo di Giosué.

• Si tratta di un libro chiaramente eziologico, volto cioè, in tempi di restaurazione pre-esilica e post-esilica, deuteronomistica e Sacerdotale della legge, a ritro-vare, in tradizioni che riguardavano l'antica conqui-sta del territorio di Canaan della generazione imme-diatamente post-mosaica, l'origine di tradizioni e riti che si intendevano rinvigorire e riproporre.

• Caratteristica a questo riguardo è la narrazione dell'alleanza di Sichem del cap.24, aggiunta da un redattore post-esilico all'originario corpus del Libro come vera conclusione di tutto l'Esateuco, e che ri-sente di ambedue le tradizioni deuteronomistica e Sacerdotale.

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• In ogni caso, il riferimento all'assemblea sinaitica — costante in tutta la tradizione deuteronimistica ed usato di proposito per spogliare la descrizione della ���� da tutte le normative rituali troppo strette e pe-danti tipiche della tradizione Sacerdotale sull'as-semblea cultuale intesa come ����� (‘edah) —, viene usato da tutta la tradizione esilica e post-esilica ed in particolar modo dai profeti, per sottolineare il caratte-re di "cifra simbolica" dell'assemblea stessa.

• "Cifra simbolica" di un ben più vasto ed universale "Popolo di Dio" che il messia davidico riunirà sotto forma di assemblea escatologica.

• Ciò naturalmente sarà molto avvertito quando l'as-semblea medesima si sarà ridotta di fatto ad un "pic-colo resto" ed i riferimenti Sacerdotali troppo stretti ad una normativa, che non aveva più ragion d'essere storica, sarebbero apparsi sinceramente ridicoli (Is 4,2ss; 11,1-1; Ger 31,7ss.; Abd 17; Sof 3,12ss.; Zc 8,11ss.; etc.).

• Era l'Israele "storico" che ritrovava tutta la sua fun-zione come "fermento", "germoglio" di un Israele "teo-logico", punto di convergenza della riunione di un "Popolo di Dio" di respiro davvero universale (Is 2,2ss.).

2. Sviluppo neotestamentario del tema del Popolo di Dio

• La comunità neotestamentaria parte precisamente da questa autocoscienza di essere la prima realizzazione di quella comunità escatologica universale sperata nel post-esilio.

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• Col termine Chiesa (e)kklhsi/a) e Chiesa di Dio (e)kklhsi/a tou= Qeou,= ecclesìa toù Theoù, At 5,11; 8,1; 20,28; 1Cor 10,32; 11,16.22; 2Ts 1,4; 1Tm 3,5.15, etc.), che è immediata e diretta traduzione di quella ����������, "assemblea di Jahweh" dell'AT, viene designata nel NT sia la prima comunità di Gerusalemme che le sus-seguenti comunità paoline, sia tutta la Chiesa univer-sale che le singole comunità locali, sia la Chiesa intesa come comunità dei credenti che le assemblee cultuali.

• Questa designazione si pone così in continuità-superamento della teologia veterotestamentaria della ����������, come in particolare la trattazione teologica-mente raffinatissima della Lettera agli Ebrei ha il pre-gio di mettere in particolare evidenza.

• Parallelamente infatti alla spiritualizzazione del culto e dell'Alleanza che costituisce il cuore della dottrina sulla Nuova Alleanza e del Nuovo Culto sviluppata in Ebrei (Cfr. §8.4), viene sviluppata in questa lettera una dottrina sulla Nuova Assemblea del Popolo di Di-o. Una dottrina che segue il principio esegetico gene-rale, secondo cui la vecchia assemblea sinaitica altro non è che figura, anticipazione, preparazione del nuovo popolo dei santi.

• Così, parlando della superiorità del sacerdozio di Cri-sto in quanto mediatore di una alleanza, nuova, supe-riore a quella antica, identificando questa alleanza con quella di cui parla Geremia al cap.31 del suo li-bro, con ciò stesso implicitamente afferma che la chiesa di Cristo è quell'assemblea escatologica, con-traente con Dio il Nuovo Patto.

Ora invece egli ha ottenuto un ministero tanto più ec-cellente quanto migliore è l'alleanza di cui è mediatore,

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essendo questa fondata su migliori promesse. Se la prima infatti fosse stata perfetta, non sarebbe stato il caso di stabilirne un'altra. Dio infatti, biasimando il suo popolo, dice: "Ecco vengono giorni, dice il Signore, quando io stipulerò con la casa d'Israele e con la casa di Giuda un'alleanza nuova. (…) Dopo quei giorni, dice il Signore: «porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori; sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo.» Nè alcuno avrà più da istruire il suo concittadino, Nè alcuno il proprio fratello, dicendo: Conosci il Signore! Tutti infatti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande di loro. Perchè io perdonerò le loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro peccati. (Eb 8,6-13).

• Il fatto che la "Chiesa di Cristo" costituisca una prima realizzazione di quella comunità escatologica attesa dal pio Israelita è quanto esplicitamente si afferma al cap.12 della medesima lettera, dove l'Autore sacro, da attento conoscitore della teologia vetero-testamentaria, fa il parallelo fra la comunità dei cre-denti in Cristo e la comunità sinaitica, la comunità dell'Antica Alleanza, secondo la narrazione di Es 19.

Voi infatti non vi siete accostati a un luogo tangibile e a un fuoco ardente, nè a oscurità, tenebra e tempesta, nè a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quel-

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li che lo udivano scongiuravano che Dio non rivolgesse più a loro la parola; non potevano infatti sopportare l'intimazione: "Se anche una bestia tocca il monte sia lapidata" (Es 19,12). Lo spettacolo, in realtà, era così terrificante che Mosè disse: "Ho paura" (Dt 9,19) e tre-mo. Voi vi siete invece accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a mi-riadi di angeli, all'adunanza festosa e all'assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediato-re della Nuova Alleanza e al sangue dell'aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele. Guardatevi perciò di non rifiutare Colui che parla; per-chè se quelli non trovarono scampo per aver rifiutato colui che promulgava decreti sulla terra, molto meno lo troveremo noi, se volteremo le spalle a Colui che parla dai cieli. La sua voce infatti un giorno scosse la terra; adesso invece ha fatto questa promessa: "Ancora una volta io scuoterò" non solo "la terra", ma anche "il cie-lo". La parola "ancora una volta" sta a indicare che le cose che possono essere scosse son destinate a pas-sare, in quanto cose create, perchè rimangano quelle che sono incrollabili. Perciò, poichè noi riceviamo in eredità un regno incrol-labile, conserviamo questa grazia e per suo mezzo rendiamo un culto gradito a Dio, con riverenza e timo-re; perchè il nostro "Dio è un fuoco divoratore" (Eb 12,18-29).

• D'altra parte, il collegamento stretto fra la nuova co-munità ecclesiale e la Nuova Alleanza, con la fine dell'Antica, implica quella radicalizzazione della di-mensione di universalità del Popolo di Dio, legata da parte della Chiea alla rinuncia del segno della circonci-

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sione e dunque all'incorporazione nell'antico popolo dell'alleanza per i nuovi convertiti dal paganesimo.

• L'ultimo legame del Nuovo Popolo Santo dei convoca-ti, degli eletti da Dio con la nazione israelitica viene così reciso: è questa la risoluzione del Primo Concilio convocato a Gerusalemme al tempo degli Apostoli (Cfr. At 15,1-19), che segna davvero il momento es-senziale di svolta fra antico e nuovo ordinamento.

• Una svolta di cui Paolo fu il principale fautore, seb-bene Pietro stesso, seppure con maggiori tentenna-menti dovuti alla mancanza di un’adeguata formazio-ne scritturistica, era ormai posto sulla medesima li-nea dopo l’esperienza col centurione Cornelio.

• Nella narrazione di Atti si tratta, infatti, del momento in cui Pietro, posto di fronte ad un "giusto" pagano, il centurione Cornelio, cui lo Spirito Santo si comunica anche se non è né giudeo né (ancora) cristiano, com-prende che la missione di quella nuova e)kklhsi/a di Cristo di cui era stato chiamato a diventare la "roc-cia", travalica i confini dell'Israele storico per ricon-giungersi con quell'azione misteriosa che il Signore da sempre persegue nel cuore dei "giusti" a qualsiasi raz-za, popolo o cultura appartengano.

Il giorno seguente Pietro si mise in viaggio con loro e al-cuni fratelli di Giaffa lo accompagnarono. Il giorno do-po arrivò a Cesarèa. Cornelio stava ad aspettarli ed aveva invitato i congiunti e gli amici intimi. (…) Poi, con-tinuando a conversare con lui, Pietro entrò e trovate riunite molte persone disse loro: "Voi sapete che non è lecito per un Giudeo unirsi o incontrarsi con persone di altra razza; ma Dio mi ha mostrato che non si deve dire profano o immondo nessun uomo. Per questo sono ve-

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nuto senza esitare quando mi avete mandato a chia-mare. (...) In verità sto rendendomi conto che "Dio non fa preferenze di persone" (Dt 10,7), ma chi lo te-me e pratica la giustizia, a qualunque popolo appar-tenga, è a lui accetto. Questa è "la parola che egli ha inviato" ai figli d'Israele, "recando la buona novella" (Is 52,7) della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di tutti. (...)" Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spi-rito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il di-scorso. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pie-tro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si ef-fondesse il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: "Forse che si può proibire che siano battezzati con l'ac-qua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?". E ordinò che fossero battezzati nel nome di Ge-sù Cristo. Dopo tutto questo lo pregarono di fermarsi alcuni giorni (At 10,21-48).

• La Chiesa come Popolo Santo di Dio è dunque, la "convocazione" da parte del Padre di tutti i giusti del mondo, a qualsiasi lingua, popolo, nazione, razza e religione appartengano. "Convocazione" realizzata dal Cristo crocifisso, ovvero da quell'immagine del "Giu-sto" nella quale, con molto realismo − visto come sono andate, vanno e andranno sempre le cose nel mondo − qualsiasi vero "giusto" non dovrebbe faticare a rico-noscersi.

• Una "convocazione", realmente universale, davvero "cattolica", in via di realizzazione storica ad opera del crocifisso, Agnello-Pastore del popolo dei giusti, ma

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preparata nei secoli dall'azione misteriosa del Padre, attraverso lo Spirito nel cuore di ogni giusto.

• E' questo quanto Cristo intendeva dire con la parabo-la del chicco di frumento che muore sottoterra per ra-dunare nella spiga un gran numero di chicchi uguali a lui. Parabola usata da Cristo stesso come apparen-temente strana risposta alla richiesta di alcuni paga-ni di "voler vedere Gesù".

• Come per ogni spiga c'è un chicco che muore sotto-terra, così conoscere Cristo per ciò che veramente è, significa contemplare quell'assemblea di giusti che, grazie al suo sacrificio, hanno il coraggio di ritrovarsi, contarsi, sostenersi vicendevolmente e con Dio, per opporsi al maligno in tutte le sue possibili manifesta-zioni.

Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: "Signore, vogliamo vedere Gesù". Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose: "E` giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se in-vece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la con-serverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. (…) Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me" Questo disse per indicare di quale morte do-veva morire (Gv 12,20-33).

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3. Sintesi fra Antico e Nuovo Patto nel se-gno dell’Universalità

• Non casualmente, perciò, si deve proprio a Pietro la sintesi più completa della dottrina vetero- e neo-testamentaria sull’Assemblea di Dio divenuta l’Universale Chiesa di Cristo.

• Il riferimento alla comunità del Sinai, di cui la Chiesa di Cristo costituisce una continuazione ed allo stesso tempo un radicale superamento in quanto reca con sé una prima realizzazione di quanto nell'antico I-sraele vi era di solo preannunciato e promesso, è evi-denziato dal passo fondamentale della 1Pt 2,9-10.

• In esso si riprende, applicandola alla Chiesa, la defi-nizione della comunità sinaitica data in Es 19,5-6, in-tegrandola con la profezia di Os 1,6-9 dove si parlava della promessa di Dio di restaurare il popolo che ave-va tradito l'alleanza nella sua antica dignità:

Ma voi siete "la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la na-zione santa, il popolo che Dio si è acquistato perchè proclami le opere meravigliose" di lui che vi ha chiama-to dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi, che un tempo eravate "non-popolo", ora invece siete "il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi dalla misericordia", ora invece "avete ottenuto misericordia".

• Come si vede, il popolo santo viene reso partecipe di quella triplice unzione, Sacerdotale, regale e profetica di cui era unto il Messia, Cristo, dando così un senso profondo a quella identificazione della comunità esca-tologica col "Figlio dell'Uomo" di cui si parla nella vi-

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sione di Dan 7 ed in altri testi escatologici della tradi-zione apocalittica non entrati nel canone.

• Questa relazione particolare fra il Cristo e la Chiesa che Egli ha convocato, che fa di ambedue parti di un medesimo "organismo" come Capo e membra, è quel-la dottrina della "convocazione" cristiana come Corpo Mistico del Messia-Risorto, che sarà sviluppata in maniera del tutto autonoma rispetto all'AT dal NT.

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II. UNIVERSALITÀ DELLA CHIESA ED ECCLESIOLOGIA DI COMUNIONE

A. La Chiesa, «Popolo di Dio» nel Conci-lio Vaticano II

l testo fondamentale della Costituzione Dogmatica sul-la Chiesa del Concilio Vaticano II «Lumen Gentium», introduce al numero 9 questa dottrina fondamentale della Chiesa come «Popolo di Dio».

• In esso si ripercorre brevemente l’intinerario vetero- e neo-testamentario di questa dottrina, fino ad intro-durre il testo della Lettera di Pietro che abbiamo ap-pena commentato.

In ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio chiunque lo teme e opera la giustizia (cfr. At 10,35). Tuttavia Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmen-te e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità. Scelse quindi per sé il popolo israelita, stabilì con lui un'alleanza e lo formò lentamente, manifestando nella sua storia se stesso e i suoi disegni e santificandolo per sé. Tutto questo però avvenne in preparazione e figura di quella nuova e perfetta alleanza da farsi in Cristo, e di quella più piena rivelazione che doveva essere attua-ta per mezzo del Verbo stesso di Dio fattosi uomo. « Ec-co venir giorni (parola del Signore) nei quali io stringerò con Israele e con Giuda un patto nuovo (…) (Ger 31,31-34). Cristo istituì questo nuovo patto cioè la nuova alle-

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anza nel suo sangue (cfr. 1 Cor 11,25), chiamando la folla dai Giudei e dalle nazioni, perché si fondesse in unità non secondo la carne, ma nello Spirito, e costi-tuisse il nuovo popolo di Dio. Infatti i credenti in Cristo, essendo stati rigenerati non di seme corruttibile, ma di uno incorruttibile, che è la parola del Dio vivo (cfr. 1 Pt 1,23), non dalla carne ma dall'acqua e dallo Spirito Santo (cfr. Gv 3,5-6), costituiscono « una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una nazione santa, un popolo tratto in salvo... Quello che un tempo non era neppure popolo, ora invece è popolo di Dio » (1 Pt 2,9-10).

B. Universalità della Chiesa e salvezza

1. Un testo fondamentale del Concilio: gra-di e modi di incorporazione alla Chiesa

• Inteso in questo modo il Popolo di Dio − di cui la �������ebraica prima, e la Chiesa cristiana poi, sono fermento di unificazione e riunificazione continua, anti-cipando la prima e proseguendo la seconda la mis-sione del Cristo storico − si comprende l'affermazione dogmatica che tanto scandalo suscita secondo la quale "fuori della Chiesa non c'è salvezza" (extra Ec-clesiam nulla salus).

• Esistono diversi livelli e modalità di incorporazione al Popolo Santo "convocato" da Dio, proporzionalmente all’azione di grazia dello Spirito nel cuore di ciascuno e, simultaneamente, al livello di risposta del singolo a questo dono da parte di Dio.

• In tal modo, il Concilio, riprendendo e attualizzando, la dottrina del Vangelo secondo la quale l’adesione a Cristo e l’incorporazione alla Chiesa sono essenzial-

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mente il risultato del dialogo misterioso fra lo Spirito di Dio e il cuore di ogni uomo, allo stesso tempo fa salvo il principio classico dell’ecclesiologia tradiziona-le — “fuori della Chiesa non c’è salvezza” — come solo un’ecclesiologia di comunione può fare.

• Ogni uomo può attingere alla salvezza nella Chiesa, nella misura in cui può dirsi incorporato ad essa me-diante la comunione che riesce a realizzare con lo Spirito di Dio e, grazie a Lui, con i fratelli. Gli stessi non-Cristiani, fino addirittura agli «atei di buona vo-lontà», aperti al dialogo, alla ricerca e alla collabora-zione coi cristiani, possono dirsi, allora, almeno ordi-nati ad essere parte della Chiesa.

• In tal modo, l’universalità della Chiesa e la salvezza di Dio di cui essa è segno e strumento unico, si esten-dono davvero fino ai «confini della terra», escludendo da esse, dalla Chiesa e dalla salvezza, solo coloro che positivamente ed in cattiva coscienza rifiutano Dio e vi-vono in peccato.

Il santo concilio si rivolge dunque prima di tutto ai fedeli cattolici. Esso insegna, appoggiandosi sulla sacra scrit-tura e sulla tradizione, che questa chiesa pellegrinante è necessaria alla salvezza. Infatti solo il Cristo, presen-te per noi nel suo corpo che è la chiesa, è il mediatore e la via della salvezza. Ora, egli inculcando espressa-mente la necessità della fede e del battesimo (Cfr. Mc 16,16; Gv 3,5, etc.), ha insieme confermata la necessità della chiesa, nella quale gli uomini entrano mediante il Battesimo, come per la porta. Perciò non potrebbero salvarsi quegli uomini i quali, non ignorando che la chiesa cattolica è stata da Dio per mezzo di Gesù Cristo

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fondata come necessaria, non avessero tuttavia voluto entrare in essa o in essa perseverare. - (Cattolici) Sono pienamente incorporati alla società della chiesa quelli che, avendo lo Spirito di Cristo, ac-cettano integra la sua struttura e tutti i mezzi di salvez-za da essi istituiti, e nel suo organismo visibile sono u-niti a Cristo − che la dirige mediante il sommo pontefice e i Vescovi − dai vincoli della professione di fede, dei sacramenti, del governo ecclesiastico e della comunio-ne. (...) - (Cristiani) Con coloro che, battezzati, sono sì insi-gniti del nome cristiano, ma non professano la fede integrale o non conservano l'unità della comunione sotto il successore di Pietro, la Chiesa sa di essere per più ragioni unita. (...) - Infine, quelli che non hanno ancora ricevuto il Van-gelo, in vari modi sono ordinati al popolo di Dio. - (Ebrei) Per primo, quel popolo al quale furono dati i testamenti e le promesse e dal quale è nato il Cristo secondo la carne (Cfr. Rm 9,4s.), popolo in virtù dell'e-lezione, carissimo per ragione dei suoi padri: perché i doni e la chiamata di Dio sono senza pentimento. - (Mussulmani) Ma il disegno della salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in primo luogo i mussulmani, i quali professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà nel giorno finale. - (Credenti in Dio) E Dio stesso non è lontano dagli altri che cercano un Dio ignoto nelle ombre e nelle immagini, perché egli dà a tutti vita e respiro (Cfr. At 17,25-28), e come salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvi (Cfr. 1Tm 2,4). Infatti quelli che senza colpa ignorano il vangelo di Cristo e la sua chiesa, e tuttavia cercano sinceramente Dio; e sotto l'influsso della grazia

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si sforzano di compiere con le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, pos-sono conseguire la salvezza eterna. - (Atei) Né la Divina Provvidenza nega gli aiuti neces-sari alla salvezza a coloro che senza colpa da parte lo-ro, ancora non sono arrivati a una conoscenza espli-cita di Dio e si sforzano, non senza l'aiuto della grazia divina di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di retto si trova in loro è riconosciuto dalla chiesa come una preparazione al Vangelo, e come dato da colui che illumina ogni uomo affinché abbia final-mente la vita (Concilio Vat.II, Lumen Gentium 14-16).

2. Cattolicità della Chiesa, non-cristiani e non-credenti

a ) A t t u a l i t à d e l C o n c i l i o

• E’ chiaro come la nota dell’universalità della Chiesa ed il suo mistero riguardino anche quella forma di or-dinamento ad essa — perché non si può parlare di “incorporazione” — dei non-cristiani, sia credenti che non-credenti, di «buona volontà», o come li definisce il Concilio che agiscono in «retta coscienza».

• Già quarant’anni fa’, quando quelle parole del Conci-lio furono scritte, quest’ultima categoria dei non-cristiani era al centro dell’interesse dei Padri.

• Molto di più ora questo testo del Concilio mostra tut-ta la sua preveggenza e attualità, in un’epoca di globa-lizzazione, caratterizzata dal

1. Rischio di crescenti contrasti etnico-religiosi proprio «fra» i credenti «non-cristiani» di religione ebrea e

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mussulmana e con il rischio incombente che tale contrasto si trasformi in quello «scontro di civiltà» da molti paventato fra occidente e Islam;

2. Confronto, pacifico ma non meno impegnativo, con i «credenti» delle grandi religioni filosofiche e non bibli-che dell’estremo oriente (Buddismo, Induismo, Taoi-smo, Scintoismo…).

3. Fenomeno emergente e sempre più numericamente consistente, nei nostri paesi occidentali dei non-credenti, gran parte dei quali «aperti» al dialogo per-ché non sordi ai valori che il cristianesimo propu-gna.

b ) L ’ i n s e g n a m e n t o d e l P a p a B e -n e d e t t o X V I

• In particolare verso quest’ultima categoria, che oggi è al centro dell’attenzione pastorale della Chiesa, dato il crescente numero di uomini e donne di buona volon-tà, ma che si professano non-credenti nella nostra so-cietà, si è rivolto il Papa Benedetto XVI chiamandoli significativamente e più volte in scritti e discorsi: «a-mici».

• Da questa sua particolare attenzione che ha caratte-rizzato i primi passi del suo Pontificato, emerge per l’uomo di oggi quella funzione universale e unificante della Chiesa, che sa essere davvero cattolica, anche verso questa particolare, crescente categoria di uomi-ni e di donne del nostro tempo. Essi proprio per la lo-ro dispersione, ma allo steso tempo per la rettitudine e la sete di valori che li abitano, costituiscono una ri-sorsa non valorizzata per il bene comune, della socie-tà innanzitutto e per la Chiesa stessa.

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• Si tratta infatti della categoria di coloro che consape-volmente non riescono a credere in Dio e in Cristo, anche se si sforzano di vivere una vita retta, e, proprio per questo sono sinceramente preoccupati per il de-cadimento morale, auto-distruttivo che affligge la no-stra società occidentale.

• In particolare, queste persone possono costituire una risorsa per il laicato cristiano, visto che Laici cristiani e Laici non-credenti di fatto lavorano gomito a gomito nella società e nelle istituzioni e non di rado si ritro-vano alleati, perché gli unici a preoccuparsi del bene oggettivo e non dei tornaconti personali o di gruppo. Diventa perciò essenziale definire una modalità di rapporto seria, con queste persone, che non annulli le differenze in un insipido buonismo, ma allo stesso tempo ponga le basi per un dialogo e una collabora-zione oggettivamente proficue.

• Grazie alla sua cultura, non disgiunta dalla sua carità di Pastore Supremo della Chiesa, non sfugge al Ponte-fice che questi uomini e queste donne sono le prime vittime del fallimento della grande illusione illuminista che ha attraversato la nostra società occidentale.

• Essi appartengono così, dal punto di vista culturale, tanto alla tradizione liberista, come a quella socialista, essendo e l’una e l’altra due versioni complementari del medesimo rifiuto moderno delle basi della societas christiana — il riferimento a Dio come fondamento dei valori morali della convivenza civile.

• L’illuminismo moderno cercò infatti di fondare i prin-cipi morali della civiltà occidentale su una presunta evidenza di essi alla sola ragione, escludendo così

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come «superstizione superata» il loro necessario rife-rimento al Creatore per essere fondati.

• Tali principi, che storicamente più di un millennio di cristianesimo avevano radicato nelle coscienze —anche se molto meno e più difficilmente nella socie-tà — erano tutti basati sull’uguaglianza e allo stesso tempo sull’irriducibile dignità della persona umana (essa non può essere mai mezzo, ma solo fine).

• Una nozione quella di «persona» che, sviluppatasi ori-ginariamente in ambito teologico per giustificare la differenza irriducibile e allo stesso tempo l’unità delle Tre Persone divine nella Santissima Trinità, fu estesa dal cristianesimo del IV-V secolo anche all’uomo.

• Storicamente è stato Sant’Agostino per primo, da raf-finato teologo e giurista del diritto romano qual’era, a compiere questo salto da cui l’Occidente cristiano di-pende, ponendo così le basi della Civitas Christiana medievale.

• In altri termini, Agostino, facendo della persona in quanto «immagine di Dio», a qualsiasi popolo o razza appartenga il soggetto inalienabile di diritti, poneva le basi filosofico-giuridiche non solo della Civitas Chri-stiana medievale, ma anche della medesima civiltà europea ed occidentale, come noi la conosciamo e come rischia oggi di andare perduta.

• Tale dottrina, infatti, si poneva in aperta contrapposi-zione/superamento all’idea-guida della polis greco-romana che faceva, invece, del solo «cittadino» e non del «barbaro», del non-greco e del non-romano, il sog-getto inalienabile di diritti di cui lo stato è al servizio (stato di diritto). Per una traccia biblica di questa re-altà, si pensi solo all’appellarsi di Paolo a Cesare (ci-

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ves romanus sum) con cui si trasferì a Roma, a bordo delle patrie galere…

• L’illuminismo, almeno ai suoi inizi, ha cercato dun-que di mantenere questi principi, svincolandoli però da un loro fondante riferimento ad un Assoluto tra-scendente, in nome di una loro presunta, auto-evidente razionalità.

• La deriva nichilista e individualista per una sempre più vasta parte della nostra società occidentale che è conseguita al fallimento di questo programma, lascia un quantità crescente di persone senza punti di rife-rimento. Esse sono per un verso impossibilitate a credere da una certa formazione ricevuta e dalla cul-tura dominante che si assorbe dai mass-media, per un altro assetate di valori che non sanno su cosa fondare.

• Essi devono essere considerati dalla carità pastorale della Chiesa come fra i primi anche se non unici rap-presentanti di quelle «pecore senza pastore» alla ri-cerca ansiosa di quella «voce» che sappia parlare al loro cuore. Che sappia parlare ad essi non per «con-vertirli» o «arruolarli», ma per farli sentire finalmente «compresi» così da poterla seguire con fiducia.

• Facendosi modello di questa carità pastorale, ecco come a loro si rivolge il Papa in un suo recente libro, «L’Europa di San Benedetto nella crisi delle culture», nel quale il Papa fa a questi suoi particolari «amici» la sua sconvolgente proposta:

Nell’epoca dell’illuminismo si è tentato di intendere e definire le norme morali essenziali dicendo che esse sarebbero valide «etsi Deus non daretur», anche se Dio non esistesse. Nella contrapposizione delle confessioni

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e nella crisi incombente dell’immagine di Dio, si tentò di tenere i valori essenziali della morale fuori dalle con-traddizioni e di cercare per loro un’evidenza che li ren-desse indipendenti dalle molteplici divisioni e incertez-ze delle varie filosofie e confessioni. (…) A quell’epoca sembrò possibile, in quanto le grandi convinzioni di fondo create dal cristianesimo in gran parte resistevano e sembravano innegabili. Ma non è più così. La ricerca di una tale rassicurante certezza che potesse rimanere incontrastata al di là di tutte le differenze è fallita. (…) Vorrei dirlo con altre parole: il tentativo, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo com-pletamente a meno di Dio, ci conduce sempre di più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo. Dovremmo allora capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio, dovrebbe comunque cercare di vivere «veluti si Deus daretur», come se Dio ci fosse. Questo è il consiglio che già Pascal dava agli amici non credenti. E’ il consiglio che vorremmo dare anche noi oggi ai nostri amici che non credono. Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno.

• Questa «mano tesa» del Papa a dei laici, non-cristiani

certamente, ma altrettanto certamente non-laicisti o, almeno, non più tali, fa sì, che il richiamo dei nostri due ultimi Pontefici alle «radici cristiane dell’Europa», sia tutt’altro che una «battaglia di retroguardia», co-me sui media è finora stata presentata, ma «piuttosto

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una grande responsabilità per l’umanità di oggi», come lo stesso Benedetto XVI afferma.

c ) A p p l i c a z i o n e a l d i a l o g o c o i n o n - c r e d e n t i

• E il segreto di questo cambio di prospettiva radicale è proprio in quell’ecclesiologia di comunione che è sotte-sa a quel chiamare «amici» quelli che negli ultimi due secoli, specialmente, sono stati considerati fra i peg-giori «nemici» della Chiesa.

• Infatti, da una parte, proprio l’abbandono dell’ideologia «laicista» ha creato la condizione da par-te di quei laici non-credenti che l’hanno maturata, af-finché la Chiesa possa guardare ad essi con occhi di-versi. Dall’altra, però, dalla parte della Chiesa, è pro-prio lo sviluppo di un’ecclesiologia di comunione che ha reso possibile chiamare «amici» queste persone.

• Solo questa ecclesiologia è realmente cattolica nel senso di poter accogliere il «diverso» senza uniformar-lo, senza cioè pretendere che si «converta»; o, all’opposto — ma ottenendo il medesimo risultato —, che si «adegui», relativizzando, banalizzando e quindi negando la sua «diversità», come irrilevante, per uno sciocco e offensivo «buonismo».

• Per rifarsi allo sfondo biblico che abbiamo brevemen-te ricordato, uno schema universalistico quale quello veterotestamentario che ammetteva sì lo straniero, ma a patto che si facesse «circoncidere», che cioè si convertisse, non è né può essere lo schema cattolico dell’universalità. Il rischio di «settarismo» integralista

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che affligge tanti nostri gruppi e comunità, «cristia-ne», forse, ma assai poco «cattoliche», è avvertito.

• Né, tantomeno, lo è lo schema falsamente tollerante della pòlis greca che, come il laicismo moderno che ad essa si richiama, apparentemente accoglie qualsiasi credo e religione — si pensi alla meraviglia di Paolo quando visitando Atene scopre in essa statue di qual-siasi divinità, compresa quella al “dio ignoto” —, ma di fatto discrimina chiunque non rinunci alle proprie convinzioni. Chiunque, cioè, non si uniformi all’agnosticismo e all’equivalenza universale di un re-lativismo che contraddittoriamente viene affermato come l’unica verità. L’assurda verità della negazione di qualsiasi verità.

• Di questa falsa tolleranza del laicismo relativista, se ne accorse a sue spese Paolo quando, dopo il suo di-scorso appassionato all’Aeropago in cui ingenuamen-te cercò di dare il nome del Risorto al dio ignoto degli ateniesi, si sentì rispondere con disprezzo: «ne ripar-leremo un’altra volta». (Cffr. At 17,32).

• L’ipocrita tolleranza della falsa, auto-contraddittoria razionalità del relativismo considera infatti «barbaro» — letteralmente irragionevole e quindi «sub-umano» — chi non si uniforma alla sua pseudo-razionalità.

• Chi sono dunque gli «atei non-credenti» cui il Papa si rivolge chiamandoli, a ragione, e non per piaggeria «amici»? Potremmo definirli gli unici, autentici «atei non-credenti», quelli cioè che non-credono senza e-scludere, ragionevolmente, la possibilità che esista un Assoluto cui credere.

• I laicisti sono invece degli assurdi «atei credenti», atei integralisti che credono — perché una simile posizio-

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ne può essere solo oggetto di fede e non di ragione — che sia impossibile che esista un Assoluto cui crede-re.

• E’ chiaro allora che con questi ultimi non c’è dialogo, essendo venuta meno la possibilità che un «credente in Dio» o un «cristiano credente», che non rinuncia ai suoi valori e che cerchi correttamente di proporli e promuoverli come validi in sé perché «veri» e dunque ragionevoli, possa venire da questo tipo di ateo laici-sta riconosciuto come un interlocutore valido.

• Un ateo laicista, può accettare infatti di pensare ed agire «come se Dio non esistesse», visto che lo crede, ma mai accetterà di pensare ed agire «come se Dio e-sistesse» e dunque mai accetterà un vero dialogo con chi invece crede che Dio esista. La tolleranza del rela-tivismo morale e religioso, dunque, non può essere che di facciata.

• Proprio come, all’opposto, un «credente in Dio», au-tentico non potrà mai accettare di pensare ed agire «come se Dio non esistesse», perché questo — il dog-ma illuminista — si oppone alla sua fede.

• Viceversa questo medesimo credente potrà e in qual-che modo dovrà accettare di pensare ed agire solo «come se Dio esistesse», dovrà cioè mettere fra paren-tesi la sua fede, anche se non certo rinunciare ad es-sa, almeno per quei valori che egli intende condivide-re anche con chi non ha la sua stessa fede.

• In altri termini, l’autentico credente cristiano sarà davvero «cattolico» se accetterà che alcune sue con-vinzioni, in particolare quelle che desidera promuove-re per l’intera società, vengano sottoposte al vaglio della ragione nel dialogo con gli autentici e non finti

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«non-credenti». Si tratterà, perciò, innanzitutto, di quei valori morali, base della convivenza civile, ed in particolare quelli fondamento della nostra identità e civiltà occidentali.

• Si pensi, per esempio, ai valori della famiglia basata sul matrimonio; o al valore dell’intangibilità della vita umana dal concepimento alla sua morte naturale; o al valore della democrazia basata sull’autentica «li-bertà», «uguaglianza», «fraternità» delle persone, per-ché accetta che le differenze culturali e religiose ven-gano rispettate e non solo «tollerate» come una me-nomazione, come un rimasuglio di antiche supersti-zioni.

• Un cristiano che non sappia difendere e promuovere questi valori con argomenti razionali che prescindano dalle sue certezze di fede — accettando cioè che la sua fede in Dio e nella sua Parola sia solo un «come se» — non è un cristiano davvero «cattolico».

• Per dirla con San Pietro costoro non sono cristiani

pronti sempre a rispondere a chiunque domandi ragio-ne della speranza che è in loro (1 Pt, 3,15).

d ) D i a l o g o f r a c r e d e n t i e n o n -c r e d e n t i e f u t u r o d e l m o n d o

• In conclusione, il fatto che il Papa chiami amici gli autentici non-credenti, quelli che lasciano aperta la possibilità che Dio esista e che dunque esista una ve-rità e dei valori assoluti cui far riferimento, malgrado i limiti della nostra ragione, delle nostre culture, dei nostri stessi linguaggi sempre perfettibili con cui cer-chiamo di comprendere, sistematizzare e finanche

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esprimere queste verità e questi valori, non è un fatto di semplice cortesia.

• Esprime una profonda verità: l’amicizia come il dialo-go autentico che ne consegue suppone infatti avere in comune dei punti di riferimento, da cui deriva il pro-fondo rispetto per l’altrui punto di vista. E abbiamo visto come quel pascaliano veluti si Deus daretur è il punto di vista comune fondamentale che ogni auten-tico credente, non-integralista, può condividere con l’autentico non-credente, non-laicista, non-integralista a sua volta nella sua non-credenza.

• Come abbiamo visto, non può esistere, invece, dialo-go autentico fra un credente sincero di una qualsiasi religione, con un non-credente laicista, una sorta di assurdo ateo-credente. Costui infatti considererà la fede del credente una sorta di menomazione intellettu-ale, frutto di superstizione o di ignoranza, e non potrà accettare in linea di principio una qualsiasi forma di dialogo sulla ragionevolezza di valori che l’altro — a torto o ragione — farà discendere direttamente dalla sua fede.

• Paradossalmente, l’impossibilità di dialogo con un credente integralista è del tutto equivalente a quella con il non-credente integralista. Ed il fatto che queste due categorie di persone si disprezzino e si combatta-no così aspramente oggi, talvolta fino a volere l’una l’annientamento anche fisico dell’altra, la dice lunga sul pericolo che essi fanno correre alla pace sociale sia dentro le nostre società, sia nel mondo intero

• Questa simmetria fra credenti integralisti e atei inte-gralisti o «laicisti» deve farci a lungo riflettere e, come

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cristiani, su questa simmetria abbiamo il compito di far riflettere le nostre società occidentali.

• In un mondo globale, multi-etnico e multi-religioso non deve esserci spazio per integralismi religiosi e per integralismi a-religiosi. Essendo, per loro limite intrin-seco queste minoranze incapaci di dialogo, possono e debbono essere, dalla maggioranza di uomini e donne di «buona volontà» credenti e non, messe in condizio-ni di non nuocere, innanzitutto togliendo loro quel prestigio di cui godono nelle loro rispettive società.

C. Cattolicità e amicizia: il ruolo delle fa-miglie

1. «Il braccio del seminatore è l’amicizia»

• Questa bella e vera affermazione, recentemente cor-roborata dall’autorevole insegnamento del Papa Be-nedetto XVI, evidenzia per noi quale dev’essere nel mondo contemporaneo, caratterizzato da un laicismo in crisi d’identità e di consenso – ma per questo molto più aggressivo e pericoloso come ogni animale ferito –, il corretto atteggiamento del cristiano e delle famiglie cristiane nella costruzione di quell’inizio del Regno di Dio che è la Chiesa «famiglia di famiglie».

• Una Chiesa che, fin dalla base della nostra conviven-za civile quale appunto sono gli individui e le famiglie, sia davvero fermento di unità in una società multi-etnica e multi-religiosa e con una larghissima base di non-credenti, come la nostra.

• Si tratta di un insegnamento che ci corrobora e ci consola perché autorevolmente conferma e anzi in-

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crementa quanto lo Spirito Santo già ha suggerito come strategia vincente alle famiglie cristiane per far sì che quella costruzione della Chiesa-Popolo di Dio davvero parta dalla base della comunità cristiana e sia quindi effettiva e non astratta.

• L’abbiamo visto: l’aspetto che più colpisce nel recente insegnamento di Papa Benedetto è quello in cui si ri-volge ai Laici non-laicisti, ai non-credenti di buona volontà chiamandoli amici.

• Questo appellativo non è solo un fatto di cortesia ed educazione, ma sottende un significato sostanziale. L’amicizia è infatti un profondo rapporto fra persone che nasce e si consolida nel fatto che si condividano liberamente delle finalità e degli scopi. L’amicizia nasce e si rafforza mediante la condivisione di un progetto.

• Per questo il cristiano può e deve essere amico di tut-ti coloro che sono animati di buona volontà. Sa infatti che, sia che l’uomo ne sia cosciente o no, è sempre Dio «che suscita il volere e l’operare» secondo giustizia nel cuore dell’uomo.

• L’appartenenza al Regno di Dio, anzi alla famiglia di Dio, quella dei «fratelli e sorelle di Cristo», non è que-stione di etichette o di buone intenzioni, e neanche questione di carne e di sangue, ma di scelte e di ope-re concrete:

Gli fu annunziato: «Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti». [21]Ma egli rispose: «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la paro-la di Dio e la mettono in pratica».(Lc 8). [21]Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio

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che è nei cieli. [22]Molti mi diranno in quel giorno: Si-gnore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti mira-coli nel tuo nome? [23]Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di ini-quità. (Mt 7).

• Viceversa,

"Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo ri-susciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: "E tutti saranno ammaestrati da Dio". Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me" (Gv 6,44-45).

2. La Parrocchia, «casa di tutti»

• Alla luce di tutto questo non sorprende che proprio nelle nostre parrocchie, soprattutto in quelle in cui maggiormente si vive lo spirito della «famiglia di fami-glie» si realizzino in concreto le esperienze più belle e promettenti di autentica comunione e amicizia fra fa-miglie cristiane, famiglie di credenti di altre religioni e famiglie di non-credenti. Senza negare le differeze, ma valorizzandole in nome di principi comuni condi-visi.

• Il valore della famiglia è infatti uno dei valori umani fondamentali, non solo che accomuna gli uomini di buona volontà credenti nelle varie religioni, ma anche crea dei vincoli di amicizia molto forti anche con per-sone non-credenti, ma aperte al dialogo.

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• Un parroco di Roma ha recentemente data una defi-nizione molto bella di quest’ideale di cattolicità vissuta che si respira nelle nostre parrocchie, nella misura in cui si aprono alle necessità, ma anche agli apporti delle famiglie. Ha definito questo genere di parrocchia la casa di tutti.

• In effetti, una Chiesa «casa e scuola di comunione» come l’ha definita Giovanni Paolo II nella nostra pre-cedente meditazione, non può non essere la casa di tutti, concreta realizzazione «in un frammento» di quel Tempio della Nuova Alleanza, in cui «adorare Dio in Spirito e Verità» di cui ci ha parlato Gesù proposito del suo Corpo Risorto, il suo Corpo Mistico.

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